Bright Lights Apart – Post Utopian Soundcapes

La loro concezione di musica elettronica dei Bright Lights Apart è molto aperta ed abbraccia diversi aspetti, con le canzoni che sono costruite come se fossero delle storie da raccontare a più persone possibili, possedendo anche un notevole potenziale commerciale.

Ascoltando questo debutto dei Bright Lights Apart è davvero difficile pensare che questi ragazzi siano italiani, perché il suono è molto debitore a tanta elettronica inglese, dal big beat alla trance, dal dubstep a situazioni più techno.

Per dare qualche coordinata prima del necessario ascolto del disco, prendete i Prodigy attuali e rendeteli molto più divertenti e più underground, o di qualcosa di più efficace dei Bloody Beetroots. Questi ragazzi di Rovigo riescono a fare una seconda opera molto fresca, che incontra anche territori metal grazie a dei chitarroni belli pesanti in certi pezzi. Lo scopo della loro musica è quello di creare elettronica coinvolgente e che riesca a lasciare qualcosa all’ascoltatore. La loro concezione di musica elettronica è molto aperta ed abbraccia diversi aspetti, con le canzoni che sono costruite come se fossero delle storie da raccontare a più persone possibili, possedendo anche un notevole potenziale commerciale. Una grande influenza per i Bright Lights Apart sono sicuramente state le colonne sonore dei videogiochi, infatti ci sono molti momenti delle loro canzoni che hanno quel passo. Il cambio di marcia per il gruppo, dopo alcuni cambi di formazione, è stata la comprensione di poter fare e comporre musica da produttori fatti e finiti, infatti qui si va oltre l’idea di musicisti, per abbracciare un orizzonte più ampio. Ci si perde piacevolmente dentro questo disco, che è composto molto bene, e ha come unica pecca dei suoni non sempre all’altezza del valore del gruppo, perché con una produzione più profonda questo gruppo sfonderebbe tutto. A parte questo piccolo particolare, il disco è veramente originale e molto bello, e non capita quasi mai di sentire un gruppo con una tale carica che riesca ad amalgamare tanti generi in un suono organico e valido. Proprio mentre scrivevo queste righe è arrivata la notizia della morte del cantante dei Prodigy, Keith Flint. Non ci può essere migliore omaggio a lui della musica dei Bright Lights Apart.

Tracklist
1.Post Utopia Party
2.Bad Morning
3.The Effects
4.Metrpolitan Poem
5.Uncomfortable Intents
6.Worn out
7.Anthems for Urban Hooligans

Line-up
Miles.t – production, vox, guitars
S.Slug – production
Dave.d – Production, guitar, bass

BRIGHT LIGHTS APART – facebook

Tacobellas – Total 90

La musica delle Tacobellas è veloce e distorta, ma oltre alla velocità ed incisività riesce anche a creare situazioni surreali e psichedeliche che arricchiscono il tutto.

Le Tacobellas sono un power duo femminile dalla provincia di Modena che vi prenderà felicemente a calci nel sedere.

Le coordinate sono quelle del punk rock e dell’indie più corrosivo e bastardo, con molte influenze e soprattutto tante cose da dire. La loro musica è veloce e distorta, ma oltre alla velocità ed incisività riesce anche a creare situazioni surreali e psichedeliche che arricchiscono il tutto. Chitarra, batteria e voce per un attacco sonoro che in certi momenti lascia senza fiato, e non si può far riferimento all’insulsa storia delle rrriot girls. Il femmineo è uno degli elementi principali, e forse il più bello e perfettamente incompleto dell’universo, la sua rabbia è sacra e la sua furia si abbatte su di noi in maniera giusta ed equa, senza tirare fuori stupide parole in inglese. Questo femmineo e questa rabbia è ben rappresentata da Total 90, un disco che mancava alle nostre latitudini e che abbraccia molte situazioni notevoli e piacevoli. Le Tacobellas ripercorrono molto della storia dell’indie, ma lo fanno per ampliare il proprio bagaglio narrativo, e proprio quest’ultimo possiede un’ampiezza ed una profondità notevole. Otto tracce che vanno ben oltre le classificazioni per un debutto che riesce a meravigliare, cosa non facile di questi tempi. La struttura è minimale, eppure dentro ad essa ci sono moltissime cose. Alcune tracce sono concepite come furiose jam, ma non c’è solo la rabbia, perché il duo modenese riesce anche a lasciarci un po’ di speranza. Total 90 è anche un grande omaggio alla scena indie americana degli anni novanta, dove gruppi come i The Pavement o gli Sonic Youth, ma più per esteso ad una certa maniera di fare indie, con un piglio più abrasivo e moderno rispetto ad oggi. Insomma è un gran bel debutto, ascoltatelo perché sta nascendo qualcosa di molto bello.

Tracklist
1. Cut
02. Elephanttt
03. Hangover
04. Rays Gig
05. Honey
06. Spin
07. Total 90
08. TTF&F

Line-up
Valentina Gallini – Guitar and Voice
Greta Lodi – Drums

TACOBELLAS – Facebook

Lecks Inc. – E.G.O. (Everybody Gets One)

E.G.O. possiede molti punti forti e quasi nessun difetto, riesce a divertire e a far pensare, il tutto condito da un talento e da una varietà compositiva molto importanti.

I Lecks Inc. sono una macchina per il metal totale: provenienti dal sud della Francia, sono attivi dal 2009 e si autodefiniscono un gruppo di metal industriale sperimentale, ma c’è di più.

Infatti, l’ascolto dell’ultima produzione intitolata E.G.O. fa spaziare in tantissimi sottogeneri del metal, dall’industrial al black più melodico, passando per il death e per il sympho metal e ovviamente l’industrial. Non ci si fossilizza in una zona di comfort, ma si sperimenta e si scommette, seguendo i dettami della scuola francese del metal, che fa dell’imprevedibilità e della ricerca le sue ragioni d’essere. Per dire quanto siano vari, nel brano The Blood Of The Innocents ci sono addirittura momenti di folk metal, e di ottima qualità per giunta. Non è facile mettere tutto assieme in maniera organica senza farsi sorprendere dalla confusione, ma i francesi ci riescono molto bene ed il risultato è un album devastante e molto potente, con validissime melodie al suo interno. Dentro al disco ci sono moltissimi momenti notevoli, e fin dalla prima canzone i Lecks Inc. riescono ad instaurare un buon feeling con l’ascoltatore. Per chi ama il metal, quello con un’inclinazione più moderna, E.G.O. è un disco che contiene molte gioie, dato che qui si fanno fare passi da gigante al metal, portandolo in territori pressoché inesplorati. In tutto ciò non si perde mai di vista l’aggressività ed il ritmo e, soprattutto, quella maniera francese di fare metal che riesce a dare molto spesso ottimi frutti. Ovviamente in una nazione non può esistere una maniera univoca di concepire una musica come il metal, ma molte band francesi condividono un senso di sperimentazione e di vocazione alla contaminazione davvero unica. Con questo disco i Lecks Inc. si pongono all’attenzione di tutti coloro che amano il metal che dà la scossa e che canta questi tempi difficili e cupi alla perfezione. E.G.O. possiede molti punti forti e quasi nessun difetto, riesce a divertire e a far pensare, il tutto condito da un talento e da una varietà compositiva molto importanti.

