Fractal Generator – Apotheosynthesis

Questo disco è un’esperienza sonora estrema, nella quale la velocità e la potenza sono notevoli, ma la vera bravura dei canadesi è quella di riuscire a mantenere intatta la melodia nonostante tutto voli intorno a loro, perché le linee melodiche del disco sono in evidenza e davvero particolari.

I Fractal Generator fanno metal davvero estremo, sono super tecnici e non penso siano nemmeno umani.

Prendete i Meshuggah, fondeteli con i Behemoth più veloci, e poi mille deviazioni e fughe. Il suono dei canadesi è volutamente inumano, perché il titolo in greco del disco illustra bene ciò che sono, dato che Apotheosynthesis è il punto rappresentante l’evoluzione dell’umanità attraverso l’integrazione tecnologica, a partire dal quale la stessa non può più considerarsi umana. I Fractal Generator hanno abbondantemente superato questo punto di non ritorno. Questo disco è un’esperienza sonora estrema, nella quale la velocità e la potenza sono notevoli, ma la vera bravura dei canadesi è quella di riuscire a mantenere intatta la melodia nonostante tutto voli intorno a loro, perché le linee melodiche del disco sono in evidenza e davvero particolari. I Fractal Generator compongono le loro canzoni in maniera progressiva, non si torna indietro per fare un ritornello, anche se alcune fasi canore vengono riproposte in diversi momenti. Se ci si concentra un po’, si comprende subito che questo suono non è assolutamente solo caos, ma che, come la vera teoria del caos, ha un ordine insito in sé stesso. Un altro aspetto notevole del disco è che anche se è sonicamente estremo non stufa od obbliga a posare le cuffie, e questo grazie all’alta qualità del tutto. Apotheosynthesis è un album estremamente affascinante, che nasconde innumerevoli tesori e motivi per ascoltarlo e per guardare nei suoi frattali. E il nome del gruppo è molto esplicativo così come il titolo, poiché la loro musica fa nascere figure aliene nel nostro cervello. Grande ristampa del disco precedentemente uscito nel 2015, e recuperato dalla Everlasting Spew Records, alla quale dobbiamo un doveroso ringrazmento. A un centimetro dalla fredda Terra aspettando la dolorosa fine. Dimenticavo : sono in tre, e il disco è anche in download libero sul loro bandcamp.

Tracklist
1.Cycle
2.Face Of The Apocalypse
3.Abandon Earth
4.Into The Unknown
5.Paragon
6.Human
7.The Singularity
8.Synthetic Symbiosis
9.Reflections

Line-up
040118180514
102119200914
040114090512

FRACTAL GENERATOR – Facebook

Tchornobog – Tchornobog

La musica che Soroka riversa in questo lavoro rappresenta il suo personale calice, un contenitore al cui interno trovano spazio tutte lo forme di metal estremo avvinghiate tra loro in un mortale abbraccio e rese in maniera convulsa, dissonante, ossessiva e, in definitiva, terribilmente inquietante.

Assolutamente in linea con la non convenzionalità di tutte le uscite targate I, Voidhanger, Tchornobog è il passo d’esordio dell’omonimo progetto solista di Markov Soroka, relativamente già noto per il suo operato con altri due monicker di sua esclusiva competenza, Aureole e Slow (quest’ultimo ovviamente da non confondersi con l’omonima creatura di Déhà).

Tchornobog è una traslitterazione di Chernobog, misconosciuta divinità slava, la cui unica testimonianza va ricercata nelle Chronica Slavorum, scritte nel XII secolo dal religioso tedesco Helmold: al riguardo pare che le popolazioni “devote” a tale culto fossero solite mettersi in cerchio e passarsi una sorta di calice, all’interno del quale venivano scagliate le maledizioni che sarebbe state appunto convogliate ed indirizzate nella giusta direzione da questo misterioso “dio nero”.
La musica che Soroka riversa in questo lavoro rappresenta il suo personale calice, un contenitore al cui interno trovano spazio tutte lo forme di metal estremo avvinghiate tra loro in un mortale abbraccio e rese in maniera convulsa, dissonante, ossessiva e, in definitiva, terribilmente inquietante.
In quattro brani che superano abbondantemente l’ora di durata come fatturato complessivo il giovane musicista di origine ucraine, ma di stanza negli Stati Uniti, esibisce senza troppe mediazioni una forma di doom che poggia su basi funeral, sferzata da brusche accelerazioni di stampo black death, e quasi del tutto priva di qualsiasi parvenza melodica, stante l’ossessivo incedere della strumentazione, in gran parte ad opera di Soroka che, saggiamente, si fa aiutare da diversi ospiti tra i quali spiccano l’ottimo Magnús Skúlason alla batteria ed il guru del doom più oscuro e temibile Greg Chandeler, alla voce in The Vomiting Tchornobog e Non-existence’s Warmth. Proprio quest’ultima traccia pare offrire un minimo di tregua all’incessante evocazione del dolore e del male che gli strumenti e le voci minacciose paiono lanciare senza soluzione di continuità, e ciò è appunto il cardine del lavoro: un’inesorabile opera di erosione psichica che, mai come in questo caso, vive in simbiosi con uno stile musicale difficilmente definibile.
Tchornobog è un’opera di intensità spasmodica, che annichilisce e percuote, attraendo fatalmente quando con la mente si cerca invece, razionalmente, di sottrarsi al suo letale abbraccio: un ascolto complesso e che chiaramente non riscuoterà favori in maniera univoca, ma non c’è dubbio che il bravo Markov abbia messo sul piatto un lavoro che non potrà lasciare indifferenti.

Tracklist:
1.I: The Vomiting Tchornobog (Slithering Gods of Cognitive Dissonance)
2.II: Hallucinatory Black Breath of Possession (Mountain-Eye Amalgamation) 12:32
3.III: Non-existence’s Warmth (Infinite Natality Psychosis)
4.IIII: Here, At The Disposition of Time (Inverting A Solar Giant)

Line-up:
Markov Soroka – all instruments, concepts and vocals
Magnús Skúlason – percussion & acoustic drums

With:
Greg Chandler – additional vocals on I & III
Sofia Hedman – saxophone on III
Hannar Gretarson – trumpet and cello
Lillian Liu – grand piano on III
Elizabeth Barreca & Markov Soroka – the Vomiting Choir

TCHORNOBOG – Facebook

Neverending Winter – Хиус

Le canzoni sono composte molto bene, ogni traccia fa storia a sé e si sentono chiaramente le stimmate dell’ottimo gruppo folk metal, ma definire tali i Neverending Winter è alquanto riduttivo, poiché sono molto di più.

