Woest – La Fin de l’ère Sauvage

Un album la cui apparente modernità viene ampiamente incrinata da un approccio selvaggio e ostentatamente datato a livello di rivestimento sonoro.

I marsigliesi Woest esordiscono con questo full length intitolato La Fin de l’ère Sauvage, un lavoro che include pulsioni industrial all’interno di un’impalcatura black doom.

Come spesso accade, dal suolo francese giungono proposte fortemente disallineate rispetto alla normalità, una tendenza questa che dà vita a dischi geniali così come ad altri cervellotici o deludenti: il caso in questione si colloca più o meno a metà strada, in virtù di una buona propensione sperimentale che purtroppo non sempre è sorretta da suoni ottimali.
Non so se ciò possa dipendere solo dalla qualità del promo in mio possesso, ma qui la produzione alquanto ovattata non sembra valorizzare al meglio uno stile che si differenza sostanzialmente dal black più canonico, necessitando a mio avviso di una maggiore pulizia a livello sonoro.
Detto ciò La Fin de l’ère Sauvage mostra più di un passaggio brillante che rende merito al tentativo, da parte dei Woest, di creare un qualcosa di non scontato: il loro industrial black è algido, solenne e cadenzato, in possesso dunque di tutte le caratteristiche per poter inquietare i sonni di più di un ascoltatore, in virtù di rare concessioni alla melodia.
La barbarie est l’état naturel de l’humanité. La civilisation n’est pas naturelle. Elle résulte simplement d’un concours de circonstances. Et la barbarie finira toujours par triompher” è il motto, mutuato dal Robert E.Howard, che campeggia sulla pagina Facebook e sul Bandcamp della band transalpina, e credo si confaccia perfettamente ad un album la cui apparente modernità viene ampiamente incrinata da un approccio, appunto, selvaggio e ostentatamente datato a livello di rivestimento sonoro.
Un lavoro complesso, a tratti ostico, ma senz’altro interessante.

Tracklist:
01-Le Froid Efface
02-Tout S’écroule
03-La Fin de l’ère Sauvage
04-Noir
05-Moelleuse et Tiède
06-Toundra

Line-up:
Torve – vocals
Malemort – guitars, drum machine
Dismas – bass

WOEST – Facebook

Symmetric Organ – States Of Decay

Il death metal del gruppo di Dortmund è più di quanto essenziale e violento si possa trovare in giro, per un sound ai nostri giorni neanche troppo scontato, in anni di orchestrazioni e soluzioni progressive.

Old school death metal, brutale e senza compromessi, dall’immagine di copertina che lo fa annoverare nell’ala politico/sociale del metal estremo, capitanata dagli storici Napalm Death, ispiratori dei Symmetric Organ molto più a livello concettuale che di sound.

Il quartetto tedesco è al debutto discografico con questo ottimo lavoro che alterna death metal old school e devastanti accelerazioni grindcore, un manifesto di musica estrema ben congegnata ed appagante, sia a livello esecutivo (la sezione ritmica è un portento) che per il sound, valorizzato da momenti in cui la forma canzone è protagonista tra le bordate death/grind.
Il death metal del gruppo di Dortmund è più di quanto essenziale e violento si possa trovare in giro, per un sound ai nostri giorni neanche troppo scontato, in anni di orchestrazioni e soluzioni progressive, oscuro e senza speranza, brutale nello stigmatizzare le storture dell’umanità contemporanea.
Napalm Death, Terrorizer (con tutti i gruppi impegnati nella denuncia di una società da anni marcia ed ormai putrefatta), Obituary, Monstrosity e Dying Fetus in particolare, sono le band che più si avvicinano a livello di sound alla morbosa e viscerale proposta del gruppo.
Un sound che nasce negli anni novanta e che, parzialmente sopito, si risveglia in questi drammatici tempi a colpi delle efferate States Of Decay, Palace Revolution, P.R.O.G.R.E.S.S. e Maximum Apocalypse.
Album durissimo e bellissimo, ideale per i deathsters duri e puri.

TRACKLIST
1.Truth Be Told
2.Swarm Stupidity
3.States of Decay
4.Palace Revolution
5.Reboot
6.Basics in Brutality
7.P.R.O.G.R.E.S.S.
8.We Are the End
9.Maximum Apocalypse
10.Blessed Be the Blind

LINE-UP
Philip – Bass, Vocals
Andreas – Drums
Ivar – Guitars
Karsten – Guitars

SYMMETRIC ORGAN – Facebook

Cold Body Radiation – The Orphean Lyre

Post rock, post metal, gothic, un po’ di black, dolci distorsioni e tanto tanto amore, che è solo differente da quello comune per un disco commovente, bellissimo, e luminoso, tanto luminoso.

Troppo spesso ci dimentichiamo che la musica è il principale veicolo dei nostri sogni, un Caronte che ci porta oltre, superando il nostro quotidiano, trascendendo il tutto. Invece, le note rimangono poveramente intrappolate, in schemi, stilemi, pregiudizi ed altre lenti morti.