Tracklist
01. Of Men & Worms
02. As Weird As Me
03. Not A Sextoy
04. K.K.K. In Your Head – Feat Rachel Aspe [Eths]
05. Everybody Gets One
06. Dance With Death
07. The Blood Of The Innocents
08. My Best Donkey

Line-up
Alexandre “Lecks” Delagrande – Vocals
Bernie Plumat – Guitars
Sebastien Rossi – Guitars
Fanny Themlin – Drums

LECKS INC. – Facebook/

Sadness – Rain

Come sanno fare solo i più bei dischi di black metal altro, Rain trasfigura completamente la nostra realtà, dato che ci si perde in questo muro sonoro, in questa cascata di suoni ed immagini, dove si viene portati in cielo e da lì nello spazio profondo, ma dove ci dovrebbe essere solo silenzio e buio troviamo prati di vita e fiori di morte.

Sadness è il progetto solista di Elisa, polistrumentista messicana che vive in Illinois, dove ha registrato questa sua seconda opera.

Rain è un disco che porta in un’altra dimensione, con uno spettacolare suono che parte dall’atmospheric black metal per arrivare al blackgaze e al depressive black metal, sottogenere di cui è uno dei migliori esemplari. Ci sono trame e sottotrame in queste canzoni, ognuna fa storia a sé ed insieme ci rendono un bellissimo dipinto che pulsa al ritmo di questa musica. Per esempio Pure Dream, la seconda traccia del disco, è un esempio perfetto di cosa sia Rain, un sogno, una sorta di filtro attraverso il quale vedere la vita in maniera diversa, una sospensione del tempo che ci permette di rallentare e di capire meglio. Elisa suona come se fosse al comando di un magma, con gli strumenti che si fondono per arrivare ad un certo risultato, dove ogni cosa è fondamentale ma mai come il tutto che concorre a formare. Sogno, estasi, paura della perdita e superamento della morte, ci sono tantissime cose in questo disco. Come sanno fare solo i più bei dischi di black metal altro, Rain trasfigura completamente la nostra realtà, dato che ci si perde in questo muro sonoro, in questa cascata di suoni ed immagini, dove si viene portati in cielo e da lì nello spazio profondo, ma dove ci dovrebbe essere solo silenzio e buio troviamo prati di vita e fiori di morte. Sintesi di purezza e corruzione, è davvero difficile catalogare questo disco come una mera opera musicale, perché è molto di più. Innanzitutto esplora le parti più nuove ed ancora parzialmente inesplorate dell’universo black metal, e chi si poteva aspettare che dai primi ruggiti norvegesi a distanza di molti anni sarebbero poi potute nascere opere come Rain? Ciò è possibile perché il black metal è come un codice sorgente dal quale possiamo prendere e sviluppare ciò che ci interessa, ed è proprio ciò che ha fatto Elisa. Un disco molto toccante, bello ed etereo, blackgaze di ottima fattura.

Tracklist
1.Lay
2.Pure Dream
3.Absolution
4.River
5.Rain
6.Teal

Line-up
Elisa – All instruments and vocals

SADNESS – Facebook

Bazooka – Zero Hits

I Bazooka pescano sia dalla tradizione new wave post punk britannica che da quella a stelle e strisce, riuscendo a proporre una sintesi originale del tutto. Riverberi, tastiere che si perdono in cielo, giri di basso che riempiono la testa e un ritmo sempre ben definito e piacevole.

I Bazooka sono greci e fanno una new wave post punk con accenni psych molto coinvolgente e di pregevole fattura.

In verità ascoltando Zero Hits i generi sono anche di più, ma le aree coinvolte sono quelle. Raramente si può ascoltare un gruppo post punk new wave con questo tiro, ogni pezzo è coinvolgente e ha giri di basso e di chitarra che ti catturano e non ti lasciano. Molto funzionale al tutto è il cantato in greco moderno, che è una lingua molto strana come suoni e che si adatta benissimo alla musica dei Bazooka. Bellissimo anche il fatto che questi ragazzi cantino nella loro lingua nella quale si esprimono molto meglio che in inglese facendosi capire ugualmente molto bene. In giro dal 2008, il gruppo greco è sinonimo di qualità ed in patria non si trova di meglio. Oltre a riprendere i canoni del post punk e della new wave stravolgendoli con una forte dose di modernità, i nostri creano un tappeto psichedelico notevole con le loro canzoni che si sviluppano in maniere molto diverse e in alcuni momenti quasi come fossero delle jam. Non ci sono momenti di stanca o riempitivi, ogni episodio fa parte di un insieme più grande che va visto nella sua interezza. I Bazooka pescano sia dalla tradizione britannica che da quella a stelle e strisce, riuscendo a proporre una sintesi originale del tutto. Riverberi, tastiere che si perdono in cielo, giri di basso che riempiono la testa e un ritmo sempre ben definito e piacevole. Ci sono sia suoni retrò che cose maggiormente moderne, in una mistura che non stanca mai. Zero Hits è un titolo assai fallace, perché qui le hits ci sono eccome, e i Bazooka saranno presto in Italia per una data.

Tracklist
01. Ela (Come)
02. Filaki (Prison)
03. Keno (Void)
04. Monos (Alone)
05. Oi Vlakes Kanoune Parelasi (Idiots Are Going On Parade)
06. Eho Kourasti (I’m Tired)
07. Mesa Stin Poli (In The City)
08. Kati Eho Prodosi (Something I Have Betrayed)
09. Vradini Vardia (Night Shift)
10. To Hroma Tou Trelou (The Colour Of A Crazy Man)
11. Adiafores Maties (Indifferent Glances)
12. Min Kitas Piso (Don’t Look Back)
13. Soultana (Soultana)
14. Ta Spao Ola (I Break Everything )

Line-up
Xanthos Papanikolaou – vocals, guitar
John Voulgaris – drums, percussion
Vasilis Zelepis – guitar
Aris Rammos – bass

BAZOOKA – Facebook

Millencolin – SOS

Racconti di giorni come tutti e quindi dove non tutto va bene anzi, ma con la ferma sicurezza che musica come contenuta quella in Nothing sia un qualcosa che ci accompagna da tanti anni e che lo farà ancora per molto.

Quando sei in giro dal 1992 e hai pubblicato otto dischi, hai creato un sottogenere del punk rock chiamato softcore, non è facile dire ancora qualcosa, invece i Millencolin riescono sempre a darci delle gioie in questi anni difficili.

