Godzilla In The Kitchen – Godzilla In The Kitchen

I tre giovani ragazzi tedeschi si lanciano senza particolari remore in un impresa dagli esiti incerti ma dalla quale escono alla fine piuttosto bene, pur non restando immuni da qualche pecca.

I Godzilla In The Kitchen, trio proveniente dall’ex Germania Est (Jena), si propongono sulla scena con un’interessante progressive strumentale, adottando una formula connotata, di norma, da diverse controindicazioni alle quali questo album d’esordio non si sottrae.

Prendendo come spunto primario una band come i Tool (e, quindi, per proprietà transitiva, i King Crimson) i tre giovani ragazzi tedeschi si lanciano senza particolari remore in un impresa dagli esiti incerti ma dalla quale escono alla fine piuttosto bene, pur non restando immuni da qualche pecca.
La mancanza della voce come sempre presenta il conto dopo qualche decina di minuti, nel corso dei quali si ha la possibilità di apprezzare le apprezzabili intuizioni dei nostri ma che, alla lunga, creano una certa assuefazione; in aggiunta, va anche segnalata una produzione non impeccabile per quanto riguarda i suoni della batteria, a mio avviso troppo secchi ed eccessivamente in primo piano rispetto a chitarra e basso.
Cercato (e trovato) il pelo nell’uovo, la prova dei Godzilla In The Kitchen (monicker strambo ma di una certa efficacia) si rivela tutt’altro che riprovevole, tra brani brevi e quindi maggiormente concisi (Broken Dance, The Fridge, Provoking As Teenage Sex), alcuni più lunghi nei quali prendono corpo pulsioni psichedeliche (Stick To Your Daily Routine) ed altri in cui emerge in maniera ben definita una vena più robusta e dinamica (Up The River) che potrebbe essere sfruttata meglio, costituendo un discreto elemento di discontinuità rispetto a buona parte del lavoro.
La sensazione è che il terzetto abbia buone potenzialità ma sia ancora leggermente acerbo sia dal punto di vista compositivo, sia da quello esecutivo, cosicché, alla lunga, certe soluzioni tendono a ripetersi, ma evidentemente si parla di imperfezioni comprensibili in un gruppo all’esordio: buona la prima, in definitiva, per i Godzilla In The Kitchen, tenendo ben presente che si può certamente fare meglio.

Tracklist:
1.Up The River
2.Broken Dance
3.The Turn
4.Elis Speech
5.Propagation Of Violence
6.Dr.Moth
7.Stick To Your Daily Routine
8.Provoking As Teenage Sex
9.The Universe Is Yours
10.The Fridge

Line-up:
Eric Patzschke – Guitars
Felix Rambach – Drums
Simon Ulm – Bass

GODZILLA IN THE KITCHEN – Facebook

Deceit Machine – Resilience

Finalmente un album moderno nel quale viene data la giusta importanza al lavoro della chitarra solista, qualità non così scontata oggigiorno, che nella musica dei Deceit Machine torna (insieme alla voce) ad essere protagonista.

Ecco ci risiamo, mi ritrovo con un’altra bomba pronta ad esplodere nei vostri padiglioni auricolari, una deflagrazione di hard rock metal, moderno e coinvolgente, cantato, suonato e prodotto come meglio non si potrebbe e che non presenta la minima pecca … a parte forse il fatto che il gruppo, essendo italiano, rischia sempre di non essere presentato e supportato a dovere.

Il quartetto in questione si chiama Deceit Machine, arriva da Milano ed il suo debutta si intitola Resilience.
L’album è stato registrato da Larsen Premoli presso i Rec Lab Studios e vede la partecipazione dietro alle pelli di Federico Paulovich dei Destrage.
Il gruppo viene presentato come un’alternative metal band e se, si pensa al metal classico, l ‘accostamento ci può stare, ma a sentir bene è forse più giusto descrivere il sound del gruppo nostrano come un hard rock moderno che alterna aggressione metallica e vincenti melodie rock, grazie soprattutto all’enorme potenziale della voce di Michela Di Mauro, così come deii vari brani che compongono Resilience.
Si diceva hard rock, pregno di groove, metallizzato da un lavoro chitarristico eccellente (Gabriele Ghezzi), con assoli che a tratti richiamano la scuola classica, per poi seviziarci con riff che sputano sangue americano, alternando feeling hard rock e potenti muri di suono alternative.
La sezione ritmica concede poche ma significative tregue (nell’elegante e raffinata Here Now), per poi bombardarci senza pietà e, mentre il cd gira nel lettore, siamo arrivati alla sesta traccia (la devastante Watchdog) e la qualità continua a rimanere altissima.
Resilience è, finalmente, un album moderno nel quale viene data la giusta importanza al lavoro della chitarra solista, qualità non così scontata oggigiorno, mentre nella musica dei Deceit Machine torna (insieme alla voce) ad essere protagonista, virtù che piacerà non poco anche agli amanti dei suoni più classicheggianti ma con l’orecchio attento ai suoni del nuovo millennio.
Un album che raccoglie una serie di hit e li spara a cannone, mentre la Di Mauro fa scintille nella splendida Absence che, con la devastante Wonderland, fa da preludio al brano più bello di Resilience, Flow ispirata a mio avviso ai primi Soundgarden, quelli ancora selvaggi e veraci del capolavoro Louder The Love.
Dunque, che vi piaccia alternative metal o modern hard rock , poco importa, l’album è davvero bello e merita la vostra attenzione: band da supportare senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Shinigami
2. Garden
3. K.A.R.M.A.
4. Here Now
5. My Raven
6. Watchdog
7. Absence
8. Wonderland
9. Flow
10. Awakening

LINE-UP
Michela Di Mauro – Vocals
Gabriele Ghezzi – Guitar
Stefano Paolillo – Bass
Davide Ferrario – Drums

DECEIT MACHINE – Facebook

Søndag – Bright Things

I Søndag hanno un suono riconoscibile, anche grazie alla presenza di due chitarre con otto corde, e quindi accordature molto ribassate che danno un tono più corposo al tutto.

Band di Piacenza che fa un rock metal di gran lunga migliore di molti analoghi e decantati gruppi di oltreoceano.

