Bullet – Bullet Live

Bullet Live è un album che una volta schiacciato il tasto play vi tiene per le palle, vi obbliga con la sua forza ed energia a rimanere incollati allo stereo mentre una per una passano le varie tracce, in un tripudio di note già sentite migliaia di volte ma irrinunciabili anche questa volta.

Questo live è un inno all’hard & heavy, un rito di cui non potrete esimervi di presenziare se vi considerate true metallers di origine controllata.

D’altronde la missione degli svedesi Bullet è sempre stata quella di portare in giro per i palchi il loro tributo ad un genere e ad uno stile di vita consolidati, una sfacciata e alquanto riuscita riproposizione di cliché abusati all’infinito ma di cui non potremmo farne a meno ogni tanto.
E allora buttatevi con birra in mano e pugno alzato tra le prime file di questo live che ripercorre le gesta del gruppo svedese, attivo da quasi vent’anni e con il suo bottino di sei album di cui l’ultimo uscito un annetto fa.
Il quintetto scandinavo mantiene quello che promette, con il palco messo a ferro e fuoco grazie ad una energia liberata in diciotto dei brani più significativi e riusciti del loro repertorio che, chiariamolo, non si scosta di un millimetro dal tributare il sound leggendario di Ac/Dc e Accept, con un tocco qua e là di Judas Priest ad aumentare la temperatura quando le chitarre si lanciano in solos che sono il pane e la birra del genere.
Una serie di inni che non lasciano scampo, ci investono in tutta la loro metallica forza, tra sudore, alcool ed attitudine così come il genere esige.
Bullet Live è un album che una volta schiacciato il tasto play vi tiene per le palle, vi obbliga con la sua forza ed energia a rimanere incollati allo stereo mentre una per una passano le varie tracce, in un tripudio di note già sentite migliaia di volte ma irrinunciabili anche questa volta.
Storm Of Blade, Turn It Up Loud, Speed And Attack, Ain’t Enough, Highway Love e Bite The Bullet, prima di essere canzoni, sono inni e questo live è un tributo imperdibile all’hard & heavy e al suo mondo.

Tracklist
CD1
1. Uprising
2. Storm Of Blades
3. Riding High
4. Turn It Up Loud
5. Dusk Til Dawn
6. Dust To Gold
7. Rambling Man
8. Bang Your Head
9. Hammer Down

CD2
1. Speed And Attack
2. Ain’t Enough
3. Rolling Home
4. Heading For The Top
5. Stay Wild
6. Fuel The Fire
7. Highway Love
8. The Rebels Return
9. Bite The Bullet

Line-up
Hell Hofer – Vocals
Hampus Klang – Lead Guitar
Alex Lyrbo – Lead Guitar
Gustav Hector -Bass
Gustav Hjortsjö – Drums

BULLET – Facebook

Aldi Dallo Spazio – Quasar

Quasar è un ottimo lavoro, opportunamente riproposto, che non mancherà di soddisfare la fame di progressive rock degli amanti del genere classico, magari in attesa di una nuova opera targata Aldi Dallo Spazio.

Dopo tanto progressive moderno e metallico, arriva un ottimo lavoro che guarda sfacciatamente alla tradizione senza timori reverenziali, ispirandosi quindi alle grandi band del passato ed a quel rock progressivo degli anni settanta diventato ormai storia.

Gli Aldi (Awesome Lysergic Dream Innovation) Dallo Spazio il loro bellissimo esordio Quasar lo avevano licenziato due anni fa in regime di autoproduzione, e ora viene ristampato, remixato e rimasterizzato in vinile, cd e digitale da parte della Jolly Roger.
Il quintetto ravennate dà vita ad un’opera affascinante di rock progressivo che si confronta con i grandi lavori del passato ed i suoi creatori, cinque lunghe jam che spaziano tra il progressive, il rock psichedelico e sfumature space, per un viaggio nel mondo del rock classico rivisitato da un giovane quintetto dotato di una buona personalità.
I brani sono cinque capitoli di un viaggio nel mondo di quel rock che non smette neanche nel nuovo millennio di influenzare generazioni di musicisti, confondendosi e amalgamandosi con svariati generi in barba ai suoi detrattori.
Tuffatevi dunque senza timore nelle trame dell’opener Long Time Lover o nei lunghi fluidi musicali di The Distance o Epiphany: vi troverete al cospetto di cinque progsters che, senza alcun tentennamento, percorrono le strade colorate di grande musica tracciate da capisaldi del progressive nazionale ed internazionale come PFM, Pink Floyd, Tangerine Dream, Yes con in più una componente melodica e psichedelica che a tratti avvicina la band ai The Beatles (era Sgt Pepper’s) e T.Rex.
Quasar è un ottimo lavoro, opportunamente riproposto, che non mancherà di soddisfare la fame di progressive rock degli amanti del genere classico, magari in attesa di una nuova opera targata Aldi Dallo Spazio.

Tracklist
01. Long Time Lover
02. THe Distance
03. Little Piggy Will
04. Santana (A Freedom Song)
05. Ephipany

Line-up
Dario Federici – Vocals, Keyboards
Simone Sgarzi – Guitars
Davide Mosca – Guitars
Marco Braschi – Bass
Lorenzo Guardigli – Drums

ALDI DALLO SPAZIO – Facebook

Six Feet Deeper – Passion Play

Una brava cantante ed ottime canzoni sono una scorciatoia più che valida per essere apprezzati da un pubblico numeroso, virtù assolutamente nelle corde del gruppo svedese e ben percepibili in questo ottimo Passion Play.

I paesi scandinavi si stanno imponendo sempre più come patria dell’hard rock di tradizione settantiana, venato di ispirazioni blues, sanguigno ed oltremodo letale.

Svezia e Norvegia sono infatti ormai da considerare come nuove patrie del sound che fece la fortuna di Led Zeppelin e Bad Company con gruppi che hanno nelle sirene blues dietro al microfono l’arma vincente per scardinare i cuori degli amanti del genere.
Un altra band si affaccia sul mercato con il primo full length, dopo un ep di cui noi di Metaleyes ci eravamo occupati un paio di anni fa, i Six Feet Deeper, quartetto di Stoccolma capitanato dalla bravissima Sara Lindberg, singer dal buon talento interpretativo.
La Norvegia chiama e la Svezia non tarda a rispondere, in un duello a colpi di riff che faranno la gioia degli amanti di queste sonorità che hanno natali ed antenati illustri.
L’angelo della Swan Song (la label fondata dai Led Zeppelin) come un cupido lancia frecce sugli ascoltatori, mentre la Lindberg valorizza splendidi brani come l’opener In March The Clowns, Illuminate, la coppia The Flow/Diggin’ Down The Hole ed il singolo I Can’t Quit You, spettacolari hard rock blues che confermano l’intesa tra i vari musicisti, nonché una sagacia compositiva che permette ai Six Feet Deeper di uscire dall’anonimato di un genere che ovviamente non può certo puntare sull’originalità.
Una brava cantante ed ottime canzoni sono una scorciatoia più che valida per essere apprezzati da un pubblico numeroso, virtù assolutamente nelle corde del gruppo svedese e ben percepibili in questo ottimo Passion Play.