Il mondo gira sempre peggio ma loro ci sono sempre, e dopo quattro anni dal precedente True Brew ci regalano un altro grande disco. Non aspettatevi grandi stravolgimenti o innovazioni incredibili, ma qualcosa di ancora più profondo e difficile, ovvero la capacità di reinventarsi e di continuare ad essere interessanti e piacevoli, portando avanti dei temi ben precisi. I Millencolin hanno una declinazione unica di un suono comune e diffuso come il punk rock tendente all’hardcore melodico, hanno attraversato molte epoche, fin dai loro inizi sulla mitica etichetta svedese Burning Heart, in un momento di grande visibilità per quel suono e quelle tematiche. Nel 2019 questi svedesi ci sono ancora, sono cresciuti con noi e fanno sempre musica piena di qualità e di grande melodia, e ci parlano di vite che sono le nostre. Canzoni come quella che dà il titolo al disco rendono ben chiaro cosa sia il gruppo svedese, ovvero qualcosa che quando ci metti il cuore sopra non ti delude mai. SOS è tra l’altro uno dei loro episodi migliori in una discografia che non ha mai conosciuto grandi cadute, ma solo qualche momento di stanca con dischi magari non troppo convinti, cosa che ci sta per un gruppo che ha sempre dimostrato la giusta insofferenza verso l’inumana industria discografica che ti porta a stare anni lontano dalla tua famiglia (infatti i Millencolin si presero una pausa di due anni fra il 1997 ed il 1999). Qui c’è tutto quello che un loro fan accanito si aspetta da loro, melodie gentili che esplodono e non ti lasciano più, softcore al cento per cento. Il softcore non è qualche pratica porno per impiegati o donne educate, ma un modo di fare punk rock adeguato alla propria vita e al proprio modo di essere, non tutti siamo skinhead che vanno all’assalto dei mods sulla spiaggia di Brighton. Vite che sembrano normali, ma fatte di pezzi che necessitano di grande maestria per tenerli assieme senza far crollare il tutto. Racconti di giorni come tutti e quindi dove non tutto va bene anzi, ma con la ferma sicurezza che musica come contenuta quella in SOS sia un qualcosa che ci accompagna da tanti anni e che lo farà ancora per molto. Non è un tornare indietro a tempi ormai andati, ma è andare avanti con suoni, parole e visi che invecchiano senza che la trama cambi. Grazie Millencolin, come sempre, c’eravate al mio esame di maturità e ci siete oggi che vi ascolto con mia figlia.

Tracklist
01. SOS
02. For Yesterday
03. Nothing
04. Sour Days
05. Yanny & Laurel
06. Reach You
07. Do You Want War
08. Trumpets & Poutine
09. Let It Be
10. Dramatic Planet
11. Caveman’s Land
12. Carry On

Line-up
Nikola Sarcevic – Vocals & bass
Mathias Färm – Guitar
Erik Ohlsson – Guitar
Fredrik Larzon – Drums

MILLENCOLIN – Facebook

Perfect Son – Cast

Ci sono le tenebre, ci sono le luci e le narrazioni di vita e di sogni mancati, il tutto scorre bene, ma si ha la costante impressione che per arrivare all’optimum manchi ancora qualcosa, nonostante sia un buon inizio.

Perfect Son aka Tobiasz Biliński è un produttore e musicista polacco che fa un’elettronica con synth e melodie pop.

Come formazione Tobiasz proviene dall’electropop del gruppo Coldair, con il quale ha avuto un discreto successo. L’electropop è solo il punto di partenza, perché Perfect Son è un progetto assai diverso rispetto alle sue cose precedenti. La sua elettronica si potrebbe definire emozionale, dato che a va a scavare nell’oscurità delle vicende umane. Si può ritrovare molto dei Depeche Mode e della synthwave attuale, quella più fine ed intima. I Depeche Mode sono però soltanto la partenza, perché Tobiasz sviluppa una poetica propria che è maggiormente elettronica rispetto al gruppo inglese, e ci porta in territori vellutati ed affascinanti ma non scevri di insidie. Biliński ha una grande responsabilità, essendo il primo polacco ad essere messo sotto contratto dalla Sub Pop, per di più in un genere come l’elettronica che non è quello di punta per l’etichetta di Seattle. Ma la politica della Sub Pop è quella di pubblicare prodotti di ottima qualità e questo è il caso di Perfect Son, anche se ci sono ampi margini di miglioramento. La struttura è già buona ma manca qualche tassello per far sì che il polacco si possa esprimere al meglio. Tobiasz traccia una strada ben precisa ma non la prende ancora per intero, rimanendo sospeso tra pop ed elettronica, con una forma piacevole ma ancora indefinita, che lascia un po’ con l’amaro in bocca. Ci sono le tenebre, ci sono le luci e le narrazioni di vita e di sogni mancati, il tutto scorre bene, ma si ha la costante impressione che per arrivare all’optimum manchi ancora qualcosa, nonostante sia un buon inizio. La produzione rende molto bene i suoni e la nitidezza regna sovrana, regalando dei piaceri agli amanti dell’elettronica più vicini al pop. Un disco che è un inizio per un qualcosa che potrebbe diventare notevole ma che ancora non lo è.

Tracklist
1 Reel Me
2 Lust
3 It’s For Life
4 Old Desires
5 So Divine
6 Promises
7 High Hopes
8 My Body Wants
9 Wax
10 Almost Mine

PERFECT SON – Facebook

Orville Peck – Pony

Orville Peck compone, scrive, suona e si autoproduce un disco che farà sgorgare lacrime e vi farà guardare l’orizzonte come non l’avete mai guardato.

Incredibile debutto di un cow boy mascherato che vi porterà di notte su polverose strade dimenticate di un Canada che non conosciamo bene.

