Selfmachine – Societal Arcade

Societal Arcade è un album interessante, sempre in bilico tra l’irruenza del metal moderno ed il post grunge, a mio parere ancora più accentuato che sul primo album e con qualche ideuccia niente male per attirare sempre più fans.

Tempo di ritorni discografici in casa Wormholedeath, con Societal Arcade, secondo lavoro del quintetto olandese dei Selfmachine,  seguito del debutto Broadcast Your Identity uscito tre anni fa.

E la band orange conferma i buoni riscontri del primo lavoro, aggiungendo quei tre anni in più di esperienza che male non fanno, specialmente se si ha avuto la possibilità di suonare in giro ed accompagnare band del calibro dei The Agonist.
E così, mentre il genere arranca inflazionato da centinaia di uscite, la band olandese raggiunge il nostro paese e con la benedizione della WormHoleDeath si chiude nei Realsound Studios per dare un seguito al proprio debutto, con un aiutino niente male in fatto di mix e mastering (Waldemar Sorychta e Dennis Koehne) e tanto entusiasmo.
Ne esce un album interessante, sempre in bilico tra l’irruenza del metal moderno ed il post grunge, a mio parere ancora più accentuato che sul primo album e con qualche ideuccia niente male per attirare sempre più fans.
Il quintetto quando spara non si fa problemi e mira ad altezza uomo, le violenti sfuriate tra nu metal e core sono presenti, così come il growl che accompagna le parti metalliche con autorevolezza, anche se il meglio i Selfmachine lo lasciano quando l’alternative rock ed il post grunge prendono il comando delle operazioni in un’orgia di note melodiche e di derivazione statunitense.
Against The Flow è la classica intro che funge da presentazione al disco e di ciò che l’ascoltatore troverà tra i solchi di Join The Hatetrain e Giddy Up!, alternative metal dall’appeal melodico migliorato esponenzialmente rispetto a qualche anno fa e perciò in grado di fare la differenza nel genere.
Due parole su No Cliché, ballad semiacustica che per molti sarà solo il solito brano post grunge ma che, al sottoscritto, ha fatto balenare in testa un nome storico e scomodo come quello dei Metallica.
Si torna a far male tra metal estremo e rock americano, l’oscura Superior, Avenge The Moment e la conclusiva varia e cangiante Luminous Beings accompagnano verso i titoli di coda questo ottimo Societal Arcade.

TRACKLIST
1.Against The Flow
2. Join The Hatetrain
3. Giddy-Up!
4.‘Normal’ People
5.Universe
6.No Cliché
7.Nothing’s Worth
8.Lifeblind
9.The Great Deception
10. The Valeyard
11. Superior
12. Avenge The Moment
13. Luminous Beings

LINE-UP
Steven Leijen – Lead Vocals
Mark Brekelmans – Bass, Vocals
Michael Hansen – Guitars, Vocals
John Brok – Lead Guitar, Vocals
Ben Schepers – Drums (On album)
Robin Boogaard – Drums

SELFMACHINE – Facebook

Carne – Modern Rituals

Le urla vibranti di Pierre Bozonet simboleggiano un’urgenza espressiva in grado di fare la differenza nei confronti di molte proposte, specialmente quelle in cui il fragore strumentale è volto esclusivamente a coprire un vuoto di ispirazione.

I francesi Carne sono l’emblema dell’essenzialità che non va a mai a discapito dell’intensità della musica proposta.

I due ragazzi di Lione propongono uno sludge/noise/post hardcore nel quale è presente una spiccata connotazione punk: non a caso la gran parte dei brani è intrisa di una furia che travalica ogni considerazione di carattere tecnico o stilistico, mentre gli accenni a rallentamenti più confacenti al doom vengono confinati alle due tracce (The End Of Us e Lord Less) nelle quali la voce viene affidata alla brava Marion Leclercq.
Per il resto, sono le urla vibranti di Pierre Bozonet a simboleggiare un’urgenza espressiva in grado di fare la differenza nei confronti di molte proposte, specialmente quelle in cui il fragore strumentale è volto esclusivamente a coprire un vuoto di ispirazione.
Se per mia indole ritengo comunque i brani più riflessivi i picchi di Modern Rituals (oltre ai due citati, anche Cloak) non posso fare a meno di godere dell’approccio ruvidamente diretto del resto del lavoro, con la convinzione che i due, specie dal vivo, riescano ad estrarre da sé stessi ogni residua stilla di energia da riversare sul pubblico.
E il segreto dei Carne, alla fine, sta proprio nella capacità di esibire uno stile che, nonostante appaia più che mai diretto e privo di mediazioni, in realtà sa scavare in profondità fino a fare breccia in maniera definitiva in chi abbia la pazienza e la voglia di farsi attraversare dalle note scagliate come dardi velenosi da Pierre Bozonet (voce e chitarra) e Thibaut Claisse (batteria).
Come sempre più spesso accade, l’album viene edito da un pool di etichette transnazionale, delle quali fanno parte anche le nostre Shove Records e Drown Within, con quest’ultima costantemente sul pezzo quando si tratta di diffondere suoni disturbanti che veleggiano tra sludge, postmetal, noise e doom.

Tracklist:
1. White Flag
2. Inked Mask
3. Bad Tooth
4. The End Of Us
5. Cloak
6. Collective Dictatorship
7. Northern Light
8. Lord Less

Line-up:
Thibaut Claisse – drums
Pierre Bozonet – guitars, vocals

Marion Leclercq – vocals on 4. And 8.

CARNE – Facebook

Scuorn – Parthenope

Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

Personalmente ritengo Parthenope un disco epocale per molti motivi. Prima di tutto per la musica che, d’accordo non è nulla di nuovo, ma viene eseguita come nel marmo dell’inferno. Poi per ciò che esprime: è il primo disco in metal che, utilizzando il dialetto, tratta di Napoli e della partenopeità, un concetto davvero affascinante ed ampio.

