Dischordia – Thanatopsis

I cultori del technical detah metal avranno di che gioire all’ascolto di Thanatopsis, un album difficile ma assolutamente affascinante.

Technical death metal brutale e a tratti progressivo, il sound del trio americano chiamato Dischordia si può riassumere così.

Il gruppo proveniente dall’ Oklahoma, attivo dal 2010, arriva al traguardo del secondo full length dopo aver dato alle stampe un paio di ep e Project 19, primo lavoro sulla lunga distanza targato 2013.
Da dire c’è che Josh Fallin (batteria), Keeno (chitarra e voce) e Josh Turner (voce, basso) i loro strumenti li sanno maneggiare più che bene, ma si nota pure un songwriting sufficientemente ispirato, tanto che Thanatopsis esce dal calderone delle opere di genere solo tecnica e virtuosismi.
Una valanga di cambi di tempo, un lavoro delle sei corde disumano e atmosferiche parti progressive dove non mancano neppure soavi note di un flauto, danno al lavoro quei cambi di atmosfere e sfumature che facilitano l’ascolto di questo mastodonte della durata di quasi un’ora, tantissimo per il minutaggio medio nei lavori del genere.
Il growl alterna parti death ad un più efferato brutal, infierendo senza pietà anche quando la tensione si alleggerisce un poco, ma sono solo attimi, perché brani intricati e violenti come The Curator, Bone Hive e la conclusiva The Traveler, non concedono tregua destabilizzando e violentando i padiglioni auricolari con una serie di trovate davvero sopra le righe (la marcetta in controtempo di The Traveler lascia a bocca aperta).
I cultori del genere avranno di che gioire all’ascolto di Thanatopsis, un album difficile, ma assolutamente affascinante.

TRACKLIST
1.Thanatopsis I: The River
2.Thanatopsis II: The Road
3.Thanatopsis III: The Ruin
4.The Curator
5.22°
6.An Unlikely Story
7.Bone Hive
8.Madness
9.The Traveler

LINE-UP
Josh Fallin – Drums
Keeno – Guitars, Vocals
Josh Turner – Vocals, Bass

DISCHORDIA – Facebook

Pleurisy – Experience The Sacrilege (reissue)

Un plauso doveroso va alla Vic Records per la tenace opera volta alla riscoperta di album che avrebbero rischiato di cadere prematuramente nell’oblio.

Altro combo olandese nato nei primi anni novanta, i Pleurisy a differenza di molti loro compagni d’avventura persi nei meandri del death metal di quegli storici anni, affrontavano la materia con piglio ed un impatto quanto mai diretto, tralasciando rallentamenti ed atmosfere catacombali per travolgere l’ascoltatore a tutta velocità.

Sotto le grinfie della Vic Records, label specializzata in ristampe di album classici dell’epoca, finisce il primo lavoro del gruppo nato nella provincia di Utrecht, Experience The Sacrilege, una bomba che univa il death metal centro europeo con sfuriate melodic black.
La band nacque nel 1990 e, dopo i classici lavori minori di inizio carriera, rilasciò nel 1999 l’album in analisi per poi concedere altre due opere, Dazed & Deranged del 2003 e, prima dello scioglimento, Seizure, licenziato una decina d’anni fa.
Approccio devastante, furia e potenza al servizio di solos dall’ottimo impatto melodico sono le caratteristiche principali del sound dei Pleurisy, caratteristiche queste esemplificate al meglio con quest’album, grazie ad una serie di brani molto trascinati e dal sicuro effetto distruttivo.
La title track, la mastodontica Ineluki, la velocissima e black Witchcraft sono bombe sonore senza soluzione di continuità, l’uso dello scream, al posto del classico growl profondo usato nella scena della loro terra, porta i Pleurisy verso le coste scandinave, battute dal vento freddo del black metal e devastate dalle opere di maggior peso del fenomeno di allora, il melodic death.
Un plauso doveroso va alla Vic Records per la tenace opera volta alla riscoperta di album che avrebbero rischiato di cadere prematuramente nell’oblio.

