Le atmosfere catacombali che aleggiano su tutto l’ep, il growl che spunta da un buco collegato al centro degli inferi ed il senso di morbosa devastazione, lo rendono un nero gioiellino, da ascoltare se si è amanti del metal estremo dalle venature più malvagie.
MetalEyes vola virtualmente in Sudamerica, precisamente in Perù, per incontrare gli Evil Priest, trio estremo nato nei meandri nascosti e diabolici di Lima.
L’ep omonimo, primo parto malefico del gruppo è disponibile in musicassetta, altra prova dell’approccio assolutamente underground dei tre musicisti peruviani, che hanno consegnato la loro musica nelle mani della Caligari Records.
Death/black feroce e senza compromessi, aperto da una lunga nenia liturgica (Ikarus) e seguita da tre brani che risultano un compromesso tra i primi lavori dei Morbid Angel e il death/black suonato dai gruppi dell’est europeo (soprattutto polacchi).
Ne esce un lavoro macabro, dove il caos demoniaco regna sovrano, con tre tracce assolutamente maligne, una voce proveniente dall’inferno, ferri del mestiere soffocati da una produzione old school, così come la musica suonata.
Ma attenzione perché il tutto funziona ed Evil Priest non è un’ opera da sottovalutare, la sua natura estrema convince dando la sensazione di essere al cospetto di un gruppo vero.
Le atmosfere catacombali che aleggiano su tutto l’ep, il growl che spunta da un buco collegato al centro degli inferi ed il senso di morbosa devastazione, lo rendono un nero gioiellino, da ascoltare se si è amanti del metal estremo dalle venature più malvagie.
TRACKLIST
1.Ikarus
2.Great Snake
3.Gates of Beyond
4.Evil Priest
LINE-UP
E.P. – Supreme Invocations from the Depths
M.C – Density of the Dark Matter
R.P. – Obscure Resonance
Syncretism ci consegna una band in forma, ancora in grado di aggredire con inumana cattiveria e di proporre almeno una manciata di brani mastodontici.
All’alba dei famigerati anni novanta le truppe infernali che invasero il mondo metallico sotto la bandiera del death metal non provenivano solo dalla Scandinavia o dagli Stati Uniti.
Come ben sapranno gli appassionati del genere, magari con qualche anno in più sulla carta d’identità, band poi divenute storiche fecero la loro comparsa in ogni parte del mondo. con l’Europa e veder brillare la scena olandese.
I Sinister non sono mai stati in assoluto tra le preferenze dei fans, diciamo che il gruppo di Aad Kloosterwaard è sempre stato considerato un ottimo outsider: gli anni passano, il 1990 è ormai il passato remoto e nel 2017 la band arriva al tredicesimo full length di una discografia infinita.
Prendendo in esame gli album ufficiali i Sinister hanno sempre mantenuto una buona qualità, il loro death metal senza compromessi ha attraversato quasi trent’anni di storia del metal estremo e Syncretismtorna a ribadire l’assoluta bontà della proposta del gruppo, che oggi si rifà il trucco con accenni orchestrali, lasciando intravedere una mentalità più aperta di quello che si poteva credere ed un occhio vigile sugli sviluppi che hanno portato recentemente agli onori della cronaca gruppi come i Fleshgod Apocalypse.
Ovviamente il sound dei Sinister rimane un inalterato death metal oscuro, devastante e cattivissimo, strapazzato da iniezioni di thrash, mentre nei mid tempo gli accenni orchestrali riempiono di solenne bestialità il vulcanico rifferama, ormai diventato storico.
Neanche troppo corto, ma senza dare la sensazione di prolissità, Syncretismci consegna una band in forma, ancora in grado di aggredire con inumana cattiveria e di proporre almeno una manciata di brani mastodontici, tra cui Convulsion Of Christ, Dominance by Acquisition e Rite Of The Blood Eagle Syncretismè un lavoro ben concepito, in cui l’anima old school del gruppo convive appunto con soluzioni epico orchestrali, violenza thrash tout court e una varietà di soluzioni e sfumature che, anche grazie all’esperienza dei musicisti, riesce sempre ad uscire vincente all’ascolto: un album che nella sua atroce e maligna predisposizione alla devastazione risulta onesto e foriero di malvagità appagante, per chi delle tematiche religiose e occulte ne fa il suo pane.
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TRACKLIST
01. Neurophobic
02. Convulsion of Christ
03. Blood Soaked Domain
04. Dominance by Acquisition
05. Syncretism
06. Black Slithering Mass
07. Rite of the Blood Eagle
08. The Canonical Rights
09. Confession Before Slaughter
LINE-UP
Adrie Kloosterwaard – Vocals
Ricardo Falcon – Guitars
Dennis Hartog – Guitars
Ghislain van der Stel – Bass
Toep Duin – Drums
Questi greci sanno molto bene come si fa a rendere interessante un disco e passano di registro in registro con molta facilità: il lavoro è davvero piacevole, libero da tanti vincoli che a volte appesantiscono troppo i dischi di black death
Un diluvio satanico di black metal classico con inserzioni notevoli di death metal.
Terzo album per gli oscuri Acrimonious, attivi fin dal 2002, con molti cambi di formazione che non hanno impedito loro di produrre ottimi album, ed Eleven Dragonssi rivela il loro disco più riuscito. Il tiro è del black metal classico, con chitarre veloci e non troppo distorte, la voce trova la sua giusta collocazione tra il growl ed il clean, e la sezione ritmica è molto pulsante. L’ispirazione gli Acrimonious la trovano nella prima ondata black metal, quando il suono era debitore all’hardcore punk, ma gli ellenici ci aggiungono molto di loro, con la voce epica di Cain Latifer che narra di nere storie, e le melodie sono messe in primo piano, senza essere sovrastrutturate da un impianto sonoro troppo pesante per poterle cogliere. Eleven Dragonsè un disco di grande sostanza, un tributo molto efficace al nero signore, ed è un disco che segna il grande ritorno del gruppo, che si spera essere stabile. Questi greci sanno molto bene come si fa a rendere interessante un disco e passano di registro in registro con molta facilità: il lavoro è davvero piacevole, libero da tanti vincoli che a volte appesantiscono troppo i dischi di black death, primo fra tutti l’essere ridondanti. Qui tutto fluisce da e verso l’abisso, forse l’unica e vera salvezza che ci viene concessa. Una delle particolarità maggiori del disco è la grande epicità delle canzoni che sembrano allestimenti teatrali, poiché sono piene di drammaticità e pathos. Una grande prova.
