Timor et Tremor – For Cold Shades

Un epico ed oscuro viaggio tra le foreste germaniche

Questo bellissimo album licenziato dalla Trollzorn è il terzo lavoro della melodic black metal band tedesca Timor Et Tremor, quintetto di Kassel attivo dal 2005, ed arriva a rimpolpare una discografia che, oltre a My Oaken Chest del 2009 ed il precedente Upon Bleak Grey Fields del 2012, si completa con il primo demo e l’ep Towards the Shores of Light, uscito tra i primi due album.

La struttura del sound di cui il gruppo è portavoce, è un black metal dalle reminiscenze scandinave, epico e melodico, colmo di cavalcate e solos, su cui la band immette svariate scelte atmosferiche di natura dark.
Ne esce un bell’affresco estremo molto emozionale ed affascinante, curato nei minimi particolari in fase di produzione e ben calibrato tra le tempeste elettriche del black e le atmosfere oscure del dark, a rendere ancora più evil la suggestiva vena epica dei brani.
Un uso ben congegnato dello scream e delle clean dal taglio evocativo fa il resto, l’incontro del gruppo con Markus Stock, produttore di The Vision Bleak, Secrets Of The Moon, Ahab, ha giovato non poco al sound del quartetto e For Cold Shades dimostra l’alta qualità raggiunta dai Trimor Et Tremor.
Un epico ed oscuro viaggio tra le foreste germaniche, un’aura pagana che aleggia tra i solchi di brani splendidamente epici, con picchi di oscura cattiveria ma sempre estremamente melodica, così da mantenere un appeal enorme specialmente dove la componente malinconica prende il sopravvento ed il gruppo regala emozioni forti.
Fen Fire, stupenda epic/dark/black song, Alpha And Omega dal riff epicissimo, riecheggia nelle valli della foresta nera, così come The Ghost In All That Dies richiama tutte le tribù per l’ultimo scontro contro le truppe degli orchi, Ethereal Dome vive di melodie estreme, tra rallentamenti suggestivi e ripartenze, mentre Pale Faces risulta la perfetta conclusione, toccando tutte le varie sfumature incluse nell’album e regalando solos e riff dall’alto tasso melodico.
Come detto For Cold Shades viaggia su coordinate estreme scandinave, Dissection e i Naglfar del capolavoro Vittra sono i gruppi più vicini al modus operandi del gruppo, anche se a mio parere in molti dei solos compare il fantasma dei Dark Tranquillity a riempire di suggestive note dark melanconiche il sound dei Timor Et Tremor, rendendo il tutto molto affascinante.

TRACKLIST
1. Yearning
2. Fen Fire
3. Alpha And Omega
4. Oath Of Life
5. The Ghost In All That Dies
6. The Soaring Grudge
7. Ethereal Dome
8. Pale Faces

LINE-UP
Hendrik Müller – Vocals
Marco Prüssing – Guitars/Bass
Martin Stosic – Guitars
Jan Prüssing – Drums

TIMOR ET TREMOR – Facebook

Zealot Cult – Karmenian Krypt 12″

Nell’ascolto non si possono avere fraintendimenti, questo è un gran bel death metal, senza fronzoli o trucchi.

Gruppo irlandese che fa un death metal davvero potente e molto devoto ai mostri che si aggiravano per le paludi della Florida qualche anno.

La formula degli Zealot Cult è azzeccata, ma è molto debitrice a gruppi come Obituary, Pestilence e Morbid Angel. Il death metal, quello più verace, non è una cosa originale, ma deve essere fatto bene e in maniera potente. Gli Zealot Cult sanno come farlo, ed infatti sono giustamente considerati come uno dei migliori esponenti del genere in Irlanda. In questi giorni hanno anche aperto per i Napalm Death, e deve essere una bella esperienza sonora sentire questi due gruppi. Il dodici pollici in questione è la riedizione in vinile del loro ep di debutto, uscito nella primavera del 2016.
Nell’ascolto non si possono avere fraintendimenti, questo è un gran bel death metal, senza fronzoli o trucchi. La Roadrunner ce lo ha insegnato e ora la Blood Harvest, non solo con questo gruppo, porta avanti un discorso per chi il death metal lo adora, per la sua potenza e per dischi come questo. Anche la lunghezza appare adeguata, essendo un assaggio di quello che verrà, sempre su Blood Harvest, poiché il gruppo ha voluto espressamente firmare con l’etichetta svedese.

TRACKLIST
1.Karmenian Crypt
2.Eternal Winter
3.Suffocation Of The Mind

ZEALOT CULT – Facebook

Svlfvr – Shamanic Lvnar Cvlt

Album bellissimo e difficile come le migliori opere del genere

Che la scena metal nazionale sia da annoverare tra le migliori della vecchia Europa ormai è un dato di fatto, essendo in grado di regalare nei vari generi realtà di altissima qualità nonostante sia ancora poco considerata dagli scribacchini altolocati.

Nelle forme più estreme poi c’è da divertirsi, figuriamoci quando si parla di un genere come il doom dove, a mio parere, da sempre siamo maestri nel creare opere magiche, occulte e splendidamente dark fin dagli anni settanta.
Horror, misticismo e un talento per le tematiche arcane ed alchemiche ha portato l’arte italiana ad essere un esempio per chiunque, dalla musica al cinema fino alla letteratura che voglia confrontarsi con il mondo oscuro.
Nella musica qualsiasi band affacciatasi sul panorama estremo (doom, death e black), senza dimenticare la tradizione progressive/dark, ha sempre avuto dalla sua un approccio adulto e maturo alla materia, non facile da maneggiare per ragazzini superficiali con smanie da demoni con il face painting, ma motivo di riflessioni e studi per menti alternative.
Nel metal di estrazione doom, come negli altri generi dunque non mancano le sorprese e così, dopo il bellissimo ultimo lavoro dei laziali Godwatt con il loro L’Ultimo Sole, arriva ad inquietare le notti di un caldo agosto Shamanic Lvnar Cvlt, seconda opera (dopo Seeding the Astral Mark del 2012) dei toscani Svlfvr.
Ma se il sound del gruppo laziale risultava un doom di estrazione classica, la band fiorentina si circonda di una mistica impronta black/dark, a tratti oscura e sciamanica, in certi frangenti più death oriented ma sempre e comunque pesantissima, tragica nel suo incedere, scaldata da solos che si spingono sul versante più classico, ma sferzati da ritmiche death/black.
L’incedere dei brani rimane comunque orientato su di un doom metal che guarda indietro nel tempo restando nei confini nazionali, tenendo ben salda una marcata predisposizione occulta e mistica, in poche parole un’interpretazione matura senza sconfinare nell’horror adolescenziale di molti colleghi oltre confine.
Grandissima la prestazione di Dionysos, un sacerdote diabolico che con il suo growl/scream teatrale ci prende per mano e ci accompagna lungo i sentieri bui di questa jam, composta da cinque brani per quasi un’ora di musica, tra atmosfere plumbee, devastanti e potentissime doom songs e accelerate estreme da far impallidire truci blacksters con la mazza chiodata in una mano ed il biberon nell’altra.
Un album che, senza dilungarmi, si riassume nella conclusiva Dying Star’s Empathy, venti minuti persi nel mondo ancestrale e mistico di questi musicisti che non lasciano troppe indicazioni su dove risieda la loro musica ma ci invitano a farla nostra, nota per nota, passaggio su passaggio, in un delirio di affascinanti note doom, black, death e prog.
Album bellissimo e difficile come le migliori opere del genere, Shamanic Lvnar Cvlt si può certamente considerare, come suggerito dal titolo,  un lavoro di culto, almeno per chi si nutre di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Total Absence of Light
2. Wish to Drown in an Abyss of Water
3. Shamanic Lvnar Cvlt
4. Count Down to Death
5. Dying Star’s Empathy

