Enisum – Moth’s Illusion

Ci sono momenti di estrema commozione in questo disco, e a volte si ha persino l’ansia che questa musica scompaia all’improvviso, per quanto è bella.

Torna uno dei gruppi più significativi del black metal italiano e non solo, fautore di un black metal che trasporta lontano.

Strettamente legati alla natura e alla loro terra, la Val Di Susa, gli Enisum hanno sviluppato negli anni una poetica musicale unica ed immediatamente riconoscibile, partendo dal black metal per andare ben oltre, e questo ultimo disco è una pietra miliare della loro discografia, combinando insieme diversi elementi e portandoli ad un livello superiore. Nella musica di questo gruppo, che in un tempo relativamente breve ha saputo entrare nei cuori di molte persone, c’è una spiritualità che nasce anche dal fondere insieme vari generi e varie istanze. Il black metal, più che un genere, qui è un punto di partenza ed un sentimento dell’animo umano, una narrazione possibile. Partendo dal nero metallo gli Enisum trovano molte soluzioni sonore, e Moth’s Illusion è la sublimazione di un suono bellissimo e di un sentire e vedere la vita in un modo diverso. Il gruppo ci parla per immagini, costruendole come in un film e facendoci immergere nella nostra vera natura. Moth’s Illusion ha molti significati, ma il principale è forse quello di fermarsi e di ascoltare un battito che non nasce dal silicio, un respiro che viene dalla terra e dal quale siamo usciti anche noi, perché alla fine questo è un capolavoro folk, per quanto è vicino alla natura e al nostro cuore. Da tempo è in atto una guerra dentro noi stessi, nel tentativo di combattere la frattura che ci sta spaccando l’anima, smarriti i fra i vecchi dei che stanno perdendo terreno rispetto ai nuovi che vengono fuori da bytes e da tubi sotto l’oceano, facilitatori di una realtà fallace. Moth’s Illusion è un ritorno a ciò che potrebbe essere se fossimo più aderenti a quello che siamo sempre stati. Ci sono momenti di estrema commozione in questo disco, e a volte si ha persino l’ansia che questa musica scompaia all’improvviso, per quanto è bella. Rispetto agli altri lavori del gruppo si accentuano gli aspetti più melodici e al contempo epici del sound, bisogna però dire che, come per ogni album degli Enisum, la situazione è sempre diversa. E’ difficile ed insieme magnifico parlare di un disco così, che fa piangere e pensare, commuovere e lottare, e che è da sentire dall’inizio alla fine.

Tracklist
1.Cotard
2.Anesthetized Emotions
3.Where Souls Dissolve
4.Afframont
5.Moth’s Illusion
6.Last Wolf
7.Ballad of Musinè
8.Coldness
9.Petrichor
10.A Forest Refuge
11.Lost Again Without your Pain
12.Burned Valley

Line-up
Lys-guitars,vocal
Leynir-bass
Dead Soul-drum
Epheliin-female vocal

ENISUM – Facebook

Ars Onirica – I: Cold

E’ solo con l’opportuno approfondimento del contenuto di I: Cold che si può cogliere appieno il valore di questa magnifica prima opera su lunga distanza degli Ars Onirica, altra band che si aggiunge ad una scena italiana contigua al doom che sembra trovare ultimamente grande slancio e nuovi protagonisti.

Dopo una fugace apparizione all’inizio del secolo con l’interessante demo Utopia: A Winternight’s Traveller, arriva finalmente il primo lavoro su lunga distanza degli Ars Onirica, progetto solista di Alessandro Sforza, motore anche degli ottimi Invernoir.

I: Cold è un’opera che coniuga in maniera magistrale gli insegnamenti del melodic black/doom scandinavo e di quello italiano, per il quale l’inevitabile punto di riferimento sono i Forgotten Tomb.
Se i richiami alla storica band piacentina sono a tratti abbastanza evidenti, va detto che il tutto avviene tramite una rielaborazione quanto mai fresca ed efficace in ogni sua parte, con il risultato di mettere sul piatto una serie di brani trascinanti ed intensi grazie alla dote, certo non comune, di rendere particolarmente fruibile un sound che comunque affonda le proprie radici in ambito estremo.
L’album, in effetti, non è per nulla monolitico o scontato nel suo snodarsi, perché il musicista romano non rinuncia all’inserimento di rallentamenti di matrice puramente doom, così come di passaggi più rarefatti o acustici che hanno il pregio di non spezzare mai la tensione.
Se, poi, la buona immediatezza dei brani può suggerire una relativa profondità del lavoro, in realtà i ripetuti ascolti non ne attenuano l’impatto e si rivelano, anzi, necessari per apprezzare i frequenti cambi di ritmo e di scenario.
E’ così quindi che canzoni come In Between e Dust si ergono a probabili cavalli di battaglia in sede live, grazie ad un impatto ritmico travolgente, mentre i due brani centrali La Nave e In Gloom esibiscono diverse sfaccettature stilistiche che vanno da richiami agli imprescindibili Katatonia fino a spingersi nei pressi di un post black a tratti sognante, ma sempre e comunque intriso di un consistente impatto emotivo; Cold… è, invece, un breve e suggestivo episodio ambient che risulta l’ideale introduzione della già citata e dirompente Dust.
Un discorso a parte merita la magnifica traccia conclusiva The Loss, quello che può essere definito a buon titolo il brano dai tratti più doom incluso nell’album: anche qui Sforza dimostra la propria dimestichezza con tutti i lati più oscuri del metal esibendo sonorità più malinconiche e dolenti.
Anche se a un ascolto distratto potrebbero spiccare nell’immediato i riferimenti alle band di spessore già citate, è solo con l’opportuno approfondimento del contenuto di I: Cold che si può cogliere appieno il valore di questa magnifica prima opera su lunga distanza degli Ars Onirica, altra band che si aggiunge ad una scena italiana contigua al doom che sembra trovare ultimamente grande slancio e nuovi protagonisti.

Tracklist:
1 Intro
2 In Between
3 La Nave
4 In Gloom
5 Cold… (Return To Nowhere)
6 Dust
7 The Loss

Line-up:
Alessandro Sforza

ARS ONIRICA – Facebook

Totalitarian – Bloodlands

Non c’è un momento di resa, di pausa o di stanca, il sangue scende copioso come un fiume e non possiamo fare a meno di continuare a guardare il massacro, incalzati da un qualcosa che ci fa spingere oltre.

Sei pezzi brutali e sanguinari per descrivere campi di sangue che cola e i gemiti di chi sta morendo dopo la battaglia, o dopo qualche sterminio.

