The Flesh – Dweller

Ventidue minuti di note che creano un mondo (quello dei The Flesh) di totale annientamento psichico, disturbante ed estremo come i generi da cui trae abominevole energia per arrivare inesorabilmente alla fine.

All’ascolto di Dweller non si può non constatare l’attitudine estrema degli olandesi The Flesh, tale da far impallidire una buona fetta delle band ascoltate negli ultimi tempi sotto la voce hardcore/punk.

La band olandese, composta da membri di Herder, Vervohed e Blood Diamond, trascende dai generi e si impone come decadente ed alcolico disfacimento mentale e fisico, un bombardamento di lucida pazzia che unisce in un sound corrosivo hardcore, crust, stoner malatissimo e black metal.
Ne esce un mostro cerebrale, un sound che trascina in un vortice di autolesionismo fagocitando pustole di menti malate e vomitandole insieme ai residui di fegato e organi impregnati di whiskey.
La voce di Jelle Kunst è un urlo di dolore sopra un tappeto di musica torturata da ritmiche sludge e black metal, come se nelle varie Black Rain o Siren’s Call, Darkthrone e Motorhead si riunissero per una jam crust/hardcore.
Lunga discesa nell’inferno del decadimento, Dweller non lascia speranze, il suo violento incedere non dà tregua, mentre Kunst vomita ormai senza freni perversione e livore.
Ventidue minuti di note che creano un mondo (quello dei The Flesh) di totale annientamento psichico, disturbante ed estremo come i generi da cui trae abominevole energia per arrivare inesorabilmente alla fine.

Tracklist
1.Tot In Den treure
2.Black Rain
3.Siren’s Call
4.Dweller (In The Dark)
5.Salax
6.Thrones In The Sky
7.A Knife To The Conformist
8.Fire Red Gaze

Line-up
Jelle Kust – Vocals
Sven Post – Guitars
Jeroen Vrielink – Bass
Tom Nickolson – Drums

THE FLESH – Facebook

Ultha – The Inextricable Wandering

Grande affresco di black metal angosciante, disperato e figlio della desolazione metropolitana. Un’opera di altissimo livello.

Nella recensione del loro ultimo full length Converging Sins, del 2016, mi auguravo un’ulteriore crescita della band tedesca e tale auspicio, alla luce del nuovissimo lavoro, è stato assolutamente ben riposto.

Anche l’approdo alla potente Century Media non ha scalfito di una virgola la proposta di questi artisti, che proseguono la loro strada peculiare e personale, mettendo a fuoco il loro sound, senza perdere un oncia di potenza e passione costruendo noto dopo nota un’ atmosfera oscura, drammatica, angosciante. Memori dei suoni del passato (nel 2016, coverizzarono Raise the Dead di Quorthon), i quattro musicisti di Colonia definiscono un passionale suono black metal, miscelandolo con misteriosi aromi darkwave e derive doom: il risultato che ne scaturisce è un blend affascinante estremamente avventuroso e dal flavour metropolitano; non respiriamo gli aromi derivanti dalle fredde lande scandinave, ma la puzza del degrado urbano, la dissoluzione della civiltà industriale. E’ angosciante viaggiare all’interno di questi sei brani per più di un’ora di musica: l’approccio disperato è disturbante, la proposta non è immediata, non ci sono comfort zone, tutto è lacerante; non aspettatevi cambi di tempo repentini all’interno dei brani, che sono invece infinite cavalcate appassionate, condotte su note di basso ora avvolgenti ora frenetiche, con le chitarre instancabili nel tessere trame sonore prettamente black con le tastiere che immergono il tutto in un atmosfera grigia, fosca e plumbea. Non una nota sprecata, non manierismi, il suono è altamente coinvolgente fin dall’ opener The Avarist, quindici minuti meravigliosi che ci immergono in mondi bui, senza speranza ma allo stesso tempo ammalianti. Il potere dell’oscurità penetra i nostri sensi, diventa un tutt’uno con la nostra essenza vitale e ci spinge ad amare incondizionatamente tutte le note espresse nell’album sia quando l’afflato cosmico e l’ambient presenti in There Is No Love, High Up in the Gallows ci fanno galleggiare in un liquido amniotico primordiale, sia quando le note ossessive, noir e cinematografiche di We Only Speak in Darkness ci ricordano che… you exist for nothing. Le pressanti pulsioni dark wave di Cyanide Lips si aprono in un disperato scream forgiando un black angosciante e senza futuro. L’ “inestricabile vagare” del titolo ci “costringe” ad affrontare con paura le disilluse note dei quasi diciannove minuti dell’ultimo disperato viaggio: I’m Afraid to Follow You There, dove una fredda e distaccata maestosità lentamente si sfibra in note black feroci, capaci di fagocitare l’ultimo anelito di speranza che pensavamo di avere. Sarebbe fantastico vedere questa band dal vivo, nel frattempo godiamoci quest’opera di altissimo livello. Tra le uscite dell’anno ha trovato sicuramente un posto importante nella mia anima, insieme all’esordio dei Mare.

Tracklist
1. The Avarist (Eyes of a Tragedy)
2. With Knives to the Throat and Hell in Your Heart
3. There Is No Love, High Up in the Gallows
4. Cyanide Lips
5. We Only Speak in Darkness
6. I’m Afraid to Follow You There

Line-up
C – Bass, Vocals
M – Drums
A – Electronics
R – Guitars, Vocals

ULTHA – Facebook

MINERVIUM – ETERNO E OMEGA

Buon ep d’esordio per questo combo black metal di Catanzaro. Un primo passo, sicuramente non falso, che molto ci racconta delle espressioni tipiche del genere mediterraneo, sia per liriche e tematiche proposte, che per linguaggio e manifestazione musicale

Quando si parla di black metal immediatamente si pensa a satanismo, anticristianesimo, occultismo o a tematiche (spesso molto care ad un certo black francese) più legate a stati d’animo umani connessi con la depressione, la disforia, la grigia malinconia e frequentemente anche misoginia, odio, avversione nei confronti di tutto e tutti (il cosiddetto “Anti”).