LINE-UP
Dionysos – Vocals
Asmodeus – Guitars
Vrolok Lavey – Bass Synth
Poseidon – Drums

SVLFVR – Facebook

Décembre Noir – Forsaken Earth

Una serie di splendidi brani in cui domina incontrastata l’elegante e toccante chitarra solista che porta a spasso l’ascoltatore lungo questa “Terra abbandonata”

A due anni dal buon esordio A Discouraged Believer ritornano i tedeschi Décembre Noir, ottimi interpreti del versante melodico del death doom.

Parlando di quel disco mi ero spinto a pronosticare la probabile ascesa della band di Erfurt, in virtù di indizi piuttosto evidenti quali una conoscenza della materia trattata unita alla buona disinvoltura mostrata nel creare partiture dolenti e robuste allo stesso tempo.
Con Forsaken Earth l’auspicata progressione sembra aver raggiunto un punto già piuttosto elevato: i Décembre Noir, magari,,non si svincolano in maniera completa dai propri modelli (che oggi sono forse più i Swallow The Sun rispetto ai Daylight Dies che emergevano nel disco precedente) ma l’abilità compositiva e le atmosfere ricche di pathos messe sul piatto depongono a favore di un talento da primi della classe.
Proprio una maggiore focalizzazione dei propri obiettivi è la chiave di volta, sotto forma di una serie di splendidi brani in cui domina incontrastata un’elegante e toccante chitarra solista che porta a spasso l’ascoltatore lungo questa “Terra abbandonata”, tra i quali vanno obbligatoriamente rimarcati i quasi quindici minuti del capolavoro Waves Of Insomnia, canzone che vede i ragazzi tedeschi letteralmente baciati da un’ispirazione in grado di eguagliare a tratti quella dei maestri finlandesi nel loro imprescindibile The Morning Never Came.
Felice per una volta di aver azzeccato un pronostico ma, come si suol dire in questi casi, mi piace vincere facile …

Tracklist:
1. In This Greenhouse of Loneliness and Clouds
2. Small.Town.Depression
3. Ghost Dirge
4. The Vast Darkness
5. Waves of Insomnia
6. Distant and Unreachable

Line-up:
Mike – Bass
Kevin – Drums
Martin – Guitars
Lars – Vocals
Sebastian – Guitars

DECEMBRE NOIR – Facebook

SUBLIMINAL FEAR

Il panorama metal attuale include molti gruppi validi e nei più disparati sottogeneri possibili, segno che il metal ha due tendenze principali: quella conservatrice e quella innovativa. In quest’ultima vanno assolutamente ascritti i Subliminal Fear, un gruppo italiano che ha raccolto il testimone dei Fear Factory e l’ha portato molto oltre gli usuali confini.
Qui di seguito un’intervista con Carmine Cristallo, cantante dei Subliminal Fear.

iye Potete spiegarci come nasce il vostro suono?

Carmine: Un saluto a tutti voi! Quando ci siamo decisi a discutere di un nuovo album, abbiamo subito fissato come principale obiettivo un maggiore sforzo verso la personalizzazione della nostra proposta musicale. Il nostro lavoro si è quindi focalizzato sul ricercare un “nostro sound” moderno e soprattutto multi sfaccettato, che ci identificasse in questo momento, abbandonando i cliché di un genere come il melodic death metal, che non ci apparteneva più. “Escape from Levithan” presenta queste novità: l’inserimento della musica elettronica, una sezione ritmica più groove-oriented e un lavoro particolarmente attento sulle melodie. Questi sono stati alcuni degli elementi sui quali ci siamo concentrati maggiormente nella fase di composizione. Dopo aver iniziato a sperimentare tra strutture ed equilibri tra i vari elementi, i brani sono venuti fuori con molta naturalezza, poiché a differenza degli altri album, avevamo le idee molto chiare sui nostri obiettivi.

iye Quali sono le vostre influenze?

Carmine: Le nostre influenze negli ultimi anni sono state molte e provenienti da sottogeneri del metal anche distati tra loro. Ognuno di noi singolarmente ha assorbito nel corso di questi anni da fonti differenti e non avendo più schemi abbiamo cercato di inserire e poi equilibrare più elementi che sentivamo vicini al nostro gusto e alla nostra idea di metal moderno. Vogliamo portare aventi questo discorso anche sui prossimi album, cercando di inserire sempre qualcosa di nuovo. Mi sento di dire che la strada tracciata con “Escape from Leviathan” ci ha davvero entusiasmato per questa motivazione. Gli ultimi lavori di band come Mnemic, Meshuggah Fear Factory e Sybreed hanno molto influenzato il nostro nuovo corso, ognuno di loro per un aspetto differente, ma mi sento di citare anche la musica pop anni 80 tra le influenze, specialmente per alcune melodie e per i synth.

iye Come componete i pezzi?

Per quest’album abbiamo utilizzato molto le nuove tecnologie e quindi software e computer sono stati fondamentali per permetterci di ottimizzare il songwriting e di lavorare da più postazioni. Partiamo sempre da una nostra idea oppure da una melodia principale di voce per poi costruire altre parti intorno ad essa. Gli arrangiamenti dei singoli strumenti poi, sono aggiunti e completati in seguito procedendo a diverse versioni, sino alla soluzione definitiva. Il “mood” di un testo oppure l’idea di comporre un brano che possa trasmettere una determinata atmosfera ci permette di creare anche le parti degli altri strumenti adatte all’esigenza. Grande importanza ha avuto l’apporto di Botys Beezart che ha composto tutti i synth e le parti di musica elettronica, arrangiati in maniera simultanea agli altri strumenti, costituendo un corpo unico, compatto e a volte anche da protagonista.

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iye Come vedete il futuro della razza umana?

