Under Siege – Under Siege

Gli Under Siege conoscono bene il genere e lo addomesticano a loro piacimento e a quello degli ascoltatori, alternando cavalcate cadenzate ed epiche a sfuriate estreme dove le melodie hanno la loro importanza.

Gli Under Siege sono una nuova realtà formatasi un paio di anni fa e che, con questo primo assalto sonoro, si presenta in tutta la sua natura guerresca.

Il quintetto di Palestrina aggiunge al genere un epico incedere ed ottime atmosfere folk con un’opera fornita della personalità necessaria per non farsi dimenticare dopo pochi ascolti.
Partiamo dunque per incontrare la morte o la gloria nei vari scontri che ci guideranno fino alla fine di questi quaranta minuti, dove il death metal melodico scandinavo incontra il power ed il folk: il gruppo si presenta con due brani che rispecchiano in toto il suo credo, Blàr Allt Nam Bànag, dall’intro lasciato alle note folk della cornamusa per poi trasformarsi in un veloce brano melodic death, mentre l’epico accordo iniziale di Warrior I Am si trasforma in una cavalcata death/power che centra il bersaglio e si rivela uno dei brani cardine dell’album.
Gli Under Siege conoscono bene il genere e lo addomesticano a loro piacimento e a quello degli ascoltatori, alternando cavalcate cadenzate ed epiche (Beyond The Mountains) a sfuriate estreme (Invaders) dove le melodie hanno la loro importanza, così come gli interventi della cornamusa che regala un tocco folk/fantasy a tracce come la superba One To Us.
L’album si chiude con le note della ballad d’altri tempi Bright Star Of Midnight, e a noi non rimane che consigliare l’ascolto agli amanti del genere e di gruppi come Amon Amarth ed Ensiferum, dei qiali gli Under Siege sono fieri eredi.

Tracklist
1.Blàr Allt nam Bànag
2.Warrior I Am
3.Time for Revenge
4.Beyond the Mountains
5.Invaders
6.Sotto assedio
7.One to Us
8.Bright Star of Midnight

Line-up
Paolo Giuliani – Vocals, Bagpipes
Daniele Mosca – Guitars, Backing Vocals
GianLuca Fiorentini – Guitars, Backing Vocals
Livio Calabresi – Bass, Backing Vocals
Marzio Monticelli – Drums

UNDER SIEGE – Facebook

Fear Not – Fear Not (25th Anniversary)

La Roxx Records ristampa il primo ed unico album dei Fear Not, gruppo statunitense che, in piena era grunge, licenziava questo bellissimo lavoro incentrato su un hard rock dai rimandi street che nel 1993 purtroppo risultava obsoleto ma che era invece composto da una serie di brani bellissimi.

Vale la pena soffermarsi un attimo sull’utilità di ristampe e riedizioni di vecchi album, specialmente dopo questa ottima iniziativa della label americana Roxx Records, specializzata in christian metal e hard rock, che scova abitualmente vere chicche da riproporre agli appassionati della nostra musica preferita.

Valgono poco, se non per i collezionisti, gran parte delle ristampe che abitualmente escono nei negozi riguardanti gruppi famosi del metal e del rock, mentre tutt’altro valore hanno queste iniziative che valorizzano album e band dimenticate o quasi sconosciute che spesso si rivelano piccoli gioiellini musicali.
Dunque la Roxx Records ristampa il primo ed unico album dei Fear Not, gruppo statunitense che, in piena era grunge, licenziava questo bellissimo lavoro incentrato su un hard rock dai rimandi street che nel 1993 purtroppo risultava obsoleto ma che era invece composto da una serie di brani bellissimi.
La band era composta da 3/4 dei Love Life, altro gruppo sconosciuto se non ai più attenti consumatori del genere: Rod Romero al basso, Gary Hanson alla batteria e Larry Worley alla chitarra e alla voce, più il chitarrista Chris Howell.
I quattro musicisti diedero alle stampe un album bellissimo, incentrato su tematiche cristiane ma dal forte impatto rock ‘n’ roll, una serie di brani adrenalinici, dai riff taglienti, i chorus dall’appeal melodico spiccato che non mollavano la presa dall’inizio alla fine, lasciando i titoli di coda all’unica ballad presente, Take Hold.
Il resto era un’apoteosi di hard rock americano, ormai spogliato da lustrini e pailettes ma in grado di smuovere una montagna a colpi di riff suonati sui marciapiedi di un Sunset Boulevard dimenticato dai fans.
Nominare un brano rispetto ad un altro è sminuire una track list vincente, comparsa sul mercato con quasi dieci anni di ritardo e per questo spinta in un angolo dalle nuove sonorità che, in quel periodo, portavano la piovosa Seattle agli onori delle cronache rock.
Skid Row, Mr.Big, Motley Crue, sono le band il cui sound si ritrova nella proposta dei Fear Not: l’album esce per la Roxx Records in versione limitata in vinile ed in cd con l’aggiunta di due bonus track.
Se dentro di voi batte un cuore da street rocker, non perdetevi questo bellissimo lavoro, tornato a risplendere grazie all’etichetta americana.

Tracklist
1. Give It Up
2. We Have A God
3. Mr, Compromise
4. Till The End Of My Days
5. Suicide Sunshine
6. Money Money
7. Easy Come Easy Go
8. There Is Love
9. Mad World
10. Take Hold
11. You Got Love (Bonus Track 2017)*
12. Love Is Alright (Bonus Track 2017)**

Line-up
Rod Romero – Bass
Gary Hanson – Drums
Larry Worley – Vocals, Guitars
Chris Howell – Guitars

Aura Hiemis – Silentium Manium

Silentium Manium si rivela decisamente un buon ascolto per chi apprezza tali sonorità, ed offre certezze sul fatto che V. sia un musicista di grande sensibilità compositiva.

V. è un musicista cileno che ha fatto parte anche degli ormai disciolti Mar De Grises, forse la maggiore band di sempre partorita in ambito doom dal paese sudamericano.