Partiamo dall’inizio.
Scuorn nasce nel 2008 per opera di Giulian, che qui nel disco compone e suona tutto, con validi aiuti che vedremo di seguito. Questo è il suo debutto discografico, ed è qualcosa di strabiliante. Innanzitutto il nome: Scuorn letteralmente vuol dire vergogna, ma è un concetto diverso da quello italiano, anzi quando ascolterete questo disco dimenticatevi dell’italiano, è solo un intralcio, calatevi nella lingua napoletana, poiché ha maggiori livelli di pensiero dell’italiano.
Parthenope è un concept album sulle storie e soprattutto sulle leggende greco romane di Napoli e dintorni, ogni canzone una leggenda. Le origini sono interessantissime e ancora misteriose, perché Napoli non mostra mai il suo vero volto, nemmeno oggi. Di Napoli abbiamo un’immagine comune, dei pregiudizi, ma Napoli è altro. Ogni volta che ci vai vedi un lato diverso, perché era una città cara agli dei, e questo disco ce lo fa capire molto bene. Scuorn narra di epicità perduta con un suono incredibile, che parte dal black metal sinfonico per andare ben oltre. Come coordinate sonore prendete dei Fleshgod Apocalypse più black, con un incedere però diverso, ma ugualmente magnifico, e questa è una delle forze del disco. Con loro Scuorn ha in comune il produttore, quello Stefano Morabito che si è occupato anche degli Hour Of Penance, ed è uno dei più bravi in giro, infatti la produzione di Parthenope è pressoché perfetta. Per le parti orchestrali Giulian si è avvalso della preziosa collaborazione di Riccardo Studer dei Stormlord, e il suo grandissimo lavoro si può ascoltare nel secondo disco dell’edizione speciale, che contiene le bellissime versioni orchestrali di ciascun brano. Dentro a questo immaginifico suono ci stanno le narrazioni di Giulian, che ci riporta indietro nel tempo, alla parte greca e romana della storia di questa città, che più che una città è una civiltà vera e propria. Notevolissimi sono i pezzi suonati con gli strumenti tipici di Napoli, uno su tutti il mandolino, che è anche nel simbolo del gruppo. Questi strumenti sono usati molto bene, inserendoli con gran cura nella narrazione: infatti, Averno è un pezzo strumentale che diventerà uno spartiacque, come Kaiowas per i Sepultura. Parthenope è un capolavoro assoluto, un atto d’amore e di odio entrambi incondizionati per una città che è uno stato d’essere, con radici occulte ed antichissime che nessuno mai prima d’ora aveva narrato in questa maniera. Qui dentro troverete quel sentire che solo a Napoli è possibile, il tutto usando il metal come codice e linguaggio per raccontare. Il metal, ed in particolare il black metal, è uno dei mezzi migliori per narrare storie epiche e sopratutto per raccontare le diversità e le peculiarità delle varie terre. E’ incredibile l’evoluzione di un genere che è nato per isolare ed invece è uno strumento formidabile di conoscenza e scambio, straordinario veicolo di storie e popoli. Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

TRACKLIST
1.Cenner e Fummo
2.Fra Ciel’ e Terr’
3.Virgilio Mago
4.Tarantella Nera
5.Sanghe Amaro
6.Averno
7.Sibilla Cumana
8.Sepeithos
9.Parthenope
10.Megaride
11.Cenner’ e Fummo (ORCHESTRAL VERSION)
12.Fra Ciel’ e Terr’ (ORCHESTRAL VERSION)
13.Virgilio Mago (ORCHESTRAL VERSION)
14.Tarantella Nera (ORCHESTRAL VERSION)
15.Sanghe Amaro (ORCHESTRAL VERSION)
16.Averno (ORCHESTRAL VERSION)
17.Sibilla Cumana (ORCHESTRAL VERSION)
18.Sepeithos (ORCHESTRAL VERSION)
19.Parthenope (ORCHESTRAL VERSION)
20.Megaride (ORCHESTRAL VERSION)

LINE-UP
Giulian

SCUORN – Facebook

Entity Of Hate – Cursed for Eternity

Un lavoro breve ma davvero notevole, alla luce di una freschezza impronosticabile quando ci si cimenta con sonorità in voga circa un ventennio fa.

I Diabolus Arcanium, gruppo di Chennai dedito ad un atmospheric black metal, sono stati protagonisti di un’evoluzione invero particolare: infatti, al posto della band originaria ne esistono oggi due, che si muovono però in due direzioni ben distinte.

La prima di queste si chiama Cybernation e, come da monicker, i suoi primi passi saranno improntati a sonorità industriali, mente la seconda, denominata Entity Of Hate, ha appena pubblicato sotto l’egida della Transcending Obscurity il proprio esordio, l’ep Cursed For Eternity.
Tra le due è quest’ultima a dare in qualche modo continuità a quando già fatto dalla band madre, visto che le pulsioni symphonic black vengono ancor più esasperate per approdare su un territorio a metà strada tra il melodic black/death di scuola finlandese (Norther, Kalmah e primi Children Of Bodom) e, ovviamente, i Dimmu Borgir, imprescindibili per chi si approccia a questo genere.
Più che alla maestosità del sound però, Hex, responsabile di questi tutti i suoni ad eccezione della chitarra ritmica a cura di Virgil, punta all’incisività delle parti soliste, che trovano la loro ideale sublimazione in un brano killer fin dalle sue prime note come la title track, decisamente difficile da schiodare dalla mente.
Il connubio tra le tastiere e le sei corde funziona ottimamente anche in Lovers & Prey e Heart Shaped Dagger, con la prima più orientata al black e la seconda che fa riemergere la vena heavy e melodica della traccia di apertura, mentre a livello vocale Hex si disimpegna bene anche se la specialità non appare in assoluto il suo punto di forza.
La strumentale Bloody Tears (Castlevania) non toglie e non aggiunge alcunché e, quindi, si rivela tutto sommato superflua nell’economia dell’ep, ma queste sono piccole smagliature all’interno di un lavoro breve ma davvero notevole, alla luce di una freschezza impronosticabile quando ci si cimenta con sonorità in voga circa un ventennio fa.
Non resta che attendere le prossime mosse di questa nuova “entità” proveniente dall’India: le basi per produrre qualcosa di notevole sono state indubbiamente poste.

Tracklist:
1. Cursed For Eternity
2. Lovers & Prey
3. Heart Shaped Dagger
4. Bloody Tears (Castlevania)

Line-up:
Hex – Lead guitars/Keyboards/Vocals/Bass & Drums on the track Castlevania
Virgil – Rhythm guitars
Karry – Bass (except on Castlevania)
Simon – Drums (except on Castlevania)

ENTITY OF HATE – Facebook

Talvienkeli – Hybris

Un album intenso ed entusiasmante per una band sopra la media che non mancherà di sbalordire gli amanti del genere, grazie a quel pizzico di originalità compositiva capace di fare la differenza.

Quando si ha a che fare con Wormholedeath non bisogna mai dare tutto per scontato altrimenti si rischia di rimanere perennemente un passo indietro alla musica prodotta dai gruppi presi sotto l’ala della label nostrana.

