Bosque – Beyond

Beyond è un lavoro valido, in grado d’essere apprezzato dagli amanti del funeral anche se forse, rispetto a Nowhere, viene meno una certa peculiarità.

Il primo incontro con i Bosque risale alla fine del 2013, quando mi trovai a palare di Nowhere, secondo full-length pubblicato dalla one man band portoghese.

Quel lavoro mi colpì per l’atmosfera soffocante che lo contraddistingueva, rinunciando quasi del tutto ad alleviare le sofferenze provocate dal funeral doom grazie a qualche prolungato accenno melodico; a quasi tre anni di distanza, DM torna a far parlare di sé con Beyond, lavoro che appare fin da subito decisamente diverso dal predecessore.
Infatti, l’opener Calling the Rain mostra una propensione ad un sound nel quale la melodia, come detto pressoché bandita in Nowhere, diviene preponderante nella costruzione dei brani, tramite lenti e sempre sofferti riff chitarristici, sempre e comunque legati da uno sviluppo armonico ben definito.
La chitarra regala anche passaggi solisti, ovviamente privi di virtuosismi bensì volti essenzialmente a rimarcare il dolente incedere di un lavoro nel quale anche la voce, utilizzata con una range clean anche se leggermente filtrata, appare un vero e proprio lamento che asseconda in pieno l’umore dell’album.
I tre lunghi brani sono tutti di buon livello, anche se il ricorso a sonorità più definite a livello melodico mostra qualche imperfezione, a partire proprio dalla voce che, sicuramente, è l’aspetto sul quale sarebbe auspicabile intervenire in futuro; il tutto viene comunque compensato da un’attitudine ed una capacità compositiva che rendono Beyond un lavoro valido, in grado d’essere apprezzato dagli amanti del funeral anche se forse, rispetto a Nowhere, viene meno una certa peculiarità.

Tracklist:
1.Calling the Rain
2.Paradox
3.Enter

Line-up:
DM – all music and words
DA – session drums

BOSQUE – Facebook

Vulvodynia – Psychosadistic Design

Nel loro tremendo estremismo sonoro i brani si fanno apprezzare grazie e soprattutto ai vari vocalist che si danno il cambio, raccontando le macabre esecuzioni e torture perpetrate.

Vai a spiegare la bellezza di un album brutal death metal a chi pensa che gli Iron Maiden facciano solo casino.

Come qualsiasi forma d’arte, anche la più estrema ha i suoi picchi qualitativi, magari poco capiti dalla massa ed esclusiva per gli amanti del genere, come per esempio questo bellissimo secondo lavoro dei Vulvodynia, slam brutal death metal sudafricana, al secondo full length e creatrice di un’opera che, nel suo genere, risulta un piccolo capolavoro.
Hanno bruciato le tappe i death metallers sudafricani, fondati nel 2014 e nel giro di due anni con una discografia alle spalle di tutto rispetto che annovera il primo full length (Cognizant Castigation), due ep ed un paio di split.
Aiutati da un nugolo di psicopatici musicisti della scena slam (Martin Funderud degli Kraanium, Don Campan dei Waking the Cadaver e Luke Griffin degli Acrania, ma anche altri cantanti facenti parte di gruppi meno famosi come Chrissy Jones dei Clawhammer) e tanti altri appartenenti al mondo deathcore, la band crea questo devastante esempio di opera brutal, con tanto di cantanti che si danno il cambio dietro al microfono, in un susseguirsi di atmosfere horror/splatter da applausi.
Colmo di atmosfere al limite della pazzia, death metal e brutal si alleano con ritmiche hardcore che a tratti rendono il sound ancora più estremo, in un’aurea di terrore profondo, una discesa nell’abominio raccontata tramite terribili ripartenze, attimi di ragionata sadismo in un’orgia di corpi sventrati e torture varie.
Il bello sta nel songwriting sopra la media, una buona tecnica esecutiva e nell’appeal che, nel loro tremendo estremismo sonoro i brani rilasciano, grazie e soprattutto ai vari vocalist che si danno il cambio raccontando le macabre esecuzioni e torture perpetrate.
Un monolito estremo che ha almeno tre/quattro tracce notevoli, spetta a voi scoprirle nel mezzo della carneficina metallica creata dai Vulvodynia.
Psychosadistic Design sale di diritto sul gradino più alto del podio nel genere il questo brutale 2016, sicuramente un album per pochi affezionati … ma che album.

TRACKLIST
1.Psychosadistic Design
2.Drowned in Vomit
3.King Emesis
4.Catration Mutilation
5.Flesh Tailor
6.Unparalleled Insubordination
7.Grotesque Schizophrenia
8.Lord of Plagues
9.Depraved Paraphilia
10.Forced Fecal Ingestion
11.Umthakathi
12.Bestial Insemination
13.Wall of Corpses
14.Triple O.G. Slamdown

LINE-UP
Duncan Bentley-Vocals
Luke Haarhoof-Guitars
Byron Dunwoody-Drums. bass, gutars

Vocals :
Alex Terribile
Som Pluijmers
Don Campan
Martin Funderud
Adam Warren
Chrissy Jones
Chris Butterworth
Luke Griffin
Jason Evans

VULVODYNIA – Facebook

Perverted Ceremony – Demo 1 Tape

I Perverted Ceremony suonano metastasi, animano cancri metallici che si attaccano alle cellule buone e le fanno morire, senza una spiegazione, senza un senso.

Death black metal in lo fi e totalmente underground, anzi alle estremità putrescenti del sottobosco musicale.

