Steelawake – Steelawake

Le chitarre graffiano che è un piacere in questo lavoro firmato Steelawake, con il gruppo lombardo che riesce a non sacrificare la melodia pur lasciando che la tensione dei brani rimanga alta, uscendo a tratti dai confini del rock per spingersi verso territori prettamente metal.

Gli Steelawake, giovane band nata a Milano all’inizio dello scorso anno, debuttano per l’attivissima Sliptrick Records con questo piacevole lavoro autointitolato.

Gli Steelawake sono un quartetto formato da Matteo Piacenti (voce e chitarra), Daline Diwald (voce e chitarra), Stefano Guandalini (basso) e Piero Impalli (batteria): il loro rock alternativo si ispira al sound a stelle e strisce che ha fatto e continua a fare sfracelli sulle radio rock di tutto il mondo, quindi non aspettatevi chissà quali nuove strade bensì una raccolta di brani robusti nei suoni di chitarra, vari nelle ritmiche e ruffiani nei cori, quanto basta sicuramente per non dimenticarli in fretta.
E’ buono l’uso delle voci, con il controcanto di Daline che accompagna l’ottimo piglio con cui Teo affronta le ruvide, melodiche e alternative trame di brani come l’opener Run And Hide, il singolo Dragging You Inside e l’ottima e diretta Empty Eyes.
Troviamo ancora riff moderni e groove possente in Not Alright, altro brano top di questo lavoro, che ha nel suo cuore i momenti migliori, con See The Demons ed Anything ad alzare ulteriormente la temperatura.
Le chitarre graffiano che è un piacere in questo lavoro firmato Steelawake, con il gruppo lombardo che riesce a non sacrificare la melodia pur lasciando che la tensione dei brani rimanga alta, uscendo a tratti dai confini del rock per spingersi verso territori prettamente metal.
Buon debutto, quindi, per un’altra valida realtà italiana che si pone quale alternativa al predominio delle band statunitensi in questo settore.

Tracklist
01. Run And Hide
02. Who You Are
03. Hot Mess
04. Dragging You Inside
05. Empty Eyes
06. Not Alright
07. Had Enough
08. See The Demons
09. Anything
10. Nothing Left To Say
11. Save Me
12. Right Where I Belong
13. Lost Forever

Line-up
Matteo Piacenti – Vocals/Guitar
Daline Diwald – Vocals/Guitar
Stefano Guandalini – Bass/Backing vocals
Piero Impalli – Drums

STEELAWAKE – Facebook

Gösta Berlings Saga – Et Ex

Una lunga fuga strumentale divisa in otto capitoli è quello che ci riserva la band svedese e l’album diventa così un’opera che va oltre i soliti canoni rock per trasformarsi in musica totale.

Tornano con un nuovo lavoro di progressive rock strumentale gli svedesi Gösta Berlings Saga, quartetto attivo da più di un decennio e che ha trovato uno status di band culto per gli amanti del genere grazie ad una manciata di lavori di ottima fattura.

Dal debutto Tid Är Ljud, uscito nel 2006, fino a quest’ultimo lavoro intitolato Et Ex, la band di Stoccolma ha elaborato il proprio sound, ponendo le basi per una discografia che non trova punti deboli, grazie ad opere che si ispirano agli anni settanta conservando una loro precisa identità.
Anche questa volta, partendo da una struttura crimsoniana, i Gösta Berlings Saga trovano la porta astrale per un altro viaggio nel tempo, tra input settantiani e moderni accenni progressivi, immettendo nella propria musica sfumature provenienti da altri generi in un mosaico musicale di alto spessore.
Anche in Et Ex, come per gli altri lavori, la parola d’ordine è emozionare senza troppi tecnicismi, ma con lampi di geniale musica progressiva che sfiora atmosfere da colonna sonora, elaborando influenze ed ispirazioni e facendone propria l’anima compositiva.
Una lunga fuga strumentale divisa in otto capitoli è quello che ci riserva la band svedese e l’album diventa così un’opera che va oltre i soliti canoni rock per trasformarsi in musica totale, difficile da digerire in tempi nei quali si dedica sempre meno tempo al vero ascolto a favore di un approccio usa e getta anche in generi adulti come il progressive rock.
Avvicinatevi alla musica dei Gösta Berlings Saga solo se siete amanti del genere, in tal caso scoprirete un mondo parallelo di note progressive d’autore.

Tracklist
1. Veras tema
2. The Shortcomings of Efficiency
3. Square 5
4. Over and Out
5. Artefacts
6. Capercaillie Lammergeyer Cassowary & Repeat
7. Brus från stan
8. Fundament

Line-up
Alexander Skepp – Drums & Percussion
David Lundberg – Fender Rhodes, Mellotron & synthesizers
Gabriel Tapper – Bass guitar & Moog
Taurus Rasmus Booberg – Guitars & synthesizers

GOSTA BERLINGS SAGA – Facebook

Sick of It All – Wake the Sleeping Dragon

Ritorno in gran spolvero da parte di una band davvero leggendaria all’interno della scena hardcore e skate punk newyorkese.

Dodicesimo album per la storica hardcore band di New York, che ancora una volta si conferma per mezzo di un grandissimo disco.

A oltre trent’anni dalla nascita – sono sorti nel 1985 – i Sick of It All rappresentano uno dei pochi elementi di continuità con la gloriosa tradizione hardcore e skate punk della Grande Mela anni Ottanta. Anche in questo nuovo lavoro il sound resta granitico, ferocissimo e pesante, non scendendo mai a compromessi. Duri e puri, nonché abili tecnicamente, gruppi come i Sick of It All non sono del resto mai stati succubi della tendenza a logiche di tipo commerciale e per ciò meritano il massimo rispetto e la più alta considerazione. Possiamo credo parlare di album della definitiva maturità, meditato ed articolato, irruento e furioso, avvincente ed ineccepibile. Insomma, l’ulteriore dimostrazione di una coerenza ed integrità estreme nell’applicare i propri principi di vita e di musica, non lontano dall’etica straight edge. Parliamo inoltre di una band che, in Our Impact Will Be Felt (2007), ha visto il tributo di Ignite, Hatebreed, Madball, Napalm Death, Pennywise, Rise Against, Sepultura, Walls of Jericho ed Unearth. I Sick of It All sono oramai un pezzo importante di storia e queste ultime canzoni lo attestano inequivocabilmente. Inoltre, ci ricordano qualcosa d’assai importante ed anzi fondamentale: senza l’hardcore – ed il loro è sempre molto metallizzato – non ci sarebbero stati né il thrash, né il death, né il grind che ne sono derivati.