La voce di Orville Peck è qualcosa di davvero affascinante e si fonde benissimo con una musica strutturata in maniera minimale, ma davvero adeguata: il suo timbro assomiglia terribilmente all’Elvis Presley più dolce ed intimo, infatti Peck è uno straordinario narratore di storie ed accadimenti. La tradizione è quella gotica americana, che ultimamente ha avuto momenti di notevole qualità declinati in maniera diversa, si pensi a King Dude, ma qui è un’altra storia. Orville Peck è posseduto da un rocker americano anni sessanta che ha deciso di raccontare le sue storie in un pomeriggio estivo di afa asfissiante, con le macchine che procedono lentamente come se anche loro sentissero la fatica, le rose cadono a terra, e alcune gonne attirano molti sguardi. Un mondo apparentemente immoto, ma pieno di vita nascosta che Orville ci racconta con la sua splendida musica. Pony non è un disco fuori dal tempo, è un’opera che costruisce un’epoca tutta sua, un unicum spazio temporale nel quale veniamo catapultati e dove si sta benissimo. Immaginario western, paesini, suburbia, tutto scorre come vederlo da un finestrino in un viaggio nell’America del Nord più rurale e vera, dove certe cose non sono cambiate. Si arriva addirittura a pensare che tutto sia un’invenzione pur di aver qualcosa che la voce e la musica di Orville Peck possa narrare. E non ci sono dubbi ragazzi miei, se avete un pugno di dollari (vanno bene anche gli euro, i bitcoin li sconsigliamo), da spendere per comprare un disco decente da quando quel grassone di Memphis è morto, beh questo è il disco giusto. Dolcezza, sesso, vita, morte , polvere, Dio, caldo e tanto altro qui vengono cantati in maniera commovente e bellissima. Ci sono anche alcuni accenni a un certo inglese chiamato Mr.Morrissey, che è forse la cosa più simile al King che ci sia stata dopo il re, ma questo è un’altra storia. Orville Peck compone, scrive, suona e si autoproduce un disco che farà sgorgare lacrime e vi farà guardare l’orizzonte come non l’avete mai guardato.

Tracklist
1 Dead of Night
2 Winds Change
3 Turn To Hate
4 Buffalo Run
5 Queen of the Rodeo
6 Kansas (Remembers Me Now)
7 Old River
8 Big Sky
9 Roses Are Falling
10 Take You Back (The Iron Hoof Cattle Call)
11 Hope to Die
12 Nothing Fades Like the Light

ORVILLE PECK – Facebook

The Scars In Pneuma – The Paths Of Seven Sorrows

Un debutto potente e che marca in maniera possente il territorio e soprattutto un buon disco di black metal melodico con intarsi death ed epic.

Epico, mastodontico, un monolite sonoro che possiede bellissime trame sonore, esaltando il senso più autentico del black metal.

Saturazione dello spazio, l’aria si restringe mentre esce dalle casse il debutto dei bresciani The Scars In Pneuma. Da più parti questo suono è definito melodic black metal, ed in un certo qual senso è una definizione azzeccata, perché qui la melodia ha uno spazio importante, ma non aspettatevi un qualcosa di melenso, anzi. La melodia ed il black metal qui si incontrano per dare vita ad una proposizione molto epica del nero metallo e il pathos raggiunge alti livelli. I The Scars In Pneuma non sono più giovanissimi e, grazie all’esperienza, condensano in questo lavoro molte delle loro idee musicali e delle loro influenze sonore. The Paths Of Seven Sorrows è un disco molto ben bilanciato e con canzoni notevoli, lo spirito dell’amante del black metal viene appagato in maniera esaustiva grazie anche ad alcuni momenti che si avvicinano al death metal. Il progetto nacque nel dicembre 2019 come esercizio solista del chitarrista, bassista e cantante Lorenzo Marchello e durante il 2017 sono entrati gli altri due validi elementi come Francesco Lupi e Daniele Valseriati. Da quel momento si è lavorato per scrivere ed incidere il presente lavoro, hanno impiegato il tempo necessario ed il risultato è qui fra noi. Grazie a questo lavoro si possono vivere varie e vive emozioni, e si sente in maniera molto distinta che chi ha scritto questo album ha un grande amore per il metal e per il black in particolare, oltre che molte storie da raccontare. Una opus molto densa ed appagante, che ci mostra come la nostra vita sia sia epica che molto fragile, ed in questa forbice ci stiamo noi. Un debutto potente e che marca in maniera possente il territorio e soprattutto un buon disco di black metal melodico con intarsi death ed epic.

Tracklist
1.Devotion
2.Souls Are Burning
3.Spark To Fire To Sun
4.All The Secrets That We Keep
5.Dark Horizons Ahead
6.The Glorious Empire Of Sand
7.Constellations

Line-up
Lorenzo Marchello – vocals, guitars, bass
Francesco Lupi – guitars, keyboards
Daniele Valseriati – drums

THE SCARS IN PNEUMA – Facebook

To The Rats And Wolves – Cheap Love

Ascoltare Cheap Love dei tedeschi To The Rats And Wolves e rimanere fermi è impossibile.

Ascoltare Cheap Love dei tedeschi To The Rats And Wolves e rimanere fermi è impossibile.

I ragazzi da Essen sono attivi dal 2012 e hanno all’attivo un ep e due dischi sulla lunga distanza. Si autodefiniscono electro metalcore, ma in realtà sono un notevole gruppo pop. Canzone dopo canzone sfornano ritornelli dolci e che ti si attaccano alla testa senza staccarsi più, grazie anche alla bella voce di Dixi Wu che concatena bene le mosse della band. Ci sono dei momenti più grintosi ma il tutto è molto melodico ed armonioso, con l’elettronica che ha un ruolo importante. Le chitarre metalcore compaiono abbastanza spesso, specie nella seconda parte del disco, ma le cose migliori appaiono quando si vira decisamente sul pop. In campo metalcore i To The Rats And Wolves sono bravi ma si perdono nelle schiere dei gruppi che fanno questo sottogenere del metal, mentre quando uniscono metalcore, elettronica e pop sono assai notevoli e spiccano su tutti. Come detto poc’anzi, ascoltare il disco e non muoversi è davvero difficile. Le canzoni che compongono Cheap Love sono quelle che canterete sotto la doccia vergognandovi un po’, perché ne potrebbe risentire la vostra fama di metallaro duro e puro, invece non potete farne a meno ed è molto divertente. Qui alla base di tutto c’è il groove, una forma di melodia che pervade il tutto e nella quale questi ragazzi sono molto bravi. Chi cerca il metal qui forse rimarrà deluso, ma chi cerca un qualcosa per divertirsi e ballare questa è la festa giusta. Ci sono momenti di illuminazione pop come non si sentiva da tempo, e questa è una sintesi molto moderna di qualcosa che parte da lontano e che alcuni giovani di oggi hanno sintetizzato molto bene. Tendenzialmente chi ha più di trent’anni tende a catalogare come pessima questa musica senza nemmeno sentirla, ma questo disco è valido e va ascoltato. Per farvi un’idea il singolo Down rende bene cosa faccia questo gruppo, provate a non cantarne a squarciagola il ritornello…

Tracklist:
01 – Cheap Love
02 – Therapy
03 – All the Things
04 – Never Stop
05 – Friendz
06 – Look What You Made Us Do
07 – True (feat. Trevor Wentworth)
08 – Cure
09 – Famous
10 – B.I.C.
11 – Down

Line-up
Dixi Wu – vocals
Nico Sallach – vocals
Danny Güldener – guitars
Marc Dobruk – guitars
Stanislaw Czywil – bass
Simon Yildirim – drums

TO THE RATS AND WOLVES – Facebook

Kings Destroy – Fantasma Nera

La musica dei Kings Destroy è fatta per durare, si può ascoltare molte volte, ed ogni volta è come fosse la prima.

