5Rand – Sacred/Scared

Thrash melodic death metal piacevolmente alternativo e moderno il giusto per non deludere i fans delle due sponde opposte del fiume metallico, quella più ancorata alla tradizione e l’altra più moderna e groove.

La My Kingdom si aggiudica le prestazioni dei romani 5Rand che, per il loro debutto, hanno fatto le cose in grande per rendere Sacred/Scared una mazzata di devastante thrash melodic death metal piacevolmente alternativo e moderno il giusto per non deludere i fans delle due sponde opposte del fiume metallico, quella più ancorata alla tradizione e l’altra più moderna e groove.

I 5Rand nascono nel 2012 da un’idea del chitarrista Pierluigi Carocci, a cui si aggiungono Riccardo Zito al basso e Francesco Marroni alle pelli, ma soprattutto la cantante Julia Elenoir, ottima interprete dei deliri del gruppo sia con il growl che le clean vocals.
Sacred/Scared è stato registrato ai Kick Recording Studios di Roma da Marco Mastrobuono (Fleshgod Apocalypse, Hour of Penance) e poi lasciato nelle sapienti mani di Mika Jussila (Nightwish, Amorphis, Children of Bodom) per essere masterizzato ad Helsinki nei mitici Finnvox.
Inutile scrivere che, con queste credenziali, la curiosità era tanta e la band romana ha saputo soddisfare le aspettative con un lavoro intenso, aggressivo, molto ben bilanciato tra tradizione estrema ed appeal moderno, un album pensato ma elaborato con passione e un impatto notevole.
Il disco parte con una intro che prepara l’ascoltatore all’esplosione che di li a poco libererà la belva ormai da troppo tempo in gabbia: è uno scontro di titani tra la furia del thrash, le melodie che prendono ispirazione sia dal death metal melodico che dal più moderno metalcore, ed una neanche troppo velata passione per l’industrial/alternative, il tutto valorizzato da un’ interpretazione suggestiva della singer, una belva con le tonalità estreme, particolare con la voce pulita che (non me ne vogliate) ricorda a tratti quella di Dolores O’Riordan dei rockers irlandesi Cranberries.
In tutto questo ben di dio, risplende un songwriting ispirato che permette ai brani di non lasciare mai l’ascoltatore senza un dettaglio o un passaggio che valorizzi la traccia singola, passando agevolmente tra i vari generi, senza mai apparire fuori luogo.
Difficile trovare un brano che più di un altro sia esemplificativo del sound dei 5Rand, ma le prime quattro tracce (Erase, Fuck-Simile, Paint Of Pain, ed il singolo Cordyceps) risultano puro spettacolo estremo, vario, violento ed appassionante nel seguire questo viaggio intrapreso tra i vari generi della musica estrema.
Sacred/Scared è una partenza col botto per il gruppo proveniente dalla capitale ed un altra sfida vinta per la My Kingdom.

TRACKLIST
1. Behind The Doors Of Sin
2. Erase
3. Fuck – Simile
4. Paint Of Pain
5. Cordyceps
6. Blessed
7. Preacher Of Lies
8. Drowning Into Insanity
9. The True Death Show
10. Narcolepsycho (Silent Scream)

LINE-UP
Julia Elenoir – vocals
Pierluigi Carocci – guitars
Riccardo Zito – bass
Francesco Marroni – drums

5RAND – Facebook

Tragic Cause – No Restraint

Un album che non lascia dubbi sul valore di questi thrashers tedeschi, assolutamente consigliato agli amanti del genere

Thrash metal come se non ci fosse un domani, potente veloce e devastante, dall’anima old school ma con suoni e produzione al passo coi temi.

Da Amburgo, città capitale del power metal, arrivano con tutta la loro voglia impagabile di distruzione i Tragic Cause, trio formato nel 2010 dal chitarrista e cantante Alex Hoffmann, una bestia indomita, thrasher purosangue che con i suoi degni compari (Simon Schorp al basso e Thomas Hauser alle pelli), entrati in formazione giusto il tempo per registrare No Restraint, ci violenta i padiglioni auricolari con questa micidiale furia in musica.
Due full length alle spalle per il gruppo tedesco (To Reign Supreme del 2011 e Dead Man Walking, licenziato l’anno dopo), quattro anni di pausa, nuova line up e Hoffmann riparte con la sua abominevole creatura, un mostro per impatto e violenza che innalza un muro sonoro estremo impressionate di thrash dalle non poche soluzioni death.
No Restraint dura poco meno di mezzora, ma tanto basta al trio per non fare prigionieri, i brani si susseguono estremi e violenti, il growl di stampo death estremizza il sound, già di per sé devastante, e i rimandi alla scena statunitense, sommati ad elementi riscontrabili a quella della loro terra natia e al death metal, creano una miscela esplosiva micidiale.
Difficile nominarvi un brano piuttosto che un altro, No Restraint è un macigno sonoro formato da nove capitoli che, uniti, risultano una bomba atomica musicale, perfetta nel suo esporre in maniera così violenta e senza compromessi le varie influenze ed ispirazioni del gruppo di Amburgo.
Un album che non lascia dubbi sul valore di questi tedeschi, assolutamente consigliato agli amanti del genere.

TRACKLIST
1. No Restraint
2. Riven By Grief
3. Pain Is My Religion
4. Where It Begins
5. Loss Of Reality
6. Danistercracy
7. Force My Hand
8. Monster
9. Nailed To The Cross

LINE-UP
Alex Hoffmann – Guitars, Vocals
Simon Schorp – Bass
Thomas Hauser – Drums

http://www.facebook.com/TRAGIC.CAUSE/

Gurthang – Shattered Echoes

Shattered Echoes si rivela un album in grado di soddisfare ampiamente chi già apprezza le sonorità espresse dalla fertile scena estrema polacca.

I polacchi Gurthang, nonostante si siano formati all’inizio del decennio, hanno all’attivo più di venti uscite disseminate tra singoli, ep, split compilation e full length.

Di questi ultimi, Shattered Echoes è il quarto della serie, e ci presenta una band di buono spessore e sicuramente capace di maneggiare con competenza il genere proposto.
Il black doom del gruppo di Lublino è piuttosto tetragono nel suo incedere, affidando ad avvolgenti parti rallentate le variazioni su un tema scritto buttando sovente un occhio ai Behemoth, ma badando appunto ad inserire una componente doom con l’intento di rompere in parte il canovaccio consueto.
Un parziale elemento di discontinuità sono anche le clean vocals, non sempre a fuoco ma sufficientemente funzionali, e il tutto va così a comporre un quadro convincente, pur senza far sobbalzare sulla sedia chi ascolta.
Alla fine i brani migliori sono quelli che mantengono un’aura minacciosa senza premere eccessivamente sull’acceleratore, il cui emblema è la notevole accoppiata centrale My Salvation / Departed: in particolare la prima delle due si rivela il fulcro dell’album grazie al suo andamento relativamente catchy, che ne rende ben memorizzabili i passaggi salienti.
Per il resto i Gurthang svolgono al meglio il loro compito, grazie a un lavoro d’insieme pregevole che si attesta su un livello medio per quanto concerne il resto della tracklist.
Shattered Echoes si rivela, così, un album in grado di soddisfare ampiamente chi già apprezza le sonorità espresse dalla fertile scena estrema polacca.