Nei vari generi di cui si occupa (ormai nel metal praticamente tutti) trova il suo spazio il metal sinfonico, anche se dei gruppi fin qui proposti non c’è un gruppo uguale all’altro e tutti di una personalità debordante ed un sound sempre fresco ed a suo modo originale.
Dai Norhod ai Levania, dagli Esperoza ai Tearless (tanto per nominarne alcuni) dall’Italia e dall’estero la label di Carlo Bellotti si circonda di eccellenze, scovando grande musica in giro per il continente e per l’occasione affondando gli artigli nell’anima degli ascoltatori con i francesi Talvienkeli.
Nome difficile da pronunciate , ma musica che vi entrerà dentro come un treno, sotto le note progressive raccolte in una bellissima opera intitolata Hybris.
Metal sinfonico, ma dalle intuizioni progressive sopra le righe, un’eleganza e raffinatezza compositiva che ha del miracoloso per un gruppo al primo full length (di precedente c’è solo Blooming Ep licenziato nel 2014) ed atmosfere dark gotiche che non scadono mai nel banale, ma rimangono a volteggiare come avvoltoi sulle trame intricate e, a tratti, dai rimandi settantiani con cui i Talvienkeli colorano il loro paesaggio musicale.
Capitanata da due ragazze, la singer Camille Borrelly, dotata di un talento interpretativo sopra la media, e dalla bassista Laëtitia Bertrand, che non le manda certo a dire e, con Paul Sordet forma una sezione ritmica tecnicamente ineccepibile, la band si compone ancora delle tastiere di Pierre Cordier e della sei corde di Pierre Besançon.
L’album si sviluppa in un’ora abbondante di musica, nobile e varia, mai scontata e suggestiva nell’alternare momenti in cui lo spartito strizza l’occhio al progressive rock, altri dove il metal si fa spazio tra le linee portanti del sound per avvicinarsi al prog metal classico, e bellissime fughe sinfonico-gotiche, nelle quali il gruppo torna sulla terra mantenendo un alto tasso qualitativo.
Ovviamente la teatralità la fa da padrona (sono francesi, l’hanno nel sangue), e con note ed atmosfere d’altri tempi e la stupenda voce che intona canti suggestivi, veniamo trasportati in un sogno musicale, ora lieve e dolcissimo, ora elettrizzato da una tensione che si fa drammatica, ma mai violenta.
Le due parti di Hybris (Part II: Dégénérescence e Part I: Bienveillance) poste in apertura e chiusura dell’opera sono in pratica il sunto della musica del gruppo di Lione, ma a sentir bene l’album regala emozioni a profusione anche tra le loro dirimpettaie tra cui Raining Moon, raffinato brano attraversato da una ventata dark wave, e Atlas, brano prog simphonic gothic che esplode in un trionfo di note sontuose.
Un album intenso ed entusiasmante per una band sopra la media che non mancherà di sbalordire gli amanti del genere, grazie a quel pizzico di originalità compositiva capace di fare la differenza.

TRACKLIST
1.Hybris Part II: Dégénérescence
2.Burning Flesh
3.Immortal
4- The Explorer
5.Quill Of Dust
6.Atlas
7.Raining Moon
8.Deadly Nightshade
9.Scream-Her
10.Hybris Part I: Bienveillance

LINE-UP
Camille Borrelly – Vocals
Pierre Cordier – Keyboards
Pierre Besançon – Rhythm Guitars
Laëtitia Bertrand – Bass
Paul Sordet – Drums

TALVIENKELI – Facebook

Red Harvest – HyBreed

The Soundtrack to the Apocalypse: ristampa fondamentale per una band geniale e avvincente, da maneggiare con cura …

Ogni anno il mondo musicale è sommerso da grandi quantità di materiale e diventa sempre più difficile, anche per chi si diletta come “cercatore d’oro”, seguire tutte le uscite, nuove o ristampe che siano; in questo caso rischia di passare inosservata la reissue di un autentico capolavoro della leggenda underground norvegese Red Harvest, band attiva fin dal lontano 1989 con il demo Occultica, con il suo suono claustrofobico figlio di commistioni industrial, death, doom e ambient.

La ristampa in questione, Hybreed, presentata in un elegante confezione accompagnata da una copertina virata rosso deserto e con un secondo cd contenente un concerto reunion del 2013, presenta il loro apice creativo, anche se i successivi quattro full esalteranno e completeranno il loro percorso artistico. L’opera, uscita nel 1996 per Voices of Wonder, si articola su undici brani che presentano un grande varietà di suoni miscelati sapientemente tra loro, a partire dal opener Mazturnation, breve, ma intenso urlo ribelle di entità aliene alla natura bizzarra, per poi proseguire con il lento cammino di un’anima ruggente in Lone Walk; l’incipit di questa opera è già magistrale ma è con il prosieguo dei brani che si rimane stupefatti di fronte alla magnificenza regalataci da cinque grandi artisti: Mutant, urgente messaggio da un futuro graffiante e oscuro, After All, quattro minuti in cui sembrano scontrarsi oscuri eserciti di anime bruciate che ci narrano di inferni micidiali, l’oasi elettroacustica lugubre e metropolitana di Ozrham, screziata da fredde percussioni anticipa lo zenith On sacred ground, dove una maestosa melodia si apre lentamente in un mondo pesante, plumbeo e greve: un brano veramente magnifico! La materia fluttuante e le cascate laviche che accompagnano The Harder they fall trovano fugace quiete nell’ottavo brano Underwater, dove il lento salmodiare è squarciato da strali improvvisi di oscura luce; gli ultimi tre brani, Monumental, In deep (sinistra ambient) e The Burning wheel, portano a completa sublimazione l’arte di una band che tanto ha dato e poco o niente ha ricevuto. Ripetuti ascolti porteranno assuefazione e gioveranno allo spirito in questi tempi privi di certezze; la promessa da parte della band di un comeback discografico nel 2017 ci lascia speranzosi di poter ascoltare altre meraviglie.

TRACKLIST
1.Maztürnation
2.The Lone Walk
3.Mutant
4.After All…
5.Ozrham
6.On Sacred Ground
7.The Harder They Fall
8.Underwater
9.Monumental

CD2
1.In Deep
2.The Burning Wheel
3.Live BlastFest 2016
4.Omnipotent
5.The Antidote
6.Hole in Me
7.Godtech
8.Cybernaut
9.Mouth Of Madness
10.Sick Transit Gloria Mundi
11.Absolut Dunkel-Heit

LINE-UP
Jimmy Bergsten – Vocals, Guitars, Keyboards
Cato Bekkevold – Drums
Thomas Brandt – Bass
Ketil Eggum – Guitars
Lars Sørensen – Samples, Keyboards

RED HARVEST – Facebook

Ravenscry – The Invisible

Il bello di The Invisible è l’energia dispensata dalla band, con le parti più atmosferiche che fanno da preludio a brani sapientemente metallici.

Che i nostrani Ravenscry non fossero la solita gothic metal band era stato ampiamente dimostrato dal bellissimo The Attraction Of Opposites, album uscito tre anni fa che metteva in luce il talento compositivo del gruppo milanese e la bravura della cantante Giulia Stefani.

