Bleed Again – Momentum

I Bleed Again fino ad ora avevano licenziato tre ep nell’arco di tre anni e ora, con questo nuovo full length licenziato dalla Sliptrick, tentano l’entrata nelle grazie dei giovani fruitori del metalcore: ci riusciranno?

Metalcore, death metal melodico, moderno rabbioso e colmo di mid tempo pesanti come macigni, se poi ci si aggiunge un tocco di verve metallica in più e si amalgama tutto con chorus da urlare sotto il palco di qualche festival estivo, il gioco è fatto.

I Bleed Again la lezione la sanno molto bene e a parte la solita voce pulita che, puntualmente, troviamo ad accompagnare lo scream e che anche in questo caso non fa che smorzare tragicamente la tensione in brani che sembrano esplodere da un momento all’altro ma che le clean soffocano in un polentone adatto per ragazzini alle prime turbe adolescenziali.
Peccato, perché il gruppo di Brighton porta con sé quel tocco heavy tutto britannico, perciò non solo giovani band americane tra le proprie influenze ma pure vecchi marpioni con la bandiera inglese ben in mostra sul drumkit.
Chiaramente, i brani in cui la voce pulita si astiene dall’intervenire sono i migliori (Decimate, Drowning In Dreams), mentre a cercare di attirare l’attenzione di ragazzine in solluchero per il duro musicista metal con un cuore grande così ci pensano canzoni troppo scontate per non cadere nel dimenticatoio dopo il primo ascolto.
I Bleed Again fino ad ora avevano licenziato tre ep nell’arco di tre anni e ora, con questo nuovo full length licenziato dalla Sliptrick, tentano l’entrata nelle grazie dei giovani fruitori del metalcore: ci riusciranno?
Con un pizzico di Killswitch Engage, la potenza degli Hatebreed e qualche accenno ai Trivium e al metal più tradizionale potrebbero anche farcela, sperando di non essere fuori tempo massimo.

TRACKLIST
1.Decimate
2.Walk Through the Fire
3.Legacy
4.Drowning in Dreams
5.Slavery
6.Kurtz
7.Heart of Darkness
8.White Castle
9.Only We Can Save Us
10.Happy Never After
11.Icarus
12.Through My Eyes

LINE-UP
Jon Liffen – Bass
Russell Plowman – Drums
Chris Pratt – Guitars
Simon Williams – Guitars
James Dawson – Vocals

BLEED AGAIN – Facebook

Kayleth – Space Muffin Rusty Edition

Dopo il buon successo di Space Muffin, uscito sempre per Argonauta Records nel 2015, ecco la ristampa arricchita da Rusty Gold, il primo ep del gruppo pubblicato nel 2010, ormai finito fuori stampa da tempo.

Dopo il buon successo di Space Muffin, uscito sempre per Argonauta Records nel 2015, ecco la ristampa arricchita da Rusty Gold, il primo ep del gruppo pubblicato nel 2010, ormai finito fuori stampa da tempo.

L’ep presenta delle sorprese, essendo molto interessante per scoprire la genesi di questo gruppo italiano, che propone uno stoner rockeggiante e desertico, rielaborato in una maniera interessante attraverso un groove peculiare ed importante. Confrontando ep e disco di debutto si possono notate molte differenze, in primo luogo di produzione e composizione, ma l’essenza dei Kayleth rimane sempre ruvidamente uguale, dato che in nuce l’ep contiene molto di ciò che verrà sviluppato nel disco. Il desert stoner è un genere che comprende molti gruppi, ma lo scarto che ne rende interessante uno lo hanno in pochi, i Kayleth sono fra questi. Questa ristampa, differente ed arricchita anche nell’artwork, rende molto bene l’idea di quello che è questo gruppo, ovvero potenza, ampiezza delle visioni e tanto suono ruvido, il tutto amalgamato molto bene. Bisogna ammettere che risentire Space Muffin a distanza di due anni rende ancora meglio, segno che dopo una decantazione questo vino è ancora più buono. Un ulteriore segno di una bandin grande crescita, e questo  sarà fondamentale per loro il prossimo disco.

Tracklist
1.Mountains
2.Secret Place
3.Spacewalk
4.Bare Knuckle
5.Born to suffer
6.Lies of mind
7.Try to save the appearances
8.NGC 2244
9.The Electric Tongue Is Coming (bonus track)
10.Rusty Gold (bonus track)
11.Deepest Shadow (bonus track)
12.Oops, I Eat You (bonus track)
13.Old Man’s Legacy (bonus track)

Line-up
Massimo Dalla Valle: Chitarra
Alessandro Zanetti: Basso
Daniele Pedrollo: Batteria
Enrico Gastaldo: Voce
Michele Montanari: Synth

KAYLETH – Facebook

Farsot – Fail-Lure

Destinati a restare comunque una band di nicchia,  i Farsot con il loro operato sottolineano con forza la solidità e la profondità dell’intera scena black germanica.

I Farsot appartengono al nutrito sottobosco di gruppi tedeschi capaci di fornire un’interpretazione del black metal in linea con le sonorità tipiche in voga nella loro nazione.

Fail-Lure e solo il terzo full length all’interno di una storia iniziata addirittura alla fine del secolo scorso, un dato che la dice lunga sulla relativa prolificità unita ad un approccio, anche visivo, sicuramente fuori dagli schemi da parte della band della Turingia. Per il resto sorprende affatto ascoltare un lavoro che mantiene al meglio le attese, con il suo sound austero, essenziale, intriso di spinte avanguardiste ma anche di notevoli spunti melodici.
Personalmente ho ricevuto ben poche delusioni dai gruppi tedeschi dediti al black in questi anni, e i Farsot non fanno certo eccezione con questa raccolta di brani mediamente piuttosto lunghi ma sufficientemente ricchi di cambi di forma e ritmo per mantenere desta l’attenzione dell’ascoltatore.
Il settimo ed ultimo di questi, A Hundred to Nothing,  fa storia a sé, offrendo oltre venti minuti di musica ambient inquieta e dalle interessanti  pulsioni elettroniche nella sua parte centrale.
Destinati a restare comunque una band di nicchia,  i Farsot con il loro operato sottolineano con forza la solidità e la profondità dell’intera scena black germanica.

Tracklist:
1.Vitriolic
2.Circular Stains
3.With Obsidian Hands
4.Undercurrents
5.The Antagonist
6.A Hundred to Nothing

Line-up:
v.03/170 – Bass, Keyboards
R 215k – Drums
Pi: 1T 5r – Guitars
3818.w – Guitars
10.XIXt – Vocals

FARSOT – Facebook

Decrepit Birth – Axis Mundi

La band, pur sfoggiando la sua grande tecnica, lascia che le canzoni prendano vita, tra riff mastodontici, blast beat furiosi ed un lavoro prezioso della sei corde, melodica quanto basta per assecondare le altalene ritmiche e i vari cambi d’atmosfera.