TRACKLIST
1. Incineration Initiator
2. The Northern Portal
3. Damnation’s Bells
4. Satariel’s Grail
5. Elder of the Nashiym
6. Kaivalya
7. Qayin Rex Mortis
8. Ominous Visions of Nod
9. Stirring the Ancient Waters
10. Litany of Moloch’s Feast
11. Thaumitan Crown
Sono tornati i re del death metal della East Coast, gli imprescindibili Immolation, creatura storica di un modo di concepire il metal estremo e, nella loro lunga storia, sinonimo di impatto, attitudine e coerenza.
Un suono mastodontico che fa da colonna sonora alla distruzione totale della Terra ed ovviamente dell’uomo, quale principale essere vivente di un pianeta estinto ancor prima che l’angelo dell’apocalisse sferri il suo attacco finale.
Sono tornati i re del death metal della East Coast, gli imprescindibili Immolation, creatura storica di un modo di concepire il metal estremo e, nella loro lunga storia, sinonimo di impatto, attitudine e coerenza.
Si è sempre spostato di poco il suono del gruppo statunitense, ora assolutamente distruttivo, ora leggermente più melodico, ma sempre attraversato da un’aura immortale, leggendaria se me lo si concede, visto i quasi trent’anni che separano Atonementda quel lontano 1988, inizio delle ostilità firmate dagli Immolation.
Alex Bouks (Incantation) sostituisce Bill Taylor alla sei corde e, in sostanza, è l’unica novità che il nuovo lavoro porta con sè, il resto è death metal magniloquente, concettualmente apocalittico, impressionante per pesantezza, un monolite estremo oscuro ed opprimente che avanza portando distruzione, fuoco e pestilenze in un’apoteosi di suoni estremi. Atonementè un lavoro che, assolutamente ancorato ad un sound che non può che essere old school, lascia stupiti per la freschezza compositiva: la musica che si sviluppa tra parti composte in un trend abissale, i passaggi tra la furia cieca ed i mid tempo che sono dei moloch musicali , fanno da contorno ad intricate parti dove gli strumenti si aggrovigliano come mostruosi serpenti giganti, mentre l’apocalisse non lascia scampo ed il mondo si trasforma in un fiammeggiante tunnel che porta all’inferno.
Con la storica coppia Vigna/Dolan in stato di grazia nella scrittura di Atonement,e Steve Shalaty a formare con Dolan una sezione ritmica mostruosa, gli Immolation tornano a ribadire che nel death metal il talento conta eccome: un messaggio alle nuove leve che ogni giorno mettono fuori la testa da un underground culla delle orde fameliche che, sotto la bandiera del genere, infiammano la scena estrema e lo fanno con undici brani impressionanti, l’ideale raffigurazione di un cavaliere dell’apocalisse, distruttivo, malvagio, senza pietà … e bellissimo.
TRACKLIST
01. The Distorting Light
02. When The Jackals Come
03. Fostering The Divide
04. Rise The Heretics
05. Thrown To The Fire
06. Destructive Currents
07. Lower
08. Atonement
09. Above All
10. The Power Of Gods
11. Epiphany
LINE-UP
Ross Dolan – Vocals, Bass
Robert Vigna – Guitars
Alex Bouks – Guitars
Steve Shalaty – Drums
I cultori del technical detah metal avranno di che gioire all’ascolto di Thanatopsis, un album difficile ma assolutamente affascinante.
Technical death metal brutale e a tratti progressivo, il sound del trio americano chiamato Dischordia si può riassumere così.
Il gruppo proveniente dall’ Oklahoma, attivo dal 2010, arriva al traguardo del secondo full length dopo aver dato alle stampe un paio di ep e Project 19, primo lavoro sulla lunga distanza targato 2013.
Da dire c’è che Josh Fallin (batteria), Keeno (chitarra e voce) e Josh Turner (voce, basso) i loro strumenti li sanno maneggiare più che bene, ma si nota pure un songwriting sufficientemente ispirato, tanto che Thanatopsisesce dal calderone delle opere di genere solo tecnica e virtuosismi.
Una valanga di cambi di tempo, un lavoro delle sei corde disumano e atmosferiche parti progressive dove non mancano neppure soavi note di un flauto, danno al lavoro quei cambi di atmosfere e sfumature che facilitano l’ascolto di questo mastodonte della durata di quasi un’ora, tantissimo per il minutaggio medio nei lavori del genere.
Il growl alterna parti death ad un più efferato brutal, infierendo senza pietà anche quando la tensione si alleggerisce un poco, ma sono solo attimi, perché brani intricati e violenti come The Curator, Bone Hive e la conclusiva The Traveler, non concedono tregua destabilizzando e violentando i padiglioni auricolari con una serie di trovate davvero sopra le righe (la marcetta in controtempo di The Traveler lascia a bocca aperta).
I cultori del genere avranno di che gioire all’ascolto di Thanatopsis, un album difficile, ma assolutamente affascinante.
TRACKLIST
1.Thanatopsis I: The River
2.Thanatopsis II: The Road
3.Thanatopsis III: The Ruin
4.The Curator
5.22°
6.An Unlikely Story
7.Bone Hive
8.Madness
9.The Traveler
Un plauso doveroso va alla Vic Records per la tenace opera volta alla riscoperta di album che avrebbero rischiato di cadere prematuramente nell’oblio.
Altro combo olandese nato nei primi anni novanta, i Pleurisy a differenza di molti loro compagni d’avventura persi nei meandri del death metal di quegli storici anni, affrontavano la materia con piglio ed un impatto quanto mai diretto, tralasciando rallentamenti ed atmosfere catacombali per travolgere l’ascoltatore a tutta velocità.
