Rainforce – Lion’s Den

Lion’s Den è il debutto per i Rainforce, quindi perdoniamo qualche passaggio a vuoto e promuoviamo il gruppo, che in futuro potrà solo migliorare partendo dalle cose buone che, fortunatamente, non sono poche.

Arrivano al debutto i rockers svizzeri Rainforce e lo fanno con un concentrato di nitroglicerina hard rock dal titolo Lion’s Den.

La band fondata dal chitarrista Andy La Morte vede Matt Brand al basso, Benjamin Mann alle pelli, il singer Jordan Cutajar più vari ospiti, tra cui Kevin Wright ex Jacob’s Dream.
La proposta del gruppo è un hard rock di matrice centro europea, del resto i Rainforce appartengono a tale area geografica e non fanno niente per nasconderlo, neppure nel sound che richiama lo stile degli storici Krokus, un ‘icona dell’hard rock aldilà delle Alpi.
Dunque, Lion’s Den mantiene quello che promette un album di genere: ritmiche hard & heavy, voce al vetriolo, chorus da cantare come se non ci fosse un domani sotto ad un palco (anche se a tratti risultano leggermente forzati) e solos di estrazione heavy ottantiana che può portare al gruppo qualche fan dai gusti metallici in più.
Niente di più classico che farsi sballottare dalle grintose My Rock e Feed Me (I’m Hungry), mentre la title track lascia qualche dubbio con il suo refrain ripetuto all’infinito.
L’album scorre così tra alti (la bluesy New Jerusalem) e bassi (lo strumentale Speechless), mentre Desert Sand è il classico brano anni ottanta tra Ac/Dc, Krokus ed arena rock, e The Gods Have Failed ha un andamento riscontrabile nel rock di fine anni settanta; proprio l’alternarsi tra brani riusciti ed altri meno convincenti porta ad usare il tasto numerico del vostro lettore più volte.
Lion’s Den è comunque il debutto per i Rainforce, quindi perdoniamo qualche passaggio a vuoto e promuoviamo il gruppo, che in futuro potrà solo migliorare partendo dalle cose buone che, fortunatamente, non sono poche.

TRACKLIST
01. Lion’s Den (with Philipp Rölli)
02. My Rock (with Rex D. Scott)
03. Feed Me (I’m Hungry)
04. I Am Yours (with Rex Carroll)
05. Speechless (with Philipp Rölli)
06. New Jerusalem (with Hämu Plüss)
07. Desert Sand (with Jim LaVerde)
08. The Gods Have Failed (with Philippe “The Greis” Kreis)
09. He Came To Set The Captives Free (with Oliver Schneider & Philipp Rölli)
10. Shine A Light (with Kevin Wright & Philipp Rölli)

LINE-UP
Jordan Cutajar – lead vocals
Andy La Morte – guitars
Matt Brand – bass
Benjamin Mann – drums

RAINFORCE – Facebook

Duel – Witchbanger

Ascoltando Witchbanger si potrà tornare integralmente tornare indietro nel tempo, o anche solo vivere una grande esperienza sonora, degustando un hard rock puro, con melodie incredibili.

Tornano i texani Duel, uno dei migliori gruppi di rock doom occulto che ci siano in circolazione.

Il loro suono è un affascinante rielaborazione di quel suono anni settanta tra hard rock e doom, aggiungendoci molto di personale. I Duel catturano l’ascoltatore con un impasto sonoro ben composto, con la giusta miscela di durezza e melodia. Nella composizione del disco i texani non fanno giustamente eccedere nessuna componente, anzi lasciano il giusto spazio a tutto, lavorando come un vero collettivo sonoro, ed il risultato è eccellente. Il gruppo può annoverare un fedele e numeroso seguito, coltivato sia grazie ai dischi che con i loro concerti. Certamente gli anni settanta fanno la parte del leone in questo suono, ma vi sono anche apprezzabili elementi moderni. I Duel vi avvicinano con il loro suono sinuoso e sensuale, per portarvi in una dimensione magica e occulta, perché qui si parla anche di questo, e siamo in un universo ben diverso dal nostro. Qui il piacere scorre benigno, attraverso riff di chitarra ed accelerazioni sinceramente seventies che sembravano essere ormai perdute nell’orgia musicale odierna. Ascoltando Witchbanger si potrà tornare integralmente tornare indietro nel tempo, o anche solo vivere una grande esperienza sonora, degustando un hard rock puro, con melodie incredibili. Rimane notevole il fatto che questo sia solo il secondo disco del gruppo, anche se non si tratta certo di musicisti esordienti, dato che due membri erano negli Scorpion Child. Occultismo, sangue, e tanto hard rock puro e senza compromessi. Gran disco.

TRACKLIST
1.Devil
2.Witchbanger
3.The Snake Queen
4.Astro Gypsy
5.Heart Of The Sun
6.Bed Of Nails
7.Cat’s Eye
8.Tigers And Rainbows

LINE-UP
Tom Frank – guitar,vocals
Shaun Avants – bass, vocals
JD Shadowz – drums
Jeff Henson – guitar

DUEL – Facebook

Dool – Here Now, There Then

La proposta dei Dool risulta profonda senza sconfinare in soluzioni cervellotiche, e il tutto viene eseguito in maniera esemplare: la spiccata varietà sonora non diviene sinonimo di dispersività, ma si rivela l’elemento decisivo per rendere Here Now, There Then un lavoro adatto ad ascoltatori dal differente background.

Dopo aver fatto conoscenza con i Dool l’anno scorso, in occasione dell’uscita del singolo Oweynagat non era difficile presagire che il loro primo lull length avrebbe potuto lasciato il segno.

