The Dead Goats – All Them Witches

La furia estrema non perde di intensità neppure quando armonie gotiche di tastiere ricamano nenie orrorifiche che durano lo spazio di un attimo, ma che sono la carta vincente di All Them Witches.

Un’altra realtà estrema proveniente da quel nido di entità malefiche che risulta la Polonia, terra che ha visto negli ultimi anni un proliferare di gruppi dediti al metal estremo di matrice death/black.

Il trio dei The Dead Goats invero è molto più vicino alle sonorità death di stampo classico provenienti dalla Scandinavia con la predisposizione alle tematiche horror ed ottimi inserti atmosferici che valorizzano il sound devastante del gruppo.
All’esordio quattro anni fa con il full length Path of the Goat, la band ha rifilato una serie di ep e split che li ha visti nel 2014 in coppia con i grandi Revel In Flesh, deathsters tedeschi autori del magnifico Death Kult Legions, uscito quell’anno.
All Them Witches è un ottimo esempio di death metal carico di furia iconoclasta, ma come detto attraversato da atmosferiche parti horror, che creano un’aura oscura, pregna di attitudine dark, così che il sound risulti vario e ricco si piccole sorprese.
Il death metal del gruppo risulta un attacco frontale, la furia estrema non perde di intensità neppure quando armonie gotiche di tastiere ricamano nenie orrorifiche che durano lo spazio di un attimo, ma che sono la carta vincente di All Them Witches.
Il resto è death metal old school, senza compromessi, con tutti i canoni del genere ben in evidenza e con la denominazione di origine controllata made in Scandinavia.
Un sound, quello delle varie All Them Witches, Darkness and Decay, The Curse of Gallows Hill e la conclusiva The Gloom That Came to Salem, che pesca a piene mani dal periodo storico del death metal svedese, poco male, anzi, l’album trova nelle sue trame devastanti ed oscure un modo per convincere l’ascoltatore, travolgendolo con un fiume in piena di note oscure e pesantissime, riff e ritmiche consolidati nel tempo e nella storia del genere e tanto blasfemo ed intrigante horror/gore.
In conclusione un lavoro riuscito ed assolutamente consigliato ai deathsters amanti dei suoni creati dalla scuola nordeuropea.

TRACKLIST
1. Coven
2. All Of Them Witches
3. Darkness And Decay
4. Broodmother
5. Conquering The Worm
6. The Curse Of Gallows Hill
7. Dwarves In My Coffin
8. Into The Fiery Grave
9. The Gloom That Came To Salem

LINE-UP
Bartulewicz – guitar, vocals
Jaworski – bass, backing vocals
Pierściński – drums, vocals

THE DAED GOATS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=fnrQJmsEY60

Grond – Worship The Kraken

Ogni brano è un piccolo gioiellino di genere, niente novità o sperimentazioni, solo grande musica estrema conosciuta come death metal

Gli oceani nacondono nei profondi abissi avvolti da un’oscurità millenaria mostri abominevoli, creature che vivono in luoghi impossibili da raggiungere per l’uomo, ma che, quando decidono di tornare in superficie, portano con sé morte e distruzione ed il mare diventa una trappola mortale, un inferno d’acqua che si chiude sopra i resti del massacro perpetrato dal Kraken, la leggendaria piovra gigante.

La colonna sonora di questo abominio si intitola Worship The Kraken, secondo lavoro sulla lunga distanza per deathsters russi Grond, macchina di morte in musica proveniente dalla Russia, attiva dall’alba del nuovo millennio e con un primo lavoro alle spalle (Howling from the Deep del 2013) più un paio di lavori minori in formato ep.
Il quartetto composto da Kist (batteria, voce), Dust e Raze (chitarre) e Daemorph al basso, pesca dal cilindro un bellissimo lavoro di death metal old school, devastante in tutte le sue parti, una perla nera che dal fondo dell’oceano viene in aiuto ai marinai per rispedire il Kraken nel profondo degli abissi a colpi di metal estremo con le carte in regola per deliziare gli amanti del death metal classico.
Prodotto benissimo, Worship The Kraken deflagra in tutta la sua potenza, blast beat, rallentamenti, riff potentissimi ed un growl d’antologia imprimono al lavoro una marcia in più e tutto funziona a dovere, devastante e letale come la morsa dei tentacoli del mostro marino.
Siamo perfettamente in bilico tra la tradizione europea ed il death metal Bay Area, una blasfema alleanza che produce devastazione in musica, la varietà nel songwriting, i continui cambi di ritmo ed atmosfere, tra roboanti e distruttive cavalcate e la marzialità del doom/death di scuola Asphyx (Below the Thunders… apice dell’opera ) fanno del nuovo lavoro dei Grond un esempio di perfetto di metal estremo vecchia scuola, arrembante, oscuro, guerresco e devastante.
Ogni brano è un piccolo gioiellino di genere, niente novità o sperimentazioni solo grande musica estrema conosciuta come death metal e questo basta per fare di Worship The Kraken uno dei lavori migliori di quest’anno nel genere.
Asphyx, Entombed, Immolation, Dismember, Bolt Thrower, Obituary, la storia del death metal sta tutta in questi quaranta minuti di musica estrema creata dai Grond, perdersela è peccato mortale.

TRACKLIST
1. Invocation
2. Kronos the Devourer
3. Steel Coffins
4. White Waters of South
5. Blood Monk (Goatlord cover)
6. Worship the Kraken
7. Below the Thunders…
8. Devonian Tyrant
9. Japetus the Ice Gate
10. Typhoon is Coming

LINE-UP
Kist – drums / vocal
Dust- guitar
Raze – guitar
Daemorph – bass

GROND – Facebook

GxSxD – The Adversary

La guerra personale dei GxSxD è inarrestabile, pregna di morte e paura focalizzate in un sound oltremodo ispirato e dalle sfumature oscure che non risparmiano atmosfere raggelanti.

Una bomba questa mezzora circa di metal estremo proveniente dal paese del sol levante, precisamente da Okayama, e secondo full length dei samurai estremi GxSxD (God Send Death), dopo dieci anni esatti dal primo omonimo album e da una buona raccolta di split e demo.