Sotto le grinfie della Vic Records, label specializzata in ristampe di album classici dell’epoca, finisce il primo lavoro del gruppo nato nella provincia di Utrecht, Experience The Sacrilege, una bomba che univa il death metal centro europeo con sfuriate melodic black.
La band nacque nel 1990 e, dopo i classici lavori minori di inizio carriera, rilasciò nel 1999 l’album in analisi per poi concedere altre due opere, Dazed & Deranged del 2003 e, prima dello scioglimento, Seizure, licenziato una decina d’anni fa.
Approccio devastante, furia e potenza al servizio di solos dall’ottimo impatto melodico sono le caratteristiche principali del sound dei Pleurisy, caratteristiche queste esemplificate al meglio con quest’album, grazie ad una serie di brani molto trascinati e dal sicuro effetto distruttivo.
La title track, la mastodontica Ineluki, la velocissima e black Witchcraft sono bombe sonore senza soluzione di continuità, l’uso dello scream, al posto del classico growl profondo usato nella scena della loro terra, porta i Pleurisy verso le coste scandinave, battute dal vento freddo del black metal e devastate dalle opere di maggior peso del fenomeno di allora, il melodic death.
Un plauso doveroso va alla Vic Records per la tenace opera volta alla riscoperta di album che avrebbero rischiato di cadere prematuramente nell’oblio.
TRACKLIST
1. Mission Transformed
2. Experience the Sacrilege
3. Bid your Pleasures
4. Gone from the Sun
5. Ineluki
6. Divinity in Decay
7. Witchcraft
8. Trail of Destination
9. In Darkness / Mortification of Flesh
LINE-UP
Johan Wesdijk – vocals
Alex Seegers – guitars
Axel Becker – guitars
Bas van der Bogaard – bass
Edwin Nederkoorn – drums
Secondo album per il trio capitanato dall’ex Trivium Richie Brown: i Mindscar sono protagonisti di un sound che trova il perfetto equilibrio tra death metal classico, metalcore e soluzioni progressive.
Dalla Florida, patria del death metal statunitense, arriva questo trio estremo attivo dal dagli ultimi scorci del secolo scorso ma con i primi due full length licenziati negli ultimi due anni.
What’s Beyond the Lightè il secondo album, successore di Kill The King a conferma della costanza degli ultimi anni in casa Mindscar.
La bend, che vede alla sei corde ed alla voce l’ex Trivium Richie Brown, è forte di un sound che riesce a far convivere il death metal classico con quello moderno, valorizzandolo con svisate progressive e martellanti ritmiche metalcore che a tratti appesantiscono notevolmente la proposta del gruppo.
Ottimi musicisti, i Mindscar, oltre a Brown vedono impegnati Terran Fernandez al basso e Robbie Young alle pelli, una sezione ritmica che riesce perfettamente ad assecondare i deliri del bravissimo chitarrista.
Ne esce un album che, grazie anche alla durata perfetta per la musica proposta, convince tra estreme parti deathcore, arpeggi e voli progressivi e una sempre presente sfumatura classica che ricorda il sound nato tra le strade della Florida.
Mid tempo pesanti come incudini fanno da rovescio della medaglia ad aperture melodiche di stampo progressivo che poi risultano i momenti migliori del disco, la cui apertura è affidata alla Obituary oriented I Am The Bad Man; l’ alternanza tra ritmiche sincopate e scariche violentissime fa da tappeto alla devastante Headless, ma da Buried Beneath the Snow si cominciano ad intravedere nuove strade progressive sviluppate in seguito, soprattutto nella conclusiva title track. What’s Beyond The Light è un album che merita la giusta attenzione, e l’ uso da parte del gruppo di varie atmosfere rende l’ascolto piacevole anche grazie all’ottima tecnica dei musicisti coinvolti.
TRACKLIST
1.I Am the Bad Man
2.Headless
3.Buried Beneath the Snow
4.A Faceless Force that Must Die
5.Megalodon
6.Cerberus
7.When the Soul Dies
8.Entering the Void
9.What’s Beyond the Light
LINE-UP
Richie Brown – Guitars, Vocals (lead)
Terran Fernandez – Bass, Vocals
Robbie Young – Drums, Vocals
Questo lavoro merita un minimo di interesse, ma per la prossima volta speriamo in qualche ragguaglio in più per conoscere meglio i protagonisti di cotanto dolore musicale.
Capita spesso che arrivino album di band che probabilmente giocano con il mistero, oppure sono solo composte da sadici musicisti che si divertono a mettere in difficoltà chi cerca di supportarli, anche a costo di perdere pomeriggi interi per trovare anche la più semplice delle informazioni, come per esempio la line up o addirittura la tracklist.
Sembra una stupiggine, ma per chi cerca di fare le cose per benino, dando in pasto ai lettori un articolo il più completo possibile, diventa un’avventura nei meandri del web, soprattutto quando non si trova alcunché neppure sulla pagina Facebook del gruppo alla voce informazioni.
Un peccat,o perché poi ci si trova al cospetto di lavori che meritano un accurato approfondimento come questo ep di quattro tracce opera della band proveniente dalla California ma guidata dal musicista indiano Sandesh Nagaraj, aiutato da un manipolo di colleghi della scena estrema e protagonista di questi dieci minuti di death metal estremo, paranoico e totalmente libero da vincoli, che rispecchia l’attitudine morbosa dei Morbid Angel, avvicinandosi terribilmente agli Obituary del fratelli Tardy, ma riveduto con una personalità ed un impatto sopra le righe.
Sono solo dieci minuti certo, ma l’atmosfera che si respira è soffocante e pregna di pazzia, i brani sono attraversati da una vena che dal death metal passa al doom, tra accelerazioni e rallentamenti in un clima di annichilente tortura mentale.
Cercatevi questo lavoro perché merita un certo di interesse, ma per la prossima volta speriamo in qualche ragguaglio in più per conoscere meglio i protagonisti di cotanto dolore musicale.
