Wendigo – Initiation

I Wendigo, se sapranno sviluppare ed amalgamare l’elemento stoner con l’hard rock di scuola australiana, nel prossimo futuro ci faranno divertire non poco.

L’hard rock di ispirazione settantiana ha trovato in questi ultimi anni, anche grazie al successo dello stoner rock, nuova linfa vitale, così da accontentare gli amanti del genere stufi dei soliti nomi, ormai molti sepolti da una spessa coltre di polvere.

Anche quest’anno non sono mancati una manciata di lavori che si sono ritagliati una spazio importante nei cuori dei rockers sparsi per il mondo e neppure nuove realtà che si sono affacciate per la prima volta su di un mercato in continuo fermento.
Questa giovane band tedesca, al suo primo lavoro autoprodotto, non manca di sorprenderci con tre brani che vanno a formare il loro primo ep Initiation.
Nati pochi anni fa come cover band di Ac/Dc e ZZ Top, i Wendigo finalmente escono con musica tutta loro, ed il risultato è senz’altro positivo.
Il loro hard rock pesca a piene mani dalle atmosfere settantiane, ma senza fermarsi al solo copiare una data band, colmano il loro sound di sfumature hard rock (Ac/Dc), southern rock’n’roll (ZZ Top) e stoner così da risultare freschi e vari nell’approcciarsi al genere.
La prima traccia infatti (Play It) è un classico rock robusto alla Ac/Dc con ritmiche dal buon appeal ed il cantato maschio e ruvido che dona quel tocco bluesy al pezzo.
Sail On ha nel giro di basso stonerizzato il suo motore ritmico, mentre il brano prende una piega statunitense e ci prepara a quella che è la traccia migliore dell’ep.
Holy Hypocrite, infatti è una danza stoner nel bel mezzo del deserto, i ritmi si dilatano in una lavica andatura prettamente stoner rock, mentre i nostri si trasformano in sacerdoti di cerimonie illegali.
Non male questo ep, specialmente nell’ultimo brano:  i Wendigo, se sapranno sviluppare ed amalgamare l’elemento stoner con l’hard rock di scuola australiana (non solo la band dei fratelli Angus, ma anche Rose Tattoo), nel prossimo futuro ci faranno divertire non poco.

TRACKLIST
1.Play It
2.Sail On
3.Holy Hypocrite

LINE-UP
Jörg Theilen-Vocals
Eric Post-Guitars
Jan Ole Möller-Vocals, guitars
Lennard Viertel-Bass, vocals
Steffen Freesemann-Drums

WENDIGO – Facebook

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Blind Marmots – Spore

Una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno.

Ritroviamo i padovani Blind Marmots due anni dopo l‘ep d’esordio autointitolato: questo nuovo Spore è di poco più lungo ed arriva dopo diversi cambi di formazione che, alla fine, paiono aver dato dei buoni risultati.

La band fagocita, rumina e restituisce (meglio non sapere attraverso quale orifizio) svariate influenze che fanno capo al rock e al metal alternativo, lasciando sul terreno un melting pot di stoner, sludge, grunge, funky, psichedelia, che si rivela piuttosto organizzato nonostante l’ approccio scanzonato alla materia possa far temere, in prima battuta, il contrario.
Ne deriva così una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno: i Blind Marmots manifestano apertamente il proprio atteggiamento ironico e pungente (in questo vedo una certa similitudine con gli alassini Carcharodon), a partire da testi che ci portano a spasso tra maniaci incendiari, marmotte, topolini, sbronze e conseguenti minzioni, ma ciò non impedisce loro di fare molto sul serio a livello musicale, visto che la mezz’oretta scarsa che ci vene offerta riesce a lasciare il segno specialmente nei primi tre brani, davvero eccellenti nella loro spontanea robustezza e molto più diretti rispetto a restanti, pervasi invece da un più accentuato mood psichedelico
Il potenziale per emergere c’è tutto, ma è chiaro quanto non sia semplice in un settore piuttosto frequentato e nel quale, al di là dello spingere in una direzione musicale piuttosto che in un’altra, il rischio è quello di restare confinati allo status di band divertente (e non c’è dubbio alcuno che il quartetto padovano lo sia), specie dal vivo.
Ma, immaginando che quest’obiettivo, peraltro ampiamente raggiunto, sia una delle priorità per i Blind Marmots, in attesa di risentirli all’opera magari su lunga distanza, non resta che unirci alla loro invocazione: Dio salvi la marmotta!

Tracklist:
1. Pyromaniac
2. God Save The Marmot
3. Mice In The Attic
4. The Hangover
5. Pissing
6. Storm

Line-up:
Carlo Titti – Lead Guitar
Ale “Teuvo” – Voice
Luca Cammariere – Drums
Pietro Gori – Bass

BLIND MARMOTS – Facebook

Desert Near The End – Theater Of War

Un ottimo lavoro che fa convivere in assoluta e devastante armonia il power metal epico dei Blind Guardian, la furia thrash dei Kreator ed il metal teatrale ed oscuro degli Iced Earth

Gran bella sorpresa questo Theater Of War dei power/thrash metallers greci Desert Near The End, un bombardamento sonoro notevole, drammaticamente oscuro e dall’elevato songwriting.

