Doctor Cyclops – Local Dogs

Dentro Local Dogs, solo per elencarne alcuni, possiamo trovare heavy rock anni settanta, note riecheggianti i primi Deep Purple e i Jethro Tull più muscolari, doom classico e proto doom, cavalcate in stile New Wave Of British Heavy Metal, psichedelia incandescente e tanto altro.

Dal pavese arriva quello che uscendo a fine marzo 2017 sarà molto probabilmente uno dei dischi dell’anno, se non IL disco dell’anno.

Sono rimasto seriamente stupefatto dalla prova di questo trio. Dentro Local Dogs, solo per elencarne alcuni (e dovete assolutamente sentire come vengono resi), possiamo trovare heavy rock anni settanta, note riecheggianti i primi Deep Purple e i Jethro Tull più muscolari, doom classico e proto doom, cavalcate in stile New Wave Of British Heavy Metal, psichedelia incandescente e tanto altro. Magnifico perdersi in questo disco, in questo labirinto erboso di bellezza sonora, dove tutto è bello, rumoroso e naturale. Se dovessero chiedervi di elencare dei dischi anni settanta od ottanta di musica rumorosa potete fare un favore a voi e al vostro dirimpettaio consigliando direttamente questo disco, perché qui c’è tutto. Si rimane meravigliati dalla prima all’ultima nota, ci sono persino intarsi di epic metal e doom insieme, e il risultato non è assolutamente un accatastare musica alla rinfusa, ma c’è un disegno creatore superiore, molto superiore. E cosa che non mi stupisce questo prodigio è nato a Bosmenso, un paese sull’appennino pavese, perché è nella provincia che vive e lotta la volontà di potenza. Il loro percorso è stato lungo ed interessante, e questo disco è una delle migliori cose mai fatte nell’undeground italiano.
Scendete nel buco nella terra vicino all’albero…

TRACKLIST
Side A
I. Lonely Devil
II. D.I.A.
III. Stardust (feat. Bill Steer)
IV. Epicurus
V. Wall Of Misery

Side B
I. King Midas
II. Stanley The Owl
III. Druid Samhain (feat. Bill Steer)
IV. Witch’s Tale
V. Witchfinder General

LINE-UP
Christian Draghi – Guitar and Vocals
Francesco Filippini – Bass
Alessandro Dallera – Drums

DOCTOR CYCLOPS – Facebook

Last Union – Most Beautiful Day

Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura.

James LaBrie non è solo il vocalist di una band famosa, è la persona che ha regalato la sua voce a lavori importantissimi per lo sviluppo del metal dai rimandi progressivi, protagonista di uno degli album più importante degli ultimi venticinque anni di musica, Images And Words.

Capirete che trovarlo ospite su tre brani di un lavoro dai natali italiani non può che rendere orgogliosi non solo i protagonisti, ma pure chi della scena italiana scrive abitualmente fra tanti alti e fortunatamente pochissimi bassi.
Se poi si parla della scena prog, allora in Italia si continua a tenere alta la bandiera di una tradizione che ha radici negli anni settanta e che con il metal ha creato un’alleanza che non lascia briciole ai dirimpettai europei.
Most Beautiful Day è un lavoro straordinario, ricco di un’ appeal altissimo, melodie vincenti, e tanto hard & heavy progressivo, con la coppia Elisa Scarpeccio, singer sopra la media per interpretazione e talento, ed il chitarrista e songwriter Cristiano Tiberi che, non contenti dell’ospite al microfono, si sono accompagnati ad una sezione ritmica da infarto, con l’ex Helloween, Masterplan e Gamma Ray, Uli Kusch alle pelli e Mike LePond dei Symphony X al basso.
Già così, i Last Union potrebbero tranquillamente salutare tutti e sedersi a guardare quello che succede la sotto, ma fortunatamente la musica non è fatta solo di nomi e Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura: un nuovo e perfetto esempio di quanto il mondo delle sette note sia un mare in burrasca, colmo nei suoi abissi di scrigni che, una volta aperti, nascondono tesori inestimabili.
Tutto è perfetto in questo album, dalla produzione che valorizza sia le prestazioni dei singoli, su cui risplende (e non me ne vogliano i più famosi ospiti) l’enorme talento di Elisa Scarpeccio, sia il songwriting, per cinquanta minuti di grande musica che non accenna ad affievolirsi fino all’ultima nota.
President Evil, A Place In Heaven (di una bellezza assurda) e Taken sono i tre brani dove LaBrie ha prestato la sua voce, ma i gioielli non finiscono qui, con Hardest Way, Purple Angels, 18 Euphoria e Back In The Shadow a portare l’album a livelli sconosciuti anche dalle band più famose.
Nel genere, il primo vero capolavoro di questo 2017.

TRACKLIST
01. Most Beautiful Day
02. President Evil (feat. James LaBrie)
03. Hardest Way
04. Purple Angels
05. The Best of Magic
06. Taken (feat. James LaBrie) [Radio Edit]
07. 18 Euphoria
08. A Place in Heaven (feat. James LaBrie)
09. Ghostwriter
10. Limousine
11. Back in the Shadow
12. Taken (feat. James LaBrie)

LINE-UP
Elisa Scarpeccio – Vocals
Cristiano Tiberi – Guitars
Mike LePond – Bass
Uli Kusch – Drums
Feat. James LaBrie

LAST UNION – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=3EBySmwRaIw

MOJUBA

Il video di Astral Sand, tratto dall’album omonimo.

Il video di Astral Sand, tratto dall’album omonimo.

Astral Sand, con la regia di Pasquale Giovine, è il primo video estratto da Astral Sand, il primo album della band abruzzese Mojuba uscito lo scorso 3 dicembre per Red Sound Records.

La band nasce 2014 da un’idea di Mascio (chitarra), ispirato dagli ascolti pesanti e psichedelici di quel periodo. La prima formazione viene completata da Pierserio (voce), conosciuto ad una jam sul finire del 2013.