Con il nuovo album intitolato The Invisible il gruppo va oltre, creando un concept dal taglio moderno dove metal, dark e gothic rock si fondono per donare un’ora di magia musicale intrigante e matura.
Un concept, quindi, una storia che si articola su diciannove brani tra intermezzi, intro ed outro, atmosfere intimiste ed altre molto più energiche dove spicca il talento della Stefani, ancora una volta fiore all’occhiello dei Ravenscry, così come il songwriting, questa volta davvero superlativo.
Non è certamente il primo e non sarà neanche l’ultimo, ormai i concept album si sprecano tra le uscite che a ritmo frenetico invadono il mercato, ma nell’opera dei Ravenscry c’è qualcosa in più, che porta l’ascoltatore oltre la storia per assaporare le varie sfumature offerte dalla musica.
Coral è una giovane bibliotecaria che scopre sulla copertina di un libro un luogo della sua infanzia e così, nella necessità di ritrovare questo misterioso luogo, la ragazza inizia un viaggio anche interiore, un’avventura raccontata dal gruppo dispensando metal/rock dal taglio dark.
Il bello di The Invisible è l’energia profusa dalla band, con le parti più atmosferiche che fanno da preludio a brani sapientemente metallici, nei quali non mancano solos dal retrogusto classico che si frappongono ad una struttura modern metal, con la cantante che elargisce qualità canore ancora più stupefacenti che nel precedente lavoro.
Basterebbe The Deepest Lake come esempio della capacità compositiva dei Ravenscry che, tra ritmiche al limite del prog ed una struttura metallica, lasciano alla cantante lo spazio necessario per portare il brano ad un livello altissimo, emozionando non poco.
Fortunatamente ogni brano vive di luce propria, da quelli più lunghi ed articolati (Hypermnesia, The Mission) a quelli più diretti (Coral – As Seen By Others) e vanno a comporre un’opera riuscita in pieno, confermando non solo la bravura del gruppo milanese, ma lo stato di salute di una scena italiana che ormai fa la voce grossa in gran parte dei generi del metal.

TRACKLIST
1. The Entaglement
2. Whispered Intro
3. Hypermnesia
4. Coral (as seen by others)
The librarian talks about Coral
5. The Mission
6. Monsters Inside
The director of the institute talks about Coral
7. The Invisible Revolution
8. The teacher talks about Coral part 1
9. The Deepest Lake
10. The grandmother talks about Coral
11. More Than Anything
12. The teacher talks about Coral part 2
13. Nothing But A Shade
14. Nora talks about Martin
15. Oscillation
16. In Collision
17. The Magic Circle
Martin talks with Coral part 1
18. Flux Density
19. Overload
Martin talks with Coral part 2

LINE-UP
Giulia Stefani – vocals
Paul Raimondi – guitars
Mauro Paganelli – guitars
Andrea Fagiuoli–bass
Simon Carminati – drums

RAVENSCRY – Facebook

Ironbite – Blood & Thunder

Un buon album, magari fuori tempo massimo e da consumare se avete qualche primavera in più, ma in tempi di valorizzazione dei suoni old school, anche il sound degli Ironbite troverà senz’altro degli estimatori.

Un’altra proposta interessante da parte della label tedesca STF, con il terzo album degli Ironbite, metal band attiva da quasi dieci anni e con due lavori autoprodotti alle spalle, No Fate (2009) e Rise And Fall” (2012).

Blood & Thunder segue l’ormai consolidato sound del gruppo, un hard & heavy classico, irrobustito da potenza power, old school nell’approccio e senza compromessi per piacere ai metallers duri e puri, sopravvissuti agli ultimi tre decenni di musica metal, con i piedi ben saldi negli anni ottanta.
Musica da motociclisti, metal on the road ed inni da raduni, Blood & Thunder è ricco di atmosfere che riconducono a questo stile di vita, ed il sound ripercorre le strade mangiate a ritmo di Accept, Saxon e qualche accenno maideniano, nei solos e in qualche riff, sparso per questo piccolo altare eretto per glorificare l’hard & heavy ignorante e diretto.
Il quintetto tedesco non si risparmia, e i brani colmi di attitudine da rockers navigati, sono l’emblema di un certo tipo di fare hard rock, tra metal e rock ‘n’ roll, meno punk di quello dei Motorhead e più vicino alla new wave of british heavy metal.
Tra le tracce, spiccano la cavalcata The Doomsayer, la seguente Moonshine Dynamite che ricorda i Thin Lizzy, il mid tempo su cui è strutturata la potente Hellride e la conclusiva Hammer Of Justice, dal riff sassone e orgogliosamente epica.
Un buon album, magari fuori tempo massimo e da consumare se avete qualche primavera in più, ma in tempi di valorizzazione dei suoni old school, anche il sound degli Ironbite troverà senz’altro degli estimatori.

TRACKLIST
1.A Glorious Mess
2.Keep the Rage
3.Unleashed
4.D.E.A.D.B.E.A.T
5.The Doomsayer
6.Moonshine Dynamite
7.When Blood Runs Cold
8.Behind the Mask of a Faceless Man
9.Hellride
10.Black Death
11.Hammer of Justice

LINE-UP
Lucas Schmidt – Guitar
Danilo Licht – Guitar
Niklas Litzrodt – Bass
Samuel Sachse – Drums
Sebastian Sachse – Vocals

IRONBITE – Facebook

Frowning – Extinct

Un’ora di ottima musica che arriva a consolidare le posizioni del nome Frowning tra le realtà di spicco del funeral doom del nuovo secolo.

Tre anni dopo l’ottimo Funeral Impressions ritorna Val Atra Niteris con il suo progetto funeral doom Frowning.

Il nuovo parto si intitola Extinct ed appare quale naturale sviluppo di quel cammino intrapreso dal musicista tedesco all’inizio del decennio, attraverso alcuni singoli prima di affacciarsi con decisione sulla scena con lo split album del 2014 in compagnia degli Aphonic Threnody.
Se parlare di evoluzione nel funeral potrebbe essere improprio, non lo è invece utilizzare quale parola chiave “focalizzazione”, ovvero l’ideale passo verso il raggiungimento della perfezione formale e compositiva del genere.
Extinct rappresenta questo passaggio nel percorso dei Frowning: il funeral qui è interpretato in maniera quanto mai ortodossa ma non calligrafica e se l’opener Nocturnal Void è il brano che offre i maggiori spunti dal punto di vista melodico, nelle successive e più ripiegate su sé stesse Encumbered By Vermin e Veiled In Fog il sound mantiene il suo incedere dai ritmi bradicardici, trovando poi la sua quintessenza in Buried Deep, traccia di venti minuti che si pone quale manifesto musicale del musicista della Sassonia.
Le influenze nei Frowning sono molteplici, ma nessuna di esse appare particolarmente marcata: la lentezza portata talvolta alle estreme conseguenze è senz’altro riconducibile ai connazionali Worship, mentre il senso melodico ed atmosferico, più che a fonti di ispirazioni dichiarate e ben presenti quali Mournful Congregation ed Evoken, paiono essere assimilabili a campioni del funeral emotivo quali Ea o Eye Of Solitude; la bontà del lavoro di Val Atra Niteris risiede appunto nel sapere fondere con maestria tutto il vissuto del genere, per poi riversarlo in un modus compositivo che si trasforma in un’esibizione pressoché perfetta del genere (con il raggiungimento, appunto, di quell’obiettivo di ci si diceva in precedenza).
A livello soprattutto di curiosità va citata la versione della celeberrima Marcia Funebre di Chopin (volendo, lo si potrebbe considerare “il primo brano funeral della storia”, ma qualcuno più ferrato di me nella musica classica magari mi confuterà scovando qualcosa di anteriore…) anche se, personalmente, l’avrei omessa lasciando che l’album si chiudesse con le ultime note della splendida Buried Deep.
Poco male, quando resta quasi un’ora di ottima musica che arriva a consolidare le posizioni del nome Frowning tra le realtà di spicco del funeral doom del nuovo secolo.