Tracklist
SIDE A:
1. In March The Clowns
2. Let My Spirit Go
3. Make It Right
4. You And Your Hand
5. Illuminate

SIDE B:
1. The Flow
2. Diggin’ Down The Hole
3. I Can’t Quit You
4. Passion Play

Line-up
Sara Lindberg – Vocals
Patrik Andersson – Guitar & Vocals
Emil Mickols – Drums, Keyboards & Percussion
Erik Arkö – Bass, Acoustic Guitar on track 5 & Vocals

SIX FEET DEEPER – Facebook

Nautha – Tutti I Colori del Buio

I Nautha producono un debutto che è molto maturo e che, cosa ancora più importante, traccia una rotta totalmente personale ed indipendente, senza seguire nessuno, aprendo un sentiero che è insieme di valore e coraggioso.

Il suono degli italiani Nautha è qualcosa di fresco ed innovativo che però nasce dalla tradizione musicale del rock anni settanta e dall’immortale lezione del progressive italiano.

Il trio romano macina un suono assolutamente non convenzionale, a partire dal fatto che è stato registrato in presa diretta senza mediazioni tra amplificatori e mixer, uscito così come esce il suono dal vivo. La visione musicale è assai complessa e stratificata, per un risultato convincente ed originale. Brevemente lo si potrebbe definire un approccio moderno ad una materia antica e bellissima come il prog italiano. Infatti le radici dei Nautha risiedono in quel periodo dorato di incontro sonoro fra il progressive e la psichedelia, in più di loro aggiungono una grande dose di suoni alternativi moderni, con un cantato in italiano che funziona benissimo, così come la scelta di lavorare il meno possibile il loro suono. Le nostre orecchie sono abituate a produzioni super elaborate, come uno zucchero dalla lavorazione complessa, che si rivela dolcissimo ma lasciando scorie nel nostro organismo. Invece Tutti I Colori Del Buio è scarno e minimalista quanto basta, e grazie a questa forma risulta addirittura più diretto e potente. Certamente all’inizio sembra manchi qualcosa, mentre quando si entra in sintonia con il sound si capisce l’assoluta bontà della scena di produzione. L’impasto sonoro è convincente e sono semi sparsi in molti territori musicali, a partire dal prog, passando per la psichedelia per andare verso uno stoner disidratato. I Nautha producono un debutto che è molto maturo e che, cosa ancora più importante, traccia una rotta totalmente personale ed indipendente, senza seguire nessuno, aprendo un sentiero che è insieme di valore e coraggioso. Un’altra peculiarità importante sono i testi, qualcosa che merita attenzione e che anche dal punto di vista della metrica sono molto particolari, quasi surrealisti. Il gruppo romano firma un disco che è peculiare e speciale, da ascoltare molte volte perché muta moltissimo, e siamo sicuri che in questo momento i Nautha siano già oltre questo disco, spostati sempre in avanti.

Tracklist
1.Serpentine
2.Libra
3.La danza immobile
4.Un modo di essere esseri umani
5.Ragazzi perduti
6.La Rivoluzione
7.Millenovecentottanta
8.Storia del cabalista
9.Nos da
10.Akhenaton

Line-up
Antonio Montellanico – Voice, Bass and Guitar
Pierpaolo Cianca – Guitar
Giorgio Pinnen – Drums

NAUTHA – Facebook

Alberto Rigoni – Prog Injection

Un album alquanto sperimentale, ma comunque orecchiabile anche per chi non è abituale frequentatore di questo tipo di lavori, grazie a brani fluidi e facilmente leggibili, che riesce ad unire la grande tecnica esecutiva dei protagonisti ad un buon talento compositivo.

Ennesima opera strumentale per il talentuoso bassista e compositore nostrano Alberto Rigoni (BAD As, Vivaldi Metal Project, The Italians, ex Twinspirits), questa volta accompagnato alla batteria da Thomas Lang (Glenn Hughes, Paul Gilbert e Peter Gabriel) e da Alessandro Bertoni, tastierista residente a Los Angeles dove lavora come insegnante di musica e session in studio e dal vivo.

Prog Injection è composto da otto brani di rock strumentale progressivo, con il basso di Rigoni che detta ritmiche su cui la batteria di Thomas Lang ha il suo ruolo importantissimo e le tastiere ricamano melodie di diverso approccio e sfumature; un album alquanto sperimentale, ma comunque orecchiabile anche per chi non è abituale frequentatore di questo tipo di lavori, grazie a brani fluidi e facilmente leggibili, che riescono ad unire la grande tecnica esecutiva dei protagonisti ad un buon talento compositivo.
Bellissima Omega, la traccia più “leggera” dell’album, dove gli strumenti scorrono liberi sullo spartito progressivo scritto da Rigoni, ed altrettanto notevole la successiva Liquid, dalle tastiere che in alcuni momenti ricordano i Goblin più psichedelici.
Il resto di Prog Injection veleggia leggero su acque di rock progressivo di alto livello, assolutamente consigliato agli amanti del rock strumentale, conferma il talento del bassista e dei suoi bravissimi ospiti.

Tracklist
1. XYX
2. Metal Injection
3. Blood Shuga
4. Death Stick
5. Omega
6. Liquid
7. Low and Disorder
8. Iron Moon

Line-up
Alberto Rigoni – Bass and Chapman stick
Thomas Lang- Drums
Alessandro Bertoni – Keyboards
Jeff Hughell – Bass on track 4.

ALBERTO RIGONI – Facebook

Norse – Norse

Calma, distorsioni e melodie molto ben delineate, nella decadenza e nel destino immanente che ci aspetta i Norse sono la perfetta banda della nave che nemmeno affonda, ma vive perennemente sotto la minaccia di farlo.

Debutto per i Norse, giovane gruppo italiano formatosi da poco.

I Norse fondamentalmente fanno noise con forti influenze post metal e tanti altri post, hanno delle linee melodiche da paura e il loro suono è qualcosa che mancava alle nostre latitudini. Tante realtà alternative poi si rivelano solo un insieme di pose, preoccupate più della loro immagine che delle note, mentre qui al centro di tutto c’è la musica. L’aria è bassa e umida, e i Norse ci portano in giro attraverso una decostruzione costante e potente della realtà: la musica diventa un cuneo nel quale insinuarsi e andare a scoprire cose nuove, esplorando paesaggi disidratati e ancora più aderenti alla loro natura. Calma, distorsioni e melodie molto ben delineate, nella decadenza e nel destino immanente che ci aspetta i Norse sono la perfetta banda della nave che nemmeno affonda, ma vive perennemente sotto la minaccia di farlo. Tutto il disco è costruito molto bene, ci sono tracce con improvvise sfuriate che vengono da lontano, da quella tradizione hardcore italiana che ha saputo cambiare e diventare un seme che feconda molte cose diverse fra loro. La traccia finale Manca è un qualcosa che ti scava dentro, un Don Caballero molto più variopinto ed urgente. Nel disco omonimo del gruppo si può trovare anche molto emo declinato nella maniera giusta, perché l’emo in Italia è stato spesso sublimato, e anche qui ce n’è un esempio. Un disco moderno, intelligente e musicalmente molto emozionante, senza difetti e che vi regalerà molti ascolti. Se volete un clic ed un ascolto veloce questo disco non fa per voi, ma se invece avete voglia di un’immersione in qualcosa di ben fatto e di corrosivo, questo è il posto giusto (l’album è in download libero dal bandcamp dei Norse).

