Blodiga Skald – Ruhn

Le cose positive che si erano ascoltate su Tefaccioseccomerda, qui vengono ampiamente superate, ed il risultato è un ottimo disco di folk metal, che merita molta attenzione dagli amanti del genere, anche perché si lega al discorso originario del genere, che è anche la sua parte più feconda.

Ritornano gli orchi più cattivi delle nostre foreste, pronti a buttarsi ubriachi in nuove avventure. Il disco è stato realizzato con il contributo dei fans, ed esce per la russa Soundage Productions, specializzata in folk metal di qualità.

I Blodiga Skald nascono a Roma nel 2014 da un’idea del batterista Nicola Petricca e del chitarrista Daniele Foderaro. Nel 2015 esce Tefaccioseccomerda, un ep che ha avuto un buon successo, e che ha dato la cifra stilistica di questo gruppo, ovvero un folk metal spensierato, veloce e di grande effetto. Nel nuovo disco i romani continuano a darci dentro, spostano maggiormente il tiro verso il nord dell’Europa, con un suono maggiormente curato rispetto al primo ep, che era comunque ottimo. La produzione di John Macaluso ai Trip In Music ha dato sicuramente i suoi frutti, rendendo maggiormente organico e potenziando ulteriormente il loro suono. Non si sono perse le maggiori peculiarità di questo gruppo, ovvero la potenza e la voglia di divertire e far divertire, con un folk metal riportato alle origini del genere, ovvero una diversa proposta con suoni particolari, mai noiosa ma anzi festaiola e metallica: proprio come il suono dei Blodiga Skald, i quali divertono moltissimo, non come alcuni gruppi compagni di genere che hanno perso la maniglia. Ruhn èbasato sulle storie del mondo che ha lo stesso nome del titolo del disco, e qui seguiamo i nostri orchi attraverso molte storie. Il suono è maturato molto, e i Blodiga Skald offrono una prova molto buona, con un suono compatto, potente e davvero folk metal. Le cose positive che si erano ascoltate su Tefaccioseccomerda, qui vengono ampiamente superate, ed il risultato è un ottimo disco di folk metal, che merita molta attenzione dagli amanti del genere, anche perché si lega al discorso originario del genere, che è anche la sua parte più feconda. Di folk ne troviamo tanto nel disco, anche grazie alla violinista Vittoria Nagni, mentre il metal è ben rappresentato dal death, da spruzzate balck, ma soprattutto dall’insieme che è esclusivamente e fortemente Blodiga Skald.

Tracklist
1.Epicavendemmia
2.Ruhn
3.No Grunder No Cry
4.I Don’t Understand
5.Sadness
6.Follia
7.Blood and Feast
8.Laughing with the Sands
9.Panapiir
10.Too Drunk To Sing

Line-up
Screamer – Axuruk “jejune” Kaleniuk
Strummer – Ghâsh “Barbarian Know-All” (Daniele Foderaro)
Orcordion and Orcboard – Tuyla “The Glorious One” (Ludovica Faraoni)
Fiddlerer – Maerkys “Handless” (Vittoria Nagni)
Farmerer – Rükreb “The Noble One” (Emanuele Viali)
Tupa Tupa – Vargan “Shepherd Tambourine” (Nicola Petricca)

BLODIGA SKALD – Facebook

Heathen Beast – $cam

Tornano gli agitatori sonori Heathen Beast, voce musicale del dissenso anti governativo in un paese come l’India, nel quale il livello della corruzione e dell’asservimento dei politici ai ai poteri forti e a quelli religiosi riesce persino a superare quello della nostra povera Italia.

L’urgenza compositiva che ha fatto scaturire questo nuovo ep da parte del misterioso trio, sempre alle prese con la propria rischiosa missione di denuncia, nasce dalla delirante decisione presa dal primo ministro Modi quando, nello scorso autunno, senza alcun preavviso, ha comunicato alla popolazione che sarebbero state messe fuori corso da subito tutte le banconote da 500 e da 1000 rupie (l’85% dei tagli in circolazione) allo scopo di stanare gli evasori fiscali. Non era necessario essere dei grandi economisti per capire che tali misure avrebbero avuto il solo effetto immediato di ridurre alla fame le fasce più deboli della popolazione, costrette a file oceaniche per le operazioni di cambio delle banconote/carta straccia presso banche incapaci di fare fronte alla situazione. Così i più ricchi continuano a prosperare, visto che i grandi evasori, per lo più, non detengono i loro beni in contanti, mentre la low-middle class si ritrova depauperata di gran parte dei propri beni, causa l’impossibilità di cambiare nei termini previsti il proprio denaro per finire, nella migliore delle ipotesi,  nella rete  del mercato nero.
Di fronte a tutto questo resta solo rabbia, da parte di chi almeno riesce a svincolarsi dall’ideologia religiosa, che rende gran parte degli indiani convinti che anche la misura più impopolare faccia parte di un «bisogno collettivo di sofferenza per la nazione, sicuri che la sofferenza li renda liberi, e che sia la strada per la salvezza personale e collettiva»
Gli Heathen Beast interpretano il rifiuto nei confronti di questo stato delle cose con tutta la furia e la convinzione che in questi anni hanno messo nella loro musica, stavolta utilizzando uno stile ancora più estremo del solito, sostituendo il black death relativamente più accessibile e contaminato dalla musica tradizionale indiana con nove granate di grind/black inframmezzate da numerosi voci campionate, mantenendo qualche sfumatura etnica per lo più nel particolare uso delle percussioni.
Ancor più che nelle precedenti occasioni, l’operato musicale degli Heathen Beast corre il rischio di passare in secondo piano rispetto al potente impatto della denuncia sociale che ritengo sia, comunque, il loro obiettivo primario. Ma è da sempre questo il destino di chi ritiene la musica non solo una forma d’arte ma anche lo strumento ideale per scuotere le coscienze, specialmente in paesi in cui le forme di dissenso vengono sopite da un controllo pressoché totale degli organi di informazione da parte delle classi dominanti (ci siamo di mezzo anche noi, non crediate, andare a vedere dove è collocata l’Italia nella graduatoria mondiale relativa al livello di libertà di stampa).
Resta il fatto che il trio indiano è una delle realtà più fresche e, a suo modo, innovative della scena metal mondiale, peccato solo che si manifesti con poca frequenza e con lavori per lo più dal minutaggio ridotto, ma si tratta ovviamente di un fatto contingente alla condizione di una band non convenzionale ed ad una vita artistica irta di ostacoli.

