Ruxt – Behind The Masquerade

Un album d’altri tempi che, forse, avrebbe fatto eruttare vulcani, scintillare spadoni e creato in cielo ponti colorati: fatelo vostro e questi miracoli si avvereranno sotto l’effetto della musica dei Ruxt.

Forse non tutti sanno che Jorn Lande non solo è uno dei più accreditati eredi del grande Ronnie James Dio, ma in passato ha portato in giro per i palchi la musica degli Whitesnake con i The Snakes della coppia Moody/Marsden con cui ha registrato l’album di inediti Once Bitten ed un live nel 1998.

Il riferimento non è affatto casuale, perché questo nuovo super gruppo ligure chiamato Ruxt , ha nel vocalist Matt Bernardi (Purplesnake) il suo Jorn, spettacolare singer, perfetto per valorizzare questa sontuosa raccolta di brani che di classic metal si nutre, così come si abbevera alla fonte dell’hard rock.
In compagnia del singer troviamo la coppia di chitarristi Stefano Galleano ed Andrea Raffaele (Snake, Rock.It), il bassista Steve Vawamas (Athlantis, Mastercastle) e il batterista Alessio Spallarossa (Sadist).
In uscita per la label genovese Diamonds Prod., Behind The Masquerade letteralmente incanta grazie non solo alla clamorosa performance del cantante al microfono, ma anche per un songwriting ispiratissimo ed una produzione cristallina.
Quasi settanta minuti immersi nel heavy/ hard rock ispirato dalla famiglia Deep Purple, così oltre che al serpente bianco, anche l’arcobaleno più famoso del rock fa capolino tra le nobili note suonate dal gruppo, con l’aggiunta di un pizzico di Dio solista ed ovviamente della discografia del cantante norvegese che della famiglia è l’erede.
Dal momento in cui il mid tempo di Scare My Demons ci accoglie nel mondo dei Ruxt , per quasi settanta minuti veniamo travolti da suoni che hanno fatto storia, tra mid tempo epici, hard rock blues drammatici di scuola Whitesnake e sontuosi brani heavy metal, dove le chitarre non mancano di riversare tempeste di solos classici forgiati sul monte dove il pugno degli dei tenne stretto l’arcobaleno di Blackmore .
Niente di originale, solo hard & heavy che ogni amante del genere dovrebbe ascoltare con le mani giunte, ringraziando quello in cui crede per questo inatteso regalo, davvero straordinario nel tributare un modo di fare rock che fino ad oggi aveva i suoi massimi esponenti in Lande e negli svedesi Astral Doors, ma a cui si aggiunge il quartetto ligure grazie alle splendide Spirit Road, Where Eagles Fly, Lead Your Destiny (su cui si posa il corvo simbolo del Lande solista) e ancora Daisy e Between The Lies.
Un album d’altri tempi che, forse, avrebbe fatto eruttare vulcani, scintillare spadoni e creato in cielo ponti colorati: fatelo vostro e questi miracoli si avvereranno sotto l’effetto della musica dei Ruxt.

TRACKLIST
1.Intro
2.Scare My Demons
3.Soul Keeper
4.Spirit Road
5.Forever Be
6.Where Eagles Fly
7.Lead Your Destiny
8.A New Tomorrow
9.Daisy
10.Life
11.Between The Lies
12.Forgive me
13.Madness Of Man
14.Soldier of Fortune

LINE-UP
Matt Bernardi – Vocals
Stefano Galleano – Guitars
Andrea Raffaele – Guitars
Steve Vawamas – Bass
Alessio Spallarossa- Drums

RUXT – Facebook

Windshades – Crucified Dreams

Bravi e a loro modo originali, gli Windshades risultano una bella sorpresa ed un nome su cui i fans del genere possono tranquillamente puntare, aspettando il probabile arrivo del primo full length.

Accompagnato da una splendida copertina che ha ricordato al sottoscritto le atmosfere del romanzo I Pilastri Della Terra di Ken Follett, arriva sul mercato Crucified Dreams, ep di tre brani con cui gli Windshades debuttano per la nostrana Atomic Stuff che ha messo a disposizione della band i suoi studi di registrazione ed il talento di Oscar Burato, che si è occupato di registrazione, mixaggio e masterizzazione.

Il gruppo proveniente dalla provincia di Mantova e fondato lo scorso anno dalla cantate Chiara Manzoli e dal batterista Carlo Bergamaschi, ci propone un buon metal dalle trame gotiche, dove le ritmiche serrate fanno da contrasto alla voce dai rimandi classici ed operistici della singer, mantenendo in primo piano un ottimo impatto heavy.
Si potrebbe parlare di un mix ben assortito di heavy metal (nel buon lavoro delle due chitarre si riscontrano rimandi agli Iron Maiden) e sonorità dark/gothic, con la parte sinfonica inesistente se non per l’uso della voce operistica.
Non male, Crucified Dreams si ritaglia un suo spazio nel genere, l’impatto terremotante della sezione ritmica, i solos taglienti ed un ottimo impatto si placano solo nella parte iniziale di Resurrection, mentre in generale il gruppo imprime la giusta dose di potenza al proprio sound, non facendo mancare una buona dose di velocità, sempre in contrasto con la sublime voce della cantante.
Metafora è attraversata da sali e scendi maideniani, Resurrection parte delicata e prepara l’ascoltatore alla danza metallica, con la cantate che ispirata, fa volare la sua voce sulle scariche elettriche ed oscure degli strumenti, mentre la conclusiva title track risulta il brano più estremo del gruppo, su cui il gruppo alterna potenti mid tempo a veloci fughe al confine tra heavy e thrash.
Bravi e a loro modo originali, gli Windshades risultano una bella sorpresa ed un nome su cui i fans del genere possono tranquillamente puntare, aspettando il probabile arrivo del primo full length.

TRACKLIST
01. Metafora
02. Resurrection
03. Crucified Dreams

LINE-UP
Chiara Manzoli – Voice
Matteo Usberti – Guitar
Riccardo Soresina – Guitar
Andrea Bissolati – Bass
Carlo Bergamaschi – Drums

WINDSHADEDS – FacebookURL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

Art X – The Redemption Of Cain

The Redemption Of Cain è un’opera bellissima e coinvolgente, a conferma del livello altissimo raggiunto dalla scena italiana che ci regala un altro lavoro di cui andare fieri.

Un’opera mastodontica quella che andiamo a presentarvi e che si può definire, a buon diritto, di proporzioni bibliche.