TRACKLIST
1.Chainsaw Of God
2.Eugenicide
9.The Saline
4.A Selfish Dream
LINE-UP
Sandesh Nagaraj – Guitar and Bass
Kaitie Sly – Bass on Eugenicide
Ray Rojo – Drums
Morgan Wells – Vocals/Lyrics on Chainsaw Of God
Jordan Nalley – Vocals/Lyrics on Eugenicide
Arun Natrajan – Vocals/Lyrics on The Saline
William Von Arx – Guitar Solo on Chainsaw Of God
Magniloquente, aggressivo, malinconico, duro come una spada forgiata e poi lasciata raffreddare tra i ghiacci, affascinante ed atmosferico, questo lavoro mette in guardia tutti sulle frecce che ancora ha nel proprio arco il death melodico.
In Finlandia si continua a creare grande musica estrema, meravigliosamente melodica, oscura e misteriosa, perfettamente in grado di soddisfare gli amanti traditi dalle band che in Svezia questo suono l’hanno inventato.
Torna sul mercato un terzo della triade melodic death che tanti ascoltatori ha fatto innamorare in questi anni, forse la più sfortunata visto i continui cambi in line up, ma sicuramente degna di rappresentare al meglio il fronte melodico estremo scandinavo in questo momento, i Mors Principium Est, insieme ad Insomnium ed Omnium Gatherum alfieri del genere nella terra dei mille laghi.
Nata a cavallo tra il secolo scorso ed il nuovo millennio, la band arriva tramite AFM al sesto full length di una carriera segnata come scritto dai continui cambi di line up, che ne hanno minato l’eccellenza in qualche occasiuone ma che, con Embers Of A Dying World torna a risplendere all’insegna di un melodic death metal scandinavo orchestrato a meraviglia.
Magniloquente, aggressivo, malinconico, duro come una spada forgiata e poi lasciata raffreddare tra i ghiacci, affascinante ed atmosferico, questo lavoro mette in guardia tutti sulle frecce che ancora ha nel proprio arco il genere, e conferma il talento compositivo di questi musicisti cresciuti tra il silenzio delle pianure innevate.
Pura magia estrema, un’epicità che non è quella ignorante dei gruppi alla Manowar, ma si nasconde tra le sfumature di una musica che non ha età, tra tappeti di note orchestrate e metallo fiero, estremo e melodico. Embers Of A Dying World risulta così uno scrigno di musica estrema sublime, in cui le emozioni sono un abisso dove l’ascoltatore viene spinto per cinquanta minuti, ed in caduta libera sopraffatto da solos che entrano nell’anima, armonie tastieristiche che sfiorando la pelle alzano brividi e fanno lacrimare sangue nero mentre, a tratti, rabbia, frustrazione e metallica ribellione si scrollano di dosso emozioni malinconiche per tornare a far male con ripartenze death metal di matrice svedese. Death Is The Beginning e The Ghost sono i capolavori ed il cuore dell’opera, bellissime tracce che raccolgono ed accentuano tutte le emozioni che vengono regalate tramite un songwriting ispirato, tra voci femminili, stupende ma mai invadenti, orchestrazioni e la regale furia del death metal. Embers Of A Dying Worldè un album intenso e bellissimo, arte scandinava come nella migliore tradizione, impossibile farne a meno.
TRACKLIST
1.Genesis
2.Reclaim the Sun
3.Masquerade
4.Into the dark
5.The Drowning
6.Death Is the Beginning
7.The Ghost
8.In Torment
9.Agnus Dei
10.The Colours Of The Cosmos
11.Apprentice Of Death
LINE-UP
Ville Viljanen – Vocals
Andy Gillion – Guitars
Teemu Heinola – Bass
Mikko Sipola – Drums
Quello dei Famishgod, alla luce di questa prova, si conferma un marchio in grado di garantire una buona qualità nonché l’assoluta fedeltà ai dettami delle sonorità estreme più oscure.
Gli spagnoli Famishgod tornano con un secondo full length, dopo il buon esordio del 2014 intitolato Devourers Of Light: Roots Of Darknessricalca le orme del suo predecessore anche se qui non mancano accelerazioni e passaggi relativamente più aperti che vanno ad incrinare il muro claustrofobico eretto dall’ottimo Pako Daimler, responsabile di tutti i suoni dell’album ad eccezione della voce, come sempre costituita dal terrificante rantolo affidato al ben noto Dave Rotten (Avulsed, nonché titolare della Xtreem Music).
Le coordinate restano, quindi, quelle del death doom più putrescente ed estremo nel suo incedere, con poche concessioni a passaggi chitarristici che non siano volti ad incupire ancor più le atmosfere con i propri toni ultraribassati ma, come detto, qualche concessione a livello ritmico e melodico rende Roots Of Darkness se non superiore, senz’altro meno ostico all’ascolto rispetto a Devourers Of Light, restando comunque un prodotto appannaggio degli amanti di sonorità catacombali sulla falsariga di band quali Disembowlment o Encoffination.
E’ inutile in questi casi mettersi alla puntigliosa ricerca di elementi innovativi o spunti geniali, quel che conta, qui, è la credibilità dell’approccio al genere, che deve innanzitutto rifuggire ogni manierismo per risultare coinvolgente: i Famishgod ci riescono proprio perché, a dispetto di una certa linearità, le atmosfere soffocanti e plumbee non danno quasi mai tregua, lasciando di tanto in tanto fugaci spiragli. come avviene nel finale dell’ottima traccia di chiusura Mournful Sounds of Death, quando la chitarra di Daimler assume per una volta toni più melodici e dolenti.
Nonostante una produzione discografica ancora limitata, quello dei Famishgod, alla luce di questa prova, si conferma un marchio in grado di garantire una buona qualità nonché l’assoluta fedeltà ai dettami delle sonorità estreme più oscure.
Tracklist:
1. Abyss of the Underworld
2. Bad Omen
3. Molested, Defiled, Disrupted
4. Chamber of Chaos
5. Eternal Embrace
6. Lost Language of the Dead
7. Mournful Sounds of Death
Line-up:
Dave Rotten – Vocals
Pako Deimler – All instruments
La title track posta in chiusura è un outro atmosferica atta a descrive il nulla che segue alla distruzione totale, mentre il dito si avvicina al tasto play per ripetere questa straordinaria sequela di emozioni che ancora una volta i Mechina ci hanno saputo donare
Puntuale con l’inizio del nuovo anno, Joe Tiberi ci porta con sé sull’astronave Mechina, e ci consegna un altro capolavoro di metallo industriale, fantascientifico ed orchestrale.