La band olandese mantiene le promesse e rafforza l’impressione, avuta allora, di trovarsi al cospetto di un gruppo di musicisti di livello superiore: se poteva esserci un minimo dubbio in considerazione del fatto che azzeccare un singolo brano capita a molti, poi incapaci di mantenere uno stesso standard su lunga distanza, era stata la versione acustica del brano a farmela considerare una vera e propria epifania di un nuovo talento.
Oweynagat è presente in Here Now, There Then solo nella sua versione canonica ed il lavoro è, appunto, del tutto all’altezza del suo brano trainante: come detto all’epoca, non deve destare stupore neppure il fatto che tale opera sia pubblicata da una band all’esordio, visto che la line up vede all’opera protagonisti piuttosto conosciuti della scena underground olandese, tra cui membri di band come The Devil’s Blood e Gold, oltre alla più nota Ryanne van Dorst.
Non c’è dubbio che una vocalist cosi versatile e dalla spiccata personalità sia un vero valore aggiunto, ma non va sottovalutato l’operato dei suoi degnissimi compagni di viaggio, musicisti davvero sopraffini.
Anche i Dool, come altri gruppi trattati di recente, sono difficili da catalogare, ma affermare che il loro sound, a grandi linee, si snoda lungo coordinate doom, dark e psichedeliche non sarebbe un peccato, per quanto comunque non del tutto appropriato.
La bellezza di Here Now, There Then sta anche nel suo cambiare toni da una traccia all’altra, con episodi trascinanti e dallo sviluppo in progressivo crescendo, come l’opener Vantablack e la già citata Oweynagat, altri magari più ariosi e dal chorus incisivo (Golden Serpents e In Her Darkest Hour), per giungere a canzoni che rimandano in maniera più decisa al gothic dark (She Goat) o alle atmosfere cupe del doom (The Alpha).
La proposta dei Dool risulta profonda senza sconfinare in soluzioni cervellotiche, e il tutto viene eseguito in maniera esemplare: la spiccata varietà sonora non diviene sinonimo di dispersività, ma si rivela l’elemento decisivo per rendere Here Now, There Then un lavoro adatto ad ascoltatori dal differente background.
I Dool, pur a fronte di una storia ancora breve, stanno già ottenendo riscontri importanti ed un’attenzione che li porterà senz’altro ad occupare posizioni di prestigio in diversi festival estivi, in primis al Prophecy Fest di fine luglio: non c’è davvero nulla di fortuito in tutto questo …

Tracklist:
1.Vantablack
2.Golden Serpents
3.Words On Paper
4.In Her Darkest Hour
5.Oweynagat
6.The Alpha
7.The Death Of Love
8.She Goat

Line-up:
Ryanne van Dorst – Vocals/Guitar
Micha Haring – Drums
Job van de Zande – Bass
Reinier Vermeulen – Guitar
Nick Polak – Guitar

DOOL – Facebook

Viana – Viana

Viana è un album da custodire gelosamente, uno scrigno che racchiude l’essenza dell’hard rock melodico.

Lo scorso anno la mia passione per l’hard rock melodico aveva trovato il suo sfogo nel bellissimo album omonimo degli Shining Line: un album che risplendeva di quelle melodie figlie degli anni ottanta e di quel modo di suonare rock che, tra tutti i generi di cui si occupa una webzine rock/metal è di solito il meno curato, specialmente se non si è una realtà dedicata.

Il 2017 non è ancora arrivato alla metà che la Street Symphonies ci regala un altro gioiello melodico, un album che è pura eleganza hard rock tra giochi di tastiere e chorus da arena rock, chitarre finemente metalliche e tanto talento.
Stefano Viana è un chitarrista nostrano, appassionato di hard rock ed heavy metal classico e con un amore smisurato per Randy Rhodes, il che lo porta a dedicarsi anche al lavoro in studio.
L’incontro con Alessandro Del Vecchio, guru del genere nel nostro paese e non solo, lo spinge a comporre il suo primo album solista nel 2009, aiutato da una manciata di musicisti della scena; motivi personali fermano purtroppo il musicista che può riprendere i lavori solo lo scorso anno, così che Viana può finalmente vedere la luce.
Sempre con l’aiuto di Del Vecchio in veste di cantante e co-produttore, Francesco Marras alla chitarra, Anna Portalupi al basso, Alessandro Mori alla batteria, Gabriele Gozzi alle backing vocals e Pasquale India alle tastiere, il chitarrista corona dunque il sogno di pubblicare il disco autontitolato, sicuramente sofferto, ma bellissimo esempio di AOR composto da un lotto di brani che, in altri tempi, sarebbero volati nelle classifiche di settore o cantati dal pubblico nelle serate live, in arene luccicanti di quel rock che fa ancora rabbrividire di emozioni.
Un confetto questo album, ricco di solos luccicanti, di una performance di Del Vecchio da brividi, di chitarre che nelle ritmiche non si fanno pregare e graffiano da par loro, e di sontuose tastiere che aprono arcobaleni su cui passeggiare ascoltando una serie di melodie vincenti: si parte dall’opener Straight Between Our Hearts, passando per Feel Your Love Tonight, l’aggressiva Night Of Fire dai rimandi dell’epoca americana di un Coverdale ringiovanito dalla cura losangelina, fino alle bellissima Living in A Lie e dai ritmi Open Road.
Viana è un album da custodire gelosamente, uno scrigno che racchiude l’essenza dell’hard rock melodico, fatelo vostro e scioglietevi.

TRACKLIST
1. Straight Between Our Hearts
2. Bad Signs
3. Feel Your Love Tonight
4. Night Of Fire
5. Follow The Dawn
6. A New Love
7. Living A Lie
8. Just To Sing
9. Open Road
10. That Place Is You

LINE-UP
Stefano Viana – Guitars
Alessandro Del Vecchio – Vocals
Francesco Marras – Guitars
Anna Portalupi – Bass
Alessandro Mori – Drums
Gabriele Gozzi – B. Vocals
Pasquale India – Keyboards

VIANA – Facebook

Tim Bowness – Lost In The Ghost Of Light

Un album ad esclusivo uso e consumo dei fruitori del prog rock moderno e della musica gravitante attorno a Steve Wilson.

Quarto album solista per Tim Bowness, cantante e autore inglese che molti progsters ricorderanno nei No-Man in compagnia del leader dei Porcupine Tree Steve Wilson.

L’artista si circonda di una manciata di nomi altisonanti della musica progressiva mondiale come Ian Anderson, Andrew Keeling, Stephen Bennet (Henry Fool), Colin Edwin (Porcupine Tree), Brice Soord (The Pineapple Thief) tra gli altri, e con Steve Wilson dietro alla consolle crea questo concept sulla vita di un musicista e tutto ciò che circonda il mondo.
Il progressive rock di Tim Bowness è delicato, suadente, moderno nella concezione ma purtroppo monocorde: le canzoni, alcune comunque davvero belle, alla lunga non decollano e rimangono impantanate in un rock d’autore ma nulla più.
Manca la canzone che traini l’album, assolutamente obbligatoria anche in un genere come il progressive rock, nel quale le derive moderne hanno portato la musica su territori pericolosissimi, dove la linea tra un capolavoro atmosferico ed intimista ed una lenta agonia musicale è sottilissima.
Peccato, perché a tratti l’ascolto è piacevole anche se non si va mai oltre il compitino con melodie pinkfloydiane, accenni al gruppo di Wilson ed un rock semiacustico a cui manca una melodia che distolga dall’andamento monotematico che, dalla prima canzone, attanaglia questo Lost In The Ghost Of Light.
Certo è che se il concept si ispira alla vita di un musicista a fine carriera, musicalmente viene descritto più il nostalgico canto del cigno che non le bizze di gioventù: nel finale, You Wanted To Be Seen si pone come picco più alto del disco, essendo una traccia ariosa e ritmicamente più varia rispetto all’andamento generale dell’album, che risulta così ad uso e consumo dei soli fruitori del prog rock moderno e della musica del gruppo di Steve Wilson.