Il secondo disco degli italiani Totalitarian è una sequela di esplosioni del black metal più selvaggio e senza compromessi, rifacendosi alla tradizione con uno stile originale e per certi versi innovativo. Il gruppo romano continua ciò che aveva cominciato con il debutto del 2017 De Arte Tragoediae Divinae, un disco già notevole, ma che viene surclassato da questo sterminio musicale. Il black dei Totalitarian è una massa fisica di notevole dimensioni, che vuole portare dentro il male, sviscerandolo e rendendolo presente e doloroso. Chi ascolta black metal sa che il genere può avere infinite declinazioni, ma ci sono pochi gruppi che lo rendono qualcosa di tangibile, ed i Totalitarian sono fra questi. Il disco ci porta sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale, nel ghetto di Varsavia o nei campi dei massacri di Babij Jar in Ucraina, ovunque l’uomo stermina i suoi simili in un immenso sacrificio. Il suono e l’epica dei Totalitarian potrebbe essere definito war metal, ma è qualcosa di più profondo, perché il loro black è di un altro livello rispetto alla media dei dischi di war metal, e anche i testi hanno una profondità notevole. Bloodlands non è un disco fatto per scioccare, ma è un affresco del male, sul male e fatto attraverso il male. Nell’album si sentono vari sottogeneri di black metal, da quello più ortodosso a cose più vicine al death: non c’è un momento di resa, di pausa o di stanca, il sangue scende copioso come un fiume e non possiamo fare a meno di continuare a guardare il massacro, incalzati da un qualcosa che ci fa spingere oltre. Arricchisce notevolmente il disco una sorta di coro tragico greco, ovvero un elemento narrativo che compare a rafforzare alcuni passaggi della narrazione musicale attraverso voci che sono celestiali e letali. Un disco che vuole far male e ci riesce in pieno.

Tracklist
1.1933
2.On The Wings Of The Great Terror
3.Defeated, Destroyed And Divided
4.Liberators
5.Of Bullets And Gas
6.Deathcult Eternal

TOTALITARIAN – Facebook

Funereal Presence – Achatius

Nei Funereal Presence, Bestial Devotion compone ogni singola nota, si occupa di ogni strumento e ci propone un’opera assolutamente personale, votata all’esaltazione di un black metal feroce, viscerale, contorto, sempre dalla forte componente raw.

Seconda prova, a distanza di cinque anni dall’esordio “The archer takes aim”, di Funereal Presence, abominio black metal di Bestial Devotion, one man band, normalmente al drum kit nei Negative Plane, multiforme creatura americana ferma discograficamente dal 2011 con Stained Glass Revelations.

Nei Funereal Presence, Bestial Devotion compone ogni singola nota, si occupa di ogni strumento e ci propone un’opera assolutamente personale, votata all’esaltazione di un black metal feroce, viscerale, contorto, sempre dalla forte componente raw; in passato dichiarò di “suonare musica che nessuno fa più” e devo dire che l’ascolto di queste quattro lunghe tracce, sopra i dieci minuti, ci immerge in un mondo parallelo, dove non vi è spazio per nessun suono post o moderno. Brani infiniti, condotti da una chitarra “insaziabile”, capace di cavalcate inafferabili, articolate, sgraziate anche, ma dal fascino impareggiabile… ci si mmerge in un mondo cavernoso dove una bestia arcaica libera la sua furia iconoclasta, facendoci assaggiare immonde e dissonanti melodie. Una produzione adeguata, assolutamente non moderna, ma funzionale completano un platter che non colpisce immediatamente e, che come ogni opera di valore, si apre dedicandoci il giusto tempo e attenzione, circondati quotidianamente da grandi quantità di materiale estremo, in questo caso è necessario riportare il nostro pensiero alle origini del suono black incompromissorio, con la giusta attitudine, oscuro e “pericoloso”. Sembra di tornare ai primi anni ’90 per la ferocia e la competenza che Bestial Devotion mette in ogni brano dove si alternano parti furiose e parti cadenzate; i brani sono tutti di buon livello e mantengono alta l’attenzione, a patto che ci si ponga con la giusta attitudine, non ricercando suoni che all’artista non interessano.

Tracklist
1. Wherein Achatius Is Awakened and Called Upon
2. Wherein a Messenger of the Devil Appears
3. Wherein Seven Celestial Beasts Are Revealed to Him
4. Wherein Achatius Is Flogged to the Hills of Violation

Line-up
Bestial Devotion – Everything

FUNEREAL PRESENCE – Facebook

Temple Koludra – Seven! Sirens! To a Lost Archetype

Un’ora di discesa negli antri più bui, dove il metal estremo di matrice black si impregna di misticismo indiano nel suo discendere negli oscuri antri di un tempio dimenticato in cui leggende e storie si tramandano da millenni.

Duo dedito ad un ferale black metal che non disdegna atmosfere ambient, i Temple Koludra esordiscono sulla lunga distanza con Seven! Sirens! To a Lost Archetype, lavoro che arriva dopo un paio di ep distanti sei anni uno dall’altro.

M:W, polistrumentista, e I.H. alla voce sono i sacerdoti di questo rituale estremo, oscuro e terrificante che trova la sua forza nelle ispirazioni di matrice scandinava nella parte più metallica della propria musica, soggiogata e manipolata in favore di un’aura atmosferica che valorizza gran parte dell’album.
Un’ora di discesa negli antri più bui, dove il metal estremo di matrice black si impregna di misticismo indiano nel suo discendere negli oscuri antri di un tempio dimenticato in cui leggende e storie si tramandano da millenni.
Il sound ha nelle parti atmosferiche il suo punto di forza, ma non manca di cavalcate dal crescendo di maligna brutalità: Vanja, Namarupa e la conclusiva White I Trance sono le tracce che lasciano il segno in questa ora di musica estrema che trova nel black metal mistico ed oscuro la sua massima espressione.

Tracklist
1.Trimurti
2.Vajra
3.Grey Apparition
4.Namapura
5.This Diadem Will Last
6.Vertigo
7.White I Trance

Line-up
M:W – All instruments
I.H. – Vocals

TEMPLE KOLUDRA – Facebook

Nirnaeth – From Shadow to Flesh

I Nirnaeth con From Shadow To Flesh confermano l’ottima salute della scena estrema francese e regalano un album convincente, a tratti devastante, oscuro e melodico, perfettamente in grado di tenere botta in tutta la sua durata.

Come spesso accade all’ascolto del metal estremo proveniente dalla terra dei cugini francesi siamo al cospetto di un buon lavoro, indubbiamente legato ai cliché del death/black metal, di matrice Behemoth in primis, ma comunque ben orchestrato e dalle maligne atmosfere.