Aura Hiemis è il monicker del suo personale progetto che giunge, con Silentium Manium, al quarto full
length: il genere assume sovente, qui, una forma più eterea ma nel contempo guitar oriented e ciò spinge l’album ad avere un’ampia porzione puramente strumentale.
L’approccio alla materia di V. e senz’altro più emotivo che tecnico, per cui il predominio dello strumento a sei corde è foriero di malinconici arpeggi acustici, così come di brani constraddistinti da dolenti linee melodiche di matrice solista.
Detto ciò, sono comunque i brani cantati ad assumere un ruolo chiave nell’economia dell’album in quanto sicuramente più efficaci ed più impattanti a livello emotivo: forse quello che manca un po’ è una certa continuità in tal senso, perché è indubbio che i brani strumentali, pur avendo una loro funzione all’interno dello sviluppo del lavoro, talvolta paiono spezzare la tensione che riescono a creare due gioielli come Sub Luce Maligna e soprattutto Danse Macabre, brano funeral di grande spessore
Silentium Manium si rivela decisamente un buon ascolto per chi apprezza tali sonorità, ed offre certezze sul fatto che V. sia un musicista di grande sensibilità compositiva e, soprattutto, intento a seguire una propria strada che porta a quelle rovine immortalate in copertina, volte a simboleggiare l’impossibilità di ricostruire ciò che il tempo e l’abbandono hanno definitivamente sgretolato.
Da notare anche la presenza di quella che dovrebbe essere una ghost track, visto che nel libretto i brani dichiarati sono dieci, mentre dopo un prolungato silenzio parte un undicesima traccia, altro brano notevole nel quale V., mette in mostra un growl di notevole profondità oltre ad una naturale propensione alla creazione di linee chitarristiche davvero evocative.
Silentium Manium è senz’altro un gran bel disco, anche se un death doom melodico ed ispirato come quello offerto per lunghi tratti dagli Aura Hiemis verrebbe ulteriormente valorizzato se sviluppato su pochi brani di consistente durata piuttosto che distribuito su una decina di tracce, cinque delle quali, quelle intitolate Maeror Demens, sono frammenti strumentali pregevoli ma che, come detto, finiscono per spezzettare eccessivamente l’incedere del lavoro.
L’album resta comunque vivamente consigliato a chi ama il genere, a patto di approcciarlo con la giusta pazienza visto che, proprio per le suddette caratteristiche, l’assimilazione viene completata solo dopo diversi passaggi nel lettore.

Tracklist:
1. Maeror Demens I
2. Cadaver Fessum
3. Maeror Demens II
4. Sub Luce Maligna
5. Maeror Demens III
6. Between Silence Seas
7. Frozen Memories
8. Maeror Demens IV
9. Danse Macabre
10. Maeror Demens V

Line-up:
V. – Vocals, Guitars, Programming
Lord Mashit – Drums, Bass

AURA HIEMIS – Facebook

Halphas – Dawn of a Crimson Empire

Dawn of a Crimson Empire è un ottimo ascolto per chi vuol farsi un pieno di rabbia iconoclasta veicolata da una forma di black metal offerta in maniera impeccabile.

Arriva dalla Germania questo nuovo gruppo dedito albBlack metal, formato da musicisti già attivi con diverse band della rinomata scena tedesca.

Gli Halphas interpretano il genere seguendo maggiormente le linee guida scandinave, inserendovi una efficace componente epico melodica ma conservando, come da trademark nazionale, l’aura solenne delle composizioni.
Il risultato è prevedibilmente positivo, visto che difficilmente ciò che proviene da quelle austere lande delude quando la materia trattata è il black metal.
Una serie di mid tempo avvolgenti, atmosferici e denotati da un’intensità magari non spasmodica ma costante introducono nel migliore dei modi nell’oscuro mondo degli Halphas, i quali anche liricamente non si discostano dalle tematiche standard del genere, anche se lo fanno mantenendosi su un piano più introspettivo e tenendosi alla larga da facili blasfemie assortite.
Pregio e, forse per alcuni, difetto maggiore dell’album è una sua certa uniformità, che per fortuna include l’aspetto qualitativo, per cui tra le sette tracce che seguono l’intro di matrice ambient riesce difficile estrarre un brano guida così come uno più debole, anche se Through the Forest appare tra tutti quello in possesso delle linee melodiche più accattivanti.
Dawn of a Crimson Empire è un ottimo ascolto per chi vuol farsi un pieno di rabbia iconoclasta veicolata da una forma di black metal offerta in maniera impeccabile.

Tracklist:
1. Summoning
2. Call From the Depths
3. Through the Forest
4. Sword of the Necromancer
5. FMD
6. Malice
7. Damnation of the Weak
8. Empire

Line-up:
Forcas – Bass
Tempestas – Drums
Thurstan – Guitars
Legatus – Vocals
Avnas – Guitars

HALPHAS – Facebook

COILGUNS

Il video di Millennials, dall’album omonimo in uscita a marzo (Hummus Records).

Il video di Millennials, dall’album omonimo in uscita a marzo (Hummus Records).

Loudness – Rise To Glory

I Loudness sono senza ombra di dubbio la più grande e longeva heavy metal band del sol levante, ed il nuovo lavoro conferma l’ancora ottima forma del chitarrista Akira Takasaki e compagni.

I Loudness sono senza ombra di dubbio la più grande e longeva heavy metal band del sol levante, ed il nuovo lavoro conferma l’ancora ottima forma del chitarrista Akira Takasaki e compagni.