TRACKLIST
01. Worlds Of Yesterday
02. Moonshot Manchild
03. Kill The Pain That’s Killing You
04. Nowhere Good To Go
05. You’ll Be The Silence
06. Lost In The Ghost Light
07. You Wanted To Be Seen
08. Distant Summers

LINE-UP
Tim Bowness
Colin Edwin (Porcupine Tree)
Bruce Soord (The Pineapple Thief / Katatonia)
Hux Nettermalm (Paatos)
Stephen Bennett (Henry Fool / No-Man)
Andrew Booker (Sanguine Hum / No-Man)

Ian Anderson (Jethro Tull)
Kit Watkins (Happy The Man / Camel)
Andrew Keeling (Hilliard Ensemble / Robert Fripp)
Steve Bingham (Ely Sinfonia / No-Man)
David Rhodes (Peter Gabriel / Kate Bush / Scott Walker)

TIM BOWNESS – Facebook

Groupie High School – …Ladies & Gentlemen

…Ladies & Gentlemen ci presenta gli sleazy glam rockers Groupie High School, una band pronta per l’importante passo del full length che sicuramente non tarderà, sotto l’ala della Atomic Stuff.

La Scandinavia non è solo terra di metal estremo ma in essa prospera anche una radicata scena hard rock.

Da un po’ di anni pure i suoni sleazy e street vi hanno trovato la tana per leccarsi le ferite dopo gli anni di autodistruzione del periodo ottantiano, con la Finlandia che è entrata prepotentemente in gioco con una serie di band tra le quali questi Groupie High School sono uno dei più esplosivi esempi.
La Atomic Stuff, label nostrana dal gran fiuto quando si parla di queste sonorità, non se li è fatta scappare ed ora …Ladies & Gentlemen, secondo ep autoprodotto, ci viene proposto in tutta la sua esplosiva carica rock ‘n’ roll, o come lo volete chiamare, un’irresistibile scarica elettrica di sleazy, street, glam metal irriverente, a suo modo ignorantissimo e dalla carica sessuale di un toro da monta.
Sei brani più un’intro recitata, una ventina di minuti abbondanti in balia delle note infuocate sul Sunset Boulevard, un missile sparato tra le chiappe dei benpensanti al ritmo indiavolato di un party losangelino.
E mentre gentili donzelle godono lascive sotto i colpi dell’ ambigua Chick With The Flips, il metal sporcato dalla polvere della strada di Liquid Lunch ci porta sotto un palco di un qualsiasi locale, perso nella notte, mentre i gruppi storici che hanno fatto la storia della scena vengono passati in rassegna con le note ruffiane della ballad Hard To Breathe, scontata quanto si vuole ma perfetta per sciogliere le ultime resistenze della signorina bionda inquadrata a lato palco.
L’attitudine c’è, la voglia di sfondare pure, il talento tutto scandinavo per queste sonorità non manca di certo, confermato dall’irresistibile This Is How We Say Goodbye, brano che si prende lo scettro di top song dell’ep, dal piglio punk, robusta ed aggressiva il giusto per sfondare crani in sede live, mentre un piano indiavolato in sottofondo tiene il brano ancorato al rock’n’roll.
Navy Blue ha un approccio molto vicino all’hard rock melodico e conclude con un tocco raffinato: …Ladies & Gentlemen, album che ci presenta una band pronta per l’importante passo del full length che sicuramente non tarderà.

TRACKLIST
01. Ladies & Gentlemen (Intro By Bruce Buffer)
02. Chicks With The Flips
03. Liquid Lunch
04. My Medicine Woman
05. Hard To Breathe
06. This Is How We Say Goodbye
07. Navy Blue (Bonus Track)

LINE-UP
Vinny Olavi – Vocals
Matt Nitro – Guitars
Smippe Youngblood – Guitars
Jay Mickey – Drums
Wegster – Bass

GROUPIE HIGH SCHOOL – Facebook

Spitefuel – Sleeping With Wolves

Primo singolo per i tedeschi Spitfuel: le premesse ci sono tutte, le potenzialità pure, non ci resta che aspettare fiduciosi consigliando l’ascolto agli amanti del rock duro vecchia scuola.

Una nuova band si affaccia sul panorama hard rock europeo, in particolare quello tedesco da sempre sensibile ai suoni rock ipervitaminizzati.

Gli Spitefuel, quintetto formato per tre quinti da ex componenti degli Strangelet, debuttano per la MDD con questo singolo composto dal brano Sleeping With The Wolf, un agguerrito hard rock che pesca tanto dalla tradizione europea quanto da quella statunitense, con tanto di teschio e cilindro alla Slash che fa da mascotte al gruppo di
Heilbronn, ed altre due tracce, la massiccia e ruvida Never Surrender e la versione orchestrale di Sleeping With The Wolf arrangiata da Arkadius Antonik (SuidAkra, Realms Of Odoric).
Che dire se non benvenuti a questi rockers tedeschi? I due brani intrigano parecchio, l’ approccio è diretto, e lasciando al loro destino le orchestrazioni del terzo brano che tanto sa di riempitivo, ci consegnano una nuova band che sa il fatto suo e che potrebbe riservare delle gradite sorprese al prossimo eventuale debutto sulla lunga distanza.
Le premesse ci sono tutte, le potenzialità pure, non ci resta che aspettare fiduciosi, e consigliare l’ascolto agli amanti del rock duro vecchia scuola.

TRACKLIST
1. Sleeping With Wolves
2. Never Surrender (Re-recorded)
3. Sleeping With Wolves (Orchestral)

LINE-UP
Stefan Zörner – Vocals
Tobias Eurich – Guitar
Timo Pflüger – Guitar
Finn Janetzky – Bass
Björn-Philipp Hessemüller – Drums

SPITEFUEL – Facebook

Captain Crimson – Remind

La scuola hard rock scandinava dona ai suoi ammiratori un altro gruppo da venerare: Remind, uscito nel 2016, si può certamente considerare come uno dei lavori più riusciti arrivati alla base negli ultimi mesi.