Tracklist:
1. Surgical Strike (De-modi-tisation)
2. It’s Only A Minor Inconvenience
3. Fuck Poor People, I Have Paytm
4. Reliance Is The Secret Of My Energy, Jio Mere Lal!
5. If The Army Can Do It, So Can You
6. Bailing Out The Banks
7. If You Disagree You Are Anti-national, Go To Pakistan
8. My Note Has GPS
9. Chutiya Banaya Bada Maza Aaya

Line up:
Carvaka – Vocals/Guitars
Samkhya – Bass
Mimamsa – Drums

HEATHEN BEAST – Facebook

Decapitated – Anticult

Anticult si può leggere come un ulteriore passo verso una camaleontica trasformazione iniziata con il precedente Blood Mantra, riuscita in parte, ancora da registrare ma che lascia buone sensazioni per il prosieguo della carriera del gruppo polacco.

Evoluzione, involuzione, tradimento o solo voglia di suonare qualcosa di diverso (anche perché non credo che con il metal estremo si possa parlare di soldi), fatto sta che quando una band storica lascia l’ormai abituale via per seguire altre strade, porta sempre malumore tra i fans e gli addetti ai lavori, poche volte bilanciato da commenti entusiastici.

E’ il caso dei polacchi Decapitated, una vita a suonare death metal tecnico e brutale, ora trasformatisi in una groove metal band, rabbiosa e melodica.
Potrà anche non piacere la svolta, ma rimane indubbio che Anticult sia un lavoro pesante e melodico, sicuramente rivolto ad un altro tipo di ascoltatori e non ai soliti fruitori della musica del gruppo di Vogg e compagni.
Ovviamente potete pure mettere la classica pietra sopra al vecchio sound proposto dai Decapitated, perché questo nuovo lavoro non è neppure avvicinabile ai deliri tecnici ed estremi dei passati album del gruppo, qui si fa death metal melodico e cool, con il groove ben in evidenza ed una spiccata propensione alla melodia che si evidenzia in molti passaggi, anche se manca ai brani quel quid per essere ricordati.
Anticult si può leggere come un ulteriore passo verso una camaleontica trasformazione iniziata con il precedente Blood Mantra, riuscita in parte, ancora da registrare ma che lascia buone sensazioni per il prosieguo della carriera del gruppo polacco.
In breve, i Decapitated non esistono più, o meglio stanno lasciando la vecchia pelle in una lenta mutazione che li sta portando, attraverso brani come la devastante opener Impulse, o la pesantissima Kill The Cult, verso lidi groove melodic death più vicini a gruppi come Arch Enemy, The Haunted e Darkane.
Se ne parlerà e tanto di questo lavoro, il sottoscritto consiglia l’ascolto prima di giudicare la scelta del gruppo che, a conti fatti, non risulta così male.

Tracklist
1. Impulse
2. Deathvaluation
3. Kill The Cult
4. One Eyed Nation
5. Anger Line
6. Earth Scar
7. Never
8. Amen

Line-up
Vogg – Guitars
Rafał Piotrowski – Vocals
Młody – Drums
Hubert Więcek – Bass

DECAPITATED – Facebook

Pathology – Pathology

Nono album per i brutal death metallers californiani Pathology, ormai punto fermo della scena estrema statunitense.

Con più di dieci anni di attività e ben nove album pubblicati, i californiani Pathology possono essere considerati come un punto fermo della scena brutal statunitense.

Il trio torna sul mercato con un nuovo lavoro omonimo che presenta mezzora di devastante death tra brutal e grind, con un estremismo sonoro senza compromessi e un livello tecnico invidiabile, che fanno del gruppo una realtà da seguire nel panorama del genere.
Anche questo nuovo lavoro , che segue di tre anni il precedente Throne Of Reign, percorre la linea tracciata dai maestri del death: una bestiale furia omicida si abbatte sull’ascoltatore, un massacro senza compromessi con il growl animalesco a maciullare teste e un riffing chirurgico per una raccolta di brani che non concedono tregua.
Dave Astor (batteria) e Tim Tiszczenko (chitarra) costruiscono un muro sonoro invalicabile, su cui Matti Way vomita bestialità in un condensato di violenza e ferocia che esprime nei titoli la sua dichiarazione d’ intenti (Lamentation, Dolorous, Putrescent).
Consigliato agli amanti del genere e ai fans devoti al verbo dei Cannibal Corpse e dei gruppi che formano le truppe d’assalto del brutal death metal.

Tracklist
1.Lamentation
2.Dolorous
3.Litany
4.Servitors
5.Dissevered
6.Putrescent
7.Doth
8.Shudder
9.Opprobrium
10.Vermilion

Line-up
Dave Astor – Drums
Matti Way – Vocals
Tim Tiszczenko – Guitar

PATHOLOGY – Facebook

Hitwood – As A Season Bloom

Boccellari non concede neppure un secondo al proprio ego, creando un piccolo gioiello dove la parole d’ordine è emozione e consegnandoci un lavoro strumentale bellissimo.

Potremmo stare giorni, mesi o anni a discutere su quanto importante possano essere gli eventi di massa, lontano dal concerto in senso lato e più vicino proprio alla definizione evento e a quella frase (io c’ero) che diventa sempre più importante della musica stessa.

Poi, dopo avere discusso e litigato, chi dalla parte del fenomeno che unisce un intero popolo, chi invece dà ancora un valore quasi sacrale alla musica, anche e soprattutto al rock’n’roll o al metal estremo, si finisce al cospetto di un lavoro come As A Season Bloom, ep di quattro brani del polistrumentista lombardo Antonio Boccellari, alias Hitwood, reduce da un full lenght uscito lo scorso anno, intitolato When Youngness… Flies Away….
Un amore sconfinato per gli In Flames e il death metal melodico, un talento compositivo di sicuro valore ed il gioco è fatto: la sua musica può scorrere come un fiume di note, tra l’alternativo e l’estremo, piacevolmente strumentale, a tratti sognante, in certi passaggi quasi meditativa, in altri esplosiva e metallica.
Sembra facile a dirsi, ma non è così, i brani che compongono As A Season Bloom hanno una loro vita, anche se il tutto è perfettamente assemblato in un’unica opera musicale per la quale non servono le parole, persi nello spartito di A Spring Glare Where Green Shine the Brightest, piacevolmente progressiva, o nelle trame semiacustiche dell’alternativa Memories from a Gentle Summer Evening.
Tranquilli, il metal estremo è li che aspetta il suo momento, prima melodico e classico in Catch the Autumn Scent, brano a cui manca il canto di Anders Fridén per essere una canzone degli In Flames del periodo Whoracle, mentre il gioco si fa duro con la furia estrema della conclusiva Awaked By A Winter Blast, gioiellino swedish death da applausi.
Boccellari non concede neppure un secondo al proprio ego, creando un piccolo gioiello dove la parole d’ordine è emozione e consegnandoci un lavoro strumentale bellissimo, con una prima parte molto progressiva ed atmosferica che cresce d’intensità col passare dei minuti, per esplodere nell’ultimo brano: da avere e consumare.