Questo demo fu registrato nel 2012 a Bruxelles, con un registratore otto tracce, e pure vecchio il registratore. Il risultato è questo suono urticante e sonicamente ondivago, un tributo al metal più oscuro, quello che non conosce la parola vendere. Infatti i Perverted Ceremony, inciso il demo lo hanno fatto girare fra i loro contatti più stretti e poi lo hanno inviato ad alcune distro a loro gradite. In questo modo hanno catturato l’attenzione della Nuclear War Now !, sempre attenta alle uscite marce e fuori moda. Queste sette canzoni sono bestemmi lanciate verso il cielo, sono gioielli da cantina, fatte da persone che amano il metal e che hanno le distorsioni dentro. I Perverted Ceremony suonano metastasi, animano cancri metallici che si attaccano alle cellule buone e le fanno morire, senza una spiegazione, senza un senso. La loro bravura è anche quella di riuscire a far diventare interessante un qualcosa che molti altri gruppi hanno fatto, ma che non gli è uscito come a questi belgi. Demo 1 Tape ha un qualcosa di affascinante nella sua schifezza sonora, e più lo si ascolta più sci capisce che il metal non è hi fi, ma deve essere il più vicino possibile all’inferno, anche sonoramente. Sicuramente chi conosce l’audiometria potrebbe non essere della mia stessa opinione, ma quo gli schemi saltano e le squadre sono tutte all’attacco. Cassetta ristampata in maniera professionale, che fa da apripista all’album che presto uscirà su Nuclear War Now ! e di cui siamo molto curiosi.

TRACKLIST
1.Ceremonial Bread
2.Black Fluids
3.Midnight Orgy
4.Rites of the Sadistic Necromancer
5.Satanic Seventies Porn II
6.Perversion
7.Outro

NUCLEAR WAR NOW – Facebook

Saddiscore – Demons Of The Earth 2016

Demons Of The Earth è un album sufficientemente vario, in grado di accontentare chi del metal si nutre di tutte le sue forme,

Una discreta via di mezzo tra l’heavy metal tradizionale ed il modern metal, potenziato da considerevoli dosi di groove e reso appetibile da solos colmi di melodie old school.

Questo risulta Demons Of The Earth, primo lavoro sulla lunga distanza per i Saddiscore, gruppo proveniente da Colonia con all’attivo un demo e l’ep Roots Of Fear, licenziato un paio di anni fa.
Il quartetto tedesco tramite Boersma Records arriva così al traguardo del full length, meritato per quanto proposto, magari con ancora qualche dettaglio da perfezionare ma di buon ascolto specialmente per chi ama due anime così diverse come i generi descritti.
La band alterna e talvolta amalgama con risultati più che sufficienti due modi di fare metal, le ritmiche si mantengono vicine al lato più moderno della nostra musica preferita, mentre le chitarre ricamano solos pescati dalla tradizione.
Non si può certo considerare un album old school questo Demons Of The Earth, le reminiscenze thrash e i toni estremi nella voce riempiono di mood rabbiosi il sound, ma tra il muro ritmico compaiono buone scale riconducibili alla vergine di ferro, un’atmosfera oscura accompagna le tracce e ci ricorda l’U.S. Metal, mentre l’impatto rimane fortemente ancorato al modern metal dei Machine Head.
A loro modo i Saddiscore hanno creato un ibrido musicale, mantenendo ben visibili le caratteristiche peculiari delle sonorità a cui fanno riferimento ed il risultato a tratti convince, anche per il grande impatto di brani come Too Far Away, FSK e Mental Warfare, esempi perfetti delle atmosfere apocalittiche, oscure e rabbiose che la band riesce a creare.
Riassumendo, Demons Of The Earth è un album sufficientemente in grado di accontentare fans dai gusti diversi, magari non i soliti puristi con i paraocchi ma sicuramente chi del metal si nutre di tutte le sue forme, convogliando nel proprio sound le varie influenze dei Saddiscore.

TRACKLIST
1. A Storm Is Coming
2. Too Far Away
3. Mirror Face
4. Ghost Of Guilt
5. FSK
6. Demons Of The Earth
7. All In Our Hands
8. Mental Warfare
9. To Take The Blame (Bonus)
10. The Reaper (Bonus)

LINE-UP
Chris – Vocals/Guitar
Peter – Drums
Jupp – Bass
Caro – Lead Guitar

SADDISCORE – Facebook

Yhdarl – A Prelude to the Great Loss

L’ennesima epifania di un talento per il quale una sorta di compulsività espressiva non va minimamente a discapito della qualità delle diverse proposte.

Un preludio alla grande perdita: per raccontare gli stati d’animo che accompagnano questo tragico momento c’è bisogno di uno dei massimi cantori moderni di tutto ciò che rappresenta il dolore, il disagio esistenziale, la disperazione e l’alienazione di chi è condannato, suo malgrado, a trascorrere l’esistenza su questo pianeta.

Il suo nome è Déhà, lo abbiamo testato fin troppe volte ed in mutevoli forme per nutrire dei dubbi sul suo valore, e anche questa volta non delude, utilizzando quale mezzo uno dei suoi innumerevoli progetti, Yhdarl, dove si accompagna alla musicista francese Larvalis Lethæus.
Il monicker in questione rappresenta l’ incarnazione più prolifica del musicista belga e, forse, anche quella in cui riesce davvero compiutamente a racchiudere tutte le sue oscure visioni, proprio perché, ascoltando con attenzione A Prelude to the Great Loss, si riescono a cogliere sfumature, provenienti dagli altri suoi progetti, che vengono espresse come sempre in maniera mirabile.
L’ep regala una mezz’ora complessiva di musica, suddivisa in due brani complementari ma diversi per approccio ed intensità: la furia parossistica che spesso contraddistingue Unblessed Hands è sintomatica di un dolore che pare non trovare vie d’uscita ed è il punto d’incontro tra la furia distruttiva dei COAG, il nichilismo dei Merda Mundi ed il rabbioso sgomento degli Imber Luminis, mentre ben diverso è l’impatto emotivo provocato da Primal Disgrace, laddove il dolore ottundente degli Slow va a fondersi idealmente con la poetica malinconica dei We All Die (Laughing).
Il tutto viene accompagnato dalla cangiante e sempre convincente interpretazione di Déhà e dai vocalizzi strazianti di Larvalis Lethæus, elemento vieppiù disturbante in un ambito che di rassicurante e confortevole di suo ha già ben poco.
Gli Yhdarl rappresentano l’ennesima epifania di un talento per il quale una sorta di compulsività espressiva non va minimamente a discapito della qualità delle diverse proposte, un qualcosa che trova ben pochi eguali nella storia recente della musica, non solo di quella circoscritta al metal.