Tornano dopo sette lunghi anni, a conferma di un anno da protagonisti per i suoni di stampo death e dei suoi lati più estremi (brutal, technical) i Decrepit Birth, gruppo dall’alto valore tecnico non supportato però dalla popolarità di altre realtà, specialmente statunitensi.

Poco male, la band in mano a Matt Sotelo dopo gli ottimi responsi dei lavori precedenti (specialmente il bellissimo Polarity, uscito nel 2010), saluta il 2017 con una mazzata straordinaria, affidata al nostro Stefano Morabito per mixaggio e masterizzazione ai 16 Cellar Studio  e composta da una dozzina di spettacolari brani dove tecnica, impatto e melodia si alleano per regalare grande musica estrema.
Axis Mundi a mio avviso accontenterà sia i fans del brutal che gli appassionati di death metal tradizionale, con il suo sound chiaramente di matrice statunitense, tecnicamente elevato alla massima potenza, ma valorizzato da una cura nei dettagli encomiabile ed una ispirazione notevole, mantenuta intatta anche dopo una  lunga pausa.
D’altronde i musicisti impegnati in questa mostruosa avventura accompagnando il chitarrista sono Bill Robinson (voce), Sam Paulicelli (batteria) e Sean Martinez (basso) , tipi poco raccomandabili, ex turnisti di gruppi top della scena (Malevolent Creation, Suffocation, Rings Of Saturn, Decapitated) e maestri del proprio strumento.
Si diceva, non è solo la tecnica a valorizzare Axis Mundi, che scorre estremo e piacevole, seguendo coordinate già scritte, ma con la personalità che è propria di una band del genere; ed infatti i Decrepit Birth, pur sfoggiando la sua grande tecnica, lascia che le canzoni prendano vita, tra riff mastodontici, blast beat furiosi ed un lavoro prezioso della sei corde, melodica quanto basta per assecondare le altalene ritmiche e i vari cambi d’atmosfera.
Vortex Of Infinity…Axis Mundi, apre le ostilità, Spirit Guide e Hieroglyphic valorizzano l’anima progressiva del gruppo mentre la splendida ed orchestrale Embryogenesis porta il sound dell’album sui livelli altissimi di Diminishing Between Worlds ed appunto Polarity.
Altro album imperdibile per gli amanti del death metal in questo anno di grosse soddisfazioni per il genere, in cui il gruppo regala sul finire ben tre cover di nomi altisonanti del metal estremo mondiale come Metallica e Sepultura.

Tracklist
1. Vortex of Infinity…Axis Mundi
2. Spirit Guide
3. The Sacred Geometry
4. Hieroglyphic
5. Transcendental Paradox
6. Mirror of Humanity
7. Ascendant
8. Epigenetic Triplicity
9. Embryogenesis
10. Orion
11. Desprate Cry
12. Infecting the Crypts

Line-up
Bill Robinson – Vocals
Matt Sotelo – Guitars
Samus – Drums
Sean Martinez – Bass

DECREPIT BIRTH – Facebook

Narthraal – Screaming from the Grave

Screaming from the Grave alterna ottimi brani ad altri leggermente più ordinari ma il gruppo, al debutto, non delude ed in generale l’album si presenta come un discreto esempio di quello che si suona da decenni nel Nordeuropa in campo death.

Una splendida copertina cimiteriale ed old school fa bella mostra di sé sul primo full length del quartetto islandese dei Narthraal, gruppo estremo attivo dal 2012 e con due ep già licenziati (Blood Citadel del 2014 e Chainsaw Killing Spree uscito lo scorso anno).

Il gruppo proveniente dalla terra del ghiaccio e dei vulcani erutta dieci brani sacrificati sull’altare del death metal old school, leggermente attraversati da maligno death/black di provenienza ed ispirazione est europea, ma comunque consolidato nella tradizione scandinava di primi anni novanta.
Come si evince dalla copertina di scuola nordica, con le truppe di non morti pronti ad invadere il regno dei vivi colpendo a suon di morsi le loro vittime, l’album rispecchia la tradizione del death metal nato nei primi anni novanta, pregno di devastanti ritmiche, chitarre che non dimenticano le melodie e rallentamenti, ora più marcati ora trasformati in mid tempo potentissimi.
Le accelerazioni di stampo black sono presenti ma non inficiano l’impatto death della musica di Viktor Peñalver e soci, partiti dalla ridente (ma non troppo) cittadina di Hafnarfjörður alla conquista del metal estremo underground.
Screaming from the Grave alterna ottimi brani ad altri leggermente più ordinari ma il gruppo, al debutto, non delude ed in generale l’album si presenta come un discreto esempio di quello che si suona da decenni nel Nordeuropa in campo death, anche se una produzione leggermente più pulita avrebbe permesso a tutte le canzoni di emergere, non solo a quelle più convincenti che alzano non poco il giudizio sull’opera (Worldwide Destruction e Feed The Pig).
Un lavoro sufficiente per non rimanere del tutto ignorato dagli amanti del genere, con ampi margini di miglioramento

TRACKLIST
1.Death of the Undying
2.Screaming from the Grave
3.Million Graves to Fill
4.Worldwide Destruction
5.Envy
6.Descent into Darkness
7.Blood Path
8.Symbols of Hate
9.Feed the Pig
10.Dismember the Entombed

LINE-UP
Viktor Peñalver – Vocals/bass
Birkir Kárason – Guitar
Jónas Haux – Drums
Tony Aguilar – Guitar

NARTHRAAL – Facebook

Tarlung – Beyond The Black Pyramid

Si continua, come nel primo lavoro, a danzare tra i cadaveri squartati dalla famelica creatura, mentre il doom e lo stoner amoreggiano lascivi con una psichedelia infernale, inesorabile arma per catturare e fare scempio di umane debolezze.

Due anni fa, passeggiando ai margini di un bosco immaginario, in un luogo sperduto tra le montagne austriache avevamo incontrato la mostruosa creatura dal nome Tarlung, un essere che si nutre di doom metal stonerizzato, mistica ed occulta creatura che faceva scempio dell’indifferente umanità che maldestramente si avvicinava troppo alla sua tana.

