Ghost Of Mary – Oblivaeon

Un’opera che va assaporata e fatta propria gustandosi ogni passaggio, sempre in bilico tra le varie atmosfere che compongono il death gotico suonato dal gruppo

Decisamente interessante il debutto dei nostrani Ghost Of Mary, un concept ispirato da un racconto del cantante Daniele Rini incentrato sulla vita e sulla morte e accompagnato da un notevole death sinfonica arricchito da ottime parti classiche e gothic doom.

Un’opera dark, oscura e malinconica che tocca il genere in tutte le sue sfumature, regalando all’ascoltatore un sunto del death metal gotico, partendo addirittura dai primi anni novanta, in particolare dalla scena olandese.
Infatti quest’album torna a far risplendere uno dei movimenti più importanti per lo sviluppo di queste sonorità, affiancando al lento incedere, elegantemente sfiorato dagli strumenti classici, sfuriate estreme di matrice scandinava e dark rock per un risultato che, nella sua altalena di ombrose ed oscure emozioni, si rivela del tuto all’altezza della situazione.
Oblivaeon è un disco vario, maturo, perfettamente in grado di mantenere la giusta tensione e non far perdere l’attenzione all’ascoltatore, travolto dalle sorprese che il gruppo riversa in un songwriting ispiratissimo, così da passare agevolmente tra le ispirazioni che hanno portato alla stesura dei brani in modo fluido e senza forzature.
Death metal melodico d’alta classe, quindi, impreziosito da un’ottima parte orchestrale, da un muro ritmico estremo efficace e da un’interpretazione magistrale di Rini, bravo sia con le parti estreme che con le clean vocals.
Un’opera che va assaporata e fatta propria gustandosi ogni passaggio, sempre in bilico tra le varie atmosfere che compongono il death gotico suonato dal gruppo, ma che ovviamente non manca di picchi qualitativi molto alti come la magnifica Shades, insieme a Something To Know e The End is the Beginning, altri due piccoli gioiellini di questo bellissimo lavoro, esempio perfetto di quello che a mio parere è la maggiore caratteristica del sound dei Ghost Of Mary: death gothic olandese e death melodico scandinavo che si scambiano gli onori e gli oneri in perfetta armonia.
Provate ad immaginare i primi The Gathering, Dark Tranquillity ed un accenno ai Lacrimosa più sinfonici ed avrete un’idea attendibile di cosa vi aspetta tra i solchi di Oblivaeon.

TRACKLIST
1.The Moon and the Tree
2.Shades
3.Last Guardian
4.Nothing
5.The Ancient Abyss
6.Oblivaeon
7.Black Star
8.Something to Know
9.The End is the Beginning
10.Nowhere Now Here
11.The Ancient Abyss (piano version)

LINE-UP

Daniele Rini – voice
Mauro Nicolì – guitar
Gabriele Muja – guitar
Nicola Lezzi – bass
Damiano Rielli – drums
Joele Micelli – violin

GHOST OF MARY – Facebook

Sentient Horror – Ungodly Forms

Ungodly Forms è un’entità estrema che va gustata dall’inizio alla fine senza cercare troppo il momento migliore, qui siamo nella perfezione assoluta

Si avvicina la fine dell’anno e si cerca di tirare le somme di quello che il 2016 ha regalato in campo metallico.

Le classifiche sono sempre affascinanti ma nel sottoscritto incutono il timore di dimenticare opere che meriterebbero un posto tra le migliori, specialmente se il numero di album citati si riduce a non più di una decina dopo che per tutto l’anno si è sguazzato tra i vari generi e fortunatamente in un numero abbondante di ottimi lavori.
Quando più o meno ero riuscito a farmi un’idea approssimativa dell’elenco finale, ecco che a stravolgere il tutto arriva questa bomba sonora targata Sentient Horror, band del New Jersey capitanata dall’ex Dark Empire Matt Moliti al primo, fenomenale, lavoro.
Dan Swanö , uomo di poche parole si è esposto sul gruppo con questa affermazione: uno dei migliori progetti Swedish Death che ho incontrato negli ultimi 20 anni, la miscela perfetta di tutti i punti salienti della scena svedese dall’ 89 al 91, davvero impressionante.
Intanto il mitico musicista e produttore ci ha messo lo zampino masterizzando Ungodly Forms dalle sue parti (Unisound Studios, ovviamente) e l’album se ne giova, esplodendo in tutta la sua carica estrema e quella brutalità melodica (se mi passate il termine) tipica dello storico sound scandinavo.
Ungodly Forms, un album talmente travolgente che spedisce direttamente all’inferno alle prime note dell’opener e vi tiene giù, anche se cercherete di scappare da una serie di inni al death metal che impressionano per carica distruttiva, songwriting ed un impatto che chiamare devastante è puro eufemismo.
Tutto è perfetto e magico in questa opera, si torna infatti a respirare l’aria putrida di cimiteri e tombe marcite dalla neve quasi perenne dei lunghi inverni scandinavi; perizia tecnica, talento melodico sopra le righe, un lotto di brani che non concede speranza se non quella di arrivare distrutti alla fine, per ricominciare a correre prima che le sei corde di Moliti e Jon Lopez taglino le nostre carni e che la sezione ritmica scopra il cuore ancora pulsante (Ian Jordan al basso e Ryan Cardoza alle pelli) e la diano in pasto al growl di Moliti (ancora lui), protagonista assoluto di questo monumento al death metal old school.
Una guardia destra che combatte come una guardia sinistra, raccontava il cronista di uno degli incontri di Sylvester Stallone nella famosa saga di Rocky, mentre qui abbiamo un gruppo americano che suona come Edge Of Sanity, Entombed, Grave, Dismember e Unleashed, il meglio del death scandinavo a cavallo dei due decenni a mio avviso più importanti per lo sviluppo del metal estremo.
Non biasimatemi se non vi cito qualche brano, Ungodly Forms è un’entità estrema che va gustata dall’inizio alla fine senza cercare troppo il momento migliore, qui siamo nella perfezione assoluta.

TRACKLIST
1. Into the Abyss
2. Abyssal Ways
3. Die Decay Devour
4. Blood Rot
5. Splinter The Cross
6. Beyond The Curse Of Death
7. Ungodly Forms
8. Suffer To The Grave
9. A Host Of Worms
10. Of Filth And Flesh
11. Mourning (Instrumental)
12. Celestial Carnage

LINE-UP
Matt Moliti – Vocals, Lead Guitar
Ian Jordan – Bass
Ryan Cardoza – Drums
Jon Lopez – Guitar

SENTIENT HORROR – Facebook

Grausig – Di Belakang Garis Musuh

Se volete ascoltare del death che non sia proveniente dai soliti nomi e paesi, vi consiglio di non perdervi questo album.