La nostra visione futura dell’umanità su Escape From Leviathan non è molto ottimistica. Tutti i testi dei brani sono collocati in una società distopica e sottomessa alle tecnologie. Il titolo Escape From Leviathan è nato prendendo spunto dall’omonimo libro di J.C. Lester, che è un’opera molto critica sul libertarismo, cioè esprime un giudizio negativo sulla possibilità dell’uomo di autogovernarsi. Mentre il filosofo inglese Thomas Hobbes, nella sua opera “Leviatano”, descrive lo stato come una creatura primordiale disposto a divorarci, le cui membra sono i cittadini. Da questi due concetti siamo partiti per lavorare al concept del nostro album, immaginando la nostra società nel futuro e in una fase conclusiva di un processo degenerativo che ha portato le macchine a governarci. Quindi la principale paura di divenire vittime del nostro stesso progresso è divenuta realtà. In questo scenario apocalittico la società è incapace di autogovernarsi e tutti noi sono quindi schiavi delle nostre scelte sbagliate e dall’incapacità di riconoscere il male. Una forte influenza sono poi stati film fantascientifici come Terminator, Blade Runnner e Matrix, per citarne alcuni, di cui siamo appassionati.

iye Vi sentite più adatti al mercato italiano o a quello estero?

Oggi, i Subliminal Fear propongono un metal contaminato e proiettato verso le sonorità moderne. Sappiamo tutti quanto il mercato italiano sia difficile ed esigente, magari per tradizione anche poco incline alle novità. Abbiamo deciso di ascoltare solo la nostra esigenza e non pensare a quale mercato la nostra musica fosse adatta. Confidiamo che molti abbiamo apprezzato la nostra scelta di svecchiare la nostra proposta e comunque i riscontri sul nuovo album finora, sono piuttosto positivi sia in Italia sia all’estero.

iye Progetti futuri?

Dopo aver ultimato la produzione di quest’album sia proiettati verso la promozione e l’aspetto live, che in passato ahimè, è stato posto in secondo piano a causa dei problemi personali e di line-up. Adesso con questa formazione abbiamo raggiunto stabilità e certezze tecniche individuali, che metteremo in pratica nelle occasioni che ci saranno date. Vogliamo suonare il più possibile nei prossimi mesi e sicuramente vogliamo portare la nostra musica oltre confine. All’inizio del prossimo anno ci dedicheremo a comporre altro materiale continuando il percorso intrapreso con Escape from Leviathan, dando quindi continuità musicale e concettuale a questa seconda fase della storia della nostra band.

iye Ciao e grazie.

Grazie a voi è stato un piacere, ringraziamo la redazione e i lettori, che invitiamo ad ascoltare il nostro nuovo album e a lasciarci un feedback sulle nostre pagine social. A presto!

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The UnHuman Thorn – Sacro-Kvltus Dementis

Una messa nera di quaranta minuti dove i fedeli sono chiamati all’appuntamento con il maligno a suon di black metal.

Non male questo Sacro-Kvltus Dementis, primo lavoro sulla lunga distanza per The UnHuman Thorn, one man band cilena creatura maligna del polistrumentista Baal.

Attivo sulla scena dal 2008, ma con un solo demo alle spalle rilasciato tre anni fa, il musicista sudamericano crea quest’opera oscura, estrema e malvagia di raw blackened metal sanguinario e devastante, molto vario nelle atmosfere che si alternano tra massacranti parti black e lascive ed evocative atmosfere.
Una messa nera di quaranta minuti dove Baal, da malvagio sacerdote richiama i propri fedeli all’appuntamento con il maligno a suon di black metal, a tratti evocativo pur essendo basato su infernali e demoniache sfuriate metalliche e atmosfere pregne di malvagità, in un delirio di sudditanza a Satana.
Sotto l’aspetto prettamente musicale, siamo quantomai vicini alla scena est europea, Baal se la cava con gli strumenti e Sacro-Kvltus Dementis è prodotto abbastanza bene per risultare un ascolto piacevole.
Le tracce vivono di questa alternanza tra parti black ed oscure nenie messianiche, il punto di forza dell’album, pregne di atmosfere malate, pesanti ed abominevoli cantici intonati al demonio, sferzate da veloci ripartenze o mid tempo che concentrano potenza e cattiveria.
Obsceno ritual a la autodestrucción e Through the Endless Death formano l’accoppiata vincente di questo lavoro, cuore inumano dell’opera, seguite dalla devastante My Own Damnation, altro brano meritevole di menzione per l’ottimo lavoro sulle ritmiche, squartato da un riff forgiato direttamente tra le fiamme dell’inferno.
Per i cultori del black metal che non si fermano alle solite produzioni europee, Sacro-Kultus Dementis potrebbe risultare una piacevole sorpresa.

TRACKLIST
1. Sacro-Kvltus Dementis
2. Nova-Inquisition
3. Obsceno ritual a la autodestrucción
4. Through the Endless Death
5. My Own Damnation
6. Slaves ov Perpetual Pain
7. Into the Abomination Cult
8. The Fall ov the Weaker
9. As We Create, We Destroy

LINE-UP
Baal – Everything

THE UNHUMAN THORN – Facebook

Abigail – The Final Damnation

Un gradito ritorno per un gruppo che non tradirà mai, almeno finché potrà suonare e vivere eccessivamente.

Gli Abigail confermano l’assioma che i giapponesi, in fatto di perversioni e di lontananza da qualsiasi moralismo, sono imbattibili.

Certo, non tutti i giapponesi sono come gli Abigail, anche perché avremmo una terra di cocainomani che vanno a prostitute ascoltando black metal imbastardito con lo speed metal. L’importante è che gli Abigail siano divertenti e truci, e lo sono moltissimo. Questo quinto disco, sempre con la Nuclear War ! Now Productions con la quale sono sempre stati, segna il loro ritorno sulle scene, cosa molto attesa dai loro fans. Il loro è un classico black metal giapponese, sempre al limite del speedmetal, con quel tocco anni ottanta di cattiveria e sporcizia, come i Sabbat e i Sigh. Questo tipo di black metal è particolare, poiché fonde istanze tipiche di gruppi come i Bulldozer con quel nichilismo anche musicale e non solo, che è la raison d’etre del black metal. Qui si degenera forte, sublimando il disagio con abusi di tutto, di sostanze, di sesso e di volume, perché qui quest’ultimo deve essere bello alto. Con gli Abigail non ci si deve però fermare alle apparenze, poiché non il loro stile compositivo è ben studiato, creato per essere incessante e senza tregua, in una discesa agli inferi guidata dalla scrittura di Yasuyuki, uno dei personaggi principali del black nella terra che fu di Mishima. La cerniera tra sezione ritmica ed il resto del gruppo è ben cementata, e questo amalgama è la spina dorsale del gruppo, che spazia veloce ed alza il livello della dannazione.
Un gradito ritorno per un gruppo che non tradirà mai, almeno finché potrà suonare e vivere eccessivamente.