Tracklist:
1.Closure
2.Denial
3.Advance the Disease
4.Paragon of Virtue
5.My Salvation
6.Departed
7.Inheritance – The Distress
8.Rebirth
9.Ignite
10.Pylon of Blaze
11.Inheritance II: Red Mourning

Line up:
A.Z.V. – throat, whispers, clean & distorted guitars, all music, lyrics
Stormalv – bass guitars
G.H. – ambience, effects
Vojfrost – keys, effects
Turenn – drums, percussion

GURTHANG – Facebook

Altar Of Betelgeuze – Among The Ruins

Doom metal classico, death metal e stoner rock, uniti per regalare emozioni che vanno aldilà del semplice ascolto.

Capita, fortunatamente più spesso di quanto crediate, che una proposta musicale, sconosciuta fino all’attimo prima di aver schiacciato il tasto play, si riveli un’autentica sorpresa.

Così ecco che, stordito ed ipnotizzato dalle pesanti e messianiche note che compongono l’opera, vi lascio il mio parere  (specialmente se siete amanti di queste sonorità) sul secondo lavoro di questo quartetto proveniente dalla Finlandia.
La band in questione si chiama Altar Of Betelgeuze, è stata fondata da Matias Nastolin (Decaying), Olli Suurmunne (Stream Of Sorrow, ex-Decaying) e Juho Kareoja nel 2010 ed è del 2014 l’esordio sulla lunga distanza Darkness Sustains the Silence.
Among The Ruins continua il percorso iniziato dal primo lavoro, un inesorabile e lento viaggio messianico tra death/doom e stoner, a comporre un affascinante e perfetto riassunto di questi tre generi assemblati in un unico mastodontico sound.
Doom metal classico, death metal e stoner rock si uniscono per regalare emozioni che vanno aldilà del semplice ascolto, in un’esperienza onirica tra i misteri di quelle terre indomite: i brani sono tutti splendidi ma sono No Return e la conclusiva title track a lasciare le impressioni migliori, le voci si danno il cambio tra cleans evocative e gorgoglianti parti doom/death, tradizione del metal estremo di queste terre già dai primi anni novanta; Among The Ruins ne esce come figlio legittimo di quel sound, con la parte stoner che rende l’atmosfera ancor più ipnotica e fumosa.
Se siete amanti di questi generi perdervi un album del genere sarebbe davvero un peccato, perché Among The Ruins è un lavoro di cui non farete più a meno.

TRACKLIST
1.The Offering
2.Sledge of Stones
3.No Return
4.New Dawn
5.Absence of Light
6.Advocates of Deception
7.Among the Ruins

LINE-UP
Juho Kareoja – Guitars
Matias Nastolin – Bass, Vocals (growling and spoken word)
Olli “Otu” Suurmunne – Guitars, Vocals (clean and throat singing)
Aleksi Olkkola – Drums

ALTAR OF BETELGEUZE – Facebook

Goatmoon – Stella Polaris –

Il disco è volutamente ridondante e pieno di pathos, e ci vuole molta classe per fare un lavoro come questo, laddove altri avrebbero miseramente fallito i Goatmoon riescono molto bene, pubblicando un disco potentemente melodico, in linea con la loro storia.

Quando si tratta di fare black metal originale fuori dagli schemi, seguendo una strada propria, allora non troverete di meglio dei Goatmoon, che poi possono essere riassunti nella persona di Black Goat Gravedesecrator, fondatore e colonna portante del gruppo ormai dal lontano 2002.

La parabola musicale del gruppo è notevole e ha un suo senso, soprattutto se si conta l’evoluzione dagli inizi con un black metal molto raw e legato al punk, mentre poi piano piano si è fatto strada un suono con afflati maggiormente epici e legati alla Finlandia. Stella Polaris può essere considerato a buon ragione il punto più alto di questo percorso, poiché è sicuramente l’album più epico e strutturato dei Goatmoon. Per tutto il disco si segue la stella polare nelle fredde lande finlandesi, lottando contro tutto e tutti , per affermare la propria volontà di potenza. Lo svilupparsi del disco non è mai scontato e l’ascoltatore è sempre tenuto in tensione. La grande protagonista di questo disco è la melodia, che trova nel forte uso dell’organo al sua stella polare. Epicità e black metal si compenetrano alla perfezione, mostrando nuove vie al nero metallo. Questa tendenza è forte in molti dischi di black metal finlandese dell’ultimo periodo, per segnare nuove vie nella musica estrema. Il disco è volutamente ridondante e pieno di pathos, e ci vuole molta classe per fare un lavoro come questo: laddove altri avrebbero miseramente fallito, i Goatmoon riescono molto bene, pubblicando un disco potentemente melodico, in linea con la loro storia. Certamente, come il destino del novanta per cento dei dischi black metal, dividerà molti giudizi, ma francamente è un problema da non porsi nemmeno.

TRACKLIST
1.Intro
2.Stella Polaris
3.Kansojen Hävittäjä
4.Wolf Night
5.Sonderkommando Nord
6.Warrior
7.Conqueror

GOATMOON – Facebook

Madness Of Sorrow – NWO – The Beginning

Resoconto dell’ascolto in anteprima del nuovo lavoro dei Madness Of Sorrow, NWO – The Beginning, seguito da uno scambio di battute con il mastermind Muriel Saracino ed il nuovo cantante Prophet.

Ad un mese circa dall’uscita , prevista per i primi giorni di marzo abbiamo avuto l’onore di ascoltare in anteprima il nuovo lavoro dei Madness Of Sorrow, band estrema capitanata dal mastermind Muriel Saracino.