Nati addirittura sul finire degli anni ottanta, i Grausig sono un’istituzione del metal estremo indonesiano.

La band di Jakarta, magari poco conosciuta in occidente se non ai fans accaniti del death metal e del brutal, può vantare una discografia di tutto rispetto, con una manciata di ep e due precedenti lavori sulla lunga distanza usciti a cavallo del nuovo millennio (Abandoned, Forgotten, & Rotting Alone del 1999 e Tiga Dimensi del 2003).
Dunque sono passati tredici anni ed il quintetto estremo si ripresenta sul mercato con Di Belakang Garis Musuh, una bomba brutale che in mezz’ora secca mette tutti d’accordo e torna a far parlare dei Grausig, almeno nell’ambiente estremo underground.
Una furia estrema questo lavoro, un vento atomico causato da uno tsunami di blast beat, solos intricati ma perfettamente inseriti nel sound e tanto impatto brutale, con il growl efferato di Phuput a stagliarsi su una tempesta di suoni direttamente dall’inferno.
Ci sanno fare eccome i deathsters indonesiani, all’ascolto dell’album ci si trova al cospetto di una band tripallica che senza indugi travolge con il suo death metal brutale e senza compromessi.
La durata medio corta permette di arrivare al traguardo senza accusare fiatone, anche se è indubbio che con brani devastanti come Doktrinasi Cacat TemporerInfeksi Kanibal Utopia si corra a velocità illegali.
Praticamente tutte le tracce portano i titoli in lingua madre, presumo quindi che la lingua usata sia il loro idioma, mentre per il sound rivolgete lo sguardo agli States e ai Suffocation in primis.
Se volete ascoltare del death che non sia proveniente dai soliti nomi e paesi, vi consiglio di non perdervi questo album.

TRACKLIST
1.Di Belakang Garis Musuh
2.Teokrasi Biru
3.Pralaya Hipokrit
4.Doktrinasi Cacat Temporer
5.Sampah Moralitas Dimensi
6.Infeksi Kanibal Utopia
7.God’s Replicated
8.Prelude One
9.Doomsday

LINE-UP
Phuput – Vocals
Ipay – Guitar
Mame – Guitar & Backing Vocals
Ewin – Bass & Backing Vocals
Denny – Drums

GRAUSIG – Facebook

Manoluc – Carcosa

Un album che risulta una vera sorpresa, un crossover estremo che non mancherà di soddisfare gli amanti del metal senza barriere stilistiche di sorta.

La scena estrema nazionale si arricchisce ogni giorno di più con gruppi che, pur provenendo da tutte le latitudini dello stivale, hanno un denominatore comune, la qualità.

C’è ne davvero per tutti i gusti, dal melodic death metal scandinavo, al più agguerrito death classico, senza farci mancare grind e black metal e tutti le diverse sfumature di cui il metal estremo si nutre.
Una scena ormai non più scena di serie b, ma tra le prime in Europa grazie anche a opere come Carcosa dei Manoluc, quartetto proveniente dal Friuli-Venezia Giulia, composto da musicisti già attivi nella scena del nord est, unitisi per dare voce a questo loro ottimo metal estremo.
Carcosa, infatti si compone di otto brani con tanto di intro recitate e campionate, prese da varie opere cinematografiche di genere, da Pasolini, ad Orwell, un tocco industrial al sound già di per sé valorizzato da varianti estreme dal death al thrash fino al black (Satyricon era Now, Diabolical).
E l’album ne esce come un destabilizzante quanto maturo esempio di metal estremo, che nella sua violenza mantiene un’atmosfera ricercata, profondamente oscura, martellante e moderna, come le strade di una metropoli dove l’individuo, ormai reso un cannibale, è in balia della sua fame e della ricerca spasmodica di nutrimento consumistico.
In generale le tracce si sviluppano si mid tempo pesantissimi dove si evince il gran lavoro dei musicisti a livello ritmico, mentre growl e scream si spingono verso l’oscura ed ormai inevitabile dannazione sulle note di Infected Communication e della splendida title track, esempi di musica estrema matura e totale.
Un album che risulta una vera sorpresa, un crossover estremo che non mancherà di soddisfare gli amanti del metal senza barriere stilistiche di sorta.

TRACKLIST
1.The Sum Of All Your Fears
2.Infected Communication
3.The Mind Parasites
4.Alien Disease
5.The Triumphal March Of Nothingness
6.The Shepherd And The Snake
7.Carcosa
8.The Cave

LINE-UP
Tommaso Napolitano – Vocals
Alessandro Attori – Guitars
Giulio Cucchiaro – Bass
Nicola Revelant – Drums

MANOLUC – Facebook

Dead End – Reborn from the Ancient Grave

Reborn from the Ancient Grave torna al sound primordiale, un lento incedere catacombale, a tratti agitato da tempeste death metal, ma per gran parte della sua durata mosso dall’inerzia del doom, potente, oscuro e monolitico.

Gli olandesi Dead End provengono dalla scena death metal olandese dei primi anni novanta e fanno parte di quella variante estrema che vi accostava al potenti rallentamenti doom e sfumature gotiche, tipiche di quello che viene consciuto dagli amanti dei suoni estremi come doom/death.

Gli inizi del gruppo portano al 1988 e ai primi tre anni del decennio successivo, periodo dove il gruppo rilasciò due demo ed un ep ed affiancò in sede live nomi storici del metal nato nei Paesi Bassi come Gorefest, Phlebotomized e Pestilence.
Un silenzio durato più di vent’anni, rotto lo scorso anno dall’annuncio da parte della Vic Records del ritorno in pista del gruppo, in mano all’unico membro originario, il bassista Alwin Roes.
Puntuale arriva dopo circa dodici mesi un nuovo lavoro, il primo sulla lunga distanza, un album che, nel genere, è da considerare certamente old school.
Non sono più molte infatti le band che adottano queste sonorità, all’epoca nuova frontiera del metal estremo, poi evolutosi con l’aggiunta di sfumature dark/gothic e sinfonie, accompagnate molto spesso da femminee voci operistiche.
Niente di tutto questo, Reborn from the Ancient Grave torna al sound primordiale, un lento incedere catacombale, a tratti agitato da tempeste death metal, ma per gran parte della sua durata mosso dall’inerzia del doom, potente, oscuro e monolitico.
Meno gotici dei primissimi Paradise Lost, oscuri e pesanti come i primi The Gathering e Celestial Season, con il sound potenziato da dosi massicce di Bolt Thrower e Asphyx, l’album nel suo genere è un toccasana per le anime oscure che a dolci sinfonie preferiscono le malate trame chitarristiche pervase da un malsano odore di morte, tratti magmatici che si ritrovano a profusione tra le trame delle buone Haze of Lies, Mea Culpa e la sepolcrale Wearing the Cloak, la più gotica ed emozionante traccia del lotto che conclude alla grande questo manifesto ai primi passi del genere.
Un buon ritorno, c’è da sperare che i Dead End riescano a trovare ulteriore nuova spinta da questo lavoro.

