CELLADOR

Il lyric video di Shadowfold, tratto dall’album Off The Grid, in uscita a marzo.

Il lyric video di Shadowfold, tratto dall’album Off The Grid, in uscita a marzo.

I Cellador hanno pubblicato il lyric video del brano ‘Shadowfold’, tratto dall’attesissimo nuovo album della band ‘Off The Grid’, in uscita il prossimo 10 Marzo su Scarlet Records.

I Cellador affondano le proprie radici nei primi anni 2000, anni in cui si ponevano in netta antitesi con la scena metal dominante all’epoca negli Stati Uniti. La loro formula, fatta di power metal potente e velocissimo, linee vocali ultra-melodiche e un songwriting sempre originale ed accattivante, unita ai loro intensissimi live show, hanno presto fatto assurgere la band ad un ruolo di vero e proprio culto. Subito dopo la pubblicazione dell’album di debutto ‘Enter Deception’ (2006) la critica li ha definiti “I nuovi Re del Power Metal americano”, spianando loro la strada verso il successo internazionale e permettendogli di dividere il palco con artisti blasonati come Trivium, Helloween, Sonata Arctica, Queensryche, Gamma Ray, Bullet For My Valentine, Behemoth, Hatchet, Havok, Vale of Pnath, Protest The Hero, Moonspell, Amaranthe e molti altri.

Dopo un’attesa durata molti anni, la band è finalmente pronta alla pubblicazione del nuovo album ‘Off The Grid’, che uscirà dunque sotto l’egida di Scarlet Records, con cui il quintetto di Denver, Colorado, ha recentemente siglato un nuovo contratto discografico. Il disco è stato masterizzato da Peter Rutcho ai Damage Studios (Havok, Revocation) di Southbridge, Massachusetts, mentre l’artwork reca la firma di Colin Marks (Rain Song Design).

The Great Old Ones – EOD: A Tale of Dark Legacy

La band transalpina prosegue la sua elaborazione del verbo lovecraftiano con un terzo album pregno di atmosfere black malsane e orrorifiche.

I’m finally here…i’m finally here in Innsmouth“… questi sono i primi versi dell’ intro del terzo full della band francese di Bordeaux The Great Old Ones, realtà della scena black e post-black; fino dagli esordi “Al Azif ” del 2012 il loro suono e i loro testi sono stati totalmente devoti al culto di H.P.Lovecraft, maestro dell’ orrore cosmico e cantore dei Grandi Antichi e del mito di Cthulu.

L’Ordine Esoterico di Dagon è un culto importato da Obed Marsh (da conoscere l’omonima doom band australiana) in Innsmouth poco dopo il 1800, dove gli adepti si sottoponevano, per ottenere imperitura prosperità, a insane unioni con esseri mostruosi derivanti dagli abissi; la band si immerge completamente nelle atmosfere oscure e malsane evocate dal racconto del maestro di Providence creando un opera a forti tinte black metal, limando al meglio i dettagli post-black presenti sui precedenti lavori; per raggiungere questo obiettivo il suono prodotto da ben tre chitarre parte da un veemente assalto black metal (The Shadow over Innsmouth) colmo di repentini cambi di tempo con uno screaming cupo, passa attraverso momenti più sperimentali come The Ritual che, con percussioni e tastiere, crea veramente un mood di angosciante attesa prima di evolvere in una malvagia cavalcata black; tutti i brani, in totale sette compreso il breve intro, sono tesi a “mostrare” l’atmosfera presente nel racconto di Lovecraft e una menzione speciale per Mare Infinitum, l’ ultimo brano che nei suoi abbondanti dieci minuti dipana un oscuro aroma di antica magnificenza. In definitiva un buon album che ha bisogno di attenti ascolti per poter essere assimilato in toto, magari rileggendo, per poter cogliere tutte le sfumature, lo splendido racconto di Lovecraft; nel panorama internazionale dell’estremo ormai ci sono diverse band death (dal sudamerica, ma non solo) e black che, partendo dagli scritti del maestro, creano un suono che cerca di ricordare le atmosfere malsane, orrorifiche generate dalla mente dello scrittore americano.

TRACKLIST
1. Searching for R. Olmstead
2. The Shadow over Innsmouth
3. When the Stars Align
4. The Ritual
5. Wanderings
6. In Screams and Flames
7. Mare Infinitum

LINE-UP
Sébastien Lalanne – Bass
Xavier Godart – Guitars
Benjamin Guerry – Guitars, Vocals, Lyrics, Songwriting
Léo Isnard – Drums
Jeff Grimal – Guitars, Vocals

THE GRAET OLD ONES – Facebook

TETHRA – PLATEAU SIGMA – TENEBRAE – ABYSSIAN – The One, 11/2/17

Cronaca del release party del nuovo album dei Tethra, Like Crows For The Earth.

La presentazione dell’ultimo album dei Tethra, Like Crows For The Earth, in quel di Cassano d’Adda, è stata contraddistinta da una forte presenza ligure, essendo stati chiamati a partecipare alla serata anche i genovesi Tenebrae e gli imperiesi Plateau Sigma, oltre ai lombardi Abyssian: mi sia concesso, quindi, un piccolo moto d’orgoglio campanilistico, visto che anche MetalEyes ha la sua base nell’aspra lingua di terra compressa tra l’Appennino ed il mare.

L’occasione si prospettava irrinunciabile per gli appassionati di sonorità oscure e gravitanti nei dintorni del doom, considerando che tutte le band presenti erano in qualche comodo collegabili al genere, sia pure ciascuna caratterizzata da un diverso approccio.
La location scelta dai Tethra è stata il The One Metal Live, locale che si trova nell’ampio seminterrato di un centro commerciale della cittadina lombarda, il che consente di poter suonare fino a tarda ora senza rischiare di disturbare la pubblica quiete, stante la notevole distanza dalle abitazioni (basta non abusarne, però … iniziare una serata con quattro band alle 22 porta inevitabilmente l’ultima ad esibirsi in orari improbabili, con tutte le controindicazioni del caso); lo spazio davanti al palco è sufficientemente ampio per ospitare un buon numero di persone, e il fatto che il bar si trovi in un’area separata consente di godere dei concerti rigorosamente al buio e senza il nocivo disturbo degli schiamazzi tipici di chi preferisce bere e parlare anziché ascoltare la musica (problema che affligge i locali piccoli strutturati, invece, su un unico ambiente).

Abyssian – Foto di Chiara Bonanno

Ad aprire la serata sono stati i milanesi Abyssian, dediti ad un buon gothic dark/doom ispirato, tra gli altri, dai Paradise Lost, ed autori nel 2016 di Nibiruan Chronicles, un album capace di ottenere ottimi riscontri a livello di critica. Purtroppo l’esibizione della band lombarda, guidata da un musicista di grande esperienza come Rob Messina, ex membro di una delle band storiche del death tricolore come i Sinoath, è stata complicata in primis dall’assenza di un batterista, condizione con la quale i nostri stanno convivendo da qualche tempo, ed anche da alcuni problemi tecnici complicati ulteriormente dalla necessità di ricorrere a percussioni campionate.
La band ha comunque onorato al meglio l’impegno facendo intravedere le proprie notevoli potenzialità e mi auguro, pertanto, di avere al più presto l’opportunità di rivedere all’opera gli Abyssian in una situazione “di normalita”.