L’inverno ultimamente va di moda grazie alla serie tv Trono di Spade e anche alla maledetta voglia del suo ritorno indotto da questo caldo.

Dalla Siberia, e più precisamente da Tomsk, arriva questo ottimo gruppo di folk metal e molto altro. Dopo l’esordio con titolo omonimo del 2013. il gruppo quasi ogni due anni sforna un nuovo disco, e sono tutti molto buoni e disponibili in download libero sul loro bandcamp, come il presente disco. I Neverending Winter fanno folk metal declinato in molte e diverse accezioni, ma soprattutto hanno una grandissima energia, attraverso la quale riescono a rendere benissimo alcune atmosfere. Il cantato in russo si addice benissimo a questa musica forte come gli alberi della Siberia, cattiva come gli animali che la popolano, e misteriosa come gli spiriti che la popolano. Tutto scorre molto bene, tra aperture melodiche di gran valore, anche con strumenti tradizionali, e sfuriate black, anche se il substrato delle loro composizioni è death metal. Le canzoni sono composte molto bene, ogni traccia fa storia a sé e si sentono chiaramente le stimmate dell’ottimo gruppo folk metal, ma definire tali i Neverending Winter è alquanto riduttivo, poiché sono molto di più.
Ascoltando Хиус si entra nell’enciclopedica conoscenza del metal che hanno questi siberiani, che trovano sempre la soluzione più adeguata al momento e al pathos dello stesso. Dischi come questo decretano la grande forza del movimento folk metal russo, che stra sfornando prodotti sorprendenti. Basti pensare che questo gruppo è senza contratto, si auto produce e si auto promuove, e raggiunge questi risultati. Certamente sono molto bravi, e spero si facciano conoscere il più possibile, perché questo disco è un legame con un qualcosa di ancestrale che tutti possediamo, ed è una qualità che stiamo perdendo. L’inverno senza fine è anche dentro di noi oltre che all’esterno, e bisogna essere molto forti per affrontarlo, e questa musica può dare molto in tal senso.

Tracklist
1.Intro
2.By snowridges (По застругам)
3.Neverending winter (Бесконечная зима)
4.Heeus (Хиус)
5.Sib Ir

NEVERENDING WINTER – Facebook

Mindcrushers – Born In Doom

Born In Doom risulta un album diretto, potente e devastante, dalle reminiscenze old school ma perfettamente inserito nel contesto estremo odierno, anche per la sua soffocante atmosfera in cui si aggirano spiriti metallici provenienti da più di un genere.

Tra le montagne e le valli del Veneto si aggira questa creatura oscura, dal 2010 conosciuta come Mindcrushers, con un demo all’attivo uscito ormai sei anni fa.

Dopo vari assestamenti nella line up, la band (ora un quartetto) si presenta al popolo metallico con questo ottimo lavoro dal titolo Born In Doom, composto da una raccolta di brani pesanti come macigni, tra thrash metal ottantiano, death metal, ed atmosfere pregne di oscura malignità dark.
Ne esce un album diretto, potente e devastante, dalle reminiscenze old school , ma perfettamente inserito nel contesto estremo odierno, anche per la sua soffocante atmosfera in cui si aggirano spiriti metallici in arrivo da più di un genere.
I Mindcrushers con sagacia alternano parti veloci e thrash ad altre dove le ritmiche si trasformano in potentissimi mid tempo e i solos riportano l’ascoltatore a godere dell’heavy metal oscuro degli anni ottanta.
L’ottima partenza con Death Is A Straight Procession, Slaves Of The White One e Boredom (da cui è stato tratto un video) mette subito le cose in chiaro, la band veneta non fa prigionieri, ci investe con il suo thrash death oscuro, valorizzato da spunti di metallo classico, formando un pezzo di granito mastodontico, un monumento di metal maligno che oscura il sole e forma un bombardamento di tuoni e fulmini senza soluzione di continuità, mentre Crystal Night Of Knives e la coppia conclusiva formata dalle notevoli Rise The Fallen e Dark Endless, sono altre tracce che alzano il livello di questo ottimo lavoro.
L’opera scivola come un mamba nerissimo e pericolosissimo, tra mid tempo e sfuriate death metal, come se i Morbid Angel, gli Asphyx e i Kreator sotto la guida dei Metal Church più oscuri, dessero vita ad una jam, un rito infernale dove non si perde tempo, si sacrifica e si uccide, senza pietà.
Una band che finalmente (visto i risultati) arriva all’esordio con una personalità ed un approccio da gruppo navigato: si può quasi toccare, tra i solchi dell’album, una forte convinzione dei propri mezzi, oltre a tutte le carte in regola per regalare agli amanti di queste sonorità ottima musica anche in un prossimo futuro.

Tracklist
1.Intro
2.Death Is a Straight Procession
3.Boredom
4.Slave of the White One
5.Tragedy of Happiness
6.Ogre
7.Inverted Buddah
8.Crystal Night of Knives (Kristallnacht)
9.Stone in a Glass
10.Rise of the Fallen
11.Dark Endless (Heart)

Line-up
Obscure – voice, bass
Francesco Brunello – rythmic, lead guitar
Diego Bordin – drums
Mauro Ferracin . guitar

MINDCRUSHERS – Facebook

Decrepit Birth – Axis Mundi

La band, pur sfoggiando la sua grande tecnica, lascia che le canzoni prendano vita, tra riff mastodontici, blast beat furiosi ed un lavoro prezioso della sei corde, melodica quanto basta per assecondare le altalene ritmiche e i vari cambi d’atmosfera.

Tornano dopo sette lunghi anni, a conferma di un anno da protagonisti per i suoni di stampo death e dei suoi lati più estremi (brutal, technical) i Decrepit Birth, gruppo dall’alto valore tecnico non supportato però dalla popolarità di altre realtà, specialmente statunitensi.