TRACKLIST
01. David’s Theme (Intro)
02. Dead End (Reborn)
03. Haze of Lies
04. Trail of Despair
05. Mea Culpa
06. Wither
07. Another Weakness
08. Venture
09. Nails of the Martyr
10. Wearing the Cloak

LINE-UP
Bryan – Vocals
Jeroen R – Guitar
Arjan – Guitar
Alwin Roes – Bass
Harald – Drums

DEAD END – Facebook

Revel In Flesh – Emissary Of All Plagues

Il gruppo tedesco è oggi uno dei migliori rappresentanti della vecchia scuola nord europea, con in sound che non ha nulla di originale ma porta con sé atmosfere uniche nel suo genere

Era il finire del 2014 quando uscì Death Kult Legions, terzo lavoro sulla lunga distanza degli straordinari deathsters tedeschi Revel In Flesh, un album che si posizionò molto in alto nelle preferenze del sottoscritto un paio di anni fa.

I nostri tornano dopo due anni esatti da quel monumento al death metal scandinavo con un nuovo album, confermando l’assoluta qualità del loro death metal,  ed Emissary Of All Plagues risulta un altro monolite pesante, oscuro, malvagio e quanto mai devastante.
Accompagnato da una splendida copertina, che più horror e catacombale non si può (Juanjo Castellano, artista dal talento smisurato che ha imprestato la sua matita anche per i lavori di Paganizer, Putrevore, Ribspreader e molti altri), ma soprattutto con ancora la supervisione del guru Dan Swanö negli storici Unisound studios, il nuovo lavoro torna a tormentare le notti dei deathsters con una serie di brani d’alta scuola, alternando come da prassi mid tempo, rallentamenti e devastanti ripartenze in un’apoteosi di sonorità old school da applausi.
Il gruppo tedesco è oggi uno dei migliori rappresentanti della vecchia scuola nord europea, con in sound che non ha nulla di originale ma porta con sé atmosfere uniche nel suo genere, con un talento nel saper inserire solos, ripartenze e brusche frenate che ha del miracoloso.
Come già nel suo predecessore qui non c’è un brano senza un appeal estremo sopra la media: solos melodici forgiati in cimiteri dimenticati dal tempo, valorizzano brani nati per produrre massacri, mentre il growl cavernoso si staglia sul sound che ricorda a più riprese ora i Sanity del loro maestro, ora gli Entombed, prima che la furia iconoclasta dei primi Hypocrisy prenda il sopravvento.
Un album che non ha un cedimento alcuno e che riversa fiumi di sangue con una serie di tracce tra le quali Casket Ride, Servants Of The Deathkult e Sepulchral Passage sono quelle trainanti, con la conclusione lasciata alla cover di Doctor Doctor degli storici hard rockers UFO, che volete di più?

TRACKLIST
1. Emissary of All Plagues
2. Casket Ride
3. Fortress Of Gloom
4. Servants Of The Deathkult
5. Torture Throne
6. The Dead Lives On
7. Lord Of Flesh
8. Sepulchral Passage
9. Dead To This World
10. Doctor Doctor (UFO-Cover)

LINE-UP
Haubersson – Vocals
Maggesson – Guitars
Vögtsson – Drums
Herrmannsgard – Guitars
Götzberg – Bass

REVEL IN FLESH – Facebook

Perpetual Demise – Arctic

Ristampa che, per gli amanti della buona musica estrema, risulta un acquisto obbligato, ed un ringraziamento alla Vic Records per le molte chicche metalliche riportate alla luce nell’ultimo periodo.

I Perpetual Demise fanno parte della scena olandese dei primi anni novanta, un nido di talenti che ha dato alla scena metallica estrema più di quello che molti esperti sostengano, anche a distanza di decenni.

Un manipolo di band che al death metal ha sempre avuto un approccio progressivo, chi imbastardendolo con sonorità doom/gothic, chi evolvendolo con suoni provenienti da generi agli antipodi come jazz e fusion, chi invece, mantenendo un approccio furioso e selvaggio, ma sempre condizionato da sperimentazioni ed una fantasia mai doma.
Nato a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo, il gruppo proveniente dalla terra dei tulipani rientra nella schiera delle realtà dell’epoca, con un modo di suonare metal estremo che conciliava la pesantezza e brutalità del death metal con atmosfere vicine al doom ed una tecnica che permetteva alle band di avvicinarsi al progressive, prime avvisaglie di quello che poi si sarebbe sviluppato e diventato suo malgrado un trend, specialmente nei paesi scandinavi.
La ristampa in questione presenta il primo e solo album sulla lunga distanza targato 1996, più vari brani presenti nei primi demo della band, in particolare When Fear Becomes…, uscito nel 1993.
La musica dei Perpetual Demise, pur con la sua vena progressiva e doom, conquista subito l’ascoltatore: il sound pesante e a tratti monolitico ha, nel combinare growl e voce pulita, il suo punto di forza (non così abituale ai tempi), coniugato ad un’ottima tecnica strumentale e a cambi repentini di tempo e sfumature.
Più di settanta minuti, praticamente tutto quello che in sette anni il gruppo ha saputo offrire ai fans dell’epoca, non poco vista la qualità della musica proposta, di livello altissimo come nella scena estrema olandese dell’epoca.
Ristampa che, per gli amanti della buona musica estrema, risulta un acquisto obbligato, ed un ringraziamento alla Vic Records per le molte chicche metalliche riportate alla luce nell’ultimo periodo.

TRACKLIST
1.Of Confusion and Brutality
2.The Lord Paramount
3.Arctic
4.The Observer
5.Pyramids
6.Fall
7.Triangle Eye
8.The Tower
9.Upon Dark Grounds
10.On the Edge
11.Denial & Faith
12.Where the Ancients Remains
13.Cynical Control
14.Scarred by Silence
15.Awaiting the Unexpected
16.Conspiracy of Fear
17.Massacre To Be

LINE-UP
Mike Antoni – Guitars
Alex Krouwel – Bass
Alex Dubbeldam – Drums
Armand Wijskamp – Guitars, Vocals

Feral – From The Mortuary Ep

Quando il death metal scandinavo è suonato con l’impatto di queste sei tracce che vanno a formare il nuovo ep dei Feral, non c’è né per nessuno.