I Cold Body Radiation riportano la musica in quota sopra le nuvole e ben al di sopra delle nostre umane facezie. Li ho conosciuti con Deer Twilight ed è stato immediato amore verso la loro triste gioia e la lieve gravità. Qui si superano nuovamente, andando ad addolcire maggiormente i loro suoni, seguendo un chiaro cammino tra Cure, post rock e un cuore che sanguina. Sono carezze, lievi strusciamenti di vite parallele che non potranno o non riusciranno ad incontrarsi mai, perché l’incompiutezza è l’unico segno tangibile e sincero dell’essere umano. Non ci sono mai cali o sbagli in questo disco, tutto fluisce come un fiume di vita, di calore, di gelo, di amore e di odio. Ogni tanto si possono ascoltare le precedenti stimmate del black metal, che anche qui è stato madre feconda per poi lasciare liberi ben presto il proprio figlio. La provenienza è l’Olanda, ma importa davvero poco il come e il quando, qui ci sarete solo voi e la musica, e quest’ultima è qualcosa di incredibilmente emozionante, volando alto come un’anima distaccata dal copro guarderete di sotto e forse capirete. Post rock, post metal, gothic, un po’ di black, dolci distorsioni e tanto tanto amore, che è solo differente da quello comune per un disco commovente, bellissimo, e luminoso, tanto luminoso.

TRACKLIST
1.the ghost of my things
2.sinking of a wish
3.all the little things you forget are stored in heaven
4.at sea
5.the orphean lyre
6.spiral clouds
7.you where missing
8.the forever sun

COLD BODY RADIATION – Facebook

Holy Martyr – Darkness Shall Prevail

Ritorno in pompa magna per gli Holy Martyr, ormai da considerare come storica realtà della scena epic metal nazionale.

Nati a metà degli anni novanta come Hell Forge ed arrivati al quarto album sulla lunga distanza, tornano gli Holy Martyr di Ivano Spiga, chitarrista e fondatore del gruppo sardo di nascita e milanese di adozione.

Ormai da considerare come punto fermo della scena metal classica italiana, la band torna dopo cinque anni dal precedente Invincible, uscito appunto nel 2011 sempre per la Dragonheart Records.
Dopo aver affrontato nei dischi precedenti tematiche riguardanti l’epica storia della Grecia,e del Giappone dei Samurai, questa volta l’attenzione degli Holy Martyr si rivolge a J.R.R. Tolkien, con Darkness Shall Prevail a presentarsi come un concept sul mondo del famoso scrittore inglese.
Un nuovo batterista (Stefano Lepidi) ed un nuovo chitarrista ad affiancare Spiga (Paolo Roberto Simoni) sono le novità di questo nuovo album, oltre ad un’atmosfera più epica ed oscura che attraversa le composizioni di quest’opera metallica tutta fierezza, sangue e battaglie creata dalla band.
In Darkness Shall Prevail  il metal guerresco partorito dagli Holy Martyr segue la scia dei maggiori gruppi epic metal, lasciando questa volta nell’ombra l’heavy classico per un approccio contrassegnato da atmosfere colme di pathos oscuro e tragico.
Un gruppo di tale esperienza non tradisce ed infatti, oltre all’ottimo songwriting, troviamo un gran lavoro delle due chitarre che, a tratti, si concedono qualche assolo metallico valorizzato da ricercate melodie, la prova maiuscola di un Alessandro Mereu cantore delle vicende tolkeniane con un’interpretazione che gronda epicità, ed interventi folk che spezzano la tensione ma tengono alta l’attenzione; persi in un mondo parallelo, guerrieri, orchi e maghi si sfidano a duello, con le note dell’epica Numenor, della grandiosa Heroic Deeds, della marcia verso la gloria di Taur Nu Fuin, dell’intermezzo acustico oscuro e dalle atmosfere folk di Minas Morgul, fino al picco dell’album, la mastodontica The Dwarrowdelf che ne rappresenta l’ideale sunto.
La diretta Born Of Hope chiude Darkness Shall Prevail, lavoro che non può mancare sullo scaffale degli amanti del metal epico e che rappresenta un ritorno in pompa magna per la storica band sarda.

TRACKLIST
1. Shores Of Elenna
2. Numenor
3. Heroic Deeds
4. Darkness Descends
5. Taur Nu Fuin
6. Minas Morgul
7. Witch-King Of Angmar
8. The Dwarrowdelf
9. Born Of Hope

LINE-UP
Alex Mereu – Vocals
Ivano Spiga – Lead and rhythm guitar
Paolo Roberto Simoni – Lead and rhythm guitar
Nicola Pirroni – Bass
Stefano Lepidi – Drums

HOLY MARTYR – Facebook

Zombieslut – Massive Lethal Flesh Recovery

Non male nel suo insieme, grazie a brani come Return Of The Zombie, Lycantrophic Funeral, bordate estreme di grande impatto, e ai rallentamenti ben inseriti nel vortice di suoni estremi, Massive Lethal Flesh Recovery mostra un sound vario quel tanto che basta per non risultare monotono

Death metal feroce violento e devastante come un’apocalisse zombie.