Ormai non è più una sorpresa, siamo arrivati al settimo album con As Embers Turn To Dust che segue una trilogia di opere straordinarie (Xenon, Acheron e Progenitor) convogliando ancora una volta tutto il meglio del metallo estremo moderno in un unico sound, che dalle orchestrazioni prende la propria forza e dal death la cattiveria ed il senso di terrore profondo che l’ignoto causa nell’essere umano.
Splendidamente attraversato dall’orientaleggiante ed evocativa voce di Mel Rose, molto più protagonista che sul precedente Progenitor, la nuova opera fantascientifica dei Mechina si sviluppa immaginando la morte del pianeta in una terribile sequenza di catastrofi ed attacchi alieni, mentre il genere umano si estingue e tutto brucia in un paesaggio di morte e desolazione.
L’opener Godspeed Vanguards segue il sound di Progenitor, la voce pulita riempie di impulsi new wave la musica di Tiberi, ma l’entrata in scena della Rose a duettare con il growl di Holch torna a far scorrere brividi di gelido terrore con Creation Level Event e, soprattutto, con la magnifica Impact Proxy.
Le orchestrazioni tornano a dominare la scena come sul mastodontico Acheron, una fantastica e magniloquente colonna sonora di un disfacimento, una biblica punizione a cui il pianeta non può sottrarsi.
Da una supernova arrivano le note pianistiche di Aetherion Rain, che col tempo si trasforma nella sublime The Synesthesia Signal, alimentata dalla stupenda interpretazione della Rose e dai tasti d’avorio che, in sottofondo, continuano a mandare nello spazio note, ultimi esempi di un mondo annientato dalle nefaste conseguenze espresse dalla violentissima Unearthing The Daedal.
Joe Tiberi conferma di essere al sound del precedente album con la devastante The Tellurian Pathos, mentre le tastiere si riprendono la scena nella galassia martoriata con le armonie di Thus Always To Tyrants.
La title track posta in chiusura è un outro atmosferica atta a descrive il nulla che segue alla distruzione totale, mentre il dito si avvicina al tasto play per ripetere questa straordinaria sequela di emozioni che ancora una volta i Mechina ci hanno saputo donare, in un genere che di per se è freddo come lo spazio profondo.
Pensavo fossero umani, invece niente, anche il 2017 lo chiudiamo in anticipo, almeno per quanto riguarda il sound proposto dal gruppo americano … ennesimo capolavoro.
TRACKLIST
01. Godspeed, Vanguards
02. Creation Level Event
03. Impact Proxy
04. Aetherion Rain
05. The Synesthesia Signal
06. Unearthing the Daedalian Ancient
07. The Tellurian Pathos
08. Thus Always to Tyrants
09. Division Through Distance
10. As Embers Turn to Dust
LINE-UP
Mel Rose – Vocals
David Holch – Vocals
Joe Tiberi – Guitars, Programming
I Teleport hanno tutti i crismi per diventare una band di culto nel panorama estremo europeo, e un prossimo full length potrebbe lanciare definitivamente il quartetto sloveno
Loro lo chiamano sci-fi death metal o cosmic metal, io vi consiglio di ascoltare questo mini cd, ultimo lavoro dei Teleport, perché porta con se un pizzico di originalità ed un songwriting nobilitato dalla geniale pazzia dei Voivod.
Ma andiamo con ordine: i Teleport sono una band slovena, nata nel 2010 e in questi sette anni di attività ha pubblicato tre demo e questo primo ep dal titolo Ascendance.
Il quartetto proveniente dalla capitale Lubiana, la bellissima città dei draghi, ha creato un sound che amalgama thrash metal voivodiano e death/black in un contesto progressivo e dal concept sci-fi.
Una bellezza questi quattro brani più intro, estremi e devastanti, progressivi nelle ritmiche e spazzati da un vento death/black che soffia dalla Scandinavia e arriva gelido nel loro paese natio.
Dimenticatevi una sola ritmica che sia scontata, e anche nelle veloci e devastanti sfuriate il lavoro ritmico è da applausi, lo scream ricorda Jon Nodveidt compianto leader e cantante dei Dissection, mentre lo spirito di Dimension Hatross e Nothing Face aleggia su brani bellissimi e ricchi di dettagli e note, destabilizzanti ed originali come in The Monolith e Artificial Divination, primi due brani capolavoro di questo ep.
Darian Kocmur alle pelli, ultimo arrivato in casa Teleport, e Lovro Babič al basso formano la sezione ritmica, mentre le due chitarre che fanno fuoco e fiamme sull’ottovolante Real Of Solar Darkness sono armi letali tra le mani di Jan Medved (alle prese con il microfono) e Matija “Dole” Dolinar.
I Teleport hanno tutti i crismi per diventare una band di culto nel panorama estremo europeo, e un prossimo full length potrebbe lanciare definitivamente il quartetto sloveno: staremo a vedere, per ora gustiamoci questa ventina di minuti di musica estrema spettacolare.
TRACKLIST
1. Nihility
2. The Monolith
3. Artificial divination
4. Realm of solar darkness
5. Path to omniscience
LINE-UP
Jan Medved – vocals, guitars
Lovro Babič – bass
Matija “Dole” Dolinar – guitars
Darian Kocmur – drums
Questi ragazzi riescono a creare un magma sonoro figlio dell’incontro tra metal e qualcosa dalle parti dei Dillinger Escape Plan, il tutto lanciato a mille all’ora, con una produzione notevole.
Al primissimo ascolto dei cagliaritani Acts Of Tragedy mi sembrava di trovarmi davanti all’ennesimo disco di metalcore melodico, con parti più dure e altre parti molto, anzi fin troppo melodiche.