TRACKLIST
1.The Final Damnation
2.Blasphemy Night
3.Whisky Coke and Bitch
4.Sex & Metal
5.Open the Gates of Hell
6.No Pain! No Limit!
7.Sweet Baby Metal Sluts
8.Holocaust by Evil

LINE-UP
Yasuyuki – Bass, Vocals
Youhei -Drums
Jero – Guitars

ABIGAIL – Facebook

Fortíð – The Demo Sessions

Una buona occasione per fare la conoscenza dei Fortíð con questa compilation intitolata semplicemente The Demo Sessions.

Una buona occasione per fare la conoscenza dei Fortíð con questa compilation intitolata semplicemente The Demo Sessions.

Il gruppo nasce come one man band nel 2002, ad opera di Einar Thorberg, poi trasferitosi dal suo paese natale (l’Islanda) in Norvegia e completando la line up per arrivare a formare un quartetto composto da Rikard Jonsson al basso, Daniel Theobald alle pelli e Øystein Hansen alla sei corde.
Il gruppo del chitarrista e cantante islandese può contare una già ottima discografia, composta dalle tre parti di Völuspá, una trilogia che ha il suo inizio nel 2003 (Thor’s Anger) e continua con Völuspá Part II: The Arrival of Fenris del 2007 e Völuspá Part III: Fall of the Ages licenziato nel 2010.
Altri due full length hanno caratterizzato questi ultimi quattro anni, Pagan Prophecies uscito nel 2012 e l’ultimo 9 dello scorso anno.
The Demo Sessions contiene delle registrazioni grezze di brani già editi, una cover degli Enslaved (Lifandi lífi undir hamri) ed una traccia inedita, per quasi settanta minuti di pagan black metal dalle atmosfere epiche e folk, tutto sommato ben articolato e potente il giusto per accontentare l’appassionato dai gusti estremi ma consolidati nelle tradizioni dei paesi immersi nel freddo nord europeo.
Molti brani, essendo tracce demo, lasciano a desiderare in quanto a produzione, ma non manca certo al gruppo un’attitudine pagana e buone trame guerresche ed epiche.
Le atmosfere più pacate si indirizzano verso sfumature glaciali, un folk metal maligno supportato dalla parte metallica che gronda cattiveria, mentre è davvero interessante quella parte di sound dove le clean vocals valorizzano l’elemento folk/epico tra Bathory ed Enslaved.
Per chi conosce la discografia del gruppo, questa compilation serve solo da completamento della discografia, mentre agli altri un consiglio ad inoltrarsi nelle foreste nordiche in compagnia dei Fortíð è d’obbligo.

TRACKLIST
Einar “Eldur” Thorberg – Guitars, Vocals
Rikard Jonsson – Bass
Daniel Theobald – Drums
Øystein Hansen – Guitars

LINE-UP
1. Illt skal með illu gjalda
2. Lifandi lífi undir hamri (Enslaved cover)
3. Nornir
4. Galdur
5. Hof
6. Pagan Prophecies
7. Electric Horizon
8. Sun Turns Black
9. Ad Handan
10. Heltekinn
11. Framtíð

FORTID – Facebook

The Drowning – Senescent Signs

Un’ottima band ritrovata ai suoi migliori livelli, credo che di più non si potesse chiedere.

Mettersi a scrivere la recensione di un disco che si intitola Senescent Signs nel giorno del proprio compleanno, quando gli ‘anta sono già stati doppiati un pezzo, non è una buonissima idea …

Amenità a parte, è con grande piacere che ci si imbatte nel ritorno dei The Drowning, band che è sempre stata tra le migliori interpreti nel nuovo millennio del doom death di scuola britannica, in ossequio quindi ai dettami dei maestri My Dying Bride e tutto ciò che ne consegue.
Senescent Signs è il quarto full length del gruppo gallese e vede una novità in line up rispetto al precedente Fall Jerusalem Fall (2011), con Matt Small a sostituire James Moore alla voce, mentre sul piano delle sonorità il nuovo lavoro riporta la barra in maniera decisa verso un doom death dalla grande ortodossia, che potrà peccare magari in originalità risultando ugualmente molto più che apprezzabile, vista la padronanza e l’esperienza maturata da questi musicisti in tale ambito.
I The Drowning, alla fine, suonano il genere esattamente come l’appassionato lo vorrebbe sempre sentire: partiture robuste, rallentamenti, un growl profondo ed efficace, aperture melodiche di classe ed una sensazione di malinconia che aleggia su tutto l’album in maniera più soffusa che esasperata, lasciando che le emozioni si diluiscano in maniera uniforme nel corso di oltre un’ora di musica.
Non bisogna però cadere nell’equivoco di pensare che, in fondo, Senescent Signs sia una sbiadita copia di quanto fatto anche di recente dalla premiata ditta Stainthorpe & co.: la band gallese riesce a differenziare il sound proprio irrobustendolo, incrementando i ritmi e rendendolo nel contempo più accessibile, cogliendo influssi provenienti anche da oltreoceano, rinvenibili per esempio in una Broken Before the Throne che riporta a tratti ai migliori Novembers Doom.
Anche le splendide Never Rest e, soprattutto, When Shadow Falls, vera perla dell’album, mostrano quindi, oltre alle stimmate degli interpreti di razza, la capacità dei The Drowning di cosmopolizzare il tipo di doom proposto, senza aderire in toto alla scuola albionica come sarebbe stato lecito aspettarsi.
Un’ottima band ritrovata ai suoi migliori livelli, credo che di più non si potesse chiedere.

Tracklist:
1. Dolor Saeculi
2. Broken Before the Throne
3. Betrayed by God
4. Never Rest
5. At One with the Dead
6. House of the Tragic Poet
7. Dawn of Sorrow
8. When Shadow Falls
9. The Lament of Faustus

Line-up:
James Easterbrook – Bass
Steve Hart – Drums
Jason Hodges – Guitars
Mike Hitchen – Guitars
Matt Small – Vocals

THE DROWNING – Facebook

Heimdalls Wacht – Geisterseher

Pagan black metal dalla Germania: ruggente, frizzante e devoto a temi anti cristiani.

Pagan black metal dalla Germania: ruggente, frizzante e devoto a temi anti cristiani.

Geisterseher segna 10 anni di attività nei quali Saruman (chitarra) e Herjann (basso) hanno avuto da lavorare per riuscire a comporre l’attuale line-up vincente, testata l’anno scorso con lo split con Trollzorn. Skjeld dona voce, vernice e grinta ad un disco che apre una nuova era, come nel sito web viene dichiarato: l’uscita di Narhemoth, per quanto sia presente nello spirito della ideologia della band. Ben mixato, buona tecnica negli arrangiamenti e adatto per affezionati al genere, ma piacevole e di semplice ascolto per chi non ha criteri di paragone (come me ad esempio, e questo non significa affatto che sia un prodotto anonimo e leggero).
Attitudine schiva ma aperta allo stesso tempo, lampi di grim e saette vocali che compensano le fughe vocali , come ad esempio in Scyomantia, adattabile a singolo. Taedium Vitae riporta riccioli di malinconia ai primi Pyogenesis, magari tra Ignis Creatio e Twinaleblood, ma appena un accenno. Un tocco di cascadian non fa che alleggerire un disco che se avesseavuto schemi “quadrati” sarebbe stato scaraventato da subito nell’anonimato.