Tenebrae – Foto di Chiara Bonanno

Il secondo gruppo previsto nelle serata erano i Tenebrae, i quali, per fortuna, non sono stati afflitti dagli stessi problemi di chi li ha preceduti sul palco.
Inutile sottolineare come la conoscenza del repertorio e la frequentazione abituale delle esibizioni del gruppo genovese mi abbia consentito di godere appieno dell’esibizione, potendola più agevolmente parametrare rispetto al passato: ebbene, posso affermare tranquillamente che quella dell’altra sera è stata la migliore performance dei Tenebrae alla quale abbia mai assistito.

Tenebrae – Foto di Chiara Bonanno

Complice l’accresciuta coesione tra i componenti (in questo caso i due mesi dalla presentazione del nuovo disco non sono trascorsi invano) e anche una maggiore cattiveria dovuta, forse, al fatto di non suonare “in casa” (cosa che magari mette a proprio agio, ma inconsciamente fa smarrire qual pizzico di adrenalina in grado di fornire una marcia in più), il set è filato via in maniera travolgente, estraendo il meglio dallo splendido My Next Dawn.

Tenebrae – Foto di Chiara Bonanno

La title track, The Fallen Ones e As The Waves sono tracce magnifiche che non si finirebbe mai di ascoltare e, in quest’occasione Marco Arizzi, Pablo Ferrarese e compagni le hanno rese in maniera impeccabile e coinvolgente. Una gran bella iniezione di consapevolezza ed autostima per una band che ha dovuto soffrire, in passato, di tutte le problematiche connesse all’instabilità della line-up.

Plateau Sigma – Foto di Chiara Bonanno

Ancora Liguria, spostandoci però verso l’estremo ponente, con la salita sul palco dei Plateau Sigma, altra band che ho potuto vedere già più volte dal vivo grazie alla vicinanza geografica. Il quartetto imperiese ha dovuto un po’ comprimere il proprio set per il già citato slittamento in avanti dell’orario, ma ciò non ha pregiudicato un’esibizione che, questa volta, ha privilegiato il volto aggressivo ed orientato al funeral/death doom, piuttosto che i momenti più rarefatti e le pulsioni post metal che fanno ugualmente parte del background della band, come ampiamente riscontrabile dall’ascolto del magnifico Rituals.

Plateau Sigma – Foto di Chiara Bonanno

Il fulcro dell’esibizione è stato, comunque, un brano dall’alto tasso evocativo come Cvltrvm, contornato da altre tracce cariche di tensione, riversate sul pubblico da un gruppo caratterizzato da una proposta resa peculiare dall’alternanza vocale e chitarristica di Francesco Genduso e Manuel Vicari; le sonorità offerte dai Plateau Sigma non sono fruibili con immediatezza da chi non ne conosca già il repertorio, ma riescono a convincere ugualmente al primo impatto per l’intensità e la voglia di osare esibite sul palco.

Plateau Sigma – Foto di Chiara Bonanno

E finalmente arrivò il momento della presentazione del nuovo album da parte dei Tethra. Clode, vocalist e membro della band fin dagli esordi, nei quattro anni trascorsi dall’uscita di Drown Into The Sea Of Life, ha dovuto far fronte ad uno stravolgimento della line-up che lo ha visto quale unico superstite della formazione accreditata su quel disco.

Tethra – Foto di Chiara Bonanno

Un elemento, questo, che non può certo essere estraneo ai cambiamenti abbastanza sostanziali a livello di sonorità riscontrati nel nuovo e bellissimo Like Crows For The Earth (album che ho avuto occasioni di ascoltare più volte nei giorni precedenti e del quale parlerò più diffusamente nei prossimi giorni): il doom death granitico che era la base portante del sound si è stemperato in un gothic doom, sempre robusto ma senz’altro più fruibile, specie per la presenza di alcuni brani contenenti soluzioni capaci di trascinare il pubblico, uno su tutti Deserted, definibile quale una potenziale hit, se questo non fosse un termine che non dovrebbe mai stare nella stessa frase che contiene la parola doom …

Tethra – Foto di Chiara Bonanno

Clode, a mio avviso, è ulteriormente migliorato anche a livello vocale (benché fosse assolutamente all’altezza della situazione anche in precedenza, sia chiaro): specialmente le clean vocals sono oggi ancor più profonde ed evocative, e questo si rivela fondamentale in un lavoro nel quale tale soluzione ricorre più frequentemente che in passato.
I musicisti dei quali il vocalist novarese si è circondato sono apparsi perfettamente a loro agio, sobri e precisi, con nota di merito per Luca Mellana, capace di trasmettere le giuste vibrazioni con i suoi misurati ma efficaci assoli.
Anche se potrà sembrare un aspetto marginale, è stato interessante constatare un cambiamento anche a livello di immagine, con i Tethra passati ad una più elegante camicia color nero grafite al posto del saio sfoggiato in precedenti occasioni; la scaletta non ha seguito fedelmente quella del nuovo disco ma è stata rimescolata, inserendo anche a metà del set due brani tratti dal precedente lavoro.

Tethra – Foto di Chiara Bonanno

In questo modo la magnifica The Groundfeeder, altro esempio eloquente  dell’evoluzione del sound dei Tethra, è stata proposta nella parte iniziale, pur essendo la traccia che, di fatto, apre la seconda metà di Like Crows For The Earth, mentre comunque il finale è stato rispettato in pieno con la chiusura affidata all’altrettanto splendida title track.
Tra gli incitamenti di un pubblico non numerosissimo (in linea con le tendenze degli eventi doom in Italia) ma sicuramente partecipe, Clode e compagni hanno riproposto come bis la “catchy” Deserted, brano destinato a diventare un loro cavallo di battaglia in sede live, mettendo la parola fine ad una serata di musica che, personalmente, mi ha consentito di rivedere in un colpo solo, sia tra i musicisti che tra il pubblico, un consistente numero di belle persone con le quali è sempre un piacere condividere il tempo e le proprie passioni.

P.S. Un sentito ringraziamento a Chiara per il prezioso contributo fotografico.

False Reality – End Of Eternity

Un album d’altri tempi ma davvero riuscito, emozionale, dal piglio drammatico e melanconico, aggressivo quanto basta per piacere agli amanti del death metal classico

Melodic death metal, con uno sguardo alla scena dei primi anni novanta, dunque parti doom che a tratti lasciano in bocca quel gusto di evocativo, voce in growl profonda, il tutto amalgamato con ottimi spunti heavy prog: ecco cosa attendersi dal sound di End Of Eternity, prima prova sulla lunga distanza dei False Reality, sestetto rumeno, con il fiuto per melodie malinconiche e ispirazioni di scuola doom death.