Ma quando ci si appropinqua a band provenienti dalla Grecia e, appunto, dalla nostra penisola, si può spesso incappare in produzioni fortemente influenzate dall’antichità classica (Magna Grecia ed Impero Romano).
I Minervium – già il nome ci riconduce immediatamente ad una precisa fase storica del nostro Paese – non fanno eccezione.
La Colonia Minervia, o più semplicemente Minervium, fu un territorio romano (inizialmente conosciuto come Solacium, città del letterato Cassiodoro – siamo circa cent’anni prima di Cristo) sito proprio sulla costa ionica, poco più a sud di Catanzaro, città natale della band, composta da Vulr (voce, all’anagrafe Kristian Barrese), Antonius Pan (chitarra), Angelo Bilotta (batteria) e Gianluca Molè (basso).
Apprezzando indubbiamente il loro attaccamento alla propria terra natia, ammiriamo volentieri il black metal da loro proposto – cantato in italiano – sicuramente di ottima fattura. Il combo, esplicitamente influenzato da quella che io definisco “fascia mediterranea” (Portogallo, Grecia e ovviamente Italia su tutte), esordisce con questo ep di 5 tracks, uscito oggi in formato digitale, ma previsto su cd il prossimo gennaio per l’attivissima russa Narcoleptica Productions (già label di band quali Darkestrah, Ritual americani e di altre 50 bands circa).
Dopo l’intro Il canto del mare (un melodico arpeggio, cullato dal leggiadro suono di onde che si infrangono sulla battigia), la prima vera track Invocando il passato, mostra fin da principio, quanto i nostri abbiano a cuore miscelare ad uno dei più classici black metal, viete atmosfere, momenti di secolare doom e nostalgiche malinconie di un antico nostro passato che fu. Anche le successive due canzoni (Cenere e la title track) paiono impregnate di vetusto passato, dove l’Antico ne imbeve ogni singola nota. Interitus (dal latino = annientamento) , ultimo breve momento strumentale di veloce black, più che categorico annullamento, a chiusura definitiva, ci appare come un nuovo inizio, un trait d’union con la prossima produzione, quasi che fosse l’attacco iniziale della prima track di un imminente probabile futuro album.
Non manca nulla: tremolo, scream, blast beat, up-tempo e mid-tempo, sapientemente alternati, armonicamente amalgamati, e soprattutto ben bilanciati, per non indurre mai l’ascoltatore, né alla noia e al sonno indotti dalla ripetitività dei tempi cadenzati, né alla schizofrenica monotonia delle hyper velocità fini a se stesse. Sonnamboliche atmosfere contornano tutto l’album, e il cantato in italiano clean spesso rende il tutto ancor più arcaico, d’un fascino remoto.
L’ascolto è piacevole, le sonorità sono limpide e la definizione musicale dei singoli strumenti ripone indubbiamente a loro favore. Una produzione all’altezza, ci permette inoltre di apprezzare le buone capacità tecniche dei ragazzi di Catanzaro. Ovvio, non siamo di fronte all’album che sconvolgerà le masse (è comunque un mini-album di esordio, ricordiamolo), ma sicuramente arricchisce la nostra scena, e propone una “new entry” che potrà dire la sua, in un futuro prossimo, in un scena, quella del black nostrano, sempre più imperiosamente ai vertici mondiali del genere.
In attesa di un full-length, ci godiamo appieno il nuovo arrivato, ma che profuma di antichi aromi e di primeve fragranze musicali.

Tracklist
1. Il canto del mare
2. Invocando il passato
3. Cenere
4. Eterno e omega
5. Interitus

Line-up
Gianluca M. – Bass
Angelo B. – Drums
Antonius Pan – Guitars
Vulr – Vocals

MINERVIUM – Facebook

Spectrum Mortis – קדוש

Il lavoro è breve, aggirandosi attorno ai venticinque minuti di durata, ma la densità del sound fa sì che questo non si tramuti in un difetto: ciò che resta è l’impressione di aver ascoltato l’opera di una band di alto livello, capace di maneggiare con competenza una materia insidiosa come il doom ritualistico.

קדוש (Kadosh) è il titolo di questo secondo full length degli spagnoli Spectrum Mortis.

Il lavoro si basa su un interessante black doom intriso di un’aura mistica ben introdotta dal salmodiare in latino ascoltabile nella iniziale title track.
I restanti tre brani mettono in mostra una band dalle idee chiare sugli obiettivi da perseguire, che sono essenzialmente volti all’offerta di un sound occulto e ritualistico nel quale confluirono in maniera equilibrata i diversi generi estremi.
Ciò che colpisce di un lavoro di questo genere è anche la sua qualità a livello di suoni e di esecuzione da parte dei singoli musicisti; anche grazie a questo che il messaggio degli Spectrum Mortis giunge forse e chiaro alle orecchie degli ascoltatori, ed un brano magnifico come Fiat Nox lo testimonia nel migliore nei modi, con il suo incedere solenne e minaccio nei solchi del miglior black doom
Et Filius Aurora sposta le coordinate verso il death, senza che all’interno dello sviluppo del brano non venga trovato lo spazio per rallentamenti atti a raccogliere le invocazioni proferite dal vocalist Sheram, e sempre black death ancor più furioso è poi quanto viene scagliato sull’audience con Christus Mysticusm, confermando la sapiente alternanza con passaggi più rarefatti atti a rompere la tensione per poi farla riesplodere con ancora più forza e convinzione.
Il lavoro è breve, aggirandosi attorno ai venticinque minuti di durata, ma la densità del sound fa sì che questo non si tramuti in un difetto: ciò che resta è l’impressione di aver ascoltato l’opera di una band di alto livello, capace di maneggiare con competenza una materia con la quale i neofiti rischiano ad ogni piè sospinto di cadere nel ridicolo.