TRACKLIST
1. Spoekenkieker
2. Wir sind die Waechter
3. Der kommende Gott Treffen mit Sabazios
4. Scyomantia-Der Thron im Schatten
5. Tairach
6. Taedium_Vitae
7. Anderswelt

LINE-UP
Narhemoth – Voce
Saruman – Voce, Chitarra
Herjann – Basso, Voce
Teja – Chitarra
Feuerriese – Batteria

HEIMDALLS WACHT – Facebook

Witherscape – The Northern Sanctuary

Dan Swanö ha sempre raccolto meno di quanto il suo inestimabile genio meritasse e forse sarà ancora così, ma ignorare la musica di questo splendido ed inarrivabile musicista e compositore è perdersi pura arte.

Edge Of Sanity, Moontower, Nightingale, pescate a piene mani dalle tre più sontuose proposte dal grande musicista, compositore e produttore svedese, al secolo Dan Swanö, ed avrete un’idea di che meraviglia sonora possa essere The Northern Sanctuary, secondo lavoro dei Witherscape, band che lo vede in compagnia del chitarrista e bassista Ragnar Widerberg, dove lui si accontenta di suonare batteria e tastiere, oltre che far scorrere brividi con la sua inimitabile voce.

Seguendo il concept iniziato sul primo lavoro (The Inheritance), una storia a tinte horror scritta dall’amico Paul Kuhr (frontman dei Novembers Doom), il padre del melodic death metal scandinavo ritorna ad illuminarci con il suo inimitabile genio, fondendo alla perfezione il death metal con sonorità classiche, gothic e progressive in un’opera metal che andrebbe fatta studiare nelle scuole.
The Northern Sanctuary entusiasma e per chi conosce la discografia di Swanö non è una novità, i capolavori che dai primi anni novanta hanno trovato posto sugli scaffali degli appassionati non si contano più, ma lascia senza parole la freschezza compositiva che accompagna ancora oggi il musicista svedese, qui sontuoso anche nella prova vocale dove risplende il suo inconfondibile growl e procura pelle d’oca con le clean vocals, teatrali e profonde.
E parto da qui, dal perfetto e spettacolare uso che Swanö fa delle linee vocali, primo importantissimo dettaglio che manda The Northern Sanctuary direttamente tra le migliori uscite del 2016, visto che la perfetta simbiosi tra i toni estremi e la voce pulita non la troverete in nessun altro lavoro, almeno per quanto riguarda il genere proposto.
Le tastiere hanno un ruolo fondamentale nella struttura dei brani, il musicista svedese ha fatto tesoro di tutte le collaborazioni che lo hanno visto al fianco di colleghi delle più svariate correnti musicali, così che è facile incontrare armonie tastieristiche che si avvicinano al mood di Ayreon del folletto olandese Lucassen (God Of Ruin), mentre lo scontro tra progressive e death metal continua imperterrito e Swanö, come un dottor Jekyll e Mister Hyde, ora estremo, ora elegantemente melodico insegna a più di una generazione di songwriter come scrivere canzoni, difficili ma allo stesso tempo accattivanti e dall’appeal mostruoso.
Mentre la qualità altissima di brani come l’opener Wake of Infinity, o il perfetto swedish sound che si evince dalla spettacolare In The Eyes Of Idols, confermano il mood di questo lavoro (il riassunto compositivo tra Edge Of Sanity, Moontower e Nightingale) succede qualcosa di clamoroso e che non era stato ancora composto (almeno così bene): Marionette arriva e ci presenta il primo stupendo esempio di sonorità aor e death insieme e che, per mano, costringono i nostri occhi a lacrimare, mentre Divinity ci scuote con un brano death melodico alla Sanity, valorizzato da chorus prog di estrazione settantiana.
La title track saluta tutti dall’alto della sua splendida natura estrema, ma sulla quale il genio di Swanö immette una serie di varianti musicali che vanno dall’hard rock, al gothic al prog metal per la definitiva consacrazione di questo ennesimo capolavoro.
Dan Swanö ha sempre raccolto meno di quanto il suo inestimabile genio meritasse e forse sarà ancora così, ma ignorare la musica di questo splendido ed inarrivabile musicista e compositore è perdersi pura arte.

TRACKLIST
1. Wake Of Infinity
2. In The Eyes Of Idols
3. Rapture Ballet
4. The Examiner
5. Marionette
6. Divinity
7. God Of Ruin
8. The Northern Sanctuary
9. Vila Lerid

LINE-UP
Ragnar Widerberg – Guitars, Bass
Dan Swanö – Vocals, Keyboards, Drums

WITHERSCAPE – Facebook

Altar Of Oblivion – Barren Grounds

La forza del doom, la potenza dell’epicità così naturale per i grandi gruppi come gli Altar Of Oblivion.

La forza del doom, la potenza dell’epicità così naturale per i grandi gruppi come gli Altar Of Oblivion.

Questo gruppo danese ha un talento incredibile, e in questo ep lo possiamo ascoltare per intero. Quattro anni sono passati dal precedente e magnifico Grand Gesture Of Defiance e gli Altar Of Oblivion compiono ulteriori passi avanti. Senza fare tanti discorsi di genere e di gabbie mentali, si può dire che in questo ep ci sia molto del pathos e sei valori musicali che ci hanno fatto diventare metallari. La lentezza, la potenza e la capacità ci colpire al cuore di questi musicisti è davvero unica e ti lascia a bocca aperta. Le note scorrono melodiose e forti, come la musica degli elfi a Gran Burrone, e lascia appagati ed eterei. Gli Altar Of Oblivion possiedono la magia di trasportarti lontano, come nella splendida copertina del disco, che fotografa perfettamente ciò che sentirete dopo. Certamente non è tutto oro ciò che luccica, e i danesi nella loro musica affrontano anche prove difficili, come noi nella vita di tutti i giorni, ma appunto il potere della musica e della nostra libera immaginazione ci può far superare le prove, anche quelle più ardue.
La durata dell’ep è giusta, consona sia a farci gustare ogni nota, sia a sottolineare le loro capacità compositive, perché scrivere musica così bella non deve essere una cosa da nulla.
Doom, quindi, se vogliamo proprio tirare fuori un genere, ma soprattutto il doom inglese strettamente imparentato con il dark, quello dei My Dying Bride per intenderci, anche se gli Altar Of Oblivion in alcuni frangenti sono al di sopra di tutte le nubi.
Un ottimo ritorno, un disco da sentire senza fretta e ad occhi chiusi.