Tracklist:
1.Nocturnal Void
2.Ecumbered By Vermin
3.Veiled In Fog
4.Buried Deep
5.Frederic Chopin’s Marche Funebre

Line-up:
Val Atra Niteris

FROWNING – Facebook

Ex Deo – The Immortal Wars

Terzo concept dedicato alla storia della civiltà romana da parte di Maurizio Iacono, che con gli Ex Deo ci porta in mezzo alla guerre puniche grazie al suo death metal epico ed orchestrale.

Maurizio Iacono mette a riposo gli inossidabili e (a mio parere) sottovalutati Kataklysm e rispolvera quella che, di fatto, è la sua creatura nata per dare sfogo alla passione per la storia della civiltà romana, gli Ex Deo.

Dopo Romulus (2009) e Caligvla (2012) è giunta l’ora delle guerre puniche e dei due protagonisti principali di questo periodo storico, con la prima parte del concept dedicata ad Annibale e la seconda a Publio Cornelio Scipione.
Il sound non si discosta da quello che Iacono ha voluto dare alla sua creatura fin dal principio e, accompagnato da praticamente tutti i membri della band madre, tratteggia questo quadro storico con un death metal orchestrale e cinematografico, assolutamente epico e perfetto per raccontare la storia e le vicende di una delle civiltà più importanti della storia.
In mid tempo quadrati come l’opener The Rise Of Hannibal, la parte sinfonica trasforma il tutto in una marcia magniloquente, mentre il vento fa turbinare la neve ghiacciata che disturba il cammino degli elefanti nella drammatica ed avventurosa Crossing Of The Alps, dove la sezione ritmica dà il meglio di sé (Dano Apekian al basso e Olivier Beaudoin alle pelli) e Iacono, come un oratore, distribuisce cultura sotto il segno di un growl che, come abitudine, si incattivisce in un raggelante e quanto mai terribile scream nelle parti più violente.
Suavetaurilia è un’intermezzo sinfonico che conduce alla seconda parte dell’album ed alla mostruosa Cato Major: Carthago Delenda Est!: qui le due chitarre (Jean-François Dagenais e Stéphane Barbe) si scontrano con un’orchestrazione suggestiva , mentre il vocalist interpreta il brano con trasporto come se lui stesso comandasse le legioni romane contro i nemici cartaginesi; ci avviciniamo così all’apoteosi epica riservata al trio di tracce che inizia con l’indomabile Ad Victoriam (The Battle of Zama), passa per la violentissima The Spoil Of War per lasciare alle mastodontiche orchestrazioni di The Roman il compito di concludere questa lezione di storia a cura di Maurizio Iacono e con la colonna sonora degli Ex Deo, che con questa opera si issano stabilmente sul podio del death metal dai rimandi epici e orchestrali.

TRACKLIST
1. The Rise of Hannibal
2. Hispania (The Siege Of Saguntum)
3. Crossing Of The Alps
4. Suavetaurilia (Intermezzo)
5. Cato Maior: Carthago Delenda Est!
6. Ad Victoriam (The Battle Of Zama)
7. The Spoils Of War
8. The Roman

LINE-UP
Maurizio Iacono – Vocals
Dano Apekian – Bass
Jean-François Dagenais – Guitars
Stéphane Barbe – Guitars
Olivier Beaudoin – Drums

EX DEO – Facebook

Athrox – Are You Alive?

Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

Si continua imperterriti a suonare heavy metal di ottima qualità nell’underground nostrano, una musica che ha mille modi per essere interpretata e vissuta, dagli Usa al Regno Unito, dall’Asia al centro del nostro bistrattato stivale (nella fattispecie Grosseto).

E’ appunto dalla città toscana che arrivano gli Athrox, giovane gruppo formato nel 2014 e che debutta per Red Cat con Are You Alive?, una mazzata di power thrash devastante, un ritorno al metal staunitense con la M maiuscola:
il quintetto si affaccia senza indugi sulla scena metallica, con un album davvero ispirato, una produzione che ne esalta la potenza, un singer di razza e chitarre che lanciano il loro drammatico grido di battaglia tra ritmiche thrash, solos fiammeggianti ed arpeggi acustici, che stemperano i watts ma non la tensione.
Non c’è tregua in Are You Alive?: i brani, uno dopo l’altro, sono mitragliate power thrash che non fanno prigionieri, mentre il meglio della scuola statunitense ci passa davanti come in una metallica passerella.
Gli argomenti trattati, tutti d’attualità e di denuncia verso i mali che affliggono il genere umano, sono accompagnati dalla devastante potenza drammatica ed oscura della scuola a stelle e strisce, e diventa difficile scegliere un brano piuttosto che un altro tanto è alto il livello di questo lavoro.
Frozen Here,  Warstorm e Gates Of Death sono il fantastico trittico iniziale, una bomba sonora che lascia senza fiato, con Crimson Glory, Metal Church e Vicious Rumors a rappresentare le fonti di ispirazione degli Athrox, mentre  End Of Days e la title track si elevano ad esempi fulgidi della qualità insita nel metal suonato dal gruppo.
Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

TRACKLIST
1. Losing Your Gods
2. Frozen Here
3. Warstorm
4. Gates of Death
5. Remember the Loneliness
6. Pretend You
7. My Downfall
8. Waiting for the Eden
9. End of Days
10. Are You Alive?
11. Obsession

LINE-UP
Giancarlo Picchianti – Vocals
Sandro Seravalle – Guitars
Francesco Capitoni -Guitars
Andrea Capitani – Bass
Alessandro Brandi – Drums

ATHROX – Facebook

Evil Priest – Evil Priest

Le atmosfere catacombali che aleggiano su tutto l’ep, il growl che spunta da un buco collegato al centro degli inferi ed il senso di morbosa devastazione, lo rendono un nero gioiellino, da ascoltare se si è amanti del metal estremo dalle venature più malvagie.