La strada musicale da percorrere si delinea subito. Sì, perché i ragazzi amano jammare riff di chitarra incastonati in dense atmosfere evocative, sulle orme dei grandi gruppi heavy anni ’70, Black Sabbath su tutti. Senza dimenticare band come Kyuss e Orange Goblin. Se li si volesse incastrare in un genere, questo sarebbe sicuramente lo stoner.

Il nome arriva poco dopo. Il “Mojuba” è una preghiera africana di lode e ringraziamento, da cui deriva il termine Mojo, l’amuleto magico che accompagnava i bluesman delle origini, successivamente diventato sinonimo di libido con l’avvento del rock ‘n’ roll. Fascinazione per i rituali magici e per la natura evocativa dell’Africa tribale a parte, Mojuba ha assunto per i ragazzi un altro significato: liberare il corpo e la mente

Dopo circa un anno di sala prove e concerti, nel 2015 si susseguono due cambi di formazione: entrano nel gruppo Alfonso (batteria) ad aprile ed infine Fabrizio (basso) ad ottobre.

Dopo due anni trascorsi tra sale prove e concerti, senza ulteriori indugi nel gennaio 2016 i Mojuba registrano il loro primo album, “Astral Sand”, che uscirà il 3 dicembre per Red Sound Records.

Teramobil – Magnitude Of Thoughts

Una cascata arrembante di note su note, a tratti progressive o vicine al death, molte a sezionare rock per riproporlo in maniera dissonante, sempre con la velocità esecutiva che non scende praticamente mai dai limiti consentiti, ed una voglia di stupire che è pregio e difetto del gruppo canadese.

Difficile, quasi impossibile seguire gli intrecci musicali di questo trio canadese se non si è amanti del metal estremo ipertecnico e strumentale.

Già, perché i Teramobil suonano un metal estremo che definire death risulta superficiale, il loro sound a tratti destabilizzante vive di decine di varianti, di cui le più ordinarie sono quelle progressive, shred, rock, hard rock e groove, passando da sfumature moderne e jazzy ad altre, come nella title track che si avvicina al periodo settantiano, con tanto di organo sopra un tappeto di suoni tra i più disparati.
La band nasce nel 2010 e tre anni dopo licenzia l’esordio in formato ep (Multispectral Supercontinuum), ancora altri tre anni passano prima che Magnitude Of Thoughs arrivi negli stereo degli appassionati e, credetemi, per certi versi, questo lavoro è quanto di più estremo si possa trovare in circolazione.
Tale termine si usa non solo per descrivere la violenza tout court, ma pure per un modo di porsi fuori dagli schemi ed assolutamente per pochi: e di estremo in questo lavoro, partendo dall’opener Terahertz, non manca nulla: una cascata arrembante di note su note, a tratti progressive o vicine al death, molte a sezionare rock per riproporlo in maniera dissonante, sempre con la velocità esecutiva che non scende praticamente mai dai limiti consentiti, ed una voglia di stupire che è pregio e difetto del gruppo canadese.
A tratti, infatti, manca la forma canzone e per chi si pone in maniera superficiale all’ascolto molti passaggi rasentano la cacofonia, anche se per molti sarà follia compositiva alla John Zorn, tanto per fare un esempio su chi più deve aver influenzato i Teramobil.
Certo è che Mathieu Bérubé (chitarra), Dominic”Forest”Lapointe (basso) e Alexandre Dupras (batteria) sanno il fatto loro e viaggiano sullo spartito con una facilità di esecuzione straordinaria.
Album dal difficile ascolto se non si è amanti del metal estremo tecnico e strumentale.

TRACKLIST
1.Terahertz
2.Magnitude Of Thoughts
3.Thanatonaut
4.Deconstruct Metabolism
5.Synchrotron
6.Exoteric
7.The Armada

LINE-UP
Mathieu Bérubé – Guitar
Dominic”Forest”Lapointe – Bass
Alexandre Dupras – Drums

TERAMOBIL – Facebook

Tethra – Like Crows For The Earth

Like Crows For The Earth è, un album magnifico, che porta di diritto i Tethra al livello delle band di punta del doom tricolore

Sono passati quattro anni dall’ottimo full length Drown In The Sea Of Life ed oggi ritroviamo i Tethra alle prese con un nuovo album intitolato Like Crows For The Earth.