Tracklist:
1. I. קדוש
2. II. Fiat Nox (Hymn to the Master of Death)
3. III. Et Filius Aurorae (Hymn to the Son of Dawn)
4. IV. Christus Mysticus (Hymn to the Messenger of Gods)

Line-up:
Sheram – Vocals, Bass
Aataa – Guitars
Aath – Guitars
Ta’ao – Drums

SPECTRUM MORTIS – Facebook

All My Sins – Pra Sila – Vukov Totem

Uno dei migliori dischi di black metal degli ultimi anni, potente, melodico ed affascinante, con una poetica musicale e non che non può lasciare indifferenti.

Arriva dalla Serbia un disco black metal furioso e con grandi melodie che farà la gioia di molti amanti del nero metallo.

I serbi All My Sins sono un gruppo con un talento compositivo molto particolare, con un timbro che si impone subito all’attenzione dell’ascoltatore. La loro storia è particolare, perché dopo due demo fra il 2002 ed il 2004 si va direttamente ad un ep del 2017. Dovendo semplificare la spiegazione del tipo di black metal che offrono si potrebbe affermare che facciano un qualcosa di classico, ma vanno oltre perché c’è anche quel ritorno alla natura ed il recupero delle proprie tradizioni che è uno degli effetti del genere. Le tradizioni degli slavi del sud sono molto presenti in questo disco, che ha un significato recondito molto profondo e si sposa inevitabilmente con ciò che noi chiamiamo occulto, ma che ai nostri antichi era molto ben chiaro e quotidiano. Il lavoro si basa soprattutto, oltre che su un robusto e bellissimo black metal della seconda ondata norvegese, sul concetto del lupo come essere lunare e sulla sua presenza nella cultura slava. Da lì si arriva alla similitudini fra questo animale e l’uomo moderno, il tutto senza preconcetti ed illustrando molto bene i passaggi. Le liriche sono in tutte in serbo, ma se si traducono con i mezzi moderni riservano più di una sorpresa. In questo caso il black metal viene usato come codice per indagare e spiegare la natura ancestrale e fortemente pagana della propria gente e delle proprie tradizioni, sopravvissute in qualche maniera al flagello chiamato cristianesimo che ha spianato in breve tempo culture millenarie. Il lavoro dei serbi ha una produzione grandiosa ed estremamente fedele, dovuta al fatto che un componente del gruppo, V, ha uno studio di registrazione e produzione di metal estremo, il Wormhole Studio di Pančevo e ha le idee molto chiare ed un bel talento dietro al controller. Il risultato è uno dei migliori dischi di black metal degli ultimi anni: potente, melodico ed affascinante, con una poetica musicale e non che non può lasciare indifferenti. Il black metal degli All My Sins è una cosa bellissima.

Tracklist
1.Vukov Totem
2.Zov iz Magle
3.Vetrovo Kolo
4.U Mlazevima Krvi
5.Opsena
6.Mesecu u Oko
7.Konačna Ravnodnevica (Čin Prvi)
8.Konačna Ravnodnevica (Čin Drugi)

Line-up
Nav Cosmos – Vocals / Bass / Vrg
V – Guitars / Keys
Nemir – Drums (Session)

ALL MY SINS – Facebook

Helrunar – Vanitas Vanitatvm

Ennesima prova di enorme spessore targata Helrunar, una garanzia di qualità e profondità che va ben oltre gli angusti confini del genere in cui la band tedesca viene incasellata.

Vanitas Vanitatvm è il quinto full length per gli Helrunar, band tedesca che con gli anni si è meritata una considerazione prossima allo status di culto, pur non essendo mai riuscita a sfondare nei confronti di un audience più ampi in ambito black metal.

Uno dei motivi è forse il fatto che il genere, nell’interpretazione di Marcel Dreckmann e Sebastian Körkemeier, è sempre stato contraddistinto da confini poco delineati; un bene per chi ritiene che il black sia un’ideale base di partenza per esplorare le pieghe più oscure del metal, un male per chi si vi si accosta con un atteggiamento dogmatico.
Con Vanitas Vanitatvm il duo di Munster abbandona certe pulsioni pagan che affioravano nei precedenti lavori, per approdare ad una forma più diretta ma pervasa sempre da una classe superiore: la mia predilezione nei confronti degli Helrunar deriva anche dall’ammirazione che nutro personalmente per un artista come Marcel Dreckmann, del quale ho apprezzato in passato l’operato sia con gli Árstíðir Lífsins, sia con il suo stupendo progetto folk Wöljager.
Dopo l’intro di prammatica, l’album parte sparato con l’ingannevole ferocia di Saturnus e della stessa Lotophagoi, prima che il suo finale ci regali i primi significativi spunti melodici di un lavoro che, con il procedere dei brani, diviene sempre più aperto a soluzioni trasversali al black.
Blutmond è un mid tempo solenne, avvolgente e ricco di sfumature, mentre Da brachen aus böse Blattern, am Menschen und am Vieh ha un incedere molto vario nervoso a livello ritmico; la carezzevole ed acustica title track prepara il terreno alla nuova sfuriata di In Eis und Nebel, canzone dotata di una linea melodica superba, ma è la successiva Nachzehrer ad esplicitare al meglio quali siano le caratteristiche peculiari degli Helrunar: un arpeggio cupo ed ossessivo esplode poi in un pesante riff, accompagnando il profondo recitato di Dreckmann, con lo schema che si ripete fino allo splendido finale che segue una estrema dichiarazione di amore morboso.
Questa lunga traccia, magnifica per potenziale evocativo ed eseguita in maniera a dir poco magistrale, viene seguita, quasi a contrastarne tali caratteristiche, dalla sferzante Als die Welt zur Nacht sich wandt, classico esempio del miglior black di scuola tedesca, con il suo perfetto equilibrio tra algida solennità e aperture melodiche, e ancora dal brano più lungo del lavoro, Necropolis, che nell’arco dei suoi quasi dieci minuti offre un caleidoscopico fluttuare all’interno del black death più evoluto.
In definitiva, siamo di fronte all’ennesima prova di enorme spessore targata Helrunar, una garanzia di qualità e profondità che va ben oltre gli angusti confini del genere in cui la band tedesca viene incasellata; continuo a ritenere che l’operato di questi due ottimi musicisti sia troppo spesso sottovalutato a favore di realtà più cool a livello di immagine o stilistico, ed è un peccato, perché Vanitas Vanitatvm è in assoluto uno dei migliori album ascoltati quest’anno, non solo in ambito black metal.