Tracklist
1.collezione
2.aral
3.baratto
4.debacle
5.manca

NORSE – Facebook

Luciano Onetti – Abrakadabra

Nuova colonna sonora del giovane regista e compositore argentino, e nuovo centro grazie a notevoli e inquietanti atmosfere da giallo italiano anni Settanta opportunamente rivisitato.

La sera di giovedì 21 febbraio 2019, presso il Cinema Cappuccini di Genova, è stato proiettato il nuovo film dei fratelli Luciano e Nicolas Onetti, dal titolo Abrakadabra: un thriller, che guarda alla tradizione italiana degli anni ’70, tanto dal punto di vista della regia, quanto da quello della colonna sonora, composta e suonata da Luciano Onetti e pubblicata in edizione speciale per l’occasione dalla Black Widow.

Il disco porta avanti quanto iniziato da Onetti con le sue due colonne sonore stampate in precedenza (sempre dall’etichetta ligure). Se però in Francesca e Sonno profondo l’ambientazione sonora era più ‘tedesca’ e gobliniana, elettronica e oscura, con un impatto comunque molto rock, che andava a colorare con tinte sature e cangianti il dark prog del regista e autore di Buenos Aires, con i brani di questo nuovo Abrakadabra – pur restando ferme molte caratteristiche stilistiche e timbriche (tutto resta splendidamente analogico e vintage, volutamente retrò) – il discorso va a spostarsi, assai marcatamente, sulla sapiente costruzione d’atmosfere elaborate e complesse, cupe e tenebrose. Tutto è molto più onirico ed astratto, destrutturato e sperimentale, pur non mancando certi piacevolissimi frangenti melodici. E’ come se, questa volta, Onetti avesse guardato maggiormente al Morricone più avanguardista, a certe cose di Bruno Nicolai, nonché a mai sopiti fantasmi di marca kraut, mettendo (ovviamente!) tanto di suo. Il disco è pertanto molto più cerebrale e concettuale, rispetto alla coppia rappresentata da Francesca e Sonno profondo, ma sempre di grande fascino, capace a più riprese di far correre autentici brividi lungo la schiena di chi ascolta. Ancora una volta promosso a pieni voti e da ascoltare con la dovuta attenzione. Perché la bellezza non è mai cosa facile.

Tracklist
– Prologo
– Abrakadabra
– Antonella / Danza araba / Magic Show
– Partita a poker
– La seduzione del male
– Fuga dal cimitero
– Gioco di prestigio
– Rituale
– Guanto bianco
– Ossessione omicida
– Sesso in motel
– L’illusionista
– La stanza vuota
– La clinica

Line up
Luciano Onetti – All Instruments

LUCIANO ONETTI – Facebook

Baroness – Gold And Grey

Diciassette pezzi di grande carisma e di ottima musica, con granate musicali che esplodono spargendosi in ogni dove. Inoltre è un disco che permette molteplici ascolti, possedendo una ricchezza musicale loto vasta.

I Baroness da anni sono un nome molto importante nel giro del rock alternativo statunitense e non solo, in particolare per la loro personale fusione fra il rock e la musica pesante.

Con questo Gold And Grey il gruppo americano trova la sublimazione alchemica di questo processo fin dal titolo, e propone un disco eccellente. Che i Baroness siano sempre stati un gruppo fuori dal comune lo si era compreso fin dai loro inizi, ma andando avanti la cosa è progredita a tal punto che sono arrivati a questo disco mostrano una maturità ed una profondità davvero uniche. I Baroness sono un gruppo speciale, hanno una poetica musicale che nessuno possiede, ogni loro album è particolare, ma questo ha un passo in più, anche perché è deputato a chiudere un’epoca, nel senso che sarà l’ultimo disco che tratterà il tema cromatico, già dalla copertina realizzata come sempre dal chitarrista John Baizley, un dipinto bellissimo che rappresenta il viaggio che ha compiuto fino a qui il gruppo. Gold And Grey sviluppa temi fino ad ora quasi inediti nel suono del gruppo, salutando l’ingresso nel gruppo della chitarrista Gina Gleason, e arrivando a proporre una quasi perfetta sintesi fra pop e rock pesante. Innestandosi nel solco degli ultimi Mastodon, sotto le sapienti mani del produttore Dave Fridmann già con Mogwai e The Flaming Lips, i Baroness propongono un lavoro musicale assai esaustivo, melodico e musicalmente molto profondo, con dei momenti di assoluta commozione come in I’d Do Anything, una canzone quasi impensabile per i Baroness qualche tempo fa, resa possibile da una sensibilità musicale fuori dal comune, e anche dettata dal coraggio, nel senso che escono dalla loro zona di comfort per andare in territori pressoché inesplorati da loro. Gold And Grey è un disco radiofonico, orecchiabile nel senso più nobile del termine, non è uno scadimento commerciale, ma un’ulteriore maturazione di un gruppo che va sempre avanti, guardandosi indietro quel poco che basta per prendere la spinta per lanciarsi oltre il nuovo ostacolo.
Diciassette pezzi di grande carisma e di ottima musica, con granate musicali che esplodono spargendosi in ogni dove. Inoltre è un disco che permette molteplici ascolti, possedendo una ricchezza musicale loto vasta.

Tracklist
01. Front Toward Enemy
02. I’m Already Gone
03. Seasons
04. Sevens
05. Tourniquet
06. Anchor’s Lament
07. Throw Me An Anchor
08. I’d Do Anything
09. Blankets of Ash
10. Emmett-Radiating Light
11. Cold Blooded Angels
12. Crooked Mile
13. Broken Halo
14. Can Oscura
15. Borderlines
16. Assault on East Falls
17. Pale Sun

Line-up
Sebastian Thomson – Drums
Gina Gleason – Guitar, Back Vocals
Nick Jost – Bass, Keyboard
John Baizley – Vocals, Guitar

BARONESS – Facebook

Burning Rain – Face The Music

I Burning Rain hanno dato vita all’ennesimo grande album di hard rock classico, colmo di belle canzoni, suonato e cantato divinamente, piazzandosi tra le migliori uscite di questo anno ricco di soddisfazioni per gli amanti del genere.

Dough Aldrich è probabilmente uno tra i tre chitarristi hard rock più importanti ed influenti oggi in attività.