La band di Braşov è attiva originariamente dal 1998 (ecco spiegato le molte similitudini con la scena novantiana), il suo primo demo infatti risale al 1999, seguito all’alba del nuovo millennio dall’ep Tales Of Eternity.
Poi una lunga pausa ne ha minato la carriera nella scena underground e, quando sembrava che la parola fine fosse ormai scritta sopra il nome della band, ecco che i musicisti rumeni tornano con un full length e l’ottimo lavoro svolto funge da nuovo inizio, questa volta sperando che sia più duraturo e costante.
Death metal melodico dicevamo, con un’attenzione particolare per il lavoro delle sei corde, dal piglio heavy, ritmiche che rallentano e accelerano passando da ritmiche di stampo doom, a mera potenza death, ed orchestrazioni che tornano prepotenti per regalare spettacolari brani orientaleggianti come il piccolo gioiellino Rih Al Khamsin, che al sottoscritto a ricordato gli Orphaned Land del primo, bellissimo, Sahara.
Un album d’altri tempi ma davvero riuscito, emozionale, dal piglio drammatico e melanconico, aggressivo quanto basta per piacere agli amanti del death metal classico, virtù riscontrabile appunto nei primi lavori dei Paradise Lost, ma anche e soprattutto degli Orphanage e della scena centro europea.
Sette brani per cinquanta minuti di ottimo metal estremo melodico non sono pochi, il gruppo come tutte le realtà provenienti dall’est sa il fatto suo e End Of Eternity risulta, grazie alle bellissime The Silence Within e Requiem Into Darkness (oltre alla citata Rih Al Khamsin), un’opera convincente e assolutamente consigliata.

TRACKLIST
1.Bewitched
2.The Silence Within
3.Rapture and Pain
4.Rih al Khamsin
5.Requiem into Darkness
6.End of Eternity
7.Dear Friend

LINE-UP
Ioan Alexandru Crișan – Vocals
Lucian Popa – Guitars, Vocals
Silviu Stan – Guitars
Vlad Amariei – Keyboards, Vocals
Marc Spedalska – Bass
Codrut Costea – Drums

FALSE REALITY – Facebook

TheBuckle – Labbrador

Labbrador piacerà a chi possiede una mente aperta e vuole ampliare i propri orizzonti musicali, senza lasciare nulla d’intentato, per lasciarsi possedere da ritmo che si fa logos molto potente.

Chitarra, voce e batteria, e tutti molto incazzati. Due sole persone ai comandi, che sono Andrea e Maxim insieme nei Unwelcome e nei Kessler.

La formula del super power duo calza alla perfezione, e il tappeto sonoro steso dai due è un hard stoner con tempistiche alla Queens Of The Stone Age, con un taglio molto noise nella costruzione dei banchi di melodie. Questa seconda prova del gruppo piacerà molto a chi ama la musica pesante fatta con cognizione e conoscenza musicale. Quest’ultima permette al duo di usare molti stili diversi per un unico risultato, arrivando ad un risultato notevole ed originale. Forte è anche l’impronta grunge, che si sente nella pesantezza e nella potenza di certi passaggi, perché gli anni novanta hanno lasciato un’eredità molto forte, e qui si sente tutta. Il dinamico duo sforna un disco che ha un ritmo incredibile dentro, come un ouroboros che si morde la coda in eterno, e fortunatamente è anche difficile scegliere un genere per questo gruppo. Si sale e si scende, si percorrono stretti corridoi e poi si cade in mare, per riprendere a correre senza fiato, insomma non ci si annoia mai. Tra le righe si possono sentire molte tradizioni di musica rumorosa, da quella americana a qualche reminiscenza di hard rock britannico, soprattutto in certi ritmi. Labbrador piacerà a chi possiede una mente aperta e vuole ampliare i propri orizzonti musicali, senza lasciare nulla d’intentato, per lasciarsi possedere da ritmo che si fa logos molto potente. Un disco labirintico.

TRACKLIST
1. Evil Sky
2. Goin’ Home
3. Hey You
4. Labbrador
5. Blind
6. Sixty-Two (Featuring Xabier Iriondo)
7. Think (Featuring Xabier Iriondo)
8. Perfect Black
9. Shemale (Featuring Xabier Iriondo)
10. On My Own
11. 12 Seconds

LINE UP
ANdREA
MaXIM

THEBUCKLE – Facebook

Sweeping Death – Astoria

Astoria è il classico esempio di come nel metal la durata dell’album sia solo un dettaglio ed il saper convincere e dire tutto senza prolissità è un dono pari della bravura tecnica.

Eccoci a presentare un’altra ottima band propostaci dal Markus Eck e dalla sua Metalmessage Global, agenzia tedesca sempre sul pezzo nel fornirci metal di un certo livello.

Il gruppo in questione sono i Sweeping Death, quartetto presentato come progressive thrash metal e a cui aggiungerei quale nota di presentazione anche una notevole maestria esecutiva.
Il giovane quintetto proveniente da Wildsteig taglia il traguardo del full length con Astoria, poco più di mezzora di funamboliche corse sullo spartito di un thrash metal entusiasmante per songwriting e bravura dei protagonisti.
Il sound del gruppo non si ferma ai soliti nomi della scena che accomuna sia i nomi storici della Bay Area che ovviamente quelli provenienti dalla madre patria, ma osa con atmosfere ed varianti musicali che ricordano Mekong Delta e soprattutto Savatage, non dimenticando che siamo nel nuovo millennio e che il progressive ha nobilitato anche il metal estremo (Opeth).
Ne esce un album molto ben congegnato e che alterna brani tradizionalmente thrash, anche se suonati divinamente (My Insanity e Death & Legacy) ad altri dove la vena progressiva prende per mano il talento del gruppo e lo accompagna verso lidi di nobiltà metallica (magnifica la title track).
Astoria è il classico esempio di come nel metal la durata dell’album sia solo un dettaglio ed il saper convincere e dire tutto senza prolissità sia un dono pari della bravura tecnica.

TRACKLIST
1. My Insanity
2. Pioneer Of Time
3. Astoria
4. Devils Dance
5. Death & Legacy
6. Till Death Do Us Apart

LINE-UP
Elias Witzigmann – Vocals
Simon Bertl – Guitar / Backvocals
Markus Heilmeier – Guitar
Tobias Kasper – Drums / Piano
Andreas Bertl – Bass

SWEEPING DEATH – Facebook

INVIDIA

Il video di Feed The Fire, tratto dall’album As The Sun Sleeps in uscita a marzo.

Il video di Feed The Fire, tratto dall’album As The Sun Sleeps in uscita a marzo.

la nuova Allstar-Band su Spv realizza il primo singolo e video! (con membri di Five Finger Death Punch, In This Moment & Skinlab)
L’album di debutto degli INVIDIA “As The Sun Sleeps” prodotto da Logan Mader (Ex-Machine Head) uscirà 31 March 2017 e sarà distribuito in Italia da Audioglobe.