TRACKLIST
1. Mission Transformed
2. Experience the Sacrilege
3. Bid your Pleasures
4. Gone from the Sun
5. Ineluki
6. Divinity in Decay
7. Witchcraft
8. Trail of Destination
9. In Darkness / Mortification of Flesh

LINE-UP
Johan Wesdijk – vocals
Alex Seegers – guitars
Axel Becker – guitars
Bas van der Bogaard – bass
Edwin Nederkoorn – drums

Mindscar – What’s Beyond the Light

Secondo album per il trio capitanato dall’ex Trivium Richie Brown: i Mindscar sono protagonisti di un sound che trova il perfetto equilibrio tra death metal classico, metalcore e soluzioni progressive.

Dalla Florida, patria del death metal statunitense, arriva questo trio estremo attivo dal dagli ultimi scorci del secolo scorso ma con i primi due full length licenziati negli ultimi due anni.

What’s Beyond the Light è il secondo album, successore di Kill The King a conferma della costanza degli ultimi anni in casa Mindscar.
La bend, che vede alla sei corde ed alla voce l’ex Trivium Richie Brown, è forte di un sound che riesce a far convivere il death metal classico con quello moderno, valorizzandolo con svisate progressive e martellanti ritmiche metalcore che a tratti appesantiscono notevolmente la proposta del gruppo.
Ottimi musicisti, i Mindscar, oltre a Brown vedono impegnati Terran Fernandez al basso e Robbie Young alle pelli, una sezione ritmica che riesce perfettamente ad assecondare i deliri del bravissimo chitarrista.
Ne esce un album che, grazie anche alla durata perfetta per la musica proposta, convince tra estreme parti deathcore, arpeggi e voli progressivi e una sempre presente sfumatura classica che ricorda il sound nato tra le strade della Florida.
Mid tempo pesanti come incudini fanno da rovescio della medaglia ad aperture melodiche di stampo progressivo che poi risultano i momenti migliori del disco, la cui apertura è affidata alla Obituary oriented I Am The Bad Man; l’ alternanza tra ritmiche sincopate e scariche violentissime fa da tappeto alla devastante Headless, ma da
Buried Beneath the Snow si cominciano ad intravedere nuove strade progressive sviluppate in seguito, soprattutto nella conclusiva title track.
What’s Beyond The Light è un album che merita la giusta attenzione, e l’ uso da parte del gruppo di varie atmosfere rende l’ascolto piacevole anche grazie all’ottima tecnica dei musicisti coinvolti.

TRACKLIST
1.I Am the Bad Man
2.Headless
3.Buried Beneath the Snow
4.A Faceless Force that Must Die
5.Megalodon
6.Cerberus
7.When the Soul Dies
8.Entering the Void
9.What’s Beyond the Light

LINE-UP
Richie Brown – Guitars, Vocals (lead)
Terran Fernandez – Bass, Vocals
Robbie Young – Drums, Vocals

MINDSCAR – Facebook

Don’t Try This At Home – #01

Questo disco è una delle tante vie giovanili e moderne al metal, e dato che la mente deve essere aperta ascoltatelo, perché ne vale la pena e perché è una bella mazzata, e ogni tanto prendere due schiaffi sonori fa bene.

Da Udine il debutto in free download per questo giovane gruppo di metalcore e hardcore.