Parliamo del mini album dei tedeschi Zombieslut, band old school death metal con chiare ispirazioni brutal di matrice statunitense e concept che, dal primo full length Braineater, passando per il precedente Undead Commando, esplora il mondo macabro, cannibale e putrido dei non morti.
Il gruppo, in attesa di pubblicare il nuovo lavoro sulla lunga distanza, regala offre agli apapssionati questo ep di sei brani, di cui un paio inedite, mentre il resto sono tracce ri-registrate appartenenti all’album d’esordio.
Massive Lethal Flesh Recovery, come da tradizione del gruppo tedesco ci invita in un mondo dominato dagli zombie, quindi scene di cannibalismo, sventramenti ed efferata violenza sono supportate dal sound senza compromessi della band: blast beat e velocità al limite, mid tempo potentissimi ed un growl di stampo brutal, perfetto per raccontare la mattanza perpetuata dai famelici zombie.
Non male nel suo insieme, grazie a brani come Return Of The Zombie, Lycantrophic Funeral, bordate estreme di grande impatto, e ai rallentamenti ben inseriti nel vortice di suoni estremi, Massive Lethal Flesh Recovery mostra un sound vario quel tanto che basta per non risultare monotono, e l’ascolto se ne giova.
Se non conoscete i Zombieslut e amate il death metal old school più brutale, Massive Lethal Flesh Recovery potrebbe essere l’ascolto ideale per approcciarne le sonorità, in attesa di un prossimo full length.

TRACKLIST
1. Return of the Zombie
2. Lycantrophic Funeral
3. Lord of Eternal Pain
4. Braineater
5.Theater of Beautiful Deaths
6. Victims of the Lie

LINE-UP
Frank von Boldt – Guitar,Vocals
Joe Azazel – Guitar
Hamdi Avci – Drums
Mojo Kallus – Bass

ZOMBIESLUT – Facebook

Rance – Rance EP

La devozione alle sonorità lo fi tipiche degli anni novanta consente di omaggiare in maniera più fedele le radici del genere, ma d’altro canto fa smarrire quella porzione di fruibilità laddove acquisisce, per certi versi, in fascino.

Ep d’esordio, per i francesi Rance, esponenti di un black contiguo al depressive ed intriso di un potente carico di drammaticità.

Pochi fronzoli, produzione lo fi, voce che pare giungere da una stanza attigua, dove le urla strazianti sono quelle di una vittima sottoposta ad efferatezze fisiche e psichiche.
Per i Rance non c’è spazio per raffinatezze e ricami, il loro black metal è l’antitesi di tutto ciò che si possa fare per compiacere l’ascoltatore occasionale o della prima ora e, anche se collocare il lavoro nell’ambito DSBM potrebbe non essere del tutto appropriato, non c’è dubbio che possa trovare una sua appetibilità negli estimatori del sottogenere.
La devozione alle sonorità lo fi tipiche degli anni novanta consente di omaggiare in maniera più fedele le radici del genere, ma d’altro canto fa smarrire quella porzione di fruibilità laddove acquisisce, per certi versi, in fascino. A livello di consuntivo ritengo però che la scelta alla fine penalizzi i Rance, perché, ad esempio, in un brano notevole come Cathy, i suoni soffocati finiscono per annacquarne l’intenso e disperato incedere, a tratti anche melodico, e lo stesso vale anche per le altre tre tracce, tra le quali va citata la drammatica title track che, nel suo lungo sviluppo superiore ai dieci minuti, gode di passaggi più rallentati e rarefatti.
Considerando che l’ep è poi la riedizione del demo immesso in circolazione all’inizio della scorsa estate, non è da escludere che i nostri, compatibilmente con gli impegni comuni ai quattro con altre band della scena black transalpina, abbiano già altra nuova musica in cantiere: in tal caso c’è una certa curiosità per vedere come i Rance riusciranno ad evolversi, sia dal punto di vista stilistico, sia da quello della mera resa sonora

Tracklist:
1.Denis
2.Cathy
3.Jeanine
4.Rance

Line up:
Anthony – vocals
Yann – guitar
Lila – bass
Gaetan – drums

RANCE – Facebook

Spreading Dread – Age Of Aquarius

Da Praga arrivano gli Spreading Dread, quartetto dedito ad un thrash metal a tratti progressivo, pur alternando ritmiche moderne colme di groove ed atmosfere tradizionali.

Nell’underground metallico le sorprese sono sempre dietro l’angolo, quindi mai sedersi sugli allori di un ottimo ascolto, quando dopo poco tempo arriva nelle orecchie un altro concentrato di adrenalina metallica.