Per molti il ritorno in auge dei suoni vintage è quanto di più obsoleto e privo di originalità possa esistere nel mondo del metal e del rock, ma per una grossa fetta di consumatori abituali di musica le varie scene, oggi, godono di una tradizione old school che mantiene vivo il legame tra la musica del vecchio millennio e le nuove sonorità (che poi tanto nuove non sono) degli anni duemila.

Nell’hard rock classico non è una novità, il genere è tra tutti quello più legato ai suoni dei mostri che incendiarono gli anni settanta e la Scandinavia da questo lato fa la voce grossa, prendendosi a spallate con la scena statunitense e molte volte avendo la meglio, con band e album che entusiasmano non poco.
I Captain Crimson provengono da Örebro, città dalla forte tradizione hard blues, arrivano con Remind al terzo lavoro e in barba ai detrattori sparano una decina di colpi ad altezza uomo di hard rock blueseggiante e legato ben stretto al periodo settantiano.
Niente di nuovo direte voi, i Rival Sons, i The Answer e i Blues Pills, tanto per fare alcuni esempi, lo fanno già da un po’ e sono riusciti, insieme ad altri gruppi, ad uscire dall’underground per impregnare di rock blues le classifiche del settore, ma è indubbio che il gruppo svedese sia una bomba pronta ad esplodere facendo scivolare nell’ombra i più famosi (per ora) rivali.
Remind è un tripudio di musica settantiana dove il blues di Zeppelin e Bad Company incontra atmosfere sabbathiane come la moda di oggi impone, così da rendere il tutto rituale e stonerizzato il giusto per sciogliere i cuori dei rockers degli anni 2000.
Tocca vette altissime questo lavoro (l’opener Ghost Town, il blues della splendida Money, Drifting), mentre la patina laccata di certe produzioni lascia spazio ad una carica selvaggia , ereditata dai primi Led Zeppelin e nascosta tra richiami ora ai Black Crowes ora ai Blue Cheer.
La scuola hard rock scandinava dona ai suoi ammiratori un altro gruppo da venerare: Remind, uscito nel 2016, si può certamente considerare come uno dei lavori più riusciti arrivati alla base negli ultimi mesi

TRACKLIST
01. Ghost Town
02. Bells From the Underground
03. Love Street
04. Black Rose
05. Money
06. Drifting
07. Remind
08. Let Her Go
09. Alone
10. Senseless Mind

LINE-UP
Stefan Lillhager – Vocals
Andreas Eriksson – Guitars
Mikael Lath – Drums
Chris David – Bass

CAPTAIN CRIMSON – Facebook

Fuzz – A.R.T.

A.R.T. è quello che vuole essere, un ottimo disco di musica rumorosa in italiano, con un gusto particolare che abbiamo solo qui nello stivale per il noise grunge, ma che abbiamo tirato fuori poche volte, e questa è una di quelle.

I Fuzz vengono da Torino e fanno un gran bel rumore. Il loro suono è una interessante summa fra Verdena, Queens Of The Stone Age, Marlene Kuntz e Fluxus per citarne solo alcuni.

Nati nel 2010 i Fuzz portano avanti un discorso incentrato sulla libertà sonora, coniugando cattiveria e qualità, rumore e inusuali melodie. In Italia non ci sono molto gruppi capaci di sintetizzare in questa maniera la lezione della migliore musica alternativa italiana con gli esempi di rumore che arrivano da oltreoceano. Al centro dei Fuzz sta la possente e inviperita voce di Luca, che sciorina le giuste rimostranze contro il cielo, e il gruppo stende un ottimo tappeto sonoro, con molte influenze ma estremamente personale. Il disco è semplicemente bello, con molte soluzioni sonore distorte, un’ottima rabbia di fondo che ci riporta a quel sentire che si poteva provare nel migliore momento della musica cosiddetta alternativa italiana. Che poi diciamolo una volta per tutte : la musica non è mai alternativa, è sempre e solo musica. A.R.T. (Andare Restare Tornare) è quello che vuole essere, un ottimo disco di musica rumorosa in italiano, con un gusto particolare che abbiamo solo qui nello stivale per il noise grunge, ma che abbiamo tirato fuori poche volte, e questa è una di quelle. Il disco è un grido armonioso, una musica che incrocia deserto, New York e vie acciottolate di qualche centro storico, come impersonali rotonde e prati di periferie. I Fuzz fanno un disco che è davvero un piacere ascoltare, con una grossa punta di veleno, che è il giusto antidoto alla nostra merda quotidiana. A.R.T. in definitiva, è un lavoro molto interessante, cattivo e dolce al tempo stesso, e soprattutto c’è tanto bel rumore.

TRACKLIST
1 Suononero
2 Immobile
3 Ebola
4 Sasha
5 Linoeranza
6 Isola Blu
7 A Testa Bassa
8 La Parola Chiave
9 Noia
10 Io Ho In Mente Te

LINE-UP
Luca – chitarra,voce;
Marco – basso;
Paolo – chitarra;
Luca – batteria;

FUZZ – Facebook

Lomax – Oggi Odio Tutti

Un buon inizio per il gruppo modenese ed un ascolto consigliato agli amanti del rock alternativo cantato in lingua italiana, accompagnato dall’irruenza giovanile e ribelle dell’hardcore.

Un salto nel rock cantato in italiano con i Lomax, trio proveniente dalla provincia di Modena che con Oggi Odio Tutti, arriva ad un traguardo importante come l’esordio.

Un ep di sei brani per presentare la propria proposta, un indie rock attraversato da un’urgenza hardcore, che ne indurisce il sound quel tanto che basta per accontentare gli amanti dei generi sopracitati: questo è ciò che troverete tra le trame dell’opener Rigore, della title track e della bellissima Manhattan, trittico iniziale del lavoro.
La band è composta da due ragazze Greta Lodi e Valentina Gallini, che ricoprono i ruoli di batterista e chitarrista/cantante, con il basso lasciato a Matteo Capirossi: un giovane trio con tanto entusiasmo e rabbia, con Fuoco che abbandona lo spirito hardcore per un rock alternativo che si trasforma poi in puro punk rock in Non Vedo L’Ora che Muori.
Dio rappresenta il congedo della band: un brano lunghissimo, ricco di saturazione noise ed uno sguardo ai Sonic Youth del capolavoro Dirty, un arrivederci da parte dei Lomax mentre le ultime note della canzone ci lasciano respirare l’aria elettrica di jam alternative dai rimandi statunitensi.
Un buon inizio per il gruppo modenese ed un ascolto consigliato agli amanti del rock alternativo cantato in lingua italiana, accompagnato dall’irruenza giovanile e ribelle dell’hardcore.