Per questo nuovo lavoro in uscita per la Pulverised Records, la band nipponica ha fatto le cose in grande iniziando dall’artwork, curato dall’illustratore svedese Pär Olofsson (Exodus, Malevolent Creation, Immolation, Demonaz), mentre le registrazioni sono state lasciate alle mani esperte di Wojtek and Slawek Wieslawski ai Notorious Hertz Studio (Vader, Decapitated, Behemoth, Hate).
Con queste premesse ci si aspettava musica devastante e dal grande impatto ed infatti The Adversary è un buon esempio di death metal old school forgiato nelle caverne dove, a suo tempo, sono stati creati tra le fiamme i lavori di Vader e Behemoth.
Ma il gruppo ha dalla sua un tocco statunitense che riecheggia tra le spire di questo malefico rettile che si attorciglia e stritola, ingoia famelico le proprie vittime e rigurgita violenza, brutale e senza compromessi.
Strutturato infatti come un lavoro brutal i brani raggiungono al massimo i tre minuti di durata, un bene perché il risultato è un’opera senza orpelli, tredici brani sparati , veloci e disarmanti nella loro fredda e disumana foga.
Non male i solos di chitarre che urlano dolore dall’inizio alla fine, in un’atmosfera che si incendia al passaggio di questi monolitici e pesantissimi brani che non risparmiano ritmiche impressionati e trasudano sangue a volontà.
Il growl è ispirato e personale, la guerra personale dei GxSxD è inarrestabile, pregna di morte e paura focalizzate in un sound oltremodo ispirato e dalle sfumature oscure che non risparmiano atmosfere raggelanti.
Un ottimo lavoro, che va sparato fino alla fine e che tutto di un fiato va fatto proprio, come il pasto di un gigantesco rettile. Consigliato.

TRACKLIST
1. To Die For
2. Another
3. The Abbyss
4. Mercy Killing
5. Requiem
6. Choices
7. Chaos World
8. Squall
9. Nightmare
10. Await
11. Abhorrence
12. Day of Suffering
13. Fate

LINE-UP
Yu Sato – Bass
Yohsuke Oka – Bass, Guitars, Vocals
Ikunaga Mimura – Drums
Yusuke Oka – Guitars, Vocals

GxSxD – Facebook

 

Myth Of A Life – She Who Invites

La grande tecnica fa brillare questa dozzina di brani urlanti, cattivissimi e colmi di melodie chitarristiche taglienti ed incredibilmente cool

Gran bel lavoro per questa melodic death metal band inglese, di stanza a Sheffield ma dai componenti di varia origine internazionale: i Myth Of A Life, infatti, fin dall’inizio dell’attività hanno sempre avuto problemi di formazione, se è vero che la line up all’opera su questo ottimo lavoro è già cambiata di ben tre elementi su quattro.

Un dettaglio visto l’enorme potenziale del gruppo che, dopo l’ep Erinyes uscito un paio di anni fa, licenziano, sotto l’ala della Sleaszy Rider, She Who Invites, debutto sulla lunga distanza.
Dicevamo della line up: oltre al vocalist Phil “Core’’ Dellas (unico membro superstite), sull’album troviamo Takanori Shono alla sei corde, , Charlie Power al basso, ed il nostro Damiano Porcelli, dei deathsters Golem, alla batteria; questi ultimi tre sono stati sostituiti, rispettivamente, da William Price, Liam Banks ed Alexander Bound
She Who Invites risulta un gran bel disco, furioso, spettacolare nelle melodie, travolgente nelle ritmiche e perfettamente cantato usando growl e screaming iin un delirio di melodic death metal dai rimandi scandinavi, velocissimo e suonato alla grande.
La grande tecnica fa brillare questa dozzina di brani urlanti, cattivissimi e colmi di melodie chitarristiche taglienti ed incredibilmente cool, un uragano estremo insomma che torna a valorizzare l’ormai bistrattato death metal melodico.
Non un calo di qualità nelle composizioni e tanta voglia di far male, fanno di She Who Invites  un ottimo esempio di come il genere, se suonato a questi livelli, riesca a regalare emozioni forti all’ascoltatore, letteralmente travolto dalla furiosa carica che la band sfoga su brani irresistibili come Scourged and Crucified e Lobotomized.
Blast beat, ritmiche al fulmicotone, solos che trasudano melodie e qualche ritmo sincopato, permettono all’album di mettere tutti d’accordo, sia chi ama la tradizione del genere, ma anche chi sta crescendo con le nuove sonorità, più in linea con la scuola americana.
Ancora Taking Back What Is Mine e Pull the Trigger mettono a ferro e fuoco i padiglioni auricolari, la band sembra un leone in gabbia, feroce parte all’assalto, morde con riff taglenti, stacca arti con ritmiche intricate e suonate a velocità impressionanti ma mantenendo un appeal clamoroso in tutti i brani che compongono questo piccolo monumento al death metal melodico.
Le influenze sono le solite di ogni gruppo che guarda al nord dell’Europa, con l’aggiunta assolutamente perfetta di una carica ritmica moderna che ne fa un bellissimo esempio di metal estremo targato 2016.

TRACKLIST
1. Codex Of Betrayal
2. Scourged and Crucified
3. Lobotomized
4. Erinyes
5. Taking Back What Is Mine
6. Pull The Trigger
7. Broken
8. Through The River
9. She Who Invites
10. Waiting To Die
11. Murder
12. Burning Vision

RECORDING LINE-UP
Takanori Shono – guitars
Phil ‘’Core’’ Dellas – vocals
Charlie Power – bass
Damiano Porcelli – drums

CURRENT LINE-UP
Phil ‘’Core’’ Dellas – vocals
Alexander Bond – drums
William Price – guitars
Liam Banks – bass

MYTH OF A LIFE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=XCRzBzSszag

Segregacion Primordial – I

Il loro è un death metal furioso e senza compromessi, fortemente e volontariamente underground.

Death metal brutale dal Cile, in cassetta e piena di morte analogica.

Quattro canzoni di lunga durata e di invocazioni all’apertura di neri portali nel vostro cervello. Attivi nell’underground del Cile dal 2011, i Segregacion Primordial hanno pubblicato prima di questo un album, due demo ed un ep. Questa cassetta fa parte di un attacco ai nostri padiglioni auricolari lanciato questa estate dalla Signal Rex, un’etichetta portoghese che sta pubblicando cose molto rimarchevoli, e questa cassetta è death metal di alto livello. Canzoni lunghe ed ossessive, che grattano con le loro distorsioni primordiali, il cantato cavernoso, che aiutano a comporre un quadro macabro e potente. I cileni si lanciano in cavalcate di sette e più minuti, con ristagni paludosi, o furiose accettate su teste ignavi. Il loro è un death metal furioso e senza compromessi, fortemente e volontariamente underground, sena fronzoli ed invenzioni ulteriori, ma solo tanta sostanza e fantasia, componente fondamentale del death metal. Gran bella cassetta di furia distorta per la band di Temuco.

TRACKLIST
01. Intro
02. Autocontemplacion
03. Inmersion
04. Bonus

SIGNAL REX – Facebook

Harvest – Omnivorous

Il gruppo riesce a coinvolgere per mezzo di una carica esplosiva dal buon impatto, anche se si può certamente migliorare, visto le buone potenzialità ed i piccoli difetti riscontrabili di norma in un’opera prima.