Tracklist:
1. Es ist ein sterbend Liecht
2. Saturnus
3. Lotophagoi
4. Blutmond
5. Da brachen aus böse Blattern, am Menschen und am Vieh
6. Vanitas Vanitatvm
7. In Eis und Nebel
8. Nachzehrer
9. Als die Welt zur Nacht sich wandt
10. Necropolis
11. Der Tag an dem das Meer seine Toten freigibt

Line-up:
MD – Vocals
SK – Chitarra, basso, batteria

HELRUNAR – Facebook

Mutilation Rites – Chasm

Black death statunitense viscerale, selvaggio, con una grande sezione ritmica: l’adrenalinico e ispirato terzo disco di una band in costante evoluzione.

Chasm è un pericoloso e turbolento intruglio di sonorità death black che ingerito ripetutamente può portare a putrefazione la nostra mucosa gastrica.

I newyorkesi Mutilation Rites rappresentano una solida realtà dell’underground statunitense che nasconde tante band devote a sonorità estreme composte con buona personalità, dote che non manca di certo a questo quartetto attivo dal 2010 e giunto al terzo full length, primo per Gilead Media, etichetta del Wisconsin molto attiva (un occhio ai Vile Luxury, Forn e Hell tra gli altri). I Mutilation Rites rientrano in quella categoria di band che navigano nei limacciosi e putridi liquami del black death, dove lentamente ci si inabissa senza possibilità di respirare; una perfetta e intossicante miscela che, per certi versi ricorda la genia di band della etichetta Dark Descent. Sei brani, poco più di quaranta minuti condotti da un songwriting molto efficace, dove le chitarre di George Paul e Michael Dimmitt si rincorrono senza sosta, trovando linfa vitale in territori black, death e grind e sorretti da un grande drumming, condotto da Tyler Coburn (membro anche dei THOU), e creano brani mozzafiato come Ominous Rituals, brano carnivoro e dotato di un impulso ritmico straordinario. Invece di lavorare il suono sulla lentezza e sull’oppressione i Mutilation Rites agiscono con un impatto ritmico devastante multiforme e potentissimo che trasuda adrenalina ad ogni momento. Il death rappresenta il primum movens di questo album e miscelandolo con il black i brani diventano incendiari con un carattere di urgenza più presente rispetto agli altri due album (Harbinger ed Empyrean, decisamente consigliati). La cover spettacolare inquadra al meglio il sound, un saliscendi emozionale su scale che portano in territori abissali e neri come la pece dove non vi è possibilità di redenzione. La title track esploderà nei padiglioni auricolari e non tragga in inganno la lenta movenza iniziale di Putrid Decomposition, dissonante e sinistra, perchè il growl slabbrato mostrerà presto la natura selvaggia del brano. Un gran bel disco come molti altri nell’underground statunitense … tocca a noi dargli la dovuta importanza.

Tracklist
1. Pierced Larynx
2. Axiom Destroyer
3. Ominous Rituals
4. Post Mortem Obsession
5. Chasm
6. Putrid Decomposition

Line-up
George Paul – Guitars, Vocals
Michael Dimmitt – Guitars
Ryan Jones – Bass, Vocals
Tyler Coburn – Drums

MUTILATION RITES – Facebook

Sercati – Devoted, Demons and Mavericks

La formula non e’ certo nuova, ma quando viene proposta con buona competenza ed uno spiccato senso della melodia non si può fare a meno di dimostrare la giusta approvazione

I belgi Sercati sono in circolazione già da qualche anno con la loro proposta basata su un symphonic black senz’altro gradevole e connotato da decise pennellate di folk ed epic metal.

La formula non e’ certo nuova, ma quando viene proposta con buona competenza ed uno spiccato senso della melodia non si può fare a meno di dimostrare la giusta approvazione.
Se c’e ancora qualcosa che ancora non convince del tutto è sempre lo screaming di Steve Fabry, accettabile pur se non eccelso quando, con piglio alla Dani Filth, si limita ad interpretare i testi dell’album, grottesco allorché adotta tonalità gracchianti e caricaturali delle quali, oggettivamente, si sente poco il bisogno.
Al netto di questo, l’operato della band vallone è di sicuro pregio grazie ad una buona capacità di creare a getto continuo melodie catchy che si snodano ora nel solco degli Amorphis ora in quello dei Catamenia, il tutto intriso di un approccio leggermente più estremo ed orientato al black metal.
Devoted, Demons and Mavericks, terzo full length in un storia iniziata quasi dieci anni fa, si rivela così un lavoro decisamente godibile, disseminato di tracce trascinanti e dall’impatto piuttosto diretto come Dream Devourer o Cathartic Bomb, nel quale la mancanza di particolari novità viene ampiamente compensata da una scrittura scorrevole, in grado di condurre l’ascoltatore con buon agio al termine di questi quaranta minuti scarsi di melodic black che, probabilmete, non daranno ai Sercati un successo imperituro ma li conferma tra gli interpreti più interessanti oggi in questo settore.