Stiamo parlando di From Shadow To Flesh, ultimo e quarto lavoro dei Nirnaeth; la band di Lille conferma dunque quanto di buono aveva dato in pasto agli amanti del metal estremo in passato e sforna nove inni oscuri, licenziati dalla Malpermesita Records, nove potenti bordate death/black che si fanno apprezzare per impatto, buone melodie incastonate tra la tempesta di ritmiche veloci, mid tempo ed atmosfere di nero colorate.
Non solo i maestri Behemoth, signori incontrastati del genere, fanno capolino tra il diabolico spartito dei Nirnaeth, ma anche la scuola scandinava è ben rappresentata da melodie che ricordano i Dissection (in molti suoni di chitarra) ed i Naglfar.
Ottimo il cantato, maligno, cattivo ed interpretativo il giusto per non apparire come un lungo monologo in scream, suggestivo quanto basta per aprire squarci infernali tra le note delle efferate The Crater, In Nomine Ego e Once A Shadow.
I Nirnaeth con From Shadow To Flesh confermano l’ottima salute della scena estrema francese e regalano un album convincente, a tratti devastante, oscuro e melodico, perfettamente in grado di tenere botta in tutta la sua durata.

Tracklist
1. Dying of the Day
2. Been thereBefore
3. The Crater
4. Cursed
5. In Nomine Ego
6. Nihil in Me
7. Once a Shadow
8. Posession
9. Forgotten and Chaines

Line-up
Zigouille – Vocals
Mutill – Guitars
Vagorn – Drums
Marbas – Guitars
Malaria – Bass

NIRNAETH – Facebook

Arckanum – Första Trulen

Första Trulen non riveste solo una valore puramente storico per i cultori e collezionisti del black metal delle origini, perché da un punto di vista musicale possiede un notevole fascino ancestrale che va necessariamente colto, al netto di una registrazione che sembra davvero provenire da un vecchio mangianastri con le testine usurate dal tempo.

Första Trulen non è esattamente l’ennesima riedizione del demo Trulen degli Arckanum uscito nel 1994, bensì contiene la prima registrazione che poi Johan Lahger (Shamaatae per gli annali musicali) scartò non essendo soddisfatto della sua resa; si tratta comunque un documento decisamente interessante in quanto esemplificativo dell’evoluzione del black metal dai primi anni 90 fino ad oggi.

Ovviamente siamo al cospetto di un lavoro che, per sua natura, non solo conserva ma acuisce le stimmate del demo e per questo sarà possibile rinvenirvi il genere nella sua forma più pura ed incontaminata, nel bene (attitudine e spontaneità) e nel male (resa sonora a dir poco approssimativa).
Prendiamo quindi i lavori di punta offerti dal musicista svedese nel nuovo secolo (su tutti l’imprescindibile ÞÞÞÞÞÞÞÞÞÞÞ) e ammantiamoli di una robusta coltre di polvere e detriti a renderne meno limpidi i prodromi di quelle irresistibili progressioni che hanno reso importante il nome Arckanum: questo è quanto si rinviene in tale percorso a ritroso che ci porta agli antipodi dell’ultimo lavoro in ordine tempo (nonché probabile canto del cigno del progetto) Den Förstfödde, album in cui Shamaatae ha raggiunto probabilmente l’apice della sua maturità compositiva.
Första Trulen non riveste, quindi, solo una valore puramente storico per i cultori e collezionisti del black metal delle origini, perché da un punto di vista musicale possiede un notevole fascino ancestrale che va necessariamente colto, al netto di una registrazione che sembra davvero provenire da un vecchio mangianastri con le testine usurate dal tempo.

Tracklist:
1. Pan’s lughn (different version, without voices)
2. Hvila pa tronan min
3. Yvir min diupe marder
4. Et sorghe tog
5. Gava fran trulen
6. Bærghet
7. Ængin oforhærra
8. Svinna
9. Kolin Væruld
10. Ener stilla sior af droten min (different version)

Line-up:
Shamaatae

ARCKANUM – Facebook

Triste Terre – Grand œuvre

Interessante esordio di questo duo francese, capace di creare ambientazioni maestose, imponenti e ammantate da tristezza e nostalgia: un black avanguardistico intriso di suggestioni doom e funeral.

Varie suggestioni emana l’esordio dei Triste Terre, gruppo francese di recente costituzione, con tre EP all’attivo dal 2016: un avanguardistico black metal intriso di doom, aromi funeral, dissonanze e capacità di creare ambientazioni misteriose e maestose.

Naal, compositore delle musiche e dei testi, accompagnato da Varenne al contrabbasso e Lohengrin alla batteria, ci propone in quasi sessantacinque minuti musica molto interessante capace di costruire imponenti affreschi che potrebbero ricordare per alcuni aspetti il suono degli inglesi Lychgate. L’uso sapiente dell’organo apre scenari che trasportano chi ascolta in territori ricchi di pathos e orrore. La lunghezza dei brani, in media superiore ai dieci minuti, permette di addentrarsi in territori multidimensionali, dove la furia black (Corps Glorieux) si amalgama perfettamente con parti nostalgiche e ammantate di tristezza, che pervade comunque ogni nota dell’ opera. Ogni brano nel suo divenire nasconde idee, suoni che conquistano e ogni ascolto scopre partiture che non si erano evidenziate prima; lentamente il suono si apre a nuove sensazioni ed è come emergere da profondi abissi prima di scoprire la maestosità della proposta. Il suo essere avanguardistico non comporta momenti di stanca o di noia, anzi è una continua sfida lasciarsi sommergere da imponenti strutture che non mancano di potenza e di coesione e i brani sono perfettamente delineati nel loro saliscendi emozionale, sia quando guardano al suono black, sia quando le note si sciolgono in momenti atmosferici di gran pregio. La componente doom è ricca di tensione e talvolta deflagra in momenti death doom pregevoli; le armonie, alcune molto dolci, sono sempre coperte da una aura sinistra a creare ambientazioni malsane e non confortevoli (Luer émerite). Un debutto davvero interessante in una scena, quella francese, molto attiva e sempre con progetti atmosferici piuttosto personali.

Tracklist
1. Œuvre au noir
2. Corps glorieux
3. Nobles luminaires
4. Grand architecte
5. Lueur émérite
6. Tribut solennel

Line-up
Naâl – Bass, Guitars, Vocals, Songwriting, Lyrics
A.Varenne – Contrabass
Lohengrin – Drums

TRSITE TERRE – Facebook

Helheim – Rignir

Un lavoro strepitoso, di straordinaria fattura e di impressionante innovazione, ma non di immediata lettura. Lungi dall’album quindi, fugaci spettatori da un ascolto e via e dall’udito poco sensibile.