Poche notizie dopo il fiero pasto del primo full length, con un ep (Void) uscito lo scorso anno, ma ora la bestia torna più forte che mai a fare strazio di anime con Beyond the Black Pyramid, mastodontico e infinito lavoro che il terzetto ha preparato per torturare anime e corpi.
In quasi settanta minuti, questa volta Philipp “Five” (chitarra e voce), Clemens “Rotten” (chitarra) e Marian (batteria), non hanno voluto fare prigionieri, e ipnotizzando le vittime le hanno spogliate di ogni resistenza e scaraventate giù nei meandri della piramide nera, in balia di mostri da millenni residenti nell’ultima dimora del male.
Si continua, come nel primo lavoro, a danzare tra i cadaveri squartati dalla famelica creatura, mentre il doom e lo stoner amoreggiano lascivi con una psichedelia infernale, inesorabile arma per catturare e fare scempio di umane debolezze.
Beyond the Black Pyramid è una lunga e devastante (per la nostra ragione) jam acida e primordiale con almeno un terzetto di capolavori estremi dal lento e cerimoniale incedere: Kings And Graves, la title track e la conclusiva Karma.
Probabilmente non andranno mai oltre l’apprezzamento di quei pochi e fortunati ascoltatori che si imbatteranno in Beyond The Black Pyramid, ma per i Tarlung, continuando di questo passo, si prepara degnamente un futuro da cult band.

TRACKLIST
1.It Waits in the Dark
2.Dying of the Light
3.Mud Town
4.Kings and Graves
5.The Prime of Your Existence
6.Resignation
7.Born Dead
8.Beyond the Black Pyramid
9.Karma

LINE-UP
Marian Waibl – Drums
Rotten – Guitars
Philipp “Five” Seiler – Guitars, Vocals

TARLUNG – Facebook

Anubi’s Servants – Duat

A tratti il lavoro del gruppo entusiasma e le varie atmosfere create all’interno dei vari brani, pur mantenendo l’approccio estremo e consolidato nel genere, danno all’ascoltatore molti buoni motivi per ripartire daccapo al termine dell’ascolto.

Thrash metal old school pregno di sfumature death, epico e chiaramente ispirato all’antico Egitto, è la proposta degli Anubi’ s Servants, quartetto estremo in arrivo dall’Abruzzo.

La band ha mosso i primi passi già nel 2012 come gruppo punk e, in seguito, dopo vari assestamenti della line up, il tiro musicale si è spostato definitivamente verso un thrash metal classico, dalle ispirazioni consolidate nelle terre germaniche nel periodo a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo e dal concept che rimanda alle sacre terre del Nilo.
I servi di Anubis, il dio dei morti, non lasciano scampo, il loro sound vi mostra una via particolare al male, fatta di cunicoli, labirinti costruiti nella notte dei tempi, antiche tombe in cui maledizioni ed ogni tipo di trappola sono lì a custodire segreti millenari.
Appena le vostre infedeli membra si poseranno sui tesori custoditi al buio dei templi, gli Anubi’ s Servants vi daranno la caccia senza pietà e vi colpiranno con una serie di brani diretti, aggressivi e mortali: il loro sound vi entrerà nelle viscere per esplodere da dentro, in uno tsunami di ritmiche che alternano velocità ed epici mid tempo, mentre il dio dei morti urlerà la sua rabbia, bestiale e rabbioso.
Duat è un gran bel disco, un concentrato di metal vecchio stile assolutamente non originale, ma in possesso di una carica e di una forma canzone che lascia senza fiato.
A tratti il lavoro del gruppo entusiasma, le varie atmosfere create all’interno dei brani, pur mantenendo l’approccio estremo e consolidato nel genere, danno all’ascoltatore molti buoni motivi per ripartire daccapo al termine dell’ascolto.
Alternanza di velocità e mid tempo, ottimi solos, refrain perfetti e impatto che decolla per non tornare sotto i livelli di massacro, in sede live faranno probabilmente un alto numero di vittime.
The God Of The Dead, Sentence (preceduta da un intro epico cinematografica) e la lunga Damned-Intermezzo-Psycostasia sono il fulcro di Duat, un lavoro che di adrenalinico thrash/death in arrivo direttamente dalle catacombe nascoste all’interno delle piramidi.

Tracklist
1.Intro-The Veil Of Isis
2.The God Of The Dead
3.Intro-Sentence
4.Evocation
5.Crossing The River
6.Damned-Intermezzo-Psycostasia
7.Duat
8.Slave Blood-Outro

Line-up
Gianluca Iannotti – Bass
Andrea Strino – Drums
Karim Shokry – Guitars
Omar Shokry – Vocals

ANUBI’S SERVANTS – Facebook

Antichrist – Sinful Birth

L’album ha il pregio di non annoiare, investendo l’ascoltatore con una tempesta estrema dall’impatto di un uragano sulla costa, mentre le raggelanti note su cui si basa Sinful Birth si insinuano in noi come virus infetti e mortali.

Il maligno questa volta preferisce usare il thrash metal per divulgare il suo verbo tramite il quintetto svedese Antichrist.

Il gruppo nordico licenzia tramite la I Hate il suo secondo lavoro , successore dell’ormai lontano Forbidden World, uscito sei anni fa: thrash metal old school, estremizzato da furia distruttrice di stampo black è il sound offerto da questi devoti al signore oscuro e portatori di violenza, morte e male in musica.
Venom, Possessed e primi Slayer, irrobustiti da cattiveria ed attitudine black metal alla primi Darkthrone ed il gioco è fatto: un gioco mortale e pericolosissimo, un assalto ed un’aggressione al bene e a tutte le sue forme, mentre l’odio vince e la presa di potere da parte delle forze oscure è vicina.
Nel suo genere l’album funziona, l’assalto senza compromessi e l’impatto sono da gruppo che nel male ci sguazza, la velocità è da infarto e le atmosfere gelide creano momenti di puro disfacimento concettuale e sonoro.
Poi, tra violenza, velocità e perfidia, si arriva al momento clou di questo lavoro, lo strumentale Chernobyl 1986, dieci minuti di angosciante e violenta colonna sonora del disastro nucleare più devastante della storia, raccontato tramite il metal estremo degli Antichrist.
E’ indubbio che un brano del genere da solo alzi il livello di un album che dalla sua ha il merito di non annoiare, investendo l’ascoltatore con una tempesta estrema dall’impatto di un uragano sulla costa, mentre le raggelanti note su cui si basa Sinful Birth si insinuano in noi come virus infetti e mortali.

TRACKLIST
1.Instruments of Sadism
2.Savage Mutilations
3.The Entity
4.Under the Cross
5.The Black Pharaoh
6.Sinful Birth
7.Burned Beyond Recognition
8.Chernobyl 1986
9.Fall of the Temple of Solomon

LINE-UP
Sven Nilsson – Drums
Filip Runesson – Guitars
Steken – Vocals
Gabriel Forslund – Guitars
Gobbe Henningsson – Bass

ANTICHRIST – Facebook

Abyssphere – На пути к забвению

L’operato degli Abyssphere possiede un suo intrinseco valore che dovrebbe spingere gli appassionati di gothic doom a dare una possibilità a На пути к забвению, un album che consente di passare un’ora abbondante in compagnia di musica moderatamente malinconica e di buona fruibilità.