La loro prima apparizione musicale è di quest’anno, con un omonimo ep di tre tracce, promosso dal videoclip No. Il gruppo non è debuttante, poiché è stato fondato sulle ceneri degli Edema, che avevano già una discreta esperienza. Il loro suono è molto americano, attingendo alla fonte sempre viva del metal rock, ma i Søndag dalla loro hanno una composizione superiore ed molto talento, e tutto ciò fa in maniera che il disco scorra molto bene, veloce e preciso, gustoso e pulsante. Certamente a tutto ciò ha giovato la registrazione ed il missaggio di Riccardo Demarosi, valorizzato dalla masterizzazione di Alan Douches negli States, uno che ha avuto fra le mani gruppi del calibro di Converge, Swans, Mastodon ed altri. I Søndag hanno un suono riconoscibile, anche grazie alla presenza di due chitarre con otto corde, e quindi accordature molto ribassate che danno un tono più corposo al tutto. Questo accorgimento riesce a dare un tocco decisivo, perché i Søndag portano il rock metal ad un livello più alto, ascoltare per credere.
Il gruppo piacentino mette in musica la cronaca dei giorni difficili e la voglia di vederne di più luminosi, con forza e con talento.

TRACKLIST
1. Sweet
2. Back In Town
3. Polite Rebel
4. Viper
5. Wax
6. Bright Things
7. Leftover
8. Spitfire
9. Time Has Come

LINE-UP
Marcello Lega – Guitars
Riccardo Lovati – Drums
Marco Benedetti – Guitars
Riccardo Demarosi – Voice, Bass

SONDAG – Facebook

Vicolo Inferno – Stray Ideals

Stray Ideals conferma l’ottima forma che sta attraversando l’hard rock made in Italy, la bravura dei Vicolo Inferno ed il fiuto della Logic(il)logic Records.

Lo street metal in quel di Los Angeles, ed il grunge di Seattle due generi agli antipodi, in questi ultimi tempi sono stati presi come ispirazione da molti dei gruppi di ultima generazione che, con sagacia, ne hanno manipolato atmosfere e sfumature e, con personalità ed una buona dose di talento, hanno creato un ibrido molto interessante, così da prendere per mano il rock e portarlo con dignità e forza nel nuovo millennio.

Nel nostro paese il genere ha trovato non poche ottime realtà a cui si aggiungono i Vicolo Inferno, combo proveniente dalla zona di Imola al secondo full length, successore del debutto Hourglass uscito sempre per Logic(il)Logic nel 2013 e di un primo demo (Hell’s Alley).
Prodotto da Riccardo Pasini ai Studio 73, ed accompagnato dal bellissimo artwork creato da Simone Bertozzi (The Heartwork), Stray Ideals è un altro ottimo esempio di hard rock moderno proveniente dal nostro paese, aggressivo quanto basta per non sfigurare al cospetto dei fans dai gusti metallici, pregno di quel groove che risulta marchio di fabbrica del sound odierno, valorizzato da una vena sudista che lo colloca tra migliori esempi di quel rock americano che regna sulla musica del diavolo.
Stray Ideals è tutto qui e non è poco, aggiungo, visto l’ottimo songwriting, con una produzione che spinge sulle ritmiche (Wallace al basso e Michele “Gollo” Gollini alle pelli) , la sei corde che non sbaglia un solo (Marco Campoli) tra urlanti suoni metal stoner, sanguigni passaggi dal retrogusto southern ed atmosfere rock’n’roll/post grunge da sogno americano.
La voce perfettamente in linea con le atmosfere dei vari brani, calda, aggressiva e cangiante di Igor Piattesi, fa il resto e tralasciando Two Matches, traccia leggermente fuori contesto dove il singer duetta con l’ospite Caterina Minguzzi, Stray Ideals è un susseguirsi di emozioni forti sulla route che collega Los Angeles a Seattle in compagnia del quartetto e delle varie Gray Matter Brain, Unnameables, la title track, la stupenda Ambush e l’hard rock arrabbiato di Noise Of Silence.
Stray Ideals conferma l’ottima forma che sta attraversando l’hard rock made in Italy, la bravura dei Vicolo Inferno, ed il fiuto della label nostrana, una garanzia per i suoni hard rock melodici, tradizionali o come in questo caso, moderni.

TRACKLIST
01. Gray Matter Brain
02. Dirty Magazzeno
03. Rude Soul
04. Stray Ideals
05. Two Matches
06. Unneameables
07. Ambush
08. Heartwoofer
09. On Road’s Edge (Intro)
10. The Rough Hills
11. Noise Of Silence
12. Crosses Market
13. Blood Mist

LINE-UP
Igor Piattesi – Vocals
Marco Campoli – Guitar
Wallace – Bass
Michele “Gollo” Gollini – Drums

VICOLO INFERNO – Facebook

Roxin’ Palace – Freaks Of Society

Tredici brani per far rivivere ancora una volta il rito del rock’n’roll, con i suoi eccessi, le sue contraddizioni, i suoi successi e gli inevitabili fallimenti, ma assolutamente consolidato anche nel nuovo millennio.

Nell’underground metal/rock il ritorno della sonorità street/hard rock è diventato un piacevole dato di fatto, così a MetalEyes non passa giorno senza che arrivino pacchi virtuali al cui interno sono pronte ad esplodere travolgenti bombe a base di nitroglicerina rock’n’roll direttamente dal Sunset Boulevard.

E così vi presentiamo i Roxin’ Palace, gruppo italiano che, tramite la Sleaszy Rider Records, ci fa partecipi del secondo e selvaggio party, dopo la prima festa omonima licenziata nel 2013.
Nato da un’idea del chitarrista Alex Corona dei Revoltons, il gruppo conferma con Freaks Of Society l’ottimo livello della scena hard rock dai richiami street e sleazy che si è formata lungo lo stivale, un migliaio e rotti di chilometri su e giù per l’Italia a botte di sguaiato hard rock, come una lunghissima strada ad attraversare una Los Angeles ottantiana, in questo caso facendo pure l’occhiolino alla più attuale scena scandinava.
Freaks Of Society sta tutto qui e non è poco, aggiungo, con tredici brani inclusa ballad d’ordinanza a far rivivere ancora una volta il rito del rock’n’roll, con i suoi eccessi, le sue contraddizioni, i suoi successi e gli inevitabili fallimenti, ma assolutamente consolidato anche nel nuovo millennio.
Anche se il genere difficilmente tornerà a far bella mostra di sé nelle classifiche radiofoniche, è indubbio che negli ultimi tempi la fiamma è tornata a scaldare i cuori dei rockers tutti chiodo, mascara e Jack Daniels, con il nostro paese che non si è fatto trovare impreparato dando i natali ad almeno una decina di band tranquillamente in grado di conquistarsi un posto d’onore nel panorama odierno.
L’album dei Roxin’ Palace si posiziona nella parte più alta dell’ideale classifica, con il suo sound che regala quegli intramontabili spunti per i quali continuiamo ad essere innamorati di questo genere musicale, e allora, via con chorus da urlare in piena notte tra le vie di una città ormai deserta, solos taglienti che vi bruceranno dentro peggio dell’alcool ingurgitato per tutta la sera, riff scolpiti sui muri del Sunset Strip e ballatone per smaltire notti brave.
Monsters Love, Thai Of Mine, Monkey Junkie, Fading Idol: provate voi stare fermi, se ci riuscite …