E’ dal 1981 che i Loudness dispensano lezioni di metallo pesante, eppure anche questo Rise To Glory risulta un ottimo lavoro, nel quale l’anagrafe dei componenti del gruppo è un dettaglio grazie ad un songwriting perfetto e alla voglia di far male che è ancora quella dei tempi migliori.
Di questi tempi la musica dello storico gruppo nipponico la chiamano old school, per una volta invece il termine giusto è heavy metal classico, pregno di ritmiche hard, solos che sono katane implacabili in mano a questi samurai del metal e refrain di livello superiore.
L’opener Soul On Fire scatena l’inferno, Takasaki armeggia con la sei corde come ai bei tempi, Niihara tiene il passo al microfono con una prova gagliarda e la sezione ritmica (Yamashita/Suzuki ) picchia come un martello metallico sulle nostre povere teste.
Le prime tre tracce sono un vulcano in eruzione, mentre il pesantissimo mid tempo di Until The Light non fa prigionieri prima che i toni si smorzino con la semi ballad in crescendo The Voice.
Rise To Glory non delude i fans del gruppo, fuoco e fiamme si sprigionano all’arrivo di Massive Tornado, mentre la title track mostra di che talento si parla quando si nomina lo storico axeman giapponese.
Per chi si è perso quarant’anni di Loudness, la band ci regala anche Samsara Flight, raccolta di classici ri-registrati uscita originariamente in Giappone nel 2016, quindi non avete scuse, prenotate la vostra copia di Rise To Glory e fate vivere ancora una volta il mito Loudness.

Tracklist
Disc One – Rise To Glory
01. Soul On Fire
02. I’m Still Alive
03. Go For Broke
04. Until I See The Light
05. The Voice
06. Massive Tornado
07. Kama Sutra (instrumental)
08. No Limits
09. Bad Loser
10. Rise To Glory
11. Rain
12. Who And For Whom

Disc Two – Samsara Flight
1. Street Woman
2. The Law of Devil’s Land
3. Loudness
4. In The Mirror
5. Black Wall
6. Rock Shock (More and More)
7. Lonely Player
8. Devil Soldier
9. Burning Love
10. Angel Dust
11. Rock The Nation
12. To Be Demon

Line-up
Minoru Niihara – Vocals
Akira Takasaki – Guitars
Masayoshi Yamashita – Bass
Masayuki Suzuki – Drums

LOUDNESS – Facebook

Arisen From Nothing – Broken

Nuovo ep per gli Arisen From Nothing, gruppo stunitense che nulla aggiunge alle miriadi di realtà metalliche dai rimandi thrash/core che arrivano dagli States.

Dalla piovosa Seattle, città con un passato musicale importante e non solo per il movimento grunge, arrivano gli Arisen From Nothing ,band che del metal moderno e statunitense porta alta la bandiera con tutti i suoi pregi e difetti.

Metal da MTV, quindi grinta e melodia che si alternano sia nel sound che nella doppia voce, ritmiche che passano da veloci cavalcate new thrash a cadenzate esplosioni core, synth che accompagnano (dando un ruffiano tocco elettronico) gran parte dei brani che si presentano come buoni esempi di college metal.
Questa è musica che non avendo grossi sbocchi artistici deve obbligatoriamente far male, altrimenti il rischio è di non incidere più di tanto e piacere solo ai ragazzini, fruitori più orientati a musica usa e getta.
La band aggiunge un po’ di tutto nel suo cocktail, le influenze passano veloci e nell’ascoltatore attento si fa largo quella sensazione di già sentito che non se ne va più, dall’opener Chaos, passando per American Patriot e Falling From Grace, tre delle cinque tracce che compongono questo ep.
Gli Arisen From Nothing tirano fuori gli artigli solo nella conclusiva Born Hatred, brano thrash metal con sfumature melodic death con un bell’assolo centrale, ma è troppo poco per andare oltre ad un’abbondante sufficienza.
Là fuori ci sarà chi adora questo tipo di sound, noi ci limitiamo a consigliarne l’ascolto a loro e a chi ama il metal moderno dai rimandi thrash/core.

Tracklist
1.Chaos
2.American Patriot
3.Better Off Dead
4.Falling from Grace
5.Born Hated

Line-up
Jessie Brigham, Vocals
Troy Elmore, Guitar
Steven Pontius, Guitar
Eric Hanson, Bass
Brandon Fuller, Drums

ARISEN FROM NOTHING – Facebook

Feronia – Anima Era

Una band imprevedibile, un album bellissimo e perfettamente bilanciato tra eleganza prog ed irruenza metal: Anima Era risulta un debutto straordinario, personale ed ispirato.

Grande musica è quella che ci regalano i Feronia, al loro debutto su Andromeda Relix.

Il quartetto piemontese raggiunge questo primo traguardo con Anima Era, un album di spessore che reinterpreta il rock progressivo tradizionale e l’hard rock con piglio moderno, sia nelle scelte di produzione e degli  arrangiamenti, sia per un’ispirazione alternativa capace di rivestire il sound di un appeal altissimo.
Segnata dalla rimarchevole e personale interpretazione della cantante Elena Lippe, protagonista alla pari di un songwriting ispiratissimo, l’opera si può certamente considerare un concept a sfondo ecologico, con il nostro pianeta, visto come la grande madre che abbraccia e protegge il delicato ecosistema di cui noi, come genere umano, facciamo parte.
Completano la line up dei Feronia il chitarrista Fabio Rossin e la sezione ritmica composta da Daniele Glorgini al basso e Fabrizio Signorini alle pelli, dotati di ottima tecnica individuale al servizio della forma canzone e non per mero esercizio tecnico.
E come un vento che soffia deciso da nord, Anima Era ci travolge con i suoi undici capitoli, sferzanti e passionali, metallici ma alternativamente progressivi, richiamando ispirazioni che appaiono e scompaiono senza soffermarsi troppo, così da non avere un punto di riferimento, ma decine di spunti con i quali la band crea la sua personale rivisitazione del rock progressivo nel nuovo millennio.
Così, dall’opener Priestess Of The Ancient New, si comincia un viaggio nell’arte musicale per toccare temi importanti come ecologia, psicologia, ricerca spirituale e politica, con le note che formano una colonna sonora che ha nelle varie Wounded Healer, Humanist, Dephts Of Self Delusion e Thumbs Up! il fulcro musicale dell’album.
Una band imprevedibile, un album bellissimo e perfettamente bilanciato tra eleganza prog ed irruenza metal: Anima Era risulta un debutto straordinario, personale ed ispirato.