Come spesso accade a troppe band, il vocalist Clode, unico membro originale rimasto, nel frattempo ha dovuto rivoluzionare la line-up approdando ad una formazione a cinque che, rispetto al passato, si avvale dell’apporto di due chitarristi.
Troviamo così, ad affiancare il musicista novarese, Luca Mellana e Gabriele Monti alle sei corde, Salvatore Duca al basso e Lorenzo Giudici alla batteria, a comporre un organico che, a giudicare dall’esito finale, si rivela del tutto all’altezza della situazione, con l’auspicio che ciò possa garantire a lungo termine una certa stabilità.
Come per il suo predecessore la produzione è stata affidata alle mani esperte di Mat Stancioiu, mentre anche il mastering, eseguito da parte dell’eminenza grigia del doom Greg Chandler (Esoteric), e l’artwork, curato da Marco Castagnetto, sono indicatori netti della volontà di non trascurare il benché minimo particolare, in modo da consegnare al pubblico un prodotto impeccabile sotto tutti gli aspetti.
L’obiettivo viene ampiamente raggiunto in virtù di un scrittura varia, che porta i Tethra a spaziare tra le diverse anime del doom, partendo dal gothic, passando a quello di matrice più classica per giungere, infine, a quello dai toni dolenti ed animato da pulsioni death: il tutto viene sviluppato con la massima consapevolezza e maturità, riuscendo nella non facile impresa di mantenere un’impronta ed un’identità precisa, nonostante la tracklist sia composta da una serie di brani dotati ciascuno della propria peculiarità.
L’album si apre con la breve intro acustica Resilience che prepara il terreno a Transcending Thanatos, episodio già sufficientemente indicativo di una maggiore propensione gotica: in particolare lo splendido e trascinante refrain ha riesumato nella mia memoria di vecchio appassionato i misconosciuti olandesi Whispering Gallery, autori di tre oscuri gioelli di death doom melodico all’inizio del secolo.
Prelude to Sadness, altro strumentale, introduce Springtime Melancholy, canzone che, pur restando nei canoni del doom tradizionale, mostra una volta di più una maggiore propensione melodica che trova sfogo nell’ottimo assolo conclusivo di Luca Mellana.
E’ il sitar ad aprire Deserted, traccia che, nonostante l’incipit di tutt’altro tenore, si rivela il brano più trascinante ed immediato del lotto, in virtù di un riffing micidiale, un chorus di grande presa ed un break centrale contrassegnato da un altro azzeccato assolo: insomma, qui si trovano tutti gli ingredienti necessari per imprimere la traccia nella memoria, mantenendo intatta la profondità del genere proposto.
L’interludio Subterranean mette in mostra le doti vocali di Clode, che se già prima era lecito considerare un vocalist di indubbio valore, con questo lavoro innalza ulteriormente il proprio livello, spiccando per versatilità e spaziando da tonalità estreme (growl con qualche sconfinamento nello screaming) a profonde ed evocative clean vocals che non possono che rimandare a quelle di Fernando Ribeiro, uno dei modelli di riferimento per chiunque si cimenti in questo genere musicale.
Subito dopo si palesa il momento in cui l’album trova la sua ideale sublimazione con un brano magnifico come The Groundfeeder, che si può considerare idealmente il manifesto musicale dei nuovi Tethra, unendo alla perfezione le diverse anime del sound ed andando a lambire, in certi passaggi strumentali, l’emozionalità dei migliori The Foreshadowing.
Entropy è l’ultimo dei frammenti acustici, preparatorio al trittico finale aperto dalle belle melodie chitarristiche di Synchronicity Of Life And Decay, traccia che si sviluppa poi in maniera piuttosto ritmata e chiusa ancora una volta da un assolo brillante che riporta, infine, al punto di partenza, mentre Earthless spinge ancor più sul versante gothic grazie a linee melodiche irresistibili che si alternano a passaggi più rarefatti, esaltati da una prestazione superlative di Clode dietro al microfono: ancora un brano magnifico per intensità e attrattività.
A chiudere il lavoro ci pensa la title track, ultima delle gemme offerte da un album di qualità a tratti sorprendente, il cui suggello non può che essere il brano più malinconico ed oscuro del lotto, esempio magistrale di come il doom possa offrire quel turbinio di sensazioni che ad altri generi non sempre è concesso fare.
Like Crows For The Earth è, semplicemente, un disco magnifico, che porta di diritto i Tethra al livello delle band di punta del doom tricolore, grazie all’approdo ad una forma capace di veicolare in maniera più diretta ed efficace quei toni dolenti e malinconici che sono la componente imprescindibile del genere.

Tracklist:
1.Resilience (intro)
2.Transcending Thanatos
3.Prelude To Sadness
4.Springtime Melancholy
5.Deserted
6.Subterranean
7.The Groundfeeder
8.Entropy
9.Synchronicity Of Life And Decay
10.Earthless
11.Like Crows For The Earth

Line up:
Clode Tethra – Vocals
Luca Mellana – Guitars
Gabriele Monti – Guitars
Salvatore Duca – Bass
Lorenzo Giudici – Drums

TETHRA – Facebook

Morta Skuld – Wounds Deeper Than Time

La devastante e morbosa atmosfera di malignità e potenza, l’assoluta forza di questa raccolta di tracce, old school nell’animo ma fresche nel songwriting, non fanno che confermare la nomea dei Morta Skuld

Sembra davvero di essere tornati ai primi anni novanta, con una band storica come i Morta Skuld ed una label leggendaria come la Peaceville di nuovo insieme per regalarci ancora grande death metal old school.

Attiva dal 1990, la band proveniente dal Wisconsin fu molto attiva negli anni d’oro del death metal e, tra il 1993 (anno di uscita del primo full length Dying Remains) ed il 1997, furono quattro gli album di una carriera brillante, almeno nella scena estrema dell’epoca.
Poi, dopo l’uscita di Surface, il lungo silenzio durato quasi vent’anni ed interrotto dall’ep Serving Two Masters del 2014, antipasto di questo nuovo album che arriva come un treno in corsa ed impatta contro i crani dei deathsters mondiali.
Wounds Deeper Than Time è stato registrato ai Mercenary Studios da Scott Creekmore (Putrid Pile, Broken Hope, No Zodiac, Waco Jesus, Bloodline, Lividity), mentre la produzione è farina del sacco del gruppo di David Gregor chitarrista, cantante nonché fondatore dei Morta Skuld, oggi assieme aa Scott Willecke (chitarra), AJ Lewandowski (basso) ed Eric House (batteria).
Morta Skuld e Peaceville risultarono all’epoca una coppia vincente e il nuovo album, a distanza di così tanti anni, conferma questa brillante collaborazione.
Wounds Deeper Than Time è un album death metal come lo si faceva negli States negli anni novanta, ma con una verve ed un impatto che lo inseriscono senza problemi nella musica estrema di questo nuovo millennio.
La devastante e morbosa atmosfera di malignità e potenza, l’assoluta forza di questa raccolta di tracce, old school nell’animo ma fresche nel songwriting, non fanno che confermare la nomea dei Morta Skuld e del loro sound che, se non cambia di una virgola rispetto alle storiche opere, insegna death metal alle nuove generazioni.
Soffocante, potente e oscuro, il sound di brani come Breathe In The Black, Against The Origin e la title track fa parte della storia del metal estremo, seguendo i passi di Morbid Angel, Obituary e della splendida scena di quei gloriosi anni.

TRACKLIST
1.Breathe in the Black
2.Hating Life
3.My Weakness
4.Against the Origin
5.In Judgment
6.Wounds Deeper than Time
7.Scars Within
8.Devour the Chaos
9.Becoming One Flesh

LINE-UP
Scott Willecke – Guitars
Dave Gregor – Guitars, Vocals
Eric House – Drums
AJ – Bass

MORTA SKULD – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=aBsvNAs6ai4

Light Of The Morning Star – Nocta

Nocta è la summa di quanto di meglio possa offrire il metal più tenebroso quando si fonde con un senso gotico della melodia, e il disco potrebbe essere la colonna sonora della notte di un vampiro, che desidera lascivamente nottetempo ma al contempo è conscio di essere maledetto.