Quarto full length per i russi Abyssphere, band che in poco più di un decennio di attività ha all’attivo anche diverse uscite di minutaggio ridotto, tra ep e singoli assortiti.

Quest’ultima opera della band di San Pietroburgo non lesina certo sulla durata dei contenuti, andando a superare l’ora e mezza di durata anche grazie all’inserimento nella tracklist di una cover (Only for the Weak degli In Flames) e di due versioni rielaborate di brani già editi.
Resta comunque notevole lo sforzo compositivo degli Abyssphere, i quali, con На пути к забвению si confermano eleganti ed efficaci esponenti di un gothic doom melodico inattaccabile per forma e valido anche per contenuti,  anche se forse al tutto manca quel picco emotivo costituito da uno o più brani capaci di segnare in maniera più decisa il lavoro.
Infatti, l’album scorre via molto bene, senza tediare affatto l’ascoltatore in quanto impeccabile negli arrangiamenti e sempre arricchito di una vena melodica di qualità,  ma se si fa eccezione per l’ottimo trittico centrale Carthago Delenda Est, Сияние e Марафон, i momenti in grado di fornire un autentico trasporto emotivo non sono moltissimi.
Per di più, il ricorso alla lingua madre mostra inevitabilmente la corda nei passaggi in clean, dove la musicalità dell’idioma e la sua comprensione sono ben più importanti rispetto a quanto non avvenga con il growl, nonostante la rimarchevole prestazione del bravo Konstantin Tsygankov, in alternanza al più corrosivo incedere del suo contraltare Alexander Yakovlev .
Per il resto, morbidi assoli chitarristici ed un’atmosfera complessivamente avvolgente rendono На пути к забвению un buonissimo disco che, purtroppo, anche a causa delle suddette caratteristiche, potrebbe faticare non poco nel trovare sbocchi importanti al di fuori dei territori dell ex-URSS.
L’operato degli Abyssphere, in particolare nella persona di un valido compositore come il già citato Tsygankov, possiede un suo intrinseco valore che dovrebbe spingere gli appassionati di gothic doom a dare una possibilità a На пути к забвению, un album che consente di passare senz’altro un’ora abbondante in compagnia di musica moderatamente malinconica e di buona fruibilità.

Tracklist:
1. Двери
2. Прозрение
3. Один во тьме
4. Carthago Delenda Est
5. Сияние
6. Марафон
7. Пыль
8. К забвению
9. Вирус
10. Горизонт
11. Меридиан
12. Конец долгой ночи
13. У врат забвения
14. Only for the Weak (In Flames cover)
15. Чёрный океан 2.0
16. Солнце 2.0

Line-up:
Alexander Mikhailov – Guitars, Songwriting (track 8)
Konstantin Tsygankov – Vocals (clean), Guitars, Keyboards, Bass, Songwriting
Alexander Yakovlev – Vocals (harsh), Programming, Lyrics
Evgeniy Nosov – Drums

ABYSSPHERE – Facebook

Overkhaos – Beware Of Truth

Un debutto al di sopra di ogni aspettativa, del quale basta solo dire che tra le sue trame si trova tutto ciò che anima lo spirito musicale di capisaldi del genere come Symphony X, Nevermore ed Iced Earth.

Prima di dispensare elogi ad un’altra ottima realtà made in Italy,  permettetemi di fare i complimenti all’ennesima label che ci regala grande musica metallica dall’anima progressiva, la Rockshots Records, che dopo l’ultimo lavoro degli Hidden Lapse  ci delizia con un altro gioiellino in arrivo dalla Puglia, intitolato Beware Of Truth, full length di debutto per i notevoli Overkhaos.

Nato quattro anni fa con il monicker Imperium, il gruppo dopo un paio di avvicendamenti nella line up, vira dall’heavy metal classico ad un più raffinato progressive metal dalle forti connotazioni heavy/thrash e ne esce questo bellissimo album, incentrato su una storia che prende spunto dalla società in cui viviamo, in mano a politici e lobbies che si arricchiscono sulla pelle dei comuni cittadini, ormai impoveriti e spogliati di qualsiasi briciolo di dignità.
Si parte da qui per stupire con la colonna sonora di una storia non troppo originale (ma non è poi colpa della band se certe storture sono divenute ormai un vissuto quotidiano) per la verità, ma che incide non poco quando il gruppo parte in quarta e vola sulle ali di un power metal progressivo e dannatamente trainante.
Mimmo D’Oronzo è il singer, interpretativo, vero animale metallico che ricorda Warrel Dane, la punta d’acciaio di una freccia scagliata mirando al cuore degli appassionati da un’arco che si fregia di musicisti sopra la media come Davide Giancane e Giuliano Zarcone alle chitarre e la sezione ritmica composta da Anna Digiovanni al basso e Andrea Mariani alla batteria, mentre il sangue sgorga copioso dalla ferita mortale che gli Overkhaos hanno aperto nel nostro petto.
Beware Of Truth è heavy/thrash metal in stato di grazia che, elegantemente vestito di abiti progressivi, ci scaraventa al muro, con la schiena che scalfisce il cemento e le ossa che scricchiolano sotto i colpi inferti da queste dieci bordate che formano quasi un’ora di musica a tratti entusiasmante.
Khaos, The Lie You Need, Die Catsaw!, Anna’s Song sono forse le migliori tra queste, ma potrei nominarle tutte all’interno di un debutto al di sopra di ogni aspettativa, del quale basta solo dire che tra le sue trame si trova tutto ciò che anima lo spirito musicale di capisaldi del genere come Symphony X, Nevermore ed Iced Earth.

Tracklist
01 Prelude
02 Silent Death
03 Solar Starvation
04 Khaos
05 The Lie you Need
06 Crumbling
07 White Light
08 Die Catsaw!
09 Anna’s Song
10 Deadline

Line-up
Mimmo D’Oronzo – voce
Davide Giancane – chitarra
Giuliano Zarcone – chitarra
Anna Digiovanni – basso
Andrea Mariani – batteria

OVERKHAOS – Facebook

Infinitas – Civitas Interitus

Civitas Interitus è un lavoro piacevole, a tratti suggestivo, in altri più indicato per svuotare boccali di birra scura in qualche festa sperduta tra le vallate elvetiche: un album per divertirsi e, perché no, anche sognare.

Interessante progetto in arrivo dai monti della vicina Svizzera quello degli Infinitas, i quali danno alle stampe il loro primo full length.