Il suo curriculum, che conta band straordinarie come Dio e Whitesnake e altre che gli appassionati ricorderanno per una manciata di album bellissimi (Revolution Saints su tutte), si è ulteriormente impreziosito dopo gli album con quella macchina da guerra hard rock che risponde al nome di The Dead Daisies.
Ora il chitarrista statunitense, a riposo con i Daisies, torna a far parlare di sé con i Burning Rain, band arrivata al quarto album e che non produceva più musica dal 2013, anno di uscita dell’ultimo Epic Obsession.
Affiancato dal carismatico cantante Keith St. John, un altro personaggio che di rock duro ne sa tanto (Kingdom Come, ex-Montrose) e dalla sezione ritmica composta dal bassista Brad Lang (Y&T) e il batterista Blas Elias (Slaughter), Aldrich impartisce un’altra lezione di hard rock con una raccolta di brani fiammeggiante, una tempesta di sonorità classiche di livello assoluto che confermano l’ottimo momento di forma del genere.
Face The Music incolla letteralmente alla poltrona, sempre che si riesca a stare seduti quando il riff di Revolution apre le danze, seguito da una Lorelei che unisce The Dead Daisies e Whitesnake in un’unica terremotante hard rock song.
Ketih St. John è un Coverdale in overdose da anfetamina, un animale che fa il bello e cattivo tempo su un sound robusto e graffiante, dal grande appeal in brani trascinanti come Midnight Train, la title track e Beautiful Road, autentiche gemme di questo lavoro.
Ma c’è ancora da godere tra le trame hard blues di Hit And Run e Since I’m Loving You, traccia in cui il singer gioca a fare il Plant d’annata.
I Burning Rain hanno dato vita all’ennesimo grande album di hard rock classico, colmo di belle canzoni, suonato e cantato divinamente, piazzandosi tra le migliori uscite di questo anno ricco di soddisfazioni per gli amanti del genere.

Tracklist
1. Revolution
2. Lorelei
3. Nasty Hustle
4. Midnight Train
5. Shelter
6. Face The Music
7. Beautiful Road
8. Hit And Run
9. If It’s Love
10. Hideaway
11. Since I’m Loving You

Line-up
Doug Aldrich – Guitars
Keith St. John – Vocals
Brad Lang – Bass
Blas Elias – Drums

BURNING RAIN – Facebook

Heavy Feather – Débris & Rubble

Gli Heavy Feather centrano il bersaglio con questo debutto in arrivo da una terra che si sta sempre più imponendo come fucina di gruppi importantissimi per il ritorno in auge di queste storiche sonorità.

Più che ai Led Zeppelin, (influenza primaria di molte delle nuove leve dell’hard rock vintage), con gli svedesi Heavy Feather ci si avvicna alla musica del Free e dei Bad Company, gruppi che hanno avuto come comune denominatore il vocalist Paul Rodgers.

Ma non solo, un’attitudine southern ispirata dai Lynyrd Skynyrd fa di questo ottimo Débris & Rubble le un interessantissimo lavoro per tutti gli amanti del rock settantiano venato di southern ed atmosfere roots.
La prestazione al microfono della brava singer Lisa Lystam alza ancora più in alto il gradimento per un album che regala emozioni mai sopite, provenienti dalla stagione più importante nella lunga storia del rock.
Una raccolta di brani davvero molto belli, aperti dalla forte e potente title track, ma che non cede nel suo prosieguo, alternando quadri rupestri, accenni neanche troppo velati al blues rock (Bad Company) ed atmosfere scaldate dal sole di un’America sudista raccontata brani come Tell Me Your Tale o Hey There Mama.
Gli Heavy Feather centrano il bersaglio con questo debutto in arrivo da una terra che si sta sempre più imponendo come fucina di gruppi importantissimi per il ritorno in auge di queste storiche sonorità.

Tracklist
1. Débris & Rubble
2. Where Did We Go
3. Waited All My Life
4. Dreams
5. Higher
6. Tell Me Your Tale
7. Long Ride
8. I Spend My Money Wrong
9. Hey There Mama
10. Please Don’t Leave
11. Whispering Things

Line-up
Lisa Lystam – Vocals
Matte Gustavsson – Guitars
Morgan Korsmoe – Bass
Ola Göransson – Drums

HEAVY FEATHER – Facebook

Cats In Space – Day Trip To Narnia

Immaginate tutto il meglio di Queen, Electric Light Orchestra, Supertramp, Yes, Kiss ed Elton John, aggiungetevi l’enorme talento del gruppo britannico ed avrete uno dei dischi di rock classico più belli usciti da quando siamo entrati nel nuovo millennio.

Il rock è morto: questo affermano da anni i suoi detrattori e non pochi addetti ai lavori presenziano alle varie cerimonie funebri ogni qualvolta ne hanno la possibilità, tappandosi le orecchie per ignorare la quantità di musica di altissimo livello che ancora oggi (dal più melodico al più estremo) il genere in ogni sua sfaccettatura sa ancora regalare.

La possibilità di scrivere per una webzine offre infatti, a chi con passione cerca nel suo piccolo di supportare la musica più importante ed influente degli ultimi settant’anni, la possibilità di ascoltare opere straordinarie, dalle atmosfere e sfumature distanti tra loro ma che hanno nel saper emozionare il loro comune denominatore.
Anche quest’anno (e siamo solo a metà) gli album che hanno regalato qualcosa di “speciale” non sono mancati e tra questi annoveriamo Day Trip To Narnia, nuovo lavoro dei Cats In Space che è sicuramente tra i più accreditati ad una posizione di prestigio nella classifica di fine anno.
Un vero capolavoro per una band dal nome buffo ma dalle qualità enormi, che vede tra i suoi protagonisti il cantante Paul Manzi (Arena), il chitarrista Greg Hart (Mike Olfield, Asia) ed il batterista Steevi Bacon (Robin Trower), accompagnati in questa avventura nello spazio da Den Howard (chitarra), Jeff Brown (basso), Andy Stewart (piano, synth) e con la collaborazione di Mike Wilson degli storici 10cc.
I sei gatti si aggirano così nello spazio, su una navicella che li porta in giro per gli ultimi cinquant’anni di musica, partendo dal rock di fine anni settanta, nutrendosi degli impulsi ottantiani e portandoli a noi, nel nuovo millennio.
Una musica piena, una cascata di hard rock progressivo e melodico, ricco di cori, atmosfere pompose sfumature da musical in un contesto di note apparentemente derivative ma a loro modo geniali, difficili da paragonare a qualsiasi realtà odierna.
La forza di Day Trip To Narnia sta nel suo rendere gli arrangiamenti pomposi e barocchi ma perfettamente fluidi, laddove cori e controcanti elargiscono una lezione di rock d’alta scuola.
Per chi non conoscesse la band britannica va detto che, l’avventura dei nostri inizia con To Many Gods, debutto del 2015, seguito dal bellissimo Scarecrow, licenziato due anni dopo, con entrambi i lavori poi immortalati in Cats Alive!, disco dal vivo uscito lo scorso anno.
Ma la band, in stato di grazia compositivo, non si è fermata e oggi esce con Day Trip To Narnia, album diviso in due parti: la prima composta da sette splendidi brani, la seconda invece proponendo un vero e proprio concept di altre sette tracce intitolato The Story Of Johnny Rocket, la storia di un bambino dagli spessi occhiali e dai grandi sogni.
Senza scendere nei dettagli dei brani, l’album risulta una spettacolare opera rock nella quale, se nella prima parte le varie Narnia, Hologram Man e Chasing Diamonds viaggiano splendidamente autonome, nella seconda è il concept che provoca il susseguirsi di emozioni straordinarie, già vissute nelle grandi opere rock della storia.
Immaginate tutto il meglio di Queen, Electric Light Orchestra, Supertramp, Yes, Kiss ed Elton John, aggiungetevi l’enorme talento del gruppo britannico ed avrete uno dei dischi di rock classico più belli usciti da quando siamo entrati nel nuovo millennio.