E invece sbagliavo, e di molto, vittima di pregiudizi che non dovrebbero esserci. Gli Acts Of Tragedy fanno metalcore, o meglio metal moderno, ma hanno una potenza, un tiro ed una tecnica che li portano molto al di sopra della media del genere. Questi ragazzi riescono a creare un magma sonoro figlio dell’incontro tra metal e qualcosa dalle parti dei Dillinger Escape Plan, il tutto lanciato a mille all’ora, con una produzione notevole. Gli Acts Of Tragedy sono potenti e molto coinvolgenti, e hanno prodotto un disco che spacca, come direbbero i giovani. Left With Nothing, il suo titolo, potrebbe essere l’epitaffio sulla tomba dei giovani di oggi che si mangiano la merda che hanno lasciato quelli di prima: è un disco di metal moderno a trecentosessanta gradi, e dentro c’è tutto il meglio degli ultimi venti anni di metal melodico, dove melodia non sta per commercializzazione scontata, ma per ricerca di qualcosa di piacevole in mezzo alla durezza. l’album funziona benissimo anche grazie al notevole apporto della produzione, che fa rendere al meglio questo suono che piacerà su ogni lato dell’oceano, perché le sue radici sono comunque americane. Un disco molto bello, dall’inizio fino alla fine, e non è poco.
TRACKLIST
1.Under the Stone
2.Melting Wax
3.The Worst Has yet to Come
4.The Man of the Crowd, Pt. 1
5.Smoke Sculptures and Fog…
6.The Man of the Crowd, Pt. 2
7.Incomplete
8.Nothing
9.Vice
10.Oaks
LINE-UP
Alessandro Castellano – Drums
Andrea Orrù – Vocals
Lorenzo Meli – Bass
Paolo Mulas – Guitar
Gabriele Murgia – Guitar & Backing Vocals
Eyes of the Soulless è classico il disco che ti dà la giusta carica al risveglio e spazza via le tensioni e le frustrazioni al termine di una giornata di lavoro: una terapia di rara efficacia e priva di effetti collaterali.
Subito un full length di assoluto valore per i canadesi Krepitus, i quali danno seguito al demo fatto uscire nel 2014.
La band proveniente dall’olimpica Calgary riesce nel non facile intento di dare alla luce un lavoro a tratti entusiasmante, pur andando ad attingere dall’inesauribile pozzo rappresentato dal metal estremo di matrice novantiana: un’ideale sintesi del sound contenuto in Eyes of the Soulless potrebbe citare i Carcass, con un minore carico morboso ed una maggiore propensione al thrash e al death melodico, oppure i migliori Iced Earth lanciati verso sonorità più estreme: da questo notevole ed ipotetico incontro di stili scaturisce un album capace di smuovere anche le membra più inerti, in virtù di reiterate cavalcate che partono da The Decree of Theodoseus ed arrivano fino all’ultima nota di My Desdemona senza perdersi in fronzoli, ricami o attimi meditabondi. La voce di Teran Wyer è un ringhio di rara efficacia che neppure per un attimo lascia spazio a tonalità pulire mentre il resto della band rovescia la sua incalzante gragnuola di colpi ricca di groove ed impreziosita con regolarità da magnifici assoli di matrice heavy.
Difficile estrapolare i brani migliori da questa tempesta perfetta: obbligato a scegliere mi prendo Exile e Eyes of the Soulless, dove i Krepitus riversano ancor più un gusto melodico a tratti sorprendente per qualità.
Non fatico ad immaginare quale possa essere la resa sonora dal vivo del quartetto canadese con un sound ed un approccio di questo tipo, peccato solo che le probabilità di vederli dalle nostre parti non siano molte (ma non si sa mai). Eyes of the Soulless è classico il disco che ti dà la giusta carica al risveglio e spazza via le tensioni e le frustrazioni al termine di una giornata di lavoro: una terapia di rara efficacia e priva di effetti collaterali, se non gli inevitabili rischi per le vertebre cervicali, causa headbanging ininterrotto.
Tracklist:
1.The Decree of Theodoseus
2.Apex Predator
3.Exile
4.Sharpen the Blade
5.Eyes of the Soulless
6.Desolate Isolation
7.Erroneous
8.My Desdemona
Line up:
Curtis Beardy – Bass
Teran Wyer – Guitars/Vocals
Harley “Rage” D’orazio – Drums
Matt Van Wezel – Guitars
Il death metal del gruppo di Dortmund è più di quanto essenziale e violento si possa trovare in giro, per un sound ai nostri giorni neanche troppo scontato, in anni di orchestrazioni e soluzioni progressive.
Old school death metal, brutale e senza compromessi, dall’immagine di copertina che lo fa annoverare nell’ala politico/sociale del metal estremo, capitanata dagli storici Napalm Death, ispiratori dei Symmetric Organ molto più a livello concettuale che di sound.
Il quartetto tedesco è al debutto discografico con questo ottimo lavoro che alterna death metal old school e devastanti accelerazioni grindcore, un manifesto di musica estrema ben congegnata ed appagante, sia a livello esecutivo (la sezione ritmica è un portento) che per il sound, valorizzato da momenti in cui la forma canzone è protagonista tra le bordate death/grind.
Il death metal del gruppo di Dortmund è più di quanto essenziale e violento si possa trovare in giro, per un sound ai nostri giorni neanche troppo scontato, in anni di orchestrazioni e soluzioni progressive, oscuro e senza speranza, brutale nello stigmatizzare le storture dell’umanità contemporanea.
Napalm Death, Terrorizer (con tutti i gruppi impegnati nella denuncia di una società da anni marcia ed ormai putrefatta), Obituary, Monstrosity e Dying Fetus in particolare, sono le band che più si avvicinano a livello di sound alla morbosa e viscerale proposta del gruppo.
Un sound che nasce negli anni novanta e che, parzialmente sopito, si risveglia in questi drammatici tempi a colpi delle efferate States Of Decay, Palace Revolution, P.R.O.G.R.E.S.S. e Maximum Apocalypse.
Album durissimo e bellissimo, ideale per i deathsters duri e puri.
TRACKLIST
1.Truth Be Told
2.Swarm Stupidity
3.States of Decay
4.Palace Revolution
5.Reboot
6.Basics in Brutality
7.P.R.O.G.R.E.S.S.