Non si sa granché di O-A, unico deus ex machina di Light Of The Morning Star, ma spiega molto più la sua musica che mille parole.

Dopo aver esordito nel 2016 con l’ep Cemetery Glow, andando ad esplicare le coordinate del progetto, O- A torna con questo debutto sulla lunga distanza, che è notevole. Nocta è la summa di quanto di meglio possa offrire il metal più tenebroso quando si fonde con un senso gotico della melodia, e il disco potrebbe essere la colonna sonora della notte di un vampiro, che desidera lascivamente nottetempo ma al contempo è conscio di essere maledetto. Questi nove cantici oscuri sono pieni di melodie sensuali e di distorsioni che accompagnano una tenebrosa eppure calda narrazione, senza fronzoli o autocompiacimenti, ma solo tanta nera sostanza. Molti sono i generi trattati, da una radice funeral doom melodica si passa ad un gothic metal con sfumature black melodiche, ma su tutto domina la melodia. Le canzoni sono strutturate in maniera da creare un climax che trasporta l’ascoltatore in un limbo piacevole, ma assai vicino alla morte, che è comunque uno stadio della nostra natura. O-A compone e suona da solo un album di canzoni bellissime e lascive, sensuali e vampiresche, il tutto con una lucidità ed una facilità musicale che non possono che stupire. Si rimane fortemente attratti da questa musica magnetica che sa di castelli polverosi e cimiteri con la nebbia, da ascoltare al buio e con le cuffie.
Nocta piacerà molto a chi ama il doom ed il metal più dark, ed è propenso a fare incursioni sonore in altri ambiti musicali.

TRACKLIST
1.Nocta
2.Coffinwood
3.Serpent Lanterns
4.Grey Carriages
5.Crescentlight
6.Oleander Halo
7.Ophidian
8.Lord of All Graves
9.Five Point Star

LIGHT OF THE MORNINGSTAR – Facebook

Tre Chiodi – Murmure

Un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da’assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

Affascinante progetto alternativo, non solo musicalmente parlando, ma anche concettualmente per i temi trattati.

Nato nel 2014, il progetto Tre Chiodi è formato da Babu (batteria), Enrico (voce e chitarra) e Zilty (basso): il loro sound si manifesta urgente, dalla tensione palpabile mentre alternative rock, stoner e grunge nirvaniano si alleano per sommergerci di watts.
Il concept scelto per Murmure riguarda il corpo umano ed ognuno dei nove brani prende ispirazione da una sua parte in una pazza e quanto mai originale proposta.
Passati i primi ascolti e digeriti i testi, a tratti leggermente forzati nel voler essere originali a tutti i costi, rimane l’ottima parte strumentale, dove i Tre Chiodi giocano con il rock alternativo americano degli anni novanta, partendo dal grunge della piovosa Seattle, viaggiando tra il deserto della Sky Valley ed arrivando al noise newyorchese.
A livello lirico i brani sono dei monologhi tra il parlato ed il cantato, mentre la chitarra urla torturata dall’elettricità, il basso pulsa come il cuore affaticato di chi si è perso nel deserto e le pelli si strappano sotto i colpi inferti da Babu.
Cuore, bellissima, intensa ed attraversata da una vena psichedelica, è a mio avviso il punto più alto di questo intrigante ed intricato lavoro, nel quale il trio viene aiutato da ospiti che duettano con Enrico, come Mirko (8ful Strike) e Folake (Hit-Kunkle).
Murmure, che in latino indica il suono dei polmoni mentre respirano, è un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

TRACKLIST
1.Trago
2.Lingua
3.Anche
4.Cuore
5.Denti
6.Vertebra
7.Orbite
8.Colon
9.Capelli

LINE-UP
Babu – Drums
Enrico – Vocals, Guitars
Zilty – Bass

TRE CHIODI – Facebook

Vanik – Vanik

Immaginate il massacro nella sala cinematografica del film Demoni di Lamberto Bava (1985): uno dei brani di questo album avrebbe potuto fungere da colonna sonora al bagno di sangue perpetrato dall’orda di malefici e famelici servi del demonio a colpi di heavy speed metal.

Dall’ underground metallico statunitense dalle reminiscenze old school, arrivano i Vanik creatura horror del musicista Shaun Vanek (Midnight, Vandallus, Whitespade, Eternal Legacy, Breaker, Manimals, Sixx), aiutato in questa avventura da Ed Stephans (Ringworm,Shok Paris, Gluttons) al basso e Al Biddle (Toxic Holocaust, Cauldron, Diemonds, Castle) alle pelli.

Alcune delle band in cui militano i tre demoni metallici sono vecchie conoscenze, quindi è un piacere per il sottoscritto presentarvi questo buon lavoro omonimo, un album che più old school di così non si può, ma che risulta ben confezionato, con una produzione in linea con la musica suonata, ed un lotto di brani che strappano più di un ghigno beffardo e maligno.
Vanik parte a tavoletta e non si ferma più, lasciando un cumulo di cadaveri al suo passaggio, un massacro a colpi di velocissimi e taglienti solos che Shaun Vanek rifila come mazzate terrificanti: un heavy metal con targa anni ottanta, sparato a mille e con una combustione letale di soluzioni speed e rock ‘n’roll, testi che fanno riferimento ai film horror di serie b, una venerazione per gli storici Venom e tanta attitudine vecchia scuola,
La voce di Vanik, in linea con il cantato speed/thrash ottantiano (e non poteva essere altrimenti), canta di omicidi, demoni, zombie e di tutte le creature che dominano il mondo horror trash, mentre le ritmiche si fanno sempre più serrate ad ogni brano e la chitarra sporca di sangue innocente continua il suo martirio.
Trenta minuti bastano per il primo massacro targato Vanik, ed è una mezzora di headbanging sfrenato sulle ali dell’heavy speed metal old school.
Un album che non ha chance di uscire dal confine dell’underground, ma può solo continuare a vivere nel mondo parallelo dei lavori cult, sapendo come far divertire gli amanti del genere.
Immaginate il massacro nella sala cinematografica del film Demoni di Lamberto Bava (1985): uno dei brani di questo album avrebbe potuto fungere da colonna sonora al bagno di sangue perpetrato dall’orda di malefici e famelici servi del demonio a colpi di heavy speed metal.