Tracklist
1. Narnia
2. She talks too much
3. Hologram man
4. Tragic alter ego
5. Silver and gold
6. Chasing diamonds
7. Unicorn
8. The story of Johnny Rocket I: Space overture
9. The story of Johnny Rocket II: Johnny Rocket
10. The story of Johnny Rocket III: Thunder in the night
11. The story of Johnny Rocket IV: One small step
12. The story of Johnny Rocket V: Twilight
13. The story of Johnny Rocket VI: Yesterday’s news
14. The story of Johnny Rocket VII: Destination unknown

Line-up
Paul Manzi – Lead Vocals
Greg Hart – Guitars, Vocals
Steevi Bacon – Drums, Percussion, Vocals
Den Howard – Guitars, Vocals
Jeff brown – Bass, Vocals
Andy Stewart – Piano’s, Synthesizers

CATS IN SPACE – Facebook

The Gotobeds – Debt Begins At 30

Una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Nervoso ed affascinante rock che sfocia nel noise e nel grunge, il tutto di alta qualità e con ottimi ospiti.

Si potrebbe descrivere come sopra in maniera assai riduttiva il nuovo disco dei The Gotobeds da Pittsburgh, città che non capita spesso di associare ad un gruppo musicale, patria però dei Pittsburgh Steelers, e non è poco. Il loro nuovo lavoro è un piccolo manuale del migliore noise rock che si può trovare in giro, partendo dalla tradizione americana per arrivare a nuovi standard. Debt Begins At 30 è un lavoro assai notevole, dove ogni canzone è un flusso di energia molto forte e che investe l’ascoltatore. In mezzo a tutta questa energia la melodia non manca, ed è il vero asse portante della loro costruzione sonora. Per darvi una vaga idea di cosa siano i The Gotobeds prendete i Pavement, metteteci un po’ di Sonic Youth e poi mescolate con il meglio grunge di Seattle e avrete un qualcosa che si avvicinerà. Come al solito la migliore rappresentazione possibile è ascoltare il disco, immergendosi in questo suono minimalista eppure molto ricco e potente. Ci sono tracce urgenti con un’attitudine punk hardcore, altre con una tendenza maggiore al noise, ma è tutto bilanciato molto bene e, soprattutto, il quartetto funziona alla perfezione. Notevoli gli ospiti, c’è la voce di Tracy Wilson dei Positive NO! mentre Mike Seamans e la leggenda Bob Weston suonano su Debt Begins at 30. Visto la relazione strettissima tra le due band, no sorprende che i Protomartyr appaiano su un paio di brani, con Joe Casey su Slang Words e Greg Ahee su On Loan. Il chitarrsta dei Silkworm, Tim Midyett, suona su Parallel e sulle altre tracce compaiono Gerard Cosloy, Matt Barnhart dei Tre Orsi, la bellissima Victoria Ruiz dei Downtown Boys, per finire coi poeti di Pittsburgh Jason Baldinger e Scott MacIntyre. Un parterre ricchissimo, che porta un contributo notevole ad un disco già molto interessante, una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Tracklist
1. Calquer The Hound
2. Twin Cities
3. Slang Words
4. 2:15
5. Poor People Are
6. Revolting
7. Debt Begins At 30
8. On Loan
9. Dross
10. Parallel
11. Bleached Midnight
12. Debt Begins At 30 (Alt)

Line-up
COOL-U
Depressed Adult Male
OPEN CARY
HAZY LAZER

THE GOTOBEDS – Facebook

Wildroads – No Routine Lovers

Riding On a Flamin’ Road è un lavoro riuscito e un notevole passo avanti per il quintetto di rockers nostrani che avranno di che far divertire i rockers in giro per i palchi della penisola in questa calda estate metallica.

Tornano i toscani Wildroads con il secondo lavoro su lunga distanza: il gruppo guidato dal chitarrista e produttore Nick Capitini torna in forma smagliante con questa nuova raccolta di brani che unisce attitudine tradizionale ed impatto moderno, dando vita ad un lavoro spumeggiante.

No Routine Lovers, licenziato dalla Volcano Records, risulta infatti una detonazione rock’n’roll, una graffiante botta di vita divisa in una decina di brani che uniscono hard rock, sleaze metal e classic rock.
La band non risparmia energia, parte in quarta con Bad Girls Got The Fire, brano diretto e melodico il giusto per catturare fin da subito l’attenzione, continuando nella sua personale riproposizione di stilemi cari alla scena hard & heavy statunitense degli anni ottanta, in una versione più moderna e catchy.
Melodie, sferzate metalliche ed attitudine street rock’n’roll fanno parte del dna di questa raccolta di brani che non concedono tregua, tenendo alta la tensione con scariche elettriche in un sound che, oltre ad una serie di mitragliate rock/metal, regala perle come Way To God, cavalcata metallica dalle atmosfere arabeggianti molto suggestiva.
No Routine Lovers è un lavoro riuscito e un notevole passo avanti per i Wildroads che avranno di che far divertire i rockers in giro per i palchi della penisola in questa calda estate musicale.

Tracklist
1.Bad Girls Got The Fire
2.Rollercoaster
3.Rules Of The World
4.Bring You To The Stars
5.Lords Of Babylon
6.Mindfucked
7.Way To God
8.Mr. Grey
9.Love Song
10.The Night Belongs To The Wild

Line-up
Nik Capitini – Guitars
Giulio Antonelli – Guitars
Kenny Carbonetto – Bass
Michael Cavallini – Voices
Stefano Morandini – Drums

WILDROADS – Facebook

Thunder Brigade – Spirit Of The Night

I Thunder Brigade offrono un personale rilettura del rock americano, lasciando per una volta le solite e scontate ispirazioni post grunge e stoner per inoltrarsi in sonorità dai tratti talvolta cantautorali.

Spirit Of The Night è il primo album dei Thunder Brigade, band formata da Stefano Cascioli (voce e chitarra), Stefano Bigoni (chitarra e lapsteel) e Stefano Lecchi (batteria e percussioni) che ha dato vita ad una raccolta di brani bellissimi in bilico tra rock, blues, southern e psych rock.