Dal 2010 i Kings Destroy fanno musica pesante di gran classe, coniugando sonorità vicino allo stoner, all’hard rock e al noise con melodia e grande tecnica.

Fantasma Nera è un disco pieno di canzoni entusiasmanti, che cominciano con un motivo per poi andare davvero lontano, portando l’ascoltatore a spasso per mondi fatti di melodia e grazia musicale. Questi nativi di Brooklyn sono andati a Toronto per collaborare con David Bottrill, già al lavoro con Tool, King Crimson, Stone Sour, ed infatti qui troviamo molto del suono progressivo delle prime due band di cui sopra. Rispetto a Maynard e soci e alla creatura di Fripp, i Kings Destroy hanno una grande facilità nel rendere maggiormente immediata la loro musica, con passaggi molto melodici e fantastici ritornelli. Questo loro quarto album differisce dagli altri, come ogni altro album che hanno fatto gli americani, sempre differente da quello precedente, in una continua ricerca sonora. La musica dei Kings Destroy è fatta per durare, si può ascoltare molte volte, ed ogni volta è come fosse la prima. Dentro alle loro canzoni c’è qualcosa che riesce a dare una notevole pace, come se ci si ricongiungesse con un’altra parte di noi stessi che avevamo perduto. Ogni canzone è una nuova scoperta, si viene avvolti da una grande quantità di luce, anche se la tenebra non è sconosciuta. Nella bella ed esoterica copertina c’è quello che potrebbe sembrare un lago od un mare, comunque tanta acqua, e proprio la sensazione di stare nell’elemento acqueo è una della grandi emozioni che ci regala questo gruppo. Possiamo anche trovare un po’ di grunge in chiave hard rock, ma i Kings Destroy non appartengono ad un genere ben preciso. Ci sono moltissime cose qui dentro e sono tutte da scoprire in un lavoro che è molto superiore e non lo nasconde.

Tracklist
1.The Nightbird
2.Fantasma Nera
3.Barbarossa
4.Unmake It
5.Dead Before
6.Yonkers Ceiling Collapse
7.Seven Billion Drones
8.You’re The Puppet
9.Bleed Down The Sun
10.Stormy Times

KINGS DESTROY – Facebook

Flight Of The Conchords – Live In London

Il duo mette in scena una vera e propria commedia musicale attraverso canzoni che sono interpretate in maniera fantastica, con un pubblico che partecipa attivamente ed è estasiato da questo spettacolo.

È difficile spiegare ad un italiano cosa sia il duo neozelandese Flights Of The Concords, autore di questo gran disco dal vivo registrato a Londra.

I due all’anagrafe sono Bret McKenzie e Jemaine Clement, compagni di stanza nel campus della Victoria University di Wellington, Nuova Zelanda. I due un bel giorno decisero di fare musica acustica proponendosi con pezzi loro davanti al pubblico. Non andò bene, o se la guardiamo da un differente punto di vista andò benissimo, nel senso che i loro brani venivano presi in maniera ironica dal pubblico che credeva che scherzassero. Preso atto di ciò il duo continuò su quel versante comico e andò benissimo, come testimonia questo fluviale e partecipato concerto a Londra. Dopo una fortunata trasmissione su una radio locale neozelandese i nostri approdarono alla BBC con una serie radiofonica basata su un duo musicale che cercava il successo. Finirono poi sul canale americano HBO, con la serie Flight Of The Conchords, che narrava le vicissitudini del duo alla ricerca del successo negli Stati Uniti. Arriviamo quindi all’ottobre del 2018 all’Eventim Apollo di Londra dove si svolse questo incredibile concerto, che è qualcosa di molto lontano dalle nostre concezioni. Il duo mette in scena una vera e propria commedia musicale attraverso canzoni che sono interpretate in maniera fantastica, con un pubblico che partecipa attivamente ed è estasiato da questo spettacolo. Se si ha quantomeno una conoscenza base dell’inglese si riderà e non poco, perché ci sono autentiche chicche, come nella canzone The Summer of 1353, che parla di He Man, il personaggio dei Masters Of The Universe, come del doppio maschio, perché He – Egli e Man – Uomo…
Oltre alle due chitarre li accompagna la The New Zeland National Orchestra, per un effetto davvero stupefacente. Oltre ad un’immensa ironia c’è comunque molto di più. Innanzitutto un bellissimo e divertito omaggio a David Bowie, figura fondamentale per loro, e anche trattandolo in maniera ironica riescono a farne cogliere la grandezza, attraverso un modo di far ridere tutto anglosassone.
Un disco inusuale, interessante e divertente, che ci può far scoprire un mondo molto bello e nuovo. Se si dovesse fare un paragone, anche se non molto centrato, in Italia qualcosa di simile lo fanno Marco Presta e Antonello Dose nella trasmissione radiofonica di Rai Radio 2 Il Ruggito del Coniglio, ma i Flight Of The Conchords sono di maggior talento e di più ampio respiro.
Un concerto incredibile.

Tracklist
01. Father and Son
02. Band Reunion
03. Iain and Deanna
04. Inner City Pressure
05. New Zealand Symphony Orchestra
06. Summer of 1353
07. Complimentary Muffin
08. Stana
09. Stuck in a Lift
10. Foux du Fafa
11. Seagull
12. Mutha’uckas – Hurt Feelings
13. One More Anecdote
14. Back on the Road
15. Thank You London
16. Bowie
17. Bus Driver
18. Tuning
19. Robots
20. Shady Rachel
21. Carol Brown
22. The Most Beautiful Girl (In The Room)

Line-up
Bret McKenzie
Jemaine Clement

FLIGHT OF THE CONCHORDS – Facebook

Crystal Lake – Helix

In questo disco ci sono in dosi fortissime, potenza, melodia, qualche stiloso accenno di rap e tanto metal moderno.

Definire metalcore i giapponesi Crystal Lake è alquanto riduttivo, anche se il genere di partenza è quello, però la potenza che sprigionano questi giapponesi è assai notevole.