MetalEyes vola virtualmente in Sudamerica, precisamente in Perù, per incontrare gli Evil Priest, trio estremo nato nei meandri nascosti e diabolici di Lima.

L’ep omonimo, primo parto malefico del gruppo è disponibile in musicassetta, altra prova dell’approccio assolutamente underground dei tre musicisti peruviani, che hanno consegnato la loro musica nelle mani della Caligari Records.
Death/black feroce e senza compromessi, aperto da una lunga nenia liturgica (Ikarus) e seguita da tre brani che risultano un compromesso tra i primi lavori dei Morbid Angel e il death/black suonato dai gruppi dell’est europeo (soprattutto polacchi).
Ne esce un lavoro macabro, dove il caos demoniaco regna sovrano, con tre tracce assolutamente maligne, una voce proveniente dall’inferno, ferri del mestiere soffocati da una produzione old school, così come la musica suonata.
Ma attenzione perché il tutto funziona ed Evil Priest non è un’ opera da sottovalutare, la sua natura estrema convince dando la sensazione di essere al cospetto di un gruppo vero.
Le atmosfere catacombali che aleggiano su tutto l’ep, il growl che spunta da un buco collegato al centro degli inferi ed il senso di morbosa devastazione, lo rendono un nero gioiellino, da ascoltare se si è amanti del metal estremo dalle venature più malvagie.

TRACKLIST
1.Ikarus
2.Great Snake
3.Gates of Beyond
4.Evil Priest

LINE-UP
E.P. – Supreme Invocations from the Depths
M.C – Density of the Dark Matter
R.P. – Obscure Resonance

EVIL PRIEST – Facebook

Wiegedood – De Doden Hebben het Goed II

De Doden Hebben het Goed II è il disco black metal che non si sentiva da tempo, laddove furia, morbosa potenza e, perché no, una buona dose di melodia, vanno a scontarsi frontalmente con l’inevitabile tendenza, derivante dal background dei musicisti, a lambire i confini del genere.

Secondo album per questi notevoli Wiegedood, band fiamminga che annovera tra le sue fila musicisti in forza a nomi di spicco delle scena belga come AmenRa ed Oathbreaker.

De Doden Hebben het Goed II è il seguito della prima parte, uscita nel 2015, e mette a fuoco ancor meglio l’idea di black metal perseguita dal trio, che solo a tratti fa emergere le pulsioni postmetal/posthardcore che fanno parte delle band madri.
Infatti, il genere gode di un’interpretazione a tratti furiosa e sorprendentemente fedele ai dettami della tradizione (Ontizlling), mentre in altri frangenti ad emergere sono passaggi intrisi di malsana oscurità (la title track); di certo c’è che la qualità si mantiene sempre ai massimi livelli, perché questa è tutt’altro che un’interpretazione calligrafica di uno stile che molti ritengono, a torto, morto e sepolto se non sulla via dell’estinzione.
De Doden Hebben het Goed II è il disco black metal che non si sentiva da tempo, laddove furia, morbosa potenza e, perché no, una buona dose di melodia, vanno a scontarsi frontalmente con l’inevitabile tendenza, derivante dal background dei musicisti, a lambire i confini del genere, per poi rientrare in un alveo comunque sempre instabile e cangiante.
Un brano come Smeekbede è il migliore esempio di come la materia oscura, forgiata in Norvegia nei primi anni novanta, possa essere manipolata e trasformata senza che le sue coordinate di base vengano minimamente intaccate.
Difficile fare di meglio oggi, anche per chi il black metal lo ha inventato, perché quello che potrebbe apparire, viste le premesse, un semplice diversivo per musicisti orientati a sonorità sempre estreme ma dalla struttura più complessa, costituisce di fatto una maniera di liberare in maniera più esplicita quella rabbia che nel post hardcore viene quasi repressa dal suo incedere plumbeo.
Esattamente il disco di black metal che ogni appassionato vorrebbe ascoltare, detto questo c’è ben poco d’altro da aggiungere.

Tracklist:
1.Ontzielling
2.Cataract
3. De Doden Hebben het Goed II
4.Smeekbede

Line-up:
Wim Sreppoc – drums
Gilles Demolder – guitars
Levy Seynaeve – guitars, vocals

WIEGEDOOD – Facebook

Heaven’s Guardian – Signs

Signs non va oltre la sufficienza, rimanendo un album confinato nel limbo dei lavori piacevoli ma facilmente dimenticabili, poco per un gruppo nato nel secolo scorso.

La Pure Steel si prende carico della distribuzione del nuovo album dei brasiliani Heaven’s Guardian prodotto dalla Megahard Records.

Il gruppo sudamericano non è certo di primo pelo nella scena power metal, la sua attività iniziata nel 1999 l’ ha portato ad incidere due full length nei primi anni del nuovo millennio, per poi finire nel limbo e tornare dopo più di dieci anni con Signs, album che porta con se una novità importante, l’ affiancamento di una voce femminile (Olivia Bayer) al singer Flavio Mendez ed una sterzata verso i lidi sinfonici tanto cari alle band attuali.
Dunque gli Heaven’s Guardian, con una line-up attuale composta da ben sette musicisti, tornano con questo nuovo lavoro che, pur con tutti i migliori propositi, non riesce ad uscire dall’anonimato.
Anche Signs infatti rimane imprigionato nel novero degli album discreti ma nulla più, scontati nelle soluzioni orchestrali ormai abusate da centinaia di band , poco incisivo e ripetitivo nelle ritmica e con un songwriting che non decolla.
I duetti tra le due voci non alzano l’ appeal dei brani che non vanno più in la del compitino, anche se almeno il suono esce pulito e qualche assolo riesce a rompere un po’ la monotonia del disco.
Peccato, e anche l’appoggio della Pure Steel non so quanto giovamento porterà al gruppo brasiliano: a mio parere l’album a tratti non risulta né carne né pesce, troppo spostato sui mid tempo per piacere ai fans del power, ma anche eccessivamente metallico per chi assaporava qualche spunto symphonic gothic in più ed invece deve attendere invano fin quasi allo scoccare dell’ora di durata.
Signs non va oltre la sufficienza, rimanendo un album confinato nel limbo dei lavori piacevoli ma facilmente dimenticabili, poco per un gruppo nato nel secolo scorso.

TRACKLIST
1. Religion
2. Time
3. Strength
4. Journey
5. Fantasy
6. Dream
7. Change
8. Passage
9. War
10. Silence

LINE-UP
Olivia Bayer – vocals (female)
Flávio Mendez – vocals
Luiz Maurício – guitars
Ericsson Marin – guitars
Everton Marin – keyboards
Murilo Ramos – bass
Arthur Albuquerque – drums

HEAVEN’S GUARDIAN – Facebook

Sinister – Syncretism

Syncretism ci consegna una band in forma, ancora in grado di aggredire con inumana cattiveria e di proporre almeno una manciata di brani mastodontici.