La band, dalle forti connotazioni medievali, prende spunto da gruppi storici come gli Skyclad e debutta con Civitas Interitus, album dal sound che amalgama thrash, folk, reminiscenze power e qualche accenno estremom, dando vita ad un incalzante e a tratti epica storia fuori dal tempo.
Si potrebbe sintetizzare (come fa il gruppo stesso) in melodic thrash metal la musica che compone l’album, chiaramentedi matrice old school, su cui la cantante Andrea con buon impatto e interessanti soluzioni si destreggia con risultati che vanno aldilà delle aspettative.
Aggressiva e melodica, ma pur sempre d’impatto metal, la voce accompagna questi dieci brani, tra le foreste ed i castelli persi nelle Alpi in un tempo indefinito, se non per le ambientazioni epico folkloristiche che non solo accompagnano i brani più aggressivi (Alastor e Samael) ma creano atmosfere suadenti e pregne di sfumature tradizionali in tracce come la bellissima Amon, perla folk/thrash metal di questo lavoro.
Civitas Interitus è un lavoro piacevole, a tratti suggestivo, in altri più indicato per svuotare boccali di birra scura in qualche festa sperduta tra le vallate elvetiche: un album per divertirsi e, perché no, anche sognare.

Tracklist
1.The Die Is Cast
2.Alastor
3.Samael
4.Labartu
5.Aku Aku
6.Skylla
7.Rudra
8.Morrigan
9.Amon
10.A New Hope

Line-up
Andrea Böll – Vocals, Percussion
Laura Kalchofner – e-Recorder, Background Vocals
Pauli Betschart – Bass, Background Vocals
Pirmin Betschart – Drums, Vocals, Percussion, Clarinette
Selv Martone – Guitar, Virtual Instruments

INFINITAS – Facebook

FS Projekt – Kredo Tvoyo

FS Projekt è l’espressione di un buon talento musicale che sicuramente merita un’esposizione adeguata al suo valore, poi come sempre sarà il pubblico a decretarne le fortune.

Anche se a noi italiani un simile monicker potrebbe far pensare ad una band dopolavoristica messa in piedi da un gruppo di ferrovieri, FS Projekt è in realtà frutto del talento musicale del moscovita Sergei Fomin (conosciuto anche come Efes o, appunto, FS).

Il musicista ci ha contattato per sottoporci tutto il materiale composto fin dal 2013, anno di partenza del progetto, che consta di due EP e quattro singoli, ultimo dei quali Kredo Tvoyo, risalente ai primi giorni del 2017.
Quindi utilizziamo il pretesto di parlare di quest’ultima uscita per scoprire anche la musica prodotta in precedenza, per un fatturato totale di una decina di brani a base di un solido e melodico power metal cantato in lingua madre dal bravo vocalist Oleg Mishin.
Efes, nella realizzazione delle canzoni si è fatto aiutare da un manipolo di colleghi dal buon pedigree e dalle sicure doti tecniche, il che rende davvero interessante questo excursus nella ancor breve storia degli FS Projekt, che prende il via con l’ep di tre brani Rozhdeniye Maga, in grado di fotografare in maniera piuttosto nitida la buona caratura di un heavy power dalle tematiche fantasy e ricco di spunti melodici di un certo pregio.
Il percorso prosegue con i due singoli Za Khladny Gory e Elfiyskiy Marsh, traccia ricca di cristallini spunti acustici e contraddistinta da un chorus decisamente arioso.
Con il secondo ep Garpiya il sound sembra irrobustirsi, avvicinandosi ancor più a livello di sonorità e certo power di matrice tedesca, senza però smarrire quella discreta peculiarità accentuata dalle liriche in russo, le quali rivestono il tipico ruolo di arma a doppio taglio, visto che a livello di scorrevolezza non ci può essere paragone con il più classico idioma anglofono.
E si arriva infine, agli ultimi due singoli: Iskusstvo Voiny, uscito circa un anno fa, dove per la prima volta fanno la loro apparizione vocalizzi in stile harsh, ed il già citato e più recente Kredo Tvoyo, intriso in maniera decisa di umori folk che, a mio avviso, si rivelano un vero e proprio valore aggiunto, indicando in qualche modo un’ideale strada da seguire con maggiore continuità in futuro.
Evidentemente il bravo Efes, giunto a questo punto, ha ritenuto fosse il caso di provare a farsi conoscere anche al di fuori dai patri confini, cercando magari di cogliere qualche opportunità che si dovesse concretizzare a livello di contratto discografico o di supporto promozionale.
FS Projekt è comunque l’espressione di un buon talento musicale che sicuramente merita un’esposizione adeguata al suo valore, poi come sempre sarà il pubblico a decretarne le fortune.

01 Rozhdeniye Maga – Rozhdeniye Maga
02 Rozhdeniye Maga – Lyod
03 Rozhdeniye Maga – Fingolfin
04 Za Khladny Gory
05 Elfiyskiy Marsh
06 Garpiya – Garpiya
07 Garpiya – Six Strings
08 Garpiya – Crimson Sail
09 Iskusstvo Voiny
10 Kredo Tvoyo

Line up:
Efes – music, lyrics, arrangements, guitars, bass, castanets, vocals, production, keyboard sound design

FS PROJEKT – Facebook

MaidaVale – Tales Of The Wicked West

Le quattro sacerdotesse di Fårösund, senza cercare di stupire a tutti i costi, svolgono il compito prefissato nel migliore dei modi, ed il loro album ne esce alla grande, vintage fino al midollo, suggestivo e pregno di atmosfere stregate dal blues e dalla psichedelia-

Ora che i suoni vintage, nel metal e nell’hard rock, sono la nuova via per piacere agli ascoltatori, i gruppi dediti a queste sonorità spuntano come i funghi, un male se pensiamo ad un ennesima inflazione del mercato, un bene per i fans dei suoni nati nella seconda metà del secolo scorso.

Nell’ underground non mancano nuove realtà che arrivano all’esordio prendendo come esempio le nuove new sensation dell’hard rock dai rimandi blues e psichedelici come i Blues Pills.
Dalla Svezia (e non è un caso, visto la tradizione per i suoni settantiani nel paese scandinavo) arrivano dunque le MaidaVale, gruppo tutto al femminile che tramite la Sign Records esordisce con Tales Of The Wicked West, bellissimo esempio di hard rock psichedelico e blues, ipnotico come una danza sotto la luna splendente sui boschi delle foreste nordiche.
Le quattro sacerdotesse di Fårösund, senza cercare di stupire a tutti i costi, svolgono il compito prefissato nel migliore dei modi, ed il loro album ne esce alla grande, vintage fino al midollo, suggestivo e pregno di atmosfere stregate dal blues e dalla psichedelia, con quel tocco sabbathiano che avvicina il sound agli hard rockers dai gusti vintage.
Blues e psichedelia sono un binomio più pericoloso di quello che si possa pensare, esaltato dalla voce di Matilda Roth in (If You Want The Smoke) Be The Fire o Restless Wanderer, con una Find What You Love And Let It Kill You che trasforma il verde della natura svedese nel color sabbia del deserto americano, in un trip che la voce femminile accentua facendo sognare dentro ad un caleidoscopio di musica rock sopra le righe.
Finirà questo fiume in piena che porta a valle tanta musica vintage e come sempre rimarranno solo i migliori, e le MaidaVale sono candidate a restare, non perdetevele.