Risplende nuovamente la mitologia norrena, attraverso gli oltre 54 minuti di Rignir.

E come la tradizione spesso impone, ci viene trasmessa oralmente, attraverso i testi (rigorosamente in norvegese) del nuovo album degli Helheim. L’Edda del quartetto di Bergen, si dipana su 8 tracce, di puro ottimo Black Viking che non tradisce i fan, ma (mai come in quest’album) trova sinergie musicali con sonorità Gothic Rock (a modello di Joy Division e Bauhaus, per intenderci) e a tratti anche psichedeliche.
In Rignir, album decisamente più maturo rispetto ai precedenti (e sicuramente meno energico e violento se paragonato a Kaoskult, ad esempio), i nostri hanno maggiormente dedicato attenzione a dinamiche musicali più proprie di altri generi; brani più lenti, più doom, spesso costruiti su mid-tempo cadenzati, alternati a melodie melanconiche che sfiorano la tragicità, vengono qui spesso preferiti alle velocità tipiche del Black Metal.
Un album sicuramente più ricercato rispetto a tutta la produzione precedente. Sonorità che ballano tra l’Epic, il Viking, il Gothic Rock britannico e, a tratti, cupe psichedelie, vengono qui ben amalgamati – metaforicamente – in una lega musicale, dove il Black Metal rappresenta il metallo e, il resto, ne costituisce il mercurio.
V’gandr basso e voce (famoso anche per aver collaborato con Hoest nei Taake e con Infernus nei Gorgoroth), H’grimnir, chitarra e voce (ed autore anche della cover dell’album…), Hrymr alla batteria, costituiscono, oramai da 27 anni, il cuore degli Helheim. Con Reichborn alla prima chitarra, oggi giungono al loro decimo full-lenght.
Il primo brano, onestamente, può inizialmente portare un po’ fuori strada, spiazzando l’ascoltatore; la title-track di Viking ha davvero poco, e nulla di Black. E’ il vero pezzo Gothic Rock, suonato alla perfezione intendiamoci, ma, concedetemelo, più un brano accostabile ai Bauhaus, cantato dal Bowie più psichedelico. Il clean (come del resto per tutto l’album) la fa da padrone, pertanto non aspettatevi – se non per brevi tratti – l’imperversare dello scream o di un graffiante growl, sgorganti dall’ugola di un truce energumeno nordico armato d’ascia, nel nostro immaginario vichingo.
Ma è già con il secondo brano (Kaldr) che l’epicità maestosa dell’Helheim sound emerge prepotentemente. Il brano più Viking/Black di tutto l’album: brevi accelerazioni che danzano con i mid-tempo tipici del Black, e un H’grimnir in gran forma, con uno scream che forse avrà perso un po’ di potenza rispetto al passato, ma sempre e comunque di deciso impatto.
Un oscuro lentissimo psicotico arpeggio introduce Hagl. Un brano che a tratti pare un vero tributo ai Pink Floyd per il suo cadenzare psichedelico ed allucinogeno, e al primo post-punk dei Cure; corroborato da un’estrema oscura goticità che pervade i primi tre lentissimi e lamentosi minuti del brano (circa 10 in tutto), che fungono poi da preambolo al Viking dei successivi, introdotto dal rumorismo dell’insert di una cupa grigia pioggia nordica.
Con Snjova e Isud, l’imponenza della struttura Viking è davvero emblematica (come a dire sperimentiamo quanto si vuole, ma ricordatevi che i veri re del Viking Metal siamo noi); un canto che ci proietta all’epopea di Erik il Rosso o del terribile Ragnarr Loðbrók. Se nel primo brano lo scream Black è del tutto assente, in Isud appare e scompare fugacemente, con lo scopo – molto probabilmente – unicamente di “graffiare” l’udito dell’ascoltatore, e fargli percepire un tocco di malignità, piuttosto che permettergli di sublimare il fascino di uno degli elementi più tipici del genere in quanto tale.
Dà eco alle precedenti, Vindarblastr, che con il suo ottimo sostenuto blast beat Black, fa da sfondo ad una voce clean adornata dal tipico sottofondo di cupi cori, quasi liturgici, oramai radicata caratteristica dei Nostri.
Stormvidri è cupa e fredda come una giornata tipo, in quel di Bergen. Un affresco, a tinte Black, che esprime tutta la malinconica “meteorologia” della città norvegese, immersa nella fredda poggia dei fiordi (non a caso Rignir – rain).
Chiude il lavoro Vetrarmegin, il pezzo assolutamente più Black dell’album che, sopra un ossessivo tempo da marcia quasi militaresca, uno scream che sostituisce il clean delle precedenti tracce in toto, ed il classico sottofondo di cori Helheimiani, ci conduce per mano verso la fine di un viaggio epico, cupo e freddo, tra le desolate lande della contea di Hordaland.

Tracklist
1. Rignir
2. Kaldr
3. Hagl
4. Snjóva
5. Ísuð
6. Vindarblástr
7. Stormviðri
8. Vetrarmegin

Line-up
V’gandr – Bass, Vocals
Hrymr – Drums, Drum programming
H’grimnir – Vocals, Guitars (rhythm)
Reichborn – Guitars (lead)

HELHEIM – Facebook

Nasheim – Jord och aska

I Nasheim non sono paragonabili a nessun altro gruppo attualmente: la loro proposta di atmospheric black metal ha una trascendenza,un lirismo e una personalità senza pari.

Un fluire ininterrotto di pura emozionalità e una classe cristallina ci riportano all’ascolto della seconda opera di Nasheim, one man band svedese composta da Erik Grahn con l’aiuto di vari collaboratori, tra cui R.Bjornstrom alla batteria, Harper al violino e R.Shakespeare al cello.

Ogni singola nota e ogni parola sono create dal leader che, dopo lo splendido Solens Vemod del 2014, si è preso tutto il tempo necessario per far crescere la propria creatività e poter far fuoriuscire con personalità e forte identità il proprio spirito. Questa musica, o meglio arte, non può lasciare indifferente chi si accosta, qui ci sono note di atmosferico black metal che porta il genere a un livello superiore, e l’accostamento tra folk nordico e materia black genera un’opera molto curata, rifinita in ogni sua parte ma che rappresenta in toto l’anima dell’artista. Arte e vita si intrecciano e ci avvolgono continuamente in questi tre brani che rappresentano uno “stream of consciousness” trascendente, onirico e ipnotico. Durante l’ascolto sembra di entrare in un mondo parallelo dove nulla è definito e tutto è in continuo divenire e i venti minuti di Att Svava Jogg Sviderna sono lì a dimostrarlo. Non vi è sfoggio di tecnica particolare, esiste solo una forte espressività che avviluppa noi ascoltatori in una atmosfera quasi ultraterrena, dove bellezza e tensione sono in perfetto equilibrio. La musica fluisce libera, possente, l’alternanza tra clean vocals e scream è naturale, l’intreccio strumentale è fluido e spontaneo generando un miscuglio di emozioni tra speranza, disperazione che eleva la nostra coscienza a livelli superiori dove forse pensavamo di non poter mai arrivare. Lo struggente sviluppo del terzo e conclusivo brano Sank Mig I Tystnad dimostra ampiamente che i Nasheim non sono paragonabili a nessun altro gruppo attualmente: l’artista sviluppa un personale percorso nella costante ricerca di adamantina bellezza.