TRACKLIST
1. Rigore
2. Oggi odio tutti
3. Manhattan
4. Fuoco
5. Non vedo l’ora che muori
6. Dio

LINE-UP
Valentina Gallini – Guitars, Vocals
Matteo Capirossi – Bass, Vocals
Greta Lodi – Drums

LOMAX – Facebook

Van Halst – World Of Make Believe

Un album americano doc in cui la componente alternative ha il sopravvento su quella gotica, con buone idee che diventano geniali quando il diavolo ha la meglio sui vampiri ed il blues irrompe con tutto il suo dannato appeal nel sound del gruppo.

I Van Halst sono un gruppo canadese presentato come gothic metal band, ma che di gotico hanno davvero poco, se non il monicker, il look che fa tanto Underworld (il film sui vampiri con la bellissima Kate Beckinsale) e qualche accenno agli Evanescence nei brani intimisti e melanconici, mentre per il resto si viaggia discretamente sullo spartito di un alternative metal dal buon tiro.

La voce aggressiva della cantante Kami Van Halst fa il resto, avvicinando il gruppo a band di hard rock moderno stile Halestorm, quindi partite con il piede giusto con l’ascolto dell’album e World of Make Believe saprà regalarvi buone soddisfazioni.
Tensione a mille, ritmiche dure richiamanti il modern metal, linee vocali che seguono il trend growl/voce pulita e, come già espresso, un tocco di oscura malinconia nelle ballad, variano quel tanto che basta per arrivare alla fine senza fatica,: l’ascolto infatti viene valorizzato da una buona produzione e da suoni puliti, con la prova della vocalist che nel mezzo del mare di interpreti sdolcinate e operistiche risulta una buona variante al genere.
Il resto lo fanno le canzoni, alcune molto belle (Ryan’s Song, la title track,) altre leggermente soffocate da una coltre di nebbia gotica, altre clamorose come il blues sporco di sangue che cola dai canini aguzzi di Put Him Down.
Un album americano doc in cui la componente alternative ha il sopravvento su quella gotica, con buone idee che diventano geniali quando il diavolo ha la meglio sui vampiri ed il blues irrompe con tutto il suo dannato appeal nel sound del gruppo.
La band canadese, se saprà sviluppare le buone idee che a tratti valorizzano World Of Make Believe, di certo potrà ritagliarsi il suo spazio nel mondo del metal alternativo, perché le potenzialità ci sono tutte.

TRACKLIST
1. The End
2. Save Me
3. Ryan’s Song
4. World of Make Believe
5. Questions
6. Denying Eyes
7. Monster
8. Plastic Smile
9. Put Him Down
10. Perfect Storm

LINE-UP
Kami Van Halst – Vocals
Scott Greene- Guitar
Tara McLeod- Guitar
Brett Seaton- Drums
Brendan McMillan- Bass

VAN HALST – Facebook

Bastian – Back To The Roots

Torna il chitarrista Sebastiano Conti con il suo progetto Bastian, arrivato al terzo bellissimo lavoro: un album di hard rock classico suonato e cantato a meraviglia, che conferma il musicista e compositore italiano come uno dei migliori interpreti del genere negli ultimi anni.

Si torna a parlare del chitarrista nostrano Sebastiano Conti e del suo progetto Bastian, questa volta sulle pagine di MetalEyes, anche se il sottoscritto segue le avventure musicali di Conti da quando di metal e hard rock si parlava sul sito madre (InYourEyes).

Among My Giants, debutto licenziato nel 2014, vedeva il musicista e compositore siciliano cimentarsi con la musica che ha sempre amato, aiutato da una manciata di musicisti storici della scena metal rock mondiale, nonché idoli di Conti.
Gente del calibro di Vinny Appice, Mark Boals, Michael Vescera e John Macaluso, facevano da contorno prelibato al succulento piatto confezionato dal chitarrista, assolutamente a suo agio tra i suoi giganti e perfetta macchina hard rock con la sua sei corde.
Lo scorso anno Rock On Daedalus confermava quello che poteva non essere così scontato ed i Bastian tornavano ad incendiare lettori cd con un altro pezzo di granito hard & heavy, sempre con le partecipazioni di Macaluso e Vescera dietro al microfono.
Un anno esatto separa questa volta i due lavori, con Back To The Roots che porta un paio di novità importanti in seno alla band capitanata da Conti.
Al microfono, questa volta, troviamo nientemeno che Apollo Papathanasio, ex Firewind e, insieme al fido Corrado Giardina al basso, le bacchette di sua maestà Vinny Appice.
Il nuovo lavoro, licenziato dalla Sliptrick Records, porta una nuova ventata di hard rock, classicamente fresco e dannatamente bluesy, andando a colpire e spaccare il cuore dei rockers con una serie di brani sanguigni in cui il vocalist greco dimostra il suo talento per le atmosfere classiche e da crocicchi sperduti e presieduti dal diavolo in persona; la chitarra imperversa tra riff pesanti di rock duro, solos che sputano sangue, facendo l’occhiolino ad una sezione ritmica ora funkizzata, ora hard blues come si faceva nel regno unito dominato dal serpente bianco, ora appesantita dal groove che fa capolino tra lo spartito di meraviglie sonore come Rock Age, canzone capolavoro dell’album, un hard blues tra Whitesnake e Led Zeppelin con un finale in cui la chitarra ci scava dentro e arrivata al cuore lo sollecita con sfumature blues da applausi.
Papathanasio dà spettacolo, perfetto nel giocare con il Coverdale d’annata ma con piglio da vocalist metal e già dall’opener Goodbye To My Room si capisce che la sterzata è stata naturale, sentita e che non poteva essere altrimenti, anche perché Writing My Rock And Roll, il funky blues di Moth Woman, il riff di Spirit With The Hatchet ed il ritmo irresistibile di Poor Town, aiutano l’album a raggiungere una qualità strumentale ed espressiva straordinariamente alta.
Altro da aggiungere non c’è, a parte l’invito a non ignorare questo bellissimo e terzo centro del musicista siciliano, nel genere uno dei migliori interpreti degli ultimi anni.

TRACKLIST
1.Goodbye to My Room
2.Midsummer Night’s Dream
3.Writing My Rock and Roll
4.The Kite
5.Jasmine & Sebastien
6.Moth Woman
7.Warrior Friend
8.Dreamer
9.Rock Age
10.Little Angel
11.Spirit With the Hatchet
12.Poor Town
13.The Demon Behind Me
14.Jasmine & Sebastien

LINE-UP
Apollo Papathanasio – Vocals
Sebastiano Conti – Guitars
Vinny Appice – Drums
Corrado Giardina – Bass

BASTIAN – Facebook

Endfield – Right To The Top

Non aspettatevi grossi richiami ai gruppi storici dell’AOR, il rock degli Endfield richiama soprattutto band ed artisti del modo patinato del rock radiofonico, me nel suo insieme risulta un ascolto piacevole.