L’album, intitolato Spirit Of The Night e licenziato dalla Bagana Records/Pirames International, ci regala una personale rilettura del rock americano, lasciando per una volta le solite e scontate ispirazioni post grunge e stoner per inoltrarsi in sonorità d’autore o ancor meglio cantautorali, se mi si permette il termine.
Un rock acustico dalle atmosfere country, in un clima di tensione emotiva che è uno degli assi nella manica di questa raccolta di brani, un viaggio che riempie di polvere la gola.
Spirit Of The Night lascia un forte sapore di rock classico, assolutamente a stelle e strisce fin dalle prime battute dell’opener Rattlesnakes, nella qualee l’atmosfera è elettrica e southern.
I brani dalle trame acustiche avvicinano i Thunder Brigade al rock di Johnny Cash e Tom Petty, mentre Set You Sails rilassa l’atmosfera dopo una Redemption Road da brividi, tra Lynyrd Skynyrd e Urge Overkill.
La title track è un’altra traccia acustica che unisce il rock sudista al blues e al country, intrisa di atmosfere notturne che trovano un contraltare nelle più ariose e vitali Boogie #7 e soprattutto Rust & Gold, un blues rock d’autore e brano sanguigno oltre misura.
Un plauso va alla sentita interpretazione del cantante Stefano Cascioli, bravo nel saper donare con la sua voce sporcata di attitudine blues/rock il feeling perfetto ad una raccolta di brani da non perdere assolutamente se si è amanti del rock classico a stelle e strisce.

Tracklist
1.Rattlesnakes
2.Beat a Dead Horse
3.Redemption Road
4.Set Your Sails
5.Spirit of the Night
6.Boogie #7
7.Rust & Gold
8.The Wanderer
9.Alright (in the end)

Line-up
Stefano Cascioli – Vocals, Guitars
Stefano Bigoni – Guitars, Lapsteel
Stefano Lecchi – Drums, Percussions

THUNDER BRIGADE – Facebook

VV.AA. – Doomed & Stoned In Australia

Da qualche anno i ragazzi di Doomed And Stoned, che fanno pure un bellissimo podcast su Mixcloud, mettono sul loro bandcamp in download libero bellissime raccolte divise per luoghi, con dentro una miriade di gruppi notevoli.

Incredibile raccolta in download libero dal bandcamp di Doomed And Stoned, un sito di divulgazione scientifica su tutto ciò che è musica pesante, e che è anche fra i promotori e curatori delle mitiche doom charts che trovate qui doomcharts.com/ e che, ogni mese, fanno conoscere al mondo dischi fantastici di musica dai tanti decibel.

Da qualche anno i ragazzi di Doomed And Stoned, che fanno pure un bellissimo podcast su Mixcloud, mettono sul loro bandcamp in download libero bellissime raccolte divise per luoghi, con dentro una miriade di gruppi notevoli. Questo gruppo di amanti della musica raccoglie con passione e anche grande intuito tracce di band o singoli musicisti di una determinata zona per poi riunirli in una raccolta e lanciarli nell’atmosfera. In questo specifico episodio, che è il penultimo, i ragazzi sono andati in Australia e ne sono tornati con 65 canzoni, che sembrano un’infinità ma del resto l’Australia è molto grande. La raccolta è stata assemblata da Clint Willis, curatore della radio australiana Hand Of Doom che vi consigliamo caldamente, e che dal nome avete già capito di che si tratta. Incredibile la varietà di stili e di musiche che possiamo trovare nella ex colonia britannica. Tutto lo spettro della musica pesante e pensante è contemplato, e non è davvero possibile nominare nemmeno un pugno di gruppi che spiccano fra gli altri, perché la qualità è sorprendente. L’Australia è sempre stata un luogo dove la musica pesante è stata presente e di qualità, e Clint Willis nomina questi gruppi fra quelli storici : Christbait, Clagg, Dern Rutlidge, Budd, Thumlock, Pod People, Peeping Tom, Pillow, Ahkmed, Warped, Blood Duster, Stiff Meat e Rollerball, quindi cercateli. Queste raccolte sono fatte anche per invogliare l’ascoltatore a cercare i dischi di queste band, ed equivalgono ad un enorme ed esaustivo catalogo, con il quale partire dal vostro computer per fare dei bei viaggi. Raccolta fantastica per una terra che regala sempre gioie in campo musicale, il tutto in download libero. In questi giorni è uscito il capitolo dedicato al Perù, ma questa è un’altra storia.

Tracklist
1.Religious Observance – Utter Discomfort
2.SUMERU – Summon Destroyer
3.Summonus – Wormhole
4.DROID – Thunder Mountain Wizard
5.Motherslug – Cave of the Last God
6.Pod People – Back To Reality
7.SORE – Her Last Gasp in the Gallows Part I
8.BØG – Warm Smell Of The Dredge
9.OLMEG – Outer Space
10.Mountains of Madness – Unleash The Beast
11.Indica – Clocking Satellites Disparity 441
12.Pigs of the Roman Empire – Johnny The Boy
13.Holy Serpent – Sativan Harvest
14.Judd Madden – Obliterate
15.Comacozer – Axis Mundi
16.Dark Temple – Black Planet
17.Riff Fist – King Tide
18.Potion – Women of the Wand
19.Acid Wolf – Marisol
20.Borrachero – The Ocean
21.Merchant – Guile as a Vice
22.Cement Pig – Badschool Jazz
23.Creep Diets – EYEHATEYOURGUTS
24.DAWN – The Sun
25.Frown – Witches Coven (live)
26.Arrowhead – Hell Fire
27.Dr. Colossus – Holy Driver
28.Golden Bats – Exsanguination
29.Hawkmoth – Charnel Grounds
30.King Zog – Season in Hell
31.Rituals – Wake of a Dead God’s Robe
32.El Colosso – Cannonball
33.Lamassu – Under The Watch Of A Crow
34.Hobo Magic – Sonic Sword
35.The Ruiner – The Bull
36.Powder for Pigeons – Get It Right
37.BAYOU – Magick Swamp Green
38.Wicked City – Circulating Fire
39.Giant Dwarf – Black Thumb
40.Apollo80 – Apollo
41.Kitchen Witch – Third Eye
42.Chaingun – Mesemerised
43.Hotel Wrecking City Traders – Passage to Agartha
44.The High Drifters – Observer
45.Turtle Skull – Eden
46.WitchCliff – Serpents
47.Planet of the 8s – Nowhere Is Right For Now
48.Khan – Control 09:10
49.Lizzard Wizzard – Chaaaaarles
50.OHM RUNE – ETHER
51.Fumarole – Timelord
52.MONARCHUS – Kaleidoscope
53.Stone Lotus – Swamp Coven
54.Spawn – Forgotten Mountain
55.Fly Agaric – Meteora
56.Vessel – Pyramids
57.Moto – Jolo
58.Dirt – Nightmare From The Sea
59.Sloven – Autogenocide
60.Yanomamo – Neither Man Nor Beast
61.ZONG – Giant Floating Head
62.Lucifungus – 411
63.Jack Harlon & The Dead Crows – Witchcraft
64.Pseudo Mind Hive – Red Earth
65.MONOCEROS – Space Dungeon

DOOMED AND STONED – Facebook

Directo – … Al Infierno

…Al Infierno è quello che vuole essere, una corsa verso le regioni a sud del paradiso, una perdizione sonora per fans dello stoner, dell’hard rock e del metal più stradaiolo, ed è un disco piacevole ed un ottimo inizio discografico per un gruppo che ha cose da dire ma soprattutto da suonare.