TRACKLIST
1. Freaks Of Society
2. Monsters Love
3. Gangs Eraser
4. Thai Of Mine
5. Postatomic Hotel
6. L.A. Mist
7. Monkey Junkie
8. Rockers Of The Eagle
9. Neighbourhood Stars
10. Fading Idol
11. Freak
12. F.A.N.
13. Little Lizzy (bonus track)

LINE-UP
Al – Vocals
Crown – Guitars
Riggs – Guitars
Gian Roxx – Bass
Hell – Drums

ROXIN’ PALACE – Facebook

Phil Campbell And The Bastard Sons – Phil Campbell And The Bastard Sons

Cinque brani spumeggianti, con le sei corde che impazzano in veloci rincorse per spiccare il volo, magari non con questo ep ma, se le premesse verranno mantenute, con un prossimo ed eventuale full length.

Non deve essere stato facile per Phil Campbell e Mikkey Dee ripartire dopo la morte i Lemmy.

I Motörhead sono e resteranno un’ istituzione e la mancanza, oltre che di un grande artista, di un amico e fratello come lo storico bassista li tormenterà per tutta la vita.
Ma l’anima del musicista è più forte delle tragedie, così Mikkey Dee si è accomodato dietro ad un drum kit sontuoso come quello degli Scorpions, mentre il chitarrista trasforma la sua band famigliare in qualcosa di più che un passatempo con i propri figli.
Cambio di monicker da Phil Campbell All Star al più rock style Phil Campbell and the Bastard Sons e primo ep licenziato dall’etichetta che porta il nome dei Motörhead, in collaborazione con Warner.
Il gruppo è formato dalla famiglia Campbell (Phil, Todd alla seconda chitarra, Dane alla batteria e Tyla al basso) con l’aiuto dell’ottimo singer Neil Starr, un animale dotato di una voce calda e sanguigna.
E di hard rock’n’roll si tratta, tra tradizione e nuove influenze, ben collocato in questi primi anni del nuovo millennio senza guardare troppo allo scomodo passato dell’illustre axeman.
Ne escono cinque brani spumeggianti, con le sei corde che impazzano in veloci rincorse per spiccare il volo, magari non con questo ep ma, se le premesse verranno mantenute, con un prossimo ed eventuale full length.
Un sound che pesca a piene mani dal rock americano di questi ultimi tempi e si colloca tra i Velvet Revolver, qualche accenno alla scena scandinava e chiaramente un pizzico di verve motorheadiana, con l’opener Big Mouth che carica come un toro infuriato.
Spiders è un mid tempo dal buon groove che Campbell impreziosisce con un solos tagliente e metallico, mentre Take Aim è rock ‘n’ roll di origine controllata con non pochi riferimenti ai Backyard Babies.
No Turning Back torna alle famose ritmiche Lemmy/Dee, mentre il refrain odora di Velvet Revolver, con un Neil Starr ispiratissimo, mentre l’arrivederci al prossimo giro di whiskey è lasciata alle armonie acustiche di Life In Space, che ricordano sorprendentemente il terzo lavoro targato Led Zeppelin.
Non male davvero, il vecchio Phil è ancora in pista ed è tornato a far battere i cuori dei rockers sparsi per il globo, attendiamo con ansia nuovi sviluppi perché il progetto merita.

TRACKLIST
1.Big Mouth
2.Spiders
3.Take Aim
4.No Turning Back
5.Life In Space

LINE-UP
Phil Campbell – Guitars
Todd Campbell – Guitars
Dane Campbell – Drums
Tyla Campbell – Bass
Neil Starr – Vocals

PHIL CAMPBELL AND THE BASTARD SONS – Facebook

Kansas- The Prelude Implicit

Questo nuovo album dimostra come una grandissima band attiva da oltre quarant’anni, peraltro rivoluzionata nella line-up per l’ennesima volta, possa tranquillamente reggere il cambiamento dei tempi.

Eccomi con grande emozione a parlare del nuovo prodotto di una band storica come i Kansas che, a distanza di sedici anni, riappare prepotentemente con un album nuovo di zecca, The Prelude Implicit.

Partiamo dal presupposto che stiamo parlando di un gruppo che apprezzo da sempre e che ha segnato una fase importante nella musica d’oltre oceano, oltre ad aver ispirato moltissimi gruppi che hanno tratto ispirazione dalla loro musica a piene mani. Questo nuovo prodotto è ovviamente maturo e dimostra come una grandissima band attiva da oltre quarant’anni, peraltro rivoluzionata nella line-up per l’ennesima volta, possa tranquillamente reggere il cambiamento dei tempi. Entrando nel dettaglio, si scopre così un ottimo vocalist come Ronnie Platt, grandissimo nell’essere originale e nel non voler ricordare a tutti i costi Steve Walsh. I pezzi si susseguono ed emerge la maestria di un gruppo sempre al vertice: The Voyage of Eight Eighteen è a mio parere il classico pezzo di punta dell’intero album, con i suoi 8’18” di pieno orgasmo prog. Commentare la bravura dei Kansas è difficile, basterebbe solo dire che The Prelude Implicit è un album sicuramente da ascoltare e che piacerà agli amanti sia del metalprog che del prog classico. Ballate, assoli e il classico violino di David Ragsdale faranno riaffiorare emozioni mai sopite negli amanti del genere. Phil Ehart e Billy Greer sostengono le dinamiche della band in maniera perfetta, Dave Manion alle tastiere risulta preciso e mai invadente e la coppia Williams-Rizvi alle chitarre, entrambi grandissimi, completano il combo. Insomma, da non perdere …

TRACKLIST
1.With This Heart
2.Visibility Zero
3.The Unsung Heroes
4.Rhythm in the Spirit
5.Refugee
6.The Voyage of Eight Eighteen
7.Camouflage
8.Summer
9.Crowded Isolation
10.Section 60

Bonus Tracks:
11.Home on the Range
12.Oh Shenandoah

LINE-UP
Ronnie Platt – voce, piano
Richard “Rich” Williams – chitarra acustica, chitarra elettrica
Billy Greer – basso, voce, cori
Phil Ehart – batteria, percussioni
David Manion – piano, tastiera, organo
Zak Rizvi – chitarra elettrica, cori
David Ragsdale – violino, cori

Smokey Fingers – Promised Land

Con Promised Land, gli Smokey Fingers continuano il loro elettrizzante viaggio nella musica a stelle e strisce.