Tracklist:
1. Unblessed Hands
2. Primal Disgrace

Line-up:
Déhà – All instruments, Vocals
Larvalis Lethæus – Vocals, Piano

YHDARL – Facebook

Nunslaughter / Gravewurm – Split Picture Disc 7″

Quattro pezzi per un ottimo split di vero metal, che meritava di non andare perso.

Split all’insegna del metal più violento e becero, quello che usci nel 2007 tra i Nunslaughter e i Gravewurm, provenienti entrambi dagli Stati Uniti.

Il background di questi due gruppi è formato da quella strana mistura di speed metal, hardcore ed in misura minore doom, sopratutto nella impostazione delle canzoni. Il tutto ci porta ad un metal molto vicino ai Venom, e a tutti quei gruppi sospesi nel limbo del death altro. Ognuna della due band ha caratteristiche proprie, ma il loro suono è molto simile, ed infatti ogni gruppo ha due pezzi nello split, e uno dei due è una cover di una traccia dell’altra band. La cosa funziona molto bene, dato che questo picture disc risulta molto piacevole, non velocissimo ma incisivo. I Gravewurm sono forse meno connotati tecnicamente rispetto ai Nunslaughter, facendo un death metal con chiari riferimenti ai Celtic Frost, con molti stacchi e con un’atmosfera di pesantezza.
Quattro pezzi per un ottimo split di vero metal, che meritava di non andare perso.

TRACKLIST
01. The Red Ram
02. On The Icy Plains I Die
03. Cult Of Th Dying God
04. Killed By The Cross

HELLSHEADBANGERS RECORDS – Facebook

Seher – Nachzehrer

L’oscura maliconia che si sprigiona dalle armonie acustiche ed elettriche, sospese nel limbo del rock d’avanguardia, sono perfettamente incastonate in potenti ma mai banali ripartenze black metal.

Premessa: continuo sinceramente a non capire tutto questo mistero quando si parla di gruppi estremi, specialmente black, ostinati nel non rilasciare informazioni su line up e quant’altro, come se la cosa fosse realmente cool.

In ambito underground i dettagli sono importanti, ma se i gruppi e le label pensano sia più credibile rimanere nell’oscuro anonimato, problema loro, tutto questo non va certamente ad influenzare il giudizio finale sul loro operato.
Un peccato però, specialmente se le opere sono di qualità come questo Nachzehrer, primo lavoro sulla lunga distanza dei blacksters tedeschi Seher, uscito in versione vinile, ma ristampato in versione cd, con l’aggiunta del primo demo, dalla Totenmusik.
L’album, accompagnato da una copertina invero bruttina, a livello musicale sorprende non poco, il black metal dei nostri infatti è un crescendo di cavalcate metalliche influenzate dalla scena scandinava ed impreziosite da atmosferiche digressioni nel post metal e nel rock, oscuro, profondamente intimista e violento il giusto quando il gruppo parte per la tangente estrema.
La melodia è signora e padrona delle tracce contenute in Nachzehrer, sia nelle parti evil che in quelle atmosferiche, i brani mediamente lunghi sono lunghe passeggiate nel metal estremo più adulto ed intimista, con una vena progressiva marcata e tante sfumature dark metal.
Un piccolo gioiellino di musica oscura risulta così questo lavoro, con dei picchi emozionali sopra le righe (la maestosa Geist, la crepuscolare e diabolica Mensch e lo splendido esempio di metal estremo malinconico che è Ader).
Grandi parti chitarristiche, fanno da cornice a momenti rarefatti, l’oscura malinconia che si sprigiona dalle armonie acustiche ed elettriche, sospese nel limbo del rock d’avanguardia, sono perfettamente incastonate in potenti ma mai banali ripartenze black metal e l’album dona momenti davvero intensi, risultando un ascolto obbligato per gli amanti del black metal melodico.

TRACKLIST
1. Nachzehrer
2. Geist
3. Mensch
4. Donner
5. Der Seher
6. Ader
7. Frost

SEHER – Facebook

Impure Consecration – Succumb To Impurity Fire

Questi ragazzi sono giovani ma hanno la fiamma del death metal che brucia loro dentro e confezionano un bel disco furioso, veloce e senza fronzoli.

Death metal furente, distruttivo di scuola americana.

Debutto in vinile per gli Impure Consecration, un power trio proveniente dagli Stati Uniti, legato al death metal delle origini ma con una forte visione personale e moderna del genere.
Questi ragazzi sono giovani ma hanno la fiamma del death metal che brucia loro dentro e confezionano un bel disco furioso, veloce e senza fronzoli. Il death metal underground è un genere che richiede una grossa fedeltà, e una bassa fedeltà sonora a volte, non troppa però. Questo sette pollici in tiratura limitata di 250 copie, in vinili di diverso colore, è il biglietto da visita per questo gruppo, che a breve pubblicherà un disco, sempre su Blood Harvest, etichetta dedita alla spaccatura delle vostre ossa, in camere desolate o in concerti affollati. E che sia death metal !!!

TRACKLIST
1.Succumb to Impurity Fire
2.Apparitions of a Malevolent Spirit

IMPURE CONSECRATION – Facebook

Divine Weep – Tears Of The Ages

L’album si sviluppa in cinquanta minuti di metallo incendiario, tra sonorità puramente heavy e la carica portentosa del power metal teutonico

I Divine Weep sono una band heavy/power proveniente dalla Polonia, attiva dalla metà degli anni novanta anche se le sonorità degli esordi erano orientate al più estremo black metal.