TRACKLIST
1. State Of Decay
2. Serenity
3. Barren Grounds
4. Lost

LINE-UP
Mik Mentor – Vocals
Martin Meyer Sparvath – Guitars, backing Vocals & additional Keyboards
Allan Larsen – Guitars
C. Nörgaard – Bass
Thomas Wesley – Drums

ALTAR OF OBLIVION – Facebook

Nuisible – Inter feces et urinam nascimur

Il disco è breve ma lascia comunque il segno, magari non in maniera indelebile ma sufficiente a far drizzare le antenne di fronte questo nome nuovo.

Notevole mazzata quella proveniente dai francesi Nuisible, al loro effettivo esordio con questo Inter feces et urinam nascimur.

La band normanna spara una mezz’ora scarsa di hardcore, fortemente metallizzato da sfuriate ai limiti del black e da qualche raro rallentamento di matrice sludge, un qualcosa che potrebbe non soddisfare del tutto i puristi dell’hardcore, anche alla luce di una componente punk che emerge solo a sprazzi (Out come the wolves).
A chi ha un background propriamente metal, invece, quest’opera dei Nuisible dovrebbe piacere non poco, proprio perché, pur mantenendo la linearità e l’immediatezza dell’hardcore, gode di una pesantezza non indifferente ben rappresentata dall’ottima Roar of the great torrent.
Il disco, come detto, è breve, ma lascia comunque il segno, magari non in maniera indelebile ma sufficiente a far drizzare le antenne di fronte questo nome nuovo, capace di veicolare con efficacia il proprio rabbioso e insofferente sentire nei confronti della realtà circostante.

Tracklist:
1.Inter feces et urinam nascimur
2.Proletarian hung
3.Out come the wolves
4.Reign of confusion
5.Night wanderer
6.Roar of the great torrent
7.Forest fire

Line-up:
Julien – guitars, vocals
Alexandre – drums, keyboards, backing
Damien – bass,backing
Furet – guitar

NUISIBLE – Facebook

Nifrost – Motvind

Motvind sarà una gradita sorpresa per gli amanti del genere, perciò su le spade e via di corsa tra la bruma innevata, la gloria vi attende.

Uscito cinque anni fa in versione demo e ristampato dalla Naturmacht Productions, Motvind è il primo full length dei Nifrost, gruppo norvegese che risulta fondato da più di dieci anni ma con all’attivo solo un demo uscito nel 2010.

Il quartetto scandinavo con questo lavoro non manca però di sorprendere in positivo e Motvind risulta un buon lavoro di black metal pagano in cui è forte l’ispirazione mitologica.
Di buon spessore compositivo, l’album richiama a più riprese le gesta epiche dei Bathory, la parte metallica del sound è pregna di ottime soluzioni melodiche, cavalcate estreme tra mid tempo ed accelerazioni di stampo black, mentre l’elemento folk del sound rimane in parte nascosto dal clima battagliero che anima le tracce.
Prodotto molto bene (virtù non così scontata nel genere), il sound viene valorizzato da un’ottima prestazione delle due asce, in perfetta sintonia tra ritmiche furenti e solos colmi di melodie epiche e per quasi un’ora veniamo catapultati in un’era di eroi e battaglie, scontri tra le foreste coperti dal manto bianco di neve che si sporca del sangue di guerrieri indomiti.
Un album che meritava senz’altro di essere rivalutato ed ascolto obbligato per i fans del genere, che sicuramente verranno soddisfatti dall’aura viking che brani come l’opener Byrdesong, il crescendo di tensione che anima Dei ville med vald e l’epica ed evocativa Marebakkjen.
Il metal classico fa capolino nell’ottima Under seks lange e l’album arriva a più di metà della sua durata senza riscontrare nessun colpo a vuoto.
La seconda parte continua la sua cavalcata verso il Valhalla, concludendosi con la title track , aperta da giri acustici di ispirazione folk ed un crescendo entusiasmante che porta all’epico finale, splendidamente supportato da cori che grondano epicità e orgoglio vichingo.
In conclusione, Motvind sarà una gradita sorpresa per gli amanti del genere, perciò su le spade e via di corsa tra la bruma innevata, la gloria vi attende.

TRACKLIST
1. Byrdesong
2. Ufred
3. Sitring
4. Dei ville med vald
5. Marebakkjen
6. Under seks lange
7. Ve
8. Vaart land
9. Ferdamann
10. Motvind

LINE-UP
Kjetil Andreas Nydal – Bass, Vocals
Jørn Ståle Norheim – Guitars
Eyvind Aardal – Vocals, Guitars
Henrik Nesse – Drums

NIFROST – Facebook

Chainerdog – Daemonical

Un lavoro di ricerca e di bravura musicale in ambito estremo.

Chainerdog è una one man band di black metal molto eterodosso ed interessante.

Si parte dalle basi e dai classici del genere per avventurarsi in un’escursione a trecentosessanta gradi nel mondo del metal estremo. In alcuni passaggi risuona lo spirito immortale di Quorthon, padre di un serio approccio sinfonico al genere. L’essere solo uno non diminuisce ma potenzia la forza della musica di Chainderdog, che riesce a creare una grande atmosfera, andando anche ad indagare l’inflazionato ramo atmosferical del black metal in una maniera intelligente. La ricerca musicale qui è palpabile, mentre si viene toccati da un vento freddo che spira dal nord, quell’idea mentale di nord che sta dentro di noi dall’antichità e che qui viene messa in musica. La produzione è uno dei modi in cui può essere reso il black metal, e qui si adatta alla perfezione all’obiettivo. Un altro grande pregio di questo disco è la varietà della visione musicale, poiché Chainerdog ci porta in varie terre del black metal, e in tutte suona con cognizione. Inoltre Daemonical parla di un geist che non c’è più, rovinato da una modernità che è davvero negativa in molte sue accezioni.
Un lavoro di ricerca e di bravura musicale in ambito estremo.

TRACKLIST
1.Dead
2.Demoniac
3.Hellbringer
4.Morbid
5.Submerged (instrumental)
6.Vile
7.Alchemist
8.Decay
9.Scais

CHAINERDOG – Facebook

Nazghor – Death’s Withered Chants

Il quartetto di Uppsala con il nuovo album imprime una sferzata notevole alla sua discografia

Uno dei gruppi di punta della label russa Satanath Records sono senza ombra di dubbio i blacksters svedesi Nazghor, orda satanica nata nel 2012 e già arrivata al quinto album sulla lunga distanza.