Poco male, la band in mano a Matt Sotelo dopo gli ottimi responsi dei lavori precedenti (specialmente il bellissimo Polarity, uscito nel 2010), saluta il 2017 con una mazzata straordinaria, affidata al nostro Stefano Morabito per mixaggio e masterizzazione ai 16 Cellar Studio  e composta da una dozzina di spettacolari brani dove tecnica, impatto e melodia si alleano per regalare grande musica estrema.
Axis Mundi a mio avviso accontenterà sia i fans del brutal che gli appassionati di death metal tradizionale, con il suo sound chiaramente di matrice statunitense, tecnicamente elevato alla massima potenza, ma valorizzato da una cura nei dettagli encomiabile ed una ispirazione notevole, mantenuta intatta anche dopo una  lunga pausa.
D’altronde i musicisti impegnati in questa mostruosa avventura accompagnando il chitarrista sono Bill Robinson (voce), Sam Paulicelli (batteria) e Sean Martinez (basso) , tipi poco raccomandabili, ex turnisti di gruppi top della scena (Malevolent Creation, Suffocation, Rings Of Saturn, Decapitated) e maestri del proprio strumento.
Si diceva, non è solo la tecnica a valorizzare Axis Mundi, che scorre estremo e piacevole, seguendo coordinate già scritte, ma con la personalità che è propria di una band del genere; ed infatti i Decrepit Birth, pur sfoggiando la sua grande tecnica, lascia che le canzoni prendano vita, tra riff mastodontici, blast beat furiosi ed un lavoro prezioso della sei corde, melodica quanto basta per assecondare le altalene ritmiche e i vari cambi d’atmosfera.
Vortex Of Infinity…Axis Mundi, apre le ostilità, Spirit Guide e Hieroglyphic valorizzano l’anima progressiva del gruppo mentre la splendida ed orchestrale Embryogenesis porta il sound dell’album sui livelli altissimi di Diminishing Between Worlds ed appunto Polarity.
Altro album imperdibile per gli amanti del death metal in questo anno di grosse soddisfazioni per il genere, in cui il gruppo regala sul finire ben tre cover di nomi altisonanti del metal estremo mondiale come Metallica e Sepultura.

Tracklist
1. Vortex of Infinity…Axis Mundi
2. Spirit Guide
3. The Sacred Geometry
4. Hieroglyphic
5. Transcendental Paradox
6. Mirror of Humanity
7. Ascendant
8. Epigenetic Triplicity
9. Embryogenesis
10. Orion
11. Desprate Cry
12. Infecting the Crypts

Line-up
Bill Robinson – Vocals
Matt Sotelo – Guitars
Samus – Drums
Sean Martinez – Bass

DECREPIT BIRTH – Facebook

Narthraal – Screaming from the Grave

Screaming from the Grave alterna ottimi brani ad altri leggermente più ordinari ma il gruppo, al debutto, non delude ed in generale l’album si presenta come un discreto esempio di quello che si suona da decenni nel Nordeuropa in campo death.

Una splendida copertina cimiteriale ed old school fa bella mostra di sé sul primo full length del quartetto islandese dei Narthraal, gruppo estremo attivo dal 2012 e con due ep già licenziati (Blood Citadel del 2014 e Chainsaw Killing Spree uscito lo scorso anno).

Il gruppo proveniente dalla terra del ghiaccio e dei vulcani erutta dieci brani sacrificati sull’altare del death metal old school, leggermente attraversati da maligno death/black di provenienza ed ispirazione est europea, ma comunque consolidato nella tradizione scandinava di primi anni novanta.
Come si evince dalla copertina di scuola nordica, con le truppe di non morti pronti ad invadere il regno dei vivi colpendo a suon di morsi le loro vittime, l’album rispecchia la tradizione del death metal nato nei primi anni novanta, pregno di devastanti ritmiche, chitarre che non dimenticano le melodie e rallentamenti, ora più marcati ora trasformati in mid tempo potentissimi.
Le accelerazioni di stampo black sono presenti ma non inficiano l’impatto death della musica di Viktor Peñalver e soci, partiti dalla ridente (ma non troppo) cittadina di Hafnarfjörður alla conquista del metal estremo underground.
Screaming from the Grave alterna ottimi brani ad altri leggermente più ordinari ma il gruppo, al debutto, non delude ed in generale l’album si presenta come un discreto esempio di quello che si suona da decenni nel Nordeuropa in campo death, anche se una produzione leggermente più pulita avrebbe permesso a tutte le canzoni di emergere, non solo a quelle più convincenti che alzano non poco il giudizio sull’opera (Worldwide Destruction e Feed The Pig).
Un lavoro sufficiente per non rimanere del tutto ignorato dagli amanti del genere, con ampi margini di miglioramento

TRACKLIST
1.Death of the Undying
2.Screaming from the Grave
3.Million Graves to Fill
4.Worldwide Destruction
5.Envy
6.Descent into Darkness
7.Blood Path
8.Symbols of Hate
9.Feed the Pig
10.Dismember the Entombed

LINE-UP
Viktor Peñalver – Vocals/bass
Birkir Kárason – Guitar
Jónas Haux – Drums
Tony Aguilar – Guitar

NARTHRAAL – Facebook

Veins – Innocence

Nel sound dei Veins troviamo un thrash metal che non disdegna parti classiche e sfuriate metalliche che si trasformano, in un attimo, in bellissime ed atmosferiche parti acustiche.

Ci sono voluti tre anni ai Veins per licenziare il loro debutto discografico, ma diciamo subito che ne è valsa la pena.

Innocence è un concept che parla di giovani, del loro perdere ben presto l’innocenza dovendo affrontare un mondo sempre più difficile, mentre la disperata voglia di crescere per essere pronti ad affrontarlo si traduce in un death/thrash moderno, dal buon tasso tecnico e dall’impatto di un carro armato.
Rabbia, frustrazione e rancore che cresce per una società che, senza aspettare, mette il giovane individuo di fronte ad una vita sicuramente non simile a quella vista e raccontata da chi lo vuole mentalmente schiavo, mentre la tensione sale sempre più.
Il quartetto romano spiega tutto ciò con l’aiuto di bordate estreme che ricordano il death americano delle nuove generazioni (Lamb Of God), ma non solo, perché nel sound del gruppo troviamo un thrash metal che non disdegna parti classiche e sfuriate metalliche che si trasformano, in un attimo, in bellissime ed atmosferiche parti acustiche; le chitarre, da parte loro, sono protagoniste di riff e solos da applausi, mentre la voce urla, ma sa anche essere delicata, prima di tornare a sfogare rabbia con l’ausilio di una sezione ritmica personale, varia e potente.
Album ottimo per intensità e coinvolgimento, Innocence non concede tregua ed anche le parti in cui la tempesta elettrica lascia spazio a sfumature acustiche la tensione è sempre ai massimi livelli: Dawn, Dying, l’eccezionale Bullet In The Head, l’atmosfera intimista della title track che esplode in Take My Hand, fanno di questo debutto un prodotto consigliato agli amanti del genere.