Oltre a raccontarvi del disco troverete una breve intervista fatta dal sottoscritto a Muriel ed al nuovo cantante Prophet, una delle novità di questo ottimo NWO – The Beginning.
E iniziamo proprio dal neo entrato, amico di vecchia data di Saracino ed ottimo cantante, bravissimo nel saper variare la sua voce tra toni dark, parti aggressive tra scream e growl, ed una voce pulita usata con parsimonia, ma perfetta nel contesto atmosferico dei brani; per la prima volta nella storia del gruppo il concept non è frutto di Saracino che, questa volta, si è dedicato alla musica ed ha lasciato al cantante carta bianca per la scrittura di testi che tratteggiano un quadro oscuro del sistema in cui abbiamo vissuto e viviamo tutt’ora.
Molto bella la copertina creata dall’artista Graziano Roccatani e davvero brillante il songwriting, che rende l’album più vario dei pur bellissimi precedenti capitoli, in un viaggio temporale tra il metal più oscuro e dark, dall’heavy thrash al black, fino a quelle che è lo stile peculiare del gruppo nostrano, l’horror/dark con sfumature nu metal tanto care a Muriel.
E, probabilmente, il fatto di doversi occupare esclusivamente della musica ha giovato non poco a Saracino che, questa volta, ha dato libero sfogo a tutte le sue influenze, creando un’opera varia, ispirata e più estrema delle precedenti.
Atmosfere oscure che aleggiano su sfuriate thrash/black, le tastiere in stile Death SS che aumentano l’inquietudine tipica delle opere horror metal (You’re Not Alone), vengono spazzate un attimo dopo da brani di scuola Manson, una delle massime ispirazioni del gruppo (Necrophilia), che Prophet interpreta però con un piglio estremo da vocalist death.
Il dark rock è presente ma in modo più subdolo, nascosto dalla vena metallica di NWO, anche se talvolta i Sisters Of Mercy si incontrano con i Rammstein per regalare sfumature industriali dalle tinte nere come la pece (Slut e Zombified).
Keep Your Head Down è un brano malato e sofferto, dalle melodie introspettive create dai tasti d’avorio ad accompagnare l’interpretazione magnifica di Prophet, posseduto subito dopo da un demone black nella violentissima DNA che porta l’ascoltatore verso il finale, composto dalla diretta SOS e dall’outro che chiude l’album con un’atmosfera apocalittica ed oscura.
NWO – The Beginning è l’ennesimo ottimo album che conferma i Madness Of Sorrow come una delle migliori realtà nostrane per quanto riguarda il genere suonato, e questo punto non ci rimane che lasciare la parola ai protagonisti.

MetalEyes Allora ragazzi, un nuovo lavoro che porta con se importanti novità!

MURIEL – Si, la più importante è senza dubbio l’entrata nel gruppo di Prophet, aka Diego Carnazzola, che reputo un ragazzo pieno di talento. Da quando presi la decisione di lasciare il ruolo di cantante dei Madness of Sorrow, non ho avuto dubbi nel pensare che fosse la persona giusta per questo ruolo. Abbiamo una voce simile, ma lui sa aggiungere sfumature per me non fattibili. Questo mi ha lasciato libero nel concentrarmi solo ed
esclusivamente sul songwriting, senza paranoie su liriche e melodie vocali. Dopo i primi live, dove si è cimentato alla grande sui brani che cantavo io in precedenza, tutte le paure sono svanite, e qui ha fatto un gran bel lavoro.

ME Concept e testi sono stati scritti da Prophet, potete parlarcene più dettagliatamente?

PROPHET – Ho tratto ispirazione dagli avvenimenti che accadono ogni giorno in tutto il mondo da secoli.
In questo concept ho trattato temi che variano dalla religione al sesso, dalla politica alle corporation, dalla scienza all’evoluzione della società, sino al materialismo ed alla spiritualità.
Mi sono divertito nel mandare un messaggio criptico ed allo stesso tempo diretto, con qualche nota malinconica e poetica.

ME NWO – The Beginning risulta più vario rispetto ai precedenti lavori, mantenendo una sua anima horror/dark, ma passando con disinvoltura dal metal estremo moderno a quello più classico, con ritmiche di stampo thrash metal che sferzano alcuni brani: come siete approdati a queste sonorità?

M – Ovviamente, scrivendo e suonando il tutto, ho tratto giovamento dal fatto di non dover dedicare energia anche all’aspetto visuale ed alle liriche.
Concentrandomi al 100% sulla musica ho potuto tirare fuori veramente tutte quelle che sono le mie influenze, dall’adolescenza (Europe, Iron Maiden e Guns’n’Roses) sino all’attualità (Korn, Cradle of Filth e Rammstein).
A livello di batteria, invece, mi piace fondere anche nello stesso brano passaggi differenti tratti dal black metal, dall’industrial e dal rock classico.

ME Parlatemi della copertina, che ho trovato molto metal anni ottanta: il riferimento è palese, ma possiede un significato più profondo?

M – Innanzitutto ringraziamo Graziano Roccatani per lo splendido lavoro svolto, ce ne siamo innamorati subito. Sul metal anni ’80 non saprei, a me è sempre piaciuto avere copertine più fumettistiche anziché fredde e digitali, e questo senz’altro è un punto in comune.

P – La copertina ha in effetti un messaggio più profondo, nasconde una domanda che porta ad una scelta: cosa siamo disposti a sacrificare? Cosa siamo disposti ad accettare?
Vogliamo continuare ad essere manipolati, usati, torturati, privati della reale felicità?
Vogliamo continuare ad essere il capro espiatorio che giustifica il genocidio della razza umana, solo per arricchirsi di denaro?

TRACKLIST
1.N.W.O
2.Salomon
3.Inside The Church
4.You’re Not Alone
5.Necrophilia
6.Slut
7.Rip
8.Zombified
9.Keep Ypur Head Down
10.DNa
11.SOS
12.Outro

LINE-UP
Prophet – Vocals
Murihell – Guitars
Hades – Bass
Kronork – Drums

MADNESS OF SORROW – Facebook

Meltdown – Answers

I Meltdown ci strapazzano con Answers, album composto da otto brani di metallo moderno ma dalla dalla forte connotazione classica.

Sono in sei i Meltdown, ma sembra che suonino il triplo dei musicisti tanta è la forza estrema del loro sound.

C’è chi suona metalcore come se partecipasse a qualche gara televisiva per ragazzini e c’è chi lo suona come se fosse l’ultima frontiera del metal estremo, potentissimo, violento e melodico, ma al servizio di una devastante forza bruta.
I norvegesi,tramite la WormHoleDeath, ci strapazzano con Answers, album composto da otto brani di metallo moderno, dal songwriting che, nel genere, risulta di un’ altra categoria e dalla forte connotazione classica che si evince dall’uso della voce pulita da puro singer heavy metal e dal lavoro chitarristico, piazzato su un tappeto ritmico da bombardamento su Pearl Harbor ed un growl che spaventerebbe un grizzly.
Facile chiamare questo inferno metallico metalcore, ma nella musica del gruppo scandinavo chiunque abbia un minimo di esperienza in materia metallica riscontrerà ispirazioni thrash (nelle tempeste metalliche che attraversano brani come The Curse): l’heavy metal classico appare come uno spirito indomito nell’uso delle clean, che per il contesto risultano quanto mai originali, senza dimenticare il death metal di estrazione moderna e che si specchia in quello statunitense.
Hollow è qualcosa di unico nel panorama metalcore, thrash metal stile Pantera, con death moderno alla Lamb Of God si alleano con l’heavy metal classico, mentre un chorus evocativo tortura il sound che, ribellandosi, fugge sulle ali di ripartenze micidiali e devastanti.
Misery e Nightmare concludono l’album, la prima più moderna nell’approccio, la seconda classicamente metallica, seviziata dal growl e dalla potenza estrema degli strumenti portati al limite dai musicisti norvegesi.
Answers risulta senza dubbio il lavoro più originale nel genere degli ultimi tempi, con i Meltdown che si dimostrano una band in stato di grazia.