La band arriva al terzo lavoro, successore del debutto A Crimson Dawn del 2011 e di Hunt for the Sun licenziato un paio di anni fa, e il sound rilegge il power/thrash inserendo molti elementi europei e quell’oscurità tipica del metal statunitense con risultati molto positivi.
Theater Of War infatti risulta un album in cui le atmosfere tra il moderno e il classico si fondono alla perfezione con la musica estrema, una soffocante e palpabile oscurità avvolge i brani in una coltre di nero fumo, gli scontri all’ultimo sangue tra le due anime del sound si risolvono in una carneficina metallica di proporzioni bibliche e noi non possiamo che goderne, anche per l’ottima produzione, una forma canzone di alto livello e la buona tecnica dei musicisti.
Mixato e masterizzato da Tue Madsen (The Haunted, Heaven Shall Burn, Kataklysm) l’album è un apocalittico esempio di metal distruttivo, la guerra impera, l’umanità è alla fine e Ashes Descent, Point of No Return, la spaventosa title track e la devastante e melodica A Martyr’s Birth raccontano degli ultimi giorni della terra, ormai in preda ad un disfacimento totale, immersa nel buio della coltre di fumi che si alzano dagli incendi che avvolgono le città.
Un ottimo lavoro che fa convivere in assoluta e devastante armonia il power metal epico dei Blind Guardian, la furia thrash dei Kreator ed il metal teatrale ed oscuro degli Iced Earth, non perdetevelo per nessun motivo.

TRACKLIST
1. Ashes Descent
2. Faces in the Dark
3. Point of No Return
4. Under Blackened Skies
5. A Martyr’s Birth
6. Season of the Sun
7. Theater of War
8. At the Shores

LINE-UP
Alexandros Papandreou – Vocals
Akis Prasinikas – Bass
Thanos K – Guitars
Lithras – Drums (session)

DESERT NEAR THE END – Facebook

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Legion – War Beast

I fratelli Adamo valorizzano con le loro trame chitarristiche i brani, ben interpretati dal cavaliere metallico Ralph Gibbons, singer di razza che gioca con toni cari a Dio e Ian Gillan

Tornano dopo più di dieci anni dall’esordio i Legion, band del New Jersey capitanata dai fratelli Adamo ed alfieri di un heavy metal classico, tra la tradizione europea di gruppi come Rainbow e Dio e quella statunitense U.S. Metal.

Il gruppo aveva già fornito un’ottima prestazione sul primo Shadow of the King, che aveva lasciato una buona impressione agli addetti ai lavori, purtroppo il lungo silenzio ha condizionato non poco la carriera del gruppo in anni in cui si fa fretta a dimenticare, travolti dalle centinaia di uscite mensili ed un approccio alla musica che, anche nel metal, sta prendendo la pericolosa strada dell’usa e getta.
La Pure Steel però non se li è fatta scappare e War Beast può così contare sulla label tedesca, madrina di innumerevoli realtà musicali dai rimandi old school e molto attenta al mercato statunitense.
Come nel primo lavoro, l’ascendente Rainbow è molto presente tra le trame dei brani, a tratti epici, ben assestati su mid tempo potenti ma eleganti e sfiorati da un vento power di estrazione americana che convince non poco.
I fratelli Adamo valorizzano con le loro trame chitarristiche i brani, ben interpretati dal cavaliere metallico Ralph Gibbons, singer di razza che gioca con toni cari a Dio e Ian Gillan, e che dà il suo personale tocco classic alla proposta del gruppo.
Si passa da brani più tirati e aperti da riff metallici di scuola ottantiana (Gypsy Dance), a bellissimi esempi di hard & heavy dove l’arcobaleno più famoso del metal viene glorificato, con Gibbons che si esalta nel capolavoro Bricks of Egypt, brano che sprizza epicità regale, un omaggio neanche troppo velato al grande Ronnie James.
Stand And Fight risulta un brano più diretto rispetto allo standard delle tracce, anche se non manca il refrain epico che riporta l’atmosfera sui lidi già descritti.
Arriviamo alla conclusiva Luna (ballad di genere), senza fatica accompagnati dal sound di questo ottimo gruppo che ripercorre strade storiche senza indugi, riportandoci tra i colori di un arcobaleno difficile da dimenticare, un album di hard & heavy classico sopra le righe, bella sorpresa.