Non capita spesso di scrivere di southern rock sulle pagine di MetalEyes, ma, come un temporale estivo, ecco che si palesano sulla mia scrivania tre album di rock americano ed il mio orgoglio sudista se ne giova assai.

Due statunitensi (e non potrebbe essere altrimenti) e, con grande sorpresa, una tutta italiana sono le band che in questo periodo mi hanno regalato un po’ di quella splendida musica che dalle terre rurali e dalla frontiera americana nasce e si rigenera.
Negli Stati Uniti il genere è una tradizione che, nella provincia, si tramanda di generazione in generazione, ma provateci voi a partire da Lodi e trasformare le pianure del nord Italia nelle assolate terre del sud.
Gli Smokey Fingers ci sono riusciti alla grande, e con passione e talento continuano il loro viaggio nella musica americana, tra southern, blues e country rock, iniziato con il primo lavoro (Columbus Way) e ora in continua marcia verso la terra promessa con questo bellissimo ed emozionante Promised Land.
E di viaggio si tratta per davvero, visto che molti dei brani inseriti nell’album sono stati pensati proprio nell’ottica di un percorso on the road lungo gli States e in quei paesi dove il genere è nato e trova la sua naturale collocazione.
Con queste premesse, Promised Land non può che risultare uno scrigno di emozioni per chi si allontana per cinquanta minuti dalla vita di tutti i giorni, con l’intento di assaporare il profumo delle vaste distese della frontiera, con la polvere ed il sole che brucia gli occhi, la fresca brezza di tramonti infiniti e l’odore del whisky che attanaglia le narici all’entrata nei bar persi per le routes, tra coyotes e serpenti a sonagli.
Questo è southern rock classico, tra poesia sudista, riff di incendiario hard blues che marchierebbe un cavallo ed atmosfere collaudate certo, ma assolutamente reali, tanto da non far rimpiangere gli album blasonati dei gruppi americani di nuova generazione.
Malinconico come solo il southern sa essere (Last Train), ruvido quanto basta per essere apprezzato anche dagli amanti dell’hard rock (Black Madame, Thunderstorm), intriso di blues rock (Damage Is Done, Turn It Up), Promised Land è il naturale proseguimento del viaggio degli Smokey Fingers nella musica americana: inutile farvi il solito elenco di band a cui i nostri rockers si ispirano, al primo accordo tutto vi sembrerà chiaro e limpido come l’acqua di fuoco fatta girare nel bicchiere in un polveroso saloon.

TRACKLIST
01. Black Madame
02. Rattlesnake Trail
03. The Road Is My Home
04. Damage Is Done
05. The Basement
06. Last Train
07. Floorwashing Machine Man
08. Stage
09. Turn It Up
10. Thunderstorm
11. Proud & Rebel
12. No More

LINE-UP
Gianluca “Luke” Paterniti – lead & backing vocals
Diego “Blef” Dragoni – electric & acoustic guitars, banjo
Fabrizio Costa – bass
Daniele Vacchini – drums & percussions

SMOKEY FINGERS – Facebook

Peak – Into Your Veins

Un album da assaporare con attenzione per far vostre le atmosfere intrise di poetico disagio che i Peak riescono creano con maestria.

Tra la foschia notturna di una Torino grigia e malinconica nascono nel 2015 i Peak, quartetto alternative rock composto da quattro musicisti provenienti da diverse esperienze e generi musicali.

Riprendendo il titolo del loro debutto (Into Your Veins), nelle vene del gruppo scorre sangue infettato dal sound di Seattle, facendo assumere al corpo una posizione fetale, travolto da un mare di emozioni intimiste, tragiche e drammatiche.
Le scariche elettriche, a tratti rabbiose, non fanno che aumentare il senso di disagio interiore che si respira nei vari brani, facendone scaturire un’opera matura e molto personale.
Grunge e post grunge, troppo facile direte voi, ma non così scontato: il sound del gruppo si piazza perfettamente nel mezzo tra la prima ondata di gruppi partiti dalla piovosa Seattle e quella del post Kurt Cobain, con i mai troppo osannati Staind come ispirazione.
Into Your Veins vive di quelle atmosfere drammatiche e d’autore insite nella musica dei primi album di Mark Lanegan (Screaming Trees), mentre la potenza aumenta col in passare dei minuti prima del capitolo finale.
Non ci sono cali di tensione tra lo spartito dell’album e l’ alternanza tra parti intimiste e rabbiosi sfoghi alternative rock riempie di umori e colori sfocati la musica dei Peak.
Un disco molto sentito ed emozionale, con un paio di brani che il rock aggressivo rende  più agevoli all’ascolto (Fox 2: Anthem for a Doomed Youth e The Mole), ma che trova nel filone poetico e malinconico di matrice statunitense la sua massima ispirazione (A Life in a Breath e la title track).
Into Your Veins va assaporato con attenzione per far vostre le atmosfere intrise di poetico disagio che i Peak riescono creano con maestria.

TRACKLIST
1.Siren’s Silly Prayer
2.Into Your Veins
3.Dark Hour
4.A Life in a Breath
5.Fox 2: Anthem for a Doomed Youth
6.Waiting Over
7.White Stone
8.The Mole
9.Siren’s Silly Prayer (Acoustic)

LINE-UP
Simone Careglio – Vox & Guitar
Enrico Inri Lo Brutto – Guitar
Emanuel Tschopp – Bass
Roberto Cadoni – Drums

PEAK – Facebook
URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

Flayed – XI Million

La Kaotoxin, etichetta di norma orientata verso sonorità estreme, immette sul mercato il nuovo ep dei francesi Flayed, un combo che, alle sonorità hard rock settantiane, aggiunge una verve moderna per un risultato assolutamente travolgente.