8.We Are the End
9.Maximum Apocalypse
10.Blessed Be the Blind
LINE-UP
Philip – Bass, Vocals
Andreas – Drums
Ivar – Guitars
Karsten – Guitars
Non male nel suo insieme, grazie a brani come Return Of The Zombie, Lycantrophic Funeral, bordate estreme di grande impatto, e ai rallentamenti ben inseriti nel vortice di suoni estremi, Massive Lethal Flesh Recovery mostra un sound vario quel tanto che basta per non risultare monotono
Death metal feroce violento e devastante come un’apocalisse zombie.
Parliamo del mini album dei tedeschi Zombieslut, band old school death metal con chiare ispirazioni brutal di matrice statunitense e concept che, dal primo full length Braineater, passando per il precedente Undead Commando, esplora il mondo macabro, cannibale e putrido dei non morti.
Il gruppo, in attesa di pubblicare il nuovo lavoro sulla lunga distanza, regala offre agli apapssionati questo ep di sei brani, di cui un paio inedite, mentre il resto sono tracce ri-registrate appartenenti all’album d’esordio. Massive Lethal Flesh Recovery, come da tradizione del gruppo tedesco ci invita in un mondo dominato dagli zombie, quindi scene di cannibalismo, sventramenti ed efferata violenza sono supportate dal sound senza compromessi della band: blast beat e velocità al limite, mid tempo potentissimi ed un growl di stampo brutal, perfetto per raccontare la mattanza perpetuata dai famelici zombie.
Non male nel suo insieme, grazie a brani come Return Of The Zombie, Lycantrophic Funeral, bordate estreme di grande impatto, e ai rallentamenti ben inseriti nel vortice di suoni estremi, Massive Lethal Flesh Recovery mostra un sound vario quel tanto che basta per non risultare monotono, e l’ascolto se ne giova.
Se non conoscete i Zombieslut e amate il death metal old school più brutale, Massive Lethal Flesh Recovery potrebbe essere l’ascolto ideale per approcciarne le sonorità, in attesa di un prossimo full length.
TRACKLIST
1. Return of the Zombie
2. Lycantrophic Funeral
3. Lord of Eternal Pain
4. Braineater
5.Theater of Beautiful Deaths
6. Victims of the Lie
LINE-UP
Frank von Boldt – Guitar,Vocals
Joe Azazel – Guitar
Hamdi Avci – Drums
Mojo Kallus – Bass
Un lavoro imperdibile per gli amanti dei gruppi che fecero la storia del death aldilà dell’oceano negli anni novanta.
Attivi dal 2014 con questo monicker e divisi tra Novara e Milano arrivano al debutto sulla lunga distanza i nostrani Perfidious, creatura estrema che del death metal old school di matrice statunitense distilla perle di maligna distruzione.
Dal concept misantropo e fortemente anticristiano, il gruppo non lascia trasparire un raggio di luce dal suo sound;
accompagnato da una copertina grigia e che rappresenta molto bene il fallimento del cristianesimo, con il Golgotha, unica collina rimasta in piedi dopo la devastazione che l’uomo ha perpetrato per millenni sotto l’influsso del male, Malevolent Martyrdom risulta un’opera vecchia maniera, senza tanti indugi la band tira dritta al sodo, ed il sound esce urgente, estremo e devastante come deve essere un lavoro di death metal classico.
Negli anni novanta il re dei generi estremi era diviso tra i colpi inferti dai gruppi dell’epoca nella calda Bay Area e la furia dei più melodici colleghi scandinavi: i Perfidious seguono con cura maniacale i sentieri che portano al male tracciati dai gruppi statunitensi e l’ album convince non soffrendo assolutamente in personalità. I Belong To Sickness esplode dopo l’intro e i Perfidious si dimostrano subito maestri nelle ritmiche serrate, mentre senza cedimenti il muro sonoro continua a sfondare teste in headbanging sfrenati, sotto le macerie che rimangono al passaggio delle distruttive e maligne Human Conceit e Preachers of Hypocrisy.
Il growl demoniaco e brutale non fa prigionieri e si arriva alla notevole Perfidious, traccia che mette in evidenza la bravura di una sezione ritmica pesante e distruttiva, ma che sa essere spettacolare nei cambi repentini di ritmo, tra ripartenze e cavalcate in blast beat.
Nell’underground più oscuro, dove le realtà estreme crescono nell’ombra, un altro gruppo si accinge a conquistare i deathsters dai gusti old school: un lavoro imperdibile per gli amanti dei gruppi che fecero la storia del death aldilà dell’oceano negli anni novanta.
TRACKLIST
1.Infected by Malignancy (Intro)
2.I Belong to Sickness
3.Human Conceit
4.Ancient Voices of the Past
5.Preachers of Hypocrisy
6.Breath of Beast
7.Realm of the Moribunds
8.Trapped by Insanity
9.Perfidious
10.I Kill You (Outro)
LINE-UP
Vanny Hate – Drums
Dydacus – Vocals
Michele – Bass
Andrea – Guitar
L’album nel suo insieme è un riuscito tentativo di far convivere il grind ed il death metal scandinavo, con l’aiutino di qualche spunto hardcore.
Una bomba sonora devastante, un inferno sulla terra dove la colonna sonora non può che essere death metal scandinavo con dosi massicce di grind/crust.
Henry Kane, alias Jonny Pettersson, vocalist di Ashcloud, Just Before Dawn e Wombbath, qui in veste di polistrumentista, non lascia scampo e ci investe con un devastante death/grind senza compromessi, dove la provenienza scandinava si sente eccome, ma viene messa in ombra da una malsana voglia distruttiva; il tutto viene licenziato dalla Transcending Obscurity, con la quale Pettersson ha firmato col sangue delle sue vittime il contratto che permette di portare alla luce questo pezzo di inferno in musica.
Bruciano l’atmosfera e gli strumenti in Den Förstörda Människans Rike, titolo e testi in lingua madre ed una raccolta di brani che non superano i due minuti di durata, a parte l’apocalittica title track e Det Var Inte Ditt Fel, un massacro tra demoni, un esempio di male in musica che ridicolizza molti gruppi black metal.