Tracklist
1.Priestess Of The Ancient New
2.Atropos
3.Wounded Healer
4.Garden Of Sweet Delights
5.Humanist
6.Free Flight
7.Innocence
8.Dephts Of Self Delusion
9.Exile
10.Thumbs Up !
11.A New Life

Line-up
Elena Lippe – Vocals
Fabio Rossin – Guitars
Daniele GIorgini – Bass
Fabrizio Signorino – Drums

FERONIA . Facebook

Infernotion – Habits

Habits possiede tutti i crismi per cercare di farsi largo nel mare magnum delle uscite di qualità in campo estremo, grazie anche ad un concept lirico tutt’altro che banale.

Habits è il secondo full length per la one man band tedesca Infernotion.

Il musicista che sta dietro al progetto è uno di quelli che si diverte a cambiare nome a seconda dell’ambito nel quale suona, per cui qui lo conosciamo come Peisestratos: ma al di là del dato anagrafico, di questo album intitolato va segnalata un’adesione più marcata ai modelli scandinavi rispetto a quanto normalmente avvenga in terra germanica.
Ciò non è un male, perché se viene meno un po’ di originalità come contraltare troviamo un’interpretazione all’altezza della situazione, con il berlinese che decide di andare a combattere sul terreno dei Satyricon e relativa genia senza sfigurare affatto.
Il black targato Infernotion si avvale di momenti di ampio respiro che trovano la loro sublimazione in una traccia davvero notevole come Viscious Wishes, ideale cartina di tornasole del buon talento compositivo del nostro, il quale regala un album convincente al 100% e che non fa gridare al miracolo solo perché l’adesione ai propri modelli è in effetti piuttosto fedele, ed è questo l’unico punto sul quale il musicista tedesco è chiamato a lavorare per progredire ulteriormente.
Già così, comunque, Habits possiede tutti i crismi per cercare di farsi largo nel mare magnum delle uscite di qualità in campo estremo, grazie anche ad un concept lirico tutt’altro che banale ed incentrato sull’amara constatazione che il male è annidato dentro ciascuno di noi, con la rovina dell’umanità quale ineluttabile conseguenza. Triste ma vero …

Tracklist:
1. Revelation
2. Center of the World
3. Waiting for Nemesis
4. Viscious Wishes
5. Master of Hypocrites
6. Uniform Will
7. Defective Instinct
8. Profit for the Prophet
9. Evil Incarnate

Line-up:
Peisestratos – Guitars/Vocals
Sven – Session Bassist

INFERNOTION – Facebook

Azziard – Metempsychose

Di Metempsychose colpisce la potenza che viene sprigionata da ogni singola nota , con i rari rallentamenti vicini al doom che hanno la funzione di una breve sosta, utile per riprendere il fiato prima che che la macchina si rimetta in moto con tutto il suo carico di malevola oppressione.

Terzo full length per i francesi Azziard, band alle prese da una quindicina d’anni con un’interessante interpretazione della materia black/death.

Metempsychose è cantato interamente in lingua madre ed è incentrato a livello di tematiche sull’opera del noto psicologo svizzero Carl Jung; vista la materia trattata la musica procede di conseguenza, con l’esibizione di sonorità opprimenti, claustrofobiche ma anche denotate da una produzione efficace, capace di restituire al meglio tale turbinio di sensazioni senza farlo apparire un coacervo di rumori ovattati.
Questo, a mio avviso, aumenta non poco il valore di un album la cui componente death fa approdare a più di un passaggio contraddistinto da riff piuttosto geometrici, ai quali fanno da contraltare ritmiche tipicamente black con il drumming di Anderswo decisamente in evidenza.
Musicalmente gli Azziard non sono sperimentali come gran parte delle band provenienti dalla Francia, ma non per questo il loro black metal si può considerare di semplice assimilazione: le dissonanze non mancano e comunque non viene mai meno in ciascun brano un’aura inquieta e drammatica; anche l’interpretazione vocale del fondatore della band A.S.A. è davvero molto efficace, trovando un’espressiva via di mezzo tra growl e screaming, senza dimenticare in tal senso anche l’apporto degli ospiti Julien Truchan (Benighted) e Psycho (Antilife).
Il quadro complessivo delinea senza ombra di dubbio un album dal notevole impatto e che, sicuramente, è in grado di spingersi fino alle orecchie di chi apprezza il metal estremo, pesante e pensante, al di là delle barriere di genere: Metempsychose è alla fine una gragnuola di colpi che si abbatte sull’ascoltatore senza particolare misericordia, disturbando il giusto il suo già inquieto sonno.
Così, se L’Enfer sembra da subito uno dei brani più impattanti ascoltati quest’anno, Ascension e Unus Mundus ne raggiungono puntualmente la forza dirompente e allo stesso tempo evocativa, rappresentando i picchi di un lavoro di qualità spaventosa, come lo sono la convinzione e la competenza con le quali viene gestito l’approccio al genere.
Se gli Azziard non possono essere considerati degli innovatori, nessuno può togliere loro la patente di interpreti di livello assoluto di un black/death che non ha proprio nulla da invidiare a nomi più celebrati come lo possono essere i per esempio i Behemoth: di Metempsychose colpisce la potenza che viene sprigionata da ogni singola nota , con i rari rallentamenti vicini al doom che hanno la funzione di una breve sosta, utile per riprendere il fiato prima che che la macchina si rimetta in moto con tutto il suo carico di malevola oppressione.
Un gran bel disco, per una band che pare aver trovato la sua definitiva e matura forma espressiva.