Ascoltare i Directo è come trovare o ritrovare dei compagni di vizi che si credevano perduti, qualcuno che capisce le fiammate che a volte ci ardono dentro senza rimedio e che le hanno messe in musica.

I Directo nascono a Città di Castello provincia di Perugia nel 2010, fondati da ragazzi che amano le sonorità di Black Sabbath e Kyuss, ed infatti i loro concerti si basavano agli inizi sulla discografia del gruppo desertico. Questo …Al Infierno è il loro esordio ed è un disco che contiene uno stoner desert con molte influenze diverse di grande qualità, e che rilascia molte emozioni mai scontate; ascoltandolo si viene trasportati in un luogo molto caldo e con gente non proprio raccomandabile, le chitarre disegnano riff fumosi e sabbiosi, la sezione ritmica spinge in maniera lussuriosa come dei lombi, e la voce è molto adeguata a questo tipo di musica. Nel mondo ci sono moltissimi gruppi simili ai Directo, ma pochi hanno una loro impronta originale, che qui invece è molto marcata e ne rappresenta la natura più profonda. Ascoltando il disco ci si accorge che alla fine questo loro suono così affascinante si può annoverare sotto la dicitura blues, sì questo potrebbe essere blues del deserto, perché il deserto non è per forza quello popolato da scorpioni e bestie varie, ma anche qualsiasi delle nostre provincie italiane, dove non succede mai nulla ma in realtà solo il brutto accade, e dove ci sono forze che ti spingono a fare musica più forte e i Directo ne sono una dimostrazione molto forte.
… Al Infierno è quello che vuole essere, una corsa verso le regioni a sud del paradiso, una perdizione sonora per fans dello stoner, dell’hard rock e del metal più stradaiolo, ed è un disco piacevole ed un ottimo inizio per un gruppo che ha cose da dire ma soprattutto da suonare.

Tracklist
1. Enter The Darkness Gate
2. Electric Phoenix
3. Immortal King
4. Planet’s Dying. Pt.1 (Empty Oceans)
5. Planet’s Dying. Pt.2 (Burning Metal)
6. Bitches, Whorses and Other Furnishings
7. Satan Is A Friend Of Mine
8. Memories Of A Dead Star

Line-up
Zyus (Igor Laurenzi) – Voice
Rado (Simone Radicchi) – Lead Guitar
Bechi (Alberto Rubechi) – Rhythm Guitar
Gaglia (Gabriele Gagliardini) – Bass
Razzola (Stefano Razzolini) – Additional Bass
Bracco (Giacomo Bracchini) – Drums

DIRECTO – Facebook

Wendigo – Wasteland Stories

Questo primo full length lascia intravedere buone potenzialità, anche se la band deve assolutamente trovare il bandolo della matassa del proprio sound, puntando su quello che sa fare meglio, suonare stoner metal.

I Wendigo sono un gruppo tedesco fondato nel 2012 la cui discografia ha inizio con la pubblicazione dell’ep Initiation nel 2016, mentre questo nuovo lavoro vede la band cimentarsi per la prima volta su lunga distanza.

Il sound del gruppo miscela una manciata di generi che vanno dall’heavy metal, all’hard rock, passando con buona disinvoltura tra atmosfere doom classiche ed altre più moderne e stoner.
L’opener The Man With No Home risulta un buon sunto di quanto scritto, con il quintetto che nell’arco di quattro minuti passa da un genere all’altro, forzando un po’ troppo sugli evidenti cambi di atmosfere imposte dai generi.
Le cose prendono una strada lineare nei due brani successivi dove l’hard rock venato di stoner metal prende il comando del sound, risultando sicuramente più convincente.
Anche la voce del singer Jorg Theilen sembra più a suo agio quando le note scorrono sulle strade impolverate e scaldate dal sole del deserto, mentre fatica quando deve prendere note alte imposte da refrain di stampo heavy metal.
Il cuore di Wasteland Stories, rappresentato dalle due parti di The Lonesome Gold Digger, tocca addirittura momenti estremi con uno scream che irrompe su atmosfere doom, accentuate in Iron Brew, brano di matrice Count Raven.
Questo primo full length lascia intravedere buone potenzialità, anche se la band deve assolutamente trovare il bandolo della matassa del proprio sound, puntando su quello che sa fare meglio, suonare stoner metal.

Tracklist
1. The Man With No Home
2. Desert Rider
3. Back In The Woods
4. Dagon
5. The Lonesome Gold Digger Pt. I
6. The Lonesome Gold Digger Pt. II
7. Iron Brew
8. Staff of Agony
9. Mother Road

Line-up
Jorg Theilen – Vocals
Eric Post – Guitars
Jan Ole Moller – Guitars, Vocals
Lennard Viertel – Bass, B.Vocals
Steffen Freesemann – Drums

WENDIGO – Facebook

Marc Vanderberg – Phoenix From The Ashes

Phoenix From The Ashes risulta un buon lavoro ed un passo importante per Marc Vanderberg, che si impone all’attenzione degli amanti del genere con un album vario, duro, melodico e composto da belle canzoni.

Questa volta il musicista e compositore tedesco Marc Vanderberg ha fatto le cose in grande, circondandosi per questo nuovo lavoro di un nutrito gruppo di cantanti che danno il loro contributo su queste dieci nuove canzoni che vanno a comporre Phoenix From The Ashes.

Come nel precedente album (Highway Demon licenziato nel 2017), Vanderberg si prende carico di gran parte della parte strumentale, aiutato dalle chitarre di Michael Schinkel e Dustin Tomsen e da Paulo Cuevas, Philipp Meier, Oliver Monroe, Göran Edman, Raphael Gazal (singer sul precedente album), Chris Divine e Tåve Wanning dietro al microfono.
Phoenix From The Ashes è un grosso passo avanti per il musicista tedesco, essendo un album composto da buone canzoni, melodico ma graffiante e di stampo più hard rock rispetto al passato.
Il tocco neoclassico negli assoli valorizza il sound creato da Vanderberg per questo lavoro come avviene in Odin’s Words, bellissimo brano cantato da Paulo Cuevas che richiama il Malmsteen epico e power di Marching Out.
Il resto dell’album si stabilizza si un buon hard & heavy che l’alternanza dei vocalist rende vario così come una riuscita altalena tra brani che sfiorano melodie AOR ed altri più robuste.
Da segnalare il mid tempo di Bitter Symphony, l’epica Warlord con Rapahael Gazal al microfono e le tastiere AOR della conclusiva You And I, brano che ricorda i rockers melodici Brother Firetribe dell’ultimo lavoro Sunbound.
In conclusione Phoenix From The Ashes risulta un buon lavoro ed un passo importante per Marc Vanderberg, che si impone all’attenzione degli amanti del genere con un album vario, duro, melodico e composto da belle canzoni.