Il loro suono non è inedito, ma i ragazzi friulani rielaborano molto bene una materia molto sfruttata ultimamente, come quella del metalcore. I Don’t Try This At Home sono molto potenti e diretti, riuscendo ad inserirsi molto bene su di una onda estremamente frequentata. Il suono di questo ep di esordio, in download libero dal loro bandcamp, è un metalcore veloce, ben prodotto e con finalmente i bassi al posto giusto, poiché troppe volte si ascoltano gruppi del genere con i treble troppo alti, senza profondità. I Don’t Try This At Home invece hanno un gran tiro, sanno sempre cosa fare e lo fanno bene, e per certi versi potrebbero essere considerati eredi di una certa scena hardcore anni novanta, forse inconsapevole progenitrice del metalcore. Certamente il metalcore fa storcere il naso a molti, e per certi versi a ragione, ma questi dovrebbero ascoltare #01 per ricredersi, almeno per quanto riguarda questi friulani. Disco veloce, pesante, con molti ottimi risvolti, suonato con tecnica ma soprattutto mettendo a frutto la molteplicità di ascolti fatti. All’interno della stessa canzone possiamo ascoltare molti cambi di registro, con variazioni sul tema e molto altro. Questo disco è una delle tante vie giovanili e moderne al metal, e dato che la mente deve essere aperta ascoltatelo, perché ne vale la pena e perché è una bella mazzata, e ogni tanto prendere due schiaffi sonori fa bene.

TRACKLIST
1.Mushroom
2.Paranoid Alienation
3.The Beast Within
4.Jeff Buckley
5.Vicious Circle

LINE-UP
Giuliano Bergantin – Vocals
Giovanni Stella – Guitar
Federico Sbaiz – Guitar
Alessandro Cartelli – Bass
Thomas Macorig – Drum

DON’T TRY THIS AT HOME – Facebook

Crohm – Humanity

Bersaglio centrato in pieno per la band valdostana con Humanity, che si rivela un buon esempio di metal vecchia scuola.

Attivi addirittura da metà anni ottanta, i Crohm sono uno dei gruppi storici nati in Valle d’Aosta ed uno dei primi in assoluto a suonare heavy metal nella splendida regione racchiusa tra le vetti più elevate delle Alpi.

Dopo un lungo silenzio ed il ritorno tre anni fa con Legend and Prophecy, album composto da brani storici
ri-arrangiati per l’occasione, il nuovo album intitolato Humanity rappresenta un nuovo inizio mantenendo sempre ben alta la bandiera dell’heavy metal, con l’aggiunta di un impatto dal groove micidiale.
L’album è stato registrato da Giulio Capone (Temperance), il quale si è anche occupato di mix e mastering, mentre il gruppo si è affidato ad una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Musicraiser, dove amici e fans possono partecipare attivamente ai progetti di ciascuna band.
Humanity suona grezzo e aggressivo, con il suo hard & heavy alla massima potenza, il groove a portare un tocco leggermente moderno alle composizioni, assoli che nascono nella new wave of british heavy metal e alternanza ben congeniata tra brani diretti, e cavalcate maideniane che sono il fiore all’occhiello di questo lavoro (Insatiable).
I Crohm non sentono il perso degli anni, i tre rockers che diedero vita al progetto tanti anni fa (il singer Sergio Fiorani, il chitarrista Claudio Zanchetta ed il bassista Riccardo Taraglio), sono affiancati in questa avventura dal batterista Fabio Cannatà e dal chitarrista ritmico Diego Zambon: al grido di keep your dragon alive (KYDAH) ci investono con tutta la loro carica metallica, tra heavy metal classico e thrash, coinvolgendo non poco, merito di un lotto di brani potenti, onesti e carichi di passione per una musica immortale.
La band valdostana offre accelerate thrash e mid tempo ricchi di groove, con un sound tra Iron Maiden e Saxon, un gran lavoro chitarristico ed un cantante che sa il fatto suo, portandoci a spasso nel mondo dell’hard & heavy grazie a tracce come The Call, Lost Soul e l’eccellente Fields Painted Red.
I Crohm centrano in pieno il bersaglio con Humanity, un buon esempio di metal vecchia scuola da non perdere per alcun motivo.