Tracklist
01. Animula Vagula Blandula
02. Part I
03. Dawn
04. Reflections
05. Part II
06. Dying
07. Bullet In The Head
08. Innocence
09. Take My Hand
10. Time Doesn’t Exist

Line-up
Francesco De Canio – voce, chitarra
Lorenzo Natale – chitarra
Fabio Romano – basso
Riccardo Piazza – batteria

https://www.facebook.com/veins666

Assent – We Are The New Black

I francesi Assent irrompono con il loro sound estremo, partendo da una base struttrata su un groove metal moderno, per contornarla di rabbioso black metal, sfumature atmosferiche e death melodico per un risultato sicuramente interessante.

Ottimo esordio in formato ep del duo francese Assent, cinque brani più intro di metal estremo vario, prodotto benissimo e dalle mille sfaccettature.

Opera che potete trovare in streaming sul web, We Are The New Black si sviluppa su una ventina di minuti abbondanti dove Grégoire Debord (chitarra) e .Aurélien Fouet-Barak (voce, basso e batteria programmata), aiutati da una manciata di musicisti della scena, irrompono con il loro sound estremo, partendo da una base struttrata su un groove metal moderno, per contornarla di rabbioso black metal, sfumature atmosferiche e death melodico per un risultato sicuramente interessante.
Si parte con un intro suggestiva, con viola, violoncello e violino che sfumano in un carillon, prima che gli strumenti elettrici entrino con tutta la loro potenza; la title track è un brano moderno e devastante in cui la voce pulita conferisce un tocco metalcore alla rabbiosa proposta del gruppo parigino, che mantiene alta la tensione con Reaching Out, perla estrema dove cambi di tempo e violenza vanno a braccetto con la parte melodica sempre tenuta in primo piano.
Apart Of Me e le melodie pianistiche di Remain In Darkness, brano dai rimandi post black, lasciano ad Insomnia il compito di darci l’arrivederci ad un eventuale full length che, mantenendo le premesse emerse da questo lavoro, potrebbe regalarci grandi soddisfazioni.

TRACKLIST
1.The Dust & the Screaming
2.We Are the New Black
3.Reaching Out
4.A Part of Me
5.Remain in Darkness
6.Insomnia

LINE-UP
Grégoire Debord – Guitars
Aurélien Fouet-Barak – Vocals, Bass, Drum Programming

ASSENT – Facebook

Paganizer – Land of Weeping Souls

I Paganizer si confermano come una delle realtà più convincenti ed importanti che il death metal scandinavo abbia tra le sue fila, in questo inizio di millennio in cui le sonorità old school sono tornate prepotentemente tra le preferenze degli amanti del metal estremo.

Quando ormai ci eravamo rassegnati ad un periodo senza musica estrema targata Rogga Johansson, ecco che l’instancabile svedese ritorna sul mercato con quella che di fatto è la sua band madre i Paganizer.

Ormai accasata tra le lapidi e la terra mossa dai vermi della Transcending Obscurity, questa devastante ed agghiacciante realtà estrema (ormai da considerare storica),  una delle poche in costante attività, torna a risvegliare zombie affamati in cerca di carne tenera con questi dieci brani che invitano al massacro, un abominio perpetrato a colpi di puro e tradizionalmente distruttivo swedish death metal.
Il buon Johansson e compagni hanno pescato dal cilindro un macigno estremo (forse complice la pausa che il musicista si è preso dai suoi mille progetti), valorizzato da un songwriting senza una sbavatura che sia una, creando una colonna sonora per il ritorno dei non morti sulla terra.
Death metal scandinavo chiaramente old school, attraversato da venti estremi, aperture melodiche da cardiopalma che impreziosiscono l’ottimo lavoro delle chitarre (Johansson/Kjetil Lynghaug) e una furiosa tempesta ritmica che accompagna il banchetto ad opera di Matte Fiebig (batteria) e Martin Klasen al basso.
Pronti via e si viene investiti dal tornado Paganizer, l’opener Your Suffering Will Be Legendary è la prima lezione di storia svedese per quanto riguarda il death metal, e l’interrogazione alla quale la truppa di zombie è sottoposta, continua con Dehumanized, altro pezzo da novanta di Land Of Weeping Souls.
Non provateci neanche a mettervi le cuffie in testa e cercare una qualche innovazione, la title track e The Insanity Never Stops risvegliano antichi e bestiali istinti, sotto l’ipnotico massacro che i Paganizer assecondano con The Buried Undead.
Detto dell’alto livello del songwriting non rimane che fare i complimenti al gruppo, portatore del sacro verbo metallico estremo che i Dismember, i Grave e i primi Hypocrisy fecero risplendere negli anni in cui  il genere diventò qualcosa di più che musica estrema underground.
I Paganizer si confermano come una delle realtà più convincenti ed importanti che il death metal scandinavo abbia tra le sue fila, in questo inizio di millennio in cui le sonorità old school sono tornate prepotentemente tra le preferenze degli amanti del metal estremo.

Tracklist
01. Your Suffering Will Be Legendary
02. Dehumanized
03. Forlorn Dreams
04. Land of Weeping Souls
05. The Insanity Never Stops
06. Selfdestructor
07. Death Addicts Posthumous
08. The Buried Undead
09. Soulless Feeding Machine
10. Prey To Death

Line-up
Rogga Johansson – Guitars, Vocals
Kjetil Lynghaug – Lead Guitars
Matte Fiebig – Drums
Martin Klasen – Bass

PAGANIZER – Facebook

Heresiarch – Death Ordinance

Morte, rumore e dolore, il tutto grazie ad un gruppo che è uno dei pilastri dell’underground estremo, e sono titoli conquistati sul campo con cattiveria e sudore.

I neozelandesi Heresiarch fanno metal estremo come pochi altri al mondo.

La loro mistura di black e death lanciati come un carrarmato a folle velocità maciullando tutto e tutti, ne ha fatto un gruppo molto amato da chi ama prendere calci in faccia dal metal. La loro musica spinge al limite l’ascoltatore, come un padre maligno che educa il figlio al male, e costui è contento di bagnarsi le mani di sangue. Death Ordinance è la descrizione delle lotte tribali di un’umanità dilaniata da trent’anni di guerra anche nucleare, e che vede nella sopravvivenza fisica l’unico scopo di vita. L’uomo regredisce, o forse torna solo al suo essere bestia, e lotta con tutte le proprie forze per annientare il suo simile, che è la minaccia più grande alla propria sopravvivenza. Tutto questo viene reso in maniera molto vivida e realistica dagli Heresiarch, che con il loro personalissimo balck death metal schiacciasassi saturano l’atmosfera, creando picchi qualitativi e di tensione davvero notevoli. Non ci sono mai cadute di tensione, tutto è caos e rumore, come e più dei loro dischi precedenti. Morte, rumore e dolore, il tutto grazie ad un gruppo che è uno dei pilastri dell’underground estremo, e sono titoli conquistati sul campo con cattiveria e sudore. La produzione libera al meglio le forze maligne del gruppo, e il futuro immaginato nel disco è qualcosa che potrebbe essere assai plausibile a causa della natura bestiale dell’uomo. Una possibile catarsi è lasciarsi ad un grande disco di questi neozelandesi, che hanno trovato una via tutta loro, che li ha portati ad essere uno dei migliori gruppi underground del globo. Intensità altissima.