TRACKLIST
1. Answers
2. Blackbox Paradise
3. The Curse
4. Time Of War
5. Hollow
6. Mariana Trench
7. Misery
8. Nightmare

LINE-UP
Patrick Karlsen – vocals
Thomas Arntzen Dahl – vocals
Jørgen C. Hansen – guitar
Knut Elvenes – guitar
Robin Fagerland – drums
Morten Nilsen – bass

MELTDOWN – Facebook

Marianas Rest – Horror Vacui

Horror Vacui è l’ennesimo, stupefacente album di death doom partorito in Finlandia, terra nella quale il seme che dà quale frutto simili sonorità continua puntualmente a proliferare.

Dopo un demo d’assaggio risalente al 2014, i finlandesi Marianas Rest si presentano nuovamente al pubblico con questo ottimo primo full length intriso di umori malinconici.

Il death doom di una band finnica non può mai prescindere da quanto già fatto dai Swallow The Sun, ma da questa notevole base di partenza chi ha talento può muoversi con maggiore agio ricercando le soluzioni compositive ideali.
I Marianas Rest, rispetto ad altre band di settore, paiono propendere verso il death melodico più oscuro, almeno questa è l’impressione derivante dai brani più mossi, esprimendo il loro dolente sentire in alcuni brani chiave posizionati al centro della tracklist.
Inframmezzati da drammatici samples, i brani oscillano tra ritmi che, restando nella terra dei mille laghi, possono riportare agli Insomnium (non a caso in Nadir presta la sua voce il loro vocalist Niilo Sevänen) e, appunto, momenti definibili più propriamente death doom, i quali a mio avviso rappresentano i picchi dell’album, rispondenti a gemme di rilucente dolore quali For The Heartless e A Lonely Place To Die.
Indubbiamente quest’opera prima dei Marianas Rest colpisce per la maturità compositiva e, soprattutto, per il perseguimento privo di indugi di un obiettivo ben preciso, quello di proporre un sound malinconico, drammatico ma nel contempo ricco di aperture ariose e dotate di un certo brio; come detto il risultato è eccellente e, francamente, riesce difficile scovare un solo difetto ad un disco che coinvolge dalla prima all’ultima nota, grazie ad un approccio che mette sempre in primo piano uno spiccato senso melodico.
In una prova d’assieme notevole, una nota di merito va alla buona interpretazione vocale di Jaakko Mäntymaa e al lavoro tastieristico misurato ed elegante di Aapo Koivisto, il più conosciuto di questo manipolo di musicisti in virtù della sua militanza negli ottimi Omnium Gatherum.
Horror Vacui è l’ennesimo, stupefacente album di death doom partorito in Finlandia, terra nella quale il seme che dà quale frutto simili sonorità continua puntualmente a proliferare.

Tracklist:
1.The Millennialist
2.Nadir
3.For The Heartless
4.Hurts Like Hell
5.A Lonely Place To Die
6.Chokehold
7.Place Of Nothing
8.Vestigial

Line up:
Harri Sunila – Guitars
Nico Mänttäri – Guitars
Jaakko Mäntymaa – Vocals
Nico Heininen – Drums
Harri Vainio – Bass
Aapo Koivisto – Keyboards

MARIANAS REST – Facebook

Kreator – Gods Of Violence

Dopo trent’anni a sfondare padiglioni auricolari o a sperimentare nuove soluzioni per far crescere la propria musica, i Kreator danno alle stampe uno degli album più riusciti della loro lunga carriera.

Jens Bogren consiglia a Petrozza di mettere nelle mani dei nostri Fleshgod Apocalypse la intro del nuovo album, Apocalypticon.

Ne esce un pezzo cupo, marziale, apocalittico, che ben presenta Gods Of Violence, quattordicesimo album della più grande band thrash europea ed uno dei gruppi più importanti della scena metal mondiale.
Mille Petrozza è sempre sul ponte di comando e, come il vino, più invecchia più viene buono, mentre un altro tassello e stato giunto a quel monumento alla musica estrema di nome Kreator.
Il suo leader non si è mai seduto sugli allori di una popolarità che poteva tranquillamente tenere a bada con album tutti uguali, facendo il compitino sufficiente a far gioire gli amanti del thrash old school.
D’altronde, gli esperimenti del troppo sottovalutato Renewal e del gotico Endorama, avevano dimostrato all’epoca delle uscite (rispettivamente 1992 il primo e 1999 il secondo, in compagnia di quel genio dark di Tilo Wolff) di che pasta fosse fatto il musicista tedesco, poco incline ad assoggettarsi ai cliché del thrash metal.
Dopo cinque anni dal notevole Phantom Antichrist, i Kreator tornano con un album entusiasmante che li inserisce definitivamente nell’eletta schiera di quel pugni di band che hanno fatto la storia della musica estrema.
Dopo trent’anni a sfondare padiglioni auricolari o a sperimentare nuove soluzioni per far crescere la propria musica, la band tedesca dà alle stampe uno degli album più riusciti della loro lunga carriera, un’opera metal totale dove la band gioca non solo con il genere prediletto, ma anche con il power ed il death metal melodico, facendo impallidire tre quarti della Scandinavia odierna ed una buona fetta del loro paese d’origine, patria del power alla Blind Guardian/Grave Digger,
Registrato ai Fascination Street, Gods Of Violence deflagra in una tempesta di metal estremo, epico e melodico, e le armi usate dal gruppo sono bordate di power metal, sfuriate thrash e tanta melodia, come se i Kreator si fossero ritrovati in studio a bere due birre e jammare con Blind Guardian, Iron Maiden, In Flames (i primi, quelli metal) e Grave Digger: ne esce un album spettacolare, dove Petrozza canta con una aggressività spaventosa, in un’atmosfera di totale distruzione.
E qui sta il bello, perché Gods Of Violence, pur essendo un album estremo e di una forza spaventosa, riesce a mettere in evidenza l’aspetto melodico alla perfezione, come nella stupefacente Fallen Brother o nel singolo Satan Is Real, anche se il meglio questo lavoro lo dà nelle atmosfere da battaglia del il trittico World War Now, Totalitarian Terror e nella classicheggiante Hail To The Hordes, brano sanguigno che vi faranno sembrare gli ultimi trent’anni di epic metal sigle per cartoni animati.
Un album bellissimo e appagante, una vera e propria prova di forza per un gruppo che vive attualmente una seconda giovinezza e si piazza di diritto tra gli dei del metallo.