Tracklist:
1. Premier Jour
2. L’Enfer
3. L’Anachorète, Dies
4. Ascension
5. Le Meurtre du Héros
6. Second Jour
7. Archétype
8. Unus Mundus
9. Psyché
10. Le Sacrifice

Line-up:
A.S.A. : Vocals
Nesh : Guitars
Anderswo : Drums
Gorgeist : Guitars
Sarnath : Bass

AZZIARD – Facebook

GABRIELS

I progetti musicali che sondano territori ancora inesplorati, se coadiuvati da una spiegazione risultano ancora migliori, come l’opera del siciliano Gabriels, Concerto For Syntherziers And Orchestra in D minor Op.1, uscito per Diamonds Prod.
Prog, musica classica e tanto altro, come ci spiega bene lo stesso Gabriels nelle righe qui sotto.
Grazie a Gabriels e a Nadir Music.

ME Come nasce l’idea di questa prima opera al mondo per synth ed orchestra?

In conservatorio, durante le lezioni di Storia degli Strumenti Elettronici, si parlava del famoso Minimoog e di come aveva reso possibile avere grande portabilità nei live. Al contrario, il Moog Modulare era molto difficile da trasportare essendo veramente enorme. Poi non nego che pensai molto al Concerto Suite per chitarra elettrica e Orchestra di Malmsteen, e allora l’idea si concretizzò.

ME L’opera contiene molti suoni che rimandano al prog italiano, è corretto?

Si è vero, possiamo affermare che in sostanza non si tratti solo di musica classica come potrebbe far sembrare il titolo. Già dal primo ascolto si percepisce un sound molto vario che richiama parecchi stili ed era quello che volevo ottenere … una Rock Opera dei giorni nostri ma come la avrebbero suonata nell’antichità, un connubio tra tecnologia e non.

ME Porterai la tua opera dal vivo in giro per l’Italia?

Eh … domanda molto complicata e credo che al momento attuale non sia fattibile. E’ stata già un’impresa molto ardua la registrazione e una situazione del genere dal vivo lo sarebbe ancora di più, senza contare che organizzarlo mi porterebbe via parecchio tempo che. invece. per adesso sto dedicando alla composizione e registrazione della collana su Hokuto No Ken. Ne approfitto per dare la notizia che il Secondo Atto uscirà a breve nel 2018.

ME Il gusto è barocco ma le tematiche trattate sono classiche, tutto ciò è conciliabile?

Credo che al giorno d’oggi qualsiasi cosa sia conciliabile se saputa fare, basta darle una forma … con la forma tutto può funzionare bene anche se, apparentemente, i pezzi che compongono il tuo puzzle appartengono a mondi diversi.

ME Ci puoi descrivere la registrazione del disco?

E’ stato molto complicato e il mio lavoro era già iniziato mentre pubblicavo altri miei dischi. Dapprima registrai tutto suonato da me, anche le parti orchestrali, per sentire come tutto funzionava e suonava (parliamo del 2009 circa), ma avendo a che fare con un’ orchestra dovevo necessariamente scrivere tutte le parti. Durante la scrittura della partitura cambiai molte cose, alcune le eliminai e altre le aggiunsi; alcune tracce sono state addirittura cancellate di sana pianta e di altre ne ho preso solo alcuni pezzi per poi aggiungerne altri. Poi è stata la volta di cercare tutti gli elementi dell’orchestra e non nascondo che, a volte, mi sono scoraggiato; nel frattempo gli anni passavano e iniziai a pubblicare altri dischi come “Prophecy” e l’idea del Concerto non sapevo se abbandonarla o meno. Dopo tanto attendere, e in questo momento di pausa dal lavoro su Hokuto, decisi di mettere un punto a questa storia, contattai il mio collega e amico Mistheria, che si dimostrò subito entusiasta dell’opera, e in seguito anche il mio amico Styx Synthmmonster, entrambi ospiti speciali nel disco. Inviai le partiture ad un direttore d’orchestra nipponico che riuscì a mettere insieme una, anche se modesta, orchestra di giovani allievi molto volenterosi e in poco tempo mi inviarono le registrazioni.

ME Progetti futuri?

Per adesso voglio continuare la saga su Hokuto no Ken: nel 2018 uscirà il secondo atto ma non vi nascondo che già sono al lavoro al terzo e sulla stesura del quarto. All’inizio avevo pensato di farne una trilogia ma, in corso d’opera, mi accorsi che non era possibile, credo che almeno arriverò ad una Pentalogia.

ME Ciao e grazie.

Grazie mille a voi dello spazio dedicatomi. Vorrei lasciare solo un ultimo messaggio ai lettori; vi prego di supportare tutta la musica acquistando il prodotto fatto con tanto sudore e passione, solo così noi possiamo veramente continuare a produrre nuova musica …GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!!!!

Hoofmark – Stoic Winds

Per le sue caratteristiche è comprensibile che l’album proceda un po’ a strappi, ma nel complesso questo approccio non dispiace affatto per coraggio e creatività.

Il primo full length degli Hoofmark è di fatto la riedizione a cura della Ultraje, etichetta fondata dall’omonima rivista portoghese, del demo uscito nel 2016.