Gli INVIDIA sono Travis Johnson (In This Moment), Brian Jackson, Marcos Medina Rivera (both ex-Skinlab), Matt Snell (ex-Five Finger Death Punch) e il batterista Darren Badorine.

Info sulla band:
Sarà una frase trita e ritrita ma gli INVIDIA sono davvero una fratellanza; definizione che calza perfettamente a ciascun componente della band. Quando si sono conosciuti per AS THE SUN SLEEPS, sapevano solo cosa non volevano e che erano disposti a qualsiasi cosa affinchè tutto andasse secondo le loro volontà.

Travis Johnson, vocalist del guppo, è stato per anni il bassista dei IN THIS MOMENT. La sua devozione per la musica e la mancanza di limiti musicali lo hanno spinto a cantare, e quando ha incontrato il suo attuale chitarrista Brian Jackson ed il produttore Logan Mader (ONCE HUMAN, MACHINE HEAD) sapeva che il materiale che avrebbero prodotto sarebbe stato unico

Mentre Brian, Travis e Logan stavano registrando le trace, il bassista Matt Snell (ex FIVE FINGER DEATH PUNCH), gli chiese chi avrebbe suonato il basso, e Travis gli rispose: Tu!
Per completare la line up della band, Matt ha poi coinvolto il batterista Darren Badorine, che ha lavorato come un matto per guadagnarsi il posto, ed il chitarrista Marcos Medina.

Tutte le canzoni di AS THE SUN SLEEPS sono differenti l’una dall’altra e rispecchiano l’ethos della band, un gruppo di musicisti che ha dovuto superare ostacoli enormi prima di arrivare al punto dove si trova ora; la loro musica riflette questa indomita perseveranza.

Spectral – Arctic Sunrise

Spolverate gli scudi, lucidate le lame e tirate fuori la vostra pelliccia di orso migliore, perché si va a procurar battaglia accompagnati dalla colonna sonora creata dagli Spectral.

E’ indubbio che l’avvento del download e del formato digitale abbia portato all’inevitabile crisi del mercato musicale, specialmente se guardiamo al vecchio negozio di dischi e cd che, solo una quindicina di anni fa era ancora il punto di riferimento per gli appassionati di musica.

E’ altrettanto vero che a livello underground, oggi le band hanno più possibilità di far conoscere i propri lavori, a disposizione dei fans con un click, senza perdere niente di un mercato agguerrito come quello metallico.
Prendiamo per esempio i tedeschi Spectral, melodic epic death metal band, arrivati con questo Arctic Sunrise al sesto lavoro in più di vent’anni di attività, ma praticamente sconosciuti ai più: eppure non è da sottovalutare il loro battagliero esempio di death metal melodico di matrice scandinava attraversato da taglienti ventate thrash, con un’ epicità di fondo che li avvicina in qualche modo al viking e buone tracce di devastante metallo estremo melodico e d’impatto.
Fondati nel 1995, gli Spectral hanno vomitato dal Monte Fato cinque opere sulla lunga distanza in meno di una dozzina d’anni, per poi fermarsi e riprendere il cammino verso la gloria estrema in questo inizio d’anno con un lavoro onesto, gagliardo e fiero come le legioni nordiche in partenza per la conquista dei territori a sud!
Dunque, spolverate gli scudi, lucidate le lame e tirate fuori la vostra pelliccia di orso migliore , perché si va a procurar battaglia sulla scia del sound di Invaders, In Battle With Fire & Steel (death metal melodico pregno di spunti power sinfonici alla Rhapsody) , Vengeance In Blood e l’inno al dio del metallo Fuck Off and Die (Metal Is Forever), dichiarazione esplicita sulle intenzioni bellicose di questa orda metallara proveniente dalla Germania.
Loro definiscono il proprio sound black viking power e sinceramente non hanno tutti i torti, ma è indubbio che la componente melodic death risulti altrettanto importante nell’economia della musica del gruppo, perciò sia che siate amanti del melodic death metal o della parte più epica del metallo estremo, l’ascolto dell’album è assolutamente consigliato.

TRACKLIST
1. Intro
2. Arctic Sunrise
3. Evil Takes Control
4. Invaders
5. Nuclear Assault
6. In Battle With Fire & Stee
7. Path Of The Damned
8. Vengeance In Blood
9. Fuck Off And Die

LINE-UP
Vidar – Vocals
Teutonlord – Guitar
Demon – Guitar
Gabbelz – Drums
Mrs. Boobfire – Bass

SPECTRAL – Facebook

Nekhen – Entering The Gate Of The Western Horizon

Non resta che immergersi in questa ideale esplorazione delle dimore eterne dei faraoni, accompagnati dall’ininterrotto ed avvolgente flusso sonoro di Entering The Gate Of The Western Horizon.

La fascinazione esercitata dalla civiltà egizia nei confronti dei musicisti che si muovono nell’ambito metal non è certo una novità: tralasciando l’inevitabile riferimento ai Nile, non sono poche le band che, spesso con ottimi risultati, riescono a fondere la materia estrema con le sonorità tradizionali originarie del paese nordafricano (ultimi trattati in ordine di tempo sono stati gli ottimi Akhenaten).

Il caso dei Nekhen è però diverso sia per provenienza che modalità: trattasi infatti di un progetto solista italiano e qui la componente etnica trova accoglienza all’interno di una forma musicale accostabile al doom piuttosto che al death o al black, in virtù di ritmiche piuttosto rallentate (salvo alcune notevoli progressioni percussive) ed un riffing ribassato e minaccioso che, sovente, va a braccetto con le più canoniche sonorità acustiche.
Il risultato è notevole, ancorché non semplicemente digeribile, sia perché l’assimilazione di certi suoni non è cosi scontata per chiunque, sia per la sua natura del tutto strumentale e, tanto per tornare ai Nile, potrebbe risultare utile far riferimento più che ai lavori della band a quelli solisti del leader Karl Sanders, soprattutto per l’approccio alla materia, visto che i due Saurian pubblicati dal chitarrista statunitense mostrano un volto per lo più acustico, oltre a sporadici interventi vocali.
Uguali sono senza dubbio la passione e la competenza esibite nei confronti della materia, componenti essenziali per rendere credibile un’operazione di questo genere: anche per questo ritengo che, pur non essendoci molto in comune, se non il riferimento alla civiltà egizia, con lavori come Annihilation Of The Gates, sia proprio quella degli estimatori dei tali sonorità la fascia di ascoltatori che più facilmente potrà essere raggiunta da questi tre quarti d’ora di ottima musica, suddivisa per comodità in dodici tracce nonostante si si tratti, di fatto, di una lunga suite; non resta quindi che immergersi in questa ideale esplorazione delle dimore eterne dei faraoni, accompagnati dall’ininterrotto ed avvolgente flusso sonoro di Entering The Gate Of The Western Horizon.