Tornano sul mercato i melodic rockers tedeschi Endfield, band attiva dal 2001 come cover band e formata da musicisti non più di primo pelo.

Il nuovo album Right To The Top è un buon lavoro di AOR che graffia quando necessario, devoto agli anni ottanta ma godibile anche nel nuovo millennio.
Il quintetto è avaro di informazioni sul proprio conto ma non di melodie, il sound proposto svaria tra molte delle fasi dell’hard rock, specialmente degli anni ottanta, l’interpretazione a tratti sanguigna e sentita del singer conferisce un’anima malinconica ai brani senza sacrificare nulla in quanto a grinta quando il sound richiede alle chitarre passaggi leggermente metalliche, accompagnate dall’ hammond che avvolge la musica del combo di un impercettibile velo ancor più retrò.
Right To The Top è aperto da Girl In Flames, grintoso hard rock che ci dà il benvenuto in questo volo con gli Endfield, da qui in poi si veleggia tra melodie che non lasciano tregua, passando dal rock d’autore a ballad d’atmosfera, classiche ed eleganti, valorizzate dalla bellissima voce di Brookman.
Angel ci spedisce a cercare fazzoletti dimenticati nel cassetto, mentre Pokerface è un hard funky notturno, settantiano, musica per chi è in caccia tra un locale e l’altro, predatore in una metropoli avvolta nel buio della notte.
Non aspettatevi grossi richiami ai gruppi storici dell’AOR, il rock degli Endfield richiama soprattutto band ed artisti del modo patinato del rock radiofonico, me nel suo insieme risulta un ascolto piacevole.

TRACKLIST
1.Girl in Flames
2.Good Timing
3.Next Mistake
4.Not Alone
5.Right to the Top
6.Masterpiece of Silence
7.Angel
8.So Long
9.The Game featuring Breezy
10.Pokerface

LINE-UP
Glyn Brookman – vocals
Sven Hanke – guitars
Stefan Pfaffinger – bass
Carsten Enghardt – drums
Christof von Haniel – keyboards

ENDFIELD – Facebook

Athlantis – Chapter IV

Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore

La scena metal ligure di stampo classico gira attorno ad una manciata di musicisti dal gran talento che, a distanza di poco tempo uno dall’altro, creano grande musica con progetti nuovi o ritorni di un certo spessore come gli Athlantis di Steve Vawamas, bassista di Mastercastle, Ruxt, Bellathrix, ed ex Shadows Of Steel.

Il gruppo nacque per volere del bassista nell’ormai lontano 2003, aiutato da un paio di nomi storici della scena come Roberto Tiranti e Pier Gonella con un debutto licenziato dalla Underground Symphony.
Nel corso degli anni il progetto si è avvalso delle performance di Trevor e Tommy Talamanca dei Sadist, oltre ad altri musicisti che hanno dato il loro contributo, arrivando così ai giorni nostri e alla realizzazione di un nuovo album, questo gioiellino power / hard dal titolo Chapter IV.
Insieme allo storico bassista e mente del progetto troviamo quella macchina da guerra che corrisponde al nome di Pier Gonella, infaticabile ed insostituibile guitar hero, il batterista degli Extrema Francesco La Rosa, Gianfranco Puggioni alla chitarra ed il bravissimo singer dei Lucid Dream Alessio Calandriello.
Ma le sorprese non finiscono qui, ed in qualità di ospiti Chapter IV si avvale delle performance di Roberto Tiranti, Dave (Drakkar) e Francesco Ciapica.
Registrato ai Music Art Studio di Pier Gonella e pubblicato dalla Diamonds Prod, l’album nulla aggiunge e nulla toglie alla qualità delle opere che questo gruppo di musicisti ha creato nel corso del tempo, aggiungendo un altro affresco di musica metallica raffinata e nobile, straordinariamente melodica ed assolutamente sopra la media.
La musica degli Athlantis a mio parere è quella che si avvicina di più a quella che porta la firma dei Labirynth, anche se sapientemente i musicisti la modellano con atmosfere hard rock e qualche spunto riconducibile al power metal melodico scandinavo di metà anni novanta.
Su Pier Gonella abbiamo sprecato inchiostro per tesserne le lodi relativamente ai numerosi progetti a cui ha partecipato, ma questa volta mi piace sottolineare, oltre all’ottimo songwriting, la prova di Calandriello, splendido interprete sugli album dei Lucid Dream e qui ancora una volta ispiratissimo, tanto da non sfigurare vicino a colleghi più famosi come per esempio Roberto Tiranti.
Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco  di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore, ancora una volta messo all’angolo dalla bravura di questi musicisti della riviera ligure.
Il singolo Master Of Fate, la successiva e trascinante Ronin, l’heavy metal classico che accompagna la cavalcata power The Endless Road, le chitarre hard rock di Reset sono gli attimi più avvincenti di un album bello e trascinante, un altro gioiello nato in riva al Mar Ligure.

TRACKLIST
01 – The Terror Begins
02 – Master Of My Fate
03 – Ronin
04 – Our Life
05 – The Endless Road
06 – Crock Of Moud
07 – Face Your Destiny
08 – Just Fantasy
09 – Reset
10 – The Final Scream

LINE-UP
Steve Vawamas – Bass
Pier Gonella – Guitars
Francesco La Rosa – Drums
Ginfranco Puggioni – Guitars
Alessio Calandriello – Vocals

ATHLANTIS – Facebook

The Big South Market – Muzak

Sfuggendo ai facili stereotipi ai quali la lineup ridotta potrebbe portare, i TBSM propongono una miscela moderna di hard rock e post grunge con un buon tiro.

Il termine “Muzak” definisce quella musica piuttosto informe che viene diffusa in ambienti quali aeroporti, centri commerciali, sale d’attesa e simili.

Non è dispregiativo, ma sottolinea che è un tipo di musica a cui si può anche non prestare attenzione, perché è di puro sottofondo, riempitivo.
Questo non si può certo dire dell’EP che porta questo titolo, prima prova autoprodotta del nuovo combo a nome The Big South Market. I due, già musicisti con esperienze invidiabili, si lanciano qua in bordate chitarra e batteria di buon gusto e bel tiro. Sfuggendo ai facili stereotipi ai quali la line -up ridotta potrebbe portare, i due propongono una miscela moderna di hard rock e post grunge ben amalgamata, con ritmiche serrate e suoni moderni e accattivanti.
L’esordio fa ben sperare, e le prove dei live e soprattutto della maturità su disco lungo ci potranno confermare se saranno speranze ben riposte.