Nel 2010, dopo un lungo stop, il gruppo capitanato da Bartek Kosacki (chitarra) e Darek Karpiesiuk (batteria) decide di dare una svolta decisa al proprio sound e i Divine Weep si trasformano in una belligerante macchina da guerra heavy/power.
Tears Of The Ages è il secondo full length dopo la rinascita stilistica, successore del primo lavoro uscito tre anni fa (Age of the Immortal).
L’album si sviluppa lungo cinquanta minuti di metallo incendiario, tra sonorità puramente heavy e la carica portentosa del power metal teutonico; la produzione al passo coi tempi, permette di apprezzare in toto il lavoro dei musicisti che non risparmiano melodie dall’ottima presa, chorus, cavalcate epiche ed arrangiamenti moderni.
Un album di metal classico targato 2016, Tears Of The Ages è tutto qui, il songwriting rimane di ottima qualità per tutta la durata non facendo mancare al fan refrain dall’alto potenziale melodico, riff scolpiti sulle tavole della legge metalliche e un ottimo singer che imprime di personalità la sua performance.
Valorizzato dall’ospite Wojciech Hoffmann, axeman degli storici connazionali Turbo, che presta la sua chitarra su un brano, Tears Of The Ages è un ottimo esempio di cosa possa dare il genere nel nuovo millennio, specialmente se la cura dei particolari e l’attenzione nel lavoro in sala porta e questi risultati; le tracce esplodono in un fragore metallico, gli strumenti si inseguono correndo verso la gloria, i chorus non mancano di gasare e la noia fa le valigie per soggiornare in altri lidi.
L’opener Fading Glow attacca al muro con un riff in stile Hammerfall, l’heavy classico ed il power si scambiano il comando; la band svedese, i Primal Fear, e poi Gamma Ray e Judas Priest, sono i richiami più limpidi ad una stagione metallica neanche troppo lontana, anche se di acqua sotto i ponti ne è passata e le spade piantate sul campo di battaglia rischiano di arrugginirsi.
Ma gruppi come i Divine Weep tornano a far risplendere il drappo dei true defenders e The Mentor, Imperious Blade e la title track sono inni metallici da cantare orgogliosamente sotto il palco di qualche festival in giro per la vecchia Europa.
Purtroppo, in concomitanza con l’uscita del disco, l’ottimo singer Igor Tarasewicz ha lasciato la band, rimpiazzato a quanto pare da Kamil Budziński al quale auguriamo di ricalcarne le orme.

TRACKLIST
1.Fading Glow
2.The Mentor
3.Day Of Revenge
4.Last Breath
5.Petrified Soul
6.Imperious Blade
7.Never Ending Path
8.Tears Of The Ages
9.Age Of The Immortal (bonus track)
10.Lzy Wiekow (bonus track)

LINE-UP
Daro – Drums
Janusz Grabowski – Bass
Dariusz Moroz – Guitars
Bart – Guitars
Igor Tarasewicz – Vocals

DIVINE WEEP – Facebook

Morast – Morast

I Morast dimostrano delle notevoli potenzialità, ben espresse tramite un sound costantemente carico di tensione, magari non troppo vario ma sicuramente efficace

La Totenmusik pubblica la versione in vinile del demo d’esordio dei Morast, uscito originariamente lo scorso anno.

La band tedesca è dedita ad una forma di death doom piuttosto aspra e con una propensione allo sludge che mi ricorda non poco i primi Disbelief, anche per il ringhio sofferto esibito dal vocalist F, in analogia a quello di Karsten Jäge nel magnifico Worst Enemy.
Il disco dura poco più di 25 minuti, sufficienti per intuire nei Morast delle notevoli potenzialità, ben espresse tramite un sound costantemente carico di tensione, magari non troppo vario ma sicuramente efficace, specialmente nelle ottime Cold Side Of Bliss e Purging, tracce imbottite di una rabbia repressa che pare sempre sul punto di esplodere ma che viene trattenuta all’interno di uno scheletro compositivo compatto, un po’ meno nelle ugualmente valide, ma inferiori per intensità, Alleingang ed Error.
Una band da tenere in grande considerazione, in attesa del primo full length che dovrebbe essere licenziato nella prima metà del 2017.

Tracklist:
1. Alleingang
2. Cold Side Of Bliss
3. Error
4. Purging

Line-up:
L – drums
R – bass
F – vocals
J – guitar

MORAST – Facebook

Devin Townsend Project – Transcendence

Transcendence suona imponente e vasto e, malgrado la spinta interiore verso il sovrumano, Devin permane dentro un ambito fondamentale: l’heavy metal.

Trascendenza: in filosofia, la condizione o la proprietà di essere trascendente, di esistere al di fuori o al di sopra di un’altra realtà.

Devin Really Hevy Townsend, (Steve Vai, Strapping Young Lad, The Devin Townsend Band, Ziltoid The Omniscient, Casualties of Cool) poliedrico musicista canadese, ha sperimentato fusioni di più generi, elevando e modernizzando il concetto di heavy metal. Per il sottoscritto rappresenta un esempio lampante di chi ha ricevuto l’immenso dono della creatività, perciò consacrato all’arte e al cambiamento. Uscire dalla zona di comfort, sperimentare i contrari, esprimere tutto ciò nelle sue composizioni, rappresenta evidentemente tutti aspetti della sua individualità.
In Transcendence (bellissima la copertina ad opera di Anthony Clarkson) c’è probabilmente un nuovo approccio alla vita, in parte anche alla musica, perché Mr. Townsend non è poi così estraneo alla realtà sensibile che lo circonda. Tutto nell’album è amplificato, maestoso, sinfonico, come proveniente dall’Universo, da una dimensione ultraterrena, sconfinata. Un’opera che scandisce il tempo di una colossale colonna sonora. Si avverte immediatamente una disposizione d’animo più positiva che in passato, l’amalgama è molto densa, le emozioni che scaturiscono durante l’ascolto sembrano voler legare l’essere umano al Tutto. Volutamente evito la recensione track by track perché ci troviamo alle prese con un flusso di sensazioni tutte in stretta relazione, durante le quali si alternano vette appassionanti a parti più monotone, ma che per nostra fortuna si risollevano con energia e originalità. Su tutte cito solo Failure, le bellissime Higher e Stars e la coda di From The Heart. Si chiude con l’apprezzabile cover Transdermal Celebration dell’alternative rock band Ween.
Se avete già apprezzato i precedenti lavori, amerete questo tipo di sonorità spaziali. Viaggerete tra le stelle accompagnati da cori celestiali, suoni pomposi, piccoli sprazzi djent, cori femminili (ancora a carico di Anneke Van Giersbergen) e ritmiche alternate. Le (poche) parti di chitarra solista sono squisite, ma le sonorità sviluppate dal genio di Vancouver negli ultimi anni sono state aggiornate e potenziate da un approccio fresco e moderno.
Registrato al Armoury Studios, prodotto e mixato dallo stesso Townsend e da Adam ‘Nolly’ Getgood (Periferie, Animals As Leaders), Transcendence suona imponente e vasto e, malgrado la spinta interiore verso il sovrumano, Devin permane dentro un ambito fondamentale: l’heavy metal. E a noi sta molto bene così.