TRACKLIST
1. On The Place Horse
2. Gypsy Dance
3. Bricks Of Egypt
4. When Life And Spirit Divide
5. War Beast
6. Stand And Fight
7. Future Passed
8. Luna

LINE-UP
Ralph Gibbons – vocals
Frank Adamo – guitars
Arthur Maglio – bass
John Soden – drums
Joe Adamo – guitars

LEGION – Facebook

EVERGREY

Il video di The Paradox of the Flame (feat. Carina Englund), tratto dall’album The Storm Within

Il video di The Paradox of the Flame (feat. Carina Englund), tratto dall’album The Storm Within

THEATRES DES VAMPIRES

I Theatres Des Vampires hanno pubblicato il video di ‘Morgana Effect’, brano tratto dal nuovo album della band ‘Candyland’, in uscita il 14 ottobre su Scarlet Records.

‘Candyland’ si ispira ad alcuni fatti avvenuti all’interno dell’ospedale psichiatrico di Pennhurst, in Pennsylvania, all’interno del quale esisteva una stanza dai muri colorati e le sbarre alle finestre che i pazienti descrivevano come un inferno in terra e dove adulti e bambini con gravi problemi mentali sono stati nascosti all’opinione pubblica per decenni. ‘Candyland’ era appunto il nome di quella stanza.
Sentimenti ossessivi e di estremo disagio si intrecciano alle atmosfere magnetiche del disco, un disco dal sound violento e sensuale allo stesso tempo, come da tradizione per la band.

Khemmis – Hunted

Hunted è il degno seguito di un Absolution che aveva già convinto lo scorso anno critica ed appassionati, segno che la strada intrapresa è sicuramente quella giusta.

Quando si parla di crossover si immagina sempre un qualcosa che vada ad intrecciare, a volte anche in maniera forzata, sfumature musicali che, prese singolarmente, si muovono in direzioni opposte.

Il caso dei Khemmis è leggermente diverso, perché qui il crossover avviene all’interno di uno dei generi più nobili del metal, il doom, cercando di farne convivere le radici classiche con la psichedelia dello stoner e la greve pesantezza dello sludge.
Capita così di imbattersi, nel corso di questo secondo album della band del Colorado, in brani in cui l’afflato melodico talvolta indolente del doom tradizionale si sposa con rallentamenti limacciosi, all’interno dei quali, magari, assoli chitarristici di matrice heavy provano a dissipare il velo di oscurità portato dal growl e dai riff pachidermici.
Tutto sommato l’operazione, a ben vedere non molto consueta, pare riuscire ai Khemmis: le cinque lunghe tracce funzionano bene e, pur senza toccare vette epocali, si rivelano efficaci esempi di quanto anche il doom possa trovare al proprio interno spunti relativamente innovativi.
In effetti, i Khemmis dovrebbero ricevere apprezzamenti trasversali, visto che il loro particolare approccio potrebbe risultare più gradito che ostico a coloro che sono devoti ad uno stile specifico.
Un buon lavoro di squadra (due buone voci, una chitarra brillante senza cadere nel virtuosismo sterile ed una base ritmica sempre ben percepibile) che fornisce un risultato più che soddisfacente: Hunted è il degno seguito di un Absolution che aveva già convinto lo scorso anno critica ed appassionati, segno che la strada intrapresa è sicuramente quella giusta.

Tracklist:
1. Above The Water
2. Candlelight
3. Three Gates
4. Beyond The Door
5. Hunted

Line-up:
Dan – Bass
Zach – Drums
Phil – Vocals, Guitars
Ben – Vocals, Guitars

KHEMMIS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=kbNgdEfMVng

Opeth – Sorceress

Se gli Opeth dell’era metal hanno dimostrato negli anni ’90 (e inizio dei 2000) di poter essere originali, altrettanto non sta avvenendo con il nuovo corso musicale intrapreso.

Ho un ricordo ancora vivido del mio ultimo concerto degli Opeth al Gods of Metal 2012.