TRACKLIST
1 – Big Deal
2 – Before (You Make It Deeper)
3 – Moodrink
4 – Red Carpet
5 – Desert Motel

LINE-UP
Giuseppe Chiumeo – Chitarra, Voce
Ruggiero Ricco – Batteria

THE BIG SOUTH MARKET – Facebook

www.youtube.com/channel/UCuiu4-pLEzhY5TJvjY5p02w

Lung Flower – Effigy

Gruppo di culto, musica per pochi, ma esperienza da vivere chiudendo gli occhi e ritrovandoci legati ad un totem con stregoni che agitano feticci davanti ai nostri occhi prima di darci la morte.

Si sa poco di questo quartetto canadese, quanto basta però per farvi conoscere la sua musica, di ottima qualità e che raccoglie in se un po’ di quel metal rock americano che ha imperversato negli ultimi venticinque anni.

Loro sono i Lung Flower, si destreggiano da qualche anno nei locali di Vancouver con una musica che, personalmente, mi ricorda non poco quella della piovosa Seattle.
Attenzione però, non si parla di facili melodie post grunge o alternative rock, i Lung Flower sono una creatura psichedelica che attinge tanto dal grunge più nervoso e metallico dei primi Soundgarden e Alice in Chains, quanto dallo stoner/doom, facendolo rimbalzare come una pallina magica tra gli anni novanta e indietro fino al periodo settantiano.
I ritmi sono a tratti lentissimi e claustrofobici, le chitarre sature, ed il canto richiama lo spirito di Layne Staley, tornato per raccontarci la propria disperazione nell’affrontare l’aldilà.
I Black Sabbath aleggiano con il loro sound che rallenta gli energici strappi alternative metal, mentre la sensazione di viaggio lisergico e jam session fa di questo lavoro una chicca per gli amanti dell’alternative doom metal.
Il gruppo canadese arriva così al secondo album, successore di Under A Dying Sun, debutto sulla lunga distanza del 2012, seguito dall’ep Death On The Crowsnest, uscito tre anni fa, continuando imperterrito a stordire con questo notevole esempio di musica del destino drogata di hard rock ed alternative metal, tutto made in U.S.A.
Gruppo di culto, musica per pochi, ma esperienza da vivere chiudendo gli occhi e ritrovandoci legati ad un totem con stregoni che agitano feticci davanti ai nostri occhi prima di darci la morte.

TRACKLIST
1. Ascend
2. Death On The Crowsnest (Hwy 3)
3. Beyond Burnt Out
4. Stoned & Alone
5. Bottomfeeders
6. Effigy (…of Man)
7. (Bonus Track) Everything I Burn

LINE-UP
Marcus Salem – Rhythm Guitar
Kyle Arellano – Bass
Tyler Mayfield – Vocals
Jimmy Lanz- Drums

LUNG FLOWER – Facebook

Downtown Association – City Guide

Una bella sorpresa questo quartetto greco, con un album che sprigiona rock, blues ed atmosfere settantiane senza rinunciare alla modernità, insomma tutto quello che serve ad un lavoro del genere.

Avari di informazioni ma non di buona musica, arrivano dalla penisola ellenica gli hard rockers Downtown Association presentando il loro album d’esordio, City Guide.

Uscito negli ultimi giorni del 2016, l’album, licenziato dalla New Dream, convince non poco, specialmente se siete amanti dell’hard rock americano che come unisce tradizione a soluzioni moderne, tradotte in ritmiche ricche di groove, solos zeppeliniani ed una marcata predisposizione metallica.
Blues elettrico, sporco e violentato da ritmiche potenti, chitarre che passano da riff settantiani e solos che si vestono di pelle e borchie, ma come d’incanto in City Guide si torna tornano a fare rock, con il blues che accompagna ogni passo affrontato da Dean Mess, cantante con gli attributi al posto giusto e capitano di questa squadra che si compone di George Matikas (chitarra), Tasos D. (batteria) e Nick Danielos (basso).
City Guide di fatto ci fa da Caronte nella città degli angeli, ma lascia fuori dalla gita lustrini e pailettes del Sunset Boulevard per inoltrarsi nei vicoli, sporchi di urina e vomito, dei locali dove i perdenti sono più di quelli hanno trovato un posto al sole.
E chi meglio del blues può accompagnare sconfitte e delusioni?
Se poi, come fanno i Downtown Association, si aggiunge un tocco di post grunge ad alternare il metallo fuso che si sprigiona dalla sei corde, allora davanti a noi abbiamo un album vario, duro, poco incline alle facili melodie, aggressivo e vero.
Molto belle King Of The Hole, dall’assolo metallico che strizza l’occhio al classic metal, l’hard blues ricco di groove di Media Dope, il crescendo atmosferico di Dynamo ed il rock dalle ritmiche funkizzate della trascinante Braindead.
Una bella sorpresa questo quartetto greco, con un album che sprigiona rock, blues ed atmosfere settantiane senza rinunciare alla modernità, insomma tutto quello che serve ad un lavoro del genere.

TRACKLIST
01. Obedient Girl
02. King of the Hole
03. Media Dope
04. Dynamo
05. Deep Cut
06. Braindead
07. Lover’s Shadow
08. Downfall
09. Predictable Chaos

LINE-UP
Dean Mess – Vocals
George Matikas – Guitars
Tasos D. – Drums
Nik Danielos – Bass

DOWNTOWN ASSOCIATION – Facebook

Ironbite – Blood & Thunder

Un buon album, magari fuori tempo massimo e da consumare se avete qualche primavera in più, ma in tempi di valorizzazione dei suoni old school, anche il sound degli Ironbite troverà senz’altro degli estimatori.

Un’altra proposta interessante da parte della label tedesca STF, con il terzo album degli Ironbite, metal band attiva da quasi dieci anni e con due lavori autoprodotti alle spalle, No Fate (2009) e Rise And Fall” (2012).