Track list
1- Inner Vision
2- That Crazy White Boy Shit
3- The Snake
4- Bull’s Anthem
5- Robert Moses Was a Racist
6- Self Important Shithead
7- To the Wolves
8- Always With Us
9- Wake the Sleeping Dragon
10- 2+2
11- Beef Between Vegans
12- Hardcore Horseshoe
13- Mental Furlough
14- Deep State
15- Bad Hombres
16- Work the System
17- The New Slavery

Line up
Pete Koller – Guitars
Lou Koller – Vocals
Armand Majidi – Drums
Craig Setari – Bass

SICK OF IT ALL – Facebook

Ian Sweet – Crush Crusher

Non è un disco facile e non vuole esserlo, perché tratta di cose non facili, e ci mostra tutto il talento di una delle migliori menti musicali alternative americane, che darà ancora molto agli ascoltatori che sono in cerca della qualità.

Ian Sweet è una donna che ha una musicalità innata, e riesce a trattare in maniera interessante ed originale generi diversi.

Con la sua voce nervosa e calda Ian Sweet ci guida in un mondo non sempre facile e gioioso, dove la luce gioca con le tenebre e spesso perde, dove la letizia si può presto trasformare in tormento, come e peggio che nel mondo reale. Il vero nome di Ian Sweet è Jilian Medford, compositrice e musicista di raro talento ed efficacia. Ascoltando il disco ci si rende conto della cura e della passione con il quale è stato concepito ed eseguito. Il tema centrale del disco, e forse delle nostre vite, sono le relazioni con i nostri amici ed i problemi che ne derivano. La soluzione di questi problemi è impossibile, e quindi Ian ce li descrive mettendoli molto bene in musica con melodie accattivanti, ma anche dissonanze e momenti che esprimono molto il disagio di fronte a certe situazioni. Il disco è un riuscito campionario di ciò che può essere dell’ottimo indie fatto con un talento superiore alla media, e con un gusto particolare per scelte non facili ma necessarie. Una delle peculiarità di Ian Sweet è quella di riuscire ad usare diversi codici musicali per comporre la propria poetica musicale che è sempre originale e valida. Non è un disco facile e non vuole esserlo, perché tratta di cose non facili, e ci mostra tutto il talento di una delle migliori menti musicali alternative americane, che darà ancora molto agli ascoltatori che sono in cerca della qualità.

Tracklist
1.Hiding
2.Spit
3.Holographic Jesus
4.Bug Museum
5.Question It
6.Crush Crusher
7.Falling Fruit
8.Borrowed Body
9.Ugly/Bored
10.Your Arms Are Water

IAN SWEET – Facebook

Emphatica – Time

Progressive rock, ma non solo, è quel che si trova nello scrigno di sensazioni, paesaggi musicali dai mille colori che questa volta si muovono dalle ispirazioni psichedeliche degli anni 60/70 per arrivare ai giorni nostri in un’escalation di note.

Lo scorrere del tempo è la chiave di lettura di questi settanta minuti di musica totale, un viaggio scandito dalle innumerevoli ispirazioni e sensazioni che il polistrumentista Gerardo Sciacca immette nello spartito di Time, ultimo lavoro a firma Emphatica.

Ne avevamo già parlato quattro anni fa di questo musicista e songwriter nostrano il quale torna, dopo lo splendido Metamorphosis, con un altro mastodontico lavoro.
Progressive rock, ma non solo, è quel che si trova nello scrigno di sensazioni, paesaggi musicali dai mille colori che questa volta si muovono dalle ispirazioni psichedeliche degli anni 60/70 (Rising Moon) per arrivare ai giorni nostri in un’escalation di note che, parlando la lingua universale della musica moderna, lasciano poche briciole al loro passaggio come una sorta di pollicino musicale, per indicarci una via che ci conduca alla comprensione di questo nuovo lavoro.
Nel sound degli Emphatica vivono una moltitudine di anime: psichedeliche, rock, elettroniche, new wave, classiche che si scambiano continuamente il timone portando l’ascoltatore verso sensazioni diverse, creando un via vai di emozioni cangianti.
All’ascolto di Time ognuno prediligerà un capitolo rispetto ad un altro (splendide a mio avviso le note progressive settantiane di Echoes From The Past, quelle classiche di Fireplaces Tales, le liquide divagazioni di Echoes From The Future e il sunto compositivo dei quattordici lunghi minuti di Dying Sun), ma è nel suo complesso che l’album trova una precisa identità, trattandosi di un’opera strumentale che pretende un ascolto attento e scrupoloso per godere di ogni nota, passaggio e movimento.
Un’ altra perla musicale firmata Emphatica da non perdere assolutamente se siete ascoltatori attenti aldilà dei generi.

Tracklist
1.Rising Moon
2.Echoes From the Past
3.Wandering in the Desert
4.Our Sleeping Souls
5.Fireplace Tales
6.Mother (Once We Had a Dream)
7.Reversal
8.Shattered Lights
9.Echoes From the Future
10.Before We Grow Old
11.Deep Space Dissonance
12.Dying Sun

Line-up
Gerardo Sciacca

EMPHATICA – Facebook

Uncovered For Revenge – Daybreak

Gli Uncovered For Revenge, hanno ancora hanno da limare qualche piccolo difetto di forma ma lasciano intravedere buone potenzialità: l’album è sicuramente di piacevole ascolto e troverà estimatori tra i fans del genere.

Alternative hard rock moderno e dalle sfumature dark è quello che ci offrono gli Uncovered For Revenge, giovane quartetto proveniente dalla capitale e fresco di firma per la Sleaszy Rider che licenzia Daybreak, debutto sulla lunga distanza dopo l’ep Life, uscito un paio d’anni fa e di cui tre brani fanno parte anche di questa tracklist.

Si tratta di alternative rock con voce femminile, qualche grintosa accelerata metal ed atmosfere ombrose che vanno a comporre questi dieci brani che guardano all’hard rock moderno di matrice statunitense, valorizzato da un songwriting di buon livello ed una voce decisa e personale.
L’alternanza tra brani più spinti ed altri melodici non fanno che rendere l’ascolto piacevole, sicuramente consigliato ai fans del genere e a chi ama le eroine del metal alternativo mondiale in band come come Halestorm ed Evanescence.
Oltre alle tre tracce già presenti sul precedente lavoro (Can’t Be Saved, Tomboy e If You Want) la cantante Giorgia Albanesi e compagni hanno costruito una raccolta di brani interessanti, anche se ovviamente il genere non offre grosse sorprese, restando confinato in una formula ormai abusata.
Importa poco, se poi brani solidi come Ignorance, e Such A Big Lie riescono catturare l’attenzione grazie a ritmiche sostenute ed una ottima prova vocale, caratteristica che risiede in tutti i brani che compongono Daybreak.
Gli Uncovered For Revenge, hanno ancora hanno da limare qualche piccolo difetto di forma ma lasciano intravedere buone potenzialità: l’album è sicuramente di piacevole ascolto e troverà estimatori tra i fans del genere.