Da Praga, splendida capitale della Repubblica Ceca, arrivano gli Spreading Dread, quartetto dedito ad un thrash metal a tratti progressivo, pur alternando ritmiche moderne colme di groove ed atmosfere tradizionali.
Il gruppo in attività da quasi dieci anni è al secondo lavoro sulla lunga distanza, Age of Aquarius segue di quattro anni Sanatorium, debutto uscito appunto nel 2012, mantenendo intatto l’approccio progressivo che ne caratterizza il sound, valorizzato da un buon songwriting non troppo cervellotico, con l’alternanza perfetta tra aggressività e melodie ed una spiccata vena sperimentale che rende la raccolta di brani un ascolto per niente scontato, pur mantenendo le linee guida del genere.
Devin Townsend, Mekong Delta e Strapping Young Lad, si scontrano con Exodus e Death e ne esce uno tsunami di note rabbiose, melodiche o progressive, a seconda dell’umore di ogni brano, in questo piccolo scrigno di musica metallica che esplode, appena viene girata la piccola chiave e come un miracolo la musica è libera di veleggiare a ritmo di brani splendidi come Oil-Stained, Karmic Wheels e State Of The Art.
Prodotto ed ovviamente suonato benissimo, Age Of Aquarius risulta un album imperdibile per i fans dei gruppi citati rendendo gli Spreading Dread un’autentica e gradita sorpresa.

TRACKLIST
1.Birth of Consciousness
2.Devolution
3.Oil-Stained
4.Conspiracy
5.Karmic Wheels
6.Prayer for the Living
7.State of the Art
8.Salvia Divinorum

LINE-UP
Miroslav “MIRAC” Korbel – bass, growl
Simon Kotrc – guitar, vocals
Lukas “FUGA” Fujan – guitar
Karel “SAFA” Safarik – drums

SPREADING DREAD – Facebook

Theosophy – Eastland Tales part II

Il disco è conciso e, quindi, ancor più efficace, e pazienza se tutto sa di già sentito; riascoltare certe sonorità con un livello d’espressione così buono non può che risultare gradito a chi ama il black metal.

Commentare dischi come questo si trasforma nella classica arma a doppio taglio.

Non è possibile, infatti, far finta di nulla negando che le sonorità proposte dai russi Theosophy siano una riproposizione piuttosto fedele di quelle nate negli anni ’90 tra i fiordi norvegesi, ma neppure sarebbe onesto non ammettere che questo Eastland Tales part II sia un lavoro di qualità, capace di fondere magistralmente la melodia con la corrosività del black metal.
Proprio la fruibilità è l’elemento che rende l’operato dei Theosophy degno di nota, perché se proprio si deve essere derivativi, tanto vale farlo al meglio: ebbene, i nostri amici siberiani ci riescono in maniera apparentemente agevole, sciorinando una decina di brani di notevole impatto, debitori sicuramente degli Immortal, in primis, ma anche di Satyricon ed Emperor d’annata, con l’aggiunta di un maggiore abbrivio melodico/atmosferico conferito dall’uso delle tastiere.
Il disco è conciso e, quindi, ancor più efficace, e pazienza se tutto sa di già sentito; riascoltare certe sonorità con un livello d’espressione così buono non può che risultare gradito a chi ama il black metal e non si fa influenzare dai periodici attacchi di chi, invece, non ne sopporta più una sola nota.
At The End Of Life e Up To The Mountains sono i due brani a mio avviso più significativi, in una scaletta che comunque, al netto della mancanza di originalità, non mostra alcuna crepa: per quanto mi concerne Eastland Tales part II è un gran bel disco che prende un punto in meno di valutazione solo perché i Theosophy, se si fossero presentati all’ufficio brevetti, non sarebbero stati fatti nemmeno entrare …

Tracklist:
1.Slaves Of Destiny
2.Forces Of Death
3.At The End Of Life
4.My Hatred In My Hands
5.I Saw A Star
6.Buried In My Grave
7.Up To The Mountains
8.Rider Of The Hellstorm
9.Route To Light (321)
10.The End Of Tales

Line up:
Egiborg – guitars
XI – keyboards
Phantom – bass, vocals
Skinner – drums
Svaarth – guitars

THEOSOPHY – Facebook

Perfidious – Malevolent Martyrdom

Un lavoro imperdibile per gli amanti dei gruppi che fecero la storia del death aldilà dell’oceano negli anni novanta.

Attivi dal 2014 con questo monicker e divisi tra Novara e Milano arrivano al debutto sulla lunga distanza i nostrani Perfidious, creatura estrema che del death metal old school di matrice statunitense distilla perle di maligna distruzione.

Dal concept misantropo e fortemente anticristiano, il gruppo non lascia trasparire un raggio di luce dal suo sound;
accompagnato da una copertina grigia e che rappresenta molto bene il fallimento del cristianesimo, con il Golgotha, unica collina rimasta in piedi dopo la devastazione che l’uomo ha perpetrato per millenni sotto l’influsso del male, Malevolent Martyrdom risulta un’opera vecchia maniera, senza tanti indugi la band tira dritta al sodo, ed il sound esce urgente, estremo e devastante come deve essere un lavoro di death metal classico.
Negli anni novanta il re dei generi estremi era diviso tra i colpi inferti dai gruppi dell’epoca nella calda Bay Area e la furia dei più melodici colleghi scandinavi: i Perfidious seguono con cura maniacale i sentieri che portano al male tracciati dai gruppi statunitensi e l’ album convince non soffrendo assolutamente in personalità.
I Belong To Sickness esplode dopo l’intro e i Perfidious si dimostrano subito maestri nelle ritmiche serrate, mentre senza cedimenti il muro sonoro continua a sfondare teste in headbanging sfrenati, sotto le macerie che rimangono al passaggio delle distruttive e maligne Human Conceit e Preachers of Hypocrisy.
Il growl demoniaco e brutale non fa prigionieri e si arriva alla notevole Perfidious, traccia che mette in evidenza la bravura di una sezione ritmica pesante e distruttiva, ma che sa essere spettacolare nei cambi repentini di ritmo, tra ripartenze e cavalcate in blast beat.
Nell’underground più oscuro, dove le realtà estreme crescono nell’ombra, un altro gruppo si accinge a conquistare i deathsters dai gusti old school: un lavoro imperdibile per gli amanti dei gruppi che fecero la storia del death aldilà dell’oceano negli anni novanta.