Tracklist:
1 – Waters of Ra
2 – Baw of the Duat
3 – Water of the Unique Master, which brings forth offerings
4 – With living forms
5 – West
6 – The depths, waterhole of those of the Duat
7 – Mysterious cavern
8 – Sarcophagus of her gods
9 – With images flowing forth
10 – With deep water and high banks
11 – Mouth of the cavern which examines the corpses
12 – With emerging darkness and appearing births

NEKHEN – Facebook

Fraser Edwards – I Am God

La bravura alla sei corde di Edwards e la splendida voce di Pellek , danno la possibilità all’album di vincere facile, dunque senza timori avvicinatevi a quest’opera, vi piacerà.

Fraser Edwards è un chitarrista, compositore e produttore britannico, protagonista con la sua sei corde nei power metallers Ascension e co-autore nella rock band per bambini Sharky Sharky.

I Am God è il suo primo lavoro solista dove non mancano alcune gradite sorprese, in un buon lavoro dove l’happy power metal incontra l’elettronica, lo shred ed un pizzico di piglio progressivo che non manca di rendere l’album un originale esempio di musica metal pop molto interessante.
Accompagnato da ottimi musicisti, Edwards ha trovato modo di imprimere all’album una marcia in più con il bravissimo cantate norvegese Pellek, che chi segue la nostra webzine ricorderà dietro al microfono dei due dischi degli Active Heed, creatura progressiva del compositore nostrano Umberto Pagnini.
E I Am God non tradisce con la sua quarantina di minuti tra veloci cavalcate power metal, vorticose scale su e giù per il manico della sei corde, un’impronta melodica accentuata dall’ottima voce del vocalist, e tanto happy metal, dai chiari rimandi alle zucche di Amburgo, con qualche accenno velocissimo e al limite del legale insito nel sound dei Dragonforce.
L’album riesce a mantenere un appeal molto alto pur lasciando al leader il suo spazio per incantare con la sei corde e I Am God (il brano che da il titolo all’album è uno stupendo esempio di power metal neoclassico) soddisferà pure gli amanti dei guitar heroes (Malmsteen) .
Ovviamente quando il gruppo spara cannonate power il livello si alza non poco, l’opener Alone, Everdream e Geography Of Time, con la già citata title track, mettono a ferro e fuoco lo spartito, mentre Mentalist Brigade e 12 Variations (On Nyan Cat) Pt 1 – Edward Snowden, sono le tracce più originale e progressive, tra elettronica, cambi di tempo e marcette che, se ad un primo ascolto destabilizzano (specialmente gli appassionati più duri e puri) non si smetterà di battere inconsapevolmente il piedino ipnotizzati dalle melodie create dal compositore di Aberdeen.
Al sottoscritto I Am God è piaciuto parecchio, la bravura alla sei corde di Edwards e la splendida voce di Pellek danno la possibilità all’album di vincere facile, dunque senza timori avvicinatevi a quest’opera, vi piacerà.

TRACKLIST
1.Alone
2. Custom Built
3. Mentalist Brigade
4. 12 Variations (On Nyan Cat) Pt 1 – Edward Snowden
5. So Many People
6. Everdream
7. I Am God
8. Geography Of Time
9. God Complex
10. Dawn Of The Shred (Bonus)

LINE-UP
Fraser Edwards – Guitars
Pellek – Vocals
Andrew Scott – Drums
Stuart Docherty – Live Keyboards
Nick Blake – Live Bass

FRASER EDWARDS – Facebook

Rhino – The Law Of Purity

I Rhino riescono sempre a trovare la giusta concatenazione di note, il ritornello adatto e la sfuriata di classe, ed è gran stoner rock.

Dall’assolata e bellissima Catania arriva questo ottimo gruppo di stoner e fuzz, che fanno musica di gran spessore.

Il loro suono è un distorto e potente stoner rock di forte impronta psichedelica, costruito su jam molto potenti con un groove notevole. Il suono del deserto si sente prepotentemente nel dna di questo gruppo, ma non è derivativo, bensì è ulteriore carburante per il loro suono. Le influenze spaziano temporalmente tra anni settanta e novanta, che sono poi le coordinate spazio temporali comuni a molti gruppi stoner. I Rhino di loro ci mettono una particolare furia, e suonano come fossero dal vivo e i loro concerti devono essere infuocati, perché qui ci sono le stimmate del rock passionale e dionisiaco. L’impronta dei Rhino si sente in maniera netta, il loro suono è molto riconoscibile, tra un incedere rock e momenti maggiormente duri. Tutte le tracce del disco sono coinvolgenti e potenti, tenendo sempre l’ascoltatore incollato alla cassa, trascinandolo come su di un cavallo impazzito nella prateria. Il gruppo catanese sa quando usare l’acceleratore e quando rallentare, e tutto suona davvero bene, di grande effetto. Fondamentalmente qui c’è lo spirito rock, ma non quello finto e strombazzato, bensì quel substrato che anche se fai principalmente stoner ti accompagna come uno spirito guida. I Rhino riescono sempre a trovare la giusta concatenazione di note, il ritornello adatto e la sfuriata di classe, ed è gran stoner rock.

TRACKLIST
1.Intro
2.The Law of Purity
3.Bursting Out
4.Grey
5.Nuclear Space
6.Eat My Dust
7.Nine Months
8.A.&B. Brown
9.Cock of Dog
10.I See the Monsters

LINE-UP
Marco “Frank The Door” – Bass
Seby “Red Frank” – Rhythm Guitar
Alfredo “Lord J.Frank” – Drums
Luca “Frank Real Tube” – Lead Guitar
Niko “Frank The Doc” – Lead Vocal

RHINO – Facebook

Leathermask – Lithic

Lithic è un album consigliato ai fans del thrash metal old school e, in generale, ai metallari dai gusti classici di estrazione heavy.

Un’altra band nostrana si presenta sul mercato underground con un full length nuovo di zecca e lo fa tramite l’attiva label greca Sleaszy Records.