TRACKLIST
01. (If You Want the Smoke) Be The Fire
02. Colour Blind
03. The Greatest Story Ever Told
04. Truth/Lies 05. Dirty War
06. Restless Wanderer
07. Standby Swing
08. Wish I’d Been Born At Sea
09. Find What You Love And Let It Kill You

LINE-UP
Johanna Hansson – Drums
Matilda Roth – Vocals
Linn Johannesson – Bass
Sofia Ström – Guitar

MAIDAVALE – Facebook

Dark Avenger – The Beloved Bones : Hell

Suoni di nobile metallo heavy/power ed un approccio magniloquente ed oscuro fanno di questo album un autentico masterpiece, incollando l’ascoltatore dalla prima all’ultima nota alle cuffie, con il rischio che prendano fuoco sotto tonnellate di riff e solos ed una vena progressiva stupefacente.

Ne è passata acqua sotto i ponti da quando, nel lontano 1995 i brasiliani Dark Avenger debuttavano con il primo, omonimo album.

Dopo sei anni, precisamente nel 2001, Tales Of Avalon: The Terror consegnò il gruppo di Brasilia all’immortalità grazie ad una prova non solo clamorosa a livello tecnico, ma soprattutto benedetta da un songwriting superlativo.
Sedici anni sono una vita musicalmente parlando e i Dark Avenger, dopo averci provato con la seconda parte del concept che li ha resi famosi tra gli amanti dei suoni heavy/power (Tales Of Avalon: The Lament) nel 2013, tornano con una nuova storia ed un bellissimo e quanto mai devastante lavoro, The Beloved Bones : Hell.
E, in effetti, la band scatena un autentico inferno di suoni metallici, con una serie di brani che si candidano come uno dei più riusciti esempi del genere in questo 2017.
Il full length è stato registrato, mixato e prodotto dal chitarrista Glauber Oliveira e masterizzato da Tony Lindgren presso i Fascination Studios, un’ulteriore garanzia di qualità, e licenziato dalla Rockshot Records .
Suoni di nobile metallo heavy/power ed un approccio magniloquente ed oscuro fanno di questo album un autentico masterpiece, incollando l’ascoltatore dalla prima all’ultima nota alle cuffie, con il rischio che prendano fuoco sotto tonnellate di riff e solos ed una vena progressiva stupefacente.
Siamo tornati ai livelli che la band raggiunse all’alba del nuovo millennio, con un Mário Linhares letteralmente indemoniato dietro al microfono ed i suoi compari che sembrano suonare tra le fiamme di qualche girone infernale, diabolici ed assolutamente imprevedibili nelle intricate trame di brani spettacolari.
Il metal classico nella sua forma più dura, aggressiva, ma allo stesso tempo raffinata ed elegante con brani che formano una mastodontica opera che si avvicina pericolosamente alla perfezione, questo è The Beloved Bones: Hell.
Inutile, come sempre in questi casi, un track by track che nulla aggiunge a quanto scritto (Smile Back To Me, King For A Moment, Parasite e Purple Letter sono tracce che nel genere trovano pochi confronti): i Dark Avenger sono tornati con l’album della vita, quello che conferma dopo così tanti anni tutto tutto il bene detto dagli addetti ai lavori ai tempi dell’uscita del secondo bellissimo lavoro.

Tracklist
1.The Beloved Bones
2.Smile Back to Me
3.King for a Moment
4.This Loathsome Carcass
5.Parasite
6.Breaking Up, Again
7.Empowerment
8.Nihil Mind
9.Purple Letter
10.Sola Mors Liberat
11.When Shadow Falls

Line-up
Gustavo Magalhães – Bass
Hugo Santiago – Guitars
Mário Linhares – Vocals
Anderson Soares – Drums
Glauber Oliveira – Guitars

DARK AVENGER – Facebook

Eva Can’t – Gravatum

Ascoltando Gravatum più volte con il giusto approccio, memorizzandone i passaggi e lasciandosi compenetrare dalla potenza lirica e drammatica del racconto, si arriverà al punto di non poterne più fare a meno, come è tipico delle opere musicali di livello superiore.

Gli Eva Can’t sono un band bolognese formatasi agli albori del decennio e guidata da Simone Lanzoni, ovvero il clean vocalist protagonista degli ultimi due magnifici album degli In Tormentata Quiete.