TRACKLIST
1. Alien
2. The Call
3. The Dark Side
4. Nothing Else
5. Insatiable
6. Lost Soul
7. Fields Painted Red
8. The Noise of Silence
9. Run for your Life (The Escape)
10. Town after Town

LINE-UP
Sergio Fiorani – Lead vocal
Claudio Zac Zanchetta – Lead guitar, background vocal
Riccardo Taraglio – Bass, background vocal
Diego Zambon – Rythm guitar
Fabio Cannatà – Drums

CROHM – Facebook

Scarved – Lodestone

Album che cresce con gli ascolti, leggermente monocorde nelle ritmiche ma ottimo nella prova della cantante e in qualche fuga strumentale, Lodestone risulta senz’altro un buon inizio per il gruppo belga.

Da una nazione come il Belgio, avara di tradizione hard rock, arrivano questi ottimi Scarved, pescati dalla Sleaszy Ride, label greca attivissima in questo ultimo paio d’anni con proposte che vanno dall’hard rock al metal estremo.

Il quartetto di Schilde può contare sulla notevole interpretazione della singer Caro, una vera pantera al microfono, dotata di un tono caldo e sensuale, una buona estensione e talento per il genere suonato dai suoi compari che, se si perde nell’ hard rock tradizionale, non manca di valorizzarlo con richiami più o meno espliciti al rock tecnico e dai rimandi progressivi, anche per la bravura dimostrata da Luc Vandessel alla sei corde e dalla sezione ritmica composta da Wim Wuters al basso e Geert Marien alle pelli.
Lodestone dunque risulta una monolitica e potentissima opera tra hard rock, progressive e classic metal: le influenze rimangono ben fissate nel periodo a cavallo tra gli anni settanta ed il decennio successivo, con una serie di mid tempo dove la sezione ritmica detta legge, quadrata e potente, mentre l’ugola della vocalist non fa mancare potenza e drammatica interpretazione.
Notevoli i passaggi strumentali dove la chitarra abbandona le sicure vie del sound proposto, per svariare con solos che tanto sanno di jam tra blues e prog.
Black Sabbath, Rainbow, Led Zeppelin convogliati nello stesso monolitico sound, questo è Lodestone ,che mantiene una buona qualità per tutta l’ora di durata con un paio di picchi, la title track e Fight For Justice.
Album che cresce con gli ascolti, leggermente monocorde nelle ritmiche ma ottimo nella prova della cantante e in qualche fuga strumentale, Lodestone rappresenta senz’altro un buon inizio per gli Scarved.

TRACKLIST
1. Naughty Reflexes
2.Sweet Surrender
3. Battlefield
4. Toxic Rat Race
5. Lodestone
6. Garden Of Eden
7. Heavy Foot Hero
8. Heart Of Rock ‘N’ Roll
9. Fight For Justice
10. Convicted Woman
11. Maiden Voyage

LINE-UP
Caro – Vocals
Luc Vandessel – Guitar and backing vocals
Wim Wouters – Bass and backing vocals
Geert Marien – Drums

SCARVED – Facebook

S A R R A M – A Bolu, in C

A Bolu, in C è un’eloquente dimostrazione di come si possa comporre ottima musica ambient mettendo una strumentazione essenziale al servizio di un’innata sensibilità compositiva

Quest’opera prima in veste solista del musicista nuorese Valerio Marras, in arte S A R R A M, è l’ennesima dimostrazione di quanto la musica ambient possa risultare coinvolgente e tutt’altro che perimetrale rispetto alla percezione dell’ascoltatore.