Nel nostro girovagare tra le scene metalliche mondiali giungiamo a Panama e, nella capitale, incontriamo i deathsters Harvest.

Omnivorous è un ep di sei brani più intro, che segue la tradizione estrema aggiungendo tonnellate di groove ed un’urgenza hardcore, specialmente nel growl ed in qualche riff.
La principale influenza del gruppo centroamericano sono i primi Sepultura, ma la band si muove con sufficente disinvoltura tra varie correnti senza perdere un grammo nell’impatto pesantissimo che le chitarre sature di groove imprimono al sound.
Un sound che implode, mai troppo veloce ma sofferto e cadenzato , una rabbia che si muove tra le sonorità estreme del death metal classico e la travolgente monolicità dei suoni estremi moderni, colpendo al volto con forza micidiale.
Non varia di molto l’atmosfera delle tracce, tutte pesantissime mentre scorrono nel vostro lettore una più roboante dell’altra con Hellraiser e la title track (la prima dal mood apocalittico, la seconda più varia e sostenuta dagli interventi di una clean vocal) che risultano quelle più interessanti dell’intera raccolta.
Non male come inizio, il gruppo sa tenere alta la tensione e la rabbia sprigionata avvolge Omnivorous in un’aura di drammaticità congeniata a dovere per descrivere il caos che ci circonda in questo nuovo millennio.
Il gruppo riesce a coinvolgere per mezzo di una carica esplosiva dal buon impatto, anche se si può certamente migliorare, visto le buone potenzialità ed i piccoli difetti riscontrabili di norma in un’opera prima.
La band per il futuro potrebbe riservare qualche sorpresa, magari con una sterzata decisa verso sonorità moderne che potrebbe essere opportuna, vista la buona riuscita dei brani che più si avvicinano al sound proposto dalle groove metal band odierne.

TRACKLIST
1. Intro (Wicked Beauty)
2. Lavinia
3. Medusoide
4. King of Nothing
5. Hellraiser
6. Omnivorous
7. Letchworth Hell

LINE-UP
Jocelyn Amado – Drums
Jaime “Ricky” Moreno – Guitars
Ernesto Gómez – Vocals

HARVEST – Facebook

Liquid Graveyard – By Nature So Perverse

By Nature So Perverse non manca di destabilizzare con sperimentazioni ritmiche, umori industriali ed un approccio al death/grind moderno, melodico e affascinante.

Ancora in preda a convulsioni procurate da quel monolito power/thrash che risulta l’ultimo lavoro del supergruppo statunitense Shatter Messiah, arriva come un treno in corsa il nuovo lavoro dei Liquid Graveyard, altro supergruppo, questa volta molto più estremo e tutto europeo, licenziato ancora dalla Sleaszy Rider Records che, specialmente con queste due releases, sale di diritto sul podio delle label underground dell’ultimo periodo.

Una soddisfazione per Iyezine, che ha creduto nel lavoro della label greca, non mancando di supportare i vari gruppi che le sono stati presentati, tutti di ottimo livello e dalle più svariate sonorità.
Ma torniamo a noi, o meglio ai Liquid Graveyard, combo estremo che vede collaborare tre icone storiche delle sonorità estreme: Shane Embury, enorme (in tutti i sensi) bassista dei re del grind Napalm Death e di altre decine di band tra cui Brujeria, Lock Up, Blood from the Soul e Meathook Seed, John Walker chitarrista dei seminali deathsters britannici Cancer e Nicholas Barker, inumano batterista che ha prestato le sue bacchette a praticamente tutti i migliori act black/death in circolazione (Cradle Of Filth, Dimmu Borgir, Atrocity e Benediction, ma non basterebbe un elenco telefonico per nominarli tutti), con dietro al microfono il growl della cantante Raquel Walker, moglie del chitarrista.
By Nature So Perverse è il terzo lavoro dei Liquid Graveyard (dopo On Evil Days e The Fifth Time I Died, gruppo che non manca di esaudire i desideri estremi dei fans delle band in cui i musicisti hanno militato, specialmente quelle più death oriented, ma non manca di destabilizzare con sperimentazioni ritmiche, umori industriali ed un approccio al death/grind moderno, melodico e affascinante.
Si passa così da brani arrembanti, segnati da una produzione fredda e sintetica, ad altri più ragionati e sconvolti da frenate ritmiche che inducono a sfumature apocalittiche, in un susseguirsi di atmosfere terremotanti.
Grande il lavoro di Barker, un vulcano che esplode ad ogni colpo di bacchetta sulle pelli e notevole il growl della Walker, rabbioso e pregno di attitudine black, mentre i riff del consorte godono di una monoliticità esponenziale così come Shane Embury, di coppia con il drummer, forma una sezione ritmica da infarto, potentissima nelle parti doom, devastante quando la furia grind si impossessa del sound.
La classe non è acqua ed il songwriting, pur nella sua natura estrema, appare ragionato; la furia metallica, così come la potenza devastante, è tenuta a freno puntando sulle atmosfere, estremizzate da una patina di lucida e sintetica pazzia, come un serial killer che nel suo covo, con calma mette in fila gli attrezzi del mestiere prima di accanirsi sulla vittima in un penzolare continuo di ganci e catene, asettico, pulito, senza anima ne pietà.
Un bellissimo ed affascinante lavoro estremo, inutile annoiarvi con track by track o riferimenti più o meno espliciti ma che non renderebbero giustizia ai nomi altisonanti che compongono il gruppo. Fatelo vostro.

TRACKLIST
1. Oppengrinder
2. Motherhate
3. Influence Corrupt
4. Mechanism
5. The Opportunist
6. By Nature So Perverse
7. All Bile All Vile
8. Clonenations
9. Sour Conspiracy
10. Red Eyed Angel
11. Onkalo
12. Outrophy

LINE-UP
John Walker – guitars, backing vocals
Shane Embury – bass
Nick Barker – drums
Raquel Walker – vocals

LIQUID GRAVEYARD – Facebook

Tomb Mold – The Bottomless Perdition

Il suono è davvero piacevolmente vecchia scuola, e ricorda perché il death metal ci piace così’ tanto, con quelle cavalcate senza un domani.

Ristampa del primo demo dei Tomb Mold, duo di Toronto dedito ad un death metal old school molto vicino al death finlandese anni novanta.