TRACKLIST
01. Apocalypticon
02. World War Now
03. Satan Is Real
04. Totalitarian Terror
05. Gods Of Violence
06. Army Of Storms
07. Hail To The Hordes
08. Lion With Eagle Wings
09. Fallen Brother
10. Side By Side
11. Death Becomes My Light

LINE-UP
Mille Petrozza – Vocals / Guitar
Sami Yli-Sirniö – Guitar
Christian Giesler – Bass
Ventor – Drums

KREATOR – Facebook

Vomit Angel – Sadomatic Evil 12″

Dodici pollici di debutto per questo duo danese di furioso death metal primitivo, con attitudine black.

Dodici pollici di debutto per questo duo danese di furioso death metal primitivo, con attitudine black.

Alcol e metal degenerante sono una delle poche cose che riescono a rendere felici i Vomit Angel e noi con loro, deliziati da questo assalto sonoro di 8 pezzi in diciannove minuti. Il suono del duo è fortemente debitore della vecchia scuola sudamericana del black death, dove il suono grezzo e la voce tagliente e gorgogliante diventano un pregio importante. Per gli amanti delle cronache metal i due che rispondono al nome Vomit Angel sono stati membri fondatori dei Sadogoat, per poi confluire nei Sadomator, i quali hanno pubblicato tre importanti album proprio su Iron Bonehead, una delle etichette principali per il metal potente, distorto e degenere. Chi ama il genere rimarrà folgorato da questo dodici pollici, che risponde a tutti i crismi del genere. Ci sono più cose in questi diciannove minuti che in certi dischi da due ore. Riffoni, conversazioni in growl e batteria scalciante, questi sono i Vomit Angel e va benissimo così.

TRACKLIST
1. Sadomator
2. Time Travel
3. Cotard
4. Voices in the Wind
5. Host of Darkness
6. Time of the Moon
7. Blasting Black Goat Attack
8. Female Goat Perversion

LINE UP
Lord Titan – Drums, Vocals (backing)
Necrodevil – Guitars, Vocals

IRON BONEHEAD PRODUCTIONS – Facebook

Siege – Spirit of Agony Pt. 1: Nailed Torment

La band, quando trasforma l’agonia in musica, tocca territori brutali destabilizzanti e la violenza sprigionata è sempre supportata da un sound mai scontato

Brutal death metal, tecnico e progressivo che alterna momenti estremi velocissimi e devastanti ad altri più ragionati, quasi intimisti, come se la lunga agonia prima della morte lasciasse attimi in cui il dolore si attenua e faccia sembrare terminate le soferenze.

Queste sono le atmosfere racchiuse in Spirit of Agony Pt. 1: Nailed Torment, secondo full length dei Siege, band estrema lombarda:  trattasi della prima parte del concept composto da Rob (chitarra e voce), Angel (batteria) e Jesus (basso), con il secondo capitolo già preventivato per la seconda metà del nuovo anno, e l’argomento non può che essere incentrato sul dolore e l’agonia, descritti per mezzo di un death metal feroce e distruttivo, tecnicamente ineccepibile, progressivo nel suo andamento e assolutamente mai scontato, specialmente nelle ritmiche sempre in continua evoluzione.
La band quando trasforma l’agonia in musica tocca territori brutali destabilizzanti, la violenza sprigionata è sempre supportata da un sound mai scontato, così che la mezzora di death metal che ci propone non lascia dubbi sul valore del proprio songwriting.
Un album che va ascoltato come se fosse un lungo brano estremo ma che ha in Gone, Spirit Of Agony e la conclusiva The Neb i momenti più alti sia a livello musicale che di atmosfere.
Se volete dei riferimenti direi che il death metal americano è il genere più accreditato per spiegare la musica dei Siege, con i Death come ispiratori delle atmosfere progressive ed il brutal in generale nel saper descrivere il dolore e la sofferenza.
Non ci rimane che aspettare il secondo capitolo e fare i complimenti al trio nostrano.

TRACKLIST
1.Prelude To Agony
2.Evil Ride
3.Mr. Skortikon
4.Black Horizon
5.Gone
6.Spirit Of agony
7.As The Knife penetrated brain
8.The Neb

LINE-UP
Rob – Guitars & Vocals
Angel – Drums
Jesus – Bass

SIEGE – Facebook

Cryptic Realms – Enraptured by Horror

Se non siete fans accaniti del genere direi che potreste tranquillamente passare oltre, l’album non offre grossi spunti e si attesta sul compitino svolto in modo sufficiente dal gruppo ma nulla più.

Death metal old school per questa multinazionale congrega di zombie che, con il monicker Cryptic Realms, debutta con questo marcissimo full length dal titolo Enraptured By Horror.

Kostas Analytis (Grecia), Tersis Zonato (Brasile), Victor Varas (Mexico) e Uriel Aguillon (U.S.A./Mexico) compongono questa banda internazionale del metal estremo, tutti già al lavoro con gruppi più o meno famosi dell’underground estremo come Necrosis, Abyssus, Offal e Agnus Dei, e dallo scorso anni impegnati tutti insieme in questo progetto che ha già dato alle stampe un demo ed uno split.
Death metal vecchia scuola, si diceva, con gli Obituary a fare da padrini ai banchetti cannibali dei quattro deathsters, anche per il growl di Analytis, molto simile a quello del becchino John Tardy.
Il sound di conseguenza viaggia sui binari del death metal statunitense, alternando mid tempo ed accelerazioni, la produzione in linea con lo spirito vintage del progetto è scarna e diretta, mentre si respirano continuamente le esalazioni di putrida decomposizione, lasciata dai cadaveri sparsi per i vari brani che compongono Enraptured by Horror.
Se non siete fans accaniti del genere direi che potreste tranquillamente passare oltre, l’album non offre grossi spunti e si attesta sul compitino svolto in modo sufficiente dal gruppo ma nulla più.

TRACKLIST
1.Enraptured by Horror
2.Doomed Cathedrals
3.In Mortal Distress
4.Total Demise
5.Sinister Force Descends
6.Vulgar Exhumation
7.Begging to Be Dead
8.Act of Derangement

LINE-UP
Victor Varas – Bass
Tersis Zonato – Guitars (lead)
Uriel Aguillon – Guitars, Drums
Kostas Analytis – Vocals

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Nidingr – The High Heat Licks Against Heaven

Per i Nidingr un black death di sicuro spessore, piuttosto parco di aperture melodiche ma asciutto, essenziale e di pregevole fattura tecnica.

Dei norvegesi Nidingr si rinvengono le prime tracce circa vent’anni fa, quando Teloch (oggi chitarrista anche nei Mayhem) vi diede vita quale suo progetto solista, per poi assumere la forma di band vera e propria solo nel 2005, con la pubblicazione del primo full length Sorrow Infinite And Darkness.