TRACKLIST
1. Truth
2. Stormbending
3. Failure
4. Secret Sciences
5. Higher
6. Stars
7. Transcendence
8. Offer Your Light
9. From The Heart
10. Transdermal Celebration

LINE-UP
Devin Townsend – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards, Programming
Dave Young – Keyboards, Guitars
Mike St-Jean – Keyboards
Brian Waddell – Bass
Ryan Van Poederooyen – Drums

DEVIN TOWNSEND – Facebook

Malamorte – Devilish Illusions

Il suono e un certo immaginario black horror qui trovano la loro naturale ragion d’essere, per un disco decisamente riuscito.

I Malamorte sono il black metal che non tradisce mai i propri adoratori e che, anzi, con dischi come questo li fa amare maggiormente il nero metallo.

I Malamorte sono il progetto balck metal di Alessandro Nunziati, già nei Lord Vampyr, Cain, Shadowreign, Nailed God, e Theatres des Vampires, che dopo l’ep The Fall Of Babylon del 2014 hanno continuato la loro avventura con questo disco, un ottimo concentrato di black metal classico, non cantato sempre in growl, con inserti di death metal , per un suono davvero convincente con ritornelli coinvolgenti ed azzeccati. Devilish Illusions è un disco che piacerà molto a chi ama il black metal, ma coinvolgerà molto anche i death metallers aperti ad altre sonorità, comunque molto simili. Il nome forse è ispirato a Malamorte, l’antico nome che veniva dato al paese di Belveglio, teatro di tantissime battaglie, e con un castello ancora infestato da misteriose presenze. E anche qui è forte il riferimento all’horror, come quello di King Diamond, che è il nome che aleggia per tutto il disco. Il black metal dei Malamorte è spettacolare e melodico, suonato e composto davvero bene, con cura e passione. Devilish Illusions ha una produzione molto puntuale, pulita il giusto, senza eccedere il nulla, con un grande bilanciamento. Nunziati, nume tutelare del progetto, è una personalità musicale molto prolifica, e con ottime idee, infatti riesce a cimentasi negli ambiti metallici più disparati, sempre con ottimi risultati. Il suono e un certo immaginario black horror qui trovano la loro naturale ragion d’essere, per un disco decisamente riuscito.

TRACKLIST
01. Maleficium I
02. Devilish Illusions
03. Pactum
04. Dark Clouds On Golgotha
05. Maleficium II
06. Possession
07. Malamorte
08. Devoted To Self-Destruction
09. Lucifer’s Rebellion
10. Maleficium III

LINE-UP
L.V. Vocals/Guitars, music, lyrics, production, arrangements
Session:
Sk: additional guitars, bass, brogramming

MALAMORTE – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Darkrypt – Delirious Excursion

Un manifesto più che esauriente del livello raggiunto ormai dai gruppi asiatici ed in particolare da quelli indiani

Kunal Choksi ne sa una più del diavolo in fatto di metal ed al timone della sempre più titolata ed importante label Transcending Obscurity centra un altro bersaglio pieno con l’esordio su lunga distanza dei Darkrypt, combo di Mumbai dedito a far risplendere il buon vecchio death metal con Delirious Excursion.

Certo è che si sono fatte le cose in grande per valorizzare al meglio questo lavoro, ed i personaggi che hanno dato il loro contributo per la riuscita del disco sono di valore assoluto.
Inutile dire che prima dell’ascolto dell’album le aspettative per il sottoscritto si sono alzate notevolmente alla lettura dei dettagli forniti dalla label indiana.
Mixato da Greg Chandler ai Priory Recording Studios e masterizzato dal sempre più inimitabile Dan Swano (tornato a lavorare dietro alla consolle dopo aver dato alle stampe un nuovo capolavoro con il secondo album dei Witherscape) agli Unisound Studios, Delirious Excursion vede la partecipazione in veste di special guest di un altro monumento del death metal, Rogga Johansson in pista con una decina di lavori all’anno e fresco di stampa con l’ultimo album dei Paganizer, e Nitin Rajan, singer dei connazionali Primitiv e compagno di Riju Dasgupta (Primitiv e Albatross) qui alle prese con le liriche.
Con queste premesse l’album non poteva certamente deludere, ed infatti Delirious Excursion è una valanga oscura di death metal old school, praticamente perfetto per quanto riguarda l’impatto, travolgente nel suo impeto animalesco e cangiante nel sound, dove l’irruenza lascia molte volte spazio al lento incedere, potente e macabro del doom death di matrice Asphyx.
Un album influenzato dalla scena dei primi anni novanta, classico nel suo genere, con un lavoro certosino in sede di produzione e tecnicamente ben suonato e valorizzato da ospiti di riguardo, non può che diventare un botto per band e label e così è.
L’aurea estrema dalle tinte oscure, l’ottimo uso delle melodie chitarristiche, un sound che spazia tra la storica scena scandinava e quella centro europea fanno di brani come Dark Crypt, la brutale e magniloquente Chasm Of Death, le ritmiche jazzate e l’atmosfera destabilizzante creata da Folie a Deux, attimo di calma dopo l’uragano Cryptic Illusions, brano devastato dall’orco Johansson, e la conclusiva The Acceptor, un manifesto più che esauriente del livello raggiunto ormai dai gruppi asiatici ed in particolare da quelli indiani, una culla di realtà metalliche sopra la media, presente e futuro della scena metal estrema underground.
Con tutti i limiti (ma solo per qualcuno) di un sound classico dove le influenze non possono che venire a galla in ogni passaggio (Asphyx, Entombed, primissimi Amorphis e Hypocrisy), Delirious Excursion è un ottimo esempio di come il death metal sia un genere tutt’altro che obsoleto, e vanno fatti solo complimenti a questi musicisti.