Già questo dato potrebbe, da solo, attrarre l’attenzione di molti tra i possibili appassionati smarriti nel labirinto formato dai sottogeneri del metal e del rock e dal relativo flusso oceanico di uscite, ma è bene dire da subito che, con Gravatum, gli Eva Can’t ci hanno omaggiato di un vero e proprio capolavoro di arte musicale, capace di trasportare ai giorni nostri il potenziale evocativo e poetico che fu il tratto distintivo del progressive italiano degli anni ’70, uno dei movimenti musicali più significativi e peculiari nella storia moderna delle sette note, a detta non solo del sottoscritto, ma anche di commentatori ben più quotati e credibili.
Il fatto che il gruppo felsineo sia approdato a questi lidi, pur essendo formato sostanzialmente da musicisti dal robusto background metal, non deve sorprendere, visto che i prodromi di tutto questo sono riscontrabili in un percorso evolutivo che, partendo dall’heavy del debutto L’enigma delle ombre, si è poi snodato senza porsi particolari limiti di stile o di genere.
Quello che sicuramente non è mai cambiata, costituendo uno dei tratti distintivi della band, è la cura nella stesura dei testi, sempre ispirati, dal grande afflato poetico e pervasi da un costate contrasto tra lo smarrimento di fronte alla caducità dell’esistenza e la consapevolezza di quanto questa rappresenti dopotutto un regalo, benché gran parte dell’umanità non ne abbia colto né il senso né, soprattutto, il valore.
In Gravatum, gli Eva Can’t non lesinano comunque sull’espressione di un’amarezza di fondo ben esplicitata da un concept che racconta gli ultimi istanti dell’uomo sulla Terra, in un turbinio inesauribile di emozioni in cui le liriche non rivestono un ruolo affatto marginale, ma appaiono fondamentali esattamente quanto un struttura musicale che, come detto, si muove da una base prog rock per sconfinare nel folk (La Ronda di Ossa), senza dimenticare le radici metal che emergono soprattutto nella splendida title track.
Ma l’album è nient’altro che un percorso emotivo regalatoci da Lanzoni e dai suoi altrettanto bravi compagni d’avventura fin dalla prima ora (Luigi Iacovitti alla chitarra, Andrea Maurizzi al basso e Diego Molina alla batteria), nel corso del quale ci si imbatte in ogni istante in attimi di cristallina bellezza, in una forma d’arte talmente evoluta e perfetta in grado di commuovere lasciando un segno indelebile.
Sfido anche i meno sensibili a non provare qualche brivido quando Simone Lanzoni intona Terra su un toccante tappeto pianistico, un connubio che riporterà chi ha già qualche capello bianco ai momenti perduti nel tempo e ritenuti irripetibili del miglior Banco del Mutuo Soccorso, anche se chiaramente il vocalist non ha nulla in comune stilisticamente con il compianto Di Giacomo, se non una stessa intensità interpretativa ed un’espressività che non vengono mai meno, neppure nelle parti recitate o nei rari passaggi in growl.
In poco più di un’ora gli Eva Can’t rielaborano con grande competenza il meglio della tradizione rock/metal italiana, ammantando il tutto di un’aura poetica in grado di fare la differenza, con il suggello dei sedici minuti di straordinaria varietà e profondità della conclusiva Pittori Del Fulgido Astratto.
Se i tolemaici ascoltatori odierni del progressive avessero ancora orecchie per sentire, con la band bolognese avrebbero trovato finalmente un moderno punto di riferimento e qualcuno degno senza alcun dubbio di soppiantare diversi gruppi storici che, con tutto il dovuto rispetto ed altrettanta riconoscenza, negli ultimi decenni hanno vissuto solo della luce riflessa del proprio illustre passato; purtroppo (anche se spero di sbagliarmi) a gratificare della giusta attenzione un album di tale spessore saranno i soliti e deprecati “metallari” dalla mentalità più aperta, quelli che le emozioni le ricercano anche nel presente,  senza condizionamenti o pregiudizi di sorta.
Comunque sia, ascoltando Gravatum più volte con il giusto approccio, memorizzandone i passaggi e lasciandosi compenetrare dalla potenza lirica e drammatica del racconto, si arriverà al punto di non poterne più fare a meno, come è tipico delle opere musicali di livello superiore.

Tracklist
1. L’Alba Ci Rubò Il Silenzio
2. Apostasia Della Rovina
3. La Ronda Di Ossa
4. Oceano
5. Terra
6. Gravatum
7. Pittori Del Fulgido Astratto

Line-up:
Simone Lanzoni: guitars, vocals
Diego Molina: drums
Luigi Iacovitti: guitars
Andrea Maurizzi: bass

Guests:
keyboards by Andrea Roda
lead guitar on “Oceano” by Andrea Mosconi

EVA CAN’T – Facebook

Bone Man – III

Il modo particolare di approcciarsi al rock dei tedeschi Bone Man deriva dagli ultimi anni del secolo scorso e viene investito da un attitudine psichedelica, decollando e rimanendo in quota per tutta la durata di III.

Ci si può perdere anche nelle foreste della Germania, specialmente se veniamo rapiti dal sound di questo ottimo sesto lavoro dei Bone Man, trio che dell’ hard rock fa il suo credo, psichedelico e dai rimandi novantiani.

Infatti, il modo particolare di approcciarsi al rock dei tedeschi deriva dagli ultimi anni del secolo scorso e viene investito da un attitudine psichedelica, decollando e rimanendo in quota per tutta la durata di III.
Il trio picchia non poco, il rock graffiante dei primi Soundgarden viene stonato da tonnellate di mood psichedelico senza mai perdere la forma canzone, dunque dimenticatevi lunghe jam, care ai gruppi underground odierni (in linea con l’attitudine old school tanto cool in questi anni): tra lo spartito di III si respira rock, nascosto sotto una coltre di watt, ma dall’ottimo appeal.
Con These Days Are Gone, Wreck Under The Sea e il suo mood oscuro, Incognito con il basso che pulsa sotto l’effetto di allucinati rimandi ottantiani, e la furia stoner di Zeitgeist, si continua a girare intorno ad una radura con la brutta sensazione di esserci già passati più volte, mentre la fredda notte incalza e la speranza di tornare sulla retta via diventa una mera illusione.
Avvicinatevi con cautela a III, ma fatelo, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1.Pollyanna
2.Zeitgeist
3.These Days Are Gone
4.Cold Echo
5.False Ambition
6.Wreck Under The Sea
7.Incognito
8.Years Of Sorrow

LINE-UP
Marian Klein – Guitar
Arne Doepper – Bass
Dennis “Ötzi” Oelze – Drums

BONE MAN – Facebook

The Mustangs – Just Passing Through

Just Passing Through, nuovo album dei The Mustangs, è un viaggio tra le anime del blues contemporaneo degno dei più grandi interpreti americani e del Regno Unito.

Si vola sulle ali del blues con il nuovo album di una band britannica molto apprezzata nella scena, i The Mustangs.

Attivo dal 2001, il gruppo proveniente dall’Hampshire arriva quest’anno al traguardo della doppia cifra in quanto a lavori pubblicati, confermando tutto il valore espresso fino ad oggi e l’ottima reputazione che si è costruito negli anni tra gli amanti del genere e gli addetti ai lavori.
Blues rock d’autore, dunque, anche per questo nuovo Just Passing Through, licenziato dalla Trapeze Music con cui la band collabora da tempo: l’album è formato da un lotto di brani che seguono la tradizione del british blues, alternandolo con bellissimi camei d’ oltreoceano, quindi nella musica del gruppo inglese si rincorrono le due principali anime del genere, che si incontrano e si allontanano come amanti brucianti di passione.
E’ questa la caratteristica principale del sound dei The Mustangs, che confezionano un lavoro vario e piacevole,con la chitarra di Adam Norsworthy a ricamare armonie campestri ed il profumo dell’erba bagnata dalle pioggia del nord si mescola con quello del fieno nelle pianure a sud del nuovo continente.
L’album parte con il freno a mano tirato e i primi brani, fin da Hiding From the Rain, risultano attraversati da un mood cantautorale, con il sound a scivolare sulla chitarra del leader, ma da Just The Way It Is il sole fa capolino tra le nuvole, la temperatura si alza non poco tra le armonie di Because It’s Time ed i cori a cappella di Cry No More e la febbre che si alza nella Saturday Night dei The Mustangs.
Il blues della passionale e sanguigna Save My Soul e la straordinaria From Somewhere To Nowhere alzano non poco il valore di questo lavoro che, come suggerisce la copertina, è un viaggio tra le anime del blues contemporaneo degno dei più grandi interpreti americani e del Regno Unito.