All’alba dei famigerati anni novanta le truppe infernali che invasero il mondo metallico sotto la bandiera del death metal non provenivano solo dalla Scandinavia o dagli Stati Uniti.

Come ben sapranno gli appassionati del genere, magari con qualche anno in più sulla carta d’identità, band poi divenute storiche fecero la loro comparsa in ogni parte del mondo. con l’Europa e veder brillare la scena olandese.
I Sinister non sono mai stati in assoluto tra le preferenze dei fans, diciamo che il gruppo di Aad Kloosterwaard è sempre stato considerato un ottimo outsider: gli anni passano, il 1990 è ormai il passato remoto e nel 2017 la band arriva al tredicesimo full length di una discografia infinita.
Prendendo in esame gli album ufficiali i Sinister hanno sempre mantenuto una buona qualità, il loro death metal senza compromessi ha attraversato quasi trent’anni di storia del metal estremo e Syncretism torna a ribadire l’assoluta bontà della proposta del gruppo, che oggi si rifà il trucco con accenni orchestrali, lasciando intravedere una mentalità più aperta di quello che si poteva credere ed un occhio vigile sugli sviluppi che hanno portato recentemente agli onori della cronaca gruppi come i Fleshgod Apocalypse.
Ovviamente il sound dei Sinister rimane un inalterato death metal oscuro, devastante e cattivissimo, strapazzato da iniezioni di thrash,  mentre nei mid tempo gli accenni orchestrali riempiono di solenne bestialità il vulcanico rifferama, ormai diventato storico.
Neanche troppo corto, ma senza dare la sensazione di prolissità, Syncretism ci consegna una band in forma, ancora in grado di aggredire con inumana cattiveria e di proporre almeno una manciata di brani mastodontici, tra cui Convulsion Of Christ, Dominance by Acquisition e Rite Of The Blood Eagle
Syncretism è un lavoro ben concepito, in cui l’anima old school del gruppo convive appunto con soluzioni epico orchestrali, violenza thrash tout court e una varietà di soluzioni e sfumature che, anche grazie all’esperienza dei musicisti, riesce sempre ad uscire vincente all’ascolto: un album che nella sua atroce e maligna predisposizione alla devastazione risulta onesto e foriero di malvagità appagante, per chi delle tematiche religiose e occulte ne fa il suo pane.
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TRACKLIST
01. Neurophobic
02. Convulsion of Christ
03. Blood Soaked Domain
04. Dominance by Acquisition
05. Syncretism
06. Black Slithering Mass
07. Rite of the Blood Eagle
08. The Canonical Rights
09. Confession Before Slaughter

LINE-UP
Adrie Kloosterwaard – Vocals
Ricardo Falcon – Guitars
Dennis Hartog – Guitars
Ghislain van der Stel – Bass
Toep Duin – Drums

SINISTER – Faceboook

Gravebreaker – Sacrifice

Il lotto di brani presentati convince a più riprese, specialmente quando l’heavy metal più diretto viene attraversato da riusciti interventi tastieristici dal piglio horror.

Se la missione delle tante webzine metal sparse per il mondo è quello di supportare quei gruppi che non troveranno mai spazio nelle pagine delle riviste più cool o sui canali satellitari, non si può prescindere dalla ormai consolidata (almeno nell’underground) corrente old school che, come un fiume in piena, sta attraversando questo ultimo periodo della storia metallica.

In tutti i generi, dal metal estremo a quello classico, sono sempre di più i gruppi che portano avanti un discorso musicale per pochi, ma appassionati cultori di queste storiche sonorità.
I risultati sono altalenanti, è giusto dirlo, ma non mancano le sorprese come questo Sacrifice, album di debutto degli svedesi Gravebreaker, trio di Goteborg che, in barba alla tradizione estrema della loro città, debuttano con questo gioiellino di heavy metal old school, oscuro, consolidato nella trazione ottantiana ma molto affascinante.
Sacrifice è un lavoro che non lascia dubbi sulla volontà del gruppo di riportare un certo tipo di suoni alle orecchie dei true metallers e, chi tra di voi ha superato abbondantemente gli anta, ritroverà tutte le caratteristiche che li hanno fatti innamorare del metal.
Troviamo quindi una produzione perfetta per assaporare le atmosfere horror che si fanno spazio tra l’heavy metal tradizionale, a metà strada tra Accept e Motorhead, un pizzico di sound sassone e sfumature Mercyful Fate/King Diamond, impreziosite da poche ma riuscite escursioni nel sound sabbathiano degli anni ottanta.
Il tutto va a comporre un’opera molto affascinante e il lotto di brani presentati convince a più riprese, specialmente quando l’heavy metal più diretto viene attraversato da riusciti interventi tastieristici dal piglio horror.
Bellissima per esempio la title track, dai toni che ricordano i Death SS, altra importantissima ispirazione per la band, e la conclusiva Messenger Of Death, picco creativo dei Gravebreaker che si lasciano impossessare dal demone del Re Diamante e sfornano una song eccellente.
Un album del quale nel nostro paese probabilmente se ne troveranno pochissime tracce, un motivo in più per seguirci in questa ricerca delle più nascoste perle dell’underground metallico.

TRACKLIST
1. Overdrive
2. Sacrifice
3. Gravebreaker
4. At The Gates Of Hell
5. Violent City
6. Kill And Kill Again
7. Road War 2000
8. Pray For Death
9. Spellbound
10. Messenger Of Death

LINE-UP
Nightmare – vocals
Fury – guitar , bass
Devastation – drums

GRAVEBREAKER – Facebook

Acrimonious – Eleven Dragons

Questi greci sanno molto bene come si fa a rendere interessante un disco e passano di registro in registro con molta facilità: il lavoro è davvero piacevole, libero da tanti vincoli che a volte appesantiscono troppo i dischi di black death

Un diluvio satanico di black metal classico con inserzioni notevoli di death metal.

Terzo album per gli oscuri Acrimonious, attivi fin dal 2002, con molti cambi di formazione che non hanno impedito loro di produrre ottimi album, ed Eleven Dragons si rivela il loro disco più riuscito. Il tiro è del black metal classico, con chitarre veloci e non troppo distorte, la voce trova la sua giusta collocazione tra il growl ed il clean, e la sezione ritmica è molto pulsante. L’ispirazione gli Acrimonious la trovano nella prima ondata black metal, quando il suono era debitore all’hardcore punk, ma gli ellenici ci aggiungono molto di loro, con la voce epica di Cain Latifer che narra di nere storie, e le melodie sono messe in primo piano, senza essere sovrastrutturate da un impianto sonoro troppo pesante per poterle cogliere. Eleven Dragons è un disco di grande sostanza, un tributo molto efficace al nero signore, ed è un disco che segna il grande ritorno del gruppo, che si spera essere stabile. Questi greci sanno molto bene come si fa a rendere interessante un disco e passano di registro in registro con molta facilità: il lavoro è davvero piacevole, libero da tanti vincoli che a volte appesantiscono troppo i dischi di black death, primo fra tutti l’essere ridondanti. Qui tutto fluisce da e verso l’abisso, forse l’unica e vera salvezza che ci viene concessa. Una delle particolarità maggiori del disco è la grande epicità delle canzoni che sembrano allestimenti teatrali, poiché sono piene di drammaticità e pathos. Una grande prova.