La Kaotoxin, etichetta di norma orientata verso sonorità estreme, immette sul mercato il nuovo ep dei francesi Flayed, un combo che, alle sonorità hard rock settantiane, aggiunge una verve moderna per un risultato assolutamente travolgente.

XI Million è il terzo lavoro per il gruppo, dopo essersi lasciato alle spalle Symphony for the Flayed, esordio del 2014, e Monster Man dello scorso anno, un mini cd di cinque tracce che conferma la bravura della band nel saper miscelare attitudine old school con un suono al passo coi tempi.
Si potrebbe pensare all’ ennesima rivisitazione dei suoni vintage alla moda in questi anni, ed in parte è vero, non fosse per il talento del gruppo nel saper creare brani dall’appeal mostruoso, con l’ hammond a comandare le operazioni, un taglio americano nei chorus e nel guardare al blues come una delle fonti d’ispirazione, ma non dimenticando la scuola hard rock europea.
Deep Purple, The Black Crowes, i nuovi dei dell’hard rock come gli Inglorious, un pizzico di rock americano alla Foo Fighters e Eleven Million, Trend Is Over, e soprattutto la bluesy Fortunate Son, prendono il volo verso lidi dove l’hard rock è il re incontrastato, complice un taglio american style da far invidia al corvo nero dell’ ormai immortale Remedy (da quel capolavoro che è The Southern Harmony And Musical Companion).
La bio parla di Ac/Dc, personalmente ci trovo poco, non fosse per l’ importantissimo lavoro dell’organo e qualche accenno al soul che porta il gruppo attraverso l’oceano verso il punto esatto dove sfocia il Mississippi: ascoltatelo e fateci sapere.

TRACKLIST
1. XI Million
2. Eleven Million
3. Trend Is Over
4. Fortunate Son
5. Shoot the Trail
6. Rollin’ Monkey

LINE-UP
Renato Di Folco – vocals
Eric Pinto – guitars
Julien Gadiolet – guitars
Charly Curtaud – bass
Raphaël Cartellier – Hammond organ
Jean-Paul Afanassief – drums

FLAYED – Facebook

https://soundcloud.com/kaotoxin/flayed-eleven-million

Buzzard Canyon – Hellfire & Whiskey

Un lavoro sui generis, dalle buone atmosfere e qualche anthem carico di allucinato hard rock, ma dedicato a chi del genere vuole ascoltare veramente tutto.

Poche notizie ma tanto stoner rock per la band del Connecticut Buzzard Canyon, in questo autunno fresca di stampa con il nuovo Hellfire & Whiskey.

Un ep omonimo uscito lo scorso anno è l’unico dato tangibile sul passato del gruppo, e la firma per Salt Of The Earth e l’entrata in studio per registrare questo nuovo lavoro ne sono la conseguenza, mentre i musicisti attraversano il deserto americano con l’autoradio che a bomba spara Kyuss, Queen Of The Stone Age e compagni di avventure nel mezzo della Sky Valley.
Hellfire & Whiskey segue le avventure musicali stonate dei paladini dello stoner rock anni novanta e, passo dopo passo, seguono le impronte lasciate sulla sabbia da Josh Homme e soci.
Poco più di mezz’ora rimembrando trip risalenti ad una ventina di anni fa, con la voce della singer che, alternata a vocalizzi maschili sinceramente più consoni al genere, ripercorrono sentieri bruciati dal sole con brani ordinari come Highway Run e Wyoming, con un solo picco che per un poco allontana la band dal deserto americano per seguire la bruma britannica nel riff di Louder Than God, che sa tanto di Cathedral con la benedizione del sommo pontefice Lee Dorrian.
Un lavoro sui generis, dalle buone atmosfere e qualche anthem carico di allucinato hard rock, ma dedicato a chi del genere vuole ascoltare veramente tutto.

TRACKLIST
1.Highway Run
2.Soma’ Bitch
3.Red Beards Massacre
4.Wyoming
5.Louder Than God
6.The End
7.Feathered Serprent
8.Not My Cross

LINE-UP
Matt Raftery
Randy Dumas
Aaron Lewis
Amber Leigh
Mike Parkyn

BUZZARD CANYON – facebook

Glory Of The Supervenient – Glory Of The Supervenient

Un progetto estremamente interessante e potente, un ponte lanciato fra diversi stili di musica, con in comune la volontà di progressione musicale ed umana, verso ciò che abbiamo sopra e sotto di noi.

Quando la musica si fonde con il pensiero, e le note seguono e svolgono fili e curve allora siamo di fronte a qualcosa di nuovo e straordinario.

La prima fatica dei Glory Of The Supervenient è un disco molto vario e con tante cose dentro. La struttura è quasi impro, con un grande sentimento di prog , e nelle canzoni possiamo trovare metal, post rock, elettronica e anche minimalismo di scuola italica. Il gruppo nasce dalla mente del batterista milanese Andrea Bruzzone, che agli albori del 2015 comincia a scrivere i brani che andranno a comporre il disco. Il disco è un bel labirinto di suoni ed immagini sonore, con lo scopo di compiere un viaggio verso entità diverse rispetto al normale. Bruzzone si è dichiaratamente ispirato all’opera di Severino, un filosofo fondamentale per il nostro tempo, che ha aperto nuove vie nel pensiero umano, ed infatti questo disco è molto incline a far pensare, ad azionare leve ed ingranaggi del nostro cervello che raramente usiamo. La stimolazione neuronale è data dalla forza immaginativa di questa musica che traccia linee nello spazio, dopo qualsiasi accordo ci veniamo a trovare di fronte a sorprese che rendono il disco davvero ricco e da ascoltare più e più volte. La calma, la rabbia, il progredire ed il trovarsi in altri panni, la necessità di ritrovare la Gioia, che abbiamo perduto a causa di pensieri sbagliati.
Un progetto estremamente interessante e potente, un ponte lanciato fra diversi stili di musica, con in comune la volontà di progressione musicale ed umana, verso ciò che abbiamo sopra e sotto di noi.