TRACKLIST
1. The Becoming Alteration
2. Dark Crypt
3. Chasm of Death
4. Abstract Submission
5. Cryptic Illusions (ft. Rogga Johansson)
6. Folie a Deux
7. Limbic Dichotomy
8. The Inducer (ft. Nitin Rajan of Primitiv)
9. The Acceptor

LINE-UP
Amey Bhole – Vocals,Bass Guitar
Aumkar lele – Drums
Rishabh Ravi – Guitars
Mihir Gaikwad – Guitars

DARKRYPT – Facebook

Ancient – Back To The Land Of The Dead

Un ritorno al alto livello, per certi versi inatteso e quindi ancor più gradito da chi prova un pizzico di nostalgia per tutte quelle band che, negli anni ’90, rivoltarono come un calzino la storia del metal estremo.

Non è semplice l’avvicinamento a lavori che segnano il ritorno, dopo oltre un decennio di silenzio, di band capaci di legare il proprio nome alla nascita e allo sviluppo di un genere specifico.

Non sempre i risultati che ne conseguono sono eccellente come sarebbe lecito attendersi, perché sovente le motivazioni sono legate al solo marketing e non ad una ritrovata vena creativa.
Nei confronti di chi arriva da molto lontano, come gli Ancient, tra i precursori negli anni ’90 della dirompente esplosione del black metal in Norvegia, l’attenzione aumenta poi in maniera esponenziale, specialmente perché i nostri non sono mai stati annoverati tra i campionissimi, come avvenne invece ad Emperor, Mayehem o Darkthrone, e fondamentalmente il loro album migliore è sempre stato considerato unanimemente quello d’esordio, l’ottimo Svartalvheim, che risale ormai ad oltre un ventennio fa.
Da allora continui cambi di formazione, spostamenti logistici e vicissitudini assortite hanno visto quale trait d’union del gruppo lo storico vocalist Aphazel, con un’altra serie di album pubblicati nel decennio successivo, tutti di buon livello ma nessuno capace di raggiungere l’eccellenza.
Se provassimo a resettare tutto questo e a considera gli Ancient in base al presente e non al passato, cosa ne dedurremmo da questo ultimo full length intitolato Back To The Land Of The Dead? Semplicemente che si tratta di una bellissima prova, con la quale l’attuale trio impartisce una lezione su come il genere possa essere ancora oggi al contempo maligno e dal notevole impatto melodico.
Senza fare dello sciovinismo, va detto che il motore della band è italiano, nella persona del chitarrista e bassista Dhilorz (Danilo Di Lorenzo), autore di gran parte delle musiche, da solo o in compartecipazione con Zel (nuovo nickname adottato dal fondatore, che all’anagrafe fa Magnus Garvik), e del recente approdo, quale live session man, del chitarrista dei Bulldozer Giulio Borroni (denominato per l’occasione Ghiulz); in aggiunta, non è certo marginale l’approdo alla batteria di Nicholas Barker, uno che ha prestato le proprie bacchette a Cradle of Of Filth, Dimmu Borgir e Lock Up, tanto per citare solo alcune dell band che lo hanno visto all’opera.
Back To The Land Of The Dead, con tali premesse, scorre in maniera piacevolmente fluida, nonostante una lunghezza forse eccessiva per gli standard del genere: il black degli Ancient è melodico, epico, magniloquente ed anche sufficientemente aspro per mantenere comunque ben salde le coordinate del genere e si intuisce chiaramente che la sua manipolazione avviene da parte di musicisti che sanno perfettamente il fatto loro.
Come detto, non si riscontrano particolari debolezze in una tracklist che vede quale picco qualitativo la mini suite The Excruciating Journey (composta dalle tracce Part I – Defiance And Rage, Part II – The Prodigal Years Part III – The Awakening) e dall’evocativa Petrified By Their End, degna conclusione di un album che prevede, comunque, quale bonus track la cover di 13 Candles dei Bathory.
Un ritorno al alto livello, per certi versi inatteso e quindi ancor più gradito da chi prova un pizzico di nostalgia per tutte quelle band che, negli anni ’90, rivoltarono come un calzino la storia del metal estremo.

Tracklist:
1. Land Of The Dead
2. Beyond The Blood Moon
3. The Sempiternal Haze
4. The Empyrean Sword
5. The Ancient Disarray
6. Occlude The Gates
The Excruciating Journey
7. Part I – Defiance And Rage
8. Part II – The Prodigal Years
9. Part III – The Awakening
10. Death Will Die
11. The Spiral
12. Petrified By Their End
13. 13 Candles

Line-up:
Zel – Vocals, Guitars, Keyboards
Dhilorz – Guitars, Bass
Nick Barker – Drums

ANCIENT – Facebook

Lord Impaler / Dizziness / Hell Poemer – Carved by the Winds Eternal

Ottimo split album incentrato su sonorità black metal questo Carved By The Winds Eternal, che ci presenta un tris di gruppi ellenici, da non sottovalutare.