Infatti, in The Redemption Of Cain, è sulla vicenda di Caino e Abele che si sviluppa questa ennesima metal opera, creata in tutto e per tutto dal nostro Gabriele Bernasconi, singer degli heavy metallers Clairvoyants, un passato da tribute band degli Iron Maiden, e negli ultimi anni protagonista di un paio di ottimi album, prima dello scioglimento.
Il singer comasco non si è perso d’animo e, con l’aiuto di un nugolo di eccellenze del panorama hard & heavy mondiale, ha creato questo bellissimo lavoro che richiama chiaramente le opere degli Avantasia, ma vive di un songwriting eccelso, impreziosito da un numero impressionante di ospiti da lasciare a bocca aperta i maestri Sammet e Lucassen, e scrivendo un’altra sontuosa pagina di musica nobilmente metallica.
Andrè Matos, Roberto Tiranti, Amanda Sommerville, Zachary Stevens, Blaze Bayley, Steve Di Giorgio,Tim Aymar e Giuseppe Orlando, insieme a molti altri musicisti, fanno parte del cast di The Redemption Of Cain, sontuoso anche nell’artwork, ad opera di Eliran Kantor (Sodom, Testament, Iced Earth).
I sensi di colpa e la redenzione di Caino dopo l’omicidio perpetuato ai danni del fratello Abele, fanno da sfondo a questa opera epica, teatrale e tragica, splendidamente metallica nel suo incedere, contornata da un’aura di leggendaria epicità e che apprezzerete nel suo insieme, come nelle migliori opere musicali, pur non mancando di esaltare nei momenti più aggressivi.
Oltre alle varie interpretazioni, che vedono Tiranti nel ruolo di Abele, Matos nell’Aangelo di Dio, lo stesso Bernasconi in quello di Caino e poi la Sommerville in quella di Lilith, è Tim Aymar a strappare applausi nella velenosa Lucifer, confermando l’impegno che i vari artisti hanno messo per rendere The Redemption Of Cain qualcosa di unico.
Il sound alterna spettacolari e rocciose heavy power song ad atmosfere da rock opera, intrise di epica orchestralità in un susseguirsi di colpi di scena ed attimi dove si rasenta la perfezione interpretativa e creativa.
The First & The Second Sacrifice, con Matos e Tiranti sugli scudi, la già citata Lucifer, The Keeper Of Eden con l’ugola di Zachary Stevens a regalare brividi e la conclusiva e magnifica Eden, Finally…., dieci minuti di pura arte metallica, sono i brani che suggellano un’opera bellissima e coinvolgente, confermando il livello altissimo raggiunto dalla scena italiana e regalando un altro capolavoro di cui andare fieri.

TRACKLIST
1. Memoriae
2. Knowledge & Death
3. The First Sacrifice
4. The Second Sacrifice
5. Crime, Pain and Penance
6. Lilith
7. Lucifer
8. A Wife’s Love
9. The Keeper
10.Eden, Finally…

LINE-UP
Gabriele Bernasconi: music & lyrics, voice of Cain
Luca Princiotta: lead, rhythm and acoustic guitars
Oliver Palotai: keyboards, orchestral arrangements and FX
Steve Di Giorgio: bass
Giuseppe Orlando: drums

The Vocalists:
Blaze Bailey as Adam
Selina Lusich as Eve
Roberto Tiranti as Abel
André Matos as The Angel of God
Amanda Sommerville as Lilith
Tim Aymar as Lucifer
Lucia Emmanueli as Cain’s Wife
Zachary Stevens as The Keeper of Eden

ART X – Facebook

Hammer King – King Is Rising

Un album onesto, diretto e senza fronzoli, un tuffo nel metallo vecchia scuola, di madre tedesca ma con parentele rinvenibili tra la new wave of british heavy metal e il power scandinavo.

Tornano gli epici power metallers Hammer King con il secondo lavoro sulla lunga distanza, successore del debutto Kingdom of the Hammer King, uscito lo scorso anno.

Il quartetto continua la sua guerra a colpi di heavy power metal, tedesco fino al midollo anche se non mancano riferimenti all’heavy metal classico di Iron Maiden e Judas Priest.
L’album, registrato allo Studio Greywolf di Charles Greywolf (Powerwolf), non lascia scampo e la title track apre le ostilità a colpi di power metal epico dai chorus battaglieri, riff rocciosi ed una fierezza metallica commovente.
Ci metterei anche gli Hammerfall tra le influenze del combo, non solo per la voce di Titan Fox V, simile a Joacim Cans ed il monicker usato: il sound, pur nel suo essere teutonico di nascita, guarda anche alla famosa band svedese e porta il gruppo vicino le realtà uscite alla metà degli anni novanta più a nord, appunto Hammerfall ed in parte Nocturnal Rites.
King Is Rising continua la sua gloriosa battaglia, con le rocciose For God And The King, Battle Gorse e The Hammer Is The King, brani trascinati per il collo da ritmiche power, solos classici dalle melodie che nel genere non esiterei a definire ruffiane e chorus che, come da tradizione. portano alla mente concerti infuocati dove l’ugola si perde in urla ed orgoglio metallico, magari un po’ alticci per l’ennesimo litro di bionda.
Un album onesto, diretto e senza fronzoli, un tuffo nel metallo vecchia scuola, di madre tedesca ma con parentele rinvenibili tra la new wave of british heavy metal e il power scandinavo, consigliato ai truci true defenders tutti metallo, guerrieri e battaglie eroiche in nome del re.

TRACKLIST
1. King Is Rising
2. Last Hellriders
3. For God And The King
4. Warrior’s Reign
5. Reichshammer
6. Kingbrother
7. Battle Gorse
8. Kill The Messenger
9. The Hammer Is The King
10. Viva ‘La King
11. Battalions Of War
12. Eternal Tower Of Woe
13. Our Fathers’ Fathers (CD BONUS TRACK)

LINE-UP
Titan Fox – vocals , guitars
Gino Wilde – guitar
K.K. Basement – bass
Dolph A. Macallan – drums

HAMMER KING – Facebook

Root – Kärgeräs – Return from Oblivion

Kärgeräs – Return from Oblivion è un album coinvolgente, probabilmente il migliore tra quelli editi dai Root nel nuovo millennio, e rappresenta una maniera personale e non inflazionata di interpretare la materia metallica.

Il traguardo del decimo album per i cechi Root rappresenta qualcosa in più rispetto a un semplice dato statistico: infatti, il gruppo guidato da quasi un trentennio da un mito del metal europeo come Jiří Valter (aka Big Boss) è a tutti gli effetti una di quelle realtà emerse prima dell’esplosione del black metal in Norvegia, appartenendo quindi alla genia delle band dedite a sonorità oscure, epiche ma non così estreme ed ancora legate ad un più tradizionale heavy metal.

I Root non sono notissimi dalle nostre parti e, in generale, non possono essere certo avvicinati per fama a Venom e Bathory, tanto per fare un esempio di band contigue per ispirazione e genesi, ma la considerazione di cui gode un personaggio come Valter nella scena europea è testimoniata dalla sua partecipazione come ospite su album di Moonspell e Behemoth, oltre ad essere stato chiamato dai Winterhorde ad interpretare il ruolo di voce narrante sul loro recente capolavoro Maestro.
E se non un maestro, il nostro è sicuramente uno dei decani dell’ambiente metallico ma, a giudicare dagli esiti non sembra proprio che l’età anagrafica costituisca un peso: infatti, il timbro caldo e profondo di Big Boss non è stato certo incrinato dal passare del tempo e ciò caratterizza ovviamente questo ultimo lavoro, che fin dal titolo si pone quale ideale seguito del concept album Kärgeräs, uscito esattamente vent’anni fa e considerato uno dei punti più alti raggiunti dai Root nel corso della loro lunga storia.
Rispetto a certe asprezze del passato, il sound appare decisamente meno ruvido, mettendo in luce un approccio maggiormente epico e folk, ovviamente sempre irrobustito da una massiccia dose di heavy metal.
Diciamo pure che, più dell’immarcescibile vocalist, i segni del tempo sono più visibili nella struttura musicale, ma ciò non deve essere inteso come un aspetto negativo, anzi: proprio il suo essere piacevolmente avulso da qualsiasi tentazione modernista, ammanta il lavoro di un fascino ulteriormente esaltato dalla carismatica interpretazione vocale di Valter e dal buon lavoro strumentale dei suoi compagni d’avventura.
E se, per piegarsi alle esigenze di quello che è pur sempre un concept, i Root indulgono più del solito in passaggi acustici e rarefatti, ciò non è certo un male, anche se i momenti migliori li riservano brani ben focalizzati ed incisivi come l’opener Life Of Demon e The Book Of Death.
Kärgeräs – Return from Oblivion è un album coinvolgente, probabilmente il migliore tra quelli editi dai Root nel nuovo millennio, e rappresenta una maniera personale e non inflazionata di interpretare la materia metallica.

Tracklist:
1. Life of Demon
2. Osculum Infame
3. Moment of Fright
4. The Book of Death
5. Black Iris
6. Moment of Hope
7. The Key to the Empty Room
8. New Empire
9. Up to the Down
10. Do You Think Is it the End?

Line-up:
Big Boss – Vocals
Alesh A.D. – Guitars
Igor – Bass
Paul Dread – Drums
Hanz – Guitars

ROOT – Facebook

HI-GH – We Hate You

Si oscilla la testa e ci si muove al ritmo, nulla di più semplice e divertente, ma non è così scontato.

Se fai la cover di Bomber dei Motorhead, e la fai in maniera personale, oltre a sapere cosa ci aspetta, siamo pure contenti di ricevere il pugno in faccia.

Gli HI-GH fanno metal punk o punk’n’roll con fortissime influenze del caro vecchio metallo inglese. Amanti della velocità senza controllo e dalla distorsione accompagnata dalla doppia cassa, non c’è solo questo nella loro musica, anzi, in questo ep un metallaro vecchia scuola troverà molti motivi di gioia pura, come quando si cavalca sui territori tracciati dagli Iron Maiden, sempre però con un forte dose di personalità ed originalità. Certamente non è un suono nuovo, ma la difficoltà sta nel proporlo con stile, e gli HI-GH ci riescono benissimo. L’ep è il formato giusto per gustare questo breve compendio del metal classico, di quello spirito che si è perso in questi tempi, ma ci sono gruppi come gli HI-GH che che sono a difesa di questo suono. Si oscilla la testa e ci si muove al ritmo, nulla di più semplice e divertente, ma non è così scontato. Il gruppo romano fa un ulteriore passo in avanti e ci regala un ottimo ep.

TRACKLIST
1. Burn The School Down
2. The Last Love’s Path
3. Hallefuckin’ Luja
4. We Hate You
5. Where All Hell Breaks Loose
6. Bomber (MOTÖRHEAD COVER)

LINE-UP
Tommaso “Slowly” – Bass Guitars & Lead Vocals
Marco “Psyki” – Rhythm/ Lead guitars & Background Vocals
Marco “RedEyes” – Lead/Rhythm Guitars & Background Vocals
El Tito “Oki” – Drums, Background Vocals & Synth

HI-GH – Facebook

Vanexa – Too Heavy To Fly

I nuovi Vanexa, a giudicare da questo lavoro, appaiono tutto fuorché che un gruppo con quarant’anni di musica metal sul groppone.

Si torna a parlare dei Vanexa, dunque di storia dell’heavy metal made in Italy.

La band ligure ritorna dopo più di vent’anni con un nuovo lavoro, una line up nuova di zecca e tanto heavy rock, magari non agguerrito come negli storici lavori degli anni ottanta, ma dalla classe di un’altra categoria ed un lotto di canzoni ispirate.
La storia del gruppo è conosciuta a memoria, almeno da chi ha nel cuore le sorti dell’heavy metal ed in particolare di quello suonato nello stivale: partiti sul finire degli anni settanta con l’esordio omonimo targato 1983, il gruppo del duo ritmico Sergio Pagnacco (basso) e Silvano Bottari (batteria), i soli rimasti della formazione originale, hanno scritto pagine importanti per il metallo tricolore ed i loro pochi, ma bellissimi lavori, hanno creato intorno al gruppo un aura leggendaria.
Oggi, affiancati dall’ottimo vocalist Andrea “Ranfa” Ranfagni singer di razza e vero portento al microfono, e con una coppia d’asce sontuosa con Artan Selishta a far danni in compagnia del talentuoso Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle), ci regalano questo ottimo Too Heavy To Fly, licenziato dalla Punishment 18 Records.
Heavy rock più che metal, è bene chiarirlo, la rabbia giovanile ha lasciato il posto ad un più ragionato approccio alla nostra musica preferita che, al netto di prestazioni sugli scudi dei protagonisti, equivale a dieci perle hard & heavy, ruvide, melodiche ma soprattutto elevate da una forma canzone che non lascia indifferenti.
Sotto questa nuova veste, diciamo più patinata, i Vanexa trovano le fonte della giovinezza con una serie di brani freschi, dalle ariose atmosfere, rinvigoriti da chitarre adrenaliniche, ma deliziati pure da molte parti melodiche che si manifestano non solo nelle ballad e nei molti mid tempo, ma anche quando sono la grinta ed i watt a guidare il suono.
Brani dalle ritmiche serrate, un gran lavoro delle sei corde ed una prestazione esemplare del singer, impreziosiscono le canzoni dei nuovi Vanexa che, a giudicare da questo lavoro, appaiono tutto fuorché che un gruppo con quarant’anni di musica metal sul groppone.
Tutte ottime canzoni, su cui spiccano la robusta title track e la seguente 007, per una partenza tutta potenza e classe, di un’ altra categoria Rain, mentre The Traveller conclude alla grande l’album con Ken Hensley degli Uriah Heep a valorizzare il brano con i suoi tasti d’avorio.
Nel mezzo, come detto, tanto ottimo heavy rock, non solo per nostalgici, ma assolutamente protagonista anche in questi disgraziati anni del nuovo millennio.
Noi siamo di passaggio, le leggende restano…

TRACKLIST
1. Too Heavy To Fly
2. 007
3. Life Is A War
4. Rain
5. It’s Illusion
6. Tarantino Theme
7. In The Dark
8. Kiss In The Dark
9. Paradox
10. The Traveller

LINE-UP
Andrea “Ranfa” Ranfagni – vocals
Pier Gonella – guitars
Artan Selishta – guitars
Sergio Pagnacco– bass
Silvano Bottari – drums

VANEXA – Facebook

Zix – Tides Of The Final War

Heavy metal trascinante come non mai, cantato dalla vocalist Maya Khairallah che torna a far risplendere la tradizione delle vocalist metal agguerrite e senza orpelli operistici

Hanno fatto le cose in grande gli Zix, per il loro debutto in uscita per la tentacolare label tedesca Pure Steel.
Con solo un ep autoprodotto alle spalle e la conseguente firma per la prestigiosa label (almeno per quanto riguarda le sonorità classiche) la band libanese è pronta per un esplosione sul mercato, ed i crismi perchè questo avvenga ci sono tutti.

Tides Of The Final War è stato registrato presso i Vegas View Studios in Nevada dal celebre Steve Thompson (Metallica, Anthrax, Guns N’ Roses), masterizzato da Maor Appelbaum (Sepultura, Yngwie), e mixato e rimasterizzato presso gli QuSoundStudio in Germania da Michael Kusch; Kenny Earl “Rhino” (ex Manowar) ha suonato le parti di batteria e su un brano (Metal Strike) hanno collaborato nomi altisonanti della storia del metal come Tony Martin, Blaze Bayley, Paul Di’Anno, Ronny Munroe, Dany Deaibess, Ross The Boss, David Shankle, Jack Starr e Rhino.
Allora come suona Tides Of The Final War? Bene. direi,trattandosi di un heavy metal trascinante come non mai, cantato dalla vocalist Maya Khairallah che torna a far risplendere la storia delle vocalist metal agguerrite e senza orpelli operistici, un duello continuo tra le asce che sprigionano fuoco e fiamme dalle corde e, come ciliegina sulla metallica torta, quel tocco orientaleggiante che rende ancora più epico e sontuoso l’heavy power metal del gruppo.
Il songwriting sopra la media fa il resto, i dieci brani presenti non mollano un attimo l’elevata qualità e trovarsi in mezzo al deserto a combattere tra le dune è un attimo.
La mente riporta alle migliori metal band che hanno impresso il loro marchio sulla storia dell’heavy metal, con un’epicità manowariana sfoggiata a più riprese, ed un oscurità di fondo a rimembrare che anche aldilà dell’oceano si suona metal classico duro e tripallico.
Come dicevo, le intro che portano aromi desertici sullo spartito dell’album, sono una delle marce in più di cavalcate in crescendo ed epici capitoli come la title track, Shadow Of A Dying Sun, Heavens Eyes e la marziale The Warwhore, mentre Metal Strike, Dark Days Of Babylon e Night Of Evil portano distruttrici tempeste di sabbia metalliche, oscure e rabbiose.
Album molto ben fatto, un esempio di metal classico sopra le righe da non perdere assolutamente.

TRACKLIST
1. Buyer Of Souls
2. Metal Strike
3. Tides Of The Final War
4. Shadow Of A Dying Sun
5. Crucible
6. Dark Days Of Babylon
7. Heavens Eyes
8. Thousand Wars At Sea
9. Night Of Evil
10. The Warwhore

LINE-UP
Ziad Bardawil – bass
Maya Khairallah – vocals
Juan Carrizo – guitars
Walid Awar –guitars
Ziad Alam – drums
Kenny Earl Rhino – drums debut album

ZIX – Facebook

Aeternal Seprium – Doominance

Non annoiano di sicuro gli Aeternal Seprium: ogni brano ha una sua anima, ben salda nella tradizione metallica ma dalle atmosfere cangianti, tra epicità, assalti sonori che si riassumono in buone cavalcate heavy power thrash ed echi di battaglie, eroi, dei e re.

Tra la moltitudine di metal band che il nostro amato stivale può vantare, sicuramente gli Aeternal Seprium, con questo nuovo album, si ritagliano il loro spazio, specialmente se si guarda all’anima più pura e old school della nostra musica preferita.

Un gruppo che, come tanti altri, è passato nel corso degli anni tra cambi di line up e label, iniziando la sua attività sul finire degli anni novanta e proseguendo il cammino in questi primi anni del nuovo millennio.
Dopo il primo album uscito nel 2012 (Against Oblivion’s Shade) e che vedeva il gruppo cimentarsi sulla lunga distanza dopo due demo d’ordinanza, arriva l’importante cambio (almeno per una metal band) dietro al microfono con l’ottimo singer Fabio Privitera (Bejelit,Sound Storm), a prendere il posto di Stefano Silvestrini e la firma per DeathStorm Records che si occupa di licenziare questo Doominance.
Heavy metal duro e puro, con tratti epici a rendere la proposta orgogliosamente metallica, una vena ritmica da thrash metal band, chitarre che si rendono protagoniste di solos melodici e intensi e la voce del singer che si scaglia come un lampo nel cielo tempestoso, sono le prime impressioni che suscita il nuovo lavoro, nella sua interezza molto ben congegnato.
Non annoiano sicuro gli Aeternal Seprium: ogni brano ha una sua anima, ben salda nella tradizione metallica, ma dalle atmosfere cangianti, tra epicità, assalti sonori che si riassumono in buone cavalcate heavy power thrash tra echi di battaglie, eroi, dei e re.
Non mancano mid tempo pesanti come macigni ma dalle accentuate melodie (Artemisia) e furiose accelerazioni (Unawaken, Fuck The Narcisism), travolgenti heavy metal songs (l’opener I Will Dance On Your Tombs) e bellissime ballate folk, dal sapore cantautorale (Angelo Branduardi) eseguite in lingua madre come la splendida Il Rifugio.
I nomi che ispirano il gruppo nostrano sono quelli che hanno fatto la storia dell’heavy metal dai tratti epici, aggiungendo sicuramente una dose letale di power/thrash per un lavoro tutto da ascoltare. Non perdetelo.

TRACKLIST
1.I Will Dance on Your Tombs
2.Grieving April
3.Unawaken
4.Rock My Name
5.Artemisia
6.Fuck the Narcissism
7.Il rifugio
8.Devil Pray
9.End Is Far … or Else?
10.The Refuge

LINE-UP
Fabio Privitera- Vocals
Leonardo “Unto” Filace – Guitar
Adriano Colombo – Guitar
Santino Talarico – Bass
Matteo Tommasini – Drums

AETERNAL SEPRIUM – Facebook

Quartz – Fear No Evil

Il buon ritorno di un gruppo che poteva lasciare un segno più profondo sulla storia dell’heavy metal: probabilmente è troppo tardi, ma se le sonorità britanniche dei primi anni ottanta sono ancora nelle vostre corde, Fear No Evil è l’album che fa per voi.

Tornano sul mercato delle vecchie glorie della new wave of british heavy metal i britannici Quartz, band di Birmingham attiva dalla seconda metà degli anni settanta.

Un gruppo, dunque, che gli anni della nascita dell’heavy metal li ha vissuti davvero, peccato che dopo gli album dei primi anni ottanta (Stand Up and Fight e Against All Odds, usciti rispettivamente nel 1980 e nel 1983) non abbia più fatto uscire nulla di inedito, a parte qualche live e varie compilation.
Con molti capelli bianchi in più sulle chiome, i musicisti britannici tornano con un nuovo cantante e un album nuovo di zecca, Fear No Evil, dodici brani per un tuffo nell’heavy metal old school.
L’album mantiene le caratteristiche che ne hanno caratterizzato l’inizio della carriera: riff sassoni, melodie accattivanti ed un buon songwriting, certo il genere è questo, al 100% forgiato nel metal vecchia scuola, prodotto e registrato il giusto per risaltare il mood classico di un lavoro piacevole, specialmente per chi ama il genere.
In generale il livello dei brani è buono, la sei corde dello storico chitarrista Mick Hopkins disegna scale metalliche tra UFO (nei brani dall’impronta hard rock) e Maiden, dove la parte heavy prende il sopravvento con una manciata di tracce che trainano tutto l’album (The Stalker, Walking On Holy Water, Riot In The City e Scream At The Devil).
Il buon ritorno di un gruppo che poteva lasciare un segno più profondo sulla storia dell’heavy metal, probabilmente è troppo tardi, ma se le sonorità britanniche dei primi anni ottanta sono ancora nelle vostre corde, Fear No Evil è l’album che fa per voi.

TRACKLIST
1. Fear No Evil
2. Rock Bottom
3. The Stalker
4. Rapture
5. Zombie Resurrection
6. Barren Land
7. Walking On Holy Water
8. Dangerous Game
9. Born To Rock The Nation
10. Riot In The City
11. Dead Man’s World
12. Scream At The Devil

LINE-UP
David Garner – vocals
Mick Hopkins – guitar
Geoff Nicholls – guitar, keyboards, vocals
Derek Arnold- bass
Malcolm Cope – drums

QUARTZ – Facebook

Tygers Of Pan Tang – Tygers Of Pan Tang

Una fantastica cavalcata nell’immortalità di un genere musicale

Sono passati trentasei anni da Wild Cat, debutto dei Tygers Of Pan Tang, una delle band più importanti uscite dalla new wave of british heavy metal e da un po’ di anni rinati sotto il segno del cantante Jacopo Meille, italiano di nascita ma dal sangue britannico, almeno a giudicare dalle prestazioni con lo storico gruppo dall’attitudine felina.

Doppia cifra raggiunta e superata con questo lavoro, almeno per quanto riguarda gli album di inediti, una carriera all’ombra dei nomi che occuparono le classifiche del vecchio continente (Def Leppard in primis), ma un livello qualitativo che non ha mai visto passi falsi clamorosi e si rinvigorisce con questo ennesimo album omonimo, davvero ispirato e travolgente nel saper sfruttare al meglio i cliché del vecchio hard & heavy britannico.
I Tygers Of Pan Tang del nuovo millennio sono nelle ottime mani del vocalist e del solo superstite Robb Weir, axeman di un’altra categoria, splendido nel rendere fresco ed attuale un genere che, nel 2016, vive in bilico tra capolavori ed opere stantie, ma che sa regalare musica metal di alto rango se a suonarlo sono gruppi come le tigri anglosassoni.
Si parte a razzo, con hard rock ed heavy metal che si rincorrono tra lo spartito con una serie di brani dall’impatto di un treno in corsa, perfettamente bilanciati tra grinta e melodia e radiofonici , se solo le radio non fossero invase dalla non musica di questi brutti tempi in cui viviamo e che si riflettono pure sulle sublime arte.
Si perché cosa sono, se non arte metallica, i quattro morsi con cui la band ci aggredisce (Only The Brave, Dust, Glad Rags e Never Give In), per poi farci rabbrividire con la semi ballad The Reason Why e ripartire con ancora più foga con la spettacolare Do It Again?
Detto di una prova clamorosa del “nostro” Jacopo e del sontuoso songwriting con cui è rivestito questo undicesimo album, vi lascio con le ultime quattro canzoni, la perfezione metallica data in pasto a noi, poveri cultori del bello aldilà di trend, mode ed altre amenità: una fantastica cavalcata nell’immortalità di un genere musicale. Bentornate tigri.

TRACKLIST
01. Only The Brave
02. Dust
03. Glad Rags
04. The Reason Why
05. Never Give In
06. Do It Again
07. I Got The Music In Me
08. Praying For A Miracle
09. Blood Red Sky
10. Angel In Disguise
11. The Devil You Know

LINE-UP
Robb Weir – guitars
Jacopo Meille – vocals
Micky Crystal – guitars
Gav Gray – bass
Craig Ellis – drums & percussion

TYGERS OF PAN TANG – Facebook

Tytus – Rises

Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

Boom!: il botto che sentirete al primo accordo di questo bellissimo debutto, è l’esplosione metallica della Terra al letale avvicinamento del Sole, una deflagrazione tremenda a colpi di heavy hard rock dei Tytus e del loro Rises.

Ma prima di perdervi tra le macerie, risultato dell’ armageddon sonoro creato dal gruppo, presentiamo per bene questo quartetto friulano, risultato dell’alleanza di un manipolo di musicisti provenienti da varie band già attive nella scena underground come Gonzales, La Piovra, Eu’s Arse e Upset Noise, e che, dopo la recente firma con la Sliptrick Records ci bombardano con una pioggia di meteore hard rock e di spumeggiante heavy metal, per una cinquantina di minuti dall’alto tasso adrenalinico.
Chitarre che vomitano acciaio fuso, ritmiche potenti che, pur guardando alla tradizione, mantengono un approccio fresco, una produzione che valorizza il sound senza risultare troppo patinata e un singer di razza, fanno di Rises un album imperdibile per gli hard rockers dalle mire metalliche.
Le influenze del gruppo sono da ricercare nella storia dell’hard & heavy, anche se l’album ha una sua anima, prepotente, diretta, dannatamente coinvolgente, per cui spogliatevi di inutili riverenze all’originalità e fatevi capovolgere da questi dieci martelli sparati da Asgard, caduti sul sole e colpevoli di spingere la nostra fonte naturale di luce verso il nostro pianeta.
Enorme la forza di queste tracce, un continuo susseguirsi di inni che nel metal classico sono stati plasmati e che nell’hard rock hanno trovato il perfetto alleato.
La tempesta di suoni che travolge ogni cosa, trova la sua forza nel suo insieme ed è difficile ascoltare un brano che non sia eccellente per potenza, con solos di stampo maideniano e grandi linee melodiche.
La tensione non scende, almeno fino alla conclusiva Blues on the Verge of Apocalypse, strumentale che vede i quattro rockers camminare nella desolazione lasciata dal disastroso impatto con un tappeto di suoni tastieristici di scuola Uriah Heep (quelli leggendari di Very ‘Eavy Very ‘Umble e Salisbury).
Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza, un lavoro consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

TRACKLIST
1.Ode to the Migthy Sun
2.New Frontier
3.Haunted
4.325 A.D.
5.White Lines 04:48
6.Omnia Sunt Communia
7.Inland View
8.Desperate Hopes
9.New Dawn’s Eve
10.Blues on the Verge of Apocalypse

LINE-UP
Bardy – Drums
Mark Simon Hell – Guitars
Markey Moon – Vocals, Bass
Ilija Riffmeister – Vocals, Guitars

TYTUS – Facebook

Witchunter – Back On The Hunt

Sembra facile riuscire a scrivere una serie di brani diretti e trascinanti, trovare un singer efficace e suonare heavy metal tripallico meravigliosamente vecchia scuola, ma dirompente e distruttivo come un treno all’entrata in stazione con i freni rotti, ma non è così.

Sonorità old school come se piovesse dall’underground italico, ormai assolutamente sul pezzo per quanto riguarda i suoni metallici in ogni genere e, come in questo caso, ad uso e consumo dei true defenders.

I Witchunter sono un gruppo abruzzese attivo da quasi una decina d’anni e con un primo album alle spalle di ormai sei anni fa, quel Crystal Demons che fece girare il nome del gruppo tra gli addetti ai lavori e gli amanti dell’heavy metal, quello vero, classico, in your face e suonato semplicemente con chitarre, basso e batteria.
Sembra facile riuscire a scrivere una serie di brani diretti e trascinati, trovare un singer efficace e suonare heavy metal tripallico, meravigliosamente vecchia scuola, ma dirompente e distruttivo come un treno all’entrata in stazione con i freni rotti, ma non è così.
Beh, cari i miei defenders amanti del palla lunga e pedalare, nemici di orchestrazioni e orpelli quando si parla di metal, il gruppo italiano (sì italiano … problemi?) vi farà spaccare la testa contro il muro di casa a suon di heavy rock a metà strada tra la new wave of british heavy metal e i Motorhead di san Lemmy, con una serie di brani travolgenti, come l’irresistibile Hounds Of Rock, brano che, per averlo sui loro patinati lavori, gruppi da un milione di dollari avrebbero regalato anche il fegato.
Back On The Hunt è bello che spiegato, anzi ci penserà la band con la sua musica a convincervi che qui si scherza, ma fino ad un certo punto, d’altronde i riff che, uno dietro l’altro, compongono e valorizzano Lady In White, Midnight Sin e Lucifer’s Blade sono scolpiti sulle tavole della legge dell’heavy metal.
Poi, quando la versione maideniana di Achilles Last Stand del dirigibile più famoso della storia del rock, lascia che l’album si avvii alla fine con Are You Ready dei Thin Lizzy piazzata prima dei titoli di coda, non ci rimane che toglierci il cappello e fare gli onori a Steve Di Leo (un cantante metal…punto) e soci.

TRACKLIST
1.Back on the Hunt
2.Lady in White
3.Vultures Stalking
4.Hounds of Rock
5.Nightmare
6.Midnight Sin
7.Loosing Control
8.Lucifer’s Blade
9.Achilles Last Stand (Led Zeppelin cover)
10.Are You Ready (Thin Lizzy cover)

LINE-UP
Silvio “Chuck” Verdecchia – Bass, Vocals, Guitars
Federico “Ace” Iustini – Guitars (lead), Vocals
Steve Di Leo – Vocals
Bastià “BloodOilDrinker” – Bass, Vocals
Luca Cetroni – Drums

WITCHUNTER – Facebook

Rod Sacred – Submission

Il gruppo mantiene intatta la sua vocazione alle sonorità metalliche classiche e continua a dispensare ottima musica

Nel ritorno di fiamma per le sonorità old school, si inserisce prepotentemente la label tedesca Pure Steel, da anni ormai in missione per riportare in auge i classici suoni metallici.

Composta da varie sotto etichette, assecondando la musica suonata dai gruppi, la Pure Steel pesca da tutti i paesi del mondo nuove proposte e vecchie glorie dell’underground metallico e, come in questo caso con la sublabel Pure Underground, una vecchia conoscenza nata nel nostro paese negli anni ottanta.
I Rod Sacred infatti sono una band nata in Sardegna nei primi anni del decennio d’oro per la nostra musica preferita, con un primo album omonimo che ebbe un discreto successo all’epoca dell’uscita (1989), seguito da cambi di formazione e stop forzati, un secondo lavoro registrato nel 1997 (Sucker of Souls) e il silenzio fino ad oggi primna della firma con la piovra tedesca.
La rinascita per il gruppo del bassista Franco Onnis si chiama Submission e vede la nuova formazione in ottima forma alle prese con sette nuovi brani, in aggiunta alla ristampa dello storico primo album, un salto temporale nell’heavy metal classico, tra new wave of british heavy metal e hard & heavy.
Rivivrete così un altro pezzo di storia del metal tricolore, chiaramente ispirato ai maestri internazionali, ma assolutamente illuminato da luce propria, di notevole impatto, in molti tratti e suonato con ottima padronanza dei mezzi.
I vecchi brani, posti nella seconda parte del cd, vedono confermate le buone impressioni che suscitarono all’epoca dell’uscita, pregni di heavy metal robusto, tra tracce veloci e dirette e anthem metallici dal flavour emotivo altissimo che facevano del gruppo un sunto della proposta di gruppi come Rainbow, Black Sabbath del periodo Tony Martin, Iron Maiden e Scorpions … e scusate se è poco.
Tra tutte spiccano le splendide The Mistery Of Quid e la ballatona Dreaming, brani emotivamente sopra la media, con in gran spolvero il vocalist Antonio “Tony” Deriu , cantante che ricorda a più riprese Klaus Meine degli scorpioni tedeschi.
I nuovi brani non tradiscono le attese, il gruppo mantiene intatta la sua vocazione alle sonorità metalliche classiche e continua a dispensare ottima musica, alternando tracce dirette come Hiper Drive, mid tempo sabbathiani (la title track) e sontuose song di scuola Rainbow/Scorpions (Stop Fear), così da regalare un ottimo lavoro ai fans dei suoni classici, assolutamente obbligati a far proprio questo cd per fare la conoscenza con una band storica del panorama italiano.
Per chi ha qualche capello grigio in più sulla lunga ma rada chioma, l’acquisto merita per l’ottimo lavoro del gruppo sulla nuove composizioni, insomma fatelo vostro senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Submission
2. Hiper Drive
3. Stop Fear
4. Let Yourself Go
5. Rod Sacred
6. Strange Life
7. Radio
8. Don’t Fear the Rain
9. Live Your Life Again
10. Lonely Between Mass of Puppets
11. The Mistery of Quid
12. Crazy For You
13. Circle of Lust
14. The Enter
15. Dreaming
16. Will of Living Total

LINE-UP
Tonio Deriu – vocals
Luca Mameli – guitars
Peppo Eriu – guitars
Franco Onnis – bass, backing vocals
Andrea Atzeni – drums

ROD SACRED – Facebook

Iron Curtain – Guilty As Charged

Un candelotto letale di dinamite metallica, composto da una serie di brani che deflagrano e travolgono, fieri figli di un’era molto spesso dimenticata ma importantissima per lo sviluppo del metal sound.

Tornano gli spagnoli Iron Curtain con un nuovo album e il salto nel più terremotante metal old school è assicurato.
Guilty As Charged è il terzo lavoro a tre anni di distanza dal precedente Jaguar Spirit, in uscita in questo autunno per la solita piovra metallica Pure Steel a cui non sfugge un colpo, specialmente se si parla di metal classico.