TRACKLIST
1. Deadly Pleasures
2. Fire Again!
3. One More Dose
4. The Blackest Eyes
5. Blood Sucking Lust
6. Dr. Speed
7. Midnight Ghoul
8. Eat You Alive
9. Island Of Lost Souls

LINE-UP
Vanik – Guitars/Vox
Ed Stephans – Bass
Al Biddle – Drums

VANIK – Facebook

Noêta – Beyond life And Death

Un album che deve essere assimilato nella sua forma di continuo flusso sonoro, capace di colpire e scuotere emotivamente quegli animi che non si sono ancora del tutto assopiti.

Come sempre, dalla scuderia della Prophecy giunge a noi musica mai banale e che, nella maggior parte dei casi, costringe chi vi si approccia ad uno sforzo in più per scongiurare il rischio di non cogliere il valore del contenuto delle diverse proposte della label tedesca.

Confesso che, nel caso del full length d’esordio del duo svedese Noêta, ho faticato più del solito, a causa del sound rarefatto ed essenziale che, soprattutto nella fase iniziale del lavoro, vede in primo piano la voce salmodiante di Êlea stagliarsi su un tappeto ora tenuemente percussivo, ora acustico ma privo di quegli slanci di immediatezza melodica capaci di conquistare al primo ascolto.
Ma la musica dei Noêta è perfettamente allineata alle tematiche tutt’altro che lievi proposte a livello lirico, sicché la ricerca del significato dell’esistenza, la presa di coscienza della sua imperscrutabilità e lo sgomento che ne consegue, divengono un tutt’uno con suoni pervasi da un constante senso di inquietudine.
Folk, dark, ambient vanno a comporre una quadro affascinante, in grado di insinuarsi con inesorabile lentezza tra le pieghe dell’animo, lasciando al termine dell’ascolto un languido senso di vuoto che mette in stand by ogni sensazione, piacevole o dolorosa che sia.
Come si diceva in apertura, la fatica spesa per penetrare nel sound dei Noêta è ampiamente ripagata, specie nella parte centrale di Beyond life And Death, quando è lo struggimento a prendere campo con una coppia di perle musicali quali In Void e Dead Soil, ma è quasi superfluo precisare come l’album debba essere assimilato nella sua forma di continuo flusso sonoro, capace di colpire e scuotere emotivamente quegli spiriti che non si sono ancora del tutto assopiti.

Tracklist:
1.Beyond Life
2.In Drowning
3.Darkest desires
4.Pneuma
5.In Void
6.Dead Soil
7.Beyond Death
8.In Thunder
9.Urkaos

Line up:
Êlea
Ândris

NOÊTA – Facebook

Cremation – Retaliation

Per gli amanti del death metal che vogliano riscoprire piccoli gioielli dimenticati nel tempo, Retaliation risulta un lavoro di assoluto interesse, peccato solo per il fatto che quel lavoro resta l’ultima testimonianza dei Cremation.

In questi anni in cui le uscite quotidiane in ambito metallico sono pari alla quantità di persone che alle sette del mattino si riversano nelle strade per andare al lavoro, un’iniziativa come quella della Vic Records, cioè ristampare i lavori di quei gruppi che negli anni storici del metal estremo non trovarono grossa fortuna, sembrerebbe avventata, eppure per chi ama il death metal, la label olandese sta rispolverando degli autentici gioiellini come questo bellissimo primo ed unico album dei deathsters Cremation.

Il gruppo olandese si formò nel 1993 e per tutto il decennio sfornò opere minori in formato demo e split fino al 2002, anno in cui uscì Retaliation, un ottimo esempio di death metal tra tradizione europea e statunitense, impreziosito da una tecnica sopraffina, un esaltante lavoro ritmico e, scusate se è poco, ottime canzoni.
Nella nuova riedizione troviamo, oltre all’album, delle bonus track prese dai primi demo del gruppo ,quindi un lavoro completo e perfetto per fare una buona conoscenza del quartetto di Utrecht.
Capitanati da Paul Baayens, chitarrista e cantante con un passato in gruppi cardine della scena di quegli anni (Asphyx, Hail of Bullets, Thanatos) i Cremation con questo primo album uscito quasi dieci anni dopo la loro nascita si rifecero del tempo perduto: il lotto di brani raccolti in Retaliation non lascia scampo con un sound che ai Death si ispirava tecnicamente, ma non mancava di rimarcare la loro appartenenza alla scuola europea di quel periodo.
Retaliation risulta così un ottimo album, un macigno di oscuro death metal old school suonato benissimo ed ispirato in fase di songwriting; i brani vomitati dalle casse travolgono l’ascoltatore senza soluzione di continuità, un massacro che mantiene in evidenza l’ottima tecnica dei musicisti coinvolti.
Per gli amanti del death metal che vogliano riscoprire piccoli gioielli dimenticati nel tempo, Retaliation è un lavoro di assoluto interesse, peccato solo per il fatto che quel lavoro resta l’ultima testimonianza dei Cremation.

TRACKLIST
1.Vanished into Oblivion
2.The Void
3.Sempiternal Hatred
4.Intangible Malignancy
5.Veil of Secrecies
6.Futile Existence
7.Stain of Purity
8.The Prohibition of Light
9.Deceptive Felicity
10.Beyond the Edge of Insanity
11.Suffer in Obedience
12.Waiting for the Sun
13.Unjustified Judgements
14.Echeos of Mayhem
15.Valediction
16.Deceptive Felicity
17.Futile Existence

LINE-UP
Paul Baayens – Vocals, Guitars
Joost de Boer – Guitars
Michiel Stoop – Bass
Benito ‘Bono’ Grotenberg – Drums

Sepultura – Machine Messiah

Machine Messiah è un ottimo disco di metal moderno, con molte influenze e anche sperimentazioni, un andare avanti senza guardarsi indietro, pur tenendo conto di un glorioso passato.