Tracklist
1. Att sväva över vidderna
2. Grå de bittert sådda skogar
3. Sänk mig i tystnad

Line-up
Erik Grahn – Bass, Guitars, Vocals

Der Weg Einer Freiheit – Live In Berlin

La prestazione del quartetto tedesco è impeccabile e coinvolgente, come dimostra anche l’approvazione da parte del pubblico presente, per cui non resta che ascoltare con enorme piacere questo sunto di una discografia che è ancora ascendente dal punto di vista qualitativo.

Non è così usuale che un band black metal pubblichi la registrazione di un concerto dal vivo, stante la frequente ritrosia da parte di musicisti della scena nell’esibirsi di fronte al pubblico.

Ma del resto non si possono considerare i Der Weg Einer Freiheit un gruppo come un altro, uno dei tanti che cerca con alterne fortune di procacciarsi i favori di un fetta di pubblico: questo combo guidato da Nikita Kamprad, nonostante sia attivo solo da un decennio, ha già alle spalle una discografia consistente e soprattutto uno status importante che lo colloca tra i nomi di punta del black metal tedesco.
Anche la collocazione in quest’ambito appare peraltro piuttosto forzata, visto che la band bavarese esibisce un sound che non lesina ampie aperture atmosferiche o momenti più rarefatti che, pur mantenendo ben solida e riconoscibile la matrice germanica, riconducono alle più oblique sonorità provenienti da oltreoceano per mano dei disciolti Agalloch piuttosto che dei Wolves In The Throne Room.
Il live in questione risale al 2017 e offre in circa un’ora e un quarto il meglio della produzione dei Der Weg Einer Freiheit, pescando in maniera equilibrata dai quattro full length pubblicati (quello omonimo d’esordio, Unstille, Stellar e Finisterre) con unica eccezione il brano Der Stille Fluss tratto dall’ep Agonie.
La prestazione del quartetto tedesco è impeccabile e coinvolgente, come dimostra anche l’approvazione da parte del pubblico presente, per cui non resta che ascoltare con enorme piacere questo sunto di una discografia che è ancora ascendente dal punto di vista qualitativo: tracce di intensità non comune come Einkehr (da Stellar) o la lunghissima Zeichen (da Finisterre) vengono citate solo a fini esemplificativi di quale sia lo spessore di questo eccellente gruppo.
Il presente album, peraltro, ha anche lo scopo di promuovere il tour europeo che i Der Weg Einer Freiheit stanno per intraprendere proprio in questi giorni per festeggiare il loro decennale e che, purtroppo, non toccherà la nostra nazione per cui, se non ci si vuole sobbarcare una lunga trasferta oltreconfine, l’unica maniera per godersi la musica di Kamprad e soci dal vivo resta quella di far proprio questo lavoro.

Tracklist:
1. Einkehr
2. Der stille Fluss
3. Repulsion
4. Skepsis Part I
5. Skepsis Part II
6. Ewigkeit
8. Aufbruch
9. Lichtmensch
10. Ruhe

Line-up:
Nikita Kamprad: guitars, vocals
Tobias Schuler: drums
Nico Rausch: guitars
Nico Ziska: bass

DER WEG EINER FREIHEIT – Facebook

Dominanz – Let The Death Enter

Let The Death Enter è un buon lavoro, oscuro, malato, con la ragione risucchiata da una insana predisposizione al male, con il quale i Dominanz hanno modellato un sound che risulta personale e fortemente estremo.

I Dominanz sono un quartetto estremo in arrivo da Bergen e non tradiscono la propria provenienza suonando un metal estremo di matrice death/black, strutturato su una componente tecno/industrial che rende l’atmosfera ancora più gelida.

La band, che ha da poco festeggiato i dieci anni di attività, dà alle stampe il terzo full length, successore di quel Noxious uscito cinque anni fa ed accolto benissimo da critica e fans.
Il ritorno tramite la Mighty Music si chiama Let The Death Enter, è stato prodotto da Øystein G. Bruns (Borknagar) presso i Crosound Studio, con Dan Swanö in seconda battuta ad occuparsi di missaggio e mastering negli Unisound Studio.
L’album, più orientato verso il black metal rispetto al passato, mantiene una connotazione ricca di atmosfere malate, conservando un approccio lineare e perennemente in tensione.
Con l’opener Death Is Watching You si entra nel mondo dei Dominanz, come in una vecchia e abbandonata struttura contaminata dal male prima, e dalla pazzia poi, un labirinto di corridoi e stanze dove ad attenderci troviamo la band con la sua musica evocativa ed estrema.
Le sonorità sono pervase da atmosfere che si insinuano nella testa, puzzle di menti lacerate che si rianimano al suono di Lucifer, Ruins Of Destruction, Born With Desires e Echoes From The Moments Of Death, tra mid tempo e sfuriate estreme di stampo black metal.
Let The Death Enter è un buon lavoro, oscuro, malato, con la ragione risucchiata da una insana predisposizione al male, con il quale i Dominanz hanno modellato un sound che risulta personale e fortemente estremo.

Tracklist
1. Death is Watching You
2. Lucifer
3. Let the Death Enter
4. Code of Silence
5. Occendi Credentis
6. Ruins of Destruction
7. Troops of Hell
8. Born With Desires
9. Echoes From the Moment of Death
10. Absence of the Sun

Line-up
Roy Mathisen – Vocal, bass, guitar and synth
Frode Gaustad – Drums
Luis Vilchez – Guitar
Marius Fimland – Contrabass(live guitar)

DOMINANZ – Facebook

Temple Nightside – Recondemnation

I Temple Nightside sono una mostruosa creatura underground che si nutre di anime e vomita cattiveria, trasformata in musica estrema evocativa e rituale, colma di atmosfere nere come la pece in un fluido continuo di malvagità

Ristampa licenziata dalla Iron Bonehead Productions che riguarda i Temple Nightside, band australiana attiva dal 2010 e fautrice di un death/black metal oscuro ed ossessionante.