Se ci si chiede se tale operazione, invero molto frequente, abbia una sua valenza la risposta è affermativa, perché l’interpretazione del black metal offerta dal musicista lusitano Nuno Ramos, detentore delle chiavi del progetto, è quanto mai ricca di spunti interessanti.
Di sicuro Stoic Winds non è un album monotematico: infatti possiamo rinvenire il genere rivisto nelle sue diverse forme, tutte in maniera piuttosto convincente sia quando i ritmi si fanno più incalzanti finendo su territori crust punk hardcore, sia quando i rallentamenti spostano la barra verso il doom.
Il colpo di scena arriva però con Dust Trails, quando Nuno assume improvvisamente le sembianze di un Johnny Cash sui generis, piazzando un brano country che magari potrà apparire fuori contesto ma possiede un suo malsano fascino.
In effetti il nostro mostra un’irrequietezza compositiva della quale gli va dato atto e, se il tutto rende il lavoro chiaramente disomogeneo, ha sicuramente il grande pregio di una certa imprevedibilità.
Del resto subito dopo arriva la versione denominata Dust Trails Blazing, che riconduce il tutto su un mid tempo classico mantenendo però un’interpretazione vocale sempre piuttosto anomala per il black metal.
Con tali caratteristiche è comprensibile che l’album proceda un po’ a strappi, ma nel complesso questo approccio non dispiace affatto per coraggio e creatività, anche se l’inedito connubio tra metal estremo e country lascerà perplesso più d’uno.
Così, dopo il black’n’roll notevole di Horror Maximus, Nuno chiude le ostilità con Hoofmarks, una sorta di di manifesto del suo procedere con passo sghembo lungo un sentiero tortuoso ma foriero di scenari cangianti; senza voler spingermi a trovare significati che magari non corrispondono al vero, questo lavoro targato Hoofmark è quanto mai strano, lo-fi per indole ancor più che per resa sonora, e nonostante questo (o forse proprio per questo …) mi sono sorpreso ad apprezzarlo non poco.

Tracklist:
1. Yours Should be a Heavy Casket
2. Amongst a Sea of Darkness
3. Stoic Winds
4. Dust Trails
5. Dust Trails Blazing
6. An Arrow Long Due
7. From the Foot of God’s Throne
8. Horror Maximus
9. Hoofmarks

Line-up:
Nuno Ramos

HOOFMARK – Facebook

RUXT

Il video del brano “Heaven or Hell”, traccia di chiusura del nuovo album “Running out of Time” uscito di recente per Diamonds Prod.

Il video del brano “Heaven or Hell”, traccia di chiusura del nuovo album “Running out of Time” uscito di recente per Diamonds Prod.

Esce il video del brano “Heaven or Hell”, traccia di chiusura del nuovo album “Running out of Time” uscito di recente per Diamonds Prod. Video nato da un’idea del vocalist della band Matt Bernardi, sotto la regia di Federico Di Pane, e soprattutto grazie alla partecipazione della campionessa mondiale di pattinaggio Silvia Lambruschi. Un brano un po’ diverso dal solito stile RUXT ma spero possiate apprezzarne il significato.

Godwatt – Necropolis

Misterioso e onirico, Necropolis non lascia speranze e si presenta come un ‘oscura valanga di note che toccano vette di perdizione senza pari.

Questa volta Moris Fosco (voce e chitarra), Mauro Passeri (basso) e Andrea Vozza (batteria) ci invitano ad un sabba nella città dei morti, avvolti dal buio millenario e dall’odore della morte, unica signora di questi luoghi dimenticati dal tempo.

Appena entrati nelle buie e labirintiche caverne, i tra sacerdoti nostrani ci lasciano al nostro destino, la musica accompagna l’alienante e drammatica ricerca di una via d’uscita che non troveremo mai più, inghiottiti nel buio eterno di questa civiltà parallela dove riposano i morti.
I Godwatt sono tornati dopo L’Ultimo Sole, sorta di compilation che la Jolly Roger aveva licenziato lo scorso anno e che era formata da sette brani ri-registrati da MMXVXMM (uscito nel 2015) più un paio dall’album Senza Redenzione (2013), e Necropolis conferma il gruppo come uno dei migliori interpreti di doom metal tricolore.
Avvolti da una nebbia stoner, anche i nuovi brani (cantati rigorosamente in italiano) formano un monolite metallico pesantissimo: misterioso e onirico, Necropolis non lascia speranze e si presenta come un’oscura valanga di note che toccano vette di perdizione senza pari, una continua alternanza tra heavy doom ispirato agli anni settanta, momenti di nere trame metalliche provenienti dal decennio successivo ed ispirate alla tradizione italiana, e più moderne pulsioni stoner che contribuiscono a rendere il sound pesantissimo e psichedelico.
La title track è l’intro che ci accompagna nelle oscure trame di questo Moloch musicale, che ha momenti di intenso incedere lavico già da Morendo, mentre Siamo Noi Il Male rappresenta tutto il credo musicale del gruppo, nove minuti di metallo che equivalgono ad un asteroide in caduta libera sulle nostre teste, con testi che raccontano di morte ed eterna dannazione.
Necropolis non lascia tempo nè speranza, e La Tua Ora prosegue l’opera, lasciando a Tra Le Tue Carni la palma di brano più heavy rock dell’album, prima che il capolavoro La Morte E’ Solo Tua si prenda la scena.
Tenebre è il primo singolo licenziato dal gruppo per questo lavoro che ci lascia con l’atmosfera stoner di Necrosadico (bonus track della versione in cd), dove i Godwatt si avvicinano allo sludge e noi ormai agonizzanti ci ritroviamo sepolti dalla polvere sollevata dal passaggio in questi abissi di morte e disperazione.
Necropolis è un’altro bellissimo lavoro da parte di questa grande band che tiene alto il vessillo del metal italiano nella sua veste più oscura.

Tracklist
1.Necropolis
2.Morendo
3.Siamo noi il male
4.E’ la tua ora
5.Tra le tue carni
6.La morte è solo tua
7.Tenebre
8.R.I.P.
9.Necrosadico

Line-up
Moris Fosco – Guitars, Vocals
Mauro Passeri – Bass
Andrea Vozza – Drums

GODWATT – Facebook

Myth Of A Life – Chimera

La caratteristica principale del sound del gruppo di Sheffield è la capacità di mantenere un approccio di ispirazione scandinava (primi In Flames, At The Gates), lasciando che ritmiche e sfumature guardino al più moderno metal estremo statunitense senza snaturare l’approccio nordico, come appunto negli In Flames post Clayman.

I Myth Of A Life sono una band di stanza nel Regno Unito, ma di fatto da considerare una band internazionale.