Nuovo disco per i Sepultura, ed è decisamente un’ottima prova. Potremmo stare a discutere ore addirittura soltanto sulla legittimità dell’usare il marchio di fabbrica Sepultura da parte di Andreas Kisser e Paulo Jr., ma qui non siamo in un aula di tribunale.

Qui diamo suggerimenti e condividiamo i nostri ascolti, e questo è un grande ascolto. Machine Messiah è un ottimo disco di metal moderno, con molte influenze e anche sperimentazioni, un andare avanti senza guardarsi indietro, pur tenendo conto di un glorioso passato. Fin dalla prima canzone si capisce che questo è forse il disco più incisivo dei nuovi Sepultura, con Derrick Green in forma strepitosa, con una voce molto aggressiva e potente, che graffia ferocemente sul tappeto sonoro. Andreas Kisser è un grande compositore metal e non solo, lo si capisce molto bene con Machine Messiah e, se vi capita, andate a cercarvi le sue colonne sonore e capirete ancora meglio.
L’ intelaiatura delle canzoni è notevole, basterebbe ascoltare Iceberg Dances che da una fuga di organo diviene un esercizio flamenguero per poi andare verso un prog metal spaziale. La produzione è grandiosa, i suoni sono precisissimi e molto potenti, e non manca una bilanciatura più che adeguata, con l’uso delle tastiere che rende ancora più magniloquente il tutto.
Ci sono tantissime cose dentro questo disco, e vale la pena esplorarle tutte. Per divertirsi qui viene richiesta solo un po’ di apertura mentale e l’apertura di una linea di credito verso la nuova incarnazione dei Sepultura, e ne verrete soddisfatti grandemente. Machine Messsiah è un disco potentissimo e notevole che saprà soddisfare molti gusti metallici, soprattutto di chi ha fame e voglia di musica diversa e progressiva nella sua direzione.
Si deve ascoltare la musica e non parlare di un nome, e i Sepultura ci sono, eccome se ci sono.
Intanto, da più di trent’anni la storia continua.

TRACKLIST
01. Machine Messiah
02. I Am The Enemy
03. Phantom Self
04. Alethea
05. Iceberg Dances
06. Sworn Oath
07. Resistant Parasites
08. Silent Violence
09. Vandals Nest
10. Cyber God

LINE-UP
Andreas Kisser – Guitars
Derrick Green – Vocals
Eloy Casagrande – Drums
Paulo Jr. – Bass

SEPULTURA – Facebook

Daemoniac – Spawn Of The Fallen

Fresco, estremo, cattivo e brutale, Spawn Of The Fallen è un’opera vecchia scuola con tutti i crismi per entrare nei cuori dei deathsters dai gusti classici.

Qui si fa death metal old school di matrice scandinava e lo si fa alla grandissima!

Licenziato dalla Xtreem Music, una potenza nell’underground estremo, arriva come un tornado a scoperchiare tombe in un cimitero il primo full length dei Daemoniac, trio milanese composto da vecchie conoscenze della scena estrema come Max (basso e voce, ex Horrid) e Dave (già con i Funest alle pelli), più il giovane chitarrista Nicko proveniente dagli Ekpyrosis.
Registrato in Svezia da Tomas Skogsberg negli storici Sunlight, Spawn Of The Fallen conferma l’ottimo momento per il death metal old school, con un gruppo italiano a spezzare schiene con una serie di brani violentissimi, dal songwriting di altissimo livello ed una predisposizione per il genere di un’altra categoria.
L’odore di morte proveniente dai cadaveri saltati fuori dai loculi è intenso e sembra arrivare davvero dalla terra scandinava dei primi anni novanta, le ritmiche forsennate attraversate da cambi repentini di tempo mantengono potenza e cattiveria, con il batterista che illumina la scena con un drumming da apocalisse zombie.
Il sound risulta fresco e la band ha personalità da vendere, mentre il growl di Max si avvicina terribilmente al brutal, e la valanga di riff che la sei corde di Nicko ci vomita addosso parla perfettamente la lingua musicale di primi Entombed, Dismember e Grave.
Il trio lombardo è una macchina da guerra estrema: senza nessuna concessione a facili melodie, Spawn Of The Fallen è composto da otto brani mediamente lunghi, e la bravura del gruppo sta anche nel non risultare prolisso, mantenendo un perfetto equilibrio nella la propria devastante proposta.
Fresco, estremo, cattivo e brutale, Spawn Of The Fallen è un’opera vecchia scuola con tutti i crismi per entrare nei cuori dei deathsters dai gusti classici.

TRACKLIST
01. Intro/Macabre Eucharist
02. Regurgitated From Hell
03. From Depths Of Hideous Chasms
04. Spawn Of The Fallen
05. Intro/Procreation Of Hatred
06. Cursed Hecatomb
07. Upon Golgotha
08. Cremation (Macrodex Cover)

LINE-UP
Max – voce, basso
Nicko – chitarra
Dave – batteria

DAEMONIAC – Facebook

THALOS

Il video di Storm, tratto dall’album Event Horizon, in uscita ad aprile.

Il video di Storm, tratto dall’album Event Horizon, in uscita ad aprile.

Antigony Records è lieta di annunciare che è uscito il video dei THALOS del brano “Storm”, primo estratto dal disco di debutto “Event Horizon”, in uscita ad Aprile 2017.

THALOS è un progetto videomusicale nato nel 2015 da tre musicisti e un videomaker. La filosofia applicata nel fare musica vede la creazione di un’identità unica per ogni brano, che prende vita e si trasforma in un viaggio diverso e memorabile.
Il primo album “Event Horizon” ha un’incredibile varietà sonora che passa dal Post-Rock all’Elettronica all’Ambient, caratterizzando in questo modo lo stile THALOS.

Steel Messiah – Of Laser And Lightning

Un ep discreto che non fa sicuramente gridare al miracolo, ma che regala una ventina di minuti immergendoci nella storia dell’heavy metal e per ora può bastare.