Nati nell’ormai lontano 2002, provenienti dalla fertile scena punk hardcore di Tokyo, i Crystal Lake non hanno nemmeno quasi il tempo di rilasciare il loro demo Freewill che vengono subito contattati per un concerto in Corea Del Sud, paese che condivide con il Giappone un’immensa passione per i fumetti e il metalcore. Nel 2006 esce il loro primo disco su lunga distanza Dimension, e continuano a suonare molto in giro per l’estremo Oriente. Dopo altri dischi, cambi di formazione e moltissimi concerti pubblicano questo Helix che è il punto più alto della loro carriera. In questo disco ci sono in dosi fortissime, potenza, melodia, qualche stiloso accenno di rap e tanto metal moderno. Ascoltando i Crystal Lake si recupera molto fiducia nel metal dei giorni nostri, cosa che con tanti altri gruppi non è proprio possibile. Il loro suono è una mazzata con spiragli melodici, e quando riescono ad amalgamare i due aspetti si raggiunge un risultato molto vicino all’ottimo. La centralità è riservata alla potenza e alla nitidezza del suono come quello della parola, dato che si distingue ogni nota e ogni verso scritto, e arriva tutto all’ascoltatore. Inoltre Helix è un disco che può essere ascoltato ed apprezzato anche da chi non è più giovane e quindi un ascoltatore medio di metalcore, perché contiene molti elementi che piaceranno a chi ha un po’ di mentalità aperta e amore per il metal moderno. Una delle cose migliori dei Crystal Lake è che da buoni giapponesi creano un suono pieno che funziona anche scenicamente, e infatti dal vivo sono molto apprezzati, sia in patria che all’estero. Come detto prima ci sono anche elementi di hip hop che spuntano qui e là, non dimentichiamoci che il Giappone è un paese dove il nu metal è ancora ben vivo, come nella traccia Outgrow che dimostra che questo gruppo può fare molte cose diverse, e tutte bene. Un notevole disco di metal moderno, da parte di un gruppo assolutamente peculiare.

Tracklist
1. Helix
2. Aeon
3. Agony
4. +81
5. Lost In Forever
6. Outgrow
7. Ritual
8. Hail To The Fire
9. Devilcry
10. Just Confusing
11. Apollo
12. Sanctuary

Line-up
Ryo – Vocals
YD – Guitar
Shinya – Guitar
Bitoku – Bass / Support
Gaku – Drums / Support

CRYSTAL LAKE – Facebook

Childrain – The Silver Ghost

Il gruppo è in definitiva molto interessante e ha ancora ampi margini di miglioramento: questo quarto disco potrebbe essere quello che li impone all’attenzione mondiale, anche se l’attenzione del pubblico dura poco e bisogna agire in fretta.

Portando avanti la fertile tradizione basca, i Childrain sono un gruppo di metal potente e moderno, guidato dai due fratelli Ini e Iker.

Nato nel 2008 a Gasteiz, fin dagli inizi questo gruppo ha saputo coniugare potenza e melodia, usando i canoni del metal moderno, portando una propria sceneggiatura originale. Fra le loro peculiarità c’è quella di riuscire a fare ritornelli che sono degli autentici inni da concerto. I riff di chitarra hanno assorbito molto da molti generi differenti come il metalcore, il groove metal e anche cose più southern, non sbilanciandosi mai, ricercando sempre una sintesi originale. I Childrain sono un gruppo da ascrivere a quella corrente di giovani metallari che partendo dal passato prossimo riescono a portare il suono pesante in uno dei futuri possibili. Tutto ciò grazie ad una struttura sonora ben composta che porta l’ascoltatore a provare diverse emozioni. I Childrain hanno ben presente dove vogliono andare e tutto rientra in un disegno ben preciso. The Silver Ghost è il loro quarto album, il primo con dichiarate aspirazioni internazionali, e ascoltandolo si comprende subito il grande potenziale di questo gruppo basco e la sua capacità di inserirsi nell’agone mondiale. Infatti nel mese di aprile faranno delle date a supporto dei Six Feet Under in Europa, come riconoscimento del loro lavoro e come trampolino per nuove avventure. Il disco è piacevole e ben bilanciato e mostra uno degli sviluppi possibili del metal moderno, incentrato sulla potenza e su richiami al passato. Il gruppo è in definitiva molto interessante e ha ancora ampi margini di miglioramento: questo quarto disco potrebbe essere quello che li impone all’attenzione mondiale, anche se l’attenzione del pubblico dura poco e bisogna agire in fretta.

Tracklist
1. Wake The Ghost
2. Saviors of the Earth
3. The Valley of Hope
4. Saturnia
5. The Silver Walker
6. Interstellar
7. Eon
8. Ten Thousand Moons
9. Omega

CHILDRAIN – Facebook

The Royal – Deathwatch

Talento e consapevolezza nei propri mezzi, ma anche una grande conoscenza di ciò che possa far saltare il pubblico ad un concerto, questi sono tutti elementi che depongono a favore dei The Royal, per uno degli album metalcore migliori del 2019.

I tanti che affermano che il metalcore è un metal depotenziato e per ragazzini dovrebbero ascoltare questo ultimo lavoro degli olandesi The Royal, un concentrato di mazzate spaccaossa.

Giunti con Deathwatch al loro secondo disco, i nostri ne hanno fatta di strada dall’uscita del debutto Seven, che li ha portati in giro per il mondo e, specialmente, per quattro settimane fra Cina e Giappone. Deathwatch è quanto di meglio possa offrire la scena metalcore attuale, è un lavoro molto potente, versatile e curatissimo in tutti i suoi aspetti. Il suono dei The Royal parte dal metalcore per poi generare un groove davvero importante e che è devastante in sede live. Rispetto al precedente e già buono Seven, qui il suono acquista maggiore potenza ed uno scorrevolezza maggiore. Nel loro magma sonoro le chitarre sono molto precise e taglienti, il basso supporta in maniera puntuale una batteria devastante, e gli inserti di tastiere sono molto originali e arricchiscono notevolmente il tutto. Il nuovo lavoro è inoltre molto più oscuro del precedente, scandagliando in maniera più approfondita l’animo umano, e il buio arriva subito. Inoltre si sente distintamente che questi ragazzi provengono dall’underground e sono abituati alla logica del do it yourself, e tutto ciò è una spinta notevole al miglioramento. L’energia sprigionata in questo disco è notevole e non lascia spazio a fraintendimenti. I The Royal sono qui per dominare la scena e con dischi come questo ci riusciranno sicuramente. Rispetto alla media degli altri dischi metalcore questo è un massacro dall’inizio alla fine, e le parti più melodiche sono ancora più inquietanti di quelle più veloci. Talento e consapevolezza nei propri mezzi, ma anche una grande conoscenza di ciò che possa far saltare il pubblico ad un concerto, questi sono tutti elementi che depongono a favore dei The Royal, per uno degli album metalcore migliori del 2019.

Tracklist
1. Pariah
2. Savages
3. State of Dominance
4. Soul Sleeper
5. Deathwatch (feat. Ryo Kinoshita)
6. Exodus Black
7. Nine for Hell
8. Lone Wolf
9. Avalon
10. Glitch

Line-up
Sem Pisarahu – Vocals
JD Liefting – Guitars
Pim Wesselink – Guitars
Youri Keulers – Bass
Tom van Ekerschot – Drums

THE ROYAL – Facebook

Green River – Rehab Doll

I Green River non erano solo dei precursori ma furono un gruppo che fece qualcosa di nuovo partendo da elementi già presenti nella scena musicale del tempo e di quella precedente.