E ricordo simpaticamente l’umorismo di Mr. Åkerfeldt che, tra una battuta e l’altra su Eros Ramazzotti, ci comunicava che per la sua band l’heavy metal è stato caratterizzato dalla fase giovanile, ma era giunto il momento di crescere. L’inquieta band svedese che tanto ha dato al death metal nei primi anni ’90, ha praticamente abbandonato quasi tutti i legami con il metallo preferendo sonorità vicine al rock e prog rock anni ‘70. Se la strada intrapresa sia una reale crescita è argomento (sterile) ormai discusso largamente. Non ci resta che lasciare da parte la nostalgia e ascoltare i nuovi Opeth liberandoci dal passato per almeno 50 minuti. Persephone è una intro di chitarra acustica toccante, ma subito arriva la trama di Sorceress, intessuta da un organo e basso prima (chi conosce gli Area?), poi da un bel riff di chitarra pesante e oscuro: la natura prog-rock della traccia si avverte più dai suoni che non dalla composizione in sé, il pezzo è tutto sommato immediato e accessibile. Più banale The Wilde Flowers, che rivela un mood prog più tradizionale, anche se l’assolo e il finale sono pregevoli. Il gradevole folk acustico e tranquillo di Will O The Wisp, poi attacco hard per Chrysalis, che frulla insieme Ghost e Deep Purple, senz’altro tra gli highlights dell’album. Sorceress 2 potrebbe stare su Led Zeppelin III, mentre  The Seventh Sojourn sembra balzata fuori da Kashmir. L’abbiocco sembra inevitabile finché Strange Brew non esplode al minuto 2 in un riff spaziale di grande prog che, solo per un istante, mi dà l’illusione di trovarmi in un pezzo degli immensi Spiral Architect. Il brano impegna i nostri in un entra-esci da Hendrix ai Beatles e dalle ultime release Opeth. Non si decolla ancora, purtroppo. In  A Fleeting Glance si riaffacciano ancora i Beatles e di tanto in tanto un riffettino o un assolo di chitarra provano a elettrizzare l’andazzo sonnolento. Con Era sembrano voler spezzare il torpore incombente e il brano, pur non così originale, chiude in (parziale) bellezza. Gli Opeth non mi hanno stregato con il loro prog rock, devono ancora lavorare sodo per amalgamare e soprattutto valorizzare al meglio tutte le loro innegabili influenze e quindi trovare una nuova identità. Se gli Opeth dell’era metal hanno dimostrato negli anni ’90 (e inizio dei 2000) di poter essere originali, altrettanto non sta avvenendo con il nuovo corso musicale intrapreso. Previsione personalissima: o torneranno in qualche modo a quello che sanno fare meglio (il metallo) o rischieranno l’oblio.
P.S. Il mio voto è beneaugurante …

TRACKLIST
01. Persephone
02. Sorceress
03. The Wilde Flowers
04. Will O The Wisp
05. Chrysalis
06. Sorceress 2
07. The Seventh Sojourn
08. Strange Brew
09. A Fleeting Glance
10. Era
11. Persephone (Slight Return)

LINE-UP
Mikael Åkerfeldt – Vocals, Guitar
Joakim Svalberg – Keys, Vocals
Fredrik Åkesson – Guitar,Vocals
Martin Mendez – Bass Guitar
Martin Axenrot – Drums

OPETH – Facebook

Afterlife Symphony – Moment Between Lives

Un album da assaporare con la dovuta calma, mentre l’anima metallica si scontra con quella sinfonica in un susseguirsi di colpi di scena

La nostrana Revalve è considerata dal sottoscritto alla stregua di uno scrigno musicale colmo di piccoli gioielli metallici: dalle sonorità estreme passando da quasi tutti i generi che compongono l’universo della nostra musica preferita, l’etichetta nostrana non sbaglia un colpo regalando ai fans sempre ottimi lavori e band sopra la media.

Ultima opera arrivata sulla mia scrivania è il secondo album dei veneti Afterlife Symphony, album che si colloca senza dubbio tra le migliori uscite di questo ultimo scorcio dell’anno in corso.
La band, come detto, è al secondo lavoro sulla lunga distanza e segue di tre anni l’esordio Symphony of Silence, album che aveva trovato non pochi estimatori tra gli addetti ai lavori.
In un genere inflazionato come il metal sinfonico dai rimandi gotici non è poi così difficile cadere nell’ovvio e nel già sentito, allora le virtù che fanno la differenza sono riscontrabili nell’abilità degli artisti nel creare melodie accattivanti, mantenendo ben salda la componente metallica, cosa che al gruppo veneto riesce benissimo.
Moment Between Lives porta con se qualcosa di diverso già nel concept, molto maturo ed intimista: l’uomo davanti alle sue domande e alle sue scelte che nel corso della vita si pone e deve affrontare tra amori, paure, rabbia, sogni ed introspezione, non male e molto affascinate in un mondo ormai di superficialità conclamata e punto in più per la giovane band.
Il concept viene accompagnato da una colonna sonora che vede come protagonista l’ottima interpretazione della singer Anna Giusto, accompagnata dal metal suonato dai suoi compagni d’avventura, robusto nelle ritmiche, a tratti bombastico quel tanto che basta per rendere il suono molto cinematografico e valorizzato da un lavoro chitarristico elegante, mai invadente ma perfetto nel drammatizzare le atmosfere intimiste dei brani.
Un album da assaporare con la dovuta calma, mentre l’anima metallica si scontra con quella sinfonica in un susseguirsi di colpi di scena, potentissime ripartenze tragicamente rabbiose e raffinati momenti di apparente calma, prima che la tempesta di umori e dubbi torni ad impadronirsi del protagonista sotto forma di metallo fortemente espressivo.
Paragoni ed influenze le lascio all’ascoltatore, personalmente ho trovato più Epica e primi Within Temptation che i soliti Nightwish, ma sono dettagli; fatevi accompagnare in questo viaggio tra spiritualità e realtà da tracce molto intriganti come The Abyss, Under The Sleeping Tree, ed il capolavoro Novembre (part II), ne uscirete più ricchi …