L’album nel suo insieme è un riuscito tentativo (almeno nelle intenzioni alquanto bellicose) di far convivere il grind ed il death metal scandinavo, con l’aiutino di qualche spunto hardcore, dunque vi lascio immaginare quanta violenza sprigioni il sound proposto da Henry Kane.
Un album estremo come pochi, difficile da digerire se non si è amanti dei generi descritti, ma che con un po’ attenzione rivela più di una brillante intuizione sicuramente da sviluppare in futuro.
TRACKLIST
1.En själ till salu
2.Svarta tankar
3.Skuld och begär 01:42
4.En grav av ångest
5.Är din botten nådd
6.Dragen i skiten
7.En längtan
8.Den förstörda människans rike
9.Flaskan var din sista vän
10.Bön för bön
11.Kära bror
12.Bara hat
13.Lögnens svarta ögon
14.Det var inte ditt fel
15.Vinst eller fölust
Devoured By Damnation si rivela un’apprezzabile prova di death genuino e virulento quanto basta per riuscire a catturare la giusta dose di attenzione.
I Kratornas distruggono i timpani dei malcapitati ascoltatori da oltre un ventennio, ma il primo organico parto su lunga distanza risale al 2007, quando la band aveva le proprie basi ancora nelle natie Filippine.
Devoured By Damnationè il terzo della serie ed è il primo composto in terra canadese, luogo dove Zachariah si è stabilito nel nuovo decennio; ingaggiato il batterista GB Guzzarin (canadese nonostante il nickname possa richiamare alla memoria quello di un un oste trevigiano …), il vocalist e chitarrista scaglia sul pubblico quest’incandescente meteorite che, sebbene veda i Kratornas accreditati di un sound grind/black, è in realta fortemente debitore del più furioso death novantiano di matrice statunitense.
Ma i paragoni, specialmente in un genere dove spesso le differenze sono costituite da sfumature infinitesimali per chi non ne è un fruitore abituale, sono del tutto superflui: ciò che conta è la distruttiva e genuina urgenza che trova sfogo in un album composto, registrato e pubblicato su un suolo sicuramente più ricettivo ed accogliente per il metal estremo.
Nonostante il suo retaggio sia riconducibile ad un epoca lontana, il sound dei Kratornas si appropria in maniera più che lecita di certe sonorità, semmai ci fosse bisogno di puntualizzarlo, stante il suo status di band già attiva nel bel mezzo degli anni novanta: la freschezza e la virulenza non risentono dell’anagrafe, e Devoured By Damnation si rivela così un’apprezzabile prova di death genuino e virulento quanto basta per riuscire a catturare la giusta dose di attenzione.
Tracklist:
1. Spit On God
2. Dead Burning Christ
3. Archangels of Destruction
4. Deluge – After Massacre
5. Blood of The Devil
6. Evil Is Reborn
7. Devoured By Damnation
8. Cadavers of Gods
9. Huios Diabolus
10. World Within Demons
Tæther va seguito in tutto il suo percorso anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare.
Era il 2015 quando sulle pagine virtuali di Iyezine comparve nella sezione metal la recensione del primo full length di questo fenomenale gruppo australiano.
Laniakea seguiva a ruota i due singoli di questa nuova band, The Ritual Aura, nata dalle ceneri degli Obscenium e freschi di firma per la Lacerated Enemy Records.
Il primo lavoro strappò i complimenti del sottoscritto, immancabili dopo aver ascoltato il metal estremo suonato dalla band, un brutale esempio di death metal tecnico e progressivo che seguiva la strada tracciata a suo tempo dai Cynic.
I The Ritual Aura tornano dopo un anno a sconvolgere le certezze musicali di non pochi detrattori del metal con un mastodontico album dal titolo Tæther, più di un’ora tra brutal death metal, progressive e svariate forme musicali (dalla fusion, al jazz) momenti di musica destabilizzante e spettacolari fughe metalliche tra blast beat ed infuocati manici delle sei corde strapazzate e torturate, e solo a tratti fatte riposare, per lasciare a synth e tasti d’avorio il compito di portare l’ascoltatore in un mondo parallelo, dove il confine tra i generi è abbattuto a colpi di musica globale.
La band di Perth se ne esce dunque con un album di straordinaria musica estrema, dove il classico technical death metal viene nobilitato da un songwriting eccellente ed una predisposizione naturale per il progressive rock, che stupisce e nobilita un’opera che come il primo album è colma di atmosfere sci-fi, ma si allontana dal sound dei Cynic per abbracciare un più ampio specchio di generi ed ispirazione.
Quando Levi Dale e soci decidono di brutalizzare l’atmosfera, i brani sono furiose e violente cavalcate estreme, per passare poi a passaggi elaborati ed un attimo dopo sconvolgere l’andamento del brano con combinazioni di musica totale in un turbinio di note progressive. Tæther va seguito in tutto il suo percorso, anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare e quindi richiede il tempo necessario per seguire gli sviluppi musicali di questi signori degli strumenti in arrivo dalla terra dei canguri.
Ogni nota è dove deve stare, ogni passaggio risulta una sorpresa e stupisce, folgora, annichilisce … se siete amanti del genere dovete ascoltare la musica dei The Ritual Aura, assolutamente.
TRACKLIST
1. Tæthered Betwixt / Hearthless
2. Ghostgate
3. Until Absence Confides Eternal
4. Te-no-me
5. Hitodama / Like Fiery Lanterns
6. I Am No Longer I?
7. (i) That I May Cease to Be
8. Mononoke • 一 • A Grievous Betrayal
9. Mononoke • 二 • On Wax Wings Ablaze
10. Mononoke • 三 • The Burden of Worlds
11. Mononoke • 四 • Dirge of Impermanence
12. Kage no Yamai / Shadow-Sickness
13. Kitsune / The Fox Fires
14. (ii) Earth Their Bones Left Hallowed
15. In Our Hearts
16. Yūrei no Umi / A Sea of Ghosts
17. A Farewell to Being
LINE-UP
Darren Joy – Bass
Adam Giangiordano – Drums
Levi Dale – Guitars
Matthew Gedling – Guitars
Jamie Kay – Vocals