Tracklist
1.Daybreak
2.Can’t Be Saved
3.Ignorance
4.Postcard
5.Tomboy
6.If You Want
7. Such A Big Lie
8.Bright New Sun
9.The Rise
10. Road To Change

Line-up
Giorgia Albanesi– Vocals
Stefano Salvatori – Guitars
Daniele Sforza – Bass
Matteo Salvatori – Drums

UNCOVERED FOR REVENGE – Facebook

Rough Grind – Trouble Or Nothing

Ep di rodaggio, da parte dei Rough Grind, con quattro brani piacevoli e dalle buone melodie: ci aspettiamo un altro passo avanti fin dal prossimo lavoro.

Debutto per i Rough Grind, band finlandese proveniente da Jyvaskla che, con questi quattro brani, entra nel mondo del mercato discografico di buon passo.

Le porte si aprono al cospetto dell’opener Gilded Cage, brano di hard rock melanconico e dalle melodie tastieristiche di scuola aor, ma già dalla successiva e roboante Leap Of Faith i richiami a certo alternative rock moderno e di scuola statunitense si fanno più incisivi.
Diciamolo subito, urge un cantante: il buon Sami è ruvido il giusto nei momenti in cui la band attacca la spina e suona graffiante e massiccia, ma cede il passo e risulta forzato nei chorus melodici (Bulletproof).
Siamo arrivati in un attimo alla conclusiva Hereafter, semi ballad in crescendo che conclude Trouble Or Nothing, ep che porta con sé molti pregi, con un sound composto da un piacevole mix di hard rock americano (Alice In Chains), atmosfere dal piglio dark romantico ed una variante melodica dei Poisonblack, e qualche difetto da correggere in corso d’opera.
Un ep di rodaggio, quindi, da parte dei Rough Grind, con quattro brani piacevoli e dalle buone melodie: ci aspettiamo un altro passo avanti fin dal prossimo lavoro.

Tracklist
1.Gilded Cage
2.Leap Of faith
3.Bulletproof
4.Hereafter

Line-up
Sami – Vocals, And Guitars
Ville – Guitars
Ari – Bass
Killi – Drums

ROUGH GRIND – Facebook

Vanishing Kids – Vanishing Kids

La poetica musicale dei Vanishing Kids è composta da una psichedelia che ha la forza sognante dello shoegaze, ma va oltre, creando un muro di suono che non è fatto da distorsioni bensì da un gruppo odi strumenti e voce che punta tutto sul creare uno stato alterato di coscienza nell’ascoltatore.

I Vanishing Kids sono americani e fanno un doom metal molto psichedelico e sognante, che può facilmente indurre un dolce stato di trance.

Fondato da Jason Hartman (Jex Thoth) e Nikki Drohomyreky alla voce nei primi anni duemila, il gruppo ha fortemente risentito degli ascolti che i due hanno fatto in giovinezza, probabilmente tutti di grande valore visto il risultato finale.
Ascoltando questo nuovo lavoro, il primo da cinque anni a questa parte, si viene subito introdotti in una dimensione che non è quella quotidiana, bensì un qualcosa che muta sempre tenendo come sottofondo un sogno che si dipana lentamente, senza fretta, per spiegare le sue ali e volare. Dal 2013 è poi entrato nel gruppo Jerry Sofran, uno degli eroi dell’undeground del Midwest degli States con gruppi come Lethal Heathen e Mirrored Image, che ha dato un importante arricchimento al gruppo. Con questa formazione i Vanishing Kids sono al loro massimo, e questo disco ne è la bellissima dimostrazione. La loro poetica musicale è composta da una psichedelia che ha la forza sognante dello shoegaze, ma va oltre, creando un muro di suono che non è fatto da distorsioni bensì da un gruppo odi strumenti e voce che punta tutto sul creare uno stato alterato di coscienza nell’ascoltatore. Questa operazione non ha però nulla di violento o di coercitivo, mettere questo disco è come entrare nella tana del Bianconiglio, dove la realtà è felicemente distorta, non è paradisiaca ma è sicuramente lisergica. Il cantato è di rara bellezza, e tutto il resto del gruppo ha le idee molto chiare, sa sempre cosa fare e lo mette in pratica benissimo. Il suono è molto particolare, di una grandissima forza evocativa dai tratti immediatamente riconoscibili. I Vanishing Kids sono uno dei migliori gruppi di psichedelia altra che potete incontrare ed ascoltare, in quanto hanno anche una piccola percentuale di grunge che spiazza piacevolmente rendendo ogni canzone bellissima. Un disco prezioso per provare a sognare ancora attraverso la musica.

Tracklist
1 Creation
2 Heavy Dreamer
3 Without A Sun
4 Mockingbird
5 Eyes of Secrets
6 Reaper
7 Rainbows
8 Magnetic Magenta Blue

Line-up
Nikki Drohomyreky- Vocals, Organ, Synths, Percussion
Jason Hartman- Guitar
Jerry Sofran- Bass
Hart Allan Miller- Drums

VANISHING KIDS – Facebook

Hate – Useful Junk

Useful Junk segna il ritorno degli Hate, storica hard rock band genovese che ebbe un buon successo nella seconda metà degli anni ottanta.

A dispetto di una tecnologia preistorica rispetto al giorno d’oggi e al passaparola che in molti casi sostituiva il web, gli anni ottanta sono stati per i suoni hard & heavy il periodo d’oro, con l’interesse e l’amore dei fans che non finiva all’ultima nota di un brano o, per i più fortunati ,di un demo tape, ma alimentava la fiamma del rock che ancora brucia in molti di noi.