TRACKLIST
1 – Half-Moon Night
2 – The Abyss
3 – Under the Sleeping Tree
4 – My Existence to You
5 – Broken Breath
6 – Dreamer’s Paradox
7 – Seventh
8 – Last Hope
9 – Novembre, Pt. 1
10 – Novembre, Pt. 2
11 – Genesis of Eternity

LINE-UP
Anna Giusto – Vocals
Stefano Tiso – keyboards and piano
Eddy Talpo – Rhythm and lead guitars
Nicolas Menarbin – bass
Antonio Gobbato – Drum and percussions

AFTERLIFE SYMPHONY – Facebook

True Werewolf – Death Music

Il black metal è una musica che deve dare fastidio, potendo e dovendo esprimere senza essere costretto o limitato da nulla.

True Werewolf è il progetto solista di black metal marcio di Graf Werewolf, la mente dietro Satanic Warmaster, che qui può dare liberamente sfogo al suo black metal più marcio, satanicamente acido.

Questo disco è uscito originariamente nel 2012, in un momento di pausa del progetto Satanic Warmaster che durante questi anni ha patito qualche problema. Quanto a volte Satanic Warmaster è ortodossia e pulizia, True Werewolf è medioevale marcescenza, come i canali di scolo oche passavano lungo e sopra le strade nelle epoche antiche. Questo disco è una raccolta di tracce originariamente uscite su sette pollici, dieci pollici e raccolte. Possiamo sentirci molto degli anni novanta, soprattutto per quel senso di velocità ed urgenza che ora è difficile trovare suonato in maniera spontanea. Death Music è un documento importante di un certo momento del black metal, del quale ora di solito si trova una mera riproposizione lo fi, che è notevole in ben pochi esemplari. Qui invece il marcio esce spontaneamente come il pus da una ferita, e stride facendo male. In certi momenti è quasi urtante questo black metal, ma è così che deve essere, deve essere fastidioso e malvagio, contro le pose, le mode e la commercializzazione, perché il black metal è questo, una musica che deve dare fastidio, potendo e dovendo esprimere senza essere costretto o limitato da nulla. Come Death Music il black metal deve essere ciò che è, senza mediazioni o giudizi. Qui c’è disagio e dolore, voi cosa cercavate ?

TRACKLIST
1.Vampyric Magick
2.Malevolent Ascension
3.Kreaturen der Nacht
4.Arkut
5.My Journeys Under the Battlemoon
6.The Grandeur of Death’s Palace
7.Bats Crawl from My Tower
8.Buried, Yet Mourning
9.Weeping Lord of the Majestic Plagues
10.In a Dark Dream

TRUE WEREWOLF – Facebook

Red Fraction – Birth

Un buon riassunto di quello che il rock/metal moderno ci ha offerto in questi ultimi venticinque anni.

Questa estate come ormai mi capita spesso (lavoro permettendo), mi sono recato all’Hard Castle Fest, kermesse sonora che si tiene a Castellazzo Bormida in provincia di Alessandria, purtroppo però non ho avuto occasione di vedere il live di questo gruppo proveniente dal capoluogo piemontese, causa il solito ritardo cronico mio e del mio compagno di avventure musicali.

Peccato, perché il debutto dei Red Fraction è un buon lavoro di metal moderno, che amalgama hard rock e sonorità alternative sorrette da potenti ritmiche ed interpretato da una singer dal buon piglio.
La band nasce da un’idea di Martina Riva (voce) e Leandro Spedicato (chitarra) nell’estate del 2014 e dopo aver trovato i compagni giusti in Nicolò Gado (basso) e Gabriele Pepe (batteria), registrano questo primo lavoro licenziato dalla Sleaszy Rider, label greca con il fiuto per i gruppi meritevoli in tutti i generi della nostra musica preferita.
Ed eccoci a Birth, album composto da undici tracce che spaziano tra i generi rock dagli anni novanta fino ad oggi, con i Red Fraction che, ispirati dalle proprie influenze, ci regalano un buon riassunto di quello che il rock/metal moderno ci ha offerto in questi ultimi venticinque anni.
Non mancano però di personalità i ragazzi alessandrini, la sei corde di Spedicato a tratti sconfina nel classico, con solos metallici di buona fattura, le ritmiche sempre potenti non fanno mancare il loro supporto tenendo imbrigliata la componente metal nel rock alternativo di cui il gruppo, ad un primo ascolto, viene accreditato.
La parte cantata è interpretata con padronanza dalla singer e le tracce viaggiano su una media più che buona, almeno per un debutto in un genere inflazionato come l’hard rock alternativo.
Di questo lavoro piace la voglia di non andare troppo lontano dal metal, ed infatti, pur nel loro impatto moderno, brani come Plastic, Hunter o Apollo 7 mantengono un approccio heavy che discosta i Red Fraction dai soliti gruppi moderni.
Trovo il sound del gruppo più vicino al grunge metallizzato dei primi Alice In Chains che alle groove band tanto di moda in questi anni, magari nascosto dalla voce femminile che ad un primo approccio può ricordare, nei momenti più pacati, qualcosa dei Lacuna Coil.
Per concludere, una buona partenza per il gruppo piemontese, Birth è un lavoro piacevole, ben eseguito ed assolutamente in grado di soddisfare gli ascolti dei giovani rockers attenti alla scena underground nostrana.