L’album, uscito originariamente nel 2013 per la Nuclear Winter e primo dei due lavori firmati Temple Nightside, è composto di otto tracce per quaranta minuti calati nell’abisso più profondo e putrido.
E come suggerisce il titolo dell’ultima traccia di Recondemnation, si tratta di un miasma sonoro putrescente che, se si avvale dei ritmi e delle ispirazioni del black/death, non manca di lasciarsi seppellire da tonnellate di lava doom, trasformando il sound in un monolitico rituale maligno ed oscuro.
I Temple Nightside sono una mostruosa creatura underground che si nutre di anime e vomita cattiveria, trasformata in musica estrema evocativa e rituale, colma di atmosfere nere come la pece in un fluido continuo di malvagità.
I brani che lasciano campo alla lenta marcia del doom sono i più oscuri e maligni: la band australiana è maestra nel saper coinvolgere con lenti rituali funerei come negli otto minuti di Ascension Of Decaying Form, picco di questo lavoro che la label ha fatto bene a riproporre agli amanti del metal estremo più underground.

Tracklist
1.Shrine Of Summon (The Great Opposer)
2.Exhumation:Miseries Upon Imprecation
3.Abhorrent They Fall
4.Pillar Of Ancient Death(Commune 2.1)
5.Dagger Of Necromantic Decay (Eater Of Hearts)
6.Ascension Of Decaying Form
7.Command Of The Bones (Commune 2.2)

8.Miasma
Line-up
V.Kusabs – Bass
Mordance – Drums
BR – Guitars
IV – Guitars, Bass, Vocals, Keyboards

TEMPLE NIGHTSIDE – Facebook

Lord Vampyr – Death Comes Under the Sign of the Cross

Death Comes Under the Sign of the Cross è composto da dieci brani che convogliano diversi generi per portare un nuovo attacco metallico, un bombardamento dalle detonazioni black, heavy, power e gothic, legati insieme da sfumature melodiche sempre in primo piano.

Nuovo album per i romani Lord Vampyr, band estrema romana che prende il monicker dal suo leader, storico singer e fondatore dei Theatres Des Vampires.

Siamo giunti al sesto full length da quando i Lord Vampyr apparvero per la prima volta sulla scena metallica nostrana con il debutto De Vampyrica Philosophia, licenziato nell’ormai lontano 2005.
Death Comes Under the Sign of the Cross è composto da dieci brani che convogliano diversi generi per portare un nuovo attacco metallico, un bombardamento dalle detonazioni black, heavy, power e gothic, legati insieme da sfumature melodiche sempre in primo piano.
L’intro ci accompagna verso la title track, una partenza all’insegna dell’heavy metal classico con le ispirazioni che nei brani successivi vanno dalla scena degli anni ottanta a quella estrema del decennio successivo, con la band che ci travolge con potenti cavalcate, in cui atmosfere gothic, a tratti, spezzano la tensione che in un attimo torna altissima.
Un sound, quello delle varie Crown Of Hypocrisy e Christvampire, che affonda le sue radici nel metal classico per essere poi rimodellato dai Lord Vampyr, che riescono a creare questo buon ibrido.
La parte sinfonica che introduce Upon The Throne Of Lies e la devastante Violent Awareness of the Absence of God portano alla conclusiva The Crusade Of Violence, sottofondo di una battaglia che in poco tempo si trasforma in un sanguinario massacro.
Nonostante vi si possano trovare si trovino riferimenti ai vari Mercyful Fate, Cradle Of Filth, Moonspell e Iron Maiden, Death Comes Under the Sign of the Cross resta comunque un lavoro a cui non mancano personalità ed impatto.

Tracklist
1. Intro
2. Death Comes Under The Sign Of The Cross
3. Crown Of Hypocrisy
4. Christvampire
5. Iconoclast Heresy
6. At War
7. Upon The Throne Of Lies
8. Utopia God
9. Violent Awareness Of The Absence Of God
10. The Crusade Of Violence

Line-up
Lord Vampyr: All Vocals
Ferenc Nadasdy: Bass, Keyboards, Programming
Andrea Taddei: Guitars
Fabrizio Curcio: Guitars
Diego Tasciotti: Drums

LORD VAMPYR – Facebook

Experior Obscura – Iter in Nebula

Melodie antiche sono inglobate in una ferocia multidimensionale libera da qualsiasi vincolo, a sublimare un percorso emozionale fortissimo e alterando, forse per sempre, la nostra percezione artistica del black metal.

Un sincero plauso e apprezzamento per la attenta label britannica Third I Rex, che, fedele al motto “the music we love, the artists we press”, a inizio 2019 ha recuperato il demo del 2015 Iter in Nebula e lo ha finalmente pubblicato in cd facendoci conoscere uno splendida opera intrisa di arte nera, ricca di suggestioni e fascino.

Gli Experior Obscura rappresentano lo sforzo solistico di Nefastus, attuale chitarrista della band partenopea Malvento, storica presenza dell’underground black italiano, attiva fin dal 1999. Sarebbe stato un peccato se Iter in Nebula, sette brani per sessanta minuti di musica, fosse passato inosservato, perché l’opera è assolutamente intrigante; con l’aiuto di R alla batteria, Nefastus ci porta nel suo mondo, nella sua arte assolutamente intrisa di black metal oscuro, dannato sia quando crea cavalcate forsennate, sia quando ci conduce in mid tempo oscuri come la pece, dove non si scorge alcuna possibilità di salvezza: ”nei profondi abissi ardono le luci” è la chiave di lettura dell’opera che veramente ci conduce in abissi insondabili dove ardono luci fredde e glaciali che non hanno nessun potere riscaldante. I brani sono  magnifici, il viaggio ci porta in dimensioni allucinate, ipnotizzant. una traccia come Awake, Waking! ha una forza inaudita con un riff che ci inchioda e penetra subdolamente nei gangli nervosi, distorcendo ogni percezione e rendendoci impotenti a qualsiasi reazione. Brani come Schizophrenia e Black Hole rendono in atmosfera quanto dichiarato nel titolo e ci imprigionano in mondi veramente oscuri dove “you’ll be alone with your madness”. Tutto è torbido, ogni nota grida con forza cosa significa il black per l’autore; l’immersione in tale immaginario è totale e deve essere vissuta con altrettanto abbandono e dedizione dall’ascoltatore. Nuove dimensioni si aprono, brani come Trauma, Beyond the Human e Oblivion ci trasportano in paesaggi desolati e angoscianti; melodie antiche sono inglobate in una ferocia multidimensionale libera da qualsiasi vincolo e i sedici minuti finali di The Time of the Stars sublimano un percorso emozionale fortissimo alterando, forse per sempre, la nostra percezione artistica del black metal. Un opera di alto livello artistico, del tutto inaspettata.