Settecento presenze ad un concerto sono numeri che oggi si ritengono inarrivabili per qualsiasi band underground, tristemente chiuse in piccoli locali con il più delle volte poche decine di appassionati e quasi tutti con un’età media purtroppo troppo alta, eppure in quegli anni band come i genovesi Hate, con solo due demo tape all’attivo, riuscirono a scrivere questi esaltanti numeri nella storia dell’hard & heavy nazionale: quattro ragazzi genovesi, Enzo Vittoria (bassista e cantante), David Caradonna (chitarra) e Luca Lopez (batteria) e Daniele Ainis (chitarra), ed un sogno che si spezzò quando quest’ultimo scomparve nel 1989 (anche se la band in quel periodo era in una fase di stand by), dopo aver appunto licenziato quei due demo che valsero loro i complimenti degli addetti ai lavori e concerti sempre più seguiti, tra cui si ricorda quello con i giovani Necrodeath di supporto.
Dopo quasi trent’anni gli Hate tornano con questo nuovo album licenziato dalla Diamonds Prod., con un nuovo chitarrista nella persona di Sebastiano Rusca e sette brani di hard & heavy che viaggia nel tempo per poi tornare nel nuovo millennio, forte di quell’appeal che non fa prigionieri, almeno se chi ascolta è un rocker di origine controllata.
Presi per mano dalla bellissima interpretazione di Enzo Vittoria al microfono, ci tuffiamo nel sound di questo pezzo di storia dell’hard rock tricolore con il benvenuto dell’opener Play It Louder, brano roccioso e bluesy di scuola Whitesnake.
Jenny e Do The Right Thing continuano ad alternare rock duro di matrice settantiana a quello più ruffiano del decennio successivo, tra riff massicci e melodie in quota Whitesnake tra lustrini e pailettes del periodo americano.
Il grosso rettile parte sul dirigibile zeppeliniano, e il sound ricorda in effetti l’unico testamento musicale lasciato dalla strana coppia Coverdale/Page (Do The Right Thing), mentre atmosfere southern alla Bon Jovi ammantano di polvere e whiskey la power ballad Pouring Rain e il blues torna a nobilitare il rock duro nella conclusiva This Game.
Useful Junk è un album del quale tutto si può dire ma non che appaia nostalgico, grazie ad un sound che vive di tradizione ma risulta fresco e suonato da un gruppo il cui unico “difetto” è quello di aver atteso troppo per tornare sulla scena.

Tracklist
01.Play It Louder
02.Jenny
03.Do The Right Thing
04.Your Troubles
05.Pouring Rain
06.City Of Dreams
07.This Game

Line-up
Enzo Vittoria – Vocals / bass
Luca Lopez – Drums
David Dido Caradonna – Guitar
Sebastiano “Seba” Rusca – Guitar

HATE – Facebook

Firmo – Rehab

Rehab è un lavoro riuscito, assolutamente da non perdere per i fans del genere che ultimamente hanno potuto trovare nel nostro paese valide alternative ai grandi nomi del passato, consigliato.

Ancora un buon esempio di rock melodico firmato Street Symphonies/Burning Mind Music Group, etichette della grande famiglia Atomic Stuff che licenziano il primo album di Gianluca Firmo, tastierista, cantante e songwriter bresciano, già protagonista del progetto Room Experience.

Rehab è stato registrato negli Atomic Stuff Studio di Isorella, con la supervisione di Oscar Burato e vede il musicista nostrano accompagnato da una band e da una serie di ospiti di livello internazionale, tra cui spiccano il chitarrista Mattia “Noise Tedesco (Vasco Rossi, Gianluca Grignani, Candies For Breakfast), Davide Barbieri (Raintimes, Room Experience, Wheels Of Fire, Charming Grace) che ha aiutato il nostro per quanto concerne la prestazione vocale, Nicola Iazzi (Hardline, Candies For Breakfast) al basso e Daniele Valseriati (Tragodia) alla batteria.
Gli special guest vanno da Paul Laine (The Defiants, Danger Danger), a Mario Percudani (Hungryehart, Hardline), ed altri non meno importanti per un prodotto altamente professionale e dedicato a tutti gli amanti del rock melodico di classe.
Ovvio che in un album come Rehab troverete solo belle canzoni derivanti da un modo di fare musica rock che si perde negli anni ottanta e che continua ad arrivare a noi tramite il lavoro e la passione di label come quella nostrana: quindi lasciatevi catturare dalle melodie AOR di brani come Shadows And Light o Didn’t Wanna Care, o elettrizzare dall’hard rock d’annata dell’opener A Place Of Judgement Day o dalla title track.
I musicisti danno il loro importante contributo, il suono esce cristallino e Rehab risulta un lavoro riuscito, assolutamente da non perdere per i fans del genere che, ultimamente, hanno potuto trovare nel nostro paese valide alternative ai grandi nomi del passato.

Tracklist
01. A Place For Judgement Day
02. Heart Of Stone
03. Shadows And Lights
04. Maybe Forever
05. No Prisoners
06. Didn’t Wanna Care
07. Unbreakable
08. Don’t Dare To Call It Love
09. Cowboys Once, Cowboys Forever
10. Rehab
11. Until Forever Comes
12. Everything

Line-up
Gianluca Firmo: Lead & Backing Vocals, Keyboards
Davide “Dave Rox” Barbieri (Raintimes, Room Experience, Wheels Of Fire, Charming Grace): Backing Vocals
Mattia “Noise Maker” Tedesco (Vasco Rossi, Gianluca Grignani, Candies For Breakfast): Guitars
Nicola Iazzi (Hardline, Candies For Breakfast): Bass
Daniele Valseriati (Tragodia): Drums & Percussion

SPECIAL GUESTS:
Paul Laine (The Defiants, Danger Danger): Backing Vocals
Mario Percudani (Hungryehart, Hardline): Guitars
Stefano Zeni (Wheels Of Fire, Room Experience): Guitars
Carlo Poddighe: Guitars Pier Mazzini (Danger Zone): Keyboards
Andrea Cinelli: Piano
Alessandro Moro: Sax

FIRMO – Facebook

Terror – Total Retaliation

Difficilmente in questo genere si raggiungono le altezze dei Terror, che nel loro suono sono profondamente americani e fanno musica per suonare dal vivo, perché ascoltando il disco ti rendi conto di quanto bene funzionerà davanti ad un pubblico che sarà un magma incandescente pronto a bruciare tutto.

Dal 2002 i losangelini Terror hanno cominciato la loro scala alla montagna dell’hardcore e da qualche anno ne hanno raggiunto la vetta, tenendola molto bene grazie a lavori come questo.