Questo demo è la loro prima uscita per al Blood Harvest, che pubblicherà in futuro anche il loro secondo demo ed il debutto sulla lunga distanza. Il duo ha cominciato le sue esperienze musicali nella scena punk hardcore di Toronto, e queste radici emergono nel demo. L’urgenza e l’energia dei Tomb Mold vengono da quel pregresso, e si vanno a fondere con una furia death metal notevole. I due componenti dei Tomb Mold, Derrick Vella e Max Klebanoff, hanno militato in diversi gruppi prima di incontrarsi e di buttarsi in questa esperienza, che già a partire dal primo demo sarà devastante e furiosa. La produzione è abbastanza lo fi anche se non troppo, e ciò non depone a loro sfavore. I Tomb Mold picchiano duro, con una voce che sembrar arrivare da dove nascono i nostri peggiori incubi, e non lasciano tregua all’ascoltatore, rinverdendo i fasti di un death metal che difficilmente si riesce a sentire oggigiorno. Il suono è davvero piacevolmente vecchia scuola, e ricorda perché il death metal ci piace così’ tanto, con quelle cavalcate senza un domani, con la potenza e la distorsione al massimo, e il growl che ci guarda dall’alto. Come dichiarazione di intenti è davvero buona, e ci si aspetta il secondo massacro, che speriamo arrivi a breve. Una band dalle grosse e maligne potenzialità.

TRACKLIST
01. (Regions Of Sorrow) Intro_Demon
02. Bereavement Of Flesh
03. Valley Of Defilement
04. The Bottomless Perdition

LINE-UP
Derrick Vella
Max Klebanoff

BLOOD HARVEST – Facebook

Wired Anxiety – The Delirium Of Negation

Il gruppo vale assolutamente l’ascolto e l’ep è di quelli che creano aspettative in chi impegna i propri ascolti nel metal estremo underground.

Band che si aggira per i vicoli di Mumbai dal 2009, i Wired Anxiety, dopo aver esordito con l’ep The Eternal Maze nel 2012, tornano tramite la Transcending Obscurity con questo nuovo lavoro, un ep di quattro brani dal titolo The Delirium Of Negation.

Bene ha fatto la label nel supportare il gruppo, visto il buon potenziale del quartetto e l’ottimo lavoro che, se pur di breve durata, lascia presagire un futuro più che roseo per il combo indiano.
Dall’opener Test Subject: Human, infatti, la band non lascia scampo puntando sulla potenza e l’abbondare di ritmiche colma di groove, una tecnica più che buona e monolitici mid tempo che si alternano ad atmosfere al limite del brutal.
Dalla voce brutale, alle spaventose accelerazioni è tutto un susseguirsi di frenate e ripartenze, sorrette da un songwriting elevato che permette ai brani di differenziarsi uno dall’altro ed alla band di lasciare un’ottima impressione su chi ascolta.
Si passa così da momenti ragionati che richiamano il death old school, a devastanti performance che del brutal tecnico prendono l’attacco frontale di squisite performance esecutive.
Heavily Sedated risulta un brano clamoroso in questo senso, ma non sfigurano neanche gli altri, purtroppo per noi, pochi brani in scaletta come Severe Comorbidity e la conclusiva Focus 22.
Poco altro da aggiungere se non che il gruppo vale assolutamente l’ascolto e l’ep è di quelli che creano aspettative in chi impegna i propri ascolti nel metal estremo underground.
Altra ottima scoperta da parte della Transcending Obscurity e ascolto obbligato peri i fans del genere.

TRACKLIST
1. Test Subject: Human
2. Heavily Sedated
3. Severe Comorbidity
4. Focus 22

LINE-UP
Sumeet Ninawe – Drums
Adwait Jadhav – Bass
Dheeraj Govindraju – Vocals
Naval Katoch – Guitars

WIRED ANXIETY – Facebook

Paganizer – On the Outskirts of Hades

Dopo quasi vent’anni di attività, il gruppo svedese dimostra ancora una volta di essere una top band nel genere, straordinaria portatrice nel nuovo millennio del macabro verbo di Dismember, Grave e compagnia.

La label indiana Transcending Obscurity è diventata in questi ultimi anni un punto di riferimento per il metal estremo non solo proveniente dalla propria terra ma addirittura mondiale, almeno in ambito underground.

Il colpo dell’anno per la label asiatica è stato mettere le grinfie sui leggendari Paganizer, death metal band svedese con a capo l’instancabile Rogga Johansson, mente e braccio di un interminabile elenco di gruppi che hanno messo a ferro e fuoco questi ultimi due o tre anni metallici.
Down Among the Dead Men, Johansson & Speckmann, Megascavenger, Necrogod, Putrevore, Revolting, The Grotesquery, sono solo alcune delle band delle quali il buon Rogga è ideatore, senza chiaramente dimenticare i Paganizer, gruppo dal quale Rogga ha filtrato i suini da conogliare in altre realtà.
On the Outskirts of Hades è il primo lavoro dei Paganizer dopo la firma con Transcending Obscurity, un ep di quettro brani per appena, purtroppo, tredici minuti di spettacolare death metal scandinavo, assolutamente old school, dal songwriting forte di una compattezza, un’esperienza, ed una forma invidiabile.
Dopo quasi vent’anni di attività, il gruppo svedese dimostra ancora una volta di essere una top band nel genere, straordinaria portatrice nel nuovo millennio del macabro verbo di Dismember, Grave e compagnia.
Quattro brani che annichiliscono e che ci invitano ad attendere con trepidazione il nuovo full length che, dopo l’ascolto di Angry All the Time, Adjacent to Purgatory, The Netherworld Carnivale e la titletrack, non potrà che risultare all’altezza della situazione. Ben tornato Rogga.

TRACKLIST
1.Angry All the Time
2. Adjacent to Purgatory
3. The Netherworld Carnivale
4. On the Outskirts of Hades

LINE-UP
Rogga Johansson – Guitars, Vocals
Kjetil Lynghaug – Lead Guitars
Matte Fiebig – Drums
Martin Klasen – Bass

PAGANIZER – Facebook

Ossuary Insane – Possession Of The Flash

Un disco che chiude il cerchio del gruppo ma che è soprattutto un disco death metal di altissima qualità ed intensità.

La Blood Harvest Records pubblica in lp la prima parte della discografia degli Ossuary Insane, un gruppo americano di death metal da Pine City in Minnesota, che ha avuto alterne vicende, producendo però sempre un buon death metal.