Due brani a testa bastano a chi non conosce le band in questione, già attive da diversi anni ed assolutamente in grado di soddisfare i palati estremi dei black metallers sparsi per il globo.
Si parte con i Dizziness, quartetto di Atene in marcia verso l’inferno dal 2008 e con un’abbondante discografia che consta di due full length ed un mare di split e demo.
Pescando dalla tradizione ellenica, e senza dimenticare la lezione impartita dai gruppi scandinavi, il loro sound è un intenso e quanto mai riuscito esempio di black vario, tra furiose accelerazioni, ritmiche marziali e momenti pregni di atmosfere mistiche.
Goddess of the Moon e Άρπυιες esplodono in un susseguirsi di colpi di scena, marciando nell’oscurità di caverne scavate da famelici orchi, le atmosfere cangianti (ora guerresche, ora mistiche, ora pregne di malata oscurità) esaltano l’ascolto, sicuramente un gruppo da approfondire.
Più canonico e brutale il sound dei Lord Impaler, fondati addirittura nel 1998, ma con un solo full length all’attivo (Admire the Cosmos Black del 2011).
Raw black metal che, se ad un primo ascolto può ricordare gli Immortal, ne prende subito le distanze conservando il mood tipico delle bands mediterranee, sound caldo, riff che nel loro consolidato estremismo si nutrono di melodia, oscura, evil, ma sempre perfettamente bilanciata con la tempesta di caos metallico del genere.
I cinque musicisti, pur discostandosi dalla proposta dei loro dirimpettai, non mancano di offrire una prova sopra la media, meno lavorata nelle atmosfere, ma convincente nell’impatto.
Ma il bello deve ancora arrivare e The Sacral Knot of Hierophant ci accompagna nel buio della caverna, dove in agguato ci aspettano i mostruosi abitanti degli oscuri anfratti dimenticati dal tempo.
Loro sono gli Hell Poemer, da poco più di dieci anni in attività e con un solo full length licenziato nel 2013 (Arcane Mysteries of Dead Ancestors): il loro black metal si impreziosisce di clamorose note pianistiche, creando un’atmosfera di oscura melanconia.
Il primo brano di cui sopra tiene alta la tensione metallica, ci si accorge subito che la musica è cambiata e My Dreams Will Stay Frozen on the Mountains ci rapisce definitivamente, con un black metal melodico sorretto da una base pianistica dai rimandi gothic, l’aura che si crea è di elevata epicità dark; il gruppo accompagna il tutto con una marziale danza elettrica, solitudine e misantropia escono prepotentemente dalle note dei tasti d’avorio, mentre lo screamer decanta storie immerso nell’oscurità.
Con tre band delle quali vale la pena approfondire la discografia, aspettando eventuali sviluppi futuri, Carved By The Winds Eternal risulta uno dei più riusciti split degli ultimi tempi.

TRACKLIST
1. Dizziness – Goddess of the Moon
2. Dizziness – Άρπυιες
3. Lord Impaler – A Fire That Burns
4. Lord Impaler – Call from the Grave
5. Hell Poemer – The Sacral Knot of Hierophant
6. Hell Poemer – My Dreams Will Stay Frozen on the Mountains

LINE-UP
Lord Impaler :
Lord Nebulah – Guitars
Tragon – Vocals
Phlegethon – Bass
Nodens- Drums
Aenaon – Guitars

Dizziness:
Pyriflegethon – Guitars
Moscho – Guitars
Ηalál – Bass
Ithonas – Vocals

Hell Poemer:
Dark Archon – Drums
Knafos – Guitars, Keyboards
Infernal Lord – Vocals, Keyboards, Guitars, Flute
Gragonith – Bass

HELL POEMER – Facebook

LORD IMPALER – Facebook

DIZZINESS – Facebook

Supremative- Servitude Of The Impurity

Qui pulsa un cuore morto ed immondo, che è la ragione per cui a noi teste malate di rumore ci piace così tanto.

Sette pollici in vinile, ristampa del demo uscito nel 2013 e ora praticamente impossibile da trovare.

I Supremative sono un gruppo che ha conquistato molti fans nell’underground del black death metal e il perché possiamo scoprirlo ascoltando questo disco.
Questo breve demo di quattro pezzi sarà amato da chi si crogiola nel metal marcio, veloce e lo fi. I Supremative fanno un attacco sonoro davvero notevole, dove possiamo ascoltare anche un forte retrogusto grind, quel grind che poi sta alla base anche del black. Il suono è lanciato a mille chilometri all’ora verso il baratro vizioso dei nostri sensi e la velocità si coniuga con un ottimo gusto per cambi e atrocità varie. Ci sono ancora gruppi come i Supremative che fanno un metal che non morirà mai, perché è l’essenza fortemente underground di una musica che solo con un’operazione alchemica contro natura si rende mainstream. Qui pulsa un cuore morto ed immondo, che è la ragione per cui a noi teste malate di rumore ci piace così tanto.
Questa edizione è limitata a 250 copie in vinile ed è il precursore dell’album dei Supremative che sarà pubblicato dalla Blood Harvest nel 2017.

TRACKLIST
1.Intro / Embrace the Endless War
2.Altars Of Sodomy
3.Campaign Of Execution
4.Servitude Of The Impure Messiah

BLOOD HARVEST – Facebook

Sarcófago – Rotting Reissue

Se hanno un senso le ristampe per album di gruppi sconosciuti ai più, figuriamoci quelle di lavori estremamente importanti come la discografia di questa storica band brasiliana.

L’importanza dei deathsters brasiliani Sarcofago nello sviluppo della musica estrema di stampo death/tharsh è inequivocabile: nato nel 1985 per volere Wagner ”Antichrist” Lamounier, cantante dei primissimi Sepultura, il gruppo di Belo Horizonte è citato tra le influenze di molte band che poi fecero sfracelli negli anni novanta.