Questa volta siamo nei territori del thrash metal old school di scuola americana, con qualche spunto heavy ma in toto debitore del periodo tra gli anni ottanta e le prime avvisaglie di quello successivo.
Heavy metal statunitense nato tra i monti del trentino, precisamente a Pergine Valsugana, dall’incontro di Alvise Osti, Alessandro Buono e Valerio Luminati con il batterista Marco Gambin nel 2011, per dare i primi frutti nel 2013 con l’uscita del demo The Key.
Gli ultimi tempi sono stati di grande dispiego di energie per i Leathermask con l’entrata in studio per la registrazione del primo album, un cambio di line up con lo storico bassista Alessandro Buono che ha lasciato la band sostituito da Federico Fontanari (Spanner Head, Bullet-Proof) e la firma per la Sleaszy Records, che si prende cura di Lithic.
L’album è composto da otto brani per cinquanta minuti abbondanti di metal tradizionale, come già espresso, legato alla scuola statunitense, niente di più e niente di meno, ma nel complesso ben fatto con qualche ottima idea e pochi difetti (l’uso della voce, adatto ad un approccio più diretto), mentre il sound del gruppo sovente si lascia prendere da ottime divagazioni strumentali che valorizzano il gran lavoro strumentale del quartetto (Lede Mas, nove minuti di metal pesante e a tratti progressivo).
Ed è infatti nelle cavalcate strumentali che il gruppo da il meglio di se, la musica prodotta richiama le band storiche dell’heavy/thrash e brani come A Blasted Heath e The Dusk esprimono una notevole capacità di imprimere al sound una marcia in più.
I musicisti sanno il fatto loro, ed il livello tecnico è molto alto, così come un songwriting sopra la media per una formazione al debutto, così che Lithic si rivela un album consigliato ai fans del thrash metal old school e, in generale, ai metallari dai gusti classici di estrazione heavy.

TRACKLIST
1. The Cyclops
2. Motherfucker(s)
3. Struggle
4. Lede Mas
5. Inside-Burnt Generation
6. A Blasted Heath
7. The Dusk
8. Noise

LINE-UP
Valerio Luminati: Vocals
Alvise Osti: Guitar and backing vocals
Federico Fontanari: Bass and backing vocals
Marco Gambin: Drums

LEATHERMASK – Facebook

THE CHASING MONSTER

L’ultimo album dei viterbesi The Chasing Monster ha rappresentato, personalmente, una sorta di folgorazione, soprattutto per la loro capacità di produrre un post rock coinvolgente ed emozionante in ogni suo singolo passaggio.
Abbiamo chiesto alla band di rivelarci qualche dettaglio in più sul magnifico Tales.

ME Come si è evoluta la vostra musica dagli esordi fino ad arrivare a questa altissima espressione rappresentata da Tales?

Grazie innanzitutto per l’”altissima”:)!
La musica si è evoluta naturalmente grazie a tutti noi, passo dopo passo cercando una forma comune a tutti i componenti cercando di mantenere sempre in rilievo le parole la dove ci sono.

ME Da dove è scaturita la scelta di non utilizzare un/una cantante, optando per parti recitate?

Non è stata una vera e propria scelta di non avvalerci di un cantante, ma bensì un voler raccontare storie invece che scrivere testi e cantarli… fin dal primo Ep dove la formazione non era quella attuale comunque i parlati e il voler raccontare storie era sempre il concetto alla base della nostra musica.

ME Come mai avete pubblicato una doppia versione di Tales? Sarà perché ho ascoltato prima quella “deluxe” (con Today, Our Last Day On Earth), ma mi sembra che senza questi ottimi spoken word rischia di venire meno un ideale collante tra le varie tracce strumentali.

Lo abbiamo fatto semplicemente per dare due versioni dell album, una classica fatta di canzoni singole ed un altra invece un po’ più narrativa in modo da creare un unica storia e legare i testi e le canzoni, sempre perché ci piace molto creare storie. All’inizio eravamo indecisi su quale versione pubblicare, poi con la nostra etichetta Antigony Records abbiamo deciso di farle uscire entrambi per dare l’opportunità all’ascoltatore di scegliere poi la preferita.

ME La storia che raccontate è completamente di vostra stesura e, se sì, a quale autore vi siete ispirati?

-Si la storia è esclusivamente di nostra invenzione. Non ci siamo ispirati a nessun autore, diciamo che le influenze sono tantissime: da film a libri ad anime a qualsiasi cosa. Nello specifico dei brani hanno riferimenti a storie o trattati filosofici come ad esempio The Porcupine Dilemma oppure Albatross, che sono ispirate rispettivamente a Schopenhauer e Coleridge.

ME A chi sono state affidate le voci recitanti ? Mi pare che abbiano fatto un ottimo lavoro.

Le voci sono di due nostri amici molto bravi, quella maschile è di Toby Dogana e quella femminile di Francesca Quatrini. Cogliamo l’occasione per ringraziarli ancora una volta:)

ME Rispetto alle varie realtà che operano nel vostro settore musicale, mi sembra che voi abbiate la capacità di sintesi che a molti manca. In Tales non c’è una sola nota sprecata o che non sia funzionale alla resa finale. Quanto tempo e quali sforzi sono stati necessari per raggiungere un simile risultato?

Non so… ci sono tantissime band che non sprecano note:)!
Per noi tutto quello che è uscito fuori in Tales è qualcosa di spontaneo, su cui abbiamo lavorato, ma in fondo tutto è venuto grazie al lavoro svolto insieme.

ME Giro a voi la considerazione che faccio ad un certo punto dell’articolo, ovvero se abbiate la percezione reale del valore del vostro disco e se non siate disposti ad accontentarvi solo di riscontri positivi che, spesso, restano solo sulla carta senza diventare qualcosa di tangibile.

– Sinceramente non sappiamo quale sarà il responso del pubblico, fino ad’ora tra amici, addetti ai lavori e tramite la nostra etichetta Antigony Records abbiamo notato che i pareri sono molto positivi e non possiamo che esserne contenti.

ME Come è nata la vostra collaborazione con Theodore Freidolph degli Acres ?

La collaborazione è avvenuta in primis perché siamo dei fan degli Acres ovviamente… poi grazie anche al canale Dreambound che ci ha dato l’opportunità di entrare a far parte di un grande canale Youtube di cui fanno parte anche loro. Inoltre gli siamo piaciuti ed è subito nata un rapporto di stima e amicizia reciproca, non potevamo non includerlo nel progetto.:)

ME Nella recensione uso proprio la band inglese come ideale termine di paragone a livello di popolarità: è vero che il loro sound è parzialmente più convenzionale e dotato della più tradizionale forma canzone, ma sembrerebbe che per loro trovare spazi importanti nella scena musicale albionica sia un qualcosa di naturale. Secondo voi perché in Italia, per raggiungere un tale obiettivo, le cose sono dannatamente più difficili?

Forse perché in Italia questi generi sono un po’ più marginali rispetto ad altri paesi… forse perché di gruppi Post-Rock non ce ne sono molti… ma comunque siamo qui e continuiamo a fare quello che ci piace fare, il resto non conta.

ME Mi citate alcune delle vostre band di riferimento, anche per fornire qualche buon consiglio a chi ci legge?

Le band di riferimento sono tantissime, per citare le più importanti sicuramente Mono, Explosions In The Sky, If These Trees Could Talk, Echoes, God is An Astronaut… ma la lista sarebbe infinita:)!

ME A questo punto non mi resta chiedervi quali programmi abbiate per quest’anno, in particolare per quanto riguarda l’attività live.