A Bolu, in C, dove il “bolu” in questione è il volo in lingua sarda, è una lunga traccia che va a sfiorare i quaranta minuti di durata, nel corso dei quali ci si ritrova a librarsi al di sopra degli scenari unici che la meravigliosa isola mediterranea offrire.
Diviene pressoché perfetta, così, la simbiosi con le 10 immagini prodotte dal fotografo Bobore Frau, il quale ha immortalato squarci naturalistici del nuorese (Barbagia e Baronia): è la chitarra di Marras a condurci in questo virtuale viaggio alato, con l’intromissione di loop ed effetti volti a schiudere l’accesso alle immagini successive.
La forma di ambient perseguita da S A R R A M è quindi piuttosto carezzevole ed evocativa, muovendosi sulla falsariga del movimento di musicisti britannici gravitante nella cerchia del David Sylvian della seconda metà degli anni ottanta (faccio riferimento soprattutto alla seconda metà strumentale di Gone To Earth).
A Bolu, in C è un’eloquente dimostrazione di come si possa comporre ottima musica ambient mettendo una strumentazione essenziale al servizio di un’innata sensibilità compositiva, senza per questo dimenticare il prezioso contributo visivo contenuto nel digipack prodotto in 100 copie dall’etichetta Talk About Records.
Se è difficile descrivere in maniera esaustiva i contenuti di un disco rock o metal, figuriamoci per quel che riguarda l’ambient, per sua natura un flusso di sensazioni più che una canonica sequela di brani, per cui non resta che esortare chi apprezza il genere ad ascoltare l’operato del bravo Valerio Marras.

Tracklist:
1. A Bolu, in C

Line-up:
Valerio Marras–Guitar, effects

S AR R A M – Facebook

The Replicate – The Selfish Dream

Questo lavoro merita un minimo di interesse, ma per la prossima volta speriamo in qualche ragguaglio in più per conoscere meglio i protagonisti di cotanto dolore musicale.

Capita spesso che arrivino album di band che probabilmente giocano con il mistero, oppure sono solo composte da sadici musicisti che si divertono a mettere in difficoltà chi cerca di supportarli, anche a costo di perdere pomeriggi interi per trovare anche la più semplice delle informazioni, come per esempio la line up o addirittura la tracklist.

Sembra una stupiggine, ma per chi cerca di fare le cose per benino, dando in pasto ai lettori un articolo il più completo possibile, diventa un’avventura nei meandri del web, soprattutto quando non si trova alcunché neppure sulla pagina Facebook del gruppo alla voce informazioni.
Un peccat,o perché poi ci si trova al cospetto di lavori che meritano un accurato approfondimento come questo ep di quattro tracce opera della band proveniente dalla California ma guidata dal musicista indiano Sandesh Nagaraj, aiutato da un manipolo di colleghi della scena estrema e protagonista di questi dieci minuti di death metal estremo, paranoico e totalmente libero da vincoli, che rispecchia l’attitudine morbosa dei Morbid Angel, avvicinandosi terribilmente agli Obituary del fratelli Tardy, ma riveduto con una personalità ed un impatto sopra le righe.
Sono solo dieci minuti certo, ma l’atmosfera che si respira è soffocante e pregna di pazzia, i brani sono attraversati da una vena che dal death metal passa al doom, tra accelerazioni e rallentamenti in un clima di annichilente tortura mentale.
Cercatevi questo lavoro perché merita un certo di interesse, ma per la prossima volta speriamo in qualche ragguaglio in più per conoscere meglio i protagonisti di cotanto dolore musicale.

TRACKLIST
1.Chainsaw Of God
2.Eugenicide
9.The Saline
4.A Selfish Dream

LINE-UP
Sandesh Nagaraj – Guitar and Bass
Kaitie Sly – Bass on Eugenicide
Ray Rojo – Drums
Morgan Wells – Vocals/Lyrics on Chainsaw Of God
Jordan Nalley – Vocals/Lyrics on Eugenicide
Arun Natrajan – Vocals/Lyrics on The Saline
William Von Arx – Guitar Solo on Chainsaw Of God

THE REPLICATE – Facebook

Naddred – Sluagh

La scena black in Irlanda ha partorito diversi buoni gruppi, ma sinceramente nessuno era all’altezza di questi ragazzi, e ascoltando le quattro tracce di questo demo lo capirete, essendo questo un black di livello assoluto.