Total Retaliation è la loro nuova uscita su Nuclear Blast Records e ha tutte le caratteristiche che li hanno resi famosi ed amati: hardcore americano violento e ruggente con molte somiglianze con il metal ed il crossover degli anni migliori, una grandissima intensità e tanta cattiveria. Questa volta alla produzione troviamo il chitarrista degli ottimi Fit For An Autopsy, Will Putney, che dà al suono dei Terror una maggiore modernità, rendendo il tutto ancora più potente, a volte ai confini del beatdown. Non ci sono compromessi in questo album, i tempi sono serrati ed incalzanti, e questo loro settimo disco suona benissimo e li proietta ad un livello superiore. Chi ascolta hardcore lo fa perché questo suono ha una violenza positiva, o negativa se la si fraintende, che permette di vivere le brutture del mondo a testa alta, e qui c’è tutto ciò. Non è aggressività fine a se stessa, ma è un qualcosa che lega le persone, porta dei valori attraverso dei suoni rabbiosi ma sempre in veste positiva. Total Retaliation è una classica opera di hardcore americano ma ha effettivamente qualcosa in più sia in termini di suono che di composizione. In un genere così inflazionato non è facile avere la propria impronta ben riconoscibile, i Terror la hanno e hanno addirittura aperto nuove strade nell’hardcore con il loro suono, venendo presto riconosciuti come uno dei migliori gruppi del genere. Difficilmente in questo genere si raggiungono le altezze dei Terror, che nel loro suono sono profondamente americani e fanno musica per suonare dal vivo, perché ascoltando il disco ti rendi conto di quanto bene funzionerà davanti ad un pubblico che sarà un magma incandescente pronto a bruciare tutto. Grande spirito e grande musica per un disco di hardcore di qualità superiore.

Tracklist
1. This World Never Wanted Me
2. Mental Demolition
3. Get Off My Back
4. One More Enemy
5. Break The Lock
6. In Spite Of These Times
7. Total Retaliation
8. Post Armageddon Interlude
9. Spirit of Sacrifice
10. I Don’t Know You
11. Behind The Bars
12. Suffer The Edge Of The Lies
13. Resistant To The Changes

Line-up
Scott Vogel – Vocals
Nick Jett – Drums
Jordan Posner – Guitar
Martin Stewart – Guitar
David Wood – Bass

TERROR – Facebook

Powerdrive – Rusty Metal

Rusty Metal si rivela un lavoro imperdibile grazie a dieci brani perfetti, dieci inni al rock’n’roll style, dai chorus che, dopo un solo ascolto, sono già lì a ronzarvi in testa, dieci candelotti di nitroglicerina dai riff scolpiti sulle tavole della legge del rock.

Girate la chiave, accendete i motori e lasciate che la vostra macchina metallica sfrecci nella notte tra le curve della riviera del ponente ligure fino al ponte immaginario che vi collegherà alle coste degli States, tra la città degli angeli e le strade della polverosa frontiera.

L’ascolto del debutto dei rockers savonesi Powerdrive sarebbe da vietare mentre si è alla alla guida; troppo pericoloso, troppi effetti collaterali, troppa voglia di schiacciare il piede sul pedale dell’acceleratore e portare la vostra auto e i vostri sensi al limite: d’altronde The Road Is My Best Friend come canta Machine Gun Miche, vocalist dei Machine Gun Kelly, uno che di hard rock se ne intende.
I Powerdrive nascono nel 2013, ma dopo poco tempo l’attività si ferma per ricominciare nel 2015, con una line up che vede, oltre al cantante, Dr. Rock (ex Sfregio, Denial, Hastur) e Jacopo Napalm (Eligor ex Sacradis, Hastur) alle chitarre, Roby Grinder (Winternius, ex Sacradis, Sfregio, Hastur) al basso e Ylme (ex Sfregio, Lethal Poison) alla batteria.
Dopo essere stata chiusa ai Blackwave Studios quel tanto che basta per uscirsene con questa esplosiva raccolta di brani, la band piazza uno straccio dentro il serbatoio del bolide che li ha portati in giro nella notte, avvicina la fiamma dell’accendino e mentre le prime note dell’opener riempiono lo spazio, il botto e le fiamme fanno da coreografia al loro hard & heavy, pregno di rock ‘n’roll di scuola Ac/Dc, Motorhead e della scuola losangelina.
Rusty Metal si rivela un lavoro imperdibile grazie a dieci brani perfetti, dieci inni al rock’n’roll style, dai chorus che, dopo un solo ascolto, sono già lì a ronzarvi in testa, dieci candelotti di nitroglicerina dai riff scolpiti sulle tavole della legge del rock.
Solo Lady Of The Moonlight, power ballad posta a metà album, raffredda i bollenti spiriti dell’ascoltatore, travolto dalla forza dei quattro brani che danno il via al bombardamento targato Powerdrive; rilassate le membra si riparte con Serpent Seib e non ci si ferma più.
Hard To Survive, Living, il punk rock di Singin’ In The Cemetery (che tanto sa di Ramones) e la canzone autointitolata vi strapperanno un sorriso maligno: è l’ora di togliersi la cravatta, sbottonare la camicia, salire in auto e sfrecciare nella notte con l’acceleratore a tavoletta e il rock’n’roll dei Powerdrive nelle orecchie.

Tracklist
1.The road is my best friend
2.Hard to survive
3.Living hell
4.On the run
5.Moonlight lady
6.Serpent seib
7.Fire in the small club
8.Midnight dancer
9.Powerdrive
10.End of the world

Line-up
Machine Gun Miche – Vocals
Dr. Rock – Guitars
Jacopo Napalm – Guitars
Roby Grinder – Bass
Ylme – Drums

POWERDRIVE – Facebook

Martyr Lucifer – Gazing at the Flocks

Gazing at the Flocks è un album che merita un’attenzione diversa da quelle che molto spesso viene rivolta nei confronti di estemporanei progetti paralleli; Martyr Lucifer, nonostante il monicker faccia riferimento al singolo musicista, ha tutte le sembianze della band vera e propria e come tale va considerata, con tutte le positività che la cosa implica.

Gazing at the Flocks è il terzo full length marchiato Martyr Lucifer, progetto dell’omonimo leader degli Hortus Animae.