TRACKLIST
1.Infected by Malignancy (Intro)
2.I Belong to Sickness
3.Human Conceit
4.Ancient Voices of the Past
5.Preachers of Hypocrisy
6.Breath of Beast
7.Realm of the Moribunds
8.Trapped by Insanity
9.Perfidious
10.I Kill You (Outro)

LINE-UP
Vanny Hate – Drums
Dydacus – Vocals
Michele – Bass
Andrea – Guitar

PERFIDIOUS – Facebook

SIKTH

Il lyric video del singolo No Wishbones, tratto dall’album in uscita a maggio.

Il lyric video del singolo No Wishbones, tratto dall’album in uscita a maggio.

“No Wishbones” è primo singolo estratto dal nuovo album dei SikTh in uscita a fine Maggio su Peaceville Records/Audioglobe.

La band sarà tra un mese in Italia per uno show live ai Magazzini Generali di spalla ai TRIVIUM

Trivium tour:
13/03/2017 – Italy – Milan / Magazzini Generali

Henry Kane – Den Förstörda Människans Rike

L’album nel suo insieme è un riuscito tentativo di far convivere il grind ed il death metal scandinavo, con l’aiutino di qualche spunto hardcore.

Una bomba sonora devastante, un inferno sulla terra dove la colonna sonora non può che essere death metal scandinavo con dosi massicce di grind/crust.

Henry Kane, alias Jonny Pettersson, vocalist di Ashcloud, Just Before Dawn e Wombbath, qui in veste di polistrumentista, non lascia scampo e ci investe con un devastante death/grind senza compromessi, dove la provenienza scandinava si sente eccome, ma viene messa in ombra da una malsana voglia distruttiva; il tutto viene licenziato dalla Transcending Obscurity, con la quale Pettersson ha firmato col sangue delle sue vittime il contratto che permette di portare alla luce questo pezzo di inferno in musica.
Bruciano l’atmosfera e gli strumenti in Den Förstörda Människans Rike, titolo e testi in lingua madre ed una raccolta di brani che non superano i due minuti di durata, a parte l’apocalittica title track e Det Var Inte Ditt Fel, un massacro tra demoni, un esempio di male in musica che ridicolizza molti gruppi black metal.
L’album nel suo insieme è un riuscito tentativo (almeno nelle intenzioni alquanto bellicose) di far convivere il grind ed il death metal scandinavo, con l’aiutino di qualche spunto hardcore, dunque vi lascio immaginare quanta violenza sprigioni il sound proposto da Henry Kane.
Un album estremo come pochi, difficile da digerire se non si è amanti dei generi descritti, ma che con un po’ attenzione rivela più di una brillante intuizione sicuramente da sviluppare in futuro.

TRACKLIST
1.En själ till salu
2.Svarta tankar
3.Skuld och begär 01:42
4.En grav av ångest
5.Är din botten nådd
6.Dragen i skiten
7.En längtan
8.Den förstörda människans rike
9.Flaskan var din sista vän
10.Bön för bön
11.Kära bror
12.Bara hat
13.Lögnens svarta ögon
14.Det var inte ditt fel
15.Vinst eller fölust

LINE-UP
Jonny Pettersson – All instruments

HENRY KANE – Facebook

Radien – Maa

I Radien centrano l’obiettivo al primo colpo, ma ovviamente è doveroso attenderne la riprova alle prese con un minutaggio più consistente.

Maa è la prima uscita ufficiale dei Radien, sludge band finnica.

L’ep consta di due tracce lunghe una dozzina di minuti che si dipanano, appunto, lungo sonorità sludge doom che si tengono alla larga da stonerizzazioni assortite, spingendosi maggiormente verso lidi post hardcore, accentuati dall’uso di un tono vocale caratteristico di quest’ultimo genere.
Varjot parte in maniera abbastanza canonica, per poi distendersi in un avvolgente e minaccioso crescendo, mentre Viimeinen è molto più rocciosa, indulgendo più a lungo sui riff ribassati e distorti che il quartetto di Helsinki maneggia con buona padronanza, lasciando intendere grandi potenzialità ed altrettanto margini di manovra per il futuro.
Del resto, quando ci si lancia in un settore come questo, per fare la differenza bisogna, in primis, conferire al proprio sound un’intensità che vada a compensarne con gli interessi la ridotta varietà e la quasi totale asenza di sbocchi melodici: i Radien centrano tale obiettivo al primo colpo, ma ovviamente è doveroso attenderne la riprova alle prese con un minutaggio più consistente.