Questo lp si focalizza sulla produzione degli anni duemila, poiché dopo la fondazione nel mitico e floridissimo per il death metal 1991 ( basti pensare che in quell’anno fra gli altri pubblicarono album Entombed, Grave, e ci sono vere e proprie pietre miliari del genere ), per produrre tre demo e un album ufficiale Demonize The Flesh. Come tantissime altre band dell’epoca la loro routine era droga, alcool e death metal in una cantina, ma gli Ossuary Insane, come potrete sentire, avevano una marcia in più rispetto agli altri gruppi. Il loro death metal è vicino al death metal dei maggiori gruppi della Florida, ma di loro ci mettono un pesantissimo accento macabro, che ben si inserisce all’interno della loro musica. Il fondatore Cantor Celebrant, mancato pochi anni or sono, viveva nella città di Pine City, e come ottimamente ricordato nelle note di Olivier Meschine, redattore della fanzine Liquid Of Life, il gruppo negli anni che vanno dal 201 al 2003 cambiò formazione passando da un power trio ad un ensemble di cinque elementi, diventando più potenti e sicuri. Gli Ossuary Insane sono un gruppo che ha un’immensa aggressività innata ed idee molto buone nello svolgimento della musica. Sicuramente con un’altra storia dietro le spalle avrebbero potuto diventare un gruppo molto importante della galassia death metal. Questo lp si deve alla grande costanza del suddetto Olivier Meschine, che avendo partecipato a quegli anni del gruppo, dopo aver saputo che era morto Cantor Celebrant, ha tampinato per un po’ un altro membro della band Prophet, per dare un senso organico a quei cd-r che erano i loro biglietti da visita. Questo è solo il primo capitolo del recupero della discografia che la svedese Blood Harvest sta recuperando. Un disco che chiude il cerchio del gruppo ma che è soprattutto un disco death metal di altissima qualità ed intensità.

TRACKLIST
1.Shallow Roadside Grave (2003)
2.Killing Mortals/Laid To Waste
3.The Original Master
4.My Name Is God & I Am A Liar
5.Hell City
6.Worthy Only Of Extinction
7.I Absolutely Forbid
8.My Name Is God & I Am A Liar
9.Hell City
10.Tonight It Is Time To Die

OSSUARY INSANE – Facebook

Demonbreed – Where Gods Come to Die

Ottimo lavoro che non lascia spazio a dubbi sulla bravura del gruppo tedesco, per gli amanti dei suoni old school un altro piccolo gioiello da avere assolutamente.

Corre veloce la macchina da guerra denominata Demonbreed, band che annovera tra proprie fila ex membri dei Lay Down Rotten e di altre band portatrici di bestialità in musica.

Dopo aver dato alle stampe uno split cd in compagnia dei The Dead Goats lo scorso giugno, giungono all’esordio sulla lunga distanza con questo ottimo esempio di death metal old school dal titolo Where Gods Come to Die.
L’album, prodotto alla grande dal chitarrista Fernando presso i Fat Knob Studios e mixato e masterizzato da Dennis Israel ai Clintwoks Mixing And Mastering, risulta una tremenda mazzata estrema come ormai nell’underground siamo abituati ad ascoltare negli ultimi tempi.
Death metal scandinavo ed influenze centro europee si alleano per una guerra senza pietà ai nostri padiglioni auricolari, il tutto ben sostenuto da un buon songwriting, esperienza ed attitudine che affiorano dai solchi di queste undici mitragliate più la clamorosa cover di Blood Colored dei mai troppo osannati maestri Edge Of Sanity, tratta per chi non lo sapesse (nel caso smettete subito di leggere questo articolo) dal capolavoro Purgatory Afterglow, consegnato alla storia del metal estremo nell’anno di grazia 1994.
Chi tributa Dan Swano e la sua band non può che entrare di diritto nelle mie simpatie, ma i Demonbreed si fanno apprezzare pure per la furia senza freni della loro musica, un mix come accennato di death scandinavo e soluzioni guerresche che richiamano in primis i Bolt Thrower, per poi rallegrarci con rallentamenti doom alla Asphix ed un’atmosfera maligna insita nell’angelo morboso.
Con un grande lavoro sugli strumenti, i musicisti impegnati in questa campagna contro l’esercito del bene mettono sul piatto l’esperienza accumulata con le loro passate esperienze, così che Where Gods Come To Die possa allietare i deathsters innamorati dei suoni old school.
Non c’è tregua, da Vultures in the Blood Red Sky (la title track funge da intro) in poi è un susseguirsi di piccole perle nere, le due chitarre affilate come rasoi bombardano di riffoni pesanti come incudini, mentre il gran lavoro della sezione ritmica, tra accelerazioni spaventose e brusche frenate rendono i brani vari e tremendamente efficaci.
Ottimo lavoro che non lascia spazio a dubbi sulla bravura del gruppo tedesco, per gli amanti dei suoni old school un altro piccolo gioiello da avere assolutamente.

TRACKLIST
01. Where Gods Come to Die
02. Vultures in the Blood Red Sky
03. A Thousand Suns Will Rise
04. Summon the Undead
05. Revenge in the Afterlife
06. Empty Grave
07. Red Countess
08. Perish
09. Barren Wasteland
10. Folded Hands
11. Blood Colored (Edge Of Sanity cover)
12. Seed of Ferocity

LINE-UP
Jost Kleinert – Vocals
Daniel Jakobi – Guitars, b.vocals
Fernando Thielmann – Guitars,b.vocals
Johannes Pitz – Bass
Timo Claas – Drums

DEMONBREED – Facebook

Nerodia – Vanity Unfair

Il lavoro suona praticamente perfetto in tutti i suoi aspetti, un album estremo che potrebbe trovare ammiratori anche tra gli amanti del metal più classico per via di grandi intuizioni melodiche.

Tornano come una tromba d’aria che, vorticando, finisce il lavoro di distruzione sulle macerie lasciate al primo fatale passaggio, lasciando solo il caos prodotto dalla sua inesauribile furia.

Loro sono i Nerodia, quartetto romano che rilascia questo devastante secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo il primo full length Heretic Manifesto e Prelude To Misery, ep uscito tre anni fa e che avevamo già elogiato su queste pagine.
Vanity Unfair è stato affidato per il mix ed il mastering a Stefano Morabito in quel dei 16th Cellar Studio e vede come ospite Massimiliano Pagliuso dei Novembre, alle prese con un solo nella belligerante ed oltremodo scandinava The Black Line.
I nostri quattro thrash/blacksters, senza farci respirare, ci immergono nel loro mare di note estreme sempre in bilico tra il black metal scandinavo ed il thrash old school di matrice tedesca.
E’ un mare nero, dove vivono entità che nell’ombra, voraci, che attaccano senza pietà pregne di umori black’n roll ed insana attitudine evil con questo nuovo lavoro, ancora una volta valorizzato dalla tecnica sopraffina dei musicisti, tra cui spicca l’enorme piovra famelica che di nome fa David Folchitto.
I riff si susseguono, veloci e taglienti come zanne di squali tigre convincendo ancora una volta sulla perizia dei due axeman (Giulio Serpico Marini, Marco Montagna), mentre il basso di Ivan Contini segue lo tsunami di colpi inferti dal suo collega ritmico.
Brani che non scendono sotto l’atmosfera di esaltazione che dalle prime note della title track cala sull’ascoltatore, stordito dal mix letale di Darkthrone, Dissection, Kreator ed impulsi motorheadiani che brani come Pussywitch 666, Anti-Human Propaganda, Chains of Misery e No Crown For The Dead non fanno che confermare.
Siamo a livelli molto alti, la band romana non ha punti deboli, ed il lavoro suona praticamente perfetto in tutti i suoi aspetti, un album estremo che potrebbe trovare ammiratori anche tra gli amanti del metal più classico per via di intuizioni melodiche sopra le righe. Un acquisto obbligato.