Una lunga intro ci da il benvenuto nel mondo dell’heavy metal old school degli Steel Messiah, quartetto tedesco all’esordio con questo ep di cinque brani dal titolo Of Laser and Lightning.

La giovane band sposa completamente l’attitudine metallica dei primi anni ottanta, il proprio sound è un buon mix tra Judas Priest e Saxon, prodotto quel tanto che basta per non risultare troppo vintage, e l’ep in questione è una sorpresina niente male se siete amanti della new wave of british heavy metal, con quel tocco epico che inorgoglisce il tutto.
Ai ragazzi tedeschi, del sound nato più tardi nelle sua terra d’origine non può fregare di meno: Of Laser And Lightning è heavy metal old school di origine controllata; ritmiche hard & heavy di estrazione sassone fanno da tappeto metallico alle sei corde priestiane, il cantante ricorda proprio Halford, anche se va un po’ in difficoltà sul falsetto.
Per il resto l’album gira che è un piacere, specialmente con Dr. Steel, la cattivissima Bringer Of Pain, Fast’n’Sharp con qualche accenno nei solos ai primissimi Iron Maiden e l’inno metallico Motorcycle Maniac, tributo ai Saxon (non così lontana dal famoso brano da biker, Motorcycle Man).
Un ep discreto che non fa sicuramente gridare al miracolo, ma che regala una ventina di minuti immergendoci nella storia dell’heavy metal e per ora può bastare.16

TRACKLIST
1.Struck by Lightning
2.Dr. Steel
3.Bringer of Pain
4.Fast n’ Sharp
5.Motorcycle Maniac

LINE-UP
Marius Röntgen – Bass, Vocals
Moritz Nothhelfer – Drums
Marcus Gläser – Guitars (lead)
Kai Wagner – Guitars (rhythm)

STEEL MESSIAH – Facebook

https://soundcloud.com/metalmessage/steel-messiah-struck-by-lightning

Asofy – Nessun Luogo

Nessun Luogo è un opera che alza di molto l’asticella rispetto al lavoro precedente, e non è detto che tutti riescano necessariamente a valicarla, prima o poi: la proposta degli Asofy rifulge per profondità ed integrità ma è necessario lavorarla con pazienza e predisposizione per coglierne appieno il significato lirico e musicale.

Asofy è il progetto musicale di Tryfar, artista multiforme noto anche come grafico.

Nel 2013 avevamo avuto l’occasione di parlare del precedente full length Percezione, un lavoro che aveva lasciato più di una sensazione positiva; oggi ritroviamo il musicista lombardo con Nessun Luogo, disco che lo vede operare in solitudine non avvalendosi più di Empio alla voce.
Il concept ruota attorno al quartiere dove Tryfar è cresciuto e alle trasformazioni che ha subito nel tempo, fenomeno tipico di tutte le periferie, destinate con il tempo a smarrire del tutto quello scampolo di identità che qualche decennio fa conservavano non essendo ancora state del tutto inglobate dalle grandi città o invase dalle sue infrastrutture.
Nel lavoro non si percepiscono sentori nostalgici o particolari forme di rimpianto dovute ai cambiamenti: quella di Tryfar appare come una sorta di accompagnamento musicale messo in sottofondo mentre si sfoglia un album di fotografie che ritraggono un quartiere in diverse epoche storiche: non c’è empatia neppure nel constatare l’ineluttabile avvicendarsi della popolazione, vista alla stregua del taglio di un albero o dell’abbattimento di un edificio : lo stesso incedere musicale è all’insegna di una certa uniformità, quasi che Tryfar voglia sottolineare la sua estraneità ad ogni forma di turbamento dovuta a trasformazioni più formali che sostanziali.
Il sound è una forma di dark ambient che ben si sposa con le tematiche trattate: gli arpeggi sono avari di aperture melodiche decise, privilegiando una sorta di oppressiva sospensione delle emozioni, lasciando solo alla lunga e conclusiva title track accelerazioni e barlumi di fruibilità ad accompagnarne i testi declamati con tonalità che, per lo più, appaiono quasi un sussurrato rantolo.
Nessun Luogo è un opera che alza di molto l’asticella rispetto al lavoro precedente, e non è detto che tutti riescano necessariamente a valicarla, prima o poi: la proposta degli Asofy rifulge per profondità ed integrità ma è necessario lavorarla con pazienza e predisposizione per coglierne appieno il significato lirico e musicale.

Tracklist:
1. Lontano da me
2. Nemeton
3. Fosca
4. Infine
5. Figure scure
6. Orizzonte
7. Memoria
8. Piccola disperazione
9. Nessun Luogo

Line-up:
Tryfar: Vocals, All instruments

The Chronicles Of Israfel – A Trillion Lights, Tome II

Un’opera originale che non mancherà di sorprendere chi si approccia alla musica senza barriere o muri tra un genere e l’altro.

The Chronicles Of Israfel è il progetto solista di Dominic Cifarelli, chitarrista dei Pulse Ultra, alternative band canadese con un album all’attivo per Atlantic all’alba del nuovo millennio.

A Trillion Lights, Tome II è il secondo capitolo di un concept iniziato nel 2007 con il primo album, Starborn Tome I, che a livello concettuale racconta il viaggio interiore del protagonista alla ricerca di un io migliore.
Le vicende di questo secondo capitolo vengono raccontate attraverso sessantacinque minuti di musica progressiva, che alterna metal moderno, thrash, folk e alternative metal rendendo l’opera molto originale e varia nell’ascolto.
Un viaggio, appunto, che dall’opener Colors Of The Energy Construct non lascia punti di riferimento e svolazza per i generi con buone idee e momenti resi emozionanti dal continuo cambio di comando in testa al sound, ora chiaramente influenzato dai Dream Theater, ora più estremo e molto vicino al thrash moderno di Devin Townsend, ora alternativo o delicatamente folk, quando i passaggi si fanno acustici.
Cifarelli dimostra di essere un ottimo songwriter e questo secondo capitolo continua a regalare ottima musica metal/rock assemblata perfettamente, come un puzzle difficilissimo ma molto affascinante.
Tra l’opener e la conclusiva e lunghissima The Turning Of The Heavens, strumentale da brividi che conclude questo secondo capitolo, è un susseguirsi di colpi di scena tra attimi progressivi, metal d’autore e rabbiose ripartenze tra thrash ed alternative in un sali e scendi di emozioni musicali.
Ottima la parte centrale con Spirit Carousel, Life I Know, In Ruins e Hatred In My Heart, ma è tutto l’album che funziona e ci consegna un musicista davvero in gamba nel trovare sempre soluzioni diverse per raccontare le vicende narrate.
Come detto i Dream Theater fanno capolino nelle parti progressivamente metalliche, ma non mancano accenni al folk sinfonico del menestrello Lucassen, inserito in un sound alternativo.
Un’opera originale che non mancherà di sorprendere chi si approccia alla musica senza barriere o muri tra un genere e l’altro.