Ristampa di lusso per l’unico disco su lunga distanza dei Green River.

Uscito originariamente nel 1988, Rehab Doll può essere considerato la summa e contemporaneamente il punto più alto della loro carriera: sintomo di un’epoca che stava cambiando musicalmente, a parte le note vicende future dei suoi membri, l’album è un piccolo capolavoro per quanto riguarda la musica e la sintesi fra post punk ed un hardcore altro. Registrato da Jack Endino, vero e proprio fautore di un certo suono, Rehab Doll è un compendio di un certo alternativo americano che in quegli anni da un lato annoverava gruppi come i Black Flag e dall’altro lato i Green River, che stavano facendo qualcosa di veramente differente. Rispetto a Dry As A Bone qui la musica è maggiormente strutturata, le canzoni mutano molto nel loro divenire, e la carica distorsiva è preponderante. Rehab Doll è un disco irripetibile di un gruppo che, oltre che anticipare alcune istanze musicali come il grunge, ha saputo proporre una sintesi molto riuscita fra post punk e il rock. La musica dei Green River non nasce con loro ma è originale la proposta musicale che fanno, di grande importanza ancora adesso. Ascoltando Rehab Doll si può facilmente comprendere come questo disco sia ancora avanti di anni ai giorni nostri e, cosa più importante, sia bellissimo dalla prima all’ultima canzone. Questa ristampa di lusso della Sub Pop comprende gli otto brani originali, più alcune versioni dei brani presi dalle cassette di prova di Jack Endino, e due inediti, un documento prezioso e occasione per poter riascoltare un capolavoro quanto mai attuale. I Green River non erano solo dei precursori ma furono un gruppo che fece qualcosa di nuovo partendo da elementi già presenti nella scena musicale del tempo e di quella precedente. Qualcosa a Seattle si stava muovendo e non sarebbe finito tanto presto.

Tracklist
01. Forever Means
02. Rehab Doll
03. Swallow My Pride
04. Together We’ll Never
05. Smilin’ and Dyin’
06. Porkfist
07. Take a Dive
08. One More Stitch
09. 10000 Things
10. Hangin’ Tree
11. Rehab Doll
12. Swallow My Pride
13. Together We’ll Never
14. Smilin’ and Dyin’
15. Porkfist
16. Take a Dive
17. Somebody
18. Queen Bitch

SUB POP – Facebook

Electric Mary – Mother

Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente.

In Australia hanno un tocco particolare per il rock in tutte le sue forme, ma in particolare per quelle più ruvide e vicine allo spirito del blues.

Gli Electric Mary sono appunto australiani e fanno un ottimo hard rock, molto bene suonato e dominato dalla bellissima voce di Rusty, fondatore del gruppo nel 2003. Da una sua particolare visione musicale nasce questa band che con Mother arriva al quarto album, con un seguito sempre maggiore in tutto il mondo. La gente che ama il gruppo oceaniano troverà in Mother un approdo sicuro, un hard rock di alta qualità che vive di momenti diversi, alcuni quasi stoner, altri molto blues, che è poi un po’ la cifra stilistica che lega il tutto. Il suono è ciò che fa smuovere i cuori di molti amanti dell’accezione più ruvida del rock, dove la strada diventa bollente e ci fa muovere gli stivali. Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente. C’è un qualcosa di sensuale e di fisico nelle note di Mother, un richiamo alla nostra vera natura, un riportarci là dove ci sono polvere e sudore. Il gruppo ruota benissimo dietro alla voce blues e maledetta del cantante, e si arriva ad un livello alto; infatti la band ha suonato in giro per il mondo con nomi molto importanti e nella loro Australia sono molto famosi, anche quella nazione ha una grande attenzione per gruppi come gli Electric Mary, dalla formula musicale in apparenza semplice ed in realtà di grande effetto. Non si trova nulla fuori posto in questo disco, tutto scorre bene, ma per ottenere un tale effetto il lavoro è grandissimo e deve essere strutturato molto bene. Venticinque anni fa questo disco avrebbe venduto moltissimo e gli Electric Mary sarebbero stati fissi in America; i tempi sono cambiati, ma un album così apre ancora i cuori di chi ama questi suoni stradaioli e da bar fumosi. L’hard rock continua a produrre buone cose grazie a realtà come queste, figlie della passione e della preparazione tecnica.

Tracklist
1 Gimme Love
2 Hold Onto What You Got
3 How Do You Do It
4 Sorry Baby
5 The Way You Make Me Feel
6 It’s Alright
7 Long Long Day
8 Woman

Line-up
Rusty – vocals
Pete Robinson – guitar and vocals
Alex Raunjak – bass guitar
Brett Wood – guitar and vocals
Paul “Spyder” Marrett – drums

ELECTRIC MARY – Facebook

Folkstone – Diario Di Un Ultimo

Diario Di Un Ultimo è un bellissimo viaggio nei mondi costruiti dai Folkstone, i quali si confermano come uno dei più interessanti e peculiari gruppi nel panorama italiano e non solo.

Torna uno dei gruppi più interessanti del panorama underground italiano, i Folkstone, con il loro nuovo disco Diario Di Un Ultimo.

Il gruppo bergamasco, attivo dal 2004, ha fatto innamorare molti italiani e non solo del folk metal, con sonorità molto vicine al rock. I Folkstone sono forse l’anello di congiunzione tra l’underground ed il mainstream, e sono soprattutto un gruppo che regala pagine bellissime di poesia e musica in italiano. Fin dal primo disco l’ensemble folk metal ha portato avanti un discorso stilistico che ha avuto un’evoluzione incredibile, con l’importante svolta di Ossidiana del 2017, un disco che ha aperto un nuovo corso pressoché unico in Italia: con Ossidiana i Folkstone si sono avvicinati ad un forma maggiormente vicina al rock, con una spinta maggiore verso la poesia, perché i testi del gruppo sono piccoli e bellissimi componimenti, come lo sono sempre in passato ma ultimamente in maniera maggiore. L’importante per un gruppo è il progredire ed in questo i Folkstone sono bravissimi nel proseguire senza alcuna remora: Diario Di Un Ultimo è un’ulteriore e bellissimo avanzamento in un viaggio che si spera non si fermi mai. Questo disco arriva dopo alcuni cambi di formazione, e racconta il mondo visto dallo sguardo di un ultimo, un reietto agli occhi della società, uno che potrebbe essere un ribelle della montagna dei primi dischi dei Folkstone. Il gruppo mette tutto il cuore come sempre in questo lavoro pieno di vita, di canzoni e di assenza di rimpianti, del vivere questa breve vita tra valori e musica vera. Musicalmente il loro suono compie sempre nuovi passi senza mai snaturarsi, anzi forse rispetto ad Ossidiana si è sviluppato un discorso maggiormente aderente alle origini, ma al contempo c’è molto di quell’album in Diario Di Un Ultimo. I testi sono sempre introspettivi e con il cuore in direzione ostinata e contraria, aprono mondi, parlano di noi come di universi lontani e fanno vedere le cose da una prospettiva diversa e più aperta rispetto alla quotidianità. La scelta di cantare in italiano è premiante, perché si rivela qualcosa di peculiare e completamente originale: quando le parole si fondono con la musica scaturisce la magia dei Folkstone, che è davvero tanta e ti esplode nella mente e nel cuore. Come di consueto tutte le canzoni sono composte per essere vissute dal vivo, tra alcool e calore umano, sopra e sotto il palco. Chiude il lavoro I Miei Giorni, una delle canzoni più belle scritte dal gruppo, e vero e proprio manifesto di ciò che è il gruppo lombardo. Diario Di Un Ultimo è un bellissimo viaggio nei mondi costruiti dai Folkstone, i quali si confermano come uno dei più interessanti e peculiari gruppi nel panorama italiano e non solo.