Dall’Irlanda arriva un nuovo gruppo di black metal da tenere assolutamente d’occhio, figlio di vari incesti fra diversi gruppi dell’underground irlandese, quali Slidhr, Eternal Helcaraxe e Sol Axis.

Il suono di questo gruppo ha l’incedere caratteristico dei grandi gruppi, poiché il loro black metal è veloce, melodico, potente e riesce anche a fare notevoli incursioni nel death metal, il tutto con classe e senso della misura. Soprattutto i ragazzi irlandesi non sono dogmatici, ma scorrazzano da par loro. Questo demo in cassetta lascia presagire un grande futuro, ed effettivamente i segnali ci sono tutti. Quattro pezzi che scorrono benissimo, con una facilità compositiva che potrebbe fare invidia a gruppi ben più consacrati- L’underground del black metal è una continua fucina di ottimi dischi, e soprattutto è la fiamma che tiene su il tutto, senza si scivolerebbe nella noia e nello stereotipo. Il black metal è una materia che ognuno può plasmare a proprio piacimento, e i Naddred lo fanno con grande capacità, e questi quattro pezzi vorresti che fossero cento, tanto sono belli e neri. La scena black in Irlanda ha partorito diversi buoni gruppi, ma sinceramente nessuno era all’altezza di questi ragazzi, e ascoltando le quattro tracce di questo demo lo capirete, essendo questo un black di livello assoluto.

TRACKLIST
01 Four Crowned Prince Of Hell
02 Sluagh
03 The Beast Walks The Earth
04 The Dullahan

NADDRED – Facebook

Soen – Lykaia

Il problema di questo album è il suo essere prevedibile in ogni passaggio, studiato per portare l’ascoltatore verso la fine senza donargli quelle emozioni che chi ascolta musica del genere ricerca.

Gli svedesi Soen continuano la tradizione del nuovo metal progressivo, malinconico, dalle atmosfere rarefatte, che cerca di puntare sulle atmosfere, anche se lo sfoggio tecnico non manca, a volte riuscendoci, altre meno.

La band, che dalla sua nascita ha sempre avuto i crismi del supergruppo, con Martin Lopez (ex Opeth) dietro alle pelli ed in cabina di regia e poi una manciata di talenti tra cui, nella prima fase Steve Di Giorgio e poi Stefan Stenberg al basso, Joel Ekelöf dietro microfono, Lars Åhlund alle tastiere, ed il nuovo entrato Marcus Jidell (Avatarium) alla sei corde, continua ad interpretare perfettamente il sound che ha fatto la fortuna del genere non allontanandosi neanche di un passo dai Tool e The Perfect Circle, senza chiaramente dimenticare gli Opeth.
E’ così che si sviluppa questo nuovo e terzo lavoro di una discografia iniziata nel 2012 con Cognitive, passata per Tellurian tre anni fa, senza discostarsi dalle opere precedenti se non per una minore urgenza metallica nel sound.
Lykaia non è un brutto lavoro, anzi per i fans del genere e dei nomi citati risulta una buona proposta, ma da musicisti del genere ci si aspetterebbe almeno qualche spunto più personale, che viene soffocato invece dalle atmosfere intimiste e melanconiche, o qualche passaggio più aggressivo per ovviare ad un andamento stanco che porta faticosamente ai titoli di coda.
Il problema di questo album è il suo essere prevedibile in ogni passaggio, studiato per portare l’ascoltatore verso la fine senza donargli quelle emozioni che chi ascolta musica del genere ricerca al di là della tecnica.
Non mancano i brani che spiccano sugli altri e che regalano all’album spunti che il nome del gruppo e i musicisti coinvolti non possono non avere, come Orison e Jinn, brano questo dalle armonie orientaleggianti molto suggestivo; il resto viaggia con il pilota automatico, lasciando l’amaro in bocca per quello che poteva essere ed è solo a tratti.
Il genere non lascia scampo e la linea tra il capolavoro ed un parziale passo falso è più sottile di quanto si possa immaginare.