Tracklist:
1. Countdown To Apocalypse
2. Shockwaves Of The Countdown
3. Time Of Loss
4. Under The Velvet Mask
5. Dream Devourer
6. An Appointement Between Hell and Heaven
7. Cathartic Bomb
8. Before The Battle
9. Fight To Dust
10.The Purgatory
11.Facing The Unknown (Outro)

Line-up:
Steve “Serpent” Fabry – Bass, Vocals
Yannick Martin – Drums, Backing Vocals
Simon Charlier – Lead Guitar

SERCATI – Facebook

Throneum – The Tight Deathrope Act Over Rubicon

Gruppo che da anni porta avanti il suo credo con dedizione e costanza, i Throneum rimangono confinati nel loro oscuro e diabolico limbo: The Tight Deathrope Act over Rubicon non intacca la reputazione del gruppo rimanendo nell’ambito di quelle opere appannaggio di pochi

Proposta assolutamente per appassionati puri e duri quella dei polacchi Throneum, death/black metal band attiva da quasi un ventennio sulla scena estrema dell’est.

Una discografia importante, composta da nove full length ed una marea nera di split e lavori minori, hanno fatto del terzetto di Bytom una garanzia per gli amanti del death/black metal underground.
Il sound prodotto dal gruppo anche in questo ultimo lavoro, intitolato The Tight Deathrope Act Over Rubicon, non lascia presagire nulla di diverso da un metal estremo scarno e diretto, una produzione in linea con l’attitudine underground e dissonanze che rendono l’approccio all’album ancora più difficile.
Partendo da una base old school stile Venom/Slayer infatti, i Throneum avvolgono il suono di un’aura diabolica: nel mondo del gruppo regna un caos infernale e caotico nel quale su ritmiche indiavolate si lanciano chitarre che molte volte prendono strade diverse dal contesto del brano, creando un muro sonoro di ostica assimilazione.
L’ora di durata non fa che aumentare il livello di difficoltà, così che brani come la title track o le quattro parti di Enochian Lexicon diventano una prova dura da superare anche per il fans del genere più accanito.
Gruppo che da anni porta avanti il suo credo con dedizione e costanza, i Throneum rimangono confinati nel loro oscuro e diabolico limbo: The Tight Deathrope Act Over Rubicon non intacca la reputazione del gruppo rimanendo nell’ambito di quelle opere appannaggio di pochi.

Tracklist
1.Crossing the Dead River
2.The Tight Deathrope Act over Rubicon
3.Enochian Lexicon
4.Enochian Lexicon II
5.Enochian Lexicon III
6.Enochian Lexicon IV
7.The Biblical Serpent – The Master of Misfortune
8.To-Mega-Therion
9.Primal Words. Orphic

Line-up
Armagog – Bass
The Great Executor – Guitars, Vocals
Diabolizer – Drums

VƆID – Jettatura

I VƆID partono con un brano sparato a cento all’ora come la title track e più o meno proseguono su questa falsariga lungo tutto il lavoro, mantenendo una coerenza stilistica apprezzabile, sia pure con minimi scostamenti rispetto alle linee guida di base.

L’esordio su lunga distanza dei VƆID avviene con un album intitolato Jettatura, il che ricondurrebbe istintivamente ad una band proveniente dall’Italia meridionale, mentre i nostri in realtà sono francesi ed escono per la sempre valida label transalpina Les Acteurs De L’Ombre.

Il titolo del lavoro e la grafia del monicker rappresentano alla fine gli elementi più peculiari per il gruppo, perché la proposta è invece costituita da un più canonico black’n’roll offerto con la giusta dose di furia e convinzione per renderlo comunque degno della dovuta attenzione.
I VƆID partono con un brano sparato a cento all’ora come la title track e più o meno proseguono su questa falsariga lungo tutto il lavoro, mantenendo una coerenza stilistica apprezzabile, sia pure con minimi scostamenti rispetto alle linee guida di base.
Con molta più lode che infamia, in ogni caso, la band di Nantes interpreta con buona capacità i dettami del genere inserendovi la giusta dose di groove per mantenere alto il coinvolgimento dell’ascoltatore: qualche opportuno rallentamento piazzato qua e là all’interno delle tracce dimostra infine che i nostri non sono soltanto dei biechi e pervicaci mazzuolatori ma anche dei buoni musicisti, nonostante si dedichino ad un genere in cui il tocco di fino non è previsto.
La sensazione che resta dopo l’ascolto di Jettatura è oltremodo gradevole, assieme alla certezza che un concerto dei VƆID sia senz’altro foriero di grande divertimento, così come lo è comunque il disco, perché in fondo in prima battuta altro non si chiede a chi offre queste sonorità; in realtà Jettatura è un lavoro che nelle sue pieghe si rivela molto più profondo e ricco di quanto possa apparire ai primi ascolti, come testimoniato da un bellissimo brano come We Come We Breed We Live.

Tracklist:
1.JETTATURA
2.THEORY OF HAIL
3.WOVEN WOODS
4.WE COME WE BREED WE LIVE
5.O M E N
6.RED CARDINALS

Line-up:
O.H
C.R
P.G
J.M.C
C.RDR

VOID – Facebook

Mourning By Morning – Mourning By Morning

L’album si muove a ritmi sempre controllati, senza che venga mai meno un sentire malinconico che trova il suo opportuno contraltare in uno screaming adeguato e in un lavoro chitarristico preciso ed incisivo in ogni frangente.

Mourning By Morning è il nome dell’ennesimo progetto solista preveniente dagli Stati Uniti e capace di offrire un’ottima interpretazione del black metal atmosferico.