TRACKLIST
1. I: The Destiny
2. Flexing The Inflexible
3. Identites
4. Infinte Tangles
5. Through The Circles
6. Encoutering The Encouterer
7. Firewood \ Ash
8. Isolated Earth
9. The Background
10. Connections
11. Path Of The Night

LINE-UP
Andrea Bruzzone – Drums, Virtual Instruments Programming.
Angelo ” Otus Dei “Girardello – Bass.
Mauro Scarfia – Sound Design.

GLORY OF THE SUPERVENIENT – Facebook

Widow Queen – A Matter Of Time

Tutto viene esposto con una maturità sorprendente, conquistando al primo ascolto, mentre echi post grunge continuano a giocare con il metal alternativo

Mi sono trovato recentemente davanti ad una delle tante deliranti affermazioni (fatta da un musicista) secondo cui il grunge avrebbe distrutto il rock ‘n’ roll ed il metal, assurdità che negli anni novanta era prassi leggere sulla carta stampata dell’epoca.

Questa immane stupidata riesce sempre, anche a distanza di anni, a farmi arrabbiare non poco, anche perché chi ha vissuto l’ultimo decennio del millennio scorso sa che forse solo negli anni ottanta si è potuto godere di così tanto rock sui canali musicali e non solo.
Sono i primi anni novanta, da Seattle una bomba rock viene lanciata sul mondo, ed il grunge diventa in poco tempo il genere di punta del rock americano e del mercato mondiale.
Dopo la fiammata durata qualche anno, un’altra ondata di gruppi segue la strada tracciata dal Seattle sound, con l’alternative che ora regna incontrastato, ma questo scontro finisce in una alleanza che porta ad un rock ancora più malinconico, destabilizzato da umori alternativi e crossover, anche se i gruppi che fanno la voce grossa mantengono un legame forte con i loro predecessori: nasce così il post grunge genere che continua ancora oggi a deliziare il palato degli amanti del rock moderno made in U.S.A.
E di post grunge si parla per la musica creata dai napoletani Widow Queen, trio formato dai fratelli Pellegrino, Amedeo (voce e basso) e Rosario (chitarra), con il fondamentale contributo di Riccardo Bottone alle pelli.
La band, tramite la Volcano Records debutta sulla lunga distanza con A Matter Of Time, album maturo e ben congegnato che si muove tra i meandri del rock che ha fatto storia aldilà dell’Atlantico, tra grunge e alternative, potente ma con un’anima intimista che si avvicina alle produzioni a cavallo dei due millenni: più solari degli Staind ma molto più oscuri dei Nickelback, per esempio, con il metal a guidare la sei corde ed il groove a potenziare le parti più energiche.
Partono alla grande i Widow Queen, con una label in ascesa nel panorama rock/metal nazionale e la presenza di Mark Basile dei DGM sulla bellissima Watch Over Me, brano che (sarà un caso) si assume l’onere di presentare tutte le sfaccettature del sound del gruppo campano.
Momenti acustici dai tratti intimisti lasciano spazio ad esplosioni di metallo moderno e potente, ariosi arpeggi che non mancano di emozionalità fanno preludio all’entrata in campo della voce, perfetta e e dagli umori a tratti rabbiosi e drammatici, con il trio che infiamma l’ascolto creando atmosfere di rock alternativo che, nel piccolo capolavoro Moments, si avvicinano ai System Of A Down.
Tutto viene esposto con una maturità sorprendente, conquistando al primo ascolto, mentre echi post grunge continuano a giocare con il metal alternativo, con l’opener Faith e Before the Day Falls che non mancheranno di fare breccia nei cuori dei rockers con ancora almeno una camicia di flanella nell’armadio.
Ottimo lavoro in barba a chi ancora nel 2016 vuole costruire assurdi muri ed imprigionare le sette note, noi saremo sempre dalla parte della buona musica da qualunque genere essa provenga.

TRACKLIST
1.Faith
2.Truth
3.By Your Side
4.Alive
5.Watch Over Me (feat. Mark Basile)
6.Moments
7.Liar King
8.Oxygen
9.Before the Day Falls
10.What Else Remains

LINE-UP
Amedeo Pellegrino – Bass, guitars, voice
Rosario Pellegrino – Guitars, voice
Riccardo Bottone – Drums

WIDOW QUEEN – Facebook

The Outlaws – Legacy Live

Legacy Live è il perfetto sunto della carriera di uno dei gruppi storici del southern rock classico

Si parla di southern rock sulle pagine di MetalEyes, pallino del sottoscritto e genere che negli States equivale alla canzone melodica in Italia, non solo per popolarità ma soprattutto come forma culturale di un paese dai molti Stati e dalle mille contraddizioni.

Una storia, quella della musica nata nel sud, che dura da cinquant’anni e che ha visto i gruppi più famosi diventare delle autentiche star, con in testa gli dei Lynyrd Skynyrd della famiglia Van Zant e poi una dietro l’altra numerose band, tra cui i The Outlaws.
Nati nel 1972 a Tampa, in Florida i The Outlaws sono diventati in poco tempo uno dei gruppi più amati della scena: la loro storia è stata attraversata da numerosi cambi di line up, tragedie ed un successo che ha avuto il suo apice con i primi album usciti nel decennio settantiano e continuato nei primi anni ottanta; poi il calo fisiologico, un primo ritorno inaspettato, vari album live e una serie di compilation che hanno mantenuto inalterata la popolarità, specialmente tra gli amanti del genere.
L’interesse per il southern rock, risvegliatosi negli ultimi anni con i ritorni di alcuni gruppi storici e grazie alla nascita di alcune ottime band, che hanno riscosso un enorme successo in patria (Blackberry Smoke e Whiskey Myers su tutti), hanno rinvigorito pure il sestetto di Tampa, fuori con questo nuovo doppio live e con un tour che li porterà in giro per i teatri statunitensi tra settembre e la fine dell’anno.
Il gruppo, capitanato dal frontman Henry Paul, ci porta per due ore in giro per la frontiera americana, tra atmosfere western, rock pregno di blues e classiche ballate dal retrogusto country in un ennesimo rito, dove il rock sudista si crogiola con una delle sue massime espressioni.
Da una band con così tanti anni sulle spalle e molti brani diventati classici del genere ci si aspetta una rivisitazione dei più importanti momenti e così accade anche in Legacy Live, alternando qualche brano più recente a titoli che sono punti fermi della storia del gruppo come There Goes Another Love Song, (Ghost) Riders In The Sky, la leggendaria Freeborn Man e l’inno South Carolina.
Legacy Live è il perfetto sunto della carriera di uno dei gruppi storici del southern rock classico, genere amato da almeno cinque generazioni là, dove il sole brucia le gole bagnate dal whiskey, il vento trasporta le palle di fieno e i tramonti sono spettacoli indimenticabili vicino al fuoco che arde e scalda i cuori.