Tracklist
01.Odin´s Words (Feat. Paulo Cuevas)
02.Warsong (Feat. Philipp Meier)
03.Legalize Crime (Feat. Paulo Cuevas)
04.Phoenix from the Ashes (Feat. Oliver Monroe)
05.You and I (Feat. Goran Edman)
06.This Romance (Feat. Tåve Wanning & Chris Divine)
07.Warlord (Feat. Raphael Gazal)
08.Bad Blood (Feat. Oliver Monroe)
09.Bitter Symphony (Feat. Raphael Gazal)
10.My Darkest Hour (Feat. Paulo Cuevas)

Line-up
Marc Vanderberg – Music, Lyrics, Guitars, Bass Programing, Drum Programing, Orchestra Programing

Paulo Cuevas – Vocals
Philipp Meier – Vocals
Oliver Monroe – Vocals
Göran Edman- Vocals
Raphael Gazal- Vocals
Chris Divine- Vocals
Tåve Wanning- Vocals
Michael Schinkel – Lead Guitar
Dustin Tomsen – Lead Guitar

MARC VANDERBERG – Facebook

Dury Dava – Dury Dava

Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion.

Dalla Grecia arriva uno dei gruppi più estremi per quanto riguarda la psichedelia più oscura e generatrice di visioni.

Il nuovo lavoro del gruppo ateniese, che canta in greco, è un rito panico che attraverso l’astrazione e la interdimensionalità conduce in uno spazio fisico molto diverso da quello attuale. Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion. Ma si badi bene che questo disco non è un guazzabuglio di suoni, quanto un bellissimo collettore di tanti momenti diversi, e chi ama certe sonorità che sanno essere sia eteree che pesanti in questo album troverà molta gioia. Le canzoni sono costruite in modo da svilupparsi in maniera mai lineare, ma cercando spazio nello spazio, usando quasi tutti gli strumenti presenti nel globo, per andare molto lontano. Si perde la cognizione del tempo, anche perché non esiste nessuna fretta, non ci sono obiettivi o soft skills, si cerca e si trova nutrimento per il nostro cervello stremato da cose ed orpelli inutili, ma che noi consideriamo essenziali. I Dury Dava riportano tutto al suo posto, confezionando un disco che è allo stesso tempo febbrile e curativo. Come quando si assume del peyote, prima qualcosa esce dal nostro corpo e poi si comincia il viaggio, e dopo non si è più come prima. Infatti nelle canzoni che sono contenute in questo disco la forma canzone è davvero obsoleta, e si supera anche quella della jam, per entrare in un altro stato mentale. E proprio la diversione psichica ciò che ricerca questo incredibile gruppo con un disco che pesca anche nella tradizione musicale greca e turca, l’oriente più vicino a noi. Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion: un altro sguardo e tanta ottima psichedelia per un gruppo da scoprire.

Tracklist
1. Africa
2. Triptych
3. Come Again to
4. Satana
5. Zoupa
6. Summer
7. 34522
8. Ataxia
9. Tarlabasi
10. Kane Ligo Alithina

DURY DAVA – Facebook

Whitesnake – Flesh & Blood

overdale è riuscito miracolosamente a dare una nuova identità al gruppo, mantenendo le caratteristiche peculiari del sound Whitesnake, ma rinnovandolo di volta in volta, perdendo molto dell’anima blues di una volta e cercando quelle soluzioni, anche a livello di arrangiamenti, capaci di rendere la sua strisciante creatura una band perfettamente in grado di reggere il passare degli anni.

David Coverdale ha battuto tutti, si ripresenta nel 2019 con i suoi Whitesnake, una delle tante versioni in quarant’anni di gloriosa carriera nel mondo del rock e sbaraglia la concorrenza grazie ad un album bellissimo, per nulla nostalgico, moderno e duro come l’acciaio.

Quanti avrebbero detto, tra i non pochi rockers imprigionati nelle spire del serpente bianco fin dall’uscita di Trouble nel lontano 1978, che nel nuovo millennio si sarebbe continuato a scrivere di re David e del suo rettile, sinuoso animale hard rock che tante ne ha viste nella jungla del business musicale.
Eppure, al tredicesimo album, gli Whitesnake targati 2019 sono ancora una band in grado di far saltare il banco con questo nuovo album intitolato Flesh & Blood, composto da tredici spettacolari brani di hard rock potente, prodotto benissimo, suonato ancora meglio e cantato se non come ai bei tempi, con quel talento abbinato all’enorme esperienza di cui dispone il singer inglese.
Con un po’ di Italia metallica rappresentata dal nostro Michele Luppi alle tastiere, il nuovo album dimostra che gli Whitesnake possono ancora dire la loro nel panorama hard rock classico internazionale, tenendo ben presente che sia la band del periodo hard blues dei primi album, sia quella più patinata, meno sanguigna ma nettamente più famosa del periodo “americano” coinciso con l’uscita del masterpiece 1987 e di Slip Of The Tongue, non esistono più.
Coverdale è riuscito miracolosamente a dare una nuova identità al gruppo, mantenendo le caratteristiche peculiari del sound Whitesnake, ma rinnovandolo di volta in volta, perdendo molto dell’anima blues di una volta e cercando quelle soluzioni, anche a livello di arrangiamenti, capaci di rendere la sua strisciante creatura una band perfettamente in grado di reggere il passare degli anni.
Flash & Blood, scritto in collaborazione con la coppia di chitarristi Reb Beach e Joel Hoekstra, ha nelle canzoni il proprio punto di forza: d’altronde Coverdale con le sue sessantotto primavere, pur rendendosi protagonista di una prova abbastanza convincente, non può sicuramente toccare i fasti del passato, ed è naturale che aumenti lo spazio dell’aspetto prettamente strumentale grazie anche ad una line up tecnicamente ineccepibile.
La partenza è micidiale, con Good To See You Again, Gonna Be Alright, Shut Up & Kiss Me a far crollare muri con il loro potente e sfavillante hard rock; la ballata When I Think Of You non smentisce il talento di Coverdale per il genere, mentre torna a far parlare di blues Heart Of Stone, uno dei brani più belli dell’album che si chiude con la zeppeliniana Sand of Time.
In mezzo tanto hard rock di classe superiore, certo non una novità nel labirintico mercato del rock odierno, ma assolutamente una garanzia di musica di altissimo livello: d’altronde loro sono gli Whitesnake, lui è re Coverdale e Flesh & Blood è il nuovo splendido album.

Tracklist
01. Good To See You Again
02. Gonna Be Alright
03. Shut Up & Kiss Me
04. Hey You (You Make Me Rock)
05. Always & Forever
06. When I Think Of You (Color Me Blue)
07. Trouble Is Your Middle Name
08. Flesh & Blood
09. Well I Never
10. Heart Of Stone
11. Get Up
12. After All
13. Sands Of Time

Line-up
David Coverdale – Vocals
Tommy Aldridge – Drum
Michele Luppi – Keyboards
Michael Devin – Bass Reb Beach- Guitar
Joel Hoekstra – Guitar

WHITESNAKE – Facebook