Tracklist:
1. Varjot
2. Viimeinen

Line up:
Jyri – Vocals, synth
Tommi – Bass, vocals
Felipe – Guitar, vocals
Mikko – Guitar, vocals
Tuomo – Drums

RADIEN – Facebook

Wheel Of Smoke – Mindless Mass

Un album per riscoprire in modo personale il valore assoluto della musica rock negli ultimi decenni del vecchio millennio, maneggiatelo con cura se vi ci avvicinate, crea dipendenza.

Musica progressiva tradizionale, hard rock direttamente dal periodo d’oro (gli anni settanta) e stoner rock disidratato del sole caldo della Sky Valley, unite tutto questo ben di dio in un unico sound ed avrete tra le mani il nuovo lavoro del gruppo belga, al secolo Wheel Of Smoke, quartetto che si è inventato un album, Mindless Mass, davvero affascinante.

Insieme dal 2005, il gruppo arriva al traguardo del terzo full length, rigorosamente autoprodotto, dopo due opere targate 2011 (In Sense) e 2013 (Signs Of Saturn) ed un ep licenziato in formato digitale lo scorso anno (Enter the Pyramid), continuando così con il nuovo album il suo percorso artistico fatto di ispirazioni ed influenze che formano un pianeta musicale a parte, considerando il sound personalissimo che ne scaturisce.
Si diceva progressive, ed allora non si può non fare i conti con una sezione ritmica che, senza lasciare grosse indicazioni, cambia ritmo ogni attimo, ed in alcuni casi (Degeneration) impregna lo spartito di sangue lasciato cadere dal progressive dei nostrani Goblin o dalle note imprevedibili del Re Cremisi, per poi affondare la lama con letale hard rock psichedelico e stoner, ipnotizzando con dosi letali di Black Sabbath, Sleep e Kyuss.
Con sagacia il gruppo non si dilunga troppo, così che, pur mantenendo un approccio musicale da jam session, i brani scivolano via senza affaticare troppo i giovani ascoltatori, abituati al basso minutaggio delle tracce abituali dei gruppi odierni.
Non mancano le sorprese, l’album risulta un contenitore musicale che spazia nel rock del secolo scorso con una No More TV che ricorda non poco le fughe hard blues di Jimmy Page nei primi anni dei Led Zeppelin (How Many More Times).
Un album per riscoprire in modo personale il valore assoluto della musica rock negli ultimi decenni del vecchio millennio, maneggiatelo con cura se vi ci avvicinate, crea dipendenza.

TRACKLIST
1.Degeneration
2.Ruins
3.Bad Shepherd
4.Unnamed
5.Synchronicity
6.No More Tv
7.Feral

LINE-UP
Filip Remans – Guitar, vox
Erik Heyns – Guitar, vox
Jouk Opdebeeck – Drums
Tristan Michiels – Bass, vox

WHEEL OF SMOKE – Facebook

Helheim – landawarijaR

Un perfetto e affascinante incrocio tra sonorità viking black e suoni prog;una band unica !

Attivi fino dal lontano 1993, quando fu pubblicato l’omonimo demo, i leggendari Helheim all’alba del 2017 pubblicano il loro nono full e continuano a sviluppare il loro suono che testimonia sia liricamente che musicalmente l’attaccamento alle più profonde tradizioni norrene.

Da ogni nota di questo disco emerge la fierezza delle loro radici, l’epica spavalderia, la furia di antichi guerrieri che vogliono rivivere antiche atmosfere ormai dimenticate. In tutti questi anni di attività la band ha evoluto, pur restando ancorata al più puro viking/black, il proprio suono partendo dalla furia cieca di perle black come Jormundgand (1995) e Av norrøn ætt (1997), per poi incorporare altre influenze folk, heavy e progressive creando un loro personale suono; anche la stabilità della line up negli anni ha contribuito a rafforzare la loro personalità . Il disco è splendido! Fin dal primo brano (Ymr) si assiste a un continuo alternarsi di suoni prettamente black cupi ed oscuri con momenti più meditabondi e folkeggianti solcati da squarci melodici e atmosferici con evocative chitarre, come nella meravigliosa title track che ingloba in modo naturale echi prog d’annata, omaggiando la Premiata Forneria Marconi con il tema principale di Impressioni di Settembre; gli ascoltatori più “open minded” sicuramente si emozioneranno come il sottoscritto. Anche il passare da clean vocals a scream e chorus suggestivi contribuisce a creare un’opera magnifica che potrebbe ritagliarsi uno spazio tra le migliori di questo inizio anno. La ricerca melodica in ogni brano, mai banale, ritaglia sprazzi di grande gusto e sensibilità senza perdere mai l’urgenza e la forza distruttiva di questa grande band viking/black; e l’arte creata da questi artisti, libera da biechi vincoli commerciali, continua a librarsi fiera nel cielo …

TRACKLIST
1. Ymr
2. Baklengs mot intet
3. Rista blóðørn
4. landawarijaR
5. Ouroboros
6. Synir af heiðindómr
7. Enda-dagr

LINE-UP
V’gandr – Bass, Vocals
Hrymr – Drums, Drum programming
H’grimnir – Vocals, Guitars (rhythm)
Reichborn – Guitars (lead)

HELHEIM – Facebook

Altjira – Anent Wist

Gli Altjira potrebbero fare il botto nel genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

Un ep di debutto che promette bene per questo quintetto di defenders provenienti da Parma.