I musicisti coinvolti si rincorrono in una line up volubile, tanto che lo scorso album (She Who Invites) era stato registrato da una formazione che al momento dell’uscita era cambiata di ben quattro elementi con il solo Phil Dellas unico superstite, dietro al microfono.
Il gruppo torna sul finire dell’anno e ancora una volta troviamo non pochi cambiamenti, con il numero di musicisti ridotto a due (Dellas, viene affiancato da William Price al basso e alla chitarra).
Un anno è passato dal precedente full length e i Myth Of Life confermano con questi tre brani più intro la bravura con cui si approcciano al death metal melodico.
Dura poco più di dieci minuti ma Chimera risulta di un’intensità pazzesca: il sound della band mantiene inalterato il mood che aveva caratterizzato i brani di She Who Invictes, quindi grande impatto, ottima tecnica, cavalcate furiose e tanta melodia, con un Dellas sugli scudi tra un rabbioso screaming e un profondo growl.
La chitarra impazza prendendoci per i capelli e trascinandoci senza pietà, i solos melodici suonati a velocità sostenute esaltano, così che la title track si dimostra subito un gran pezzo di granito melodic death.
La caratteristica principale del sound del gruppo di Sheffield è la capacità di mantenere un approccio di ispirazione scandinava (primi In Flames, At The Gates), lasciando che ritmiche e sfumature guardino al più moderno metal estremo statunitense senza snaturare l’approccio nordico, come appunto negli In Flames post Clayman.
Le due tracce che completano l’EP (God Within e The True Face Of Death) confermano l’ottimo trend del gruppo britannico e Chimera non fa che alzare le aspettative sul prossimo full length.

Tracklist
1. Omen
2. Chimera
3. God Within
4. The True Face Of Death

Line-up
Phil ‘’Core’’ Dellas – vocals
William Price – guitars, bass

MYTH OF A LIFE – Facebook

Watain – Trident Wolf Eclipse

La storia parla già per i Watain, che regalano un altro monolite musicale a tutti gli amanti del black.

Il sentiero dei Watain non è mai caritatevole, ma sempre caratterizzato da una forza ed un’energia unica.

Il 2018 si apre così, con Trident Wolf Eclipse, per una band che ha già un suo posto di diritto nella storia del genere nero per definizione, il black metal.
La copertina dell’album, come spesso è consuetudine per la band svedese, si presenta con un (non)colore che più che bianco e nero è nichilisticamente e fieramente grigio. Ed è proprio questo clima di dissacrazione che ritroviamo trasportato in musica per tutto l’album.
Esattamente come un branco di lupi, i Watain mostrano ad ogni nota di essere famelici fino all’estremo. A fare da capobranco, ovviamente, la voce di Erik Danielsson, che sembra nato esattamente per occupare quel ruolo. L’ascoltatore amante della forza distruttiva del black, nonché dei Watain stessi, non potrà che essere felice di isolarsi dal mondo esterno e chiudersi in un tunnel di eccesso sonoro come quello di Trident Wolf Eclipse.
Il brano d’apertura, Nuclear Alchemy, avvisa dal primo secondo chi ascolta su quella che sarà la linea forsennata di tutto il disco. Non c’è da sorprendersi, infatti, che in ben 41 minuti non ci sia un solo secondo di stasi o di angelica riflessione, e nemmeno per qualche intermezzo più melodico. Non è nello stile dei Watain.
In questo nuovo album, la band svedese ha fatto esattamente ciò che sa fare meglio e che ha sempre fatto: eliminare e distruggere con l’odio in corpo fino allo sfinimento. Sicuramente ogni fan sarà entusiasta del fatto che, in 20 anni di carriera, l’attitudine di una band che è un punto di riferimento del genere sia rimasta la stessa.

Tracklist
1. Nuclear Alchemy
2. Sacred Damnation
3. Teufelsreich
4. Furor Diabolicus
5. A Throne Below
6. Ultra (Pandemoniac)
7. Towards the Sanctuary
8. The Fire of Power

Line-up
Erik Danielsson – voice/ bass
P. Forsberg – guitar
H. Jonsson – drums

WATAIN – Facebook

Spoil Engine – Stormsleeper

Stormsleeper, senza far gridare al miracolo, risulta una bella mazzata di modern metal dalle influenze core e, come molte realtà del vecchio continente, con un occhio al death metal melodico, punto fermo del sound europeo in simili contesti.

Quando si parla di metal moderno viene naturale guardare aldilà dell’oceano, mercato che ha sempre vissuto le varie contaminazioni subite dal metal con interesse, decretandone il successo.

Questa volta però parliamo di una band europea, precisamente belga, che ha ottenuto un discreto successo con un paio di lavori passati (Skinnerbox v.07 e Antimatter, usciti rispettivamente nel 2007 e nel 2009) e che dopo varie difficoltà, dovute soprattutto a molti cambi in formazione, torna con un nuovo album (Stormsleeper) licenziato dalla Arising Empire, costola specializzata nelle sonorità moderne del colosso metallico Nuclear Blast.
Stormsleeper, senza far gridare al miracolo, risulta una bella mazzata di modern metal dalle influenze core e, come molte realtà del vecchio continente, con un occhio al death metal melodico, punto fermo del sound europeo in simili contesti.
Valorizzato dall’ottima prestazione della singer Iris Goessens, una leonessa arrivata nel gruppo nel 2015 e diventata in poco tempo il fulcro del sound degli Spoil Engine, l’album si lascia ascoltare lasciando la sensazione d’essere al cospetto di un gruppo magari poco originale, ma assolutamente in grado di catturare l’attenzione dei giovani metallari del nuovo millennio.
Metalcore, melodic death metal e alternative in piccole dosi riempiono di ferocia brani dal tiro micidiale come Disconnect, Doomed To Die e Black Sails, con la Goessens che fa la Gossow in versione modern metal.
Prodotto benissimo, l’album non manca di alternare rabbia estrema e melodia, un saliscendi metallico in cui la cantante fa il bello e cattivo tempo con il picco nella splendida The Verdict, la canzone più sfacciatamente scandinavo di tutto il lavoro.
Se riusciranno a tornare al successo che assaporarono dopo l’uscita di Antimatter lo vedremo, sicuramente Stormsleeper si rivela per il gruppo belga un ritorno assolutamente convincente.