Tracklist
1. Consecrating Fire
2. Storming Upon Knaves
3. Harbinger
4. Ruination
5. The Yoke
6. Iron Harvest
7. Lupine Epoch
8. Righteous Upsurgence
9. Desert of Ash

Line-up
N.H – Vocals
C.S – Guitars
N.O – Drums
J.B – Bass

HERESIARCH – Facebook

Creeping Fear – Onward To Apocalypse

Morbid Angel, Suffocation, furia nordica alla At The Gates: con questi ingredienti Onward to Apocalypse può strapazzare anche i cuori più duri e spessi dei deathsters vecchia scuola.

Che lo vogliate chiamare old school o classico, il death metal dalle reminiscenze tradizionali è tornato a far danni sul mercato mondiale.

Il ritorno in forma smagliante dei gruppi storici, affiancati dall’alta qualità delle nuove leve, ha dato nuova linfa al genere estremo per antonomasia, un bene per tutta la scena metallica.
Stati Uniti e Nord Europa, terre dove il genere ha trovato le culle perfette per crescere e svilupparsi, ora sono affiancate da altri nidi musicali come le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, dalle calde coste del sud alle cime imbiancate delle Alpi.
In Francia si crea ottima musica estrema, dal black metal ed i suoi derivati al death di stampo classico, specialmente se parliamo dei Creeping Fear, quartetto in arrivo da Ile-de-france con il suo carico di brutale death metal old school.
Il gruppo transalpino attivo da pochi anni e con il classico demo a saggiare il terreno prima dell’ep World Execution, torna dopo tre anni con il primo lavoro sulla lunga distanza, una devastante prova di forza che dal death metal e delle sue mutevoli forme prende attitudine ed impatto regalando un album devastante, che accomuna il genere nella sua versione americana con quella europea, risultando vario e piacevole nel suo  estremismo sonoro.
E’ così che tra le note di Swallowed By Death, Spreading Disease o la title track non troverete che death puro, classico e old school (diciamolo) magari con quel pizzico di già sentito che per molti risulta un punto in meno, ma che fa tanto devozione ed attaccamento ad un concetto di metal estremo che ha fatto storia.
Morbid Angel, Suffocation, furia nordica alla At The Gates: con questi ingredienti Onward to Apocalypse può strapazzare anche i cuori più duri e spessi dei deathsters vecchia scuola.

TRACKLIST
01. Life Denied
02. Divine Casualities
03. Swallowed By Death
04. Trenches Of Desolation
05. Onward To Apocalypse
06. Spreading Disease
07. As Vultures Fly, Battlefield Bleeds
08. Soiled, Tainted And Merciless
09. Disposable Existence

LINE-UP
Clément – Vocals, Guitars
Gabriel – Guitars
Jérémy – Bass
Gabriel – Drums

CREEPING FEAR – Facebook

Wintersun – The Forest Seasons

Anche se i fans aspettavano il nuovo Time II, saranno sicuramente soddisfatti da questa nuova ed interlocutoria fatica targata Wintersun, un gruppo ormai divenuto di culto nell’universo della musica estrema.

La natura, il cambio delle stagioni nella foresta come metafora della vita, benvenuti nel nuovo monumentale lavoro di casa Wintersun, tornati dopo i fasti di Time, opera magna licenziata ormai cinque anni fa.

Per Time II si dovrà ancora aspettare, dopo la raccolta di fondi ed il raggiungimento di quasi cinquantamila euro sulla piattaforma Indiegogo a cui verranno aggiunti i proventi di questo lavoro, molto bello anche se non raggiunge il livello assoluto del suo predecessore.
Non mi si fraintenda, comunque anche The Forest Seasons vale tutti i soldi spesi, continuando la tradizione del gruppo finlandese e del verbo musicale del suo leader Jari Mäenpää, epic folk metal nobilitato da sinfonie e parti estreme death/black, con quattro mini suite per quasi un’ora immersi nelle foreste nordiche, protagonisti del passaggio e del cambiamento che avviene da una stagione all’altra.
L’ album parte alla grande con le due parti di Awaken From The Dark Slumber (Spring), ma è l’estate con il suo caldo abbraccio a regalare le prime vere emozioni: The Forest That Weeps è uno spettacolare affresco folk epico, che il gruppo colora con note estreme e sinfonie ariose, mentre l’autunno si avvicina, si fanno spazio le zone d’ombra e il black metal è il miglior modo per iniziare a descrivere i colori che si oscurano come il manto di foglie che fa da tappeto a tutta la foresta.
La neve comincia a cadere e tutto si trasforma in una distesa bianca come i capelli di un uomo in prossimità della vecchiaia.
Eternal Darkness (Autumn), si nutre di black metal e swedish death, ma l’arrivo dell’inverno porta una vena ancor più melanconica e suggestiva, mentre il bianco mantello poggiato sul mondo si ghiaccia e avvolge tutto in un silenzio ovattato.
Loneliness (Winter) ritorna all’epico incedere sinfonico di marca Wintersun che accompagna la natura e l’uomo verso quella che sarebbe una nuova rinascita, in un ciclo ininterrotto nel tempo.
Anche se i fans aspettavano il nuovo Time II, saranno sicuramente soddisfatti da questa nuova ed interlocutoria fatica targata Wintersun, un gruppo ormai divenuto di culto nell’universo della musica estrema.
Per chi non conoscesse ancora il sound proposto dal gruppo finlandese, preparatevi ad un vulcano metallico che vomita Children Of Bodom, Dimmu Borgir, Dissection ed Ensiferum in una sola devastante lava.

Tracklist
01. Awaken From The Dark Slumber (Spring) – Part I The Dark Slumber – Part II The Awakening
02. The Forest That Weeps (Summer)
03. Eternal Darkness (Autumn) – Part I Haunting Darkness – Part II The Call of the Dark Dream – Part III Beyond the Infinite Universe – Part IV Death
04. Loneliness (Winter)

Line-up
Jari Mäenpää – Vocals, Guitars, Keyboards, Bass
Kai Hahto – Drums
Teemu Mäntysaari – Guitars, Vocals
Jukka Koskinen – Bass, Vocals
Asim Searah – Guitars, Vocals

WINTERSUN – Facebook

Obscurity – Streitmacht

Il disco è un bagno di sangue dall’inizio alla fine, un assalto metallico e pieno di pathos che porta ad un gran disco, di un’intensità non comune, duro eppure capace di regalare ottime melodie.