Gli Altjira si presentano sul mercato metallico nazionale con una mezzora di heavy metal che a tratti sfocia nel thrash e nel metal americano, anche se la loro massima fonte di ispirazione sono i Judas Priest, assieme agli Iced Earth periodo Owens, confermato dalla cover di Dracula, brano tratto da Horror Show.
Anent Wist fa male con una manciata di canzoni che rispecchiano l’heavy metal che più piace ai defenders di vecchia data: melodico, graffiante, ritmicamente pesante e veloce, ma soprattutto fiero, così come le opere dei gruppi citati e da cui la band trae ispirazione.
Gli Altjira  presentano un ottimo vocalist (Dest), perfetto animale metallico tutto grinta e ugola, una coppia di chitarristi che fa fuoco e fiamme (Rampage e Jimmy) ed una sezione ritmica precisa e potente (Kara al basso e Mirko alle pelli), niente di più e niente di meno, ma idelae per suonare heavy metal tripallico, che si specchia nella tradizione ma che non dimentica produzione e tutti i dettagli fondamentali per un lavoro professionale.
Della cover di Dracula abbiamo parlato, ma il meglio lo si trova (fortunatamente) nelle tracce inedite con I Will Not Bend e The Chase, che spiccano dalla notevole anche se breve track list.
Band da seguire in futuro, gli Altjira sembrano avere i numeri per emergere nel loro genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

TRACKLIST
01. Anent Wist
02. I Will Not Bend
03. Missing Generation
04. Fragments Of A Hologram Rose
05. The Chase
06. Dracula (Iced Earth Cover)
07. Cymoril

LINE-UP
Dest- voce
Rampy- chitarra
Kara- basso
J- chitarra
Mirko Virdis- session drummer

ALTJIRA – Facebook

Haggefugg – Metgefühl

Un lotto di canzoni da ascoltare tutto d’un fiato con il volume al massimo e la musica degli Haggefugg non mancherà di trasformarvi in soldati di un’era dimenticata dal tempo, ricoperti di pelliccia e con il corno colmo di birra svuotato per l’ennesimo brindisi

Dopo la battaglia ai margini della foresta in nostri eroi tornano all’accampamento dove ad attenderli per festeggiare la vittoria ci sono fiumi di birra fanciulle prosperose e succosi maialini arrostiti.

Tutto questo ben di dio allevia le sofferenze per le ferite e le perdite sul campo, mentre la festa può iniziare con la musica che parte, fiera e metallica come lo stridore delle spade.
Arrivano al debutto sulla lunga distanza i medieval folk metallers Haggefugg, sestetto di Colonia con il loro Metgefühl, successore dell’unico lavoro licenziato Trinkt aus!, ep dello scorso anno.
Il gruppo tedesco confeziona un piccolo gioiellino di folk metal tradizionale, che non mancherà di far innamorare gli amanti delle atmosfere folkloristiche, abbinate ad un metal d’assalto dall’ottima presa ed impatto.
Rigorosamente cantato in lingua madre, Metgefühl risulta trascinante e dall’ottimo songwriting, la band segue le linee tracciate dai gruppi più famosi della scena tedesca (In Extremo) ma non manca di personalità, con un uso riuscito di cori e voci, una sezione ritmica potente e varia e gli strumenti tradizionali che come d’ ordinanza nel genere, impazzano tra fiumi di alcool e balli sfrenati intorno al fuoco.
Un lotto di canzoni da ascoltare tutto d’un fiato con il volume al massimo e la musica degli Haggefugg non mancherà di trasformarvi in soldati di un’era dimenticata dal tempo, ricoperti di pelliccia e con il corno colmo di birra svuotato per l’ennesimo brindisi.

TRACKLIST

1. Metgefühl
2. Met, Wirt, Bestellt
3. Trinkt Aus!
4. Krähenweise
5. Spielmannssünden
6. In der Schenke
7. Tapferes Herz
8. Ai vist lo lop
9. Villemann og Magnhild
10. Danse du ventre
11. Seemannsgarn
12. Plattgekontert (Bonus)

LINE-UP
Gregor Krähenkehle – Gesang
Dudel zu Lang – Dudelsack, Schalmei, Flöten
Henry d’Humel – Gesang 2, Darbuka, Dudelsack 2;
Martin Lauther – Gitarre
Bassbär – Bass
Hauptmann Klopfer – Schlagzeug

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Kratornas – Devoured By Damnation

Devoured By Damnation si rivela un’apprezzabile prova di death genuino e virulento quanto basta per riuscire a catturare la giusta dose di attenzione.