The High Heat Licks Against Heaven, che segue Wolf-Dather del 2010 e Greatest Of Deceivers del 2012, è il nuovo lavoro di questo gruppo in grado di proporre un black death di sicuro spessore, piuttosto parco di aperture melodiche ma asciutto, essenziale e di pregevole fattura tecnica.
L’andamento del lavoro verte per lo più su ritmi sostenuti, avvolti da un mood algido, stemperati però da mid tempo caratterizzati da pulsioni industrial (Gleinir), da incursioni con clean vocals di gran pregio (Ash Yggdrasil, con Garm quale ospite) o cristallini vocalizzi femminili (la title track, qui con il contributo di Myrkur).
Proprio questi brani appaiono i più peculiari, forse perché vanno a spezzare una certa tetragonia che si rivela, di norma, funzionale alla causa grazie a tracce dalla feroce qualità quali Hangagud o Sol Taker; nel complesso l’intero album merita la dovuta attenzione perché, pur senza tentare voli pindarici, i Nidingr cercano di portare il loro black death su un piano più elevato, andando talvolta a lambire territori avanguardisti, dando una dimostrazione di competenza e conoscenza della materia da primi della classe.
The High Heat Licks Against Heaven non assurge però all’eccellenza perché, come detto, troppo spesso si rivela eccessivamente freddo, con i Nidingr che non sempre riescono sempre nell’intento di coinvolgere del tutto l’ascoltatore: questo particolare corrisponde al gap da colmare nella prossima occasione per raggiungere un tale obiettivo.

Tracklist:
1. Hangagud
2. Surtr
3. The Ballad Of Hamther
4. On Dead Body Shore
5. Gleipnir
6. Sol Taker
7. Ash Yggdrasil
8. Heimdalargaldr
9. Valkyries Assemble
10. Naglfar Is Loosed

Line-up:
Cpt. Estrella Grasa – Vocals
Teloch – Guitars
SIR – Bass
Myrvoll – Drums

NIDINGR – Facebook

Terrifier – Weapons of Thrash Destruction

Per i fans di Exodus, primi Megadeth, Testament e di tutta la scena statunitense, questo lavoro è vera goduria thrash metal da gustarsi dal primo all’ultimo istante.

La prima bomba thrash metal proveniente dall’underground metallico targato 2017 è dei canadesi Terrifier: il loro secondo album è un’ autentica esplosione made in Bay Area.

Fresco di firma per la Test Your Metal, il gruppo torna dopo quasi cinque anni dal precedente full length più in forma che mai, con questa botta di vita thrash metal, pura nitroglicerina in musica, dalle ovvie influenze statunitensi, derivativa quanto volete ma perfettamente in grado di farvi a pezzi a suon di mazzate metalliche.
Non esiste tregua ne respiro, Weapons of Thrash Destruction scaraventa al muro, immobilizza il nemico e lo massacra di fendenti senza soluzione di continuità, veloci, potenti e letali.
L’album in cuffia a volume critico è un’autentica gioia per le orecchie malandate degli amanti del thrash americano di matrice old school, non manca niente per non fare prigionieri ai ritmi infernali di vere bombe come l’opener Reanimator, la seguente Deceiver e via una sotto l’altra tutte le nove tracce che vanno a comporre l’album di questi guerrieri indomiti del thrash metal.
Per i fans di Exodus, primi Megadeth, Testament, e tutta la scena statunitense questo lavoro è vera goduria thrash metal da gustarsi dal primo all’ultimo istante.

TRACKLIST
1.Reanimator
2.Deciever
3.Nuclear Demolisher
4.Violent Reprisal
5.Skitzoid Embolism
6.Drunk as Fuck
7.Bestial Tyranny
8.Riders of Doom
9.Sect of the Serpent

LINE-UP
Chase Thibodeau – Vocals
Rene Wilkinson – Guitar
Brent Gallant – Guitar
Kyle Sheppard – Drums
Alexander Giles – Bass

TERRIFIER – Facebook

Dyrnwyn – Ad Memoriam

I Dyrnwyn ci trascinano sul campo di battaglia, ci fanno sentire il battito del cuore del legionario che combatte nel fango della foresta di Teutoburgo, ed è un qualcosa di spiazzante, perché si arriva a capire cosa provavano questi romani che combattevano a migliaia di miglia da casa

I romani Dyrnwyn compiono un capolavoro con questo loro ep Ad Memoriam, dopo il demo del 2013 Fatherland.

Nell’ep vengono rievocate solennemente le gesta di Roma e specialmente dell’esercito romano, braccio armato nella conquista di quello che fu l’impero: se non si parla delle sue gesta e della complessità che aveva ci pensano di Dyrnwyn con un disco clamoroso. Il suono è un folk metal che, a seconda della necessità narrativa, diventa folk, nel momento in cui la storia viene cullata sulle ali del ricordo, o metal nel ricordare il ferro delle legioni romane. La commistione dei generi riesce perfettamente e musicalmente le canzoni sono pazzesche, con un perfetto equilibrio di melodia e cattiveria. Riesce anche molto bene il gioco fra voce pulita e voce in growl, il tutto in italiano. Il risultato è un disco che rievoca in maniera potentissima Roma, la sua gloria, e le sue battaglie. Questa rievocazione non è la solita vuota riproposizione di impeto guerresco, ma un’accurata e sentita ricostruzione di ciò che effettivamente fu. I Dyrnwyn ci trascinano sul campo di battaglia, ci fanno sentire il battito del cuore del legionario che combatte nel fango della foresta di Teutoburgo, ed è un qualcosa di spiazzante, perché si arriva a capire cosa provavano questi romani che combattevano a migliaia di miglia da casa, sapendo che molto probabilmente Roma non l’avrebbero mai più rivista. Ad Memoriam mostra chiaramente, usando alla perfezione il linguaggio del folk metal, il motivo di tutto ciò: la gloria imperitura di Roma, questi ragazzi e questi uomini combattevano per una cosa che noi non ci immaginiamo nemmeno, è qualcosa di incomprensibile perché non lo abbiamo dentro. La musica e i testi del gruppo creano un incredibile empatia tra noi ed i soldati, tra noi e la Roma che fu. E questa Roma è necessariamente pagana, come cantano i Dyrnwyn, perché quando muore il paganesimo muore anche l’idea stessa di Roma, e non c’è storico in buona fede che lo possa negare. Questo ep dovrebbe essere fatto sentire nelle scuole, perché ha un valore storico immenso, ed è a dir poco trascinante. Teutoburgo è una canzone che ti fa sentire lì, in quella foresta germanica, dove furono annientate intere legioni e non solo. Per farvi capire come erano i romani, dopo questo delirio di battaglia, combatterono i germani per sette anni, prima di mettere il fiume Reno come confine a nord. I romani erano dei figli di puttana immensi, in questo disco c’è tutta la loro essenza e questo ep entra nel pantheon del folk metal italiano,che sarà anche limitato, però riserva chicche come questa e Ferro Italico dei Draugr, di cui i Dyrnwyn sono giustamente grandi fan e debitori.