Come avevamo già visto in passato, qui non si rinvengono tracce di black metal bensì un sound maturo e molto curato, a cavallo tra dark wave e gothic con più di una digressione alternative; anche per questo motivo l’album scorre in maniera piuttosto lineare e gradevole, senza necessitare di diversi ascolti per apprezzare i buoni spunti melodici ed i chorus disseminati al suo interno.
Ecco, forse questa ingannevole sensazione di leggerezza può costituire il solo limite di un’opera ben costruita e che vede protagonisti, oltre al musicista romagnolo con il suo timbro profondo e molto adatto al genere, la vocalist ucraina Leìt, l’arcinoto Adrian Erlandsson alla batteria e l’ottimo ungherese Nagaarum alla chitarra, oltra a Simone Mularoni a fornire il proprio contributo in sala d’incisione non solo al di là del vetro ma anche al basso.
Il risultato è quindi oltremodo soddisfacente, tanto più dopo aver constatato che, in effetti, ad ogni successivo passaggio nel lettore molti brani rivelano interessanti sfumature sfuggite al primo approccio; se, da una parte, non ci troviamo di fronte ad un’opera epocale, va dato atto a Martyr Lucifer d’aver assemblato un lavoro privo di particolari punti deboli ma, semmai, con diversi picchi rappresentati dalla suadente Benighted & Begotten (notevole il duetto vocale) e le centrali Feeders, aka Heterotrophy / Saprotrophy e Leda and the Swan Pt. 1; resta, alla fine l’impressione d’aver ascoltato musica di qualità, collocabile senz’altro nella scia delle band guida del genere (Tiamat, The 69 Eyes) ma anche, a tratti, del Peter Murphy solista, il che è indicativo di un’oscurità diffusa che avvolge Gazing at the Flocks conferendogli un’aura a suo modo differente rispetto ai modelli citati.
In buona sostanza Gazing at the Flocks è un album che merita un’attenzione diversa da quelle che molto spesso viene rivolta nei confronti di estemporanei progetti paralleli; Martyr Lucifer, nonostante il monicker faccia riferimento al singolo musicista, ha tutte le sembianze della band vera e propria e come tale va considerata, con tutte le positività che la cosa implica.

Tracklist:
1. Veins of Sand Pt. 1
2. Veins of Sand Pt. 2
3. Bloodwaters
4. Feeders, aka Heterotrophy / Saprotrophy
5. Leda and the Swan Pt. 1
6. Leda and the Swan Pt. 2
7. Wolf of the Gods
8. Somebody Super Like You
9. Benighted & Begotten
10. Spiderqueen
11. Flocks
12. Halkyónē’s Legacy, aka The Song of Empty Heavens

Line-up
Martyr Lucifer – vocals, synth, programming
Leìt – vocals
Adrian Erlandsson – drums
Nagaarum – guitars
Simone Mularoni – bass (session)

MARTYR LUCIFER – Facebook

Ace Frehley – Spaceman

Spaceman è un album bellissimo, una raccolta di brani che, per chi ama il rock a stelle e strisce, diventa imperdibile, in quanto scritto e suonato da quello che è di diritto uno dei personaggi più amati del mondo patinato del rock’n’roll.

Lo Spaceman è tornato sulla terra e questa volta ha intitolato il nuovo album proprio come il personaggio che gli ha dato l’immortalità artistica nel gruppo mascherato più famoso del mondo.

Ace Frehley torna dopo quattro anni dall’ultimo album di inediti (Space Invaders), con l’amico Gene Simmons non solo suggeritore del titolo che risulta un tributo al leggendario chitarrista, ma co-autore e bassista in due brani, Your Wish Is My Command e Without You I’m Nothing.
Ovviamente l’album ripercorre quelle comete già visitate da Ace nel suo disco solista del 1978, quello che portava il suo nome ed il suo volto mascherato cosi come quelli degli altri tre baci, risultando il migliore dei quattro.
Ma veniamo a questa nuova, spettacolare e travolgente prova intitolata Spaceman e composta da otto brani inediti più la cover di I Wanna Go Back di Eddie Money.
L’album è una sorta di autobiografia del chitarrista americano, il quale racconta degli inizi nel mondo del rock con Bronx Boy, i tour con i Kiss in Rockin’ With The Boys, e i suoi amori (tanti) ed una vita spesa in quel rock’n’roll style tanto amato dalle generazioni di rockers che si sono date il cambio in tuti questi decenni.
E di rock e delle sue tante storie lo Spaceman è cantore, in questa raccolta di brani che, anche se si posizionano nel mondo Kiss, aprono come sempre a tutte le maggiori influenze dell’artista americano, da Elvis a Chuck Berry e, perché no, fino ai Beatles.
Spaceman è un album bellissimo, una raccolta di brani che, per chi ama il rock a stelle e strisce, diventa imperdibile, in quanto scritto e suonato da quello che è di diritto uno dei personaggi più amati del mondo patinato del rock’n’roll.

Tracklist
1. Without You I’m Nothing
2. Rockin’ With The Boys
3. Your Wish Is My Command
4. Bronx Boy
5. Pursuit Of Rock N’ Roll
6. I Wanna Go Back
7. Mission To Mars
8. Off My Back
9. Quantum Flux

ACE FEHLEY – Facebook

Crystavox – Crystavox/The Bottom Line Remastered

La Roxx Records, label statunitense specializzata in Christian metal/rock licenzia le versioni rimasterizzate dei due album dei Crystavox, band cristiana attiva nei primi anni novanta.

Si torna a parlare di christian metal sulle pagine della nostra webzine, grazie alla sempre attiva Roxx Records, label americana specializzata nel genere sia per quanto riguarda le molte ristampe di album storici che le nuove proposte.

Il metal cristiano abbraccia praticamente tutti i generi del metal e del rock, ma è indubbio che le band più conosciute siano quelle che glorificavano il signore tramite un rock roccioso, tra heavy metal e hard rock ottantiano.
I melodic rockers Crystavox, con base a San Diego sono il perfetto esempio di band cristiana dal sound vicino all’hair metal californiano: il loro esordio risale al 1990 con l’album omonimo al quale diedero seguito due anni dopo con The Bottom Line.
La band, composta da Adam Lee Kemp alla voce, Lorn Holmquist alla chitarra e tastiere, Tony Lopez alla chitarra e Fred Helm alla batteria, arrivò sul mercato in tempi in cui il genere perse popolarità, ma i due lavori in questione meritano di essere rivalutati in quanto (specialmente il debutto) non hanno nulla da invidiare a quelli delle icone losangeline del metal patinato tanto di moda nel Sunset.
Ovviamente testi e approccio erano sicuramente diversi, ma la musica lasciava trasparire un buon tiro rock’n’roll in brani come Sacrifice, Home Again e It’s All Right da Crystavox e Break Down the Wall o Snake In The Grass dal secondo lavoro.
La Roxx Records licenzia i due album nella versione rimasterizzata con l’aggiunta di alcune bonus, un buon motivo per fare la conoscenza con i Crystavox e la loro versione della parola di Dio in musica.