TRACKLIST
01 Necromorphine Awakening
02 Vanity Unfair
03 The Black Line
04 Souldead
05 Pussywitch 666
06 No Crown for the Dead
07 Anti-Human Propaganda
08 Chains of Misery
09 Celebration of the Weak
10 Usque Ad Finem
11 Channeling the Dark Sound of Cosmos

LINE-UP
Giulio Serpico Marini – Vocals, Guitars
Marco Montagna – Guitars, B.Vocals
Ivan Contini – Bass
David Folchitto – Drums

NERODIA – Facebook

Human Vivisection – The Perpetual Gap

Oscuro e pesantissimo, The Perpetual Gap vive su un impatto che non manca di fare danni, accontentando in quanto ad efferatezza sonora gli amanti dei genere

The Perpetual Gap è l’esordio discografico della band belga Human Vivisection, arrivata al primo full length a quattro anni dalla sua fondazione.

Brutal death metal in puro delirio di blast beat, un monolito di metallo estremo che ha nei classici cliché del genere la propria forza e non rinuncia a soluzioni che si avvicinano al grindcore, The Perpetual Gap vive di queste sensazioni estreme, senza compromessi e dall’impatto violentissimo.
Un’altra opera targata Rising Nemesis, label specializzata nel metal estremo di cui ci siamo occupati nella recensione riguardanti gli olandesi Korpse, band che si avvicina al sound del gruppo belga, anche se The Perpetual Gap come detto richiama specialmente nelle ritmiche il classico sound grind.
Il quintetto di Bree, opera un massacro a tutto tondo, sfoderando una prestazione al limite dell’umano nella potentissima sezione ritmica e lasciando al vocalist il compito di vomitare puro odio per il genere umano, violenze ed altre atrocità.
Trentacinque minuti di massacro sonoro che, anche in questo caso, non mancano di stancare un po’, complici soluzioni usate in tutti i brani così che, ad un approccio distratto, sembra di ascoltare lo stesso brano ripetuto all’infinito, questo è il difetto maggiore che si riscontra in questo ennesimo devastante lavoro in arrivo dal nord Europa.
Oscuro e pesantissimo, The Perpetual Gap vive su un impatto che non manca di fare danni, accontentando in quanto ad efferatezza sonora gli amanti dei genere, ma canzoni come Age of Disgust, la mastodontica Birth of a Defective Race e la super grindcore song che risulta Consumed by the 4th Dimension, faranno la gioia dei fans accaniti del death metal estremo, per tutti gli altri è consigliato di stare alla larga dagli Human Vivisection.

TRACKLIST
1. The Enigma of Subsistence
2. Age of Disgust
3. The Perpetual Gap
4. The Transmutation Program
5. Feed the Warmachine
6. From Blaspheme to Viscera
7. Birth of a Defective Race
8. Consumed by the 4th Dimension
9. Indulging in the Downfall
10. Creation of the Spiritual Machines
11. The Inevitable Confine of Existence

LINE-UP
Roy Feyen – Guitar
Sonny Hanoulle – Guitar
Yenthe Meeus – Vocals
Robbie Cuypers – Bass
Olivier Smeets – Drums

HUMAN VIVISECTION – Facebook

Korpse – Unethical

Unethical scarica dosi letali di violenza, i brani si succedono uno dopo l’altro in un’atmosfera di delirio, dove torture, abominevoli amputazioni e blasfemie varie sono il pane quotidiano.

Rientriamo dopo un po’ di tempo nei meandri insani del death metal estremo con il brutale combo olandese dei Korpse, quartetto di Bussum foriero di un devastante slam brutal death metal.

Il gruppo attivo dal 2013 licenzia il suo secondo lavoro, successore del debutto omonimo uscito un paio di anni fa, e conferma tutto il suo impatto anche su questo nuovo lavoro, un assalto brutale senza soluzione di continuità per oltre mezzora di carneficina in musica.
I musicisti che formano la band sono tutti di buona esperienza avendo militato in molte realtà della scena e si sente, l’aggressione è più di quanto violento e brutale si possa immaginare, sempre perennemente ancorato ai cliché del genere, ma valorizzato da una carica a dir poco esplosiva.
Come un vento atomico che travolge senza pietà il sound del gruppo alterna passaggi in blast beat a rallentamenti e slamming potentissimi, il growl animalesco fa il resto valorizzando l’approccio senza compromessi dei Korpse.
Unethical scarica dosi letali di violenza, i brani si succedono uno dopo l’altro in un’atmosfera di delirio, dove torture, abominevoli amputazioni e blasfemie varie sono il pane quotidiano.
Ottima la prova di una sezione ritmica che avanza come un carro armato (Mart Wijnholds al basso e Marten van Kruijssen alle pelli) e dove la sei corde di Floor van Kuijk lancia grida lancinanti torturate dall’axeman olandese.
Sven van Dijk vomita rabbia e crudeltà nel microfono con il suo growl da orco indemoniato, mentre siamo già arrivati all’ultimo brano in uno tsunami di sangue e arti.
Un difetto, che è molto facile riscontrare nei gruppi dediti a queste sonorità, è la somiglianza tra le canzoni che fa di Unethical un unico blocco di brutale metal estremo ed un lavoro che, comunque, gli amanti del genere sicuramente apprezzeranno.

TRACKLIST
1. Conquer
2. Collateral Casualties
3. Incinerate
4. Deformed to the Extreme
5. Stoneage
6. Cleaning the Aftermath
7. Cannibal Warlords
8. Unethical
9. Retaliation
10. Monastery Waste
11. Eternal Misery

LINE-UP
Mart Wijnholds – Bass
Marten van Kruijssen – Drums
Sven van Dijk – Vocals
Floor van Kuijk – Guitars

KORPSE – Facebook

Duality – Elektron

Un album riuscito che offre sicuramente all’ascoltatore la piacevole sensazione di essere al cospetto di un gruppo sopra la media

Death metal, jazz e musica classica, uniti ad un buon spirito progressivo: Elektron, primo lavoro di questa band italiana, si può certamente spiegare in così poche parole.