TRACKLIST
1.Ad Memoriam
2.Sangue Fraterno
3.Sigillum
4.Tubilustrium
5.Ultima Quiete
6.Teutoburgo

LINE UP
Ivan Cenerini – basso
Alessandro Mancini – chitarra solista
Ivan Coppola – Batteria
Michelangelo Iacovella – tastiera
Daniele Biagiotti – voce

DYRNWYN – Facebook

Hour Of Penance – Cast The First Stone

Tornano a seviziarci con il loro death metal brutale i romani Hour Of Penance.

Tornano a seviziarci con il loro death metal brutale i romani Hour Of Penance, a distanza di tre anni dal precedente e bellissimo Regicide.

Il gruppo ha cambiato le carte in tavola tornando al sound più quadrato e diretto di Sedition, non un male, chiariamolo, anche perché il talento compositivo della band è alto e anche questo lavoro brilla per un’ approccio brutale e devastante ma valorizzato da ottimi inserimenti melodici.
Meno articolato dunque e più old school rispetto al predecessore, Cast The First Stone è un attacco estremo a suon di tellurici bombardamenti, mezz’ora abbondante nel genere di scuola americana, ma con ben impressa la firma Hour Of Penance.
Se in Regicide spiccava l’aspetto tecnico, con questo lavoro il gruppo punta sull’impatto, grazie ad una sezione ritmica micidiale ed il gran lavoro delle chitarre che non sbagliano un colpo, con inserti melodici perfetti e riff pesanti come carri armati.
Un album da fagocitare tutto d’un fiato, un muro estremo inviolabile che gli Hour Of Penance costruiscono con una facilità disarmante e in cui gli indistruttibili mattoni portano il nome di Cast The First Stone, Burning Bright e Horn Of Flies, ma si potrebbero nominare tutte le tracce visto l’enorme potenziale della tracklist nel suo insieme.
Da parte della band italiana un altro ottimo lavoro che non mancherà di soddisfare chi, in generale, predilige il brutal death di scuola americana.

TRACKLIST
1.XXI Century Imperial Crusade
2.Cast the First Stone
3.Burning Bright
4.Iron Fist
5.The Chains of Misdeed
6.Horn of Flies
7.Shroud of Ashes
8.Wall of Cohorts
9.Damnatio Memoriae

LINE-UP
Giulio Moschini – Guitars ,Backing Vocals
Marco Mastrobuono – Bass
Paolo Pieri – Vocals, Guitars
Davide “the Bomber” Billia – Drums

HOUR OF PENANCE – Facebook

Capuchin Punks – Metal Dalla Cripta Dei Monaci

“Volevamo fare i Misfits inserendovi qualche riff preso in prestito da mister Iommi, ma non ci siamo riusciti”, forse questo titolo era più lungo ma sicuramente più adatto.

Ci sono o ci fanno i Capuchin Punks?

Il quintetto americano proveniente dal Missouri per il suo debutto usa un titolo in lingua italiana e prende ispirazione da un luogo sacro ubicato nella nostra capitale.
Metal Dalla Cripta Dei Monaci si riferisce, infatti, alla cripta che si trova sotto la chiesa di santa Maria della Concezione a Roma, costruita dai frati cappuccini, una tomba decorata con i resti dei loro fratelli religiosi.
Titolo ed ispirazione così originale non vanno però di pari passo con la musica prodotta dal gruppo, un miscuglio neanche troppo riuscito di heavy metal, hard rock e punk, con qualche atmosfera rallentata dai richiami sabbatiani, prodotto che sembra arrivare davvero dalla cripta e con una cantante monocorde che appiattisce il sound non certo eccelso del gruppo statunitense.
Il punk rock è forse il genere in cui la band riesce ad essere più convincente, poi vine proposto un minestrone di generi che si annullano l’un l’altro senza lasciare traccia: peccato, perché l’idea iniziale non era male, ma quello che si ci aspettava era un qualcosina di più organizzato.
Accompagnato da una copertina davvero brutta, con cinque scheletri vestiti da monaci, l’album non decolla, rimanendo fermo sulla pista ad attendere che il motore si spenga ed il silenzio torni a regnare.
“Volevamo fare i Misfits inserendovi qualche riff preso in prestito da mister Iommi, ma non ci siamo riusciti”, forse questo titolo era più lungo ma sicuramente più adatto.
Lasciamo riposare in pace i monaci e passiamo oltre.

TRACKLIST
1.Rise of the Capuchins​
2.​Jet Black Chevette​
3. Martigney Creek​ ­
4.The War​
5.Dust and Ash​
6.One of Them
7.My Addiction​
8.Former Crowns​
9.Better Not Ask

LINE-UP
Donna Katherine -​ ­Vocals
Danny Nichols​­ – Guitar
Isaac Bryan​­ – Guitar
Josh Sanderson -​­ Bass, Guitar
Matt Bryan ​­- Drums

http://www.facebook.com/capuchinpunks/?fref=ts

FromHell – March On Gravitation

March On Gravitation musicalmente è un buonissimo lavoro, ricco di spunti e sempre contraddistinto da una vena melodica efficace, ma trova il suo tallone d’Achille in una prestazione vocale accettabile per quanto riguarda lo screaming ma piuttosto claudicante se riferita alle tonalità pulite.

E’ ormai assodato che la nazione di provenienza di una band, spesso, assume più un valore statistico che non realmente indicativo del tipo di musica proposta o del suo valore intrinseco.

Anche ascoltando questo album dei FromHell, sfiderei chiunque ad indovinare che il duo, alle prese con questa buona interpretazione di un black metal epico e atmosferico, provenga dall’Indonesia e non da un qualsiasi paese nordeuropeo.
March Of Gravitation è il secondo full length per la band di Giacarta, che certo non si risparmia offrendo oltre settanta minuti di musica piuttosto coinvolgente e che si snoda fondendo idealmente il pagan di stampo europeo a certe aperture progressive-atmosferiche di matrice americana (in certi passaggi i FromHell possono ricordare gli Xanthocroid), il tutto inserito in un concept cosmico che ben si intuisce fin dai titoli dei brani.
Certamente la lunghezza del lavoro si rivela un’arma a doppio taglio, perché non è facile per nessuno mantenere elevata la qualità, alla luce della quantità di idee riversate, nonché la soglia di attenzione di chi ascolta, per un tempo così protratto.
Detto questo, March On Gravitation musicalmente è un buonissimo lavoro, ricco di spunti e sempre contraddistinto da una vena melodica efficace, ma trova il suo tallone d’Achille in una prestazione vocale accettabile per quanto riguarda lo screaming ma piuttosto claudicante se riferita alle tonalità pulite, a mio avviso insufficienti considerandone anche l’ampio utilizzo: purtroppo questo fa scemare il potenziale evocativo in più di un passaggio ed è un vero peccato visto il valore del songwriting.
Comunque il disco dovrebbe accontentare chi apprezza certe sonorità, anche perché i brani possiedono un tiro notevole e passaggi a tratti esaltanti: purtroppo certi momenti penalizzano il risultato d’insieme, lasciando più di una perplessità riguardo all’opportunità di determinate scelte.