TRACKLIST
01. Sectarian
02. Orison
03. Lucidity
04. Opal
05. Jinn
06. Sister
07. Stray
08. Paragon
09. God’s Acre

LINE-UP
Stefan Stenberg – Bass
Marcus Jidell – Guitar
Lars Åhlund – Keys, guitar
Joel Ekelöf – Vocals
Martin Lopez – Drums, percussion

SOEN – Facebook

Omnisight – Power Of One

Mezz’ora di musica progressiva fuori dai soliti cliché in compagnia dei canadesi Omnisight.

Un altro piccolo gioiello underground proveniente dal nuovo continente, precisamente da Vancouver (Canada), arriva a deliziare il sottoscritto che non può esimersi dal farvi partecipi dell’ottimo lavoro svolto dai Omnisight, quartetto di prog metal/hard rock tornato sul mercato con questo ep di cinque brani dal titolo Power Of One.

La tecnica della band è messa al servizio di un hard rock/metal che non disdegna fughe progressive e repentini cambi di ritmo, mantenendo una forte identità alternative che la sottrae da facili riferimenti con i gruppi prog metal (anche se in alcuni casi qualche riferimento ai Dream Theater esce allo scoperto), per avvicinarsi maggiormente ai gruppi americani usciti dal decennio novantiano e troppo superficialmente buttati, all’epoca, nel calderone della musica proveniente da Seattle come i Kings X, a mio parere massima ispirazione per gli Omnisight, insieme ai Racer X di Paul Gilbert.
Certo, non manca di groove la musica del gruppo canadese, a ribadire la forte influenza dell’ hard rock moderno sul sound del gruppo di Raj Krishna e compagni, abili nel saper gestire i vari input per creare una musica progressiva a suo modo lontana dai soliti cliché.
I cinque brani presentati sono tutti molto belli, a partire dall’opener Shift The Paradigm, con gli altri brani che mantengono le caratteristiche di cui si parlava, e lo strumentale Fall Of The Empire che si avvicina allo shred e punta le luci della ribalta sul talento dei quattro musicisti.
Un bellissimo lavoro, un’altra mezzora alle prese con musica progressiva in un contesto alternativo alle solite atmosfere.

Tracklist:
1. Shift The Paradigm
2. Resistance
3. Seven Sisters
4. Fall of The Empire
5. Power of One

LINE-UP
Raj Krishna – Rhythm, Lead guitars and Lead Vocals.
Chris Warunki – Drums
Dave Shannon – Bass and Backing Vocals (Endorsed by Sabian Cymbals and Epek Drums)
Blake Rurik – Lead Guitars

OMNISIGHT – Facebook

Black Map – In Droves

Quindici brani, cinquanta minuti catturati da melodie e arrangiamenti fatti per imprigionare l’ascoltatore nel mondo patinato, delicato, a tratti aggressivo del rock del nuovo millennio.

Alternative rock che a tratti sconfina nel metal, un album che sembra una raccolta di hit radiofonici, magari leggermente ruffiani ma indubbiamente splendenti di un appeal da botto commerciale: In Droves è un vulcano musicale pronto ad eruttare note alternative o il solito lavoro che non andrà più in la di buone recensioni ed un paio di singoli in rete?