Blood & Thunder segue l’ormai consolidato sound del gruppo, un hard & heavy classico, irrobustito da potenza power, old school nell’approccio e senza compromessi per piacere ai metallers duri e puri, sopravvissuti agli ultimi tre decenni di musica metal, con i piedi ben saldi negli anni ottanta.
Musica da motociclisti, metal on the road ed inni da raduni, Blood & Thunder è ricco di atmosfere che riconducono a questo stile di vita, ed il sound ripercorre le strade mangiate a ritmo di Accept, Saxon e qualche accenno maideniano, nei solos e in qualche riff, sparso per questo piccolo altare eretto per glorificare l’hard & heavy ignorante e diretto.
Il quintetto tedesco non si risparmia, e i brani colmi di attitudine da rockers navigati, sono l’emblema di un certo tipo di fare hard rock, tra metal e rock ‘n’ roll, meno punk di quello dei Motorhead e più vicino alla new wave of british heavy metal.
Tra le tracce, spiccano la cavalcata The Doomsayer, la seguente Moonshine Dynamite che ricorda i Thin Lizzy, il mid tempo su cui è strutturata la potente Hellride e la conclusiva Hammer Of Justice, dal riff sassone e orgogliosamente epica.
Un buon album, magari fuori tempo massimo e da consumare se avete qualche primavera in più, ma in tempi di valorizzazione dei suoni old school, anche il sound degli Ironbite troverà senz’altro degli estimatori.

TRACKLIST
1.A Glorious Mess
2.Keep the Rage
3.Unleashed
4.D.E.A.D.B.E.A.T
5.The Doomsayer
6.Moonshine Dynamite
7.When Blood Runs Cold
8.Behind the Mask of a Faceless Man
9.Hellride
10.Black Death
11.Hammer of Justice

LINE-UP
Lucas Schmidt – Guitar
Danilo Licht – Guitar
Niklas Litzrodt – Bass
Samuel Sachse – Drums
Sebastian Sachse – Vocals

IRONBITE – Facebook

DSW – Tales From The Cosmonaut

Ogni canzone è molto bella e vive di vita propria, con un suono che è filo conduttore, un rumoroso tema che si dispiega per la durata di tutto il disco, ora declinato in forma stoner, ora in momenti che farebbero invidia a molti gruppi degli anni settanta.

I DSW sono un gruppo di Lecce, e l’acronimo significa Dust Storm Warning, ma questa tempesta di sabbia è piacevolissima.

Secondo disco dopo quattro anni dal debutto discografico e siamo su livelli molto alti. Lo stile dei DSW attinge da varie fonti e dentro Tales From The Cosmonaut si può trovare l’amore per il suono desertico, un grande stoner e su tutto un incredibile groove molto anni settanta. Negli ultimi anni si è andata a formare una scena dedita alla musica pesante molto interessante, basti pensare al sito doomcharts.com, vero e proprio collettore di questi suoni, ed infatti i DSW sono passati in quella grande classifica mensile del sito. Ascoltando il disco si può capire il perché. Ogni canzone è molto bella e vive di vita propria, con un suono che è filo conduttore, un rumoroso tema che si dispiega per la durata di tutto il disco, ora declinato in forma stoner, ora in momenti che farebbero invidia a molti gruppi degli anni settanta. I DSW non sono certo i primi a coniugare stoner e anni settanta, anzi il primo deriva pesantemente dai secondi, ma amalgamarli con tale stile non è affatto facile, e ancora più difficile è farlo così. Le canzoni sono quasi tutte di lunga durata e danno modo di apprezzare anche le ottime capacità compositive del gruppo, perché mantenere l’attenzione dell’ascoltatore oltre i quattro minuti al giorno di oggi non è facile, ma con i DSW non ti puoi proprio staccare. Un disco davvero bello, continuo e davvero stonerico,che lascia molto soddisfatti e anzi ne fa venire ancora voglia, come solo pochi gruppi sanno fare.

TRACKLIST
1.Vermillion Witch
2.The Well
3.Mother In Black
4.El Chola
5.Classified
6.Crash Site
7.Acid Cosmonaut

LINE-UP
Stefano – Bass Guitar
Marco – Guitar
Luca – Drums
“Wolf” – Vocals

DSW – Facebook

RHumornero – Eredi

Eredi è un disco potente e completo, che è ricco e ottimo in tutti i suoi aspetti, e mostra finalmente un gruppo italiano di rock libero e piacevole, fautore di un gran disco, prodotto e suonato molto bene. Sicuramente uno dei migliori dischi di rock italiano degli ultimi tempi.

I Rhumornero sono un interessantissimo gruppo italiano che fa una sintesi alquanto singolare del rock in italiano ed italiano tout court.

Attivi dal 2005, questi ragazzi hanno all’attivo tre album ed hanno partecipato a tre raccolte di Virgin Radio. I Rhumornero sono un gruppo che opera una sintesi molto valida del meglio del rock cantato in italiano, riuscendo a coniugare melodie, orecchiabilità e grande appeal radiofonico. Eredi è la loro ultima fatica, e direi che è il loro disco migliore. Pochi, anzi nessuno gruppo meno che mai italiano, hanno saputo coniugare, rock melodico e hard, liriche intelligenti e orecchiabilità, senza mai stonare. Il disco è davvero notevole, forte di una capacità di portare l’ascoltatore dove vogliono loro, rendendo il tutto avvincente e variegato, con dei testi finalmente interessanti e che si mettono davvero a nudo, pregando il vuoto di non invaderci troppo. Forte è l’impronta del grunge, ma chi ascolta rock da qualche tempo il grunge ce l’ha dentro, è un’impronta indelebile perché non si trattava solo di musica. Si potrebbero citare riferimenti, ma non sarebbe corretto, poiché i Rhumornero sono venuti dopo alcuni e ne hanno preso qualcosa, ma il novanta per cento è tutta opera loro, ed è una bella opera. Ci sono molti generi musicali qui dentro, e su tutti la personalità del gruppo vince nettamente. Eredi è un disco potente e completo, che è ricco e ottimo in tutti i suoi aspetti, e mostra finalmente un gruppo italiano di rock libero e piacevole, fautore di un lavoro prodotto e suonato molto bene. Sicuramente uno dei migliori dischi di rock italiano degli ultimi tempi.

TRACKLIST
o1.UN MILIARDO DI ANNI
02. METALLI PESANTI
03. L’EQUILIBRIO (versione 2015)
04. SPIRITI
05. NEL TUO SILENZIO
06. SCHIAVI MODERNI
07. MASCHERE
08. EREDI
09. QUANDO AVEVO PARANOIA
10. LIMPERATRICE
11. 1492
12. LAST CHRISTMAS (non si sentirà) (Bonus Track)
13. SOTTO LE STELLE (Bonus Track)

LINE-UP
Carlo De Toni – Voce – Chitarra
Ettore Carloni – Chitarra
Luca Guidi – Batteria
Lorenzo Carpita – Basso

RHUMORNERO – Facebook