TRACKLIST
1.Colors Of The Energy Construct
2.Goddamned
3.I Remember
4.Nightmare
5.Spirit Carousel
6.Life I Know
7.In Ruins
8.Hatred In My Heart
9.Violet Empress (Last Love)
10.Greet The Sun
11.A Trillion Lights
12.Incendia
13.The Turning Of The Heavens

LINE-UP
Live Band:
Dominic Cifarelli : Vocals, Guitars
Justin Piedimonte: Drums
Andrew Wieczorek: Keys, Piano, Vocals
Marc Durkee: Bass, Backing Vox

Allumni On Record:
Vincent Cifarelli: Piano, String Arrangements
Rico Antonucci: Vocals

THE CHRONICLES OF ISRAFEL – Facebook

Praecognitvm- Inalienable Catharsis

Accelerazioni, grandi respiri e soprattutto ottimo black metal fanno di questa cassetta qualcosa di molto di più di un demo e un grandissimo inizio per questo duo cileno, che regalerà grandi emozioni.

Demo di debutto di questo duo cileno uscito in forma digitale l’anno scorso. Questo demo, che è davvero riduttivo definirlo come tale, ha impressionato moltissimo i satanisti che stanno dietro alla Iron Bonehead Production, tanto da voler farlo uscire in cassetta.

Il motivo di cotanto stupore è presto chiarito dal primo ascolto del disco, che è davvero buono. Il suono dei Praecognitvm è un black metal classico misticheggiante, fatto in maniera semplice eppure incredibile perché hanno una melodia ed una classicità black metal che desta stupore. Sembra che riesca tutto facile a questo duo cileno, quattro pezzi per ventisette minuti di puro godimento, che lasciano l’ascoltatore estremamente soddisfatto, e che danno quel sentire che solo i grandi dischi di black metal hanno, e che i black metallers conoscono molto bene. La produzione è lo fi in maniera adeguata, anche se si sente che c’è un certo lavoro dietro, e soprattutto una perfetta conoscenza di come rendere questo suono. Le canzoni sono nere poesie che avanzano ineluttabili, portandoci in un tempo ed in un luogo dove l’uomo starebbe molto meglio rispetto ad ora. Accelerazioni, grandi respiri e soprattutto ottimo black metal fanno di questa cassetta qualcosa di molto di più di un demo e un grandissimo inizio per questo duo cileno, che regalerà grandi emozioni.

TRACKLIST
1.Forest of Shattered Souls
2.Path to Oblivion
3.Reminiscence
4.Ashes and Blood

PRAECOGNITVM – Facebook

Dharma Storm – Not An Abyss Prey

I Dharma Storm si lasciano molte porte aperte a livello di sound per un futuro che non può che essere dalla loro parte: ascoltateli e affrontate anche voi mari tempestosi, non ve ne pentirete.

Beh, che dire di un gruppo privo di timori nell’affrontare il complesso mondo del metal dai richiami sinfonici con personalità ed una punta di originalità che, col tempo daranno ragione al suo modo di intendere e suonare il genere?

Intanto partiamo dalla cosa più importante: i Dharma Storm sono italiani, precisamente di Ladispoli (Lazio), sono attivi dal 2009 (anche se la line up si consolida due anni dopo) e hanno all’attivo un ep, uscito tre anni fa, che ha dato la possibilità al quintetto di girare per i palchi dello stivale metallico.
Passiamo a questo ottimo esordio, Not An Abyss Prey, alla sua ora abbondante di durata ed al suo sound che varia appunto tra i generi appartenenti alle correnti che fanno capo al metal classico, sviluppatisi in questi anni.
I Dharma Storm non patiscono sicuramente la tensione dell’esordio ignorando chi giudicherà il loro sound troppo dispersivo e partono a vele spiegate nella tempesta metallica tra passaggi di grintoso thrash metal, tappeti sinfonici, pause in cui le atmosfere folk ricamano di raffinatezza popolare molti brani, ed ottime parti ritmiche che richiamano l’eleganza del metal progressivo.
Un lungo navigare in acque che si calmano per poche miglia, prima di tornare a torturare il sinuoso veliero ormai allo stremo sotto le sferzate thrash metal dei Dharma Storm: una menzione per il gran lavoro delle tastiere sempre presenti e colpevoli di donare un tocco epico a brani come la cavalcata sinfonica che apre l’album (Immortal Crew), la varia Blackout, l’agguerrita (nelle parti chitarristiche) Emerged e la spettacolare Live Together…Die Alone, lunga suite strumentale che funge da sunto compositivo di questo ottimo debutto.
I Dharma Storm si lasciano molte porte aperte a livello di sound per un futuro che non può che essere dalla loro parte: ascoltateli e affrontate anche voi mari tempestosi, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1.Immortal Crew
2.Night of the Burning Skulls
3.Blackout
4.Trail of Tears
5.Across the Line of Time
6.Emerged
7.The Possessed One
8.God Is Gone
9.Live Togheter..Die Alone
10.Jolly Roger

LINE-UP
“Brandy” Marco De Angeli – voice
“Mingo” Nicholas Terribili – drum
“Harry” Daniele Castagna – guitar
“Bois” Dario La Montagna – keyboard
“Piece” Gianluca Lancianese – bass guitar

DHARMA STORM – Facebook

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