Tracklist:
1. A Million Castor
2. Stellar Space
3. Hibernation Sun
4. Summoning Stars
5. The Abandoned Stargate
6. Rotary of Life
7. Conqueror of The Massive Star
8. Celestial Night

Line-up:
Dedi Sadikin – Vocals
Derick Prawira – Drums

FROMHELL – Facebook

Rudhen – Imago Octopus

Il groove di Imago Octopus è profondo e fresco, come una birra ghiacciata nel deserto che ci circonda.

Assai vasto è il mare magnum dello stoner nostrano e non solo, dato che è un genere che negli ultimi anni ha conosciuto notevole diffusione.

Partendo da questo presupposto bisogna anche dire però che molte delle band si assomigliano, dividendosi all’incirca per gruppi di influenza, con chi è più desertico, chi più sabbatico, chi più regina dell’età di pietra, però essere originali non é affatto facile. I Rudhen invece ci riescono molto bene, dando alle stampe un ep di stoner di derivazione desertica, ma con una forte anima psichedelica, e quasi prog in certi frangenti. Le canzoni dei Rudhen sono concepite come dei potenti viaggi da compiere, e la meta è quella che ognuno di noi preferisce e si crea. Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità di espressione musicale, dove una stessa traccia può mutare in diversi e multiformi disegni di luce nelle ombre. Con i Rudhen si parte e non si sa dove si arriva, ed è questo il bello. Il gruppo nasce in Veneto e tra un pub e l’altro nel 2013 si mettono insieme, nel 2014 iniziano a suonare e subito riescono a creare interesse intorno a loro, ed ascoltandoli non si fa fatica a capirne il perché. Questo loro secondo ep è sicuramente il loro lavoro più maturo e, a livello compositivo, è assai notevole: il loro suono non annoia mai, anzi si ha voglia di annidarsi comodamente in questi corridoi di suono vitaminico ed arioso. I Rudhen, grazie alle loro diverse influenze ed al loro talento, emergono nettamente dal resto degli altri gruppi ed assicurano ottimo stoner e soprattutto un grande divertimento.
Il groove di Imago Octopus è profondo e fresco, come una birra ghiacciata nel deserto che ci circonda.
La provincia colpisce ancora molto forte.

TRACKLIST
1.Sorrow For Your Life
2.Rust
3.Flying Into the Mirror
4.Lost
5.Arabian Drag

LINE-UP
Alessandro Groppo – Voice
Fabio Torresan – Guitar
Maci Piovesan – Bass
Luca De Gaspari – Drums

RUDHEN – Facebook

Thrash Bombz – Master Of The Dead

Thrash metal old school alla massima potenza, per i fans del genere Master Of The Dead è un lavoro imperdibile.

In Sicilia si suona thrash metal old school tripallico, senza compromessi ed assolutamente devastante.

I Thrash Bombz sono uno dei gruppi principali della scena che si muove nel sottosuolo della calda isola dell’Italia meridionale, per molti terra ignorata se si parla di musica metal, ma non per noi di MetalEyes, da tempo attenti a tutto quello che succede in campo musicale nei vari capoluoghi siciliani.
Il gruppo di Agrigento arriva, sempre tramite la Iron Shield, al secondo lavoro sulla lunga distanza, tre anni sono passati da Mission Of Blood, esordio che in quell’anno fu seguito dall’ep Dawn, ultimo urlo metallico dei Thrash Bombz.
Dopo Leonardo Botta, al microfono sul primo album, e Angelo Bissanti che aveva prestato la sua voce su Dawn, è l’ora di Tony Frenda nel prenderci per le parti basse e con violenza scaraventarci nel mondo di Master Of The Dead, ennesimo tributo al thrash metal old school capace di soddisfare le aspettative dei fans.
L’album parte con Condemned To Kill Again e la band ci fa aspettare ancora un minuto e trenta secondi, avvicinandoci pericolosamente all’area di tiro, così da finire falciati dalla mitragliatrice che spara velocissima migliaia di pallottole metalliche.
Il gruppo è in gran forma, si susseguono ritmiche spettacolari, veloci ripartenze dove la solista imperversa, chorus che sono bombe a mano lanciate in mezzo al battaglione, fenomenali rincorse su e giù per lo spartito violentato da questi thrashers che non sbagliano una virgola: siamo alla fine del secondo brano ed è già festa grande.
Bellissima Evil Witches, oscura ed heavy e che si presenta con una intro arpeggiata che funge da conto alla rovescia, mentre Curse Of The Priest è una devastante traccia che nei suoi meandri puzza di punk, prima che Black Steel ci riporti al thrash metal bay area style dell’esordio.
Non sbaglia un colpo la band siciliana, l’impressione è quella di essere al cospetto di un album curato e che, nel suo spirito underground, i Thrash Bombz abbiano messo qualcosa in più.
Tornano a fare la differenza le parti strumentali sulla title track, brano perfetto dove funziona tutto alla perfezione, dall’atmosfera in crescendo dei primi minuti, ai chorus, al lavoro di sezione ritmica con Angelo Bissanti a fare coppia con la piovra Salvatore Morreale alla batteria, e le due chitarre di Salvatore Li Causi e Giuseppe Peri che, minacciose e in perfetta sintonia, distruggono, devastano e urlano dolore.
L’album corre verso il suo epilogo, il trittico Evoking The Ghost, The Avenger e Call Of Death non fa che confermare la vena del gruppo siciliano e la bontà di un ritorno che, nel genere, risulta uno degli album più riusciti di questo inizio anno.
Thrash metal old school alla massima potenza, per i fans del genere Master Of The Dead è un lavoro imperdibile.

TRACKLIST
1. Condemned To Kill Again
2. Ritual Violence
3. Master Of The Dead
4. Curse Of The Priest
5.Black Steel
6. Taken By Force
7. Evil Witches
8. Evoking The Ghost
9. The Avenger
10. Call Of Death

LINE-UP
Salvatore “Trronu” Morreale: drums
Tony “Stormer” Frenda: vocals
Salvatore “Skizzo” Li Causi: lead guitar
Giuseppe “UR” Peri: rhythm guitar
Angelo Bissanti : bass

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