Quando il death metal scandinavo è suonato con l’impatto di queste sei tracce che vanno a formare il nuovo ep dei Feral, non c’è né per nessuno.

Old school è la parola chiave, quella vecchia scuola dei maestri nord europei che ha fatto storia, influenzando una buona fetta del metal estremo mondiale e che il gruppo svedese elargisce con questa ventina di minuti di alto livello.
Quattro brani nuovi, più la cover di Relentless dei doomsters Pentagram, e la riedizione di un brano del 2011 (Necrofilthiac) è quello che ci propongono i Feral, gruppo nato quasi una decina di anni fa, con alle spalle una serie di demo, uno split con i Revel In Flesh e due full length, ragged to the Altar del 2011 e Where Dead Dreams Dwell, uscito lo scorso anno.
From The Mortuary non lascia dubbi sull’indirizzo musicale del gruppo: suonare death metal senza compromessi, meglio se di scuola scandinava e con un approccio travolgente a suon di riff granitici, velocità e mid tempo sconvolgenti ed un lavoro sulle sei corde che spezza ossa come una clava chiodata.
Non ci troverete niente di più nel sound dei Feral, ma il loro sporco lavoro lo sanno fare bene ed il massacro, sotto i colpi di The Hand of the Devil, Reborn in the Morgue e The Rite, è assicurato.
Scomodato l’artista Costin Chioreanu per l’immagine di copertina (At The Gates, Primordial, Arch Enemy, Mayhem e molti altri) e mixato e masterizzato da l’ex chitarrista della band Petter Nilsson, l’ep in questione è sicuramente un lavoro da non perdere, un primo passo per approfondire eventualmente la loro discografia.

TRACKLIST
1. The Hand of the Devil
2. Reborn in the Morgue
3. The Cult of the Head
4. The Rite
5. Necrofilthiac (2016)
6. Relentless (PENTAGRAM-Cover)

LINE-UP
David Nilsson – Vocals
Viktor Klingstedt – Bass
Markus Lindahl – Guitar
Roger Markström – Drums

FERAL – Facebook

NordWitch – Mørk Profeti

Le scariche di adrenalina estrema non mancano in brani dal buon piglio ma, a causa di alcuni difetti dettati dall’inesperienza, i Nordwitch non vanno oltre la sufficienza piena.

Esordio sulla lunga distanza per questa giovane band ucraina, un quintetto che suona del black/death metal melodico dai buoni spunti e personale quel tanto per non passare inosservata, soprattutto per gli amanti del genere.

Con al microfono una gentil donzella dalle corde vocali di un orco arrabbiato, ma dalle trame chitarristiche che fanno della melodia il loro punto di forza, il gruppo proveniente dall’est è protagonista di una discreta prova, incentrata su di un metal estremo che non disdegna devastanti fughe ritmiche al limite del black, mid tempo di stampo death metal di ispirazione scandinava e tanta melodia.
Il growl è brutale e dannato, a tratti fin troppo per il mood generale del disco, un dettaglio che alla lunga pesa sulla resa generale di un album che ha tutte le caratteristiche per piacere agli amanti del death metal melodico.
Le scariche di adrenalina estrema non mancano in brani dal buon piglio come, Lady Evil e The Call to an Ancient Evil, cuore pulsante di un lavoro di genere ben congegnato ma, per i difetti dettati dall’inesperienza, non va oltre la sufficienza piena.
In un mondo come quello del metal estremo, ormai inflazionato dal numero spropositato di album vomitati dal web, un lavoro come Mørk Profeti rischia seriamente di passare inosservato anche ai fans più accaniti del genere, ma gli spunti interessanti non mancano così come una buon lavoro incentrato sulle melodie, il che lo rende comunque meritevole di un ascolto.

TRACKLIST
1.Mørk profeti (Intro)
2.Dominion
3.Walker from the Shade
4.Lady Evil
5.The Call to an Ancient Evil
6.To Nord Gods
7.No Regret
8.Messiah of Death

LINE-UP
Max Senchilo – Bass
Max – Guitars (lead)
Leo – Guitars (rhythm)
Masha – Vocals
Donets Stepan – Drums

NORDWITCH – Facebook

Endless Curse – Slave Breeding Industry

Gli Endless Curse offrono una mezz’ora di discreto massacro, niente che faccia gridare al miracolo ma apprezzabile non poco per genuinità e immediatezza, oltre ad una sempre gradita componente di critica sociale racchiusa nella maggior parte dei brani

Il trio tedesco Endless Curse arriva al primo full length dopo diversi anni di carriera con una proposta che si muove sui labili confini che dividono il death tradizionale, il brutal e il grind, senza dimenticare un approccio assimilabile al thrash hardcore (la stessa copertina in tal senso accredita tale sensazione).

I nostri offrono una mezz’ora di discreto massacro, niente che faccia gridare al miracolo ma apprezzabile non poco per genuinità e immediatezza, oltre ad una sempre gradita componente di critica sociale racchiusa nella maggior parte dei brani, che hanno come argomento principale l’asservimento dell’uomo ai dettami del consumismo, visto nelle sue diverse forme.
Ma, nonostante i testi che non si lasciano andare ad improbabili cazzeggi alcoolico-orrorifici, non è che gli Endless Curse si prendano troppo sul serio: si percepisce quanto la loro produzione derivi dalla voglia di divertirsi e di far divertire, senza abbandonarsi a soluzioni troppo cervellotiche dal punto di vista compositivo.
Le tracce vanno via, così, belle sparate ma sufficientemente varie, e in tal senso si rivela azzeccata la scelta di utilizzare la doppia voce, una in canonico growl, e l’altra in screaming di matrice thrash: poco spazio viene lasciato a parti melodiche o più ricercate, affidate a pochi assoli di chitarra ed altrettanto rari rallentamenti.
La durata di poco inferiore alla mezz’ora fa il resto, donando ulteriore sintesi ad una proposta che, pur nella sua prevedibilità, lascia solo buone impressioni, che non vengono scalfite neppure da una produzione non proprio cristallina, ma probabilmente più voluta che accidentale.
Slave Breeding Industry ha soprattutto il grosso pregio di non annoiare, il che lo rende ancor più un ascolto sicuramente consigliato agli estimatori più accaniti del genere.