TRACKLIST
1. Incineration Initiator
2. The Northern Portal
3. Damnation’s Bells
4. Satariel’s Grail
5. Elder of the Nashiym
6. Kaivalya
7. Qayin Rex Mortis
8. Ominous Visions of Nod
9. Stirring the Ancient Waters
10. Litany of Moloch’s Feast
11. Thaumitan Crown

LINE-UP
Cain Letifer – guitars, vocals
Semjaza – guitars, bass
C.Docre – drums

ACRIMONIOUS – Facebook

Havok – Conformicide

Conformicide è una mastodontica opera estrema da più di un’ora di durata, ma che sa tenere per il collo l’ascoltatore, strapazzato dall’ottovolante su cui gli Havok lo hanno legato ed imbavagliato.

Non solo i nomi storici del genere ma, ora, anche le cosiddette seconde linee (in termini di popolarità , non certo di qualità), si mettono in testa di fare la voce grossa, ed allora veramente non c’è ne per nessuno.

E’ un dato di fatto che le band più importanti abbiano ultimamente pescato dal cilindro lavori notevoli, mentre nell’underground le nuove leve escono dall’ombra e vanno a rimpolpare le brigate in stato di guerra con sulle mostrine la scritta thrash.
Con gli Havok non si può certo parlare di nuove leve, ma l’anno di nascita (2004) ed il loro saper prendere il meglio della scena ottantiana dandolo in pasto ai fans del nuovo millennio, porta a valutarli come una delle più efficaci proposte del secolo appena iniziato.
Conformicide è il quarto full length di una discografia che si allarga come una macchia nera di adrenalinico combustibile,  composta pure da lavori minori, ed una popolarità che nel genere comincia a risultare importante.
Il nuovo album porterà altre lodi al quartetto del Colorado, una macchina da guerra dal sound ottantiano ma ben focalizzata sul presente come cura dei dettagli e dei suoni: con loro ritornano in auge ritmiche veloci ed intricate, violentissime ripartenze, voce cartavetrata e maligna come quella di un folletto metropolitano e la tecnica indispensabile per fare di un bell’album di genere un grande album metal.
E di tecnica i musicisti americani ne hanno da vendere, dalle intricate bordate ritmiche della coppia Pete Webber/Nick Schendzielos (rispettivamente basso e batteria) alle due chitarre torturate da David Sanchez (anche al microfono) e Reece Scruggs.
Conformicide è una mastodontica opera estrema da più di un’ora di durata, ma che sa tenere per il collo l’ascoltatore, strapazzato dall’ottovolante su cui gli Havok lo hanno legato ed imbavagliato, prima di partire con il thrash a tratti progressivo di F.P.C., la clamorosa Ingsoc e Circling The Drain, mentre le altre canzoni si assestano su uno stile americano d’assalto, tra Death Angel ed Exodus.
Il thrash metal sta tornando più forte e violento di prima, abbandonando le troppe influenze moderne degli ultimi anni per riabbracciare la tradizione.

TRACKLIST
1. F.P.C.
2. Hang ‘Em High
3. Dogmaniacal
4. Intention To Deceive
5. Ingsoc
6. Masterplan
7. Peace Is In Pieces
8. Claiming Certainty
9. Wake Up
10. Circling The Drain

LINE-UP
David Sanchez – Guitar, Vocals
Reece Scruggs – Guitar
Nick Schendzielos – Bass
Pete Webber – Drums

HAVOK – Facebook

Moaning Silence – Fragrances from Yesterdays

Fragrances from Yesterdays è una breve quanto esaustiva dimostrazione di un’ulteriore crescita da parte dei Moaning Silence.

Dopo il buon esordio A World Afraid of Light, full length datato 2015, ritornano i greci Moaning Silence, gothic doom band guidata da Christos Dounis, con questo ep intitolato Fragrances from Yesterdays.

Rispetto all’uscita precedente va registrato un cambio di line up tutt’altro che marginale, visto che riguarda la voce femminile, oggi affidata ad Eleni Kapsimali che va a sostituire Emi Path; pur essendo quest’ultima dotata di un buon timbro, ritengo che la nuova entrata offra quel qualcosa in più per esaltare al meglio l’afflato melodico che il gothic metal dei Moaning Silence offre con sempre maggiore continuità.
Come detto per il suo predecessore, il sound del gruppo ellenico è assolutamente ancorato agli stilemi del genere, ma ciò avviene in maniera così competente e gradevole che non si può fare a meno di apprezzarne l’incedere malinconico asservito ad una forma canzone sempre ben delineata.
Ogni brano, così, gode di una sua precisa fisionomia, sia quando i ritmi si fanno più intesi e la voce di Christos diviene aspra nel duettare con Eleni (Before The Dawn e Just Another Day), sia nel momento in cui il sound si fa più cullante e la melodia prende decisamente il sopravvento (Flaming Fall e Summer Rain, tracce baciate da chorus davvero splendidi).
Qualche dubbio lo lascia solo la scelta di coverizzare Yesterday, eseguita comunque ottimamente e resa in maniera tutto sommato abbastanza fedele, soprattutto perché l’andare a confrontarsi con certi monumenti musicali ha sempre qualche controindicazione, non fosse altro per il fatto che, al limite, l’operazione può solo togliere e non aggiungere qualcosa a chi vi si cimenti.
Detto questo, Fragrances from Yesterdays è una breve quanto esaustiva dimostrazione di un’ulteriore crescita da parte della creatura di Christos Dounis, coadiuvato anche stavolta dal batterista Vaggelis X e, soprattutto, dal ben noto Bob Katsionis a sovrintendere la produzione e a fornire il suo contributo fattivo come bassista e tastierista.
Il segreto dei Moaning Silence, in fondo, risiede in una ricetta all’apparenza elementare, ovvero quella che prevede un approccio al genere lineare e volto ad andare dritto al cuore dell’ascoltatore, senza ricorrere ad artifici particolari ma badando solo a creare delle belle canzoni. Facile? Se così fosse ci riuscirebbero tutti …

Tracklist:
1.Entering The great Night
2.Before The Dawn
3.Just Another Day
4.Yesterday
5.Flaming Fall
6.Summer Rain

Line-up:
Eleni Kapsimali – Vocals
Christos Dounis – Guitars, Vocals
Vaggelis X – Drums
Bob Katsionis – Bass, Keyboards

MOANING SILENCE – Facebook