Quattro lavori in quattro anni di cui due nel 2014, tutti di buona qualità a cui si aggiunge questo devastante Death’s Withered Chants, ottimo esempio di true black metal scandinavo, chiaramente di ispirazione svedese, pregno di melodie chitarristiche, tanto odio religioso ed impatto fulminante.
Il quartetto di Uppsala con il nuovo album imprime una sferzata notevole alla sua discografia e Death’s Withered Chants a tratti entusiasma; un disco di genere certo, ma ben fatto, suonato e prodotto alla grande con bellissime atmosfere epico oscure, un’attitudine antireligiosa che sprizza da ogni nota, ben espressa dal vocalist Nekhrid, un demone dietro al microfono.
Il tempo di somatizzare l’intro e l’album parte sgommando con la devastante Requiem Black Mass: si nota subito l’enorme lavoro in consolle e l’ottimo affiatamento delle due asce in forma splendida (Armageddor e Angst) capaci di travolgere l’ascoltatore con un riffing violentissimo e solos che fanno delle melodie vincenti il loro punto di forza.
Violento e blasfemo, Death’s Withered Chants continua a regalare piccole perle nere, bufere di musica estrema che si abbattono sulla costa scandinava, mentre il cielo diventa un muro oscuro e tra i nuvoloni oscuri e tempestosi si disegna lo sguardo di Lucifero e la band continua il suo macello sonoro con la coppia d’assi Craft of the Nihilist / Road to Dead Meadows.
Pochi secondi di oscure note atmosferiche aprono alcuni brani, mentre l’attacco portato all’umanità si fa imponente con la stupenda Complete Unholyness, un mid temo epico squarciato da un assolo che gronda sangue e lacrime per ripartire in una cavalcata metallica da epica tregenda.
La title track posta alla fine risulta la colonna sonora della fine del mondo, o meglio quello che rimane dopo che i Nazghor sono passati, dieci minuti di atmosfere gelide, tragiche e drammatiche, una nuova dimensione dell’apocalisse, mentre l’ultimo cuore si spegne, la musica lascia spazio al suo battito che piano piano rallenta fino all’ultimo tragico colpo.
Influenze e paragoni sono tutti nella storia del genere, dunque se siete amanti di queste sonorità non potrete fare a meno di trovare pulsazioni sonore dei vari Dissection, Dark Funeral, Watain e compagnia satanica, espresse alla grande dai Nazghor in un album da avere assolutamente.

TRACKLIST
1. Hymnum Mortis
2. Requiem Black Mass
3. Under a Venomous Spell
4. Craft of the Nihilist
5. Road to Dead Meadows
6. Inheritance of the Cross
7. Aeternum Regno Diaboli
8. Complete Unholyness
9. Empire of Graves
10. Death’s Withered Chant

LINE-UP
NEKHRID – Vocals
ARMAGEDDOR – Guitars
ANGST – Guitars
CROWLECH – Bass
COSMARUL – Drums

NAZGHOR – Facebook

Colosso – Obnoxious

I Colosso non rappresentano il futuro del death più tecnico e sperimentale, ne sono già il presente …

I portoghesi Colosso, con un monicker simile, non potevano che dedicarsi ad un metal pesante oltre misura, e così è in effetti, anche se la strada percorsa per triturare i padiglioni auricolari degli ascoltatori è molto meno scontata di quella intrapresa da biechi mazzuolatori senza arte né parte.

La band di Oporto, guidata dal fondatore Max Tomé , ha intrapreso solo all’inizio di questo decennio il proprio percorso di progressivo annichilimento, e Obnoxious è la seconda prova su lunga distanza che ci mette di fronte ad una realtà di assoluto spessore.
Un death metal tecnico, che ogni tanti sconfina nel djent, ma in misura non stucchevole, con una pesante componente industrial che lascia spazio a passaggi più riflessivi, andando a formare una mistura accattivante ma soprattutto convincente per la fluidità con cui la materia viene manipolata.
Furra, sperimentazione ed un pizzico di melodia: ecco la miscela che rende vincente Obnoxious nei suoi quaranta minuti di intensità a tratti parossistica, segnati da una prestazione d’assieme impeccabile per esecuzione ed esaltata da una produzione adeguata.
I Colosso offrono una prestazione, appunto, “colossale”, e anche quando alcuni riferimenti si fanno un po’ più scoperti (gli imprescindibili Fear Factory nella magnifica A Noxious Reflection) il tutto viene reso in maniera talmente efficace da far passare qualsiasi altra considerazione in secondo piano.
Obnoxious è emblematico di quella che dovrebbe essere la via maestra da seguire per chi si cimenta con un metal estremo ma dalle sembianze più moderne: lontani dal tecnicismo fine a sé stesso di certo djent o dalla freddezza chirurgica dell’industrial di maniera, i ragazzi lusitani portano una violenta sferzata di aria fresca in un ambito che ultimamente ha proposto più di una prova asfittica, anche da parte di nomi già affermati.
I Colosso non rappresentano il futuro del death più tecnico e sperimentale, ne sono già il presente …

Tracklist:
1. In Memoriam
2. The Unrepentant
3. Of Hollow Judgements
4. As Resonance
5. Soaring Waters
6. Seven Space Collisions
7. To Purify
8. Sentience
9. A Noxious Reflection

Line-up:
Max Tomé – Guitars, Vocals
André Lourenço – Bass
Marcelo Aires – Drums
António Carvalho – Guitars
André Macedo – Vocals

COLOSSO – Facebook

Scarlet Anger – Freak Show

Freak Show è un album pregno di atmosfere dark, chiaramente sviluppate su un sound che è puro thrash metal.

Sono sincero, quando bussano all’uscio della mia casetta album del genere, il sottoscritto va in brodo di giuggiole; come non apprezzare un lavoro così ben fatto sotto tutti gli aspetti e dal sound altamente metallico, perfettamente inserito nel nuovo millennio, pur richiamando senza mezzi termini le proprie ispirazioni ed influenze.

Che Freak Show sia un lavoro su cui i lussembughesi Scarlet Anger abbiano puntato tanto si evince da una produzione perfetta, un booklet che accompagna il prodotto molto professionale e che richiama il mondo del fumetto fantasy/horror, ed un songwriting creato nello spazio di quattro anni dall’ultimo lavoro (Dark Reign, full length del 2012), un lasso di tempo medio lungo che ha dato modo al gruppo di curare il disco sotto ogni aspetto.
Prodotto ai Fascination Street Studios da Jens Bogren (Opeth, Kreator, Paradise Lost, Amon Amarth e molti altri) l’album risulta un buon esempio di thrash metal oscuro, che punta lo sguardo sulla scena statunitense della Freak Show è un album pregno di atmosfere dark, chiaramente sviluppate su un oscuro e puro thrash metal che punta lo sguardo sulla scena statunitense della Bay Area, senza tralasciare richiami al metal made in USA e all’heavy di ispirazione Iced Earth, maestri in questo tipo di sonorità e probabilmente la maggiore ispirazione del quintetto capitanato dal vocalist Joe Block.
Questo disco è un punto d’arrivo notevole per un gruppo che si muove nel circuito underground, con poche possibilità di andare oltre all’apprezzamento incondizionato degli appassionati, ma che con Freak Show dimostra tutta la sua bravura tecnica e compositiva.
L’ album è pregno di atmosfere dark, chiaramente sviluppate su un sound che è puro thrash metal, si respirano trame orrorifiche e melodie drammatiche, Block con la sua voce ruvida si impegna a dare al sound un tocco teatrale e tragico, cosa che avvicina la band, come detto, agli Iced Earth dell’era Barlow, mentre ritmiche e sfuriate metalliche sono classicamente Exodus/Testament di origine controllata.
Ottimo il lavoro ritmico ma, concedetemelo, l’arma in più, almeno su questo lavoro, sono le due sei corde (Jeff Buchette, Fred Molitor) a tratti davvero entusiasmanti nel grondare lacrime e sangue su un lotto di brani dove le nebbie notturne avvolgono lo spartito del gruppo lussemburghese.
Segnalarvi un brano piuttosto che un altro è superfluo, Freak Show bisogna spararselo in cuffia come se non ci fosse un domani, ma Attack Of The Insidious Invader, On The Road To Salvation e Deadly Red Riding Hood, valgono da sole il prezzo del biglietto, per lo spettacolo offerto dai Scarlet Anger.
Bellissimo album metal con gli attributi al posto giusto, ottime melodie e tanta voglia di far male, non perdetevi lo show, sarebbe un peccato.