Tracklist:
1. We Lived In Chains
2. Get Free
3. Boiling Blood
4. Listen
5. I’m Too Old
6. Breathe Greed
7. False Flag
Line-up:
Alex – drums
Will – guitars, vocals
Erik – bass, vocals

ENDLESS CURSE – Facebook

Entrapment – Through Realms Unseen

Gli Entrapment ci regalano uno degli ultimi colpi dell’anno in campo death metal, ed è un colpo che fa male

Per la Pulverised Records esce questa bomba death metal, ultimo lavoro della one man band Entrapment, divenuta un quartetto, probabilmente per portare la propria musica on stage, ma ben salda nelle mani del polistrumentista Michel Jonker da Groningen, Olanda.

Una storia discografica che vede, sotto il monicker Entrapment, l’uscita in appena sei anni di una manciata di demo e split, più due full length, predecessori di Through Realms Unseen, usciti rispettivamente nel 2012 e nel 2014 (The Obscurity Within… e Lamentations of the Flesh), la band sforna il suo miglior lavoro, diretto, tremendamente old school e travolgente nel lavoro della sei corde ispiratissima.
Rivolgendo lo sguardo alla scena scandinava dei primi anni novanta, Jonker colma il gap con il nuovo millennio a suon di groove, così che il sound,  pur nella sua anima tradizionale, non perde un grammo nei confronti del death metal rivisto e aggiornato degli ultimi tempi.
Il suono sporco dei primi Nihilist ed Entombed, si amalgama ad una produzione piena e perfetta nel ritagliare uno spazio importante alla sei corde, che non manca di lasciare a bocca aperta per la quantità di solos che in alcuni brani riecheggiano come scudisciate sulla schiena del Cristo, mentre a tratti una valanga estrema ci travolge, pregna di groove.
Ottimo il growl sporco e vicino al Petrov del capolavoro Wolverine Blues, mentre la title track è un brano di una potenza indicibile, un muro sonoro di immani proporzioni; Omission, in apertura, ci squarta il ventre con assoli taglienti come rasoi e Dominant Paradigm è strutturata su vortici ritmici, prima di lasciare che rallentamenti doom e ripartenze fulminee ci tolgano il respiro.
Gli Entrapment ci regalano uno degli ultimi colpi dell’anno in campo death metal, ed è un colpo che fa male.

TRACKLIST
1. Omission
2. The Seeker
3. Static Convulsion
4. Ruination
5. Dominant Paradigm
6. Withering Souls
7. Isolated Condemnation
8. Through Realms Unseen
9. Hybrid Maelstrom
10. Discordant Response
11. Self Inflicted Malnutrition

LINE-UP
Michel Jonker- -All instruments, Vocals

ENTRAPMENT – Facebook

MindAheaD – Reflections

Un viaggio soprattutto mentale che porta inevitabilmente ad una alternanza tra passaggi intimisti e crimsoniani, e sfuriate death metal tecnicamente ineccepibili.

Nei Campi di Controllo della Mente il tempo sembrava essersi fermato all’ultima Grande Guerra; il progetto di recupero informazioni non era terminato del tutto, la macchina adibita a tale compito era ormai vecchia ed il soggetto collegato ad essa,#6119, cercava di resistere alle allucinazioni causate dagli innesti di falsi ricordi e di false emozioni.

Il debutto dei toscani MindAheaD parte da qui, da questo concept dalla chiara trama sci-fi, ed il sound che accompagna la storia passa agevolmente dal progressive al metal estremo per un ottimo risultato finale.
La Revalve come label e Simone Mularoni ad occuparsi della masterizzazione nei suoi Domination Studios sono sicuramente garanzie di qualità, e la band sfrutta a dovere i suoi jolly con un’opera intrigante e ben congegnata.
Il gruppo fondato dal chitarrista Nicola D’Alessio, con un passato in Hellrage ed Athena nel 2010, dopo alcuni assestamenti nella line up arrivano finalmente al traguardo del primo full length, un concept come nella migliori tradizione progressiva, soluzione in questi anni molto utilizzata pure dai gruppi metal ed estremi.
E di metal si nutre la musica del sestetto, così come di death e prog, riuscendo a far convivere le varie influenze in un unico caleidoscopio di musica e sfumature dai colori scuri, pregni di drammatica follia.
Un viaggio soprattutto mentale che porta inevitabilmente ad una alternanza tra passaggi intimisti e crimsoniani, e sfuriate death metal tecnicamente ineccepibili.
L’uso delle due voci accentua questo scendere e salire sull’ottovolante mentale, disturbato e rabbioso (il growl) delicatamente epico e dai tratti gotici (la voce femminile), mentre la musica dona cangianti sfumature progressive.
Dopo l’intro, l’incedere estremo dei primi tre brani è di assoluto impatto, con Mind Control a prendersi la scena e far risplendere le capacità strumentali dei vari musicisti del gruppo, con la sezione ritmica a dispensare furia metallica e le voci a duettare in una tempesta estrema.
I dieci minuti di Amigdala fungono da sunto della musica del gruppo toscano, parti atmosferiche si danno il cambio a sezioni metalliche più accentuate, la vena progressive infonde nel sound un tocco maturo, adulto, lasciando che le oscure trame musicali si insedino dentro all’ascoltatore.
Ad un ascolto superficiale si potrebbe scambiare facilmente i MindAheaD per un gruppo gothic metal, come i tanti che invadono il mercato odierno, ma non fatevi ingannare dall’uso della voce femminile, la musica del gruppo va oltre ai soliti cliché e si insinua tra i meandri del progressive metal, con la giusta personalità per ritagliarsi un prezioso spazio tra le migliori realtà nostrane.

TRACKLIST
1.Intro: Reflection
2.Remain Intact
3.Mind Control
4…On the Dead Snow
5.Amigdala
a. Anxiety
b. Fear
c. Panic
6.Emerald Green Eyes
7.The Mask Through the Looking Glass
a. Ballad of the Mad Jester
b. The Mask
8.Farewell
9.Three Sides of a Dangerous Mind
a. The Fall in the Subconscious
b. My Dirty Soul
c. Three Are My Faces
10 Outro: Memories

LINE-UP
Frank Novelli – Vocals
Kyo Calati – Vocals
Nicola D’Alessio – Guitar
Guido “Shiboh” Scibetta – Guitar
Matteo Prandini – Bass
Matteo Ferrigno – Drums

MINDAHEAD – Facebook
https://www.youtube.com/watch?v=Y7q2eXjn-p4

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Vircolac – The Cursed Travails of the Demeter

Tra le trame di The Cursed Travails of the Demeter si respira l’aria intrisa di un fetore luciferino come negli storici album a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo

La notte di Halloween tra le tombe di un vecchio cimitero nei pressi di Dublino, una creatura abominevole è nata per portare orrore e morte a colpi di death metal old school.