Tracklist
1. Disconnect
2. Silence Will Fall
3. Doomed To Die
4. Weightless
5. Stormsleeper
6. Hollow Crown
7. Black Sails
8. The Verdict
9. Singing Sirens
10. Wastelands

Line-up
Iris Goessens – Vocals
Steven ‘gaze’ Sanders – Lead guitars
Bart Vandeportaele – Guitars
Kristof Taveirne – Bass
Matthijs Quaars – Drums

SPOIL ENGINE – Facebook

017 Modern Metal/Melodic Death 7.70

Sinistro – Sangue Cássia

Terzo full length per i Sinistro, che affinano la propria capacità compositiva donandoci un doom atmosferico, personale, ricco di pathos e tensione, con vocals in portoghese: stupefacenti.

Band in costante e forte ascesa, i portoghesi Sinistro agli albori del nuovo anno consegnano ai nostri padiglioni auricolari il loro terzo full length, sempre per Season of Mist.

Visti dal vivo, di supporto ai Paradise Lost, mi avevano impressionato con un doom intenso e atmosferico accompagnato in modo molto efficace e teatrale dalla voce di Patricia Andrade, che nonostante le minute forme è in grado di ammaliare la platea con i suoi vocalizzi e le sue movenze. La band, con il nuovo Sangue Cassia ha ulteriormente affinato il lato compositivo, ancorando il proprio sound ad un doom molto atmosferico, fluido, sempre carico di tensione ma “addolcito” dalla cangiante vena interpretativa di Patricia, capace di donare a ogni brano un valore aggiunto; fin dai primi splendidi dieci minuti di Cosmos Controle, la parte strumentale molto carica e decisa viene seduttivamente accarezzata da vocals raffinate ed eleganti per creare un’atmosfera calda, trafitta da note di keyboard dal sentore cosmico. Il cantato in portoghese aggiunge una velo di tristezza e di mistero affascinante e la parte strumentale non erige muri di suono, ma spiega la propria possanza in modo calmo e imponente, cercando più l’atmosfera che la forza. I brani, otto, per quasi un’ora di musica, acquistano profondità con gli ascolti, le chitarre ricercano melodie non convenzionali interagendo con le tastiere e, ripeto, l’ interpretazione vocale è stupefacente, così intensa, ricca di pathos (Lotus) da trasportare la musica verso orizzonti sconfinati. Qualche aroma darkwave e cinematografico permea il lavoro, così come le ritmiche trip hop presenti in Nuvem danno un quid in più a questo bel disco.
In definitiva una band personale e il consiglio è quello di non perderla dal vivo, dove potrete gustare al meglio le capacità interpretative di Patricia.

Tracklist
1. Cosmos Controle
2. Lotus
3. Petalas
4. Vento Sul
5. Abismo
6. Nuvem
7. Gardenia
8. Cravo Carne

Line-up
RICK CHAIN – GUITAR
FERNANDO MATIAS – BASS
PAULO LAFAIA – DRUMS
PATRICIA ANDRADE -VOCALS
RICARDO MATIAS – GUITAR

SINISTRO – Facebook

Stillborn – Mirrormaze & Die in Torment 666

Un’opera di ripescaggio assolutamente solo per i fans del gruppo o per chi ama il verbo nero nella sua versione più underground e senza compromessi.

La Godz Ov War ci presenta i primi due album licenziati dagli Stillborn, realtà anticristiana di stanza a Mielec, in Polonia.

Usciti originariamente tra il 1999 ed il 2001, i due lavori in questione risultano l’inizio della carriera musicale del combo polacco, che in seguito darà alle stampe un paio di lavori minori e ben cinque full length di cui Testimonio de Bautismo è l’ultimo malefico parto uscito lo scorso anno.
Vecchi ormai di quasi vent’anni, i due demo difettano di una produzione old school, ma il death/black metal di cui sono portatori tiene bene lo scorrere del tempo. risultando sempre cattivo, maligno ed oscuro.
Una raccolta di brani che ben presenta il sound del gruppo polacco, in linea con la scena estrema dell’est europeo e che alterna sfuriate black metal a più possenti trame death.
L’attitudine e l’impatto sono perfettamente in simbiosi con la nera fiamma che brucia ininterrottamente tra le note di brani  diretti e senza fronzoli e che sputano veleno in pochi minuti.
Un growl più profondo ed uno scream diabolico si danno il cambio portando il verbo satanista in musica, mentre l’oscurità regna tra lo spartito di Crave For Killing e Mirrormaze (da Mirrormaze) o Keep Dying e Millennium Of Hatred (da Die In Torment 666).
Un’opera di ripescaggio assolutamente solo per i fans del gruppo o per chi ama il verbo nero nella sua versione più underground e senza compromessi.

Tracklist
1.Crave For Killing
2.Hefaystos
3.Die In Torment
4.Nailed Hessus
5.Mirrormaze
6.Morphine Laboratory
7.Stillborn
8.Artror City
9.Molestation*
10.Iconoclast* (Mirromaze Era version)
11.Keep Dying
12.Blasphemous Perversion
13.Whore
14.Millenium of Hatred
15.Blood, Chains & Whips
16.Iconoclast (D.I.T.666 Era version)
17.God Is Good

Line-up
Line Up Mirrormaze:
Killer – Guitars, Bass, Vocals
Rafał R. – Drums
Grzegorz O. – Guest Growling
Łukasz P. – Sample

Line Up Die In Torment 666:
Killer – Guitars, Vocals
Rafał R. – Drums
Andrzej T. – Bass
Łukasz M. – Vocals

STILLBORN – Facebook

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