Gli Obscurity sono un gruppo decisamente sopra la media, che ha sempre intrapreso una sua propria strada, e forse per questi motivi, non ha avuto un grande successo come avrebbero meritato.

Tutto ciò importa ben poco, perché quando ascolti il suo ultimo disco capisci la portata di questo gruppo, giunto a festeggiare il ventesimo anno di attività, e anno dopo anno migliorato ulteriormente. Il percorso musicale deve molto al folk metal, non tanto per l’uso di alcuni strumenti o la composizione delle canzoni, poiché non troverete arcaiche melodie, ma questo è un disco che avrebbero composto dei guerrieri tedeschi del medioevo, poiché gli Obscurity combattono una loro lotta grazie al metal di spada e sangue che colpisce durissimo, arrivando ai confini del death metal, ma mantenendo decisamente un groove folk. Il cantato in tedesco rende molto ed è un valore aggiunto, poiché gli Obscurity non potrebbero che cantare con la lingua madre. Il disco è un bagno di sangue dall’inizio alla fine, un assalto metallico e pieno di pathos che porta ad un gran disco, di un’intensità non comune, duro eppure capace di regalare ottime melodie. Si combatte senza quartiere e le truppe degli Obscurity hanno la meglio su tutti, non facendo prigionieri. Un disco metal al cento per cento, composto e suonato molto bene, ben sapendo cosa desiderano le teste di metallo là fuori. Forse, come detto sopra, il gruppo tedesco ha raccolto meno di quanto seminato, ma la sua tenacia e la loro capacità di fare metal è davvero di primo piano. Un ottimo disco, che renderà molto bene dal vivo.

Tracklist
1. 793
2. Meine Vergeltung
3. Streitmacht Bergisch Land
4. Non Serviam
5. Hinrichtung
6. Todesengel
7. Endzeit
8. Herbstfeldzüge
9. Ehre den Gefallenen
10. Was uns bleibt

Line-up
Agalaz – Vox
Cortez – Guitars
Dornaz – Guitars
Ziu – Bass
Draugr – Drums

OBSCURITY – Facebook

Extremity – Extremely Fucking Dead

L’atmosfera soffocante e catacombale si scontra con un’attitudine battagliera, ricordando i Bolt Thrower in più occasioni, tra veloci ripartenze e secche frenate.

Dalle catacombe marcite di un cimitero nascosto tra i palazzi di Oakland, escono per nutrirsi nascosti nell’ombra della notte gli Extremity, death metal band formata da ex membri di Vastum, Necrosic e Cretin.

Death metal pregno di macabro ed insano impatto old school, con uno sguardo alla tradizione europea ed una personalità da gruppo navigato, sono le prime impressione lasciate dal quartetto californiano.
Extremely Fucking Dead è il primo lavoro per questa nuova realtà estrema, i sei brani che compongono l’ep sono un prefetto esempio di death metal senza compromessi, dal songwriting ottimo, curato in ogni dettaglio, con tulle le caratteristiche al loro posto pur risultando diretto e senza compromessi.
L’atmosfera soffocante e catacombale si scontra con un’attitudine battagliera, ricordando i Bolt Thrower in più occasioni, tra veloci ripartenze e secche frenate.
Il sole della California è oscurato da una cupe e grigiastra coltre di nebbia, mentre una pioggia acida attraversa la pelle e uccide a colpi di riff scolpiti sulle lapidi distrutte di un cimitero, che si trasforma in un locale putrido dove il rito estremo si consuma sulle note di Crepuscolar Crescendo, Chalice of Pus e la title track.
Ben divisa tra uomini e donne, la line up degli Extremity è composta da Erika Osterhout (basso), Aesop Dekker (batteria), Marissa Martinez-Hoadley (chitarra e voce) e Shelby Lermo (chitarre e voce).
Prendete nota perché di questo gruppo ne sentiremo parlare, interessanti e consigliati senza remore.

TRACKLIST
1. Intro (Mortuus est Valde)
2. Crepuscular Crescendo
3. Bestial Destiny
4. Chalice of Pus
5. Fatal Immortality
6. Extremely Fucking Dead

LINE-UP
Erika Osterhout – Bass
Aesop Dekker – Drums
Marissa Martinez-Hoadley – Guitars, Vocals
Shelby Lermo – Guitars, Vocals

EXTREMITY – Facebook

Insania.11 – Di Sangue E Di Luce

Cinque brani da maneggiare con cura, spiazzati da questa mezzora di musica glaciale e dall’animo intriso di una male freddo, siderale, vero.

Una proposta affascinante come solo la musica fuori dai soliti schemi sa essere, ed un sound che potrà piacere a molti e magari non essere digerito da altri, anche abituali ascoltatori di metal estremo, ma che indubbiamente tiene incollati alle cuffie come un film o un libro dei quali si aspetta con curiosità il loro evolversi verso la soluzione finale.

Questo gioiellino estremo dal titolo Di Sangue e Di Luce è opera degli Insania.11, gruppo che ha i suoi natali addirittura alla fine degli anni ottanta, ma che con il monicker Insania risulta attivo dal 2008 come studio project di musicisti appartenenti ai Res (heavy/speed) e agli Incubo (hardcore grind).
Una line up che negli anni ha visto più di un accorgimento, specialmente per quanto riguarda la batteria, prima suonata da Max, ora in forza agli heavy epic metallers Holy Shir,e ed in seguito con Luca Sigfrido Percich.
Di Sangue E Di Luce vede i soli Ethrum (chitarra) e Samaang (voce e chitarra) alle prese con un death/thrash campionato nella fase ritmica, ovviamente improntato sulle chitarre, progressivo e violento, originale ed insolito.
Partendo da una struttura che può ricordare le cose più violente di Devin Townsend, il duo spara mitragliate di thrash moderno alla Meshuggah, in un’atmosfera industriale, asettica e fredda come l’acciaio al contatto della pelle, mentre si  viene torturati dal growl cattivissimo che si trasforma in un cantato schizoide ed aggressivo, in due parole, inumano.
Una proposta estrema ma curatissima, dalla copertina al booklet fino alla produzione, perfettamente in linea con quanto proposto dagli Insania.11.
Cinque brani, dall’opener Uroboros alla conclusiva B Naural (I Figli Del Quinto Sole), da maneggiare con cura, spiazzati da questa mezzora di musica glaciale e dall’animo intriso di una male freddo, siderale, vero.