TRACKLIST
1. Prelude
2. Plastic
3. Hunter
4. Night Won’t Hold Me
5. Lost Broken Doll
6. Shooting Star
7. What You Wanted
8. Apollo 7
9. The Hermit And The Justice
10. Holy
11. Atomic Child

LINE-UP
Martina Riva – Vocals
Leandro Spedicato – Guitar
Nicolò Gado – Bass
Gabriele Pepe – Drums

RED FRACTION – Facebook

Usurpress – The Regal Tribe

Una quarantina di minuti a prova di tedio con il suo frullato di death, thrash, black, doom e progressive che si rivela senz’altro appetitoso.

Terza prova su lunga distanza per gli svedesi Usurpress, band sulla scena dall’inizio del decennio con il suo sound che, poggiando su una base death, spazia con una certa disinvoltura lungo tutti i generi del metal estremo.

The Regal Tribe si pone come una prova di grande sostanza in cui gli ammiccamenti melodici sono solo sporadici e, di fatto, resi superflui da una prova di ottimo livello da parte della band di Uppsala.
Proprio questo rende l’operato degli Usurpress tutt’altro che un becero ricorso a tutti i luoghi comuni del metal estremo: i nostri optano per una forma musicale senz’altro poco immediata e con più di un passaggio ricercato (vedi gli strumentali The Halls of Extinction e On a Bed of Straw, tanto per citare due esempi), senza rendere il sound troppo frammentario.
Se un umore fondamentalmente più cupo pare pervadere l’intero album, probabilmente ciò è dovuto anche ai problemi di salute che hanno toccato da vicino membri della band nell’ultimo periodo, portando ad affrontare a livello lirico tematiche di un certo peso specifico e mai banali.
Così il quartetto svedese convince sia quando viaggia ad alta velocità, sia quando rallenta immergendosi con qualcosa più di un piede nel doom (The Mortal Tribes), riuscendo a comunicare efficacemente i contenuti tipici della scuola svedese senza esibirne in maniera didascalica gli standard.
Di sicuro la competenza riguardo al genere non può mancare all’interno di una band che annovera al basso Daniel Ekeroth, valente musicista ma soprattutto autore di diversi libri tra i quali Swedish Death Metal, opera fondamentale per capire l’importanza di tale movimento musicale.
Ma la di là di questa, che resta una mera curiosità, The Regal Tribe si rivela un buonissimo lavoro, grazie ad una quarantina di minuti a prova di tedio con il suo frullato di death, thrash, black, doom e progressive che si rivela senz’altro appetitoso.
Gli Usurpress alla fine sono la classica band che potrebbe reperire estimatori dal background piuttosto differente tra loro, un sinonimo chiaro di versatilità e dono della sintesi.

Tracklist:
1. Beneath the Starless Skies
2. The One They Call the Usurpress
3. Across the Dying Plains
4. The Mortal Tribes
5. The Halls of Extinction
6. Throwing the Gift Away
7. Behold the Forsaken
8. On a Bed of Straw
9. The Sin That Is Mine
10. In the Shadow of the New Gods

Line-up:
Stefan Pettersson – Vocals
Påhl Sundström – Guitars
Daniel Ekeroth – Bass
Calle Andersson – Drums

USURPRESS – Facebook

Saxon – Let Me Feel Your Power

I dettagli sulla performance sono tutti da scoprire, vi basti sapere che i vostri soldi saranno ben spesi: doppio cd, più dvd con il meglio della discografia di una delle icone del mondo metal, what else?

Let Me Feel Your Power è un brano che fa parte della track list di Inner Sanctum, l’album uscito ormai quasi dieci anni fa e che vedeva la band di Biff Byford toccare livelli qualitativi altissimi, come nelle opere dei primi anni ottanta.