Accompagnato da una copertina semplice ma assolutamente perfetta, The Cursed Travails of the Demeter ha visto la luce proprio il 31 Ottobre e data non poteva essere migliore, per gli irlandesi Vircolac, nel dare i natali al loro primo ep, successore di due demo usciti in questi primi tre anni di attività.
Death metal old school, con produzione avvolta dalla coltre di nebbia che nasconde questo regno dei morti, ed atmosfere horror vecchio stampo, quindi nel sound del gruppo non troverete orpelli di nessun genere, solo death metal catacombale, marcio e in decomposizione perenne.
Il growl arriva da due metri sotto terra e il suono,  imprigionato da ragnatele vecchie di centinaia di anni e poste tra una tomba e l’altra, è assolutamente senza compromessi.
Per i deathsters ancora aggrappati con le unghie e con i denti alla vecchia scuola underground estrema, l’opera dei Vircolac non mancherà di soddisfare la sete di tenebre, con tutte le loro insidie, tra fughe dagli zombie in doppia cassa e lente agonie di morte, con un salto nel doom/death più scarno ed essenziale ma tremendamente coinvolgente.
E la lunga e conclusiva Betwixt the Devil and Witches è infatti la traccia più riuscita dell’album, terrificante, oscura e maligna, un lungo rito per propiziatorio di morte.
Un buon ep che gli amanti dei suoni old school apprezzeranno, d’altronde tra le trame di The Cursed Travails of the Demeter si respira l’aria intrisa del fetore luciferino, come negli storici album a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo.

TRACKLIST
1.The Cursed Travails of the Demeter
2.Charonic Journey (Stygian Revelation)
3.Lascivious Cruelty
4.Betwixt the Devil and Witches

LINE-UP
KB – Bass
JG – Guitars, Keyboards
DvL – Vocals
BMC – Guitars
NH – Drums, Vocals

VIRCOLAC – Facebook

Witchery – In His Infernal Majesty’s Service

Il nuovo album risulta uno dei migliori della discografia degli Witchery nel nuovo millennio e noi non possiamo che inchinarci a cotanta maestria in questo tipo di sonorità.

E si torna a navigare a vele spiegate verso l’inferno, dopo sei lunghi anni di attesa in compagnia degli Witchery.

Il gruppo svedese, che si avvicina al ventennale di una carriera all’insegna del più devastante death/black ‘n’ roll, e che vede tra le sue file quel monumento al metal estremo che risulta Sharlee D’Angelo, bassista che nei suoi lunghi anni di militanza nella scena metal ha fatto parte di band che chiamare storiche è un eufemismo (Arch Enemy, Spiritual Beggars, The Night Flight Orchestra, Mercyful Fate, Illwill, King Diamond, Sinergy, tra le tante) insieme all’axeman Patrik Jensen, e di altri tre stregoni cattivissimi, torna a far danni con questo ultimo ed infernale lavoro e sono dolori.
Erano altri tempi quando il tramonto della prima ondata del death metal melodico scandinavo era alle porte e quello che, allora, venne definito dai più un super gruppo estremo, spazzò via le ultime resistenze delle truppe melodiche, sotto i colpi mortali di un sound scarno, diretto, violento e senza compromessi, racchiuso negli ormai seminali Restless & Dead (1998) e Red, Hot & Ready (1999); dopo altri tre album nel decennio scorso, la band si ripresenta a sei anni di distanza dall’ultima uscita, con una line up in parte rinnovata dai nuovi innesti di Chris Barkensjo alle pelli ed Angus Norder a sbraitare collera e blasfemie sugli undici devastanti brani che compongono In His Infernal Majesty’s Service.
Poche nuove, buone nuove, si dice: gli Witchery tornano più malvagi e sinistri che mai, il loro sound continua a mietere vittime sui roghi del metal estremo pregno di attitudine death/black e con quell’insano gusto rock ‘n’ roll che fa la differenza; i due nuovi compari sono all’altezza del compito e l’album si lascia ascoltare che è un piacere tra pochi ma perfetti camei horror, metal estremo di alto rango ed un impatto che molte delle nuove leve si sognano.
I titoli sono tutto un programma da Nosferatu, a The Burning Salem, da Lavey-athan (devastante opener) all’organo messianico che fa da preludio all’enorme Escape From Dunwich Valley, traccia che fa scuola tra le file degli adepti al genere.
Un ritorno, per certi versi a sorpresa, che non poteva essere più gradito: il nuovo album risulta uno dei migliori della discografia degli Witchery nel nuovo millennio e noi non possiamo che inchinarci a cotanta maestria in questo tipo di sonorità.

TRACKLIST
1. Lavey-athan
2. Zoroast
3. Netherworld Emperor
4. Nosferatu
5. The Burning Of Salem
6. Gilded Fang
7. Empty Tombs
8. In Warm Blood
9. Escape From Dunwich Valley
10. Feed The Gun
11. Oath Breaker

LINE-UP
Angus Norder – Vocals
Jensen – Guitar
Rikard Rimfält – Lead Guitar
Sharlee D’Angelo – Bass
Chris Barkensjö – Drums

WITCHERY – Facebook

Graveyard Ghoul – Slaughtered-Defiled-Dismembered

Un album che ha la sua forza nell’insieme creato dalle atmosfere che tagliano i brani, valorizzate dalle parti rallentate, veri macigni di musica oscura e diabolica.

Attitudine old school, tanto horror da B-movie, di quello cult per intenderci e non certo da ragazzini con mascherine smorfiose che più che paura fanno tenerezza, un death metal che nelle accelerazioni si trasforma in un thrash anni ottanta, per poi rallentare e far uscire l’anima malvagia del doom/death, una produzione che soffoca i suoni, come una bocca piena di quei vermi della decomposizione che brulicano tra le membra scarnificate.