Comunque vada, il nuovo disco del trio di San Francisco conosciuto come Black Map, risulta un concentrato di rock che chiunque abbia vissuto (anche superficialmente) gli ultimi trent’anni di musica del diavolo non può non apprezzare.
Rock che trovate sulle radio di tutto il mondo, gustosamente melodico anche se non mancano grintose parte metalliche che avvicinano l’ alternative rock al new metal, contornandolo di graziosi ricami post grunge.
Aggiungete la voce di Ben Flanagan, che segue la corrente e porta la band vicino ai mostri sacri U2, ed avrete un’idea di che tiro commerciale (almeno sulla carta ) può avere In Droves, album sapientemente rivestito di comodi abiti, ultima moda del nuovo millennio.
Con una dose di post rock che fa capolino e mette l’ ombrellino sul cocktail preparato dal gruppo, questa raccolta di brani non manca di affascinare e fin da subito si viene catturati dalle melodie malinconiche, arrabbiate ed intense, di brani scritti per fare immediatamente breccia nei cuori degli alternative rockers.
Quindici brani, cinquanta minuti catturati da melodie e arrangiamenti fatti per imprigionare l’ascoltatore nel mondo patinato, delicato, a tratti aggressivo del rock del nuovo millennio.

TRACKLIST
1.Transit I
2.Run Rabbit Run
3.Foxglove
4.Ruin
5.Heavy Waves
6.Dead Ringer
7.Octavia
8.Transit II
9.No Color
10.Indoor Kid
11.White Fence
12.Just My Luck
13.Cash for the Fears
14.Transit III
15.Coma Phase

LINE-UP
Mark Engles – Guitar
Chris Robyn – Drums
Ben Flanagan – Vox/Bass

BLACK MAP – Facebook

Muro – El Cuarto Jinete

Il trono in Spagna è ancora di quei ragazzi che un giorno a Vallecas portarono musica veloce e che non si sono ancora fermati.

Nuovo disco dalla genesi tormentata per i pionieri spagnoli dell’heavy e speed metal.

I Muro nacquero nel 1981 nel quartiere di Vallecas, patria del Rayo Vallecano e dell’heavy metal, infatti i nostri con l’epico Acero Y Sangre, live album del 1986, fecero sentire uno dei primi prodotti di marca ispanica in campo heavy e speed. Il loro suono da quel tempo non è mutato di una virgola, anzi si è notevolmente potenziato, e i Muro su disco e dal vivo sono una macchina da guerra, di quelle che non fanno prigionieri. Negli anni i duemila si erano sciolti, ma per fortuna nel 2009 vi era stata la riunione della formazione originaria, e da lì le cose sono andate avanti. Nel 2013, con El Cuarto Jinete ultimato, lo storico cantante Silver ha scelto di dividere il suo destino da quello del gruppo, e gli spagnoli hanno preso con loro la validissima cantante Rosa, anche se nel disco la voce è ancora quella di Silver. A parte tutte le vicissitudini rimane la musica e El Cuarto Jinete è un disco molto bello di heavy metal e speeed metal, fatto con estrema passione, con una produzione che riesce a mettere in risalto la classe dei Muro, che anche grazie al loro cantato in spagnolo sono davvero unici. El Cuarto Jinete è una perfetta sintesi di ciò che dovrebbe essere un disco di heavv metal con una fortissima impronta speed, velocità, concretezza ed epicità, ma senza troppa retorica. Dalla prima all’ultima canzone non si vive un momento di calma o di abbassamento dell’elettricità, e i Muro fanno capire che non sono per nulla intenzionati a sparire, ma sono ben presenti anche più di prima, tant’è che sono anche andati in tour in America.
Il trono in Spagna è ancora di quei ragazzi che un giorno a Vallecas portarono musica veloce e che non si sono ancora fermati.

TRACKLIST
1. Apocalipsis 6,2
2. El Cuarto Jinete
3. Otra Batalla
4. Maldito Bastardo
5. Sobrevivir
6. En el Ojo del Huracán
7. La Voz
8. Hermanos de Sangre
9. Honorable
10. Muero por ti
11. Fratricidio
12. Kill the King (Rainbow cover)

LINE-UP
Lapi – Drums
Largo – Guitars
Julito – Bass
Silver – Vocals

MURO – Facebook