Tracklist
1.A Spring Glare Where Green Shine the Brightest
2.Memories from a Gentle Summer Evening
3.Catch the Autumn Scent
4.Awaked by a Winter Blast

Line-up
Antonio Boccellari – Guitars, Bass, Drums

HITWOOD – Facebook

Broken Hope – Mutilated and Assimilated

I Broken Hope tornano in un momento prolifico e di ottimo livello per il genere, e un altro pezzo di storia si riprende il suo posto nella scena estrema attuale.

Mancavano i Broken Hope in questo inizio estate all’insegna del death metal, magari non una band di prima fascia, ma comunque una presenza storica nei primi anni del decennio d’oro per il metal estremo dai rimandi classici, gli anni novanta.

Swamped In Gore, il debutto licenziato nel 1991 e poi i quattro monoliti death metal usciti tra il 1993 ed il 1999, avevano consegnato la band alla storia del death metal statunitense, pregno di un’attitudine brutal che li poneva perfettamente a metà strada  tra l’accoppiata Obituary/ Macabre e Cannibal Corpse.
Poi come spesso accade, è arrivato un lungo stop durato tredici anni, durante il quale i Broken Hope hanno perso quel briciolo di notorietà nonché il singer Joe Ptacek, venuto a mancare nel 2010.
Il ritorno nel 2013 con il buon Omen of Disease segnava la riscoperta da parte dei fans del combo di Chicago, confermato da questo nuovo lavoro, che vede saldamente dietro al microfono Damian “Tom” Leski, già a ruggire sul precedente lavoro.
Mutilated and Assimilated esce per Century Media, sarà distribuito in diverse versioni ed inizierà la sua opera di distruzione nella seconda metà di giugno dell’anno di grazia 2017.
Non ci vuole molto per capire di che pasta è fatto il sound del gruppo americano, semplicemente perfetto nell’assecondare tutti i cliché della scuola d’oltreoceano: death e brutal si rincorrono per conquistare il trono su cui verrà sacrificato quest’opera, un vero massacro old school, puro e devastante metal estremo, oscuro, maligno e cattivo come un serial killer in pieno trip da tortura.
I Broken Hope sono musicisti tripallici e lo dimostrano con una forza ed un impeto fuori misura, il muro sonoro innalzato con The Bunker, o la terrificante title track viene abbattuto da una serie di blast beat ed esplosioni ritmiche terribili e poi subito dopo ricostruito con l’arrivo di potente metallo brutale (The Necropants).
Si chiude alla grande con i cambi di ritmo e la varietà di Swamped In Gorehog, mix letale di due brani presi da Swamped In Gore, progressivo e brutale death metal ed ottima conclusione di un album fiero e potente.
I Broken Hope tornano in un momento prolifico e di ottimo livello per il genere, e un altro pezzo di storia si riprende il suo posto nella scena estrema attuale.

TRACKLIST
1. The Meek Shall Inherit Shit
2. The Bunker
3. Mutilated and Assimilated
4. Outback Incest Clan
5. Malicious Meatholes
6. Blast Frozen
7. The Necropants
8. The Carrion Eaters
9. Russian Sleep Experiment
10. Hell’s Handpuppets
11. Beneath Antarctic Ice
12. Swamped-In Gorehog

LINE UP
Jeremy Wagner – guitars
Mike Miczek – drums
Damian Leski – vocals
Diego Soria – bass
Matt Szlachta – guitars

BROKEN HOPE – Facebook

Horrid – Beyond The Dark Border

Rispetto alla maggioranza dei dischi death metal che stanno uscendo ultimamente, Beyond The Dark Border ha davvero molte cose in più, soprattutto il grande pregio di farsi ascoltare dall’inizio alla fine, senza mai avere il dubbio di lasciarlo in sospeso.

Gli Horrid sono dei veterani della scena death metal italiana, essendo attivi dal 1989, arrivano da Varese e migliorano ad ogni uscita.

Esce per Dunkelheit Produktionen questo Beyond The Dark Border che è una mazzata non indifferente, e che rende noto a giovani e meno giovani che gli Horrid sono tra i migliori Beyond The Dark Border gruppi in Europa. Il loro stile è un misto di scuola scandinava ed americana, dove però vince sulla distanza quest’ultima. Ascoltando il disco si viene calati con prepotenza in un oscuro reame, in cui stalattiti di ghiaccio e polvere sfiorano la nostra faccia e dove il freddo è l’unico dio. Gli Horrid possiedono quel passo superiore nel fare death metal che hanno solo i grandi gruppi, e che fa produrre dischi di grande potenza e pathos. Il massacro non viene mai meno per tutta la durata del disco, ed è davvero piacevole farsi massacrare dalla band lombarda, con la produzione ad assistere validamente il progetto di conquista del vostro stereo, che non ha molta scelta. Rispetto alla maggioranza dei dischi death metal che stanno uscendo ultimamente, Beyond The Dark Border ha davvero molte cose in più, soprattutto il grande pregio di farsi ascoltare dall’inizio alla fine, senza mai avere il dubbio di lasciarlo in sospeso. Questo perché il death degli Horrid è davvero eccellente, cantato e suonato come dovrebbe essere suonato ogni disco del genere. L’esperienza non sarebbe nulla se non venisse supportata da una passione e da una voglia ancora superiori: Beyond The Dark Border è semplicemente un grande disco di death metal senza se e senza ma.

TRACKLIST
1.The Black March
2.Cursed Dunes
3.Blood Painted Walls
4.The Eyes Of Terror
5.The Statement
6.Sacrilegious Fornication
7.Missing End
8.Demonic Challenge
9.Beyond The Black Border

LINE-UP
Belfagor – guitar
Dagon – bass/vocals
Eligor – drums

HORRID – Facebook

Anamnesi – La Proiezione Del Fuoco

Parlando del livello di lettura musicale il disco è di immenso valore, ma ancora più grande è il valore storico, e superiore ad esso si trova il livello spirituale, chiudete gli occhi mettete le cuffie e ascoltate cosa ha da dirvi la vostra vera anima.

Certe opere vanno ben oltre la musica, poiché sono dei paradigmi, dei momenti di vera comprensione di quello che siamo, o di ciò che siamo stati.

La Proiezione Del Fuoco è uno di questi momenti, un ricordarci ciò che siamo stati e ciò che siamo veramente, nonostante duemila e più anni di menzogne. Anamnesi è la creazione di Emanuele Prandoni, un nome che possiamo trovare dietro a grandi nomi dell’underground metal italiano, tanto per citarne alcuni Simulacro, Absentia Lunae e Progenie Terrestre Pura. Questo suo progetto è ora giunto al terzo disco edito da Dusktone, mentre i precedenti sono stati pubblicati da Naturmacht Productions. La Proiezione Del Fuoco è un disco incentrato sul culto mitraico, un’antica religione che era in voga nell’antica Roma, e che viene quindi da molto lontano. Purtroppo, a causa della scarsità di fonti non si sa molto su questa religione salvifica e piena di misteri, a cui si veniva iniziati attraverso sette gradi. Molto devoti a Mitra erano i legionari romani, ma Mitra viene dall’India e forse ancora da più lontano, ed era un culto legato al Sole, vero e forse unico dio di noi umani. In questo disco risuona fortissimo questo spirito antico, legato ad un percorso iniziatico molto difficile e preciso, per scoprire sé stessi e la verità su ciò che ci circonda. Anamnesi ci accompagna nel sotterraneo del nostro inconscio con un black death di ottima fattura, debitore alla scena svedese ma molto originale anche grazie al cantato in italiano, che si comprende bene e che è davvero una lezione di storia all’ennesima potenza. Vi sono momenti del disco nei quali si percepisce la forza e la profondità di questo culto che portiamo dentro, grazie all’immenso lavoro di ricerca di Emanuele, e soprattutto grazie alla sua altrettanto grande capacità di rendere musica le sue sensazioni. Parlando del livello di lettura musicale il disco è di immenso valore, ma ancora più grande è il valore storico, e superiore ad esso si trova il livello spirituale, chiudete gli occhi mettete le cuffie e ascoltate cosa ha da dirvi la vostra vera anima. La sesta traccia Apathanatismos è la resa musicale dell’unico culto mitraico a noi pervenutoci in una redazione successiva del quarto secolo; ascoltare queste parole suscita sensazioni davvero forti e dimenticate, ma non siamo quello che vogliono farci credere, siamo molto di più, fuoco e sole.
Un’opera immensa, testimonianza di ciò che può essere il metal, un veicolo per farci tornare a casa.

TRACKLIST
1.Origine Prima
2.Fautor Imperii
3.La Proiezione Del Fuoco
4.La Precessione Degli Equinozi
5.Lo Ierofante Dei Misteri
6.Apathanatismos
7.I Sette Raggi Del Myste

ANAMNESI – Facebook

Druknroll – Bad Math

Se questi quindici minuti di musica racchiusi in Bad Math fungono da apripista ad un prossimo full length, state pronti perché ci sarà da divertirsi.

Thrash metal progressivo e moderno, attraversato da umori death ed elettronici per una proposta molto interessante, peccato solo che questo Bad Math sia un ep di tre brani.

I Drunknroll sono attivi dal 2006 come one man band del polistrumentista Druknroll e hanno all’attivo una manciata di full length e due ep.
Col tempo il musicista russo ha poi trasformato la sua creatura in una band a tutti gli effetti e questo nuovo lavoro vede i Druknroll esibirsi come quartetto, con Maks Perepelkin alla sei corde, il cantante Horror al microfono, Knip alle prese con effetti, chitarre e tastiere, ed ovviamente Drunknroll che si danna con chitarre, batteria, basso e tasti d’avorio.
Mekong Delta e Voivod aleggiano in un sound moderno ed estremo, qualche richiamo agli Strapping Young Lad ed una predisposizione per il death melodico sono le componenti che vanno a formare la musica del musicista russo.
Thrash metal che ha nell’anima progressiva il suo punto di forza, con le tastiere che creano ricami eleganti in un contesto violento, colmo di cambi di tempo e sei corde trattate con una perizia tecnica invidiabile.
Horror inveisce sul microfono con la rabbia di un singer melodic death e le tre tracce risultano un ottima presentazione del gruppo agli ascoltatori occidentali.
Se questi quindici minuti di musica racchiusi in Bad Math fungono da apripista ad un prossimo full length, state pronti perché ci sarà da divertirsi.

TRACKLIST

1. Bad Math
2. On the Hook
3. The Heroes of the War

LINE-UP

Maks Perepelkin – lead guitar
Horror – vocals
Knip – guitars, sound effects, keys
Druknroll – guitars, bass, keys, drums

VOTO
7.20

URL Facebook
http://vk.com/druknrollcommunity

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Log in to view or download your responses at
https://admin.typeform.com/form/862363/analyze/hash/results

You can turn off or configure self notifications for this typeform at
https://admin.typeform.com/form/862363/configure/hash/self_notifications

Happy typeforming!

Team Typeform
Ask awesomely

Get even more out of your typeforms by going PRO. Learn more at
http://typeform.com/go-pro/ and upgrade your account when you’re ready: http://typeform.com/upgrade
873c8d0a01d552e7bebf125739e7d893

A Mournful Path – From The Wreckage Of Humiliation

Gli A Mournful Path sono un duo di black metal da Newcastle, Australia, e il loro black metal non vi lascerà tregua, figlio maledetto della scuola australiana, con quella saturazione dello spazio sonoro che rende bellissimo questo viaggio tra l’atmospherical e il black più tendente al death.

Questa traccia che vi proponiamo è un appunto, un piccolo assaggio di qualcosa che vi atterrerà nelle orecchie entro la fine dell’anno.

Gli A Mournful Path sono un duo di black metal da Newcastle, Australia, e il loro black metal non vi lascerà tregua, figlio maledetto della scuola australiana, con quella saturazione dello spazio sonoro che rende bellissimo questo viaggio tra l’atmospherical e il black più tendente al death. Il duo ha rilasciato questa traccia per la Inverse Records che pubblicherà il loro mini di debutto. Gli A Mournful Path si inseriscono in quel novero di gruppi che riescono a dare al black metal un significato di liberazione, un mezzo per andare verso il cielo o verso il centro della terra a vostra preferenza. Il male ed il disagio escono a mille all’ora dalla voce di Michael Romeo, con il fratello David che fa tutto il resto, ed ad ascoltarli non sembrano davvero un gruppo esordiente. I due fratelli Romeo respirano e suonano come fossero un’unica entità e ciò lo si sente molto bene anche da quest’unica traccia.
Un piccolo raggio nero che preannuncia una tempesta molto interessante e pesante.

TRACKLIST
1. From The Wreckage Of Humiliation

LINE-UP
David Romeo: Song writing and all instruments
Michael Romeo: Words and voice

A MOURNFUL PATH – Facebook

Arbor Inversa – Anticipatterns

Non vanno per il sottile gli Arbor Inversa, mentre la musica continua il suo viaggio tra periferie ingrigite dallo smog ghiacciato di città abbandonate al loro destino, formate da un’umanità fredda come il clima di quelle terre e che si riflette sul death metal di Anticipatterns.

Death metal proveniente dalla fredda Russia con un approccio estremo che, pur rimanendo nei canoni del genere, porta con sé un’attitudine moderna, un’anima industriale, fredda come la terra di provenienza ma assolutamente affascinate e distruttiva.

La Wormholedeath mantiene inalterata la sua ormai tradizionale fama di etichetta fuori dagli schemi e dai soliti confini e vola regno degli zar, dove ad aspettarla trova questo duo di musicisti, in pausa dalle fatiche degli Aruna Azura ed uniti sotto il monicker Arbor Inversa dallo scorso anno.
Max War-M (The Unhallowed, Aruna Azura) e Paul.G.Wicker (The Unhallowed, Aruna Azura, Deva Obida) creano questo penetrante ed intenso lavoro, dal titolo Anticipatterns, mezz’ora abbondante immersi nella frangia estrema del metal, oscuro, moderno e marziale, alternando accelerazioni e sfumature industriali, formando un sound a tratti progressivo, difficile da fare proprio ad un primo e fugace ascolto, ma che lasciato penetrare a fondo produce dipendenza.
Non vanno per il sottile i due musicisti, alle prese con chitarra, basso e batteria (Max War-M) e voce (Paul.G.Wicker) che passa da un profondo growl ad uno scream violento e terrificante, mentre la musica continua il suo viaggio tra periferie ingrigite dallo smog ghiacciato di città abbandonate al loro destino, formate da un’umanità fredda come il clima di quelle terre e che si riflette sul death metal di Anticipatterns.
Tra i brani dell’album vive un’anima oscura e violenta che fa dell’opener Philistine Manifesto, la devastante Aftertaste, la monolitica Scrounger A Matter e la progressiva Arbor Inversa (la song) ottimi esempi di metal estremo che racchiudono un’influenza dei Death portata in un contesto più moderno ed asettico, ma non per questo meno terrificante.

TRACKLIST
1. Philistine Manifesto
2. Lex Talionis
3. Aftertaste
4. Pandora’s Ambassador
5. Northunderland
6. Scrounge A Matter
7. Prot
8. Arbor Inversa
9. Lyra

LINE-UP
Max War-M – guitars/bass/drums
Paul.G.Wicker – vox

ARBOR INVERSA – Facebook

In Reverence – The Selected Breed

Death/black, oscuro e devastante, attraversato da una vena melodica che si evince nei rallentamenti ed in qualche sfumatura dark, ma furioso e tempestoso nelle parti estreme, con un growl cavernoso, qualche accenno allo scream ed un impatto da tregenda.

Attivi dal 2010 in quel di Stoccolma, gli In Reverence debuttano sulla lunga distanza con The Selected Breed, lavoro che al death metal tradizionale aggiunge parti atmosferiche e violente ripartenze al limite del black.

Death/black, oscuro e devastante, attraversato da una vena melodica che si evince nei rallentamenti ed in qualche sfumatura dark, ma furioso e tempestoso nelle parti estreme, con un growl cavernoso, qualche accenno allo scream ed un impatto da tregenda.
Un vortice di metal estremo, un tornado metallico nero come la pece che non manca di regalare attimi devastanti, turbini death/black che si spengono quando escono l’anima dark e le sfumature atmosferiche del gruppo, mentre l’oscurità domina e la luce è ormai lontana.
Bellissima e penetrante Gods Of Dehumanization, devastante la title track: le nove tracce che compongono The Selected Breed alternano metal estremo con parti atmosferiche che smorzano in parte una tensione altissima, ma che a tratti costruiscono muri su cui si infrange la tempesta di note con cui gli In Reverence ci investono senza soluzione di continuità.
Registrato, masterizzato e mixato da Sverker Widgren ai Wing Studios (October Tide, Demonical, IXXI, Diabolical) The Selected Breed si avvale della prestazione al basso di Joakim Antman (Skitarg, Ove25rtorture, The Ugly, Diatonic) in veste di ospite insieme a Joakim Mikiver (One Hour Hell, Tormention) al microfono.
Un album che non porta novità nel panorama estremo, ma sicuramente soddisferà la voglia di morte e distruzione degli amanti del death e del black metal.

TRACKLIST
1. Jahiliah
2. Gods Of Dehumanization
3. Prometheus
4. The Selected Breed
5. The Sixth Bloodletting
6. Anthropogeny
7. Red Waves
8. Gift Of Disintegration
9. Life Rejuvenate

LINE-UP
Filip Danielsson – Vocals
Pedram Khatibi Shahidi – Guitar
Oscar Krumlinde – Drums

IN REVERENCE – Facebook

Progenie Terrestre Pura – oltreLuna

I Progenie Terrestre Pura fanno davvero un genere a sé stante, non valgono i parametri con altri gruppi, perché è tutto speciale.

I Progenie Terrestre Pura non sono umani, vengono dalla nostra vera casa, che è persa lontano nelle stelle.

La Terra è solo un luogo dove soffriamo immensamente, non è il nostro luogo, e lo sentiamo chiaramente quando avvertiamo continuamene che c’è qualcosa che non va. Il gruppo italiano ci conduce in un immenso viaggio interstellare, dove il black e il death metal sono i propulsori per raccontare una storia mai sentita prima. Il suono di oltreLuna è ancora più potente e magnifico di quello dei dischi precedenti, La bravura tecnica e compositiva del gruppo è seconda solo alle sensazioni che suscitano. OltreLuna come e più degli altri dischi è un qualcosa di coinvolgente, come uno sguardo gettato su di un presente futuro che non riusciamo a cogliere imprigionati nelle nostre veste attuali. I Progenie Terrestre Pura con il loro suono monolitico, con sprazzi di black metal atmosferico molto potente ed evocativo, e persino con frequenti intarsi di voce lirica e strumenti antichi, tracciano una traiettoria che non può essere descritta se non tramite l’ascolto. E oltreLuna non è solo un disco ma è molto di più. Le immagini evocate con il cantato in italiano, lo splendido lavoro grafico di Alexander Preuss, e soprattutto la loro musica sono un film, è il racconto di un viaggio che forse l’uomo ha già compiuto ma del quale se n’è persa la memoria. I Progenie Terrestre Pura fanno davvero un genere a sé stante, non valgono i parametri con altri gruppi, perché è tutto speciale. I brani sono composti in maniera progressiva, non esiste la stantia forma canzone, perché questo è un viaggio verso le stelle più lontane. Le esperienze musicali sono molteplici e si basano soprattutto sui gusti dell’ascoltatore, ma oltreLuna è un vissuto musicale e poetico che è vivamente consigliato a chi ha una mente aperta e vuole continuare il viaggio. Forse all’estero hanno capito che questo gruppo è davvero una cosa incredibile e forse irripetibile. Oltre la Luna, perché noi siamo ben più di questo.

TRACKLIST
01 [.Pianeta.Zero.]
02 [.subLuce.]
04 [.Deus.Est.Machina.]
05 [.Proxima-B.]
03 [.oltreLuna.]

LINE-UP
Davide Colladon – Guitars/Composition
Emanuele Prandoni – Vocals/Lyrics
Fabrizio Sanna – Bass/Production

PROGENIE TERRESTRE PURA – Facebook

Uttertomb – Necrocentrism: The Necrocentrist

Gli Uttertomb si confermano testimoni di un approccio genuino e fedele ai dettami del genere, con la ciliegina sulla torta costituita dal nuovo brano che, pur con scostamenti minimi rispetto alle linee guida, apre scenari interessanti per quello che potrebbe essere, finalmente, un full length di prossima uscita.

Gli Uttertomb sono una delle molte band di buono spessore nascoste nei meandri dell’underground metal cileno.

Il quartetto di Santiago si autodefinisce autore di un necrological death metal che, poi, tradotto in qualcosa di più canonico, altro non è che un death di concezione morbosamente tradizionale con non poche divagazioni verso il doom.
Nonostante siano in attività già da tempo, gli Uttertomb non sono ancora approdati al primo full length e questo ep, di fatto, è la versione ri-registrata di Necrocentrism, risalente al 2012 e fino ad oggi la loro prova più consistente, anche a livello quantitativo. Per l’occasione, il gruppo guidato SS (Sebastian Salce, voce e chitarra solista, attivo anche con Communion, Death Vomit e Violent Scum) ha integrato il materiale passato con una traccia nuova, The Necrocentrist.
Nel parlare di questo lavoro, quindi, non si può fare a meno di notare quanto la buona operazione di rilucidatura lasci comunque un notevole solco tra le tracce del vecchio ep ed il nuovo brano, che spicca per il suo andamento rallentato ed avvolgente.
The Necrocentrist è, infatti, un ottimo esempio di death doom nella sua concezione più cruda e annichilente, con un giro di chitarra ossessivo a fornire un parvenza melodica sulla quale, poi, i nostri erigono una muraglia sonora densa e distruttiva quando la velocità aumenta: l’incedere ossessivo colpisce e affonda i colpi in maniera più efficace di quanto facciano tracce buone ma, a volte, fin troppo scarne come le varie Ascension Ritual, Choking Casket, Swallowed By Graves e Necrological Fascination.
Gli Uttertomb si confermano testimoni di un approccio genuino e fedele ai dettami del genere, con la ciliegina sulla torta costituita dal nuovo brano che, pur con scostamenti minimi rispetto alle linee guida, apre scenari interessanti per quello che potrebbe essere, finalmente, un full length di prossima uscita.

Tracklist:
1. Venomous Flesh Rain
2. Ascension Ritual
3. Choking Casket
4. Swallowed By Graves
5. Necrological Fascination

Line-up:
RM – bass
AV – drums
SS – guitars, vocals
JG – guitars

UTTERTOMB – Facebook

Vallenfyre – Fear Those Who Fear Him

Una valanga di death di classe superiore, suonato, composto e cantato da un Gregor Mackintosh che dimostra d’essere non solo un magnifico interprete del proprio strumento ma anche un growler che non teme confronti.

Terzo album per i Vallenfyre, vera e propria valvola di sfogo per le pulsioni estreme di uno dei musicisti più influenti della storia del metal, quale può essere considerato Greg Mackintosh.

La nascita di questo progetto, non a caso, corrisponde a grandi linee con un relativo ritorno a sonorità più cupe anche da parte dei Paradise Lost, anche se ovviamente l’irrobustirsi del sound da un lato approda alla costruzione di un death vero e proprio, seppure ammantato da una spessa coltre di oscurità, mentre dall’altro ne puntella con maggior convinzione il sentire gotico e melodico. Con i Vallenfyre Mackintosh va anche oltre a livello di spietatezza e ferocia, rispetto ai primi passi fatti con i Paradise Lost, ma soprattutto anche se confrontato ai due precedenti full length: un meteorite incandescente quale Messiah vale più di qualsiasi descrizione ed è l’ideale biglietto da visita che accoglie chi voglia provare ad introdursi nell’inospitale immaginario del musicista britannico.
Parlare di death doom, quindi, sarebbe potuto rivelarsi improprio se non fosse per la presenza in scaletta di alcuni episodi che riportano direttamente ai rallentamenti morbosi dell’album d’esordio A Fragile King e nei quali Mackintosh regala l’inimitabile marchio di fabbrica chitarristico che i fan dei Paradise Lost ben conoscono: ecco quindi giungere le splendide An Apathetic Grave  e The Merciless Tide a ribadire ai profani chi abbia definito, assieme  a pochi altri all’inizio degli anni ’90, le coordinate del gothic death doom così come lo conosciamo oggi.
Il resto della tracklist è una valanga di death di classe superiore, suonato, composto e cantato da un Gregor Mackintosh che dimostra d’essere non solo un magnifico interprete del proprio strumento ma anche un growler che non teme confronti: tracce dall’impatto tellurico come Degeneration, Nihilst, Kill All Your Masters, tra le altre, appaiono allo stesso tempo brutali ma contraddistinte da una sorprendente limpidezza sonora, merito indubbio anche di una band che vede all’opera anche l’ex My Dying Bride Hamish Glencross (chitarra e basso) e l’attuale drummer dei Lost, il giovane finlandese Waltteri Väyrynen.
Resta anche il tempo per un episodio leggermente diverso, ma non meno possente e minaccioso nel suo incedere, come la dissonante Cursed From The Womb prima che l’album si chiuda con una Temple of Tears che non lascia spazio a rimpianti e ripensamenti.
Paradossalmente, credo che la nascita dei Vallenfyre abbia giovato anche agli stessi Paradise Lost, e lo testimonia il fatto stesso che la loro produzione più recente (in fervente attesa dell’album di prossima uscita) abbia ritrovato lo smalto dei bei tempi dopo un periodo di relativo appannamento. Al di là di questo, i Vallenfyre vanno goduti però per quello che sono, ovvero una magnifica death metal band dalle venature doom, senza cadere nel peccato mortale di considerarla un semplice diversivo di un musicista annoiato dalla fama acquisita con la sua band principale.

Tracklist:
1. Born To Decay
2. Messiah
3. Degeneration
4. An Apathetic Grave
5. Nihilist
6. Amongst The Filth
7. Kill All Your Masters
8. The Merciless Tide
9. Dead World Breathes
10. Soldier Of Christ
11. Cursed From The Womb
12. Temple Of Rats

Line-up:
Greg Mackintosh – vocals, guitars
Hamish Glencross – guitars, bass
Waltteri Väyrynen – drums
Sam Kelly-Wallace – guitar (live)
Chris Casket – bass (live)

VALLENFYRE – Facebook

Suffocation – ….Of The Dark Light

Dopo decenni di attività i Suffocation non hanno alcuna intenzione di cedere il proprio posto privilegiato presso la tavola del brutal death metal.

Per i Suffocation sono quasi trent’anni all’insegna del death metal, brutale, tecnico e violentissimo.

Un nome diventato parte importante della storia di un genere, passando per i molti cambi di line up e attraverso l’altalenante popolarità dei vari generi non ha scalfito la macchina da guerra di Long Island.
Il gruppo americano torna dopo quattro anni dall’ultimo assalto sonoro dal titolo Pinnacle Of Bedlam, con Frank Mullen e Terrance Hobbs sempre sul ponte di comando, affiancati dal basso di Derek Boyer e dai nuovi arrivati, Charlie Errigo alla chitarra ed Eric Morotti alla batteria, entrati in formazione solo lo scorso anno.
I maestri statunitensi non sbagliano un colpo e mantengono inalterata la loro reputazione con un altro mastodontico lavoro che racchiude tutta la forza espressiva del genere, l’abilità esecutiva del gruppo ed un songwriting che permette, nell’assoluta belligeranza, di apprezzare le nove canzoni che compongono …Of The Dark Light.
Siamo arrivati dunque all’ottavo full length e il gruppo non ha nessuna intenzione di mollare il il proprio posto privilegiato presso la tavola del brutal death metal con un bombardamento da terza guerra mondiale, un lavoro studiato per colpire mortalmente, senza pietà, furioso, tecnico ed assolutamente devastante.
Detto di una prova scioccante di Boyer alle pelli, preciso come un alieno dai tentacoli di un Kraken, della produzione profonda ma secca, di un riffing talmente squassante da squartare casse toraciche come il famoso mostro della saga di Alien, rimane solo da citare quel fattore sorpresa che, sicuramente, non troverete su questo platter.
Qui, infatti, si suona death metal brutale da parte di una delle massime realtà del genere, e brani come Clarity Through Deprivation, The Violation e le altre massacranti tracce che compongono l’album, non sono che mattoni di piombo sul muro di suono innalzato ancora una volta dai Suffocation.

TRACKLIST
01. Clarity Through Deprivation
02. The Warmth Within the Dark
03. Your Last Breaths
04. Return to the Abyss
05. The Violation
06. Of the Dark Light
07. Some Things Should Be Left Alone
08. Caught Between Two Worlds
09. Epitaph of the Credulous

LINE-UP
Frank Mullen – Vocals
Terrance Hobbs – Guitars
Charlie Errigo – Guitars
Derek Boyer – Bass
Eric Morotti – Drums

SUFFOCATION – Facebook

Integral – Resilience

Il disco viaggia benissimo ed è una bellissima sorpresa in un panorama a volte troppo appiattito su certe sonorità, mentre qui si vola davvero alti, e si può tranquillamente dire che in ambito pesante sia uno dei dischi dell’anno.

Debutto molto interessante per questo gruppo di giovani bergamaschi, nato nel 2013 dalla comune passione per generi musicali metallici e proponendo un death metal molto crossover.

Il minimo comune denominatore è la bravura tecnica e l’ ottimo gusto musicale, perché gli Integral possiedono entrambi in gran misura. Il disco è un tentativo riuscitissimo di fondere insieme sonorità molto differenti fra loro, partendo da un death metal moderno di base, per poi fare in maniera incisiva cose vicino al migliore metalcore, o avere momenti di calma e di ottimo ambient o addirittura vicino alla psichedelia. L’album viaggia benissimo ed è una bellissima sorpresa in un panorama a volte troppo appiattito su certe sonorità, mentre qui si vola davvero alti, e si può tranquillamente dire che in ambito pesante sia uno dei dischi dell’anno. Resilience ha una potenza ed una fluidità davvero notevoli, che lo rendono un disco godibile e con una capacità compositiva notevole. Si rimane piacevolmente stupiti nel sentire che ci siano gruppi come gli Integral capaci di fare proposte intelligenti, pesanti e che riescono a far sembrare facile il difficile. Un disco che mostra il presente ed il futuro del migliore death metal.

TRACKLIST
1.Blank Claustrophobia
2.Collapsed Cubes
3.In(Earth)
4.Realm of Atlantis
5.Mac Brazel
6.Hieroglyphica
7.Room with a View
8.Self-made Oblivion
9.Mechanical Existence Construction
10.Out There in Silence (Eclipse)

LINE-UP
Alessio Moraschini – vocals
Riccardo Maccarana – guitar
Jacopo Farina – guitar
Marco Morandi – bass
Agostino Buttarelli – drums

INTEGRAL – Facebook

Origin – Unparalleled Universe

Dieci brani che sono altrettante atomiche che esplodono all’unisono nei padiglioni auricolari

Torna in questa metà dell’anno quella che per molti è la più grande band di technical brutal death metal in attività, gli Origin.

Unparalleled Universe è il settimo brutale sigillo che il quartetto americano pone come prova inconfutabile della grandezza di un genere, il death metal, estremizzato al limite dell’umano, tecnicamente inattaccabile e devastante, una tempesta di note e suoni che valicano barriere per altri neanche avvicinabili.
Licenziato tramite Agonia Records in Europa e Nuclear Blast Records in Nord America, il disco è stato masterizzato da Colin Marston presso i Menegroth – The Thousand Caves, mentre la copertina è stata creata da Filip Ivanovic (Dismember, Crytopsy, Gorguts).
Da una band con vent’anni di attività alle spalle non ci si può certo aspettare chissà quali novità, anzi, Unparalleled Universe suona Origin al 100%, brutale ed estremo fino alla totale distruzione, un macigno di death metal tecnico travolgente, come sempre valorizzato da un songwriting sopra la media.
E si, perché il gruppo di Paul Ryan, oltre a rappresentare quanto di più estremo e tecnico ci sia sulla scena, ha un talento inumano nello scrivere brani che non lasciano scampo, in un girone infernale dove la sei corde scende e sale in vortici e uragani sonori devastanti, ed il growl profondo e gutturale viene a tratti spazzato via da uno screaming bestiale.
I dieci brani sono altrettante atomiche che esplodono all’unisono nei padiglioni auricolari: il fungo si forma sopra le nostre teste ed il vento nucleare spazza via tutto, in uno tsunami belligerante, mentre Jason Keyser vomita morte e rabbia nel microfono, Ryan fa il fenomeno con chitarra e la coppia ritmica(John Longstreth alle pelli e Mike Flores al basso) erige un monumento alla’apocalisse.
Che dire d’altro, se non invitarvi a far vostro Unparalleled Universe? Gli Origin sono tornati e vi faranno tanto male, colpendovi senza pietà con armi micidiali come Cascading Failures,Diminishing Returns Invariance Under Transformation o gli spettacolari dieci minuti del capolavoro brutal progressive death Unequivocal: di meglio nel genere diventa davvero difficile trovarlo.

TRACKLIST
1. Infinitesimal to the Infinite
2. Accident and Error
3. Cascading Failures, Diminishing Returns
4. Mithridatic
5. Truthslayer
6. Invariance Under Transformation
7. Dajjal
8. Burden of Prescience
9. Unequivocal
10. Revolucion

LINE-UP
Paul Ryan – Guitars, Vocals
John Longstreth – Drums
Mike Flores – Bass, Vocals
Jason Keyser – Vocals

ORIGIN – Facebook

Voice Of Ruin – Purge And Purify

Un lavoro potentissimo, un buon esempio di come anche il metal estremo moderno, quando decide di far male, non è secondo a nessuno.

Death/thrash dal groove potentissimo, una meteora di metal estremo moderno lanciate a folle velocità sul pianeta, pronta a portare la terra all’anno zero.

Purge And Purify senza tanti mezzi termini è tutto questo, una devastazione biblica di metal estremo, un assalto senza soluzione di continuità, irruento ed indomabile come l’acqua che travolge tutto dopo il cedimento di una diga.
Questo monolite di metal estremo moderno arriva dalla Svizzera per mano dei Voice Of Ruin, quintetto attivo da una decina d’anni e con due demo, un full length (Morning Wood) ed un ep, alle spalle.
Per la Tenacity Music esce Purge And Purity, un album diretto e devastante, ben saldo nel death/thrash di ultima generazione, con un lotto di brani che sono frustate metalliche, dove il groove e la potenza sono ben bilanciate da solos melodici, ed il growl è cattivo, rabbioso, animalesco.
Disgust comincia a disegnare crepe sulla parete della diga, Horns è colpevole delle prime scosse, che si fanno più forti e telluriche con il passare dei minuti sotto i riff delle roboanti Blood of Religions e della micidiale Snakes in My Head.
Lamb Of God, Machine Head e Devil Driver sono i riferimenti tra i solchi di queste dieci detonazioni metalliche, mentre le prime infiltrazioni si avvertono dopo il passaggio di I Confess.
Un boato, ed una immensa valanga d’acqua si abbatte su tutto quello che si trova nel raggio di molti chilometri, un muro devastante che si fa spazio tra foreste e paesi sotto i colpi delle inumane Voices From The Ruins e Time For The Revenge.
Quando l’infernale massa d’acqua si stende sul territorio circostante la devastazione è completa, ma i Voice Of Ruin hanno ancora Piracy, colpo da sparare a bruciapelo quando tutto sembra finito.
Un lavoro potentissimo, un buon esempio di come, anche il metal estremo moderno quando decide di far male non è secondo a nessuno.

TRACKLIST
1.Disgust
2.Horns
3.Blood of Religions
4.Snakes in My Head
5.All Hail the King
6.I Confess
7.Voices from the Ruins
8.Animal Kingdom
9.Time for Revenge
10.Piracy

LINE-UP
Randy Schaller – Vocals
Erwin Bertschi – Bass
Dario Biner – Drums
Nicolas Haerri – Guitars
Darryl – Guitars

VOICE OF RUIN – Facebook

In Tormentata Quiete – Finestatico

Quella degli In Tormentata Quiete è una magia che si perpetua da diversi anni con una frequenza che egoisticamente vorremmo maggiore ma che, come l’apparizione nella volta celeste di una cometa ad intervalli di decenni, continua a meravigliare ogni volta e, proprio per questo, porta con sé il dono dell’eccezionalità.

Quella degli In Tormentata Quiete è una magia che si perpetua da diversi anni con una frequenza che egoisticamente vorremmo maggiore ma che, come l’apparizione nella volta celeste di una cometa ad intervalli di decenni, continua a meravigliare ogni volta e, proprio per questo, porta con sé il dono dell’eccezionalità.

L’accostamento di un album come Finestatico ad un evento cosmico non è affatto casuale, visto che l’universo e le sue stelle sono protagonisti del racconto messo in musica dalla band, che procede sulla sua personalissima strada con sempre maggior fermezza e chiarezza d’intenti, in virtù di un talento compositivo che nel nostro paese ha ben pochi termini di paragone.
Il tema lirico affrontato dall’ensemble bolognese è affascinante anche grazie allo stratagemma di dar voce ai corpi celesti, attribuendo loro sentimenti umani che affiorano via via tra unioni indissolubili, allontanamenti, moti di orgoglio, sensi di isolamento e di frustrazione.
Tutto questo, poi, trova il suo naturale approdo in un tessuto musicale talmente vario e cangiante da mettere in crisi anche il più tenace e fantasioso dei classificatori: la realtà è che gli In Tormentata Quiete sono portatori di arte musicale con la a maiuscola, che può essere assimilata al metal per qualche retaggio estremo che oggi, tutto sommato è più che altro riscontrabile nello screaming di Marco Vitale, fondamentale nel creare il peculiare intreccio con le due voci pulite, maschile a femminile (rispettivamente affidate a Simone Lanzoni ed Irene Petitto).
L’idea stessa di provare a descrivere, sia pure a grandi linee, i contenuti di Finestatico, mi appare a tratti un esercizio vano se non addirittura un atto di presunzione: come si può raccontare a parole, infatti, quello che invece è un accumulo di emozioni e sentimenti derivanti dall’ascolto di un’opera che si dipana con magica fluidità tra black, death, folk, doom, cantautorato e symphonic metal, senza che nessuna di tali componenti prevalga mai nettamente sull’altra ?
Mi limiterò solo, quindi, a consigliare vivamente a chiunque voglia farsi un’idea dell’ennesimo capolavoro firmato dagli In Tormentata Quiete di guardare ed ascoltare lo splendido video di R136a1, che non è la canzone più bella dell’album semplicemente perché lo sono tutte (anche se è una di quelle che prediligo assieme a Sirio, brano nel quale la componente folk si manifesta in maniera più netta).
Finestatico è un lavoro imprescindibile, offerto da una band unica il cui operato, in un paese normale, dovrebbe essere divulgato nelle scuole, invece di restare confinato ad un ambito underground, comunque mai così vivo e ricco di talenti che attendono solo ‘d’essere portati in superficie da una comunicazione più attenta e da un pubblico meno appiattito sui soliti nomi …

Tracklist:
1. Zero
2. Sole
3. R136a1
4. Eta Carinae
5. Sirio
6. RR Lyrae
7. Demiurgo

Line up:
Irene Petitto: Female Voice
Marco Vitale: Scream
Simone Lanzoni: Clean Vocals
Lorenzo Rinaldi: Guitars
Maurizio D’Apote: Bass
Antonio Ricco: Keyboards
Francesco Paparella: Drums

Special guests:
Clarinet by Irene Panfili
Music on “Demiurgo” by Luca Gherardi

IN TORMENTATA QUIETE – Facebook