Nati nell’ormai lontano 2002 i Duality arrivano solo ora al primo lavoro sulla lunga distanza: nella loro discografia compaiono solo due mini cd. il primo demo uscito più di dieci anni fa e l’ep Chaos_Introspection, del 2011.
Si sono presi quindi il loro tempo per arrivare al traguardo del full length, ma il risultato non può che essere soddisfacente, sia per la band che per i fans del technical death metal nobilitato da partiture classiche e jazz/fusion.
Il genere, portato all’attenzione degli appassionati di musica estrema da gruppi storici come Cynic e Atheist, per certi versi ormai non sorprende più, ma non è questa la virtù principale di Elektron, che si snoda piacevolmente lungo otto brani dove la furia del death metal incontra e va a braccetto con queste differenti atmosfere, all’apparenza lontane, ma come ben sanno gli amanti di questi suoni, mai così vicini ed in armonia.
Il metal estremo del quale il gruppo fa buon uso si avvicina a soluzioni più moderne e core, la violenza sprigionata e l’ottima produzione risaltano il lavoro delle chitarre e, soprattutto, della sezione ritmica davvero sopra la media, mentre l’appropriato uso del violino e la pregevole tecnica strumentale alzano la qualità generale del disco.
Non manca, a mio parere, come in molte opere di questo tipo, una vena progressive, magari nascosta tra le pieghe delle sfumature jazz/fusion, ma presente ad un ascolto attento, facilitato dal songwriting dal buon livello del gruppo marchigiano.
La sensazione che Elektron lascia è quella di un album che, pur nella sua non facile interpretazione, specialmente per chi non è avvezzo a tali sonorità, tiene molte porte aperte per fare in modo di entrare dentro all’anima del disco senza troppa fatica; la musica scorre come l’acqua cristallina di un ruscello, senza trovare ostacoli, i vari passaggi dalle parti estreme a quelle jazzate sono perfettamente bilanciate, così come l’ottimo growl porta con sé la rabbia estrema mantenendo il mood core.
Un album da ascoltare nella sua interezza, non si riscontrano cedimenti per tutta la sua durata lasciando agli undici minuti della conclusiva Hanged On A Ray Of Light il compito di riassumere il credo musicale del gruppo italiano.
Sicuramente un album riuscito che, anche se non porta grosse novità, offre sicuramente all’ascoltatore la piacevole sensazione di essere al cospetto di una band sopra la media: il futuro ci dirà se, finalmente, i Duality troveranno quella costanza nelle uscite discografiche che diventa basilare per non essere dimenticati in fretta.

TRACKLIST
1. Six Years Locked Clock
2. Azure
3. Chaos_Introspection
4. Along the Crack
5. Motions
6. Plead for Vulnerability
7. Hybrid Regression
8. Hanged on a Ray of Light

LINE-UP
Tiziano Paolini – Bass
Dario Fradeani – Drums
Diego Bellagamba – Guitars
Giuseppe Cardamone – Vocals, Guitars, Violin

DUALITY – Facebook

VV.AA. – Thirteeen: An Ethereal Sound Works Compilation

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Sono ben 19 i brani contenuti in questa raccolta piuttosto esaustiva con la quale il buon Gonçalo esibisce i suoi gioielli, anche quelli più preziosi ma, purtroppo, non più attivi come i Vertigo Steps.
Così, in questo caleidoscopio di suoni ed umori, troviamo il metal con il death dei Rotem e il power/thrash degli Hourswill, il rock alternativo di Secret Symmetry, Painted Black, Dream Circus e Artic Fire, il punk di The Levities, Chapa Zero e Punk Sinatra, il dark di And The We Fall, Rainy Days Factory e My Deception, l’indie dei The Melancholic Youth Of Jesus, il folk dei Xicara , la sperimentazione pura dei Fadomorse e l’ ambient degli Under The Pipe e dei Soundscapism Inc., quest’ultimo fresco progetto di Bruno A., successivo allo split dei Vertigo Steps, qui rappresentati dalla splendida Silentground.
L’eclettismo è il vero marchio di fabbrica della ESW, grazie alla quale abbiamo la possibilità di constatare come in Portogallo si produca tanta musica di qualità, in più di un caso oggetto delle nostre recensioni (che possono essere lette nella sezione sottostante denominata articoli correlati).
Non ci sono solo i Moospell o il fado, quindi, a rappresentare il fatturato musicale lusitano, e questa compilation offre una ghiotta possibilità di farsi un’idea più precisa di quel movimento, portando alla luce diverse realtà oltremodo stimolanti.

Tracklist:
1.Secret Symmetry – Disarray And Silver Skies
2.Vertigo Steps – Silentground
3.Painted Black – Quarto Vazio
4.Hourswill – Atrocity Throne
5.My Deception – Daylight Deception
6.Dream Circus – Ticking
7.Rotem – The Pain
8.The Levities – Split Lip
9.Chapa Zero – Vai Lá Vai
10.Punk Sinatra – Nunca Há Paciência
11.Under The Pipe – No Need Words
12.Artic Fire – Running
13.The Melancholic Youth Of Jesus – Insensivity
14.And Then We Fall – Ancient Ruins
15.Rainy Days Factory – Deep Dive
16.Fadomorse – Deicídio
17.Xícara – Cantiga (Deixa-te Estar na Minha Vida)
18.Dark Wings Syndrome – In My Crystal Cage (2015)
19.Soundscapism Inc. – Planetary Dirt

ETHEREAL SOUND WORKS – Facebook

Circle Of Indifference – Welcome To War

Welcome To War è un’altra nera perla estrema targata Circle Of Indifference

Piano piano, uno alla volta, tornano con nuovi lavori tutti i gruppi che un paio di anni fa, chi più chi meno, avevano impreziosito con album dall’elevata qualità l’underground metallico.