Tracklist
01. Astri
02. Diario Di Un Ultimo
03. La Maggioranza
04. Elicriso ( Storia Di Un Pazzo )
05. Naufrago
06.Danza Verticale
07. La Collina
08. Una Sera
09. Spettro
10. In Assenza Di Rumore
11. Il Grammo Di Un’Ora
12. Fossile
13. Escludimi
14. I Miei Giorni

Line-up
Lorenzo Marchesi: voce
Roberta Rota: cornamuse, bombarde, voce
Maurizio Cardullo: cornamuse, flauti e bouzouki irlandesi, cittern, bombarde
Luca Bonometti: chitarre
Federico Maffei: basso
Edoardo Sala: batteria e percussioni
Marco Legnani: ghironda e strumenti a corde

FOLKSTONE – Facebook

Porn – The Darkest Of Human Desires Act II

Goth, electro, ebm, un pizzico di doom e tanto industrial sono la formula vincente di un discorso musicale che sta evolvendo disco dopo disco, in maniera coerente e prepotente.

Ritornano i Porn con il secondo disco sulla trilogia imperniata sulla misteriosa storia del cantante Mr. Strangler, dopo The Ogre Inside – Act I del 2017.

I Porn sono uno dei gruppi più interessanti e validi dell’industrial metal mondiale, scena che non sempre brilla per originalità. I francesi compongono le loro canzoni con un ampio ventaglio di scelte. Molto presente è anche l’elemento gotico, anzi in certi passaggi, specialmente in questo ultimo lavoro, sono quasi doom. Non hanno fretta i Porn, lo squartamento della nostra anima e del nostro corpo avviene pezzo per pezzo, attraverso una lenta e certosina agonia. Il loro suono è molto peculiare, parte dai capisaldi del genere, ma non diventa mai derivativo o imitativo, proponendo invece una via personale che è molto convincente. Molto forte e potente è la presenza dell’elettronica, elemento che porta ancora più in profondità il loro suono. L’eccellente produzione fa rendere al meglio queste note, che essendo così nitide fanno ancora più male. Il disco verte sul male che ci fa la società nella quale viviamo, la continua frattura fra ciò che siamo e ciò che dobbiamo essere per sopravvivere. Non è facile essere frammentati in tante piccole parti, senza mai riuscire a cogliere il nostro insieme. Le fratture provocano danni e violenza, contro noi stessi o contro altri e i Porn descrivono molto bene tutto ciò. Goth, electro, ebm, un pizzico di doom e tanto industrial sono la formula vincente di un discorso musicale che sta evolvendo disco dopo disco, in maniera coerente e prepotente. The Darkest Of Human Desires Act II è inoltre dedicato ai nostri impulsi bestiali, ed infatti possiamo sentire dentro il disco le voci e le gesta di assassini seriali come Richard Ramirez , Ed Kemper, Charles Manson, Richard Schaeffer e Jeffrey Dahmer, che hanno ispirato molta musica.

Tracklist
1. Choose Your Last Words
2. Evil 6 Evil
3. Here For Love
4. Tonight, Forever Bound
5. Remorse For What
6. My Rotten Realm
7. Eternally In Me
8. The Radiance Of All That Shines
9. Abstinent Killer
10. The Last Of A Million

Line-up
Mr Strangler – Vocals, drums programming, synth
The One – Synth, guitar
The Priest – Bass
Zinzin Stiopa -Guitar

PORN – Facebook

The Voices & Aries – La Tua Mano Dà, La Tua Mano Prende

La Tua Mano Dà, La Tua Mano Prende è un lavoro assolutamente fuori dal comune, in cui accadono molte cose in un’ambientazione fortemente minimalista e soprattutto dall’approccio musicale pressoché inedito.

Fruttuosa collaborazione fra i The Voices e Pierluigi “Aries” Ammirate, usando solo chitarre, voci sintetizzatori.

Il risultato è un disco che va ben oltre la musica, molto neoclassico a partire dalla copertina, sembra quasi di sentire composizioni create quasi fossero parte di un’opera o del rito di qualche culto ancora a noi sconosciuto. La Tua Mano Dà, La Tua Mano Prende è un lavoro assolutamente fuori dal comune, in cui accadono molte cose in un’ambientazione fortemente minimalista e soprattutto dall’approccio musicale pressoché inedito.
Pierluigi è un chitarrista molto dotato tecnicamente, fortemente metal e creativo, che qui usa la chitarra come se fosse un’orchestra, creando scale, fughe e droni, il tutto molto ben composto e di grande effetto. Un discorso a parte lo merita la voce, una polifonia che sale al cielo come una preghiera, una forza alla quale ci si arrende molto volentieri e che estrania totalmente dalla realtà. Infatti The Voices nasce come progetto sperimentale di musica a cappella, ma dimenticatevi di ciò che avete sentito fino ad ora in materia. Infine i sintetizzatori vengono usati come moderni organi, che innalzano il resto del contesto e lo rendono molto neoclassico. Il disco è in modalità download ad offerta libera sul bandcamp della bresciana Masked Dead Records, una delle etichette italiane di metal e molto altro più innovative. Scorrendo il suo ampio catalogo, di cui abbiamo già trattato sulle nostre pagine, si possono ascoltare dischi che vanno ben oltre il significato e la forma del metal, per un viaggio che speriamo continui ancora a lungo. Questo ep è una vera e propria inusuale esperienza sonora, ad esempio la conclusiva Entrambe Le Mani è un manifesto di un qualcosa che tocca la nostra vera intimità, ed è molto esplicativa su cosa sia questo progetto. Innovazione ma anche molta antichità, in una connessione fra futuro ed origini molto fertile ed interessante.

Tracklist
1.Creatura Angelica
2.Per Queste Strade
3.Complice Eterea
4.Entrambe Le Mani