Tracklist

1. Trauma
2. Awake, Waking!
3. Schizophrenia
4. Black Hole
5. Beyond the Human
6. Oblivion
7. The Time of the Stars

Line-up
Nefastus: Vocals, Guitars, Bass, Programming

EXPERIOR OBSCURA – Facebook

Descrizione Breve
Sarebbe un peccato se un’opera di cosi alto livello artistico passasse del tutto inosservata;Black Metal nella sua essenza.Sessanta minuti che potrebbero alterare la nostra percezione dell’Arte Nera.

Autore
Massimo Pagliaro

Voto
90

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
Black – – 2019

Vorga – Radiant Gloom

Il black dei Vorga è sì melodico, come lo loro stesso lo definiscono, ma è altrettanto furioso ed urticante per graffiare lasciando segni anche piuttosto profondi.

I Vorga sono una nuova band tedesca che prova ad inserirsi con forza nell’affollata scena black metal planetaria.

Il gruppo è in realtà germanico solo per tre quarti in quanto il vocalist Пешо Спейса è bulgaro, ma in fondo poco importa, anche perché quanto offerto in questo caso abbraccia con grande sapienza le diverse sfumature del genere provenienti un po’ da tutte le maggiori scuole, convogliandolo in un sound che alla fine convince non poco.
Il black dei Vorga è sì melodico, come lo loro stesso lo definiscono, ma è altrettanto furioso ed urticante per graffiare lasciando segni anche piuttosto profondi, grazie a tracce di potente e roboante ferocia come The Black Age e Hunger, mentre Argil e Divine, pur non abbassando di molto il tiro, sono pervase da linee melodiche davvero intriganti e capaci di connotarne i contenuti in maniera importante.
L’interpretazione vocale è di quelle che piacciono, in quanto lo screaming è corrosivo il giusto senza divenire gracchiante, mentre il lavoro del trio composto da Jervas (batteria), Volker (chitarra) e Atlas (chitarra e basso, oltre che autore di tutte le musiche e dei testi) è intenso e preciso allo stesso tempo, avvalendosi peraltro di una produzione decisamente buona.
In questa ventina di minuti abbondanti i Vorga ci comunicano con convinzione e capacità quanto il black metal sia in grado di rigenerarsi in maniera costante, non solo attraverrso elementi innovativi (che in Radiant Gloom non sono affatto rinvenibili) ma anche e soprattutto con rielaborazioni magistrali di quelle sonorità che ormai da circa trent’anni continuano a lasciare il segno.

Tracklist:
01 The Black Age
02 Argil
03 Divine
04 Hunger

Line-up:
Jervas – Drums
Atlas – Guitars (rhythm), Bass, Songwriting, Lyrics
Volker – Guitars (lead)
Пешо Спейса – Vocals

VORGA – Facebook

Thecodontion – Jurassic

Basta con assoli onanistici o distorsioni incomprensibili, i Thecodontion ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica pesantissima senza quello che viene considerato lo strumento principale.

I Thecodontion sono un gruppo romano di black death che si presenta con la seguente frase : no guitars, just death.

Infatti i bassi sono due, distortissimi ed incredibili, con una batteria ancestrale; lo scopo principale della band è quello di ricreare una situazione di musica tribale per vomitare una rabbia antica, quasi preistorica, e appunto la sconfinata preistoria, i fossili e tutto ciò che è correlato a queste cose sono gli argomenti dei testi.
Il risultato è qualcosa di furioso e di assolutamente credibile, è un sound peculiare ed inedito: il gruppo è in giro dal 2016, ha prodotto un demo nel 2017, Thecodontia, per poi andare a suonare in giro con altri gruppi romani. Questo 7” è una delle prove più affascinanti che si possano ascoltare negli ultimi tempi, perché è incredibile che canzoni su animali e fossili della preistoria siano tanto belle da creare una vera e propria dipendenza. La musica è incalzante, come un gruppo di pterodattili che ti insegue e ti mangia prima o poi, sputandoti fuori destinandoti a diventere un fossile, forse. Il suono di questi brani è devastante, alcuni lo potrebbero definire war metal, ma è più un massacro a senso unico che una guerra. I due bassi creano un effetto che dovrebbe convincere anche chi ama le chitarre, delle quali alla fine non si sente la mancanza: basta con assoli onanistici o distorsioni incomprensibili, i Thecodontion ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica pesantissima senza quello che viene considerato lo strumento principale. È bellissimo anche andare a cercare di cosa parla questo gruppo, ovvero gli animali dei titoli. Infatti il sette è un concept su quattro specie che vivevano durante il Giurassico: raramente si può trovare qualcosa di più nozionistico ed affascinante dello studio della preistoria, materia non facile, ma se si entra in un Museo Archeologico o di Storia Naturale non si potrà che restarne affascinati, perché in fondo è qualcosa di molto metal. Un’altra delle particolarità di questo disco è la produzione, adeguata e molto ben bilanciata, assolutamente non approssimativa: Jurassic è una delle uscite più interessanti degli ultimi tempi, una porta per un universo che è ancora dentro di noi, basti pensare a quanto è durata la preistoria e quanto sta durando l’era moderna, alla cui fine non manca poi così tanto.

Tracklist
1.Normannognathus wellnhoferi (Crests)
2.Rhamphorhynchus muensteri (Wingset)
3.Barosaurus lentus (Sundance Sea Stratigraphy)
4.Breviparopus taghbaloutensis (Legacy of the Trackmaker Unknown)

Line-up
G.E.F. – vocals, songwriting, arrangements
G.D. – bass, lyrics and concept, arrangements

L.S. – (live) bass
V.P. – (live) drums

THECODONTION – Facebook

Ewigkeit – DISClose

James Fogarty è un musicista in possesso di un grande talento che con il monicker Ewigkeit viene espresso in maniera compiuta e senza alcun filtro.

Ewigkeit è il progetto solista di James Fogarty, alias Mr. Fog, musicista attivo nella scena metal da oltre un ventennio nel corso del quale ha fatto parte di diverse band di spicco, tra le quali risalta di gran lunga l’ultima in ordine di tempo, i leggendari In The Woods.