Abbiamo già delle date pronte ma aspettiamo i dovuti tempi per annunciarle, di sicuro già è nota la nostra partecipazione al Dunk Festival in Belgio a fine Maggio. Tutte le altre verranno pubblicate nei giusti tempi sia sulla nostra pagina Facebook sia sul nostro sito internet.
Ne approfitto per ringraziarvi di nuovo per questa opportunità

Cyclocosmia – Immured

Se già il precedente full length aveva mostrato le potenzialità enormi di questo progetto, l’ep in un questione ne rafforza lo status, facendo nascere spontaneo il desiderio di ascoltare al più presto nuova musica firmata Cyclocosmia.

Nati dalla fervida creatività di James Scott, personaggio che si muove in varie vesti nella scena metal underground londinese, i Cyclocosmia sono un duo che vede il musicista britannico affiancato anche da un’altra artista multiforme come Aliki Katriou (la quale si occupa per altro della regia del magnifico video di Immured Part II)

L’ep Immured, che segue l’album di debutto Deadwood, sul quale la voce era affidata invece a Lorena Franceschini, non poteva che essere, con tali premesse, un piccolo gioiello di musica dall’alto tasso evocativo, con una base doom sulla quale Scott va ad innestare una potente drammaticità di stampo sinfonico-orchestrale.
L’uso delle voci è una delle travi portanti del lavoro, in quanto la poliedricità della Katriou, capace di spaziare su diversi range, asseconda alla perfezione l’evolversi delle parti strumentali che spaziano tra momenti acustici ed altri più rabbiosi, ma sempre e comunque avvolti da un’aura sospesa tra solennità e drammaticità.
Immured si risolve in poco più di un quarto d’ora di spasmodica intensità, in ossequio ad un concept di grande impatto come può essere quello dedicato alla condizione di una vestale romana, murata viva per aver violato il voto di castità.
Se già il precedente full length aveva mostrato le potenzialità enormi di questo progetto, l’ep in un questione ne rafforza lo status, facendo nascere spontaneo il desiderio di ascoltare al più presto nuova musica firmata Cyclocosmia.

Tracklist:
1. Immured Part I
2. Immured Part II
3. Immured Part III
4. Immured Part IV

Line up:
James Scott – Production, guitar, male vocals.
Aliki Katriou – Female Vocals

CYCLOCOSMIA – Facebook

Demonic Resurrection – Dashavatar

I Demonic Resurrection non sono solo una delle migliori band provenienti dal continente asiatico, ma possono tranquillamente posizionarsi vicino alle più blasonate realtà occidentali.

In campo estremo, il nuovo lavoro della storica band indiana Demonic Resurrection rischia di diventare uno dei migliori album di questo 2017 appena iniziato.

Il gruppo di Mumbai ha creato un’opera estrema completa ed ambiziosa, un concept sui dieci avatar di Vishnu, dio della conservazione secondo la mitologia Indù, raccontati in ognuna delle dieci tracce che compongono Dashavatar.
Che i Demonic Resurrection non fossero un gruppo come tanti lo si era già capito dopo il precedente lavoro, The Demon King, album che aveva letteralmente folgorato il sottoscritto, grazie al loro death metal sinfonico che sfociava nel mare in tempesta del black metal capitanato dai norvegesi Dimmu Borgir.
Un gruppo capace di cambiare pelle da un album all’altro, rimanendo nei confini della musica estrema già dai primi lavori (il primo lavoro Demonstealer è targato 2000, mentre il successore A Darkness Descends uscì cinque anni dopo).
Ancora The Return To Darkness del 2010 ed appunto The Demon King confermarono il valore di questa splendida e devastante realtà asiatica che, con questo nuovo album, va oltre le più rosee aspettative, non solo per l’ambizioso concept ma per un songwriting che aggiunge al death/black sinfonico spettacolari ed intuitive parti progressive, in un tempestoso sound valorizzato dal voci pulite, interventi di muse dalla voce ipnotica , l’uso di strumenti e sfumature tradizionali e, come gli uragani che nella stagione delle piogge si abbattono sul loro paese, sfuriate di metal estremo spettacolare.
Accompagnato da una bellissima copertina raffigurante la divinità e le sue dieci diversificazioni, Dashavatar esplode in tutta la sua magniloquenza già dall’opener Matsya-The Fish, per poi non scendere più sotto l’eccellenza con una serie di piccole opere dove atmosfere prog, sfumature folk e magnifiche orchestrazioni si fondono in un sound unico (Kurma-The Tortoise), con la sensazione da parte di chi ascolta di essere al cospetto non solo di una bellissima opera estrema ma soprattutto di pura arte pregna di magia.
Vamana-The Dwarf, Rama-The Prince, l’ipnotizzante Buddha-The Teacher sono i brani che hanno maggiormente colpito l’anima del sottoscritto, ma sono sicuro che al prossimo ascolto saranno altri quelli che illumineranno la stanza, mentre Vishnu ed i suoi avatar sono magnificati dalla musica di questo straordinario gruppo asiatico.
Lo avevamo scritto in precedenza e lo ribadiamo, i Demonic Resurrection non sono solo una delle migliori band provenienti dal continente asiatico, ma possono tranquillamente posizionarsi vicino alle più blasonate realtà occidentali.

TRACKLIST
1.Matsya – The Fish
2.Kurma – The Tortoise
3.Varaha – The Boar
4.Vamana – The Dwarf
5.Narasimha – The Man-Lion
6.Parashurama – The Axe Wielder
7.Rama – The Prince
8.Krishna – The Cowherd
9.Buddha – The Teacher
10.Kalki – The Destroyer of Filth

LINE-UP
Demonstealer – Vocals, Guitars & Keys
Nishith Hegde – Lead Guitars
Ashwin Shriyan – Bass
Virendra Kaith – Drums

DEMONIC RESURRECTION – Facebook

Ekpyrosis – Asphyxiating Devotion

Gli Ekpyrosis sono un gruppo incredibile, hanno un suono ed una sicurezza che li fa sembrare posseduti, ma fortunatamente no, sono solo dei ragazzi con voglia e gran cultura metal che hanno sfornato un capolavoro.

Ad un certo punto arrivano dei ragazzini e pubblicano uno dei migliori dischi di death metal degli ultimi cinque anni più o meno.

Questo debutto vi lascerà senza fiato, perché se chiudete gli occhi, magari non per sempre, vi troverete a cavalcare nel death americano anni novanta, ma anche meglio. Asphyxiating Devotion è un continuum di death metal marcio e cattivo, suonato con potenza e freschezza che non deriva solo dalla giovane età ma soprattutto dalla precisione della visione musicale degli Ekpyrosis. Provenienti dalla Brianza, questi ragazzi annullano con un disco solo molti nomi ben più celebri ed idolatrati: ascoltandolo si viene folgorati dal loro suono, ed è una scintilla come quando ascoltavate certi dischi death che ti scavavano dentro, perché il death migliore genera un sentire difficilmente descrivibile a chi non ami il genere. Gli Ekpyrosis sono un gruppo incredibile, hanno un suono ed una sicurezza che li fa sembrare posseduti, ma fortunatamente no, sono dei ragazzi con voglia e gran cultura metal che hanno sfornato un capolavoro. La particolarità del disco è quella di avere un groove notevole, e tutte le tracce filano perfettamente. Avrei voluto vedere le facce alla Memento Mori quando hanno ascoltato il demo degli Ekpyrosis, perché si sono ritrovati tra le mani un gruppo eccezionale. E’ una gioia immensa ascoltare dei giovani fare un death così bello e potente, perché ovviamente hanno un grandissimo futuro davanti. Personalmente il disco l’ho conosciuto attraverso dei blog metal in rete, dove aveva creato un certo fermento con commenti entusiastici. Me ne sono interessato, poiché nell’underground in rete, quando alcune persone davvero competenti ne parlano, difficilmente sbagliano ed infatti… Ossa che saltano, gente che vola all’inferno.