Questa volta tocca ai Circle Of Indifference del polistrumentista svedese Dagfinn Övstrud, realtà scandinava dalle potenzialità enormi confermate anche in questo bellissimo lavoro che ci invita senza mezzi termini alla guerra.
Infatti il mood dell’album è molto più in your face rispetto al suo splendido predecessore, anche se Övstrud non ci fa certo mancare il suo incredibile talento per melodie in piena overdose da scandinavian melodic death metal.
Al microfono troviamo, come su Shadows Of Light, il vocalist belga Brandon L. Polaris, ma gli ospiti non si fermano qui con le performance di Kostas Vassilakis (Infravision) alle tastiere ed alle pelli e la chitarra solista di Tyler Teeple.
Prodotto ottimamente da Övstrud, Welcome To War ci invita alla distruzione totale con i primi due brani, Concription e Einberufung (Conscription), pesantissimi, epici e battaglieri, che vedono la band esplorare il lato più duro e drammatico della propria anima musicale, avvicinandosi al puro death metal scandinavo.
Arriva From This I Depart e si torna a cavalcare l’onda del primo lavoro, il riff melodico che sostiene il brano è di una bellezza straordinaria e la voce pulita si alterna al growl cattivissimo di Polaris in un crescendo emozionale elevatissimo.
Neanche il tempo di metabolizzare questo splendido brano che l’elettronica si impossessa della progressiva Menschenmörder (Murderer Of Man), regalando emozioni a non finire e tornando al songwriting stellare della prima opera tra Edge Of Sanity e Pain.
Welcome To War è marziale, monolitica e con un mood da tregenda, le tastiere addolciscono leggermente l’atmosfera pesante di questa death metal song, mentre la voce pulita dai toni disperati di Kein Entkommen (No Escape) sembra non dare speranza, ma quando tutto è perduto un assolo classico e melodico, accompagnato dai tasti d’avorio di chiara ispirazione prog, riaccende una flebile speranza.
Veil Of Despair è irruente ed aggressiva in un crescendo che porta ad una parte strumentale da brividi, con i musicisti ad impartire sotto la guida del leader lezioni di metallo estremo, devastante e melodicissimo.
Ein Akt Der Güte (An Act Of Kindness) chiude, con i suoi abbondanti sette minuti, questa nuova e splendida opera estrema, lasciando che tutto il mondo dei Circle Of Indifference si apra all’ascoltatore, investito da uno tsunami di death metal melodico sopra le righe, potente, maturo, progressivo ma oltremodo drammatico e violento.
Welcome To War è un’altra nera perla estrema targata Circle Of Indifference: se il primo lavoro risultava una piacevole sorpresa, la conferma di essere al cospetto di un grande compositore e musicista l’avrete nel momento di mettere l’elmetto, imbracciare il fucile e scendere in trincea … Benvenuti alla guerra.

TRACKLIST
01.Concription
02.Einberufung (Conscription)
03.From This I Depart
04.Menschenmörder (Murderer Of Man)
05.Welcome To War
06.Kein Entkommen (No Escape)
07.Veil Of Despair
08.Ein Akt Der Güte (An Act Of Kindness)

LINE-UP
Dagfinn Övstrud – Guitars, bass and additional keyboards
Kostas Vassilakis – Keyboards, Drums
Tyler Teeple – Guitars
Brandon L. Polaris – Vocals

CIRCLE OF INDIFFERENCE – Facebook

Throne Of Heresy – Antioch

Un album compatto con molti momenti sprizzanti grande musica estrema e nessun calo in tutti i suoi quaranta minuti di durata

Il Death Metal è un genere affascinante, da quando più di vent’anni fa le orde di truppe assatanate invasero il mondo scendendo in parte dal nord europa e per l’altra metà, attraversando l’oceano, in viaggio dal nuovo continente, il genere si è sviluppato in una miriade di ramificazioni, tutte portando in se realtà entusiasmanti.

Certo, come in tutti gli altri generi che compongono il variegato mondo metallico, anche il death ha visto band qualitativamente parlando mediocri, ma il trend rimane molto alto, soprattutto quando incipt viene dall’old school e dalla famigerata scena scandinava.
Il gruppo di Linköping (Svezia) è l’esempio lampante di come il genere produca continuamente gruppi di notevole spessore, ed il loro Antioch ribadisce l’ottima salute che gode il death metal scandinavo in questi anni, ritornato nell’underground, dopo i fasti degli anni novanta, ma li dopo essersi leccato le ferito, tornato a far male.
I Throne Of Heresy arrivano, con questa notevole bomba sonora, al secondo lavoro sulla lunga distanza, finalmente con un’etichetta in appoggio, dopo i due lavori autoprodotti, The Stench of Deceit, esordio sulla lunga distanza del 2012 e l’ep Realms of Desecration di tre anni fa.
Antioch non fa prigionieri, un assalto scandinavian death agguerrito e furente con piccole dosi letali di black metal scuola Behemoth che, sporcano il sound di nera pece, letale e ma allo stesso tempo melodico nei solos che spiazzano su riffoni pesanti come incudini.
Produzione perfetta, growl che scatena gli istinti più animaleschi ed una raccolta di brani che stritolano, staccano carne a brandelli come investiti da un cingolato, mordono e si accaniscono sui poveri resti come belve demoniache.
Velocità e lenta pesantezza, melodie e aggressività, una discesa senza freni nel death metal, come lo si suona nei freddi paesi su al nord, tecnica invidiabile e songwriting di elevata qualità fanno di Antioch un must per gli amanti del genere, specialmente per i fans della vecchia guardia, abituati a farsi massacrare dalle opere di Hypocrisy, primi Edge Of Sanity, Arch Enemy e compagnia nordica.
Un album compatto con molti momenti sprizzanti grande musica estrema e nessun calo in tutti i suoi quaranta minuti di durata, in poche parole un gigantesca mazzata made in Sweden … What else?

TRACKLIST
1. The God Delusion
2. Serpent Seed
3. Nemesis Rising
4. Flagellum Daemonum
5. Exordium
6. Black Gates of Antioch
7. Blood Sacrifice
8. Phosphorus
9. Souls for the Sepulchre
10. Where Bleak Spirits Pass

LINE-UP
Mathias Westman- Drums
Tomas Göransson- Guitars
Björn Ahlqvist- Bass
Thomas Clifford- Vocals
Michael Edström- Guitars

THRONE OF HERESY – Facebook

Eshtadur – Oblivion Ep

Gli Eshtadur sanno dove vogliono andare e possono fare molte cose grazie anche alla loro ottima tecnica, che unita ad una composizione molto buona rende la miscela esplosiva.

Dalla Colombia un bel disco di death metal con forti connotazioni sinfoniche e soprattutto con un bel groove.

Originari della provincia di Bogotà gli Eshtadur sono l’ennesima dimostrazione che il metal in America Latina è una cosa seria, ben fatta e con connotazioni tipicamente sudamericane, come la ricerca delle melodie.
Questo disco è la quarta uscita dopo il demo del 2007 e conferma la grande salute di un gruppo che è molto al di sopra della media.
Il loro suono riesce ad essere cattivo ed allo stesso tempo fortemente accattivante, con un gran bel tiro molto vicino a quel suono scandinavo che portava la firma di At The Gates, Grave  e compagnia.
Gli Eshtadur sanno dove vogliono andare e possono fare molte cose grazie anche alla loro ottima tecnica, che unita ad una composizione molto buona rende la miscela esplosiva.

TRACKLIST
01. In a Trance With Darkness
02. Last Day of the Condor
03. Heavens to the Ground
04. The Currency of My Empire
05. The Rebellion

LINE-UP
Vocals – Jorge Lopez
Guitar – Diego Rodriguez
Guitar – Lib Mahecha
Bass – Didier Marin
Drums – Diego Torres

ESHTADUR – Facebook