Tracklist
1. Sacrifice
2. Power Games
3. Wear It Out
4. Turn It On
5. Home Again
6. All The Way
7. It’s All Right
8. All Around The World
9. Never Give In
10. Tough Boys
11. Home Again (Bonus Track)
12. Power Games (Bonus Track)

The Bottom Line :
1 The Big Picture
2 Break Down The Wall
3 Rise Up
4 Snakes In The Grass
5 Stick To Your Guns
6 Paradise
7 Cry Out
8 Shame
9 Rockin’ A Hard Place
10 No Boundaries
11 Stick To Your Guns (Bonus Track)
12 No Boundaries (Bonus Track)

Line-up
Adam Lee Kemp – Vocals
Lorn Holmquist – Guitar, Keyboard
Tony Lopez – Guitar
Fred Helm – Drums

CRYSTAVOX – Facebook

Wyatt Earp – Wyatt Earp

Un ottimo disco che profuma di antico, di hard pomp inglese settantiano per la precisione, calato nel nostro tempo in forma aggiornata ed impeccabile.

Provenienti da Verona, i Wyatt Earp sono all’esordio su compact.

Il nome del quintetto – composto da Leonardo Baltieri alla voce, Matteo Finato alla chitarra, Fabio Pasquali al basso, Silvio Bissa alla batteria e Flavio Martini alle tastiere – viene da quello del famoso sceriffo e cacciatore di bisonti del selvaggio West. Non si tratta però di una band southern, ma di cinque musicisti, insieme dal 2013, innamorati della storica lezione dell’hard anni Settanta e del pomp rock (Deep Purple, Uriah Heep, Kansas e Grand Funk Railroad). Una tradizione che il gruppo scaligero ripensa in chiave personale, realizzando un debutto che suona molto fresco e con ottime idee, per nulla schiavo del passato, ma capace semmai di confermarne oggi la forza espressiva e meta-temporale attraverso sei tracce che ci lasciano ben sperare in vista del futuro. Da ascoltare, in particolare, Ashes e Back From Afterworld, ma tutte le songs si attestano su un ottimo livello globale. La strada per diventare i nuovi Vanadium è quella giusta.

Tracklist
1- Dead End Road
2- Ashes
3- Live On
4- With Hindsight
5- Back From Afterworld
6- Gran Torino

Line-up
Leonardo Baltieri – voce
Matteo Finato – chitarra
Fabio Pasquali – basso
Silvio Bissa – batteria
Flavio Martini – tastiere

WYATT EARP – Facebook

Watershape – Perceptions

Il sound dei Watershape riesce a fondere perfettamente più di un’anima progressiva, imprigionando in questi cinquanta minuti di musica intitolati Perceptions il progressive rock classico, quello aggressivo e tecnico del metal e quello emozionale del post rock.

La tradizione nostrana per quanto riguarda la musica progressiva viene puntualmente confermata dalle uscite discografiche di un certo spessore anche nel nuovo millennio.

Il genere riserva sempre piacevoli sorprese e l’Italia in questo campo scaglia frecce che colpiscono al cuore gli amanti della musica progressiva, a mio avviso mai come in questo periodo aperta a mille ispirazioni ed influenze.
Il metal ha dato una grossa mano al genere, scuotendo dalle fondamenta un’attitudine conservatrice e donando verve ed soluzioni intriganti ad un sound che rischiava di rimanere confinato ai soli reduci dagli anni settanta.
Gli Watershape, per esempio, sono una band fondata da Francesco Tresca, batterista degli Arthemis ed ex Power Quest, raggiunto da una manciata di musicisti che hanno militato o militano in ottimi gruppi della scena tricolore come Hypnotheticall, Sinastras e Hollow Haze.
Il loro sound riesce a fondere perfettamente più di un’anima progressiva, imprigionando in questi cinquanta minuti di musica intitolati Perceptions il progressive rock classico, quello aggressivo e tecnico del metal e quello emozionale del post rock.
L’album è un piacevole viaggio tra queste sfumature ed atmosfere, la band in modo raffinato ed intelligente non calca mai la mano su questa o quella ispirazione ma lascia che la musica fluisca libera, così che i passaggi dal rock progressivo a quello metallico non risultano mai forzati, al limite dettati da momenti di atmosferico rock che va dai King Crimson (Inner Tide ricorda gli splendidi momenti di pacata atmosfera dei brani che hanno fatto di In The Court Of The Crimson King uno degli album più belli della storia) ai Porcupine Tree (una delle tante concessioni all’era moderna del prog, insieme ai Pain Of Salvation ed ai più estremi Opeth).
Il resto è musica rock/metal d’alta scuola, progressiva e tecnica ma senza strafare, lasciando che siano i brani e le loro atmosfere a donare emozioni all’ascoltatore.
Da segnalare la prestazione di Nicolò Cantele, cantante che ricorda a tratti Damian Wilson, per diversi anni frontman dei Threshold, band che con i Dream Theater completa la parte metal della musica del gruppo, e di spessore le prestazioni degli musicisti coinvolti che valorizzano splendidi brani come Beyond The Line Of Being, la metallica Cyber Life o la classica The Puppets Gathering, a mio avviso il punto più alto di questo bellissimo album consigliato senza riserve a tutti gli amanti dei suoni progressivi.

Tracklist
01. Beyond The Line Of Being
02. Cyber Life
03. Alienation Deal
04. Stairs
05. The Puppets Gathering
06. Inner Tide
07. Fanciful Wonder
08. Seasons
09. Cosmic Box #9

Line-up
Nicolò Cantele – Vocals
Mirko Marchesini – Guitars
Mattia Cingano – Bass & Chapman Stick
Enrico Marchiotto – Keyboards & Synths
Francesco Tresca – Drums & percussions

WATERSHAPE – Facebook

Tritonica – Disforia

Sì, siamo costantemente sull’orlo del precipizio, e solo una certa maniera di intendere la musica come hanno questi tre ragazzi può ancora liberare animo ed energia per portare avanti un discorso musicale fruttuoso.

I Tritonica sono un gruppo romano fondato nel 2016 e fautore di un noise post sludge math che è davvero una delizia ed una preghiera al dio dei tritoni, la più empia e blasfema figura musicale della storia.