Tracklist
1.One Way Ticket
2.Hiding From The Rain
3.Fingerprints
4.Beautiful Sleeper
5.Just The Way It Is
6.Because it’s Time
7.Cry No More
8.Saturday Night
9.What Lies Within
10.Vinegar Fly
11.Save My Soul
12.From Somewhere To Nowhere
13.How Short

Line-up
Adam Norsworthy – Lead Guitar, Vocals
Derek Kingaby – Blues Harp
Jon Bartley – Drums, Backing Vocals
Ben McKeown -Bass, Backing Vocals

THE MUSTANGS – Facebook

Prologue Of A New Generation – Mindtrip

Buona la prima per i Prologue Of A New Generation, in virtù di una prova di sicuro spessore dal punto di vista tecnico ed esecutivo.

Nei confronti di quello che si può definire, a grandi linee, prog/djent/core è necessario un approccio privo di condizionamenti o pregiudizi di sorta, come possono essere sia quello di considerare degni esponenti del genere solo pochi e selezionati gruppi stranieri, sia il ritenere il tutto una sterile e spesso cervellotica esibizione di tecnicismo fine a sé stesso.

Quindi faccio subito outing: partendo dai più estremi Meshuggah per arrivare ai più morbidi TesseracT, e comprendendo tutto quanto sta nel mezzo, simili sonorità non sono mai state nelle mie corde, spesso ritenendole per lo più un qualcosa di cui fruire in maniera omeopatica, pena l’insorgere di un potentissimo mal di testa a partire dal decimo minuto di martellamenti ritmici e dissonanti.
In prima battuta tale effetto è stato garantito anche da questo album d’esordio dei trentini Prologue Of A New Generation, testimoni ineccepibili di gran parte degli stilemi sonori che hanno fatto la fortuna di band come Periphery, Northlane e Monuments, citate nelle note di presentazione a cura della dinamica label Antigony.
Devo ammettere, però, che i ripetuti accolti, come spesso avviene finiscono per rendere un minimo di giustizia anche nei confronti di chi non aveva affatto convinto al primo impatto: i Prologue Of A New Generation non reinventano nulla di particolare, in un genere nel quale non ci sono neppure così tanti margini di sviluppo, ma la loro bravura si manifesta nella capacità di rendere meno scontati gli schemi compositivi, specialmente nei brani in cui sono i chorus melodici a fare la differenza, come avviene nelle ottime Introspective, Shive, Neverbloom e, sourattutto The Perfection Exists, dove il break che giunge poco prima dei due minuti è, in assoluto, uno dei passaggi più significativi dell’album. A favore del quintetto trentino va detto anche come lo schema che prevede l’apertura melodica inframmezzare le sfuriate più robuste non è poi neppure così scontata, aggiungendovi che il buon Mirko Antoniazzi si sgola senza risparmiarsi, ricordandosi di utilizzare, oltre ad un’appropriata voce pulita, anche un buon growl in alternativa alle urla di matrice core, mentre i suoi compagni ci danno dentro davvero come se non ci fosse un domani, assecondando tutte le aspettative di chi ha familiarità con il genere.
Probabilmente anche la durata ragionevole (circa mezz’ora) fa sì che una bella tranvata come Mindtrip possa venire accolta con misurato favore pure da chi abitualmente si nutre di ben altre sonorità, e questo non è assolutamente un risultato di poco conto; buona la prima, quindi, per i Prologue Of A New Generation, in virtù di una prova di sicuro spessore dal punto di vista tecnico ed esecutivo.

Tracklist:
1.Roots And Bones
2.Black Hands
3.Introspective
4.Mindtrip
5.Karmic Law
6.The Perfection Exists
7.Neverbloom
8.Shiva
9.Skyburial/Jhator

Line-up:
Mirko Antoniazzi (Voce)
Cris Merz (Chitarra)
Nico Tommasi (Chitarra)
Dionis Platon (Basso)
Filippo Tonini (Batteria)

PROLOGUE OF A NEW GENERATION – Facebook

Wo Fat – Midnight Cometh

La potenza sprigionata dagli strumenti rimane inalterata per tutto il tempo che il meteorite impiega per arrivare alla fatale esplosione sulla Terra, anche quando l’atmosfera si colora di nero ed escono dallo spartito sfumature dark/blues davvero suggestive.

Arrivano su MetalEyes gli inossidabili Wo Fat, trio stoner/psych/doom statunitense attivo da più di una decina d’anni e con una nutrita discografia alle spalle che conta, oltre ad una manciata di lavori minori, cinque full length che precedono l’ultimo pezzo di granito intitolato Midnight Cometh.

Licenziato dalla Ripple Music, l’album vede la band texana alle prese con un sound diretto e dall’impatto di un meteorite in caduta sul pianeta, una lenta ed inesorabile discesa senza freni, aspettando il devastante impatto al suolo e la conseguente devastazione.
Kent Stump e compagni ci investono con sei jam dove il doom/stonerizzato incontra acide divagazioni psichedeliche e blues portato all’estremo, in un vortice di musica pesantissima e dagli effetti collaterali pari ad un’overdose di funghi dalla natura ambigua.
Ma il bello del sound degli Wo Fat sta nel non perdere mai un grammo in impatto, con la potenza sprigionata dagli strumenti che rimane inalterata per tutto il tempo che il meteorite impiega per arrivare alla fatale esplosione sulla Terra, anche quando l’atmosfera si colora di nero ed escono dallo spartito sfumature dark/blues davvero suggestive (Of Smoke And Fog).
Midnight Cometh è straordinario nel saper entrare nella testa dell’ascoltatore al primo colpo, frutto di un songwriting di altissimo livello che porta il trio di Dallas a giocarsi le sue carte con i gruppi più importanti del genere.
In There’s Somethin Sinister in the Wind troviamo dieci minuti di hard rock/stoner doom eccellenti, che entrano aggressivi dentro la nostra testa come un flash, mentre la già citata Of Smoke And Fog e la conclusiva debordante e mastodontica Nightcomer mettono al muro le nostre ultime ed ormai inutili resistenze.

TRACKLIST
01. There’s Somethin Sinister in the Wind
02. Riffborn
03. Of Smoke and Fog
04. Le Dilemme de Detenu
05. Three Minutes to Midnight
06. Nightcomer

LINE-UP
Michael Walter – Drums
Kent Stump – Guitars, Vocals
Zack Busby – Bass

WO FAT – Facebook