La riuscita di un album come DISClose è motivata anche dal versatile lavoro vocale di Fogarty, uno di quei cantanti capaci di passare con disinvoltura da tonalità aspre ad evocative clean vocals senza lasciare spazio a perplessità di sorta.
Il primo full length a nome Ewigkeit risale addirittura al 1997 e quello in questione è il decimo della serie, considerando la riedizione nel 2017 dell’esordio Battle Furies in occasione del suo ventennale.
Il black metal che forniva la base stilistica dei primi lavori si è stemperato nel tempo in un metal decisamente melodico, pur se a tratti sempre doverosamente aspro, e così DISClose gode di una certa orecchiabilità che ne rende sicuramente l’ascolto non tropo arduo, a fronte comunque di una certa irrequietezza stilistica.
Questo se vogliamo rappresenta due facce della medaglia di un’opera valida in ogni sua fase, ma poco connotata in uno specifico genere per ritagliarsi magari un audience dedicata: il vantaggio, che va ben oltre ogni altra considerazione, è comunque rappresentato dal fatto che Fogarty in tal modo tiene ben lontano il rischio di annoiare gli ascoltatori con un sound eccessivamente ripetitivo. Le aperture verso sonorità più moderne ci sono ma avvengono in maniera molto fluida e senza snaturare un sound caleidoscopico che unisce melodia e note estreme in maniera esemplare.
DISClose offre grandi aperture melodiche inserite all’interno di strutture che, per lo più, di estremo hanno soprattutto lo screaming (anche se in questo caso avrei preferito per gusto personale un più frequente ricorso anche all’efficace growl che James ha sicuramente nelle sue corde), veleggiando tra progressive death, gothic doom, black avanguardistico e alternative rock/metal senza mai restituire il sound in una forma frammentata.
Ogni brano vive di squarci memorabili, sotto forma di chorus di grande impatto ed esaltati per lo più dall’evocativa voce pulita che Fogarty esibisce in maniera magistrale.
Disclosure e Resonance sono le due tracce del loto che preferisco, ma il bello di DISClose è che ognuno potrà trovare un proprio brano ideale che non deve necessariamente coincidere con quelli prediletti da altri: James Fogarty è un musicista in possesso di un grande talento che con il monicker Ewigkeit viene espresso in maniera compiuta e senza alcun filtro.

Tracklist:
1 – 1947
2 – Disclosure
3 – Oppenheimer’s Lament
4 – Guardians of the High Frontier
5 – Resonance
6 – KRLLL
7 – Moon Monolith

Line-up:
James Fogarty

EWIGKEIT – Facebook

DunkelNacht – Empires Of Mediocracy

L’album segue le coordinate stilistiche di un black metal dagli spunti death, vicino al classico sound di matrice polacca, oscuro e cattivissimo ma con trovate melodiche che ne risaltano la qualità indiscussa delle composizioni. Un ritorno pienamente riuscito quello dei Dunkelnacht, autori con Empires Of Mediocracy di un album che gli amanti del genere non possono perdere, bravi e diabolici.

In arrivo dalla scena death/black metal transalpina i DunkelNacht licenziano il loro terzo lavoro, questo ottimo Empires Of Mediocracy composto da otto capitoli di un concept che analizza a suo modo il genere umano e le sue origini.

Attivo dal 2005, il quartetto di Lille dopo vari split e demo esordì sulla lunga distanza con Atheist Dezekration nel 2010, seguito quattro anni dopo da Revelatio, licenziato dalla Wormholedeath, mentre Empires Of Mediocracy vede la luce tramite Non Serviam Records.
L’album segue le coordinate stilistiche di un black metal dagli spunti death, vicino al classico sound di matrice polacca, oscuro e cattivissimo ma con trovate melodiche che ne esaltano la qualità indiscussa delle composizioni.
La band ha fatto davvero un gran lavoro, rimanendo in un contesto estremo violento, ma perfettamente leggibile, grazie ad una produzione perfetta e ad un songwriting davvero eccellente.
I suoni delle varie Servants, Amongst The Remnants Of Liberty e della title track escono dalle casse potenti e cristallini, il growl di M.C. Abagor risulta diabolico e luciferino, mentre le ritmiche alternano mid tempo a devastanti ripartenze creando un vortice di metal estremo, che a tratti placa la sua furia e crea atmosfere oscure.
Il brano che dà il titolo all’album, Empires of Mediocracy, è l’esempio del sound di cui è composta questa nera opera, offrendo un death/black valorizzato da un importante lavoro chitarristico e sorretto da una notevole parte melodica.
Un ritorno pienamente riuscito quello dei Dunkelnacht bravi e diabolici di Empires Of Mediocracy di un lavoro che gli amanti del genere non dovrebbero perdere.

Tracklist
1. Relentless Compendium
2. Servants
3. Eerie Horrendous Obsession
4. DunkelNacht – Amongst the Remnants of Liberty
5. Verses and Allegations
6. Empires of Mediocracy
7. The Necessary Evil
8. Non Canimus Surdis

Line-up
Heimdall – Guitars, Programmings
Alkhemohr – Bass, Vocals
M.C. Abagor – Vocals
Tegaarst – Drums

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Svirnath – Dalle Rive del Curone

Le sonorità offerte da Svirnath sono del tutto in linea con le produzioni facenti capo alla brillante label tedesca Naturmacht, autentico punto di riferimento per chi voglia ascoltare black metal atmosferico nella sua accezione più pura e underground.

Arriva al secondo full length Frans, musicista lombardo/piemontese attivo anche nei validi doomsters Abyssian e nei Consolamentum,  che con il suo progetto solista Svirnath propone un black metal atmosferico e dai tratti pagan folk.

Dalle Rive del Curone, fin dal titolo, evidenzia quanto siano importanti per l’autore gli spunti derivanti dall’amore e dal rispetto per una natura che dovrebbe essere sempre parte integrante del modus vivendi di ciascuna persona.
A livello musicale l’album si snoda piuttosto bene, essendo ricco di valide aperture atmosferiche, e se mostra alcune incrinature queste vanno ricercate in uno screaming perfettibile (pur essendo una caratteristica che sembra accomunare gran parte delle uscite in quest’ambito) e in un lavoro chitarristico che nelle parti soliste mostra qualche sbavatura, a fronte di un afflato melodico tutt’altro che trascurabile. Ed è proprio limando tali aspetti che brani notevoli come la title track o L’etereo bagliore potrebbero risaltare ancor più di quanto non avvenga, in virtù di una scrittura sempre volta all’esibizione del lato più evocativo del genere.
Le sonorità offerte da Svirnath, del resto, sono del tutto in linea con le produzioni facenti capo alla brillante label tedesca Naturmacht, autentico punto di riferimento per chi voglia ascoltare black metal atmosferico nella sua accezione più pura e underground.

Tracklist:
1. Vir Naturae
2. All’ombra delle fronde
3. L’etereo bagliore
4. Dalle rive del Curone
5. Quando soffia il Maestrale
6. L’abete

Line-up:
Frans – All instruments, Vocals

SVIRNATH – Facebook