Il gruppo è composto da tre studenti universitari, o da tre laureati, tre disoccupati, tre precari, la ripetizione del numero magico, accomunati dall’amore per la musica prog nel senso più esteso del termine, ovvero un qualcosa che vada oltre e non si fermi alle apparenze. La loro musica è felicemente inclassificabile e non per tutti anzi, chi si vuole avvicinare lo fa a suo rischio e pericolo. Disforia è un disco che esprime molto meglio il disagio e le fratture che viviamo. Un disco di musica totale che si dimena di fronte a noi, senza avere alcuna voglia di piacere, anzi si accetta meglio il dispiacere che il suo contrario. L’atmosfera qui perde le coordinate spazio temporali, e ci si immerge in un turbolento mare oppiaceo, con la tragedia che incombe ma che è al contempo una liberazione, il tutto con i modi di un Les Claypool più vario e meno cervellotico. I registri musicali del lavoro sono molteplici e non si viaggia in un’unica direzione, se non quella di essere distorti, e si canta o si suona e basta, ma sempre con un’identità ben precisa e soprattutto ben strutturata, che fa di Disforia un continuum con un senso solo se ascoltato tutto assieme o lasciandosi portare da lui. Sì, siamo costantemente sull’orlo del precipizio, e solo una certa maniera di intendere la musica come hanno questi tre ragazzi può ancora liberare animo ed energia per portare avanti un discorso musicale fruttuoso. I continui campi di tempo e di registro rendono questo disco un’esperienza che rientra in quella bellissima nouvelle vague noise ed altro che in Italia abbiamo sempre avuto e che offre tanti e succosi frutti underground. Disforia è corposo, vero e contundente là dove si vorrebbe che tutto andasse bene: ascoltatelo mentre vi cola l’ansia dentro il corpo.

Tracklist
1 al-Ghazali
2 Manjala
3 Zags in Bb
4 Alchimia del fato
5 Cronotopica
6 Coagula
7 Jimi
8 Semiramis
9Semiramide
10 Solve
11 Mimonesis

Line-up
Andrea El Khaloufi – Chitarra e Voce
Alfredo Rossi – Basso e Voce
Nicola Di Lisa – Batteria e Voce

TRITONICA – Facebook

AstorVoltaires – La Quintaesencia de Júpiter

Ascoltando La Quintaesencia de Júpiter si viene rapiti e il nostro cuore si apre insieme alle nostre sinapsi, rimanendo sospesi sopra una piccola grande opera d’arte, fatta da un uomo come noi ma con uno smisurato talento musicale e narrativo.

AstorVoltaires è il progetto solista di uno dei membri degli splendidi Mar De Grises cileni, un gruppo che meravigliò e migliorò la vita di molti di noi dal 2000 al 2013, con bellissimi dischi di doom/post rock sognanti e melanconici.

L’unico membro del gruppo è il cileno, ora trapiantato in Repubblica Ceca, Juan Escobar, appunto ex appartenente ai Mer De Grises e poi in moltissimi altri gruppi come Aphonic Threnody, Lapsus Dei, Arrant Sudade e altri. La sua straripante personalità musicale trova in questo progetto il suo definitivo compimento, dipingendo bellissimi affreschi di pace ed inquietudine, di sogni e di terribili incubi, con una fortissima luce bianca che abbaglia e scalda facendo stare bene, come in un’esperienza di premorte. Il quarto lavoro sulla lunga distanza di una carriera iniziata nel 2009, quando i Mar De Grises erano ancora attivi, è forse quello più completo e melanconico. Forte è l’impronta di gruppi come gli Anathema o i Katatonia, ed è anche presente il doom ed il post rock, il tutto miscelato attraverso la forza della neo classicità. Questo disco in un’epoca diversa dalla nostra sarebbe stato un dipinto, forse meglio una scultura marmorea da vedere attraverso le sue rifrazioni di luci, in un gioco di rimandi che porta lontano, lo stesso gioco che domina questo bellissimo lavoro, che ti bacia e ti accoltella allo stesso tempo, pensato e suonato con canoni assolutamente al di fuori di quelli normali del mercato e dell’intrattenimento. Vivere la poesia parlando di ciò che sta sopra e dentro di noi, così in alto come in basso, e attraverso una musica talmente bella e struggente da non sembrare vera ricongiungersi all’universo là fuori, e che è già dentro di noi. Ascoltando La Quintaesencia de Júpiter si viene rapiti e il nostro cuore si apre insieme alle nostre sinapsi, rimanendo sospesi sopra una piccola grande opera d’arte, fatta da un uomo come noi ma con uno smisurato talento musicale e narrativo. Il disco va sentito come preferite voi, ma regalategli del tempo, non ascoltando le tracce saltando da una all’altra, ma assaporate ciò che vi regala, il cosmo, il corpo umano, la gioia, la morte o il tenero bacio di un fantasma.

Tracklist
1.Manifiesto
2.Hoy
3.Un Gran Océano
4.Thrinakia: El Reino del Silencio
5.Un Nuevo Sol Naciente
6.Arrebol
7.La Quintaesencia de Júpiter
8.Más allá del Hiperboreo

Line-up
J:EscobarC

ASTORVOLTAIRES- Facebook

Krakow – Minus

Difficile posizionare perfettamente la musica dei Krakow in un genere definito, forse psych/progressive metal/rock è la definizione più vicina a quello che suona il quartetto norvegese, bravo nel saper unire le varie atmosfere ed ispirazioni in un unico e suggestivo sound.

I Krakow danno alle stampe il loro quinto album, sterzando verso sonorità a metà strada tra psych rock, progressive e metal estremo e confezionando un piccolo gioiello di musica non così scontata come si potrebbe pensare, specialmente se si considera la band norvegese una gruppo progressive moderno.

Il quartetto di Bergen ha condensato il materiale in poco più di mezzora di musica evocativa, psichedelica e dai tratti progressivi, ma lascia spazio pure a sonorità più cool come lo stoner per un risultato interessante.
In Minus, quindi, non ci sono riempitivi, la musica scorre su un letto psichedelico, creando atmosfere fuori dal tempo sferzate da venti progressivamente metallici; la parte estrema, rilevante nella notevole The Stranger, si contrappone ai momenti evocativi ed atmosferici, mai dilatati ma tenuti in tensione da un songwriting essenziale.
Phil Campbell è ospite gradito nell’opener Black Wandering Sun, in From Fire From Stone nuvoloni sludge appaiono all’orizzonte portando perturbazioni di stampo Neurosis, mentre è il doom/progressive che rende la title track il brano più riuscito dell’intero lavoro.
Difficile posizionare perfettamente la musica dei Krakow in un genere definito, forse psych/progressive metal/rock è la definizione più vicina a quello che suona il quartetto norvegese, bravo nel saper unire le varie atmosfere ed ispirazioni in un unico e suggestivo sound.

Tracklist
1. Black Wandering Sun
2. Sirens
3. The Stranger
4. From Fire, From Stone
5. Minus
6. Tidlaus

Line-up
Frode Kilvik – Bass, Vocals
René Misje – Guitar,Vocals
Kjartan Grønhaug – Guitar
Ask Ty Arctander – Drums

KRAKOW – Facebook