Niente di nuovo, anche perché la stessa strada viene battuta da un’infinità di musicisti, gran parte dei quali si disimpegna sicuramente molto bene, ma un buon motivo per prestare la dovuta attenzione all’operato di Sörjande è la sua spiccata propensione a comporre melodie dolenti e di grande impatto.
Anche la produzione adeguata rende giustizia a questo ottimo lavoro autointitolato che si snoda per quaranta minuti in maniera convincente e senza particolari passaggi a vuoto.
Il ragazzo dell’Ohio, prima di arrivare al full length d’esordio, ha pubblicato nel corso degli ultimi due anni un numero considerevole di uscite dal minutaggio ridotto, il che sicuramente gli ha consentito di arrivare all’appuntamento del tutto pronto.
L’album si muove a ritmi sempre controllati, senza che venga mai meno un sentire malinconico che trova il suo opportuno contraltare in uno screaming adeguato e in un lavoro chitarristico preciso ed incisivo in ogni frangente.
Si rivela quindi un piacere ascoltare brani davvero intensi a livello emozionale e dallo sviluppo melodico non banale, che ben si inserisce all’interno della struttura portante black, come At Heart, The Bride Of Ice, I Wander e il magnifico e conclusivo Wintertide, ma va detto che non c’è una sola traccia in questo lavoro che non meriti d’essere ascoltata, e questo non è mai un risultato scontato.
Mourning By Morning ha il pregio di lasciarci con una sensazione di malinconia che, nonostante i contenuti lirici non inducano affatto all’ottimismo, è piacevolmente soffusa piuttosto che rivolta verso una disperazione priva di sbocchi: anche per questo l’operato del bravo Sörjande ha qualche chance in più di raggiungere un numero più vasto di ascoltatori.

Tracklist:
1. Azure Eyes
2. At Heart
3. The Bride of Ice
4. Bleakness
5. I Wander
6. Underneath the Pressure of the Sea
7. Wintertide

Line-up:
Sörjande – Everything

MOURNING BY MORNING – Facebook

ACOD – The Divine Triumph

La carriera degli ACOD fino a qui era già soddisfacente, ma questo disco è molto al di sopra della media e dovrebbe essere il definitivo trampolino per una formazione musicale che, in questo frangente, ha prodotto davvero una grande uscita, potentissima e molto coinvolgente.

Con un incondizionato assalto black death metal con forti accenni sinfonici, i francesi ACOD puntano tutto sulla notevole potenza di fuoco e su una composizione molto precisa e funzionale.

Il gruppo viene da Marsiglia e si inserisce nel solco della tradizione metal francese che stupisce sempre per la notevole varietà di soluzioni. Qui i generi si fondono e i codici musicali dei sottogeneri vengono usati per arrivare al risultato finale che è notevole. Lo stile potrebbe ricordare quello dei Behemoth di qualche anno fa, ma il loro tiro è maggiore di quello del gruppo polacco in alcuni frangenti. Le orchestrazioni sono composte benissimo dal gruppo e da Richard Fixhead, ex Tantrum. Spesso nel metal le parti orchestrali sono eseguite in maniera tale da risultare avulse dal contesto, o peggio, quasi sgradevoli all’orecchio, ma in questo caso invece sono un ulteriore valorizzazione del lavoro del gruppo e sono quindi molto piacevoli. L’incedere del quarto disco del trio marsigliese è incessante e lascia una scia di sangue dietro di sé, con l’ascoltatore che rimane pienamente soddisfatto da quanto sta ascoltando. La carriera degli ACOD fino a qui era già soddisfacente, ma questo disco è molto al di sopra della media e dovrebbe essere il definitivo trampolino per una formazione musicale che, in questo frangente, ha prodotto davvero una grande uscita, potentissima e molto coinvolgente. Non c’è un secondo di noia o di riempitivo, è tutto furia e devastazione, antiche storie e nuovi demoni, e il gruppo dimostra di possedere un marchio immediatamente riconoscibile, che è forse la cosa più difficile oggi, in ambito metal e non.

Tracklist
01. L’ascension des abysses
02. Omnes Tenebrae
03. Road To Nowhere
04. Broken Eyes
05. Between Worlds
06. Tristis Unda
07. Sanity Falls
08. The Divine Triumph
09. Fleshcell
10. Beyond Depths
11. Sleeping Shores

Line-up
Fred – Vocals
Jerome – Guitars/Bass
Raph – Drums

ACOD – Facebook

Bald Anders – Spiel

Il cantato il lingua madre caratterizza non poco opere di questo tipo, che sono comunque in grado di soddisfare il palato di chi vuole cibarsi di qualche pietanza saporita e meno usuale, assumendosi pure qualche rischio, ampiamente compensato dalla bellezza straniante di Spiel.

Chi ha amato i Lunar Aurora, quella che probabilmente è stata la migliore band black metal di sempre partorita dal suolo germanico, non può fare a meno di avvicinarsi con trepidazione e doveroso rispetto verso questo nuovo lavoro dei Bald Anders, gruppo fondato qualche anno fa dai fratelli Benjamin e Constantin König, ovvero gli Aran e Sindar responsabili, fra gli altri, di un capolavoro ineguagliabile come fu Andacht.