Tracklist
01. Uroboros
02. Metamorfosi
03. Nosferat (Aspettando L’Alba)
04. I Morti
05. B Naural (I Figli Del Quinto Sole)

Line-up
Samaang – Vocals, Guitars
Ethrum – Guitars

INSANIA.11 – Facebook

No Limited Spiral – Into The Marinesnow

Ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere che troveranno di che divertirsi tra la tempesta musicale scaturita da questa bassa pressione in arrivo dalle terre del Sol Levante.

Giappone, terra di terremotante tradizione metallica, un riparo, un accogliente nido per i suoni classici in tempi di magra in Europa ed America, ora isola di Tortuga anche per i suoni estremi.

Senza farsi troppe paranoie su quello che è più o meno cool, la terra del Sol Levante continua ad essere un paradiso per il metal ed il rock e la Wormholedeath, che la sa lunga, sull’isola ha poggiato i suoi artigli da un po’ di anni, non solo proponendo i suoi prodotti ma cercando di pescare ottime realtà da proporre sul mercato metallico internazionale.
Esempio notevole dell’orecchio finissimo dell’etichetta nostrana sono i No Limited Spiral, quintetto di Osaka che ci prende per il colletto e ci sbatte sulla macchina del tempo, riportandoci nell’ultimo decennio del secolo scorso, quando dalla penisola scandinava scendevano verso l’Europa le truppe d’assalto che battevano bandiera melodic death.
Melodic death metal, Gothenburg sound, swedish death, chiamatelo come vi pare, rimane il fatto che il genere più amato negli anni che ci accompagnarono nel nuovo millennio vive ancora, rigenerato nell’underground internazionale, dallo stivale alle terre d’oriente, ancora perfettamente in grado di entusiasmare proprio come ai tempi dei capolavori di In Flames e Dark Tranquillity.
In verità la band nipponica ha molto a che fare con i cugini finlandesi che campeggiavano sul lago di Bodom, non solo per l’uso delle tastiere di estrazione power e per lo scream di Kxsxk, ma soprattutto per un approccio furioso e tempestoso.
Attivo da quasi dieci anni e con alle spalle un ep ed un full length, per il gruppo arriva dunque il momento di alzare l’asticella con l’uscita di questo ottimo album intitolato Into Marinesnow.
Una quarantina di minuti scarsi sull’ottovolante del melodic death metal, su e giù tra gli In Flames e i Children Of Bodom, armati di una buona tecnica ed un ancor migliore songwriting, tanto basta per creare un album piacevole, dove chitarre, basso e batteria incendieranno il vostro lettore, con le sei corde taglienti come katane di indomabili Samurai, e i tasti d’avorio che ricamano melodie con la sezione ritmica in modello treno in corsa a devastare padiglioni auricolari.
Non cercate originalità perché non ne troverete, Into The Marinesnow , dall’opener Nyx in poi vi travolgerà sotto tuoni e fulmini di melodic death metal con una serie di brani su cui spiccano le notevoli Kalra the Everlasting Red, Dissolved In The Color Of Ocean e la conclusiva Clockwork Serenade.
Ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere che troveranno di che divertirsi tra la tempesta musicale scaturita da questa bassa pressione in arrivo dalle terre del Sol Levante.

Tracklist
1.In Reminiscence
2.Nyx
3.The Witch of Dusk
4.Gestalt-Eve
5.Kalra the Everlasting Red
6.Daffodil
7.The Rusted Dream and My Sweet Nightmare
8.Dissolved in the Color of Ocean
9.Cherished, Frozen and Faded
10.Clockwork Serenade

Line-up
Nene – Bass
Ren – Guitars, Vocals
Pon – Guitars
Ruri – Keyboards
Kegoi – Drums

NO LIMITED SPIRAL – Facebook

The Reptilian Session – The Reptilian Session

Il lavoro è ricco di spunti interessanti, a partire dalla volontà di proporre un black metal sicuramente contaminato da altre pulsioni di carattere estremo ma, nel contempo, ben radicato nel suo alveo tradizionale

Questa uscita omonima dei The Reptilian Session è la riedizione in formato cd dell’ep pubblicato già in cassetta nel 2015.

La band romana è autrice di un black metal piuttosto tradizionale, diretto e con qualche spunto prossimo al punk. Ne scaturisce così un sound ruvido, anche a livello di produzione, ma abbastanza ficcante e spontaneo per meritare la giusta attenzione. Indubbiamente il fulcro dell’opera è la notevole Cosmic Glorification of Evil,una canzone meno immediata delle altre per impatto, sviluppandosi inizialmente su un mid tempo: la lunga traccia, impreziosita dal contributo vocale di Fabban degli Aborym, cambia più volte registro nel suo incedere mantenendo comunque il proprio approccio privo di ammorbidimenti di sorta.
Nelle varie edizioni che si sono succedute, il lavoro si è arricchito prima della versione edit di The Dungeon Before the Void, brano incisivo che nella nuova veste viene letteralmente stravolto da una rielaborazione industrial ambient quanto mai sperimentale, e poi della cover di Double Dare dei Bauhaus, che anche in questo caso viene interpretata con un approccio tutt’altro che fedele dell’originale, venendo restituita in maniera molto personale ma comunque riconoscibile.
Il lavoro è ricco di spunti interessanti, a partire dalla volontà di proporre un black metal sicuramente contaminato da altre pulsioni di carattere estremo ma, nel contempo, ben radicato nel suo alveo tradizionale; alla luce di queste buone premesse non resta che attendere l’uscita di nuovo materiale che dovrebbe dire qualcosa di più sull’effettivo potenziale dei The Reptilian Session.

Tracklist:
1. Dark Matter of Anti-Universe
2. The Feast of the Reptiles
3. The Dungeon Before the Void
4. Cosmic Glorification of Evil
5. The Dungeon Before the Void (Sirio Gry J ‘March To Hell’ Edit)
6. Double Dare

Line-up:
M. Puliani – Bass
C. Usai – Drums
T. Aurizzi – Guitars

THE REPTILIAN SESSION – Facebook

Diabolical Minds – …A Trail Of Blood And Hope

Duro, oscuro e violento il giusto per non fare prigionieri.

Death metal tripallico, dai rimandi old school e dall’impatto di un treno in corsa, melodico come solo l’ala nord europea sa essere, feroce ed estremamente intenso come quello statunitense.