TRACKLIST
CD 1
1. Intro
2. There Goes Another Love Song
3. Hurry Sundown
4. Hidin’ Out In Tennessee
5. Freeborn Man
6. Born To Be Bad
7. Song In The Breeze
8. Girl From Ohio
9. Holiday
10. Gunsmoke
11. Grey Ghost

CD 2
1. South Carolina
2. So Long 3. Prisoner
4. Cold Harbor
5. Trail Of Tears
6. It’s About Pride
7. Waterhole
8. Knoxville Girl
9. Green Grass & High Tides Forever
10. (Ghost) Riders In The Sky

LINE-UP
Henry Paul – guitars, vocals
Monte Yoho – drums
Chris Anderson – lead guitar, vocals
Randy Threet – bass, vocals
Dave Robbins – keyboards, vocals
Steve Grisham – lead guitar, vocals

THE OUTLAWS – Facebook

Whiskey Myers – Mud

La band giunge al quarto album più in forma che mai e non era facile supporre che, dopo i fasti di Early Morning Shakes, Cannon e compagni tornassero con un lavoro così suggestivo.

Premessa: Cody Cannon è il più grande vocalist dietro al microfono di una southern rock band di questi primi anni del nuovo millennio, e questo porta già i Whiskey Myers ad avere una marcia in più sulle altre realtà, giocandosela alla pari con i loro alter ego Blackberry Smoke.

Se poi sommiamo un songwriting ispiratissimo che porta il gruppo, con il nuovo lavoro, ad esplorare una varietà di atmosfere e sfumature che passano dalle tragiche trame semi acustiche della title track al solare andamento sostenuto dai fiati della gradevole Lightning Bugs And Rain’, e al rock pregno di blues e soul di Deep Down In The South (e siamo solo alla quarta traccia), capirete bene che siamo al cospetto di un’altra perla in arrivo sul binario del rock sudista dalla ridente cittadina di Palestine, Texas.
Prodotto da Dave Cobb, che i rockers di nuova generazione ed ispirazioni settantiane ricorderanno sui lavori degli splendidi Rival Sons, Mud esce prepotentemente dalle paludi e, ripulito dalla melma, corre verso la frontiera nelle sue vesti di emozionale, tradizionale, semplicemente perfetta musica rock americana, tra folk, blues, bluegrass e southern d’autore.
La band giunge al quarto album più in forma che mai e non era facile supporre che, dopo i fasti di Early Morning Shakes, album uscito un paio di anni fa, Cannon e compagni tornassero con un lavoro così suggestivo.
Pura poesia southern, Mud è forse il disco più introspettivo ed intenso del gruppo americano, pregno di un’atmosfera malinconica che esce dagli strumenti anche nei brani più movimentati ed elettrici (Some Of Your Love).
C’è spazio pure per un ospite d’eccezione e Frogman, blues rock elettrico, richiama chi ha aiutato nella stesura del brano i cinque cowboy di Palestine: Rich Robinson ed i suoi Black Crowes.
In Hank, Cannon tira fuori dal cilindro una prestazione magnifica , mentre la band si congeda con la ballad Good Ole Days, che profuma di distillerie clandestine prese d’assalto, prima che il tramonto sull’album si sia trasformato in una notte stellata ed il tasto play funga da nuova alba per questo ennesimo, bellissimo capitolo della storia discografica di una grande band.

TRACKLIST

1. On The River
2. Mud
3. Lightning Bugs and Rain
4. Deep Down In The South
5. Stone
6. Trailer We Call Home
7. Some Of Your Love
8. Frogman
9. Hank
10. Good Ole Days

LINE-UP

Cody Cannon – Vocals, Guitars
Cody Tate – Guitars, vocals
John Jeffers – Guitars
Gary Brown – Bass
Jeff Hogg – Drums

VOTO
8.50

URL Facebook
http://www.facebook.com/whiskeymyers

Elemento – Io

Un gran bel disco, fatto di grandi melodie e di un metal davvero progressivo.

Disco giustamente ambizioso che esplora i sentimenti umani, usando come sonda un metal progressivo unito a djent, mathcore e tanto altro.

In questo viaggio siamo guidati da Time, una figura umanoide che mostra al protagonista un’ampia gamma di sentimenti umani. Provenienti da una provincia italiana, e non serve sapere quale, gli Elemento parlano molto bene con la loro musica, che è un gran bel viaggio tra vari generi, rimanendo sempre nell’universo dello strumentale. Come i grandi dischi Io deve essere sentito molte volte, poiché si articola su diversi livelli, riuscendo ad esprimere molte emozioni, ricercando la natura profonda dell’uomo. Come in un processo alchemico la natura umana viene processata attraverso vari stadi, dove cambiando stato raggiunge il suo vero io. Gli Elemento riescono a rendere benissimo un discorso musicale che non è per nulla semplice, poiché oltre a trattare generi difficili, se non viene composto bene risulta confuso, mentre invece le loro melodie escono sgorgando come in una fresca sorgente. Un gran bel disco, fatto di grandi melodie e di un metal davvero progressivo.

TRACKLIST
1.Life – Izanagi
2.Violence – Vehement Mantra
3.Fear – Consuming The Light
4.Hate – Energy Flows
5.Wrath – The Eraser
6.Corruption – Infinite
7.Wrong – Paranoia
8.Death – Foreshadow
9.Nobility – In Reality
10.Courage – Create!
11.Love – Severance
12.Peace – Clear Mind, Clear Thoughts
13.Truth – Upside Now
14.Right – Old
15.Time – Spirit Of Fire

LINE-UP
Rick – Guitar
Nick -Guitar
Thomas -Drums

ELEMENTO – Facebook

VV.AA. – We Still Rock – The Compilation

Questa eccellente iniziativa non va assolutamente trascurata, il livello dei protagonisti e la bellezza delle canzoni contenute ne fanno un cd da custodire gelosamente

L’hard rock melodico ha sempre avuto scarsa fortuna nel nostro paese, sempre poco ricettivo nei confronti del metal/rock e confinato nell’underground in compagnia di tutti i generi che compongono la nostra musica preferita.