E’ bene però sgombrare subito il campo da ogni equivoco: qui il black metal è solo una delle molte componenti che si sovrappongono, talvolta in maniera apparentemente illogica o bulimica, all’interno di un progetto musicale che si presenta maniera esplicita come un qualcosa di difficilmente etichettabile.
Spiel è incentrato sull’idea di gioco (appunto spiel in tedesco) in tutte le sue forme, siano esse quelle più spensierate e di natura infantile, sia un qualcosa i cui esiti finali possono radicalmente la vita di chi vi si cimenta; ma un gioco è anche quello nel quale si trova sicuramente coinvolto l’ascoltatore provando a scoprire, di volta in volta, dove i nostri andranno a parare, ricordando ora la solennità degli stessi Lunar Aurora (Verhext), ora la vis sperimentale dei Nocte Obducta (Pestulon), per arrivare alle ritmiche scanzonate e catchy in quota Die Apokalyptischen Reiter (Drei Wünsche) fino ad una sorta di cabaret decadente di tipica matrice germanica (Rosenspalier).
L’album al primo ascolto spiazza e non poco, ma poi di volta in volta i tasselli del puzzle trovano la propria giusta collocazione, per cui la convivenza tra tutte le sfumature citate in precedenza vede la sua sublimazione nell’enfasi lirica di Fantasma, brano in cui il flusso emozionale che pervadeva l’opera dei Lunar Aurora trova un suo naturale sbocco, sia pure sotto diverse sembianze.
Come sempre il cantato il lingua madre caratterizza non poco opere di questo tipo, che sono comunque in grado di soddisfare il palato di chi vuole cibarsi di qualche pietanza saporita e meno usuale, assumendosi pure qualche rischio, ampiamente compensato dalla bellezza straniante di Spiel.

Tracklist:
1.Das achte Haus
2.Drei Wünsche
3.Taugenichts
4.Verhext
5.Fantasma
6.Rosenspalier
7.Le Fuet
8.Pestulon
9.Der Onkel

Line-up:
Benjamin König
Constantin König
Clemens Kernert

BALD ANDERS – Facebook

An Autumn For Crippled Children – The Light of September

The Light of September è un album raccomandato ai fruitori del black più atmosferico e degli amanti di certo post punk e lo si ascolta con grande piacere, in virtù di una grande scorrevolezza e delle sue peculiarità che, piacciano o meno ai puristi, ne costituiscono il principale punto di forza.

Gli An Autumn For Crippled Children sono una strana creatura musicale che ormai da diversi anni offre un mix, invero dai tratti molto personali, di shoegaze, darkwave e black metal, il tutto sempre con risultati decisamente positivi.

Il solo problema di chi si cimenta in simili operazioni è quella di avere a che fare con ascoltatori magari non troppo propensi nel derogare dai propri gusti musicali, rischiando così di scontentare, da una parte, quelli che non sopportano la voce in screaming e, dall’altra, chi ritiene lo sviluppo musicale troppo morbido per avere diritto di cittadinanza nel panorama dei generi più estremi.
Sicuramente, a chi non suddivide la musica in compartimenti stagni l’opera di questi olandesi sarà decisamente gradita, perché la facilità innata nel tessere melodie avvolgenti quanto malinconiche da parte del trio è sempre sorprendente.
Non c’è un solo brano, infatti, che non regali uno sviluppo armonico incisivo al quale il substrato metallico dona solo uno scheletro più robusto senza andarne a snaturare l’essenza; d’altro canto, se è vero che tra magnifiche tracce come The Light of September, Lovelorn e Fragility le differenze appaiono evidenti per approccio e ritmi, non si può fare a meno di notare che, alla lunga, rischia ugualmente di affiorare quel pizzico di ripetitività capace di offuscare leggermente il piacere dell’ascolto.
Detto questo, personalmente preferisco di gran lunga trascorrere una quarantina di minuti del mio tempo con gli An Autumn For Crippled Children piuttosto che con i più celebrati Ghost Bath, tanto per restare su territori contigui, proprio perché quello della band dei Paesi Bassi mi appare come un sentire malinconico genuino, a differenza del depressive di facciata, per quanto ben costruito, degli statunitensi.
Al settimo full length in poco più di otto anni, gli An Autumn For Crippled Children offrono un’altra prova di sicuro valore: The Light of September è un album raccomandato ai fruitori del black più atmosferico e degli amanti di certo post punk (il lavoro del basso è un marchio di fabbrica, in tal senso), e lo si ascolta con grande piacere in virtù di una grande scorrevolezza e delle sue peculiarità che, piacciano o meno ai puristi, ne costituiscono il principale punto di forza.

Tracklist:
1. The Light of September
2. New Hope
3. Hiding in the Dark
4. Lovelorn
5. Fragility
6. The Silence Inside
7. A New Day Has Come
8. Still Dreaming
9. The Golden Years

Line-up:
TXT – Bass, Keyboards
CXC – Drums
MXM – Vocals, Guitars, Keyboards

AN AUTUMN FOR CRIPPLED CHILDREN – Facebook

Behemoth – I Loved You At Your Darkest

I Loved You At Your Darkest è un album magnifico, vera arte estrema dall’appeal altissimo anche per chi è solito ad ascolti più melodici, orchestrato a meraviglia, prodotto perfettamente e composto da dieci brani, più intro ed outro, del tutto inattaccabili.

Tornano, a pochi mesi di distanza dal notevole Messe Noire (live che immortalava la band nel tour del precedente capolavoro The Satanist), i Behemoth, probabilmente il più famoso e controverso gruppo estremo attualmente in circolazione.