Una band, i Saxon, di cui troppo spesso ci si dimentica: insieme alla vergine di ferro, una delle band più amate dai kids del primo periodo metallico, quello della new wave of british heavy metal a cavallo tra la fine di un’era (quella dell’hard rock settantiano) e la nascita del metal classico, genere padre di tutte le correnti della musica dura.
Gli anni sono passati inesorabilmente anche per le orde sassoni che conquistarono l’Europa a colpi di hard & heavy, ma è indubbio che la professionalità di Biff e soci ha permesso lor di entrare nel nuovo millennio dalla porta principale, non dando l’impressione di una band per metallari nostalgici, bensì di gruppo assolutamente sul pezzo anche per i giovani fottuti dalla rete.
D’altronde anche i Saxon nulla possono contro l’abbrutimento di un mercato ormai solo virtuale, a discapito di un rito messianico come il vinile prima ed in parte il cd, ma il tempo scorre e la musica va avanti, seguendo il fiume di questo nuovo e drammatico millennio.
Sono tornati i Saxon, dopo i fasti del secondo capitolo delle cronache sassoni e l’ultimo album uscito lo scorso anno (The Battering Ram), in attesa di un nuovo lavoro previsto per il prossimo anno, ritornano per la gioia dei loro fedelissimi fans con un dvd/ doppio cd live a suggellare una carriera on the road che, a dispetto delle sessantacinque primavere del suo leader , non smette di dare battaglia sui palchi più prestigiosi dei vari festival estivi o nei lunghissimi tour a cui si sottopongono; una vita on the road, un’attitudine live che ha impreziosito una carriera invidiabile, con alti e bassi fisiologici ma con una coerenza commovente che ne hanno fatto uno dei gruppi più rispettati del mondo metal.
Let Me Feel Your Power dunque è l’ennesimo live, in uscita per la UDR/Warner, composto da sedici tracce che alternano classici immortali (tranquilli, le varie Motorcycle Man, Power And The Glory, Heavy Metal Thunder, Princess of the Night ci sono tutte), alla nuova produzione che comunque rimane di alto livello ed una spanna sopra a molte delle nuove leve tanto osannate di questi tempi.
Diviso tra i live di Monaco, Brighton e Chicago, questo doppio live, supportato dall’ormai immancabile dvd, è un’altra ennesima glorificazione del sound sassone, con il gruppo in forma invidiabile, a parte qualche piccola discrepanza nella prova del buon Biff ma assolutamente imperdibile per i fans e per chi ama l’heavy metal classico.
I dettagli sulla performance sono tutti da scoprire, vi basti sapere che i vostri soldi saranno ben spesi: doppio cd, più dvd con il meglio della discografia di una delle icone del mondo metal, what else?

TRACKLIST
1.CD
01 – Battering Ram (live in Munich)
02 – Motorcycle Man (live in Munich)
03 – Sacrifice (live in Munich)
04 – Destroyer (live in Munich)
05 – Power And The Glory (live in Munich)
06 – 20000FT (live in Munich)
07 – Devils Footprint (live in Munich)
08 – Heavy Metal Thunder (live in Munich)
09 – Queen Of Hearts (live in Munich)
10 – Princess Of The Night (live in Munich)
11 – Wheels Of Steel (live in Munich)
12 – Denim And Leather (live in Munich)
13 – Crusader (live in Munich)
14 – Eye Of The Storm (live in Brighton)
15 – Battalions Of Steel (live in Brighton)
16 – Requiem (live in Brighton)

2.CD
01 – Motorcycle Man (live in Chicago)
02 – Battering Ram (live in Chicago) *
03 – This Town Rocks (live in Chicago)
04 – Sacrifice (live in Chicago)
05 – Power And The Glory (live in Chicago)
06 – Solid Ball Of Rock (live in Chicago)
07 – Dallas 1 PM (live in Chicago)
08 – Heavy Metal Thunder (live in Chicago)
09 – Rock The Nations (live in Chicago)
10 – The Eagle Has Landed (live in Chicago)
11 – Wheels Of Steel (live in Chicago)
12 – Backs To The Wall (live in Chicago)
13 – Just Let Me Rock (live in Chicago)
14 – Strong Arm Of The Law (live in Chicago)
15 – 747 (Strangers In The Night) (live in Chicago)
16 – Princess Of The Night (live in Chicago)
17 – Crusader (live in Chicago) *
18 – Denim And Leather (live in Chicago)

LINE-UP
Biff Byford – Vocals
Doug Scarratt – Guitars
Paul Quinn – Guitars
Nibbs Carter – Bass
Nigel Glockler – Drums

SAXON – Facebook

Noise Demon – Ten Cuts

Un album che distrugge le barriere e le trincee immaginarie che molti costruiscono sullo spartito musicale

John Zorn e i Painkiller: questo lavoro va indubbiamente accostato al genio newyorkese ed alla sua creatura più estrema e controversa, dunque niente di nuovo per chi della musica ne fa un fatto di cultura, più che un semplice ascolto distratto, ma è pur vero che un album del genere oltre che risultare destabilizzante per la noncuranza di etichette e generi a cui fa riferimento, è anche un coraggioso e quanto mai riuscito calcio in culo a chi continua a non dar peso alla musica underground, soprattutto quella nata sul suolo italico.