Idolatrati e rispettati da tutti, i Sarcofago furono uno dei primi gruppi ad usare in maniera continua e devastante i blast beat, in un delirio di violenza death/thrash e tematiche sataniste e anticristiane che fanno del gruppo uno dei primi esempi del sound devoto al maligno per eccellenza, il famigerato black metal.
La Greyhaze Records pubblica la riedizione dell’ep Rotting, licenziato dalla band nel lontano 1989 via Cogumelo Records su vinile, con l’aggiunta di un bonus dvd ed un nuovo artwork.
Il dvd è senz’altro la parte più interessante perché immortala il gruppo sul palco nel 1991 di supporto ai Morbid Angel, in tour per supportare quel capolavoro estremo dal titolo Altar Of Madness.
Cinque brani più intro, Rotting fece parte di una discografia colma di perle estreme, e ci scaraventa al tempo in cui la band era una dei gruppi più estremi in circolazione: il loro sound equivale ad un’apocalisse di death/thrash sulla scia dei Venom, un sound che da lì a poco troverà lustro e nuova vita nelle lande innevate della Scandinavia e del famigerato unholy black metal della scena norvegese, che all’epoca muoveva i primi passi in quello che, in seguito, diventerà un movimento importantissimo per le vicende musicali (ed extra musicali) del metal estremo.
Rotting confermava la vena distruttrice del trio già sulla bocca di tutti per una manciata di demo, ma soprattutto per il primo devastante lavoro I.N.R.I, uscito due anni prima.
Wagner Antichrist, Gerald Incubus e M. Joker vomitavano tutto l’odio contro la religione e la chiesa in particolare su di un sound primordiale, estremo in tutte le sue componenti, arrivando a toccare vette di violenza ancora oggi irraggiungibili per molti dei gruppi odierni; il loro furore si scagliava contro i cristiani in maniera inequivocabile, con testi blasfemi e un sound che era pura e violentissima guerra in musica.
Scream/growl cattivissimo, riff assassini e furiose accelerazioni ritmiche facevano di Alcoholic Coma, Tracy e la title track (su tutte) un’apoteosi di violenza, distruzione e luciferine urla inneggianti la totale distruzione del sistema religioso e la glorificazione del regno di Satana.
Precursori nell’amalgamare death/thrash e black metal in un unico massacro sonoro, i Sarcofago sono la classica band che ogni amante del metal estremo deve sfoggiare nella propria discografia; se hanno un senso le ristampe per album di gruppi sconosciuti ai più, figuriamoci quelle di lavori estremamente importanti come la discografia di questa storica band brasiliana.

TRACKLIST
01. The Lust
02. Alcoholic Coma
03. Tracy
04. Rotting
05. Sex, Drinks & Metal
06. Nightmare

LINE-UP
Wagner Antichrist – Vocals, guitars
Gerald Incubus – Bass, voclas, guitars
M. Joker – Drums, vocals

Rotting Christ – Sleep Of The Angels

Riedizione quanto mai opportuna per l’album più “commerciale” mai pubblicato dai Rotting Christ.

Non sono poche le band di nome che, ad un certo punto della loro carriera, hanno inciso un disco che in qualche modo andava a rompere in maniera netta il loro stile stile consolidato.

Quasi sempre, al momento dell’uscita, le manifestazioni di dissenso superavano gli elogi, non tanto per il valore intrinseco dei lavori quanto per l’incapacità momentanea dei fan più accaniti (e anche di buona parte della critica) di accettare il fatto che per qualsiasi artista dovrebbe essere un fatto normale, ogni tanto, provare a sperimentare qualcosa di diverso.
Questo capitò in particolare a quattro nomi storici del metal, per tutti negli ultimi due anni dello scorso millennio, quasi che in quegli anni l’aria fosse permeata da un’urgenza creativa che spingeva i musicisti ad osare di più: i Moonspell (con Sin/Pecado), i My Dying Bride (con 34.788%… Complete), i Kreator (con Endorama) ed i Rotting Christ (con Sleep Of The Angels).
Ed è proprio di quest’ultimo album che ci viene data l’occasione di riparlare, grazie alla riedizione curata dall’etichetta ellenica Sleaszy Rider: diciamo subito che, rispetto agli esempi citati, Sleep Of The Angels appariva molto meno un azzardo, mostrando semmai una maggiore apertura verso un sound gothic che andava ad ammorbidire non poco le pulsioni black della band di Sakis, un processo che comunque aveva già mostrato dei segnali nel precedente A Dead Poem. Indubbiamente, rispetto alla svolta elettronica intrapresa sia dai Moonspell che dai My Dying Bride ed al brusco passaggio dal tetragono thrash di scuola teutonica ad un elegante sound gotico da parte dei Kreator, quello dei Rotting Christ appariva soprattutto l’approdo ad una maggiore orecchiabilità legata ad un ricorso maggiore a quelle progressioni melodiche di stampo chitarristico che sono sempre state, comunque, marchio di fabbrica della band greca.
Non a caso, mentre tutte gli altri gruppi citati, a partire dai dischi successivi invertirono la rotta per riapprodare a sonorità più in linea con la loro storia, i Rotting Christ, pur tornando ad inasprire il suono, con Khronos e Genesis non andarono del tutto ad abiurare quanto fatto con Sleep Of the Angels.
Non a caso tutti questi dischi, per così dire controversi, dopo quasi vent’anni sono stati unanimemente rivalutati e considerati dai fan come ottimi lavori, pur nella loro discontinuità stilistica: per i Rotting Christ il discorso è diverso, visto che il black dei nostri è sempre stato sui generis proprio perché molto personale e, quindi, l’apertura a sonorità più catchy corrispondente alla pubblicazione di Sleep Of The Angels non venne vissuta come un tradimento, bensì come una naturale progressione stilistica; non a caso, una traccia come After Dark I Feel è annoverata ancora oggi tra i cavali di battaglia di Sakis e soci.
Sleep Of The Angels è un album che andrebbe fatto ascoltare a chi non conosce i Rotting Christ, vuoi per la poca attitudine a sonorità estreme, vuoi per l’impatto innegabilmente esercitato da un monicker ”pesante”: in questo caso potrebbe rivelarsi l’ideale grimaldello per accedere alla discografia di uno dei migliori gruppi che abbiano veleggiato lungo gli ultimi tre decenni metallici.

Tracklist:
1.Cold Colours
2.After Dark I Feel
3.Victoriatus
4.Der Perfekte Traum
5.You My Flesh
6.The World Made End
7.Sleep the Sleep of Angels
8.Delusions
9.Imaginary Zone
10.Thine Is the Kingdom

Line-up:
Sakis Tolis – guitars and vocals
Andreas – bass
Kostas – guitars
George – keyboards
Themis Tolis – drums

ROTTING CHRIST – Facebook