Sono tornati i Graveyard Ghoul, band proveniente dalla Sassonia, al terzo album in quattro anni dalla sua nascita e tramite la Go Fuck Yourself Productions licenzia questo lavoro, rigorosamente in cassetta, dal titolo Slaughtered – Defiled – Dismembered.
Sangue, morte e male racchiusi in un’atmosfera orrorifica, un concentrato di malvagità e terrore compresse in un sound che chiamare oscuro è un eufemismo.
Attenzione, però, il gruppo non usa orpelli, niente trucco e niente inganno, solo metal estremo che odora di morte, tra death, thrash vecchio stampo e doom, malato, cadenzato e terrificante.
Un gruppo che sceglie per le sue opere il vecchio formato in cassetta non può che essere completamente devoto, in tutto e per tutto, ai tempi che furono, così da costruirsi un rispettoso seguito tra i cultori della musica estrema di ormai trent’anni fa.
Da scrivere rimane solo un giudizio altamente positivo, le atmosfere funzionano ed il trio (Tombcrusher al basso, Tyrantor batteria e voce e Disgracer chitarra e voce) dà la sensazione di saperci davvero fare e conoscere la materia trattata, tra devastanti ripartenze e rallentamenti che artigliano e squartano gole, in un perdersi in un terrificante mondo tra zombie, diavoli e piastrine a go go.
Un album che ha la sua forza nell’insieme terrificante creato dalle atmosfere che tagliano i brani, valorizzate dalle parti rallentate, veri macigni di musica oscura e diabolica, promossi.

TRACKLIST
Side A – Old
1.Mouldered To Madness
2.Slaughtered – Defiled – Dismembered
3.Born Without Bones
4.Necrocult
5.Pestilent
6.VHS

Side B – Death
7.Woundfuck
8.Necrotic Lust
9.They Won’t Stay Dead
10.Amputation Masturbation
11.Into Abyssal Spheres

LINE-UP
Disgracer -Vocals, Guitars
Tom “Tyrantor” Horrified -Drums, Vocals
Tombcrusher -Bass

GRAVEYARD GHOUL – Facebook

Siaskel – Haruwen Airen

Questo disco è speciale, poiché raramente si riesce ad ascoltare un black death che riesca a coniugare epicità ma, anche e soprattutto, un’esecuzione pulita e chiara, che conferisce maggior forza al disco

Secondo disco per i cileni Siaskel, un combo black metal che tratta nei suoi lavori della cultura Selk’nam.

Questi ultimi erano gli abitanti indigeni del lembo più estremo della Patagonia. L’origine dei Selk’am si perdono in ere davvero lontane da noi, e quel che poco che si sa di loro lo si deve ai pochi sopravvissuti e a racconti perlopiù orali. Il black death di ottima fattura dei Siaskel ci riporta vivide immagini della vita, della mitologia e della forza di questa popolazione. Come altre volte il linguaggio del black metal serve a riscoprire le proprie origini e le vere tradizioni, ed un genere musicale che si vuole nichilista per antonomasia riesce a compiere un salvataggio storico culturale molto importante. Musicalmente Haruwen Airen è un disco molto maturo, potente e ben suonato con una forza ben definita, e fa parte di un percorso che se compiuto porterà i Siaskel molto lontano. Questo disco è speciale, poiché raramente si riesce ad ascoltare un black death che riesca a coniugare epicità ma, anche e soprattutto, un’esecuzione pulita e chiara, che conferisce maggior forza al disco. I Siaskel sono un gruppo dalla forte personalità, e con questo lavoro vanno ben oltre la nomea di gruppo interessante.

TRACKLIST
1.Hechuknhaiyin Yecna Shuaken Chima
2.Só`ón Hás-Kan
3.Haruwen Airen
4.Hais
5.Hain
6.Mai-ich
7.Han K´win Sa

SIASKEL – Facebook

Altered Shade – The Path Of Souls

The Path Of Souls è un bellissimo esempio della devastante forza in mano alle belligeranti truppe di cui si compone l’esercito del metal estremo, un altro lavoro sopra la media targato WormHoleDeath.

Debuttano sulla lunga distanza i death/thrashers transalpini Altered Shade con questa bomba sonora targata WormHoleDeath.

Attivo dal 2009, il combo proveniente da Bordeaux dopo due demo strappa un contratto con la nota label nostrana e dà alle stampe The Path Of Souls, un tremendo e devastante tsunami estremo senza soluzione di continuità, che amalgama potenza death metal, furiose ripartenze thrash e soluzioni melodiche heavy in un sound oscuro e maledettamente coinvolgente.
Non manca niente al gruppo francese per entrare nei cuori neri degli amanti del metal estremo, The Path Of Souls risulta un susseguirsi di brani estremi che, pur non concedendo tregua, arrivano al traguardo grazie ad un songwriting ispirato, grandiose parti ritmiche ed un lavoro delle asce entusiasmante.
Growl/scream efferato, alternanza di mid tempo cadenzati e potentissimi carichi di groove, parti velocissime che finiscono il lavoro di distruzione, il tutto valorizzato da melodie metalliche di alto rango, fanno dell’album un terremoto musicale.
Questo è metal estremo del nuovo millennio, dimenticatevi quindi atmosfere old school tanto di moda di questi tempi: pur rimanendo confinato nei generi descritti, l’album ha un approccio straordinariamente diabolico e al passo coi tempi, le molte soluzioni armoniche, le atmosfere dark (l’oscura Meanders ricorda i Fields Of The Nephilim con un solo di stampo heavy che resuscita i morti) fanno di quest’opera un viaggio nella musica estrema da cui diventa alquanto difficile tornare.
Cinquanta minuti di death/thrash con tutte le carte in regola per far male, una battaglia che diventa guerra totale, vinta dal gruppo con armi micidiali come le belligeranti The Dark Gift Of Light, opener dell’album, The Last Door, con un riff centrale dai rimandi scandinavi, la stupenda Meanders, The Revenge Of Venus che nella parte centrale si impreziosisce di uno stacco melodicamente oscuro da brividi, e la letale Lord Vlad.
The Path Of Souls è un bellissimo esempio della devastante forza in mano alle belligeranti truppe di cui si compone l’esercito del metal estremo, un altro lavoro sopra la media targato WormHoleDeath.

TRACKLIST
1.The Dark Gift of Life
2.Frozen Grief
3.The Last Door
4.The Engraved Path
5.The Revenge of Venus
6.Meanders
7.Voodoo Philter
8.Lord Vlad
9.Until the Last Rites
10.The Shadows of Forgotten

LINE-UP
Rudy – Guitar
Baloo – Guitar
Fab – Bass
Edwin – Vocals
Hed – Drums

ALTERED SHADE – Facebook

Ruinous – Graves Of Ceaseless Death

Graves Of Ceaseless Death torna a far rivivere quel death metal americano, furioso, tripallico e senza compromessi che piace tanto ai true deathsters vecchia scuola.

La Dark Descent scaglia sul mercato con forza inaudita questo monolitico, violentissimo e bellissimo album firmato Ruinous, band formata da ex componenti di Goreaphobia, Incantation, Dysma, Funebrarum e kalopsya, esordio sulla lunga distanza che non potrà non mietere vittime tra gli amanti del death metal classico, irrobustito da tremende esplosioni di brutal e con un’anima malvagia che aleggia sulla tracklist.

Prodotto ottimamente, Graves Of Ceaseless Death torna a far rivivere quel death metal americano, furioso, tripallico e senza compromessi che piace tanto ai true deathsters vecchia scuola.
A parte qualche mid tempo, ed un po’ di sano groove che fa capolino dalla guerra totale messa in atto dal terzetto statunitense, l’album dalla prima nota dell’opener The Tombs Of Blasphemy all’ultima micidiale mitragliata (Torn Forever From The Light) risulta un monumento eretto alla brutalità, all’estremo e alla efferata violenza in musica.
Le ritmiche creano muri sonori , le asce sono cannoni devastanti che sparano colpi sulle ormai carcasse imputridite di mucchi di cadaveri, mentre Matt Medeiros fa guerra a sé con una prova dietro al microfono debordante in impatto e malvagità.
Un album che ha nelle carneficine senza tregua di From Flames Of Malice Born e gli undici minuti della mostruosa Through Stygian Catacombs, i suoi bastioni contro cui si infrangono le forze del bene.
Un lavoro imperdibile per chi apprezza il brutal death metal di stanza aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1.The Tombs Of Blasphemy
2.Transfixed On The Gate
3.Dragmarks
4.From Flames Of Malice Born
5.Procession Of Ceaseless Sorrows
6.Ravenous Eternal
7.Plague Maiden
8.Through Stygian Catacombs
9.Torn Forever From The Light

LINE-UP
Matt Medeiros – Guitars and Vocals
Alex Bouks – Guitars
Shawn Eldridge – Drums

RUINOUS – Facebook

Reveal – Flystrips

Black/death metal old school, forse un po’ troppo, tanto che sembra di essere al cospetto di un demo dei primi anni novanta, con suoni terribili, voce dall’oltretomba e batteria piatta.

Sfatiamo il luogo comune che, tutto quello che viene dai paesi scandinavi sia di livello superiore alle scene degli altri paesi.

E’ indubbio che la maggior parte delle realtà metalliche nate al nord, anche per un discorso culturale e sociale (la musica in quelle nazioni ha sempre avuto molta importanza nello sviluppo sociale dell’individuo) sia di un livello molto alto, ma non mancano certo i gruppi che non danno qualitativamente quello che il loro paese di nascita promette.
I Reveal, per esempio sono un combo black/death di Uppsala, attivo da una decina d’anni e con due lavori alle spalle: il full length Nocturne of Eyes and Teeth, uscito nel 2011, ed il singolo Cadmium di quest’anno, che apriva la strada a questo nuovo lavoro, Flystrips.
Black/death metal old school, forse un po’ troppo, tanto che sembra di essere al cospetto di un demo dei primi anni novanta, con suoni terribili, voce dall’oltretomba e batteria piatta.
Peccato, perché la band ha molte frecce al proprio arco: un sound destabilizzante, un approccio schizoide e dall’attitudine punk, ben nascosto tra le trame di brani a loro modo originali, che tornano indietro agli anni dei primi passi di quello che diventerà il temibile black metal scandinavo.
Poco più di mezz’ora faticando tra i non suoni di un lavoro obsoleto, magari idolatrato dai fans duri e puri, ma poco incline ad essere apprezzato, anche da chi, come il sottoscritto, ama il metal estremo old school.
Non mancano comunque buone idee, la band ha degli spunti interessanti e bizzarri e, specialmente negli intricati riffi trova il proprio punto di forza: poco per andare oltre una sufficienza risicata, che di questi tempi per Flystrips equivale ad un probabile oblio.

TRACKLIST
1. I Am Going To Eat You
2. Leopard Cunt
3. Heart
4. Cadmium
5. Comes Crashing Down
6. Stale Smoke***
7. Old Speckled One
8. Tame Your Neighborhood (with knives)

LINE-UP
Spine – guitar
Gottfrid – bassguitar
Petter– drums & percussion
Crack – vocals

REVEAL – Facebook

Grodek – Downfall Of Time

Il disegno artistico dei Grodek trova già una propria parziale concretizzazione, esibendo in maniera convincente la robustezza delle trame death ed il senso di drammatica ineluttabilità del doom.

Secondo Ep per gli abruzzesi Grodek , band davvero interessante che si muove in bilico tra death melodico e doom in maniera, mantenendo sempre un invidiabile equilibro tra le varie componenti del sound.

Questa breve prova, intitolata Downfall Of Time (che si avvale, in copertina, di una splendida fotografia di Francesco Delli Benedetti), si lega in maniera ancora più esplicita al concept che sta alla base dell’opera dei quattro ragazzi di Vasto, ovvero quello di “cantare la decadenza, il vuoto ed il fango della nostra realtà, trasformando l’ansia e l’orrore in esperienza estetica”.
Un modo di definire la propria musica intrigante e sicuramente impegnativo, ma va detto che il sound dei Grodek non smentisce tale dichiarazione di intenti; i quattro brani, infatti, sono piuttosto nervosi e pervasi da una certa inquietudine e, dovendo trovare un possibile riferimento per inquadrare le sfumature musicali proposte, direi che, specialmente in From The Fog I Rose e Time And Black Tides, il primo nome che viene in mente sono i Novembers Doom.
Da sempre ritengo la band di Paul Kuhr piuttosto sottovalutata, pur essendo fautrice di un sound piuttosto peculiare e riconoscibile: il fatto che i Grodek in qualche modo li richiamino alla memoria, nello stile vocale di Matteo Colantonio e in diverse soluzioni sonore, è senz’altro un fattore positivo che non deve far pensare al contenuto di Downfall Of Time come un qualcosa di derivativo, semplicemente è normale per un gruppo alle prime uscite ricordarne, anche inconsciamente, altri già conosciuti.
Resta il fatto che, in questi 25 minuti, il disegno artistico dei Grodek trova già una propria parziale concretizzazione, perché oltre ai due brani citati, anche Naiade e The Pale Dame esibiscono in maniera convincente la robustezza delle trame death ed il tocco di drammatica ineluttabilità del doom.
Un’ottima prova per un gruppo che sembra già avere tutte le carte in regola per provare l’avventura su lunga distanza, proprio perché è netta la sensazione che questo sia solo l’inizio di un percorso musicale tutt’altro che banale.

Tracklist:
1. From The Fog I Rose
2. Naiade
3. The Pale Dame
4. Time And Black Tides

Line-up:
Matteo Colantonio – Vocals, Guitars
Tiziano De Cristofaro – Guitars
Alessandro Leone – Drums
Matteo Sputore – Bass

GRODEK – Facebook