TRACKLIST
1.Profound Death
2.Obsessive Christendom
3.God Grotesque
4.Immolate the Denied
5.Incarnation of Morbidity
6.Morticians of God
7.Depths of Tribulation
8.Blasphemous Doom
9.Unearthly Blindness

LINE-UP
Marco Teodoro – Vocals, Guitar
Nicolò Brambilla – Vocals, Guitar
Ilaria Casiraghi – Drums
Marco Cazzaniga – Bass

EKPYROSIS – Facebook

Mindful Of Pripyat/Stench Of Profit – New Doomsday Orchestration

Un ottimo split che ci presenta due valide realtà del panorama estremo nazionale

La Everlasting Spew Records ci presenta uno split album all’insegna del grindcore intitolato New Doomsday Orchestration con due ottime band italiane come i Mindful Of Pripyat e i Stench Of Profit.

I primi a scendere sul campo di battaglia sono i milanesi Mindful Of Pripyat, gruppo che vi avevamo presentato al tempo dell’uscita del primo lavoro … And Deeper, I Drown In Doom … risalente ad un paio di anni fa.
La band, composta da musicisti già da parecchi anni nella scena estrema nazionale (con ex membri di Corporal Raid e Antropofagus), conferma le ottime impressioni suscitate nella precedente occasione con un sound che, nel suo estremismo, è sempre animato da uno spirito death metal e valorizzato da una serie di brani che non superano mai o quasi i due minuti.
In pratica, in soli dieci minuti i Mindful Of Pripyat dimostrano il proprio talento nel suonare un genere per niente scontato, ma sempre in bilico tra musica estrema violentissima e caos.
La seconda band sono gli Stench Of Profit gruppo proveniente da una laguna veneziana bombardata dal grindcore del gruppo, attivo dal 2014 e con un demo rilasciato l’anno dopo; a livello di curiosità va segnalato che i due gruppi hanno in comune il batterista Giovanni, che negli Stench Of Profit è entrato solo lo scorso anno.
Anche per loro una decina di minuti all’insegna del grind, più feroce e brutale rispetto ai loro dirimpettai, ma anch’esso valorizzato da un ottimo songwriting.
I brani sono ancora più brevi e sono lacerati da una violenza efferata: il gruppo richiama non poco i primi passi discografici di Napalm Death e Terrorizer, così come i compagni d’avventura in questo lavoro ma, mentre i lombardi mostrano in qualche ritmica più pesante un accenno al death old school, i veneti sparano mitragliate grind veloci e brutali.
Nel complesso New Doomsday Orchestration è un ottimo split che ci presenta due valide realtà del panorama estremo nazionale: un prodotto ideale per i fans del grind.

TRACKLIST
Mindful Of Pripyat:
1. Resigned
2. Statement Of Dominion
3.Exposure
4. Shrapnel Rain
5. Behind The Judgement
6. Hostage
7. Specimen
8. Civilization Comes Civilization Goes
9. Mutant Genoma
Stench Of Profit:
1. Intro
2. Forced Control
3. Fuck You! You Are Nothing
4. Mental Depravation
5. Pathological Bastard
6. Daily Hatred
7 . Know your Shit Or Live In Ignorance
8. Calve Fast
9. Divine Education
10. The Small Minded
11. World’s Human Rudeness
12. No Sense
13. Torture Bliss
14. How Will You Talk After I Cut Your Tongue?
15. The dance Of Deceit
16. Regression Index
17. Passive State
18. Outro

LINE-UP
Mindful Of Pripyat:
Gio – Drums & Vocals
Tya – Lead Vocals & Noise
Gian – Bass & Vocals
Omar – Guitars

Stench Of Profit:
Maurizio – Vocals & Guttural Noises
Lory – Guitar & Vocals
Giovanni – Drums

MINDFUL OF PRIPYAT – Facebook

STENCH OF PROFIT – Facebook

Satan Worship – I’m The Devil

Per gli appassionati del genere I’m The Devil potrebbe essere un album interessante, malvagio e demoniaco il giusto senza scadere nel kitsch.

Esordio sulla lunga distanza tramite la Iron Shield per il malvagio trio tedesco dei Satan Worship, autore di un demo un paio di anni fa (Poison & Blood) e ora in partenza verso gli inferi con questo I’m The Devil.

Il gruppo è composto da tre demoni incarnati nei resti umani in decomposizione chiamati Leatherface Perkele (voce, chitarra e basso), Max The Necromancer (chitarra) e Marc Reign El Patron (batteria), anche se l’album è stato registrato in realtà dal primo dei tre, aiutato dal batterista Incitatus.
Il loro sound richiama il black/thrash metal old school, musica che più underground di così non si può, anche se una produzione discreta valorizza questa mezz’ora abbondante di possessioni demoniache e blasfemie varie.
Black /thrash, si diceva, e allora la musica del gruppo non può che richiamare i Venom, anche se, bisogna dirlo, non mancano alla band la personalità ed il giusto approccio al genere, il che aiuta non poco i brani del disco ad emergere.
Certo, si parla di tracce violente e senza compromessi, molto maligne nell’ impatto e sorrette da sfumature horror metal vecchio stile ma, con una buona vena e conoscenza della materia, i Satan Worship ne escono molto bene.
Cariche di impatto speed, maledette da un’atmosfera demoniaca, le canzoni di questo I’m The Devil piacciono, presentando almeno due picchi notevoli, la sabbatica Satanik Possession, riuscito brano horror doom, e la devastante speed/thrash/black Under The Sign Of The Reaper.
Per gli appassionati del genere I’m The Devil potrebbe essere un album interessante, malvagio e demoniaco il giusto senza scadere nel kitsch.

TRACKLIST
1.Holy Blasphemy
2.I’m the Devil
3.Azrael’s Hand
4.The Girls of Manson Family
5.Satanik Possession
6.Zodiac Overkill
7.The Black Flame
8.Black Death
9.Under Sign of the Reaper
10.The Last Days of Paul John Knowles

LINE-UP
Leatherface Perkele – Vox, guitars and bass.
Max The Nekromancer – Guitars
Marc Reign El Patron – Drums

SATAN WORSHIP – Facebook

childthemewp.com