Nergal oltre ad essere un ottimo musicista e songwriter, è un infallibile manager di sé stesso e del gruppo, tanto che la pubblicazione di questo nuovo I Loved You At Your Darkest è seguita ad un periodo di polemiche e trovate assurdamente geniali che poco hanno a che fare con la musica e molto con il business.
Ma qui siamo su MetalEyes, quindi poco inclini ai pettegolezzi e concentrati su quello che i gruppi hanno da offrire in termini musicali e l’ultimo lavoro dei Behemoth, da questo punto di vista, non delude le aspettative.
Ovviamente Nergal e soci non sono più la black metal band di inizio carriera o quella che di fatto, ha contribuito allo sviluppo del blackened death in tutto il mondo, ma si sono trasformati in una creatura satanicamente gotica, magniloquente e a suo modo teatrale, puntando molto sull’impatto visivo (basti vedere i curatissimi, ultimi video) senza perdere un’oncia dell’attitudine diabolica che ne ha incrementato la fama.
Fin dai primi due singoli e video (God = Dog e la magnifica ed evocativa Bartzabel) si evince che la band ha ormai cambiato registro, limitando rispetto al passato le devastanti accelerazioni di stampo black per avvolgerci in un nero drappo gothic/death, ed il risultato farà sicuramente storcere il naso a molti fans della prima ora, ma ha del clamoroso per la sua resa finale.
I Loved You At Your Darkest è dunque un album magnifico, vera arte estrema dall’appeal altissimo anche per chi è solito ad ascolti più melodici, orchestrato a meraviglia, prodotto perfettamente e composto da dieci brani, più intro ed outro, del tutto inattaccabili.
Nergal, Orion ed Inferno hanno saggiamente optato per un sound di facile presa, almeno per i canoni del genere, creando un sound che unisce a quel poco di blackened death metal rimasto, gothic metal ed atmosfere dark rock in una versione estrema feroce ed orchestrale di Fields Of The Nephilim e Sisters Of Mercy.
I brani non lasciano spazio a indecisioni strutturali, tutto funziona a meraviglia e I Loved You At Your Darkest rappresenta l’ennesimo imperdibile centro di un artista a suo modo geniale.

Tracklist
1. Solve (Intro)
2. Wolves Ov Siberia
3. God = Dog
4. Ecclesia Diabolica Catholica
5. Bartzabel
6. If Crucifixtion Was Not Enough
7. Angelvs XIII
8. Sabbath Mater
9. Havohej Pantocrator
10. Rom 5 8
11. We Are The Next 1000 Years
12. Coagula (Outro)

Line-up
Nergal – Vocals, Guitars
Orion – Bass, Vocals
Inferno – Drums

BEHEMOTH – Facebook

Ordinul Negru – Faustian Nights

Dopo Sorcery of Darkness, album che ha sancito definitivamente il passaggio da one-man band a vero e proprio combo, gli Ordinul Negru ci donano un’altra perla di black metal maturo, mai scontato, coinvolgente ed ammagliante.

Fulmineos, fronmant degli Ordinul Negru (ed ex voce e chitarra dal 2010 al 2013 degli storici Negura Bunget) è sicuramente un polistrumentista ed un artista fuori dal comune.

Una carriera di quasi trent’anni, incentrata pressoché unicamente nell’ambito del black metal; una serie di band (se ne contano almeno 15 tra le più famose) e con alle spalle almeno 50 produzioni (tra full-length, split, demo ed ep) e una spiazzante semplicità nel passare da uno strumento ad un altro (dalla chitarra al basso, dalla batteria alle tastiere, senza dimenticare la costante “vocals” in quasi tutte le sue band, di cui spesso è anche stato compositore di musiche e liriche) hanno reso questo artista, negli anni, una vera e propria icona del genere e fonte di ispirazione per molte band , anche al di fuori della stessa Romania.
Amante della lettura, della pittura Impressionista e di quella Surrealista, assiduo frequentatore di musei ed accanito cinefilo, Fulmineos ha da sempre arricchito ed impreziosito le sue composizioni, grazie alla sua grande cultura poliedrica.
Come detto, la sua attività di musicista si è incentrata pressoché completamente in ambito black, sebbene alcune sue band presenti e passate, subiscano forti influenze folk (Fogland), Industrial (Ekasia) e death (Apollinic Rites), con qualche strizzatina d’occhio a post metal, gothic, atmospheric e ambient.
In tutta franchezza, ci si può permettere di spaziare in così tanti generi e sottogeneri musicali, suonando differenti strumenti, unicamente quando ispirazione artistica, vena compositiva e capacità strumentali, sono parte integrante del proprio DNA.
Nati come one-man band, e rimasti tali sino all’album del 2011 (Nostalgia of the Fullmoon Nights), gli Ordinul Negru vantano ben 8 album, moltissimi split (guarda caso alcuni dei quali realizzati proprio con gli altri gruppi di Fulmineos), un ep e un demo. Il genere proposto è black metal con connotazioni esplicitamente mediterranee (molto Rotting Christ, ad essere sinceri) e tematiche sempre orientate verso i lati oscuri e più arcani della natura e dei miti ad essa connessi (come Dioniso, il Dio Greco della natura, della danza e del vino, forse meglio conosciuto – ed amato… – col nome di Bacco).
L’ultimo album Faustian Nights – uscito per la rumena Loud Rage Music – si dipana su 8 tracce della durata totale di circa 47 minuti.
Antiche magie ed oscuri poteri correlati ad una natura non sempre benevola, riferimenti alle mitologie greche, nonché espliciti nessi a personaggi della storia romana (“Burn it! Burn the city of Rome!”. Quasi un omaggio a Nerone nella track Oculta Kormos) costituiscono l’immutabile costante del pensiero del compositore.
Approaching the Door of Damnation (unico pezzo che vede come main vocalist il nuovo membro Urmuz – già seconda chitarra degli O.N.- e non Fulmineos) fin dai primi secondi ci accompagna in una mortuaria passeggiata verso la porta della dannazione eterna. Illusi dai primi accordi dall’incedere funereo, che ci fa presumere di essere di fronte ad un classico funeral black, crolliamo di fronte ad un esplosione di up-tempo black tiratissimi. E qui, la seconda illusione, interpretando (erroneamente) i primi lentissimi secondi del pezzo, come una semplice intro di una traccia di hyper black che ci induce in una corsa sfrenata, ci sfracelliamo contro un miscellaneous musicale, rimbalzando tra up-tempo, mid-tempo, momenti industrial, atmosfere nuovamente funerarie e sapiente utilizzo dei synth, che ci accompagnano per tutti gli 8 minuti del pezzo, quasi fossimo personaggi della “Danza Macabra”, famoso dipinto dell’introverso gotico pittore cinquecentesco, Baschenis de Averara, indotti al tenebroso ballo da ghignanti scheletