North Of South – New Latitudes

Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.

Davvero tanto carne al fuoco in questo esordio discografico targato North Of South, progetto solista del chitarrista e compositore spagnolo Chechu Gomez.

Le nuove latitudini musicale del nostro abbracciano una moltitudine di generi diversi uniti in un unico sound che, a dispetto, dell’enorme quantità di ispirazioni funziona, anche se l’orecchio che serve per apprezzare la musica di Gomez è di quello più aperto ad ogni esperienza uditiva.
New Latitudes risulta così un’esperienza di ascolto totale, passando dal metal al rock latino di Santana, dal jazz al pop, dal punk al progressive senza ovviamente dimenticare la tradizione spagnola nel suono della chitarra acustica, che emerge a tratti unendo le varie atmosfere che cambiano ad ogni nota.
Uno spartito in piena burrasca creativa, un mare in tempesta che porta a riva note stravolte su relitti di generi assolutamente distanti, mentre facilmente vengono in mente i maestri Cynic negli angoli strumentali che guardano al metal estremo.
Sono attimi, perché in brani originali come l’opener The Human Equation o Balance Paradox le intuizioni di Gomez portano a confondere l’ascoltatore travolto dalle onde create sul pentagramma di New Latitudes.
Anche in questo lavoro, la tecnica strumentale di livello assoluto viene messa al servizio delle già intricate canzoni, così che l’ascoltatore è portato a concentrarsi sui vari generi e cambi di atmosfere piuttosto che seguire evoluzioni fine a sé stesse.
Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.

Tracklist
01. The Human Equation
02. Nobody knows
03. Balanced Paradox
04. Before we die
05. Crystal Waters
06. There’s no Glamour in Death
07. Time will tell
08. Faith is not Hope
09. Montreux

Line-up
Chechu Gòmez – Guitars

NORTH OF SOUTH – Facebook

Lady Maciste – Laut

I Lady Maciste si presentano agli amanti del genere con un sound diretto e live, con chitarra e batteria a formare un muro sonoro dal piglio stoner, ma non solo.

In questi ultimi anni il rock underground tricolore può vantare di una scena stoner di notevole qualità, con una serie di gruppi che ha fornito agli ascoltatori amanti delle sonorità desertiche album convincenti e di indubbio spessore, tanto che si potrebbe pensare al nostro paese come ad una delle appendici più importanti del sound made in Sky Valley.

Arrivano a scaldare ancora di più questo rovente ottobre i Lady Maciste, duo riminese composto dai fratelli Parma, Gian Luca (chitarra e voce) e Roberto (batteria), con il loro primo lavoro, un ep dal titolo Laut composto da sei brani di stoner rock, psichedelico e bluesy.
I due ex Akemi si presentano agli amanti del genere con un sound diretto e live, chitarra e batteria a formare un muro sonoro dal piglio stoner, ma non solo: tra le trame di brani potenti come l’opener Bruto, la roboante Devil Is My Bride o la introversa Gong, troviamo echi noise e grunge, una mistura sonora che dal rock americano degli anni novanta trova la sua origine, perdendosi nel deserto e ritrovandosi tra accordi di blues sporcato dalla psychedelia e dal punk (Ted Bundy).
L’ep dà il via a questa nuova avventura tutta in famiglia, con i fratelli Parma che riescono a riempire di note rock il sound con l’aiuto di soli due strumenti, un’attitudine diventata una piacevole costante tra le nuove leve dell’alternative rock.
Se vi piace il rock uscito dagli States nell’ultimo decennio del secolo scorso (Queen Of The Stone Age, Kyuss, Sleep e primi Nirvana) Laut è assolutamente consigliato.

Tracklist
1.Bruto
2.Pink
3.Devil Is My Bride
4. Gong
5. Ted Bundy
6. Just A KId

Line-up
Gian Luca Parma – Guitars, Vocals
Roberto Parma – Drums

LADY MACISTE – Facebook

Mindwalker – Burning Past

Burning Past è una piacevole sorpresa in arrivo da uno dei paesi del Sudamerica meno conosciuti in ambito metal/rock, e se amate il genere il consiglio è quello di non perdervelo.

Hard rock melodico di classe attraversato da una vena gotica e romantica per una raccolta di brani piacevolmente raffinati racchiusi in una quarantina di minuti.

Loro sono i Mindwalker, progetto del musicista peruviano Daniel Roman (Battlerage / Valkiria) e Burning Past è il secondo lavoro sulla lunga distanza dopo l’esordio licenziato un paio di anni fa (Walking Alone).
Accompagnato dal singer Chris Clancy (Mutiny Within/Wearing Scars) Roman crea un sound molto intrigante, sempre in bilico tra la decadenza romantica del gothic/dark moderno e l’hard rock melodico, con il vocalist che interpreta le tracce con il dovuto trasporto, e le tastiere che ricamano tappeti musicali su cui poggia tutta la struttura del sound.
Burning Past non rinuncia alla giusta dose di grinta hard & heavy, la chitarra tiene le ritmiche alte, specialmente nei brani più grintosi, anche se l’eleganza del songwriting fa dell’album un ottimo esempio di rock melodico.
Street Of Dust apre le danze entrando subito nel vivo, con tastiere e chitarra in evidenza così come l’ottima interpretazione di Clancy che fanno di Burned To A Crisp e Heart Of Stone piccoli gioielli gothic rock, nei quali le raffinate melodie fanno la differenza.
Cercando di trovare degli utili paragoni per i lettori, direi che siamo al cospetto di un sound che unisce le parti meno progressive dei Nightingale di Dan Swano con gli Him e i Sentenced più melodici (Chains Of Fear).
Burning Past è una piacevole sorpresa in arrivo da uno dei paesi del Sudamerica meno conosciuti in ambito metal/rock, e se amate il genere il consiglio è quello di non perdervelo.

Tracklist
1.Street Of Dust
2.Fearlessly
3.Burned To A Crisp
4.Mad World
5.Heart Of Stone
6.Puppeteers
7.I Can´t Breathe
8.Signs
9.Chains Of Fear
10.Nothing There

Line-up
Daniel Roman – Composed , recorded , mixed and mastered
Chris Clancy – Vocals
Mike Lukanz – Drums

MINDWALKER – Facebook

The Devil’s Trade – What Happened To The Little Blind Crow

What Happened To The Little Blind Crow in poco meno di quaranta minuti regala tutto quanto ci si attenderebbe sempre da un disco: profondità , sentimento, emotività, dolore, malinconia e, soprattutto, poesia trasformata in musica da questo splendido artista, meritevole d’essere inserito fin d’ora tra i migliori esponenti del cantautorato rock/folk dei nostri tempi.

Quando si parla di cantautorato, probabilmente molti appassionati di metal non saranno spinti a soffermarsi e prestare un ascolto a quanto viene loro proposto; ebbene, se così fosse fanno decisamente male, soprattutto perché, in quest’ultimo periodo, ne stanno emergendo alcuni che, anche grazie ad un background metallico, riescono ad imprimere ai loro lavori un carico emotivo superiore alla media.

Se recentemente abbiamo constatato la grande maturazione dell’ex A Forest Of Stars Duncan Evans, oggi è il momento di spalancare il sipario su un talentuoso musicista ungherese, David Makò (con un presente nella stoner band HAW ed un passato recente con i doomsters Stereochrist), il quale da qualche anno ha intrapreso una carriera solista sotto il nome The Devil’s Trade che ne ha visto crescere esponenzialmente le quotazioni.
What Happened To The Little Blind Crow è un vero e proprio capolavoro, all’interno del quale Makò assembla una serie di brani intensi, commoventi, ruvidi ma al contempo melodici, ricchi di sfumature blues e richiami etno folk, esaltato poi da un’interpretazione vocale sentita e vibrante.
La bellezza dell’’incipit acustico I Can Slow Down Time Pt. 1 è già sufficiente a farci comprendere che il lavoro si attesterà su un livello tale da lasciare letteralmente annichiliti: David usa solo la voce e la chitarra (o il banjo) e nonostante questo riesce a riempire qualsiasi spazio, indipendentemente dalla direzione verso la quale la sua musica possa fluire. To An End colpisce con le corde degli strumenti acustici che paiono quasi frustate e si stempera a in un finale folk (che verrà ripreso nella chiusura della conclusiva I Can Slow Down Time Pt. 2) preparando il terreno alla perfezione rappresentata da Your Own Hell, canzone che non può lasciare indifferenti, grazie ad un’interpretazione vocale e ad un chorus che vanno a creare un connubio realmente da brividi.
La lunga St. James Hospital si ammanta di un’aura blues, che il retaggio del musicista magiaro rende un qualcosa di unico, con il dolente sentire del doom che si tramuta in un mood più malinconico e soffuso.
12 To Die 6 To Rise è l’altra traccia segnante dell’album, capace di replicare lo spasmodico incedere di Your Own Hell: è proprio in queste occasioni che Makò si trasforma in una sorta di versione irruvidita del Mick Moss più appassionato ed introspettivo (per intenderci quello di Leaving Eden), ma questo accostamento, che forse a qualcuno potrà persino apparire improprio, è utile sostanzialmente ad inquadrare il potenziale evocativo del lavoro.
What Happened To The Little Blind Crow in poco meno di quaranta minuti regala tutto quanto ci si attenderebbe sempre da un disco: profondità , sentimento, emotività, dolore, malinconia e, soprattutto, poesia trasformata in musica da questo splendido artista, meritevole d’essere inserito fin d’ora tra i migliori esponenti del cantautorato rock/folk dei nostri tempi.

Tracklist:
1. I Can Slow Down Time Pt. 1
2. To An End
3. Your Own Hell
4. Only As A Ghost
5. St. James Hospital
6. No One Here
7. 12 To Die 6 To Rise
8. I Can Slow Down Time Pt. 2

Line-up:
David Makò

THE DEVIL’S TRADE – Facebook

Beartooth – Disease

Disease conferma i Beartooth quale potenziale new sensation dell’alternative rock/metal a stelle e strisce, grazie ad una raccolta di brani inattaccabili e imperdibili per gli amanti di queste sonorità.

I Beartooth sono una alternative rock/punk metal statunitense nata inizialmente come one man band dell’ex Attack Attack! Caleb Shomo, ad oggi band a tutti gli effetti con Kamron Bradbury e Zach Huston alle chitarre e la sezione ritmica composta da Oshie Bichar al basso e Connor Denis alla batteria.

Per Red Bulls Records esce Disease, il terzo lavoro sulla lunga distanza, dopo gli ottimi riscontri ed il successo diel debutto Disgusting licenziato nel 2014 e soprattutto del secondo album uscito un paio di anni fa ed intitolato Aggressive.
I Beartooth sono la classica band alternative da classifica che amalgama metal moderno, punk, un pizzico di cattiveria hardcore e melodie rock dall’appeal radiofonico, quindi con l’aspettativa di fare un buon bottino di dollari e diventare uno dei gruppi più amati dai kids mondiali dai gusti che guardano ai canali rock satellitari.
Caleb Shomo è il guru del progetto Beartooth, cantante dalla voce che convince, tra rabbiose parti scream e toni melodici che più ruffiani di così non si può, che attira su di sé l’attenzione dei fans e da abile songwriter riesce a creare una raccolta di brani piacevoli e con le potenzialità per fare sfracelli.
Disease non aggiunge e non toglie niente ai lavori di genere: dodici tracce tra grinta rock/metal e melodie pop, rock alternativo dal successo assicurato, a suo modo ben strutturato ed in possesso di un talento per cori e refrain di facile presa che sono la strada per il successo.
L’album scorre che è un piacere, la formula è quella usata a suo tempo da chi di questi suoni è maestro e la lista dei brani da top ten parte dall’opener Greatness Or Death per arrivare alla conclusiva Clever, passando per la title track, You Never Know ed Enemy.
Disease conferma i Beartooth quale potenziale new sensation dell’alternative rock/metal a stelle e strisce, grazie ad una raccolta di brani inattaccabili e imperdibili per gli amanti di queste sonorità.

Tracklist
1.Greatness or Death
2.Disease
3.Fire
4.You Never Know
5.Bad Listener
6.Afterall
7.Manipulation
8.Enemy
9.Believe
10.Infection
11.Used and Abused
12.Clever

Line-up
Caleb Shomo – Vocals
Kamron Bradbury- Guitar
Zach Huston – Guitar
Oshie Bichar – Bass
Connor Denis – Drums

BEARTOOTH – Facebook

Toy Called God – Socialvangelism

Il gruppo riesce a mettere assieme l’heavy metal, momenti di hard rock molto piacevoli ed durezze più vicine al groove, il tutto senza fare confusione e perdere la propria identità.

Viviamo in un’epoca in cui si è smarrito il senso delle cose e in cui la vita si svolge più sui social che in strada o in famiglia.

Attraverso i social noi vendiamo una visione di noi stessi appetibile e spendibile con altre uguali a noi: tutto ciò si potrebbe chiamare Socialvangelism, come l’ultimo disco dei californiani Toy Called God. Questi americani fanno un groove metal tendente all’heavy metal con testi molto intelligenti e mai ovvi. Non cambieranno la storia della musica e non saranno mai delle stelle che faranno interminabili tour di addio alle scene, ma possono cambiarvi in meglio la giornata e far capir qualcosa in più di questo mondo, o semplicemente regalarvi qualche bel momento di metallico piacere. Il gruppo riesce a mettere assieme l’heavy metal, momenti di hard rock molto piacevoli ed durezze più vicine al groove, il tutto senza fare confusione e perdere la propria identità. Il suono è solido e ben prodotto, e loro incarnano il meglio che possa avere un gruppo underground, ovvero talento, dedizione e cose da dire. I testi sono taglienti e non fanno sconti a nessuno, soprattutto a noi stessi, nel senso che ci buttano addosso le nostri croci, specialmente quelle che seminiamo nelle nostre penosità sui social. La musica è varia e riesce a tenere vivo l’interesse e l’ascolto, con un timbro molto americano che ben si sposa con il loro suono. In definitiva Socialvangelism è un disco da ascoltare come quelli precedenti dei Toy Called God, che si confermano un gruppo valido che produce sempre dischi divertenti ed interessanti, con testi che spiccano e sono duri ed ironici al contempo. Se darete loro una possibilità non ne rimarrete certamente delusi.

Tracklist
1 United Corporations of America
2 Just You and Me
3 Punch Life in the Face
4 Nothing but a Lie
5 Stain of Mind
6 She
7 Pretend
8 Miss Me
9 Take a Bullet Not a Selfie
10 Eleanor Rigby
11 #Socialvangelism

Line-up
Marcus Lance – Vox
Jacob Baptista- drums
Damian Lewin – bass
Patrick Donovan – guitar

TOY CALLED GOD – Facebook

Pat Heaven – To Heaven Again

Un pezzo importante nella storia dell’hard & heavy made in Italy, ristampato su CD in formato 45 giri da collezione.

Una ristampa attesa trent’anni.

I goriziani Pat Heaven nacquero nel 1986 e si conquistarono presto un folto seguito, anche e soprattutto grazie alla attività concertistica, in Italia e non solo (suonarono anche nell’allora Jugoslavia). Una vera rarità divenne il loro unico disco, uscito in tiratura limitata per la Docam nel 1988. E a tiratura limitata è anche questa fondamentale riedizione, che esce grazie alla Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa. Il quintetto era composto da Massimo Deviter (alla voce), Roberto Gattolin (alla chitarra), Luca Collovati (al basso), Gianandrea Garancini (batteria) e Dario Trevisan (alle tastiere). Il loro era un ottimo hard rock, sulla scia di Deep Purple e Rainbow e, quindi, giocato sull’interplay chitarra-tastiere, tra parti rocciose e melodie accattivanti, figlio della grande tradizione inglese degli anni Settanta e dei primi Ottanta. All’epoca non furono in moltissimi a poterlo apprezzare, il che rende questa benemerita ristampa ancora più interessante, testimonianza di quanto ricca e florida fosse la scena hard & heavy nostrana lungo gli Eighties. Un disco che non potrà non incontrare, pertanto, i favori di tutti coloro che amano senza riserve l’hard rock più puro e classico. Possiamo così riscoprire un’altra grande voce italiana del passato. Quel passato che, come diceva William Faulkner, non passa mai. Giustamente e per fortuna, aggiungiamo noi non senza una grande gioia. Dedicato al tastierista del gruppo, Dario Trevisan, da poco scomparso.

Tracklist
1 Runnin’ Alone
2 The Rush of the Thunder
3 Loneliness of Rock
4 Zero
5 Don’t You Know
6 Never Cry
7 Hope For a Man
8 The Rush of the Thunder (reprise)
9 The Second
10 Here Is My Love
11 Hey You
12 Reach Me Now
13 Doctor Doctor
14 Break in the Cages
15 Mistreated

Line-up
Massimo Deviter – voce
Roberto Gattolin – chitarra
Luca Collovati – basso
Gianandrea Garancini – batteria
Dario Trevisan – tastiere

PAT HEAVEN – Facebook

Nookie – Exceptions

Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.

Nookie è lo pseudonimo con cui la cantante Daria Stavrovich degli alternative rockers russi Slot si cimenta con la band che prende il suo nome.

La Sliptrick Records licenzia il loro terzo album, una raccolta di brani alternative rock, con qualche sporadico salto nel new metal, senza però andare oltre ad una grinta controllata e radio friendly.
Exceptions è comunque un buon lavoro, nel quale il gruppo asseconda con bravura il talento vocale di Nookie, bravissima nel saper variare la sua voce a seconda dell’atmosfera di ogni canzone, proponendo sfumature vocali che vanno dalla rabbia, alla disperazione, dalla dolcezza alla mera esecuzione, davvero sorprendente quando gareggia tra intricate ritmiche con gli strumenti.
Exceptions è nel suo complesso un buon lavoro di genere, l’urgenza del metal moderno si alterna con trame rock di chiara matrice statunitense, le influenze si dipanano per i brani senza però dare quel senso fastidioso di deja vu, anche perché rapiti dall’interpretazione della singer a tratti rimembrante la pantera Skin.
Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.
Magari poco conosciuta nel mercato occidentale, la band russa ha invece le carte in regola per piacere ai fans dell’alternative metal/rock a cui va il consiglio di non perdersi questo lavoro.

Tracklist
01.Au
02.Before I Die
03.Isklyucheniya
04.Vverkh
05.Znaki
06.Myprostoest
07. In-Yan
08.Vremennaya
09.Samim soboy
10.Prodolzhaem dvizhenie
11.Tantsuy, kloun, tantsuy
12.Yadovitaya
13.Kosmos

Line-up
Nookie – Lead Vocals
Sergey Bogolyubskiy – Guitar
Andrey Ostrav – Bass
Alexander Karpukhin – Drums

https://www.facebook.com/nuki.space/

Bad Bones – High Rollers

High Rollers è un disco composto da dieci hit che non risparmiano grinta ed energia, sprizzando attitudine da tutti i pori, valorizzati poi da melodie ruffiane ed irresistibili: una vere bomba hard rock che vi esploderà tra le mani in questo autunno che si preannuncia caldissimo.

Torna una delle band più rappresentative dell’hard rock targato Italia, i piemontesi Bad Bones, al quinto album licenziato dall’attivissima Sliptrick Records.

Prodotto da due icone del metal tricolore come Simone Mularoni e Roberto Tiranti, il nuovo lavoro sfodera una sagacia compositiva straordinaria vantando una raccolta di brani entusiasmanti, adrenalinici, potenti e dal grande appeal, grazie ad una valanga di melodie che travolgono l’ascoltatore, impegnato a dimenarsi e cantare i ritornelli dopo un paio di ascolti.
High Rollers è un album duro e roccioso, uno tsunami di riff che si collocano tra gli anni settanta ed il decennio successivo, con atmosfere che passano agevolmente dalla polvere delle highways della frontiera a quelle dei locali del Sunset Boulevard, ed una serie di tracce che dall’opener e singolo American Days arrivano fino alla semi ballad Solitary Fields in un crescendo rock ‘n’ roll per poi lasciare alla fine dell’ascolto tanta soddisfazione ed un pizzico di nostalgia.
Con il proprio sound rude e melodico, perfettamente bilanciato tra le due caratteristiche, il gruppo piemontese un po’ di anni fa avrebbe fatto sfracelli, transitando regolarmente sui canali musicali grazie a brani magnifici come Wild Rose, Blood TrailsRock’ n Me.
High Rollers è un disco composto da dieci hit che non risparmiano grinta ed energia, sprizzando attitudine da tutti i pori, valorizzati poi da melodie ruffiane ed irresistibili: una vera bomba hard rock che vi esploderà tra le mani in questo autunno che si preannuncia caldissimo.

Tracklist
1 American Days
2 Lost Again
3 Wild Rose
4 Midnight Rider
5 Solitary Fields
6 Now Or Never
7 Blood Trails
8 Wolf Town
9 Story Of A Broken Bone
10 Rock’ N Me

Line-up
Max Malmerenda – vocals
Sergio Aschieris – guitar
Steve Balocco – bass guitar
Lele Balocco – drums

BAD BONES – Facebook

R.A.I.V.A. – R.A.I.V.A.

Il disco si inserisce nella tradizione hardcore punk della penisola iberica, ed infatti il gruppo lusitano in qualche passaggio ricorda i Soziedad Alkoholika, con quella chitarra distorta che si accompagna ad una sezione ritmica ben cadenzata e con la voce bella ruvida e potente.

Esordio discografico per questo gruppo hardcore punk dalla sfumature metal che si chiama R.A.I.V.A. e di cui non si sa granché.

Il disco si inserisce nella tradizione hardcore punk della penisola iberica, ed infatti il gruppo lusitano in qualche passaggio ricorda i Soziedad Alkoholika, con quella chitarra distorta che si accompagna ad una sezione ritmica ben cadenzata e con la voce bella ruvida e potente. Le liriche sono di rabbia piena, infatti in portoghese Raiva vuol dire rabbia e qui ce n’è davvero tanta. Il Portogallo è un paese che è stato colpito duramente dalla crisi scatenata da lor signori ma, a differenza dell’Italia e della Grecia, è forse quello che si è ripreso meglio, soprattutto a livello politico, riprendendo a lottare invece di odiare il più debole. Tutto ciò si riflette nella musica e nelle parole del gruppo, che riesce a caricare molto l’ascoltatore, e a proporre una musica dura e con buoni contenuti. Ci sono stacchi, stop and go, sfuriate e momenti di maggiore melodia, e tutto è bene bilanciato con una grande fedeltà alla scuola portoghese, che non lascia molto spazio ai fronzoli e dà molta importanza alla sostanza. Raiva non è forse un disco originale, ma era da tempo che non si ascoltava un qualcosa che va nel passato musicale per attualizzarlo e proporre una nuova formula. Il disco si fa ascoltare molto bene e ha anche dei momenti prettamente metal, ora con un pizzico di Iron Maiden, ora con assoli come i gruppi metal iberici che sono ben bilanciati in questo aspetto. Un lavoro che viene da persone giustamente rabbiose per altre che li sanno ascoltare: musicalmente è una sorpresa e soprattutto non è scontato.

Tracklist
1. O Bom Aluno
2. A Vida é dos Que Acreditam
3. Eu Não Vivo, Eu Sobrevivo
4. Sou o Resultado Desse Mal Profundo
5. Filho da Maldade
6. Partidos & Quebrados
7. Ponham as Cartas na Mesa
8. Medo de Falhar
9. Pago Impostos com a Vida
10. A Revolta do Mundo
11. O Mais FRaco Não Tem Nada
12. Raiva Dessa Raiva
13. O Herdeiro da Parada

Line-up
Ricardo Mendonça – Guitar
Renato Lourenço – Bass
Ricardo Pinto – Drums
Fernando Girão – Vocals

ETHEREAL SOUND WORKS – Facebook

Sherpa – Tigris & Euphrates

Sei brani di post folk rock e psichedelia occulta per la seconda fatica discografica degli abruzzesi Sherpa.

Sei brani di post folk rock e psichedelia occulta per la seconda fatica discografica dei Sherpa.

In origine, con la stessa formazione, gli abruzzesi si chiamavano Edith A.u.f.n. e facevano un folk rock a tinte americane, mentre ora è cambiato tutto. Il primo disco con la nuova denominazione è Tanzlide, che riceve un buon riscontro, e vengono invitati da Crisitna Donà a rifare la sua Tregua in Tregua 1997-2017 Stelle buone, disco per il ventennale dell’uscita. Gli Sherpa colpiscono subito l’ascoltatore con il loro suono mellifluo e minimale, eppure ricchissimo, che parte dal folk per abbracciare il post rock più visionario, riprendendo poi la psichedelia e facendola diventare un soffio occulto che parla la nostro cuore. Ciò che creano i pescaresi è un’atmosfera intima e calda, dove il tempo e lo spazio sono altre cose rispetto a quelli che viviamo normalmente. Come si può evincere dai titoli, la loro poetica abbraccia anche l’occulto, e specialmente per questo disco si è provato a tracciare la parabola dell’evoluzione del linguaggio e di come esso sia servito a cambiare i rapporti umani. Il linguaggio è la prima e forse più grande ricchezza che abbiamo e, nonostante ora sia svilito a favore di altri mezzi, è il respiro che ci porta a creare il nostro mondo, e qui gli Sherpa lo sottolineano molto bene. La produzione di Giuseppe Sericola e Fabio Cardone è adeguata, pulita e cristallina, perché non è un suono facile da catturare; etereo e bilanciato, dionisiaco e lascivo, quello degli Sherpa si adatta sempre molto bene a ciò che vogliono esprimere, per un disco che alle nostre latitudini non si è ascoltato spesso essendo un qualcosa maggiormente appannaggio di gruppi scandinavi o nordici. Un lavoro che cresce a poco nel nostro cervello e trova il suo meritato posto.

Tracklist
1. Kim (((o)))
2. Creatures from Ur
3. Equiseto
4.Abscent to the Mother of Language
5.Overwhelmed
6.Descent of Inanna to the Underworld

Line-up
Matteo Dossena – voce, chitarra, synth, cori-Pierluca Michetti – batteria, percussioni
Axel DiLorenzo – chitarre-drone
Franz Cardone – basso, synth, cori

SHERPA – Facebook

GTO – Super

Super si rivela un buon lavoro, qualcosa di diverso ed intrigante, divertente e nostalgico, irriverente e ribelle come il rock e chi lo vive.

Tornano per festeggiare i venticinque anni di carriera gli umbri folk/rockers GTO con il sesto album di una discografia iniziata nel 2000 con l’album The Best Of e proseguita fino al 2013, anno di uscita dell’ultimo lavoro intitolato Little Italy.

Licenziato dalla Music Force, questo Super prende il titolo dal carburante che anima il motore del vecchio furgone che li porta in giro per i palchi dello stivale a suonare il loro rock ‘n’roll energico ed intriso di armonie folk, che potrebbero essere sicuramente definite alternative, usando un aggettivo ormai abusato nel rock, ma che riveste a mio parere un ruolo importante nell’economia del sound dei nostri.
Il sound è ispirato agli anni cinquanta, con una vena rockabilly capace di scuotere le membra dei ragazzi sui litorali adriatici, abbinato ad una vena folk rock e dunque a quel tocco alternativo che rende la proposta del quintetto umbro tremendamente attuale.
Si parte quindi per viaggiare con questa Gran Turismo Omologata, bolide ad alta velocità sulle strade del rock, tra l’ Umbria, l’ Emilia ed un passo tra Londra e gli States, con questi tredici brani tra i quali troviamo energiche semiballad e canzoni rock’n’ roll dal piglio giusto per coinvolgere che nei propri ascolti abbina la tradizione con le tendenze più moderne.
Super risulta così un buon lavoro, qualcosa di diverso ed intrigante, divertente e nostalgico, irriverente e ribelle come il rock e chi lo vive.

Tracklist
1.I re della riviera
2.1970 Hostel
3.La Rambla
4.L’amore è una scelta
5.Di notte sabato alle 3
6.La strada è liberazione
7.Destination anywhere
8.Dove ho sbagliato
9.Johnny’s back summer’s back
10.Passione
11.Francis
12.Ma maladie
13.Mi parlerai di te

Line-up
Stefano Bucci – Voce
Romano Novelli – Chitarra, mandola, armonica, cori
Luigi Bastianoni – chitarra, fisarmonica, cori
Giampiero Passeri – basso
Alessandro Bucci – batteria

GTO – Facebook

VV.AA. – Demolition Derby

Lo split della Retro Vox Records di Parma è un gran bel Demolition Derby nel quale, per una volta, in una gara di questo tipo non c’è un vincitore se non il suono che questi gruppo esprimono e che da troppi anni è stato messo in panchina perché non di moda, mentre invece grazie a band come queste può dare ancora enorme soddisfazione all’ascoltatore.

Split su vinile dieci pollici con due tracce a testa per quattro band, gli italiani King Mastino e Black Gremlins, e dalla Svezia “Demons” e Scumbag Millionaire.

Il disco è stato concepito e realizzato dalla Retro Vox Records. Il disco è venuto bene e mostra quattro sfaccettature diverse del punk rock. Innanzitutto i gruppi lo fanno in una maniera molto virata verso il rock and roll ad alto numero di ottani, alla maniera di Hellacopters ed affini, in un maniera che purtroppo si è andata a perdere negli ultimi tempi.
Aprono le danze gli svedesi Scumbag Millionaire nati nel 2014 e che esordiranno a breve per la Suburban Records con il loro debutto che, se si rivelerà all’altezza come i due pezzi qui presenti, entrerà nella scia della bellissima scena hard rock punk scandinava degli anni novanta visto che anche qui troviamo tanta melodia e chitarre che viaggiano veloci. A ruota degli svedesi arrivano gli interessantissimi parmigiani Black Gremlins, che annoverano musicisti da band come i Caronte, gli Shinin’ Shade e i Calendula. Il loro punk rock è molto veloce e tirato, sporco e di gran classe, di quella genia che parte dai Motörhead per arrivare fino ai giorni nostri, sudore e voglia di suonare a tutto volume. I parmigiani hanno già prodotto due dischi per la Retro Vox Records e sono un gruppo davvero molto interessante ed appagante. Continuano lo split le due canzoni dei King Mastino, band spezzina nata nel 2007 in una terra dove i Manges e i Pea Wees hanno fatto la storia del genere. Anche loro sono molto influenzati dalla scena scandinava, hanno grandi melodie ed un tiro micidiale e molto coinvolgente. Chiudono il Demolition Derby gli svedesi “Demons” che anche nel 1995 facevano parte dell’originale scena svedese del rock and punk, e si sente, grazie a quel suono che fece innamorare tante persone un po’ di anni fa, dimostrando d’essere ancora in forma nonostante siano stati fermi per qualche anno. Lo split della Retro Vox Records di Parma è un gran bel Demolition Derby nel quale, per una volta, in una gara di questo tipo non c’è un vincitore se non il suono che questi gruppo esprimono e che da troppi anni è stato messo in panchina perché non di moda, mentre invece grazie a band come queste può dare ancora enorme soddisfazione all’ascoltatore.

Tracklist
1.Time After Time – Scumbag Millionaire
2.Ride It Out – Scumbag Millionaire
3.Alpha People – Black Gremlin
4.Turn Your Head Around – Black Gremlin
5.Cheap Souls For Nothing – King Mastino
6.Another Kind Of Love – King Mastino
7.Hemisexual – “Demons”
8.Amen – “Demons ”

Line-up
Scumbag Millionaire are:

Brickan Nilsson – Bass guitar, Max Fiasko – Guitar and Vocals, Adde – Drums, Dr. Weber – Guitar.
“Ride it out” and “Time after time” written and performed by Scumbag Millionaire.
Recorded and mixed by Micke Nilsson. Produced by Micke Nilsson and Scumbag Millionaire.

Black Gremlin are:

Cobra ChristôFory – Vocals and Guitar, Simple Matt – Drums, Mek Spazio – Guitar and Vocals, Narco Maynard – Bass guitar and Vocals.
“Alpha people” written by Black gremlin. “Turn your head around” written by Algy Ward/Mark Brabbs/Peter Brabbs , originally performed by Tank.
Recorded and Mixed by Gregory Manzo at Big Pine Creek Studio , Parma.

King Mastino are:

Alessio – Guitars and vocals, Massi – Bass guitar and Backing vocals, Holly -guitars, Jimmy – drums.
“Cheap souls for nothing” and “Another kind of love” written and performed by King Mastino Organ&Piano played by Manuel Apice.
Mixed and recorded at Bulls Recordz Studio by Davide Gallo

“DEMONS” are:

Matt – guitar and vocals, Micke – drums, Tomo – bass and backing vocals.
“Hemisexual” written by M. Carlsson. “Amen” written by Ahlgren/Lång/Klemensberger/Wawrzeniuk ,originally performed by The Robots.
Special appearance from Odd d’Cologne on “Amen”.

RETRO VOX RECORDS – Facebook

Ink – Whispers Of Calliope

Gli Ink danno alle stampe, tramite la Wormholedeath, questo bellissimo album di cover degli artisti che più hanno ispirato la loro musica, in una versione personalissima e molto sentita.

Poesia in musica, magari già scritta da altri e solo riproposta ma sempre di poesia si tratta.

Gli Ink danno alle stampe, tramite la Wormholedeath, questo bellissimo album di cover degli artisti che più hanno ispirato la loro musica, in una versione personalissima e molto sentita.
Ne escono undici perle trovate nell’universo musicale attraverso due decenni, gli anni ottanta e i novanta, raccolti in questo carillon che all’apertura, come d’incanto, sprigiona introversa e drammatica musica rock.
Gli Ink hanno fatto un gran lavoro, adattando canzoni lontane tra loro e trasformandole a piacimento così da formare una tracklist che rasenta la perfezione, omogenea e ottimamente calata nel sound semi acustico di Whispers Of Calliope.
Come rappresentato in copertina non ci resta che farci chiudere gli occhi da Chris Tsantalis e compagni e lasciarci trasportare tra le note semiacustiche, a tratti supportate da una base elettronica, di Sober, brano d’apertura e capolavoro dei Tool.
Un’interpretazione spettacolare per il singer greco è quella che possiamo ascoltare nella successiva In A Manner Of Speaking, splendida canzone dei Tuxedomoon, così come nella famosa Rebell Yell di Billy Idol, due dei brani più sentiti e riusciti di questa raccolta.
Gli Ink trovano la formula per rendere magica l’atmosfera di Whispers Of Calliope, cercando nel sound dei The Tea Party e del Chris Cornell solista il segreto per un’interpretazione magistrale, con il secondo e mai dimenticato artista americano tributato con la magnifica Hunger Strike, dall’unico capolavoro dei Temple Of The Dog.
Vi sembrerà alquanto strano trovare un voto così alto per un album di cover, ma garantisco che Whispers Of Calliope è quanto di più emozionante abbia ascoltato negli ultimi tempi per quanto riguarda il genere.

Tracklist
1.Sober
2.In a Manner of Speaking
3.First We Take Manhattan
4.Rebel Yell
5.Like The Way I Do
6.Hurt
7.Disarm
8.Knife Party
9.Never Tear Us Apart
10.Come Live With Me
11.Hunger Strike

Line-up
Chris Tsantalis – Vocals
Kostas Apostolopoulos – Guitars
Stavros – Tsantalis – Drums
Kostas Ketseris – Bass

INK – Facebook

Cage – Images

Images rappresenta il ritorno dei toscani Cage con una nuova line up ed un sound che sposa il progressive rock con la new wave ed il pop.

I toscani Cage possono sicuramente essere considerati dei veterani della scena progressive rock tricolore, essendo attivi dalla prima metà degli anni novanta, con il debutto The Feeble Minded Man datato 1994 e poi, tra gli altri, con gli ultimi due album per la storica label francese Musea Records: 87/94 del 2002 e Secret Passage, uscito nel 2007 e rimasto fino ad oggi il loro ultimo lavoro.

Undici anni sono passati prima che i due membri storici Andrea Mignani e Andrea Griselli, con l’aiuto dei nuovi arrivati Leonardo Rossi al basso, Damiano Tacchini pianoforte e tastiere, Diletta Manuel al microfono e Giulia Curti alle percussioni e seconda voce, tornassero con il nuovo album Images, allontanandosi dal progressive per sposare sonorità rock sempre eleganti e raffinate ma più dirette, lasciando alle tastiere il compito di tirare le fila con il passato (Julia Dream) e portando il proprio sound verso un rock ispirato dalla new wave, con più di un accenno a suoni alternative (il singolo Flow Of Time).
Il resto dell’album, iniziando dal brano che porta il nome del gruppo, si assesta su un rock che supporta le voci dal timbro pop delle due muse al microfono, alternando impennate elettriche e raffinate trame che scivolano su uno spartito dall’ottimo appeal melodico, con le bellissime Drowning e Words, brano che risulta il più progressivo dell’intero lavoro, moderno nei suoni e spettacolare nel solo che accompagna l’album alla sua spettacolare conclusione.
Dopo così tanto tempo ci si poteva aspettare magari qualcosina in più a livello quantitativo, con sette brani per solo mezzora di musica, ma ci si può accontentare dando il benvenuto ai nuovi Cage.

Tracklist
1.Black Hole
2.Cage
3.Drowning
4.Images
5.Julia Dream
6.Flow Of Time
7.Words

Line-up
Andrea Mignani – Chitarra
Damiano Tacchini – Piano, Tastiere
Diletta Manuel – Voce
Giulia Curti – seconde voci, Percussioni
Leonardo Rossi – Basso
Andrea Griselli – Batteria

CAGE – Facebook

Simone Piva e i Viola Velluto – Il Bastardo

Un lavoro che ha l’unico difetto di durare solo ventidue minuti, ma che per contro sono sufficienti per convincere d’essere al cospetto di una band e di un artista dal sound personale.

Ancora rock made in Italy, e per rock non intendiamo le ormai collaudate e lagnose atmosfere indie, care ai giovinastri intellettuali, ma quello ruvido, verace, sporco e … bastardo.

Atmosfere che si rifanno al mondo del western, reggae e rock valorizzato da fiati, contrabbasso, tasti d’avorio per un lavoro che ha l’unico difetto di durare solo ventidue minuti, ma che per contro sono sufficienti per convincere d’essere al cospetto di una band e di un artista dal sound personale.
Simone Piva e i Viola Velluto arrivano tramite Tosk Records/Music Force al quinto album di una carriera iniziata nel 2009 con Trattato Postumo Di Una Sbornia e proseguita con Ci Vuole Fegato Per Vivere, uscito nel 2011, Polaroid … di Una Vecchia Modernità del 2013 e SP&iVV Simone Piva e I Viola Velluto, licenziato nel 2015.
E’ venuto il tempo che Simone Piva si ricongiunga con i Viola Velluto (Alan Libeale alla batteria ed alle percussioni, Federico Mansutti alle trombe, Francesco Imbriaco al piano ed alle tastiere e Matteo Strazzolini alle chitarre) per dare alle stampe Il Bastardo, lavoro che conferma l’ottima reputazione che la band si è costruita in questi anni, portandoci nel mondo della frontiera mai vicino al nostro vivere come in questo caso, descritto da questa raccolta di brani che sfuggono dai generi preconfezionati per sposare sfumature rock, reggae (splendida Hello Madame) e soul, con la tromba a creare un atmosfera di magica musica senza confini come i paesaggi delle terre bruciate dal sole del west americano.
La title track, Hey Frank e la già citata Hello Madame creano un inizio d’opera convincente, ma è tutto l’album che risulta assolutamente piacevole, con Nord Est a regalare ancora ottime sensazioni, che si protraggono fono al termine di un disco senz’altro consigliato.

Tracklist
1.Il Bastardo
2.Hey Frank
3.Hello Madame
4.Quando saremo Giovani
5.Nord est
6.Far West
7.Noi

Line-up
Simone Piva – Chitarra, Voce

Alan Libeale – Batteria, percussioni
Federico Mansutti – Trombe
Francesco Imbriaco – Piano, tastiere
Matteo Strazzolini – Chitarra

SIMONE PIVA E I VIOLA VELLUTO – Facebook

Blood Of The Sun – Blood’s Thicker Than Love

I Blood Of The Sun non si lasciano attrarre troppo dalle lisergiche atmosfere desertiche, ma strappano il segreto del successo di Led Zeppelin e Deep Purple, facendo propria la lezione e personalizzandola con un’overdose di rock ‘n’ roll straordinariamente vintage, assolutamente irriverente e devoto al sound settantiano.

Danno letteralmente spettacolo i Blood Of The Sun, sestetto americano che, infilato a forza nel calderone stoner rock, si dimostra una straordinaria hard rock/blues band rifilando in questo ultimo lavoro una serie di sei lunghi brani che definire irresistibili è un eufemismo, almeno per chi ama questo tipo di sonorità.

I Blood Of The Sun non si lasciano attrarre troppo dalle lisergiche atmosfere desertiche, ma strappano il segreto del successo di Led Zeppelin e Deep Purple, facendo propria la lezione e personalizzandola con un’overdose di rock ‘n’ roll straordinariamente vintage, assolutamente irriverente e devoto al sound settantiano.
Non ci sono momenti di stanca in questa raccolta di brani dalla potenza rock di un carro armato impazzito, con le tastiere che dettano tempi, creando tappeti atmosferici potenziati dai riff e da ritmiche sferzanti che, ad ogni passaggio, soffocano chi osa ribellarsi al potere del rock.
Keep The Lemmy’s Coming è l’opener, un biglietto da visita diretto come una serie di pugni in pieno volto, My Time non lascia spazio, si trattiene il fiato e si corre su autostrade sulle quali gli autovelox vengono bruciati, prima che Air Rises As You Drown si impossessi delle nostre anime in un rincorrersi tra chitarre e tastiere, e Staned Glass Window si presenti come un blues sporco di sabbia e whiskey.
Blood Of The Road è un blues rock che, in un crescendo di atmosfere desertiche ed on the road, ricorda gli Steppenwolf, in una jam tremendamente coinvolgente e con le tastiere di Dave Gryder vere mattatrici di questo bellissimo lavoro.
Irresistibile e benedetto dal rock’n’roll, Blood’s Thicker Than Love è uno dei lavori più belli dell’ultimo periodo per quanto riguarda i suoni vintage.

Tracklist
1.Keep The Lemmys Comin’
2.My Time
3.Livin’ For The Night
4.Air Rises As You Drown
5.Staned Glass Window
6.Blood Of The Road

Line-up
Henry Vasquez – Drums, vocals
Dave Gryder – Keyboards
Wyatt Burton – Guitar
Alex Johnson – Guitar, vocals
Roger “Kip” Yma – Bass
Sean Vargas – Vocals

BLOOD OF THE SUN – Facebook

Jack Brain – The Seeker

The Seeker è un buon lavoro, interessante per chi ha amato gli impulsi dettati dal rock americano degli anni novanta e ancora freme per le uscite di quelle band e artisti che hanno portato il genere nel nuovo millennio.

Giacomo “Jack” Casile, alias Jack Brain, è un musicista e compositore calabrese noto nella scena underground per aver fondato realtà come Insomnia Creep, Greetings From Terronia,H.S. e No More Nothing.

Lo scorso anno è uscto il suo primo lavoro, da lui stesso interamente registrato, composto e arrangiato nei Lex Audiolab ed intitolato Epic Spleen, ora raggiunto dalla prima parte di The Seeker, opera che vede il nostro alle prese con diciotto brani divisi in due album.
Il sound del disco si rifà al rock alternativo dei primi anni novanta, e la Seattle del grunge è presente con una manciata di icone ad ispirare il musicista nostrano in questa raccolta di brani diretti.
Suoni distorti e chitarre sature di elettricità sono le peculiarità di brani che si muovono tra Alice In Chains, Nirvana e Screaming Trees, con l’unica variante newyorkese rappresentata dai seminali Sonic Youth.
Dalla title track, passando per Relive, Out Of The Box e The Frame, l’alternanza tra il grunge e l’alternative rock è ben in evidenza e sapientemente dosata da Jack Brain, il quale non rinuncia ad una dose di urgenza punk noise in Higher e qualche scarica elettrica di matrice Nine Inch Nails in Dissolute Guy.
The Seeker risulta un buon lavoro, interessante per chi ha amato gli impulsi dettati dal rock americano degli anni novanta e ancora freme per le uscite di quelle band e artisti che hanno portato il genere nel nuovo millennio.

Tracklist
1.The Seeker
2.Relive
3.Roger Rabbit
4.Out Of The Box
5.Higher
6.The frame
7.Dissolute Guy
8.Zen
9.Oroboro

Line-up
Giacomo Jack Casile – Voce,chitarre,basso,drum programming

JACK BRAIN – Facebook

Riverside – Wasteland

Wasteland conferma i Riverside come una delle band cardine dei nuovi suoni progressivi sviluppatisi nei primi anni del nuovo millennio.

Tornare sul mercato con un nuovo album dopo una tragedia come quella capitata ai Riverside non è sicuramente compito facile, così come la scelta di continuare come trio dopo la perdita del chitarrista Piotr Grudziński, deceduto nel 2016.

Il successore del bellissimo Love, Fear and The Time Machine suscita sicuramente la curiosità di chi segue da anni il percorso musicale del gruppo polacco, una band diventata di culto per i progsters da quando, nel lontano 2003, esordì con Out Of Myself.
Mariusz Duda, Michał Łapaj e Piotr Kozieradzki, aiutati da una manciata di ospiti, continuano il loro personale viaggio nel mondo della musica progressiva con Wasteland, poetica, tragica ed ombrosa opera che non lascia spazio a molte critiche ed ammalierà i fans del genere.
Introverso, concettualmente durissimo, sferzante di nobile metallo ed attraversato da un’atmosfera di malinconica poetica rock, Wasteland è aperto dall’intro The Day After, sorta di presentazione dei nuovi Riverside e del mood che aleggerà nell’album, che parte invece rabbioso con Acid Reign, spettacolare brano progressive metal.
Lament è un altro brano top del disco: la voce melanconica si erge su un tappeto sonoro che alterna bordate elettriche ad arpeggi delicati e dark, mentre The Struggle For Survival è uno splendido strumentale di oltre nove minuti che, di fatto, divide l’album e lascia al tenue incedere di River Down Below il compito di accompagnarci nella parte conclusiva dell’opera.
La title track è uno straordinario esempio di metal progressivo, in cui oscure atmosfere di matrice folk sono spazzate da venti metallici in un saliscendi emozionale intenso e coinvolgente.
L’album si chiude con le raffinate note dark del pianoforte in The Night Before, traccia che scrive la parola fine di un’ opera molto suggestiva, confermando i Riverside come una delle band cardine dei nuovi suoni progressivi sviluppatisi nei primi anni del nuovo millennio.

Tracklist
1. The Day After
2. Acid Rain Part I. Where Are We Now? Part II. Dancing Ghosts
3. Vale Of Tears
4. Guardian Angel
5. Lament
6. The Struggle For Survival Part I. Dystopia Part II. Battle Royale
7. River Down Below
8. Wasteland
9. The Night Before

Line-up
Mariusz Duda – vocals, electric and acoustic guitars, bass, piccolo bass, banjo, guitar solo on ‘Lament’ and ‘Wasteland’
Michał Łapaj – keyboards and synthesizers, rhodes piano and Hammond organ, theremin on ‘Wasteland’
Piotr Kozieradzki – drums

RIVERSIDE – Facebook

Sweeping Death – In Lucid

In Lucid è un album nel quale la tecnica importante dei protagonisti è al servizio di brani che non lasciano spazio alla banalità, rifacendosi a band storiche del genere ma con la dovuta dose di personalità.

Il precedente ep dal titolo Astoria ci aveva presentato una band assolutamente in grado di dire la sua nell’affollato panorama del metal progressivo europeo, grazie ad un sound maturo ed affascinante che univa thrash metal nobile alla Mekong Delta, intricate parti progressive ed heavy che molto avevano dei maestri Savatage, alternate a devastanti ripartenze classiche di scuola Annihilator.

Tornano così gli Sweeping Death con il primo full length, un’opera straordinariamente riuscita e perfettamente calata in un contesto metallico e progressivo di assoluto valore.
In Lucid risulta quindi un album nel quale la tecnica importante dei protagonisti è al servizio di brani che non lasciano spazio alla banalità, rifacendosi a band storiche del genere ma con la dovuta dose di personalità.
Squadra che vince non si cambia, e la line up è la stessa del precedente lavoro, con il vocalist Elias Witzigmann a scuotere le fondamenta dietro al microfono con una prestazione emozionante, i due Bertl (Simon ed Andreas, alla chitarra e al basso) coadiuvati da Markus Heilmeier (chitarra) e Tobias Kasper (batteria e piano) a formare una band che sanno il fatto suo, dimostrandolo in ogni passaggio.
Heavy/thrash metal progressivo, drammatico e a tratti teatrale, è quello che ascolterete tra le note di In Lucid, composto da nove brani uno più intenso dell’altro, a cominciare dalla magnifica Blues Funeral, per attraversare i cinquanta minuti a disposizione del gruppo tra atmosfere di tensione palpabile, tragiche note progressive e splendide partiture estreme che compongono le varie Suicide Of A Chiromantist, Resonanz e la title track, la quale aggiunge alle ispirazioni già citate gli Evergrey e i Symphony X.
In Lucid è un album fortemente raccomandato agli amanti del metal progressivo dalle atmosfere teatrali ed oscure.

Tracklist
1.Eulogue
2.Blues Funeral
3.Horror Infernal
4.Suicide of a Chiromantist
5.Purpose
6.Resonanz
7.Antitecture
8.Lucid Sin
9.Stratus

Line-up
Elias Witzigmann – Leadvox
Simon Bertl – Guitar / Backingvocals
Markus Heilmeier – Guitar
Tobias Kasper – Drums/Piano
Andreas Bertl – Bass

SWEEPING DEATH – Facebook