La band, con l’entusiasmo che la contraddistingue e l’assoluta devozione per i suoni tradizionali, ci fa salire sulla sua macchina del tempo, così da tornare indietro fino ai primi anni ottanta.
Guilty As Charged continua a condensare , come ormai ci ha abituato il gruppo spagnolo, heavy speed metal europeo e power con targa statunitense, esplosivo nei riff, vario nelle ritmiche ed irresistibile in quanto a songwriting.
Mi capita spesso di scrivere riguardo alle opere di gruppi dediti alle sonorità classiche, molte volte imbattendomi in lavori discreti rovinati da produzioni demenziali, mi ritrovo al cospetto finalmente di un album che, nella sua completa attitudine old school, si impreziosisce di un lavoro alla consolle perfetto, mantenendo le caratteristiche peculiari del genere impreziosito da suoni al passo coi tempi.
Ne esce un candelotto letale di dinamite metallica, composto da una serie di brani che deflagrano e travolgono, fieri figli di un’era molto spesso dimenticata ma importantissima per lo sviluppo del metal sound.
D’altronde, tra i solchi del fenomenale uno-due Into The Fire, Lion’s Breath o dai riff scolpiti nell’olimpo della New Wave Of British Heavy Metal di Relentless e della motorheadiana Wild & Rebel, vi scontrerete con richiami storici del metal che ha segnato un’epoca e non solo, come Iron Maiden, Judas Priest, Raven e Motorhead, fino ad attraversare l’oceano ed abbracciare il power americano creando un sound incandescente ed esaltante, almeno per chi con queste sonorità ci è cresciuto e diventato grande.
Un album old school degno di entrare di diritto nella discografia dei metallari dai gusti tradizionali, bravi Iron Curtain.

TRACKLIST
1. Into The Fire
2. Lion’s Breath
3. Take It Back
4. Relentless
5. Iron Price
6. Outlaw
7. Wild & Rebel
8. Guilty As Charged
9. Turn The Hell On

LINE-UP
Mike Leprosy – vocals, guitar
Joserra – bass
Alberto – drums
Cachorro – guitar

IRON CURTAIN – Facebook

Myriad Lights – Kingdom Of Sand

Per gli amanti del power metal, Kingdom Of Sand può senz’altro considerarsi un buona alternativa ai soliti nomi

Attivi da una decina d’anni e con un primo lavoro licenziato quattro anni fa (Mark of Vengeance), tornano i lombardi Myriad Lights con il secondo album, Kingdom Of Sand, album che dimostra quanto la scena nazionale sia ormai patrimonio del metal europeo.

Anche a livello underground infatti il metal italiano dimostra di avere molte frecce al proprio arco, molte ancora da scoccare direi, visto la qualità dei prodotti made in Italy, anche quelli meno conosciuti.
Costruito su fondamenta che ricordano il power metal raffinato ed elegante al quale lo stivale ha dato un fondamentale contributo con Labyrinth, Shadows Of Steel ed in parte Vision Divine: il sound di Kingdom Of Sand è un ottimo e vario esempio di quello che le sonorità metalliche di stampo classico hanno dato in questi ultimi anni, con la band che non si ferma agli illustri colleghi ma spazia tra melodie, aggressività e varie soluzioni stilistiche, così da non essere solo figlia di un unico approccio.
Tra i brani che compongono l’album , oltre ad orchestrazioni dal mood orientaleggiante, è forte lo spirito power nato nelle terre germaniche, che non fa altro se non indurire il sound, quel tanto che basta per accontentare anche i defenders che mal digeriscono qualche orchestrazione di troppo.
Così ci troviamo al cospetto di un buon lavoro, che non manca di brani davvero interessanti (Mirror) ed un’ottima altalena tra il neoclassicismo nazionale ed il power dirompente di scuola tedesca, valorizzata da un’interpretazione su buoni livelli di Andrea Di Stefano, vocalist dalle grandi potenzialità, ed una prova strumentale tutta grinta e passione.
Una band che crede in quello che fa, ne escono così i Myriad Lights, e non è poco in un mercato virtuale che abbonda di proposte di tutti i generi, fortunatamente molte buone, ma anche con troppe sotto la media.
Per gli amanti del power metal, Kingdom Of Sand può senz’altro considerarsi un buona alternativa ai soliti nomi, molti dei quali ormai lontani dalle opere che hanno scritto la storia del genere.

TRACKLIST
1.Desert Nights
2.Kingdom of Sand
3.Abyssal March
4.The Deep
5.The Grave Chant
6.039 Lights
7.Mirror
8.The Waves
9.Deathbringer
10.Ascension

LINE-UP
Francesco Lombardo-Guitars
Jeff Lombardo-Bass
Andrea Di Stefano-Vocals
Simone Sgarella-Drums
Emanuele Salsa-Keyboards

MYRIAD LIGHTS – Facebook

Septem – Living Storm

I Septem fanno metal con il cuore e non con il mixer o con le pose, perché la loro musica di metallari inveterati parla direttamente al cuore, muovendo le corde del metallico amore, e se ascolterete questo disco capirete cosa voglio dire.

Per i metallari più attenti e vogliosi di nuove sonorità e di gruppi meritevoli, i Septem avevano già colpito al cuore con il precedente album omonimo che era stata una delle migliori uscite del 2013.

Con questo Living Storm, i Septem si superano e pubblicano un grandissimo disco di heavy metal che viene dal cuore, mantenendo ben salde le radici e innovando anche tra NWOBHM e i migliori In Flames, ma andando oltre le ultime uscite degli svedesi. La voce di Daniele Armanini ci porta lontano verso un’epicità sicuramente estranea a questa nostra società. Il gruppo suona compatto e coordinato come un’orchestra, prodotto in maniera eccellente da Tommy Talamanca ai Nadir Studios. I Septem cambiano più volte registro musicale all’interno della stessa canzone, e la loro bravura tecnica e compositiva li porta ad esplorare diversi luoghi musicali. In Living Storm troviamo l’heavy metal inglese degli anni ottanta così come i fondamentali Helloween, ma si ascolta anche un suono risalente alla moderna scuola svedese, oltre ad una straordinaria melodia che è tutta dei Septem. Il disco è davvero godibile e ha dei momenti in cui si viene trasportati lontano. Una delle cose che colpiva maggiormente del disco precedente era stata scoprire che i Septem fanno metal con il cuore e non con il mixer o con le pose, perché la loro musica di metallari inveterati parla direttamente al cuore, muovendo le corde del metallico amore, e se ascolterete questo disco capirete cosa voglio dire. Rispetto al disco d’esordio questo Living Storm è, come promette il titolo, più brutale e veloce ed è ancora, come accaduto per il precedente disco, una delle migliori uscite dell’anno. Questi ragazzi parleranno al vostro cuore metallico, ascoltateli.

TRACKLIST
1. Lord of the Wasteland
2. Living Storm
3. Midnight Sky
4. Milestones
5. Cielo Drive
6. Waiting for Dawn
7. Montezuma II
8. The Crystal Prison

LINE-UP
Daniele Armanini – vocals
Francesco Scontrini – guitar, vocals
Enrico Montaperto – guitar
Andrea Albericci – bass guitar
Matteo Gigli – drums

SEPTEM – Facebook

Crossbones – Crossbones

Un’iniziativa assolutamente consona al valore dell’opera in questione

Siamo ancora negli anni ottanta, anche se ormai il decennio successivo è alle porte, ed i venti alternativi spingono il rock verso una nuova frontiera: nell’Italia metallica, ancora lontana dai fasti degli ultimi anni e difesa da un manipolo di eroi contro l’esterofilia dilagante di fans e molti addetti ai lavori , continuano ad affacciarsi gruppi che, con un po’ di ritardo, dei suoni heavy metal fanno il loro credo, in un paese ancorato alla canzone popolare ed al progressive del decennio precedente.

Molti rockers con meno primavere sulle spalle, del chitarrista ligure Dario Mollo ricorderanno le collaborazioni con Tony Martin nel progetto The Cage (The Cage 1998, The Cage2 2002 e The Third Cage 2012) e con Glenn Hughes nei Voodoo Hill (Voodoo Hill nel 2000, Wild Seed of Mother Earth del 2004 e Waterfall uscito lo scorso anno).
Il talentuoso musicista e produttore nostrano, oltre ad altre importanti collaborazioni ha un passato nei Crossbones, autori di questo ottimo lavoro licenziato nel 1989 e oggi ristampato dalla Jolly Rogers Records per la gioia degli amanti dell’hard & heavy old school.
Prodotto da Kit Woolven (Thin Lizzy, UFO) e con alle tastiere il contributo dell’ospite internazionale Don Airey, l’esordio omonimo dei Crossbones aveva tutte le carte in regola per tatuarsi nel cuore degli amanti dei suoni scolpiti nell’acciaio: una produzione che per quei tempi soddisfaceva non poco, una serie di canzoni superlative e l’enorme talento (senza nulla togliere alla precisa ed efficiente sezione ritmica composta da Ezio Secomandi alle pelli e Fulvio Gaslini al basso) dei due indiscussi protagonisti, Dario Mollo con la sua sei corde che sprigionavano suoni blackmoriani a profusione ed il cantante Giorgio Veronesi, grande interprete dei suoni duri e regali del gruppo.
Diventato in breve tempo un oggetto di culto, anche per non aver avuto un seguito (almeno fino ad oggi), Crossbones segue le coordinate stilistiche del metal/rock britannico, aggressivo, raffinato e con quelle sfumature epiche avvicinabili proprio ai Rainbow, messe in evidenza da un Mollo straordinario alla sei corde ed un songwriting di altissimo livello.
L’opener Fallen Angel, la diretta Rock ‘n’ roll , il metallo epico della gloriosa The Promised Land, l’omaggio a Vivaldi nella classica Winter sono solo fiocchi di un pacco regalo confezionato alla perfezione dal gruppo ligure che, all’epoca, con questo lavoro, salì sul podio dei migliori lavori usciti dalla ancora bistrattata ( metallicamente parlando) penisola.
Bene ha fatto la Jolly Roger ha curare questa ristampa in cd, un’iniziativa assolutamente consona al valore dell’opera in questione, da non perdere.

TRACKLIST
1.Fallen Angel
2.Iron in the Soul
3.Rock ‘n’ Roll
4.Cry from the Heart
5.The Promised Land
6.Venom
7.Bad Dreams
8.Winter
9.Fire

LINE-UP
Fulvio Gaslini – Bass
Ezio Secomandi – Drums
Dario Mollo – Guitars
Giorgio Veronesi – Vocals

Fil Di Ferro – Hurricanes / Fil Di Ferro

Due buone ristampe, sicuramente importanti per conoscere una band storica del panorama italiano o per i rockers dal capello grigio, un incontro con dei vecchi amici mai dimenticati.

Tempi di ristampa per la Jolly Roger che tributa una delle band storiche del panorama heavy metal nazionale, torinesi i Fil Di Ferro.

Dal 1979 band che accomuna l’hard & heavy con la cultura biker, in mano al batterista Michele De Rosa, fondatore ed unico membro ancora attivo nel gruppo, i Fil Di Ferro fanno parte di quel manipolo di eroi della prima ondata di gruppi nazionali passati addirittura sul piccolo schermo dalla molto più seria RAI, che (sembra un paradosso) risultava all’epoca molto più libera culturalmente, se vero è che passarono all’epoca anche i Maiden ancora in mano a Paul Di Anno.
I due album in questione, venduti singolarmente, sono il debutto Hurricanes uscito nel 1986 ed il seguente full length omonimo di due anni dopo.
Il gruppo, diede poi alle stampe altri tre album, Rock Rock Rock del 1992 e poi, dopo tredici anni di silenzio, entrarono nel nuovo millennio con It Will Be Passion del 2005 e It’s Always Time, licenziato quattro anni fa.
Il titolo del primo album tributa il mondo dei bikers, Hurricanes infatti è il gruppo di motociclisti che De Rosa contribuì a fondare: il sound acerbo, ma dall’ottimo impatto, risulta New Wave Of British Heavy Metal al 100% con almeno un paio di brani divenuti in seguito dei classici della discografia del gruppo piemontese come la title track, Burning Metal e Get Ready.
La Jolly Roger ci ha messo del suo aggiustando le pecche di una produzione deficitaria, senza togliere l’atmosfera old school che aleggia sui brani e regalando ai fans un album storico ormai introvabile se non nei banchetti dell’usato.
Nel 1988 la band torna più decisa che mai con il lavoro omonimo: Fil Di Ferro cambia non poco le carte in tavola, con una produzione in linea con le uscite dell”epoca, curata da Guy Bidmead, già al lavoro con Lemmy ed i suoi Motorhead .
Il sound del gruppo acquista una piega più internazionale, non sfigurando certo con i lavori degli allora dei del metal britannico, anche grazie ad una line-up ormai rodata in cui il solo chitarrista Michele Fiorito risulta la novità rispetto al primo album.
Una serie di brani rocciosi, che hanno in Licantropus, Street Boy e Wanted degli splendidi esempi di cavalcate metalliche, questa volta su roboanti motociclette delle quali Fil Di Ferro portano fieri la cultura ed il messaggio della vita da bikers.
In conclusione due buone ristampe, sicuramente importanti per conoscere una band storica del panorama italiano o, per i rockers dal capello grigio, un incontro con dei vecchi amici mai dimenticati.

TRACKLIST
Hurricanes
1. Hurricanes
2. Rock Fever
3. The Fox
4. Burning Metal
5. King Of The Night
6. Over The Light
7. Get Ready
8. Fil Di Ferro

Fil di Ferro
1. Hurricanes
2. Crazy Horse
3. Street Boys
4. Nightmare
5. I’m Free
6. Licantropus
7. Wanted
8. Ambush
9. Professional Meeting
10. Dropping Down

LINE-UP
Hurricanes
Michele De Rosa-Drums
Bruno Gallo Balma-Bass
Claudio De Vecchi-Guitars
Sergio Zara-Vocals

Fil di Ferro
Michele De Rosa-Drums
Bruno Gallo Balma-Bass
Miky Fiorito-Guitars
Sergio Zara-Vocals

FIL DI FERRO – Facebook