I Noise Demon oltretutto fanno parte di una scena (quella palermitana) che di talenti pullula, passando come api sui fiori tra una band e l’altra, tra un progetto e l’altro e regalando grande musica, passando dal metal estremo al rock psichedelico, fino allo stoner con risultati straordinari.
Giorgio Trombino (sax contralto), suo fratello Carlo al basso e Giulio Scavuzzo alla batteria per chi bazzica tra il rock/metal underground sono nomi già incontrati in molte delle band che formano, appunto la florida scena del capoluogo siciliano, con nomi che fanno della qualità musicale altissima il loro pregio e che in your eyes si è preso la briga di parlarvi ad ogni uscita discografica: dagli immensi Elevators to the Grateful Sky, passando per Palmanana, Furious Georgie, Haemophagus, Undead Creep e Sergeant Hamster e molti altri.
Ten Cuts è composto da dieci composizioni registrate in presa diretta da Danilo Romancino negli studi Zeit di Palermo, sono di fatto dieci Haiku compositivi dove la parola d’ordine è improvvisazione, un mix strumentale composto da free jazz, metal e a mio parere un tocco di prog alla King Crimson, con il sax di Trombino che a più riprese mi ha ricordato le note dello strumento sui brani del re cremisi.
Ne esce un album che distrugge le barriere e le trincee immaginarie che molti costruiscono sullo spartito musicale, un’aberrazione per chi vuole la musica libera di volare senza che qualcuno la imprigioni tra le sbarre di un genere prefissato.
Come sempre i musicisti provenienti da quel nido di geni all’estremo sud dello stivale, ci mettono del loro per dare pochissimi punti di riferimento, specialmente ad un orecchio poco allenato.
Un album difficile, ma non impossibile, un’altra perla da custodire nell’ostrica della vostra discografia sotto la lettera G (geni).

TRACKLIST
1.Tongue Cutters!
2.Barbiturate
3.Truth Serum
4.Tahafut al Tahafut
5.Blobs of Blood
6.Chasing the Goofball
7.Feces Grenade
8.Maccalube
9.The One Who Pays
10.Astaroth Boogie

LINE-UP
Giorgio Trombino – alto sax
Carlo Trombino – bass
Giulio Scavuzzo – drums

NOISE DEMON – Facebook

Satanic Warmaster – Black Metal Kommando / Gas Chamber

Pur essendo esecrabile, Satanic Warmaster è uno dei pochi del giro black metal a non essersi mai compromesso, nemmeno con sé stesso, continuando a rimanere credibile, e questo disco è l’inizio della sua avventura.

Ristampa da parte della finlandese Werewolf Recrods in combutta con la Hellsheadbangers Records.

Questa compilation fu originariamente pubblicata nel 2005, e contiene quello che sarebbe dovuto essere il primo disco del gruppo, Black Metal Kommando, mentre invece la sua prima uscita fu Strenght and Honour. In questi sei tracce si può sentire la dedizione totale di Satanic Warmaster al credo black metal. Questo è puro black metal, non è musica, né lo si deve intendere come tale. Il finlandese non rincorre le mode, le ammazza piuttosto, ed il suo suono è totalmente nero e misantropico. Pur essendo assai controverso, Satanic Warmaster è uno dei pilastri del black metal mondiale, con il suo suono grezzo e particolare, al di fuori della media del genere. Innanzitutto la produzione è abbastanza buona e i suoni son distanziati fra loro in sede di missaggio, e ciò porta la voce leggermente in primo piano, fatto non usuale per un gruppo black metal classico. In più il ritmo non è quasi mai ai mille all’ora, si predilige la narrazione sonora, pur essendo fedele l’esecuzione ai dettami del black. Il disagio e la misantropia satanica la fanno da padrone, radendo al suolo, ma proprio tutto, in nome di un nichilismo che resiste alla furia del tempo e anche a se stesso. Il black metal di Satanic Warmaster non ha età, è il tentativo di resistere al cambiamento intorno, sfornando un black metal intenso e genuinamente arrabbiato. Pur essendo esecrabile, Satanic Warmaster è uno dei pochi del giro black metal a non essersi mai compromesso, nemmeno con sé stesso, continuando a rimanere credibile, e questo disco è l’inizio della sua avventura. Black Metal Kommando si discosta leggermente da quello che poi troveremo in Strenght and Honour, e personalmente lo trovo migliore. I tre pezzi di Gas Chamber fotografano Satanic Warmaster con un taglio maggiormente noise e sperimentale. In questo ep l’inedito è solo uno, mentre gli altri due pezzi sono dei Beherit, gruppo che ha influenzato molto Satanic Warmaster.

TRACKLIST
1.Intro (2005 Remix)
2.Distant Blazing Eye
3.The Burning Eyes of the Werewolf
4.Black Metal Kommando
5.Wolves of Blood and Iron
6.Raging Winter
7.Macht & Ehre
8.The Blood of Our Fathers
9.D.S.O. 2000
10.Fish (Beherit cover)
11.Paradise (Part II) (Beherit cover)
12.The Seventh Oath of Demonomancy

SATANIC WARMASTER – Facebook

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