Eppure anche l’ Italia può contare su numerosi talenti che dell’anima melodica dell’hard rock fanno il loro credo, supportati dalle webzine di riferimento tra le quali i nostri colleghi di MelodicRock.it sono sicuramente i più accreditati.
Lo scorso anno, proprio in collaborazione con la famosa ‘zine, la label Tanzan Music ha prodotto il brano We Still Rock, creato e suonato da un gruppo di musicisti della scena nazionale sotto il monicker di I.F.O.R. (Italian Forces of Rock) proprio per omaggiare la webzine e tutti i fans della scena melodica mondiale.
A distanza di un anno questa splendida iniziativa è diventata qualcosa di più, grazie ad un concerto/evento il 1 Ottobre al Grindhouse di Padova, con i britannici Vega come headliners della serata.
Ora We Still Rock trova la chiusura del cerchio con questa compilation, che vede, oltre al brano degli I.F.O.R., una serie di inediti e versione rivisitate suonate da una buona fetta del meglio che la nostra scena può vantare in fatto di hard rock melodico, con i Vega a fare da padrini con la versione acustica di Every Little Monster.
Questa bellissima raccolta non poteva che partire con We Still Rock, stupendo brano da arena rock che vede come detto la partecipazione di musicisti dallo smisurato talento, ma il bello non finisce qui e farsi cullare dalle sontuose note di Together As One dei Laneslide o dalle trame dei tasti d’avorio di Love Nest dei Wheels Of Fire è un attimo.
Non mancano gruppi che per i lettori di MetalEyes (magari più indirizzati a sonorità estreme o metalliche ma che seguono i deliri del sottoscritto, amante della buona musica a prescindere dai generi) dovrebbero essere famigliari, come i clamorosi Soul Seller e la versione alternativa di Memories, tratta da quello scrigno di emozioni che risulta il loro ultimo Matter Of Faith, gli Alchemy con la grintosa Revolution e per concludere gli Highway Dream con Runaway.
Nel mezzo un apoteosi di classic hard rock, aor, arena rock e tanto talento che sprigiona da canzoni di rara bellezza come Gotta Get Away dei Charming Grace e Walk Away, emozionante tripudio di melodie dai grandiosi Danger Zone.
Questa eccellente iniziativa non va assolutamente trascurata, il livello dei protagonisti e la bellezza delle canzoni contenute ne fanno un cd da custodire gelosamente e imperdibile per gli amanti del genere, ma anche per quelli che hanno a cuore le sorti della scena underground.

TRACKLIST
01. I.F.O.R. – We Still Rock
02. Vega – Every Little Monster (Acoustic Version)
03. Laneslide – Together As One
04. Wheels Of Fire – Love Nest (Acoustic Version)
05. Alessandro Del Vecchio – Strange World
06. Charming Grace (feat. Nick Workman) – Gotta Get Away
07. Danger Zone – Walk Away (2016 Version)
08. Room Experience – No Time Yet For Lullaby (Alternative Vocals Version)
09. Soul Seller – Memories (Alternative Mix)
10. Hungryheart – Nothing But You (Acoustic Version)
11. Alchemy – Revolution
12. Highway Dream – Run Away

TANZAN MUSIC – Facebook

Rock Wolves – Rock Wolves

Un progetto che gli amanti dell’hard rock non possono lasciarsi sfuggire, pregno di quella classe ad uso e consumo dei grandi, tra un talento innato per le melodie ed una grinta ancora perfettamente intatta nei tre protagonisti.

Da tre lupi dell’hard rock europeo che riuniscono le proprie forze sotto il monicker di Rock Wolves, tre musicisti che da quasi quarant’anni portano il loro talentuoso contributo alla causa dell’hard & heavy, cosa ne può scaturire se non ottima musica?

Per la Steamhammer/Spv esce il debutto omonimo dei Rock Wolves, trio che vede la collaborazione di Michael Voss, vocalist degli hard rockers Mad Max ed ex Casanova, con Gudze, bassista degli H-Blockx e lo storico batterista Herman Rarebell , dal 1977 al 1996 dietro alle pelli degli Scorpions (Lovedrive, Blackout e Love At First Sting non vi dicono niente?).
Rock Wolves è una raccolta di canzoni, improntate (e non potrebbe essere altrimenti) su un hard rock melodico, che bilancia perfettamente grinta e melodia, rock che sprigiona grinta, ma che sa essere elegante nelle sue numerose tracce dedicate alla parte più raffinata e melodica della musica dura.
Con un Voss in forma smagliante ed un songwriting che conferma il talento dei suoi creatori, l’album spazia tra le due anime del genere, mantenendo un approccio insito nella storia musicale del vecchio continente, tra accenni ai gruppi di cui i tre musicisti sono stati protagonisti ed una comunque profonda personalità.
E qui sta la differenza: dalla prima nota dell’opener Rock For The Nations l’opera sprigiona carisma, un’anima rock classica che apre il suo cuore alle melodie, mentre la sei corde affila gli artigli per ricordarci che qui si fa hard rock, nobile e sopraffino; Surrounded By Fool ci delizia con un refrain colmo di appeal ed un ritmo moderato ma scritto sulle tavole della legge del genere.
Out Of Time è un brano diretto, un pugno nel petto, prima che What About Love ci scaldi il cuore con le sue trame semi acustiche e The Blame Game offra alla sei corde un momento di gloria solista.
Si continua su livelli qualitativi molto alti, con un susseguirsi di tracce che da I Need You Love (Mad Max vs Gotthard) in poi regalano emozioni con il capolavoro Lay With Me, ariosa e varia tra parti acustiche ed irruenza elettrica, non prima di averci ipnotizzato con la ballad Nothings Gonna Bring Me Down.
Un progetto che gli amanti dell’hard rock non possono lasciarsi sfuggire, pregno di quella classe ad uso e consumo dei grandi, tra un talento innato per le melodie ed una grinta ancora perfettamente intatta nei tre protagonisti.

TRACKLIST
1. Rock For The Nations
2. Surrounded By Fools
3. Out Of Time
4. What About Love
5. The Blame Game
6. Riding Shotgun
7. Nothings Gonna Bring Me Down
8. The Lion Is Loose
9. I need Your Love
10. Lay With Me

LINE-UP
Michael Voss-guitar, vocals
Herman Rarebell-drums
Gudze-bass

ROCK WOLVES – Facebook