TRACKLIST
1. Awakening Of The Elder God
2. Attack Of The Insidious Invader
3. The Haunted Place – House Of Lost Souls
4. Welcome To The Freak Show
5. The Abominable Master Gruesome
6. Through The Eyes Of The Sufferer
7. The Thing Without A Name
8. On The Road To Salvation
9. An Unbelievable Story Of A Stupid Boy
10. Deadly Red Riding Hood

LINE-UP
Vincent Niclou – Bass
Alain Flammang – Drums
Jeff Buchette – Guitars
Fred Molitor – Guitars
Joe Block – Vocals

SCARLET ANGER – Facebook

Second To Sun – The First Chapter

The First Chapter segue un’impetuosa narrazione, là dove il metal viene usato come codice da integrare con altri linguaggi come il folclore, per creare un punto d’incontro che serve da base per raccontare storie altrimenti dimenticate.

Il disco dei Second To Sun è una magnifica opera sonora, composta da diversi strati, molti livelli di lettura e stili ricchi e assai differenti tra loro.

The First Chapter segue un’impetuosa narrazione, là dove il metal viene usato come codice da integrare con altri linguaggi come il folclore, per creare un punto d’incontro che serve da base per raccontare storie altrimenti dimenticate.
Il tutto è strumentale e non potrebbe essere altrimenti, dato che ogni parola sarebbe estranea in questa cascata di note, vite e sogni spezzati. Lo stile è un metal super tecnico, con intarsi di djent e post metal, ma uno degli elementi più importanti è il folclore. Ogni canzone ha genesi e semantica diverse, ma tutte raccontano qualche accadimento, ed in più fanno sentire le musiche delle genti coinvolte. Red Snow narra degli avvenimenti accaduti al passo Dyatlov, dove vennero uccise nove persone, o dai locali o da qualcosa che sarebbe meglio non nominare nemmeno. In questa canzone i Second To Sun ci fanno sentire anche in fondo al pezzo dei loro rimaneggiamenti di pezzi tipici delle popolazioni di quei luoghi. E questo disco, grazie alla sua musica, tra Meshuggah e dintorni e un certo grado di distopia, regala grandi gioie, qui il metal diventa moderno narrando storie e visi antichi. La potenza e la tecnica dei Second To Sun fanno davvero la differenza, anche perché non sono usate affatto a caso, ma sempre con consapevolezza e sapienza. Quando poi il metal dei russi si fonde con il folk dei canti finlandesi riarrangiati, o con composizioni di popoli così lontani dalla nostra tecnocrazia, è qui che si raggiungono i momenti più alti del disco, che viaggia su di una qualità media davvero ragguardevole. La cosa migliore che si possa dire di questo disco è affermare la sua originalità, che continua la tradizione di dischi come Roots dei Sepultura, pur essendone molto diverso nell’essenza, parlando di popoli antichi e facendolo con un metal moderno e propositivo, molto differente rispetto al folk metal. Potrebbe sembrare un disco ostico ma non lo è, perché imponenti impalcature musicali nascondono al loro interno melodie importanti che vengono palesate in tutta la loro potentissima bellezza.
Un disco che riempe e che fa vedere dove dovremmo volgere il nostro sguardo, sia davanti che dietro di noi.
Potenza, tecnica e grandiosità.

TRACKLIST
1.Spirit Of Kusoto
2.Red Snow
3.Me Or Him
4.Land Of The Fearless Birds
5.The Blood Libel
6.Narčat
7.Virgo Mitt
8.Chokk Kapper (Bonus Track)
9.Narčat (Demo Version, Bonus Track)

LINE-UP
Vladimir Lehtinen
Theodor Borovski
Aleh Zielankievič

SECOND TO SUN – Facebook

Isgärde – Jag Enslig Skall Gå

Un album di black metal sui generis, che alterna parti metalliche ad atmosfere di oscura melancolia, sorretto dai suoni tastieristici che creano un’aura misteriosa.

Arriva dall’isola di Öland, in Svezia, questa one man band al primo full length, licenziato dalla sempre più attiva (in campo estremo) Symbol of Domination Prod.

Il polistrumentista Somath prende ispirazione per la propria musica dalla sua terra ricca di fascino ed immersa in una natura selvaggia.
Un’isoletta in mezzo al mare del nord, il clima rigido e la profonda solitudine hanno ispirato Somath nel suo primo lavoro, ne esce quindi un album di black metal sui generis, che alterna parti metalliche ad atmosfere di oscura melancolia, sorretto dai suoni tastieristici che creano un’aura misteriosa, sferzati da tempeste di metallo nero ed impreziosito da sfumature epiche.
Da migliorare lo scream, forse poco valorizzato da una produzione appena sufficiente, mentre a livello strumentale Somath non manca di regalare attimi di buona emotività, soprattutto nelle parti atmosferiche e maestose.
Le classiche cavalcate metalliche in puro stile swedish black metal e il sentore misantropico che aleggia in tutti i brani rendono l’album appetibile per i fans del genere: Jag Enslig Skall Gå ci racconta dell’isola, dei suoi freddi mesi invernali, della sua natura ostile e senza scrupoli e della solitudine, dell’angoscia con cui un uomo deve fare i conti tutti giorni.
Il musicista svedese si è interamente prodotto l’album, aiutato da un paio di colleghi della scena, Filip Lönnqvist dei Rave The Reqviem e Lord Aganaroth (WAN and Sapfhier).
Dieci brani che formano un’opera affascinante ma con qualche difetto, normale per un esordio, ma sicuramente da valutare se l’album, come si spera, avrà un seguito: per ora supportiamo il buon Somath e la sua isola.

TRACKLIST
01. Isgärde
02. Battle Of Borgholm
03. Dying After Dawn
04. Ancient Forest Of Witchery
05. Thousand Scars
06. Funeral Fire
07. Dungeons Of The Devil
08. Drowning Cosmos
09. At Gettlinge Gravfält
10. Korpen

LINE-UP
Somath – Guitars, bass, drums, keyboards, vocals