I Kratornas distruggono i timpani dei malcapitati ascoltatori da oltre un ventennio, ma il primo organico parto su lunga distanza risale al 2007, quando la band aveva le proprie basi ancora nelle natie Filippine.

Devoured By Damnation è il terzo della serie ed è il primo composto in terra canadese, luogo dove Zachariah si è stabilito nel nuovo decennio; ingaggiato il batterista GB Guzzarin (canadese nonostante il nickname possa richiamare alla memoria quello di un un oste trevigiano …), il vocalist e chitarrista scaglia sul pubblico quest’incandescente meteorite che, sebbene veda i Kratornas accreditati di un sound grind/black, è in realta fortemente debitore del più furioso death novantiano di matrice statunitense.
Ma i paragoni, specialmente in un genere dove spesso le differenze sono costituite da sfumature infinitesimali per chi non ne è un fruitore abituale, sono del tutto superflui: ciò che conta è la distruttiva e genuina urgenza che trova sfogo in un album composto, registrato e pubblicato su un suolo sicuramente più ricettivo ed accogliente per il metal estremo.
Nonostante il suo retaggio sia riconducibile ad un epoca lontana, il sound dei Kratornas si appropria in maniera più che lecita di certe sonorità, semmai ci fosse bisogno di puntualizzarlo, stante il suo status di band già attiva nel bel mezzo degli anni novanta: la freschezza e la virulenza non risentono dell’anagrafe, e Devoured By Damnation si rivela così un’apprezzabile prova di death genuino e virulento quanto basta per riuscire a catturare la giusta dose di attenzione.

Tracklist:
1. Spit On God
2. Dead Burning Christ
3. Archangels of Destruction
4. Deluge – After Massacre
5. Blood of The Devil
6. Evil Is Reborn
7. Devoured By Damnation
8. Cadavers of Gods
9. Huios Diabolus
10. World Within Demons

Line up:
Zachariah – guitars
Guzzarin – drums

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The Ritual Aura – Tæther

Tæther va seguito in tutto il suo percorso anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare.

Era il 2015 quando sulle pagine virtuali di Iyezine comparve nella sezione metal la recensione del primo full length di questo fenomenale gruppo australiano.

Laniakea seguiva a ruota i due singoli di questa nuova band, The Ritual Aura, nata dalle ceneri degli Obscenium e freschi di firma per la Lacerated Enemy Records.
Il primo lavoro strappò i complimenti del sottoscritto, immancabili dopo aver ascoltato il metal estremo suonato dalla band, un brutale esempio di death metal tecnico e progressivo che seguiva la strada tracciata a suo tempo dai Cynic.
I The Ritual Aura tornano dopo un anno a sconvolgere le certezze musicali di non pochi detrattori del metal con un mastodontico album dal titolo Tæther, più di un’ora tra brutal death metal, progressive e svariate forme musicali (dalla fusion, al jazz) momenti di musica destabilizzante e spettacolari fughe metalliche tra blast beat ed infuocati manici delle sei corde strapazzate e torturate, e solo a tratti fatte riposare, per lasciare a synth e tasti d’avorio il compito di portare l’ascoltatore in un mondo parallelo, dove il confine tra i generi è abbattuto a colpi di musica globale.
La band di Perth se ne esce dunque con un album di straordinaria musica estrema, dove il classico technical death metal viene nobilitato da un songwriting eccellente ed una predisposizione naturale per il progressive rock, che stupisce e nobilita un’opera che come il primo album è colma di atmosfere sci-fi, ma si allontana dal sound dei Cynic per abbracciare un più ampio specchio di generi ed ispirazione.
Quando Levi Dale e soci decidono di brutalizzare l’atmosfera, i brani sono furiose e violente cavalcate estreme, per passare poi a passaggi elaborati ed un attimo dopo sconvolgere l’andamento del brano con combinazioni di musica totale in un turbinio di note progressive.
Tæther va seguito in tutto il suo percorso, anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare e quindi richiede il tempo necessario per seguire gli sviluppi musicali di questi signori degli strumenti in arrivo dalla terra dei canguri.
Ogni nota è dove deve stare, ogni passaggio risulta una sorpresa e stupisce, folgora, annichilisce … se siete amanti del genere dovete ascoltare la musica dei The Ritual Aura, assolutamente.

TRACKLIST
1. Tæthered Betwixt / Hearthless
2. Ghostgate
3. Until Absence Confides Eternal
4. Te-no-me
5. Hitodama / Like Fiery Lanterns
6. I Am No Longer I?
7. (i) That I May Cease to Be
8. Mononoke • 一 • A Grievous Betrayal
9. Mononoke • 二 • On Wax Wings Ablaze
10. Mononoke • 三 • The Burden of Worlds
11. Mononoke • 四 • Dirge of Impermanence
12. Kage no Yamai / Shadow-Sickness
13. Kitsune / The Fox Fires
14. (ii) Earth Their Bones Left Hallowed
15. In Our Hearts
16. Yūrei no Umi / A Sea of Ghosts
17. A Farewell to Being

LINE-UP
Darren Joy – Bass
Adam Giangiordano – Drums
Levi Dale – Guitars
Matthew Gedling – Guitars
Jamie Kay – Vocals

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