…A Trail Of Blood And Hope è un’opera oscura ed estrema, un concept creato dalle menti dei veronesi Diabolical Minds, gruppo che vede nelle proprie fila ex componenti di svariate band della scena estrema.
Sette brani più bonus che raccontano della discesa nella più totale follia di un serial killer, soggiogato dalla sua mente malata e delle sue imprese, tra omicidi e terribili mutilazioni.
La colonna sonora di questo scempio è la musica dei Diabolical Minds, death metal old school, un belligerante pezzo di granito estremo dove le ritmiche mantengono una velocità sostenuta, le sei corde si intrecciano in lascivi e blasfemi solos, taglienti e melodici, con la voce a produrre il suono che la mente suggerisce al nostro pericoloso assassino.
Senza andare troppo per il sottile e seguendo le coordinate dettate dai gruppi storici del genere, la band nostrana centra il bersaglio: l’album si ascolta che è un piacere nella sua natura estremamente violenta, i musicisti coinvolti sono protagonisti di ottime prove, il lavoro alla console ad opera del chitarrista Matteo Migliorini rende giustizia al sound prodotto così da fare di …A Trail Of Blood And Hope un album da consigliare agli amanti del death metal.
The Beginning Of The End vi introduce al concept ed alla follia omicida, un’apertura che rende subito giustizia al sound del gruppo, in evidenza con solos di scuola scandinava, mentre Trauma e l’oscura Death Calls continuano la devastante opera con la seconda che strizza l’ occhiolino aldilà dell’Atlantico.
Si continua a produrre ottimo metallo estremo alternando le sfumature provenienti dalle due storiche scuole (Chapter 4, la title track), mentre non si registrano compromessi di sorta, con l’album che nella sua interezza risulta un ottimo sunto di quello che ha offerto il genere in tutti questi anni.
Duro, oscuro e violento il giusto per non fare prigionieri, ma solo vittime.

Tracklist
1.The Beginning Of The End
2.Trauma
3.Death Calls
4.Chapter 4
5.Slowly The Corpse Burn
6.I Can’t Wait
7….A Trail Of Blood And Hope
8.Funeral Of Light
9.My Dark Empire

Line-up
Alex Bigon – vocals
Matteo Migliorini – guitar
Claudio Mignolli – guitar
Luca Marogna – bass
Pierluigi “Pigi” Lazzarini – drums

DIABOLICAL MINDS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=IIvU7HFQoXM

Mongol – Warrior Spirit

Ottimo folk metal, con chitarre distorte, buona sezione ritmica e una grande capacità di coniugare melodia e potenza.

I canadesi Mongol propongono un buon folk metal, che spicca dalla grande messe di titoli del genere.

Nati nel 2009, hanno una storia è particolare, poiché a partire dal nome il gruppo si è dato lo scolpo di descrivere la vita e le gesta della civiltà mongola, in particolare il periodo dell’Impero, un’era in cui la Mongolia rivestiva una grande importanza, dato che con i suoi condottieri, divenuti famosi sia per il loro coraggio che per la loro capacità di governare, aveva conquistato molte terre. In occidente ne sappiamo poco, ma questa band di Edmonton cerca di spiegarcelo attraverso un ottimo folk metal, con chitarre distorte, un’ottima sezione ritmica e una grande capacità di coniugare melodia e potenza. Infatti la melodia è una delle colonne portanti della poetica dei Mongol, tanto che in alcuni punti si arriva a sfiorare il power e l’epic metal, vista anche la magnificenza delle gesta narrate. Inoltre nell’ep vi è un largo uso di strumenti e melodie mongole, dato che questo popolo ha un’ampia tradizione musicale. Molte influenze i Mongol le avranno catturate partecipando al primo Noise Metal Festival in Mongolia nel 2014, insieme ai Nine Treasures. Insomma, un lavoro ottimo e originale, sicuramente al di sopra della media per quanto riguarda il folk metal, in attesa di una prova sulla lunga distanza.

Tracklist
1.The Mountain Weeps
2.River Child
3.Warband

Line-up
Tev Tegri – Vocals
Zev – Lead guitar, vocals, and folk instrumentation
Zelme – Rhythm Guitar
Sorkhon Sharr – Bass
Sche-Khe – Keyboard
Bourchi – Drums

MONGOL – Facebook

Muka – Sveta Stoka

Con Sveta Stoka i Muka tengono perfettamente fede al loro monicker, che in croato significa angoscia, andando a scandagliare i punti dolenti di un’umanità fragile ed insicura, al di là dell’ostentazione di una spensieratezza di facciata.

Black death dai tratti molto rallentati è quanto ci offrono i croati Muka, giunti con Sveta Stoka al loro secondo ep.

Oscuri e tendenzialmente lontani da ogni tentazione melodica, i ragazzi di Zagabria interpretano la materia con il giusto piglio, cercando di non scimmiottare nessuno ma provando ad immettere, per quanto possibile, una cifra stilistica propria nel sound: l’operazione riesce al meglio, alla luce dell’intensità che viene conferita ad una scrittura dai tratti soffocanti, nella quale certe dissonanze possono riportare a realtà simili ai Blut Aus Nord dello scorso decennio, tanto per fornire un’idea di massima.
In realtà, i Muka si muovono seguendo una strada personale, scegliendo intanto di comunicare le proprie istantanee di una realtà desolante tramite l’utilizzo della lingua madre, un’opzione che è adottata con sempre maggiore frequenza e che, nella maggior parte dei casi, si rivela sicuramente azzeccata. Sonorità aspre, che fondono il black ed il death conferendo sovente loro ritmiche fangose dai rimandi doom/sludge, sono gli elementi che rendono questa mezz’ora di musica estrema un qualcosa assolutamente da non trascurare: con Sveta Stoka i Muka tengono perfettamente fede al loro monicker, che in croato significa angoscia, andando a scandagliare i punti dolenti di un’umanità fragile ed insicura, al di là dell’ostentazione di una spensieratezza di facciata.
Una piacevole sorpresa che potrebbe fornire esiti ancor più fragorosi in previsione di un futuro full length, specialmente se i Muka avranno anche il supporto di una label capace di valorizzarne adeguatamente le doti.

Tracklist:
1. Sutra?!
2. O tvom soju
3. Šonje
4. Od panja do panja
5. Ona koje nema

Line up:
Stjepan Dianić Bass
Goran Tatalović Guitars
Edin Karabašić Guitars, Vocals (additional)
Ivan Borčić Vocals (lead)
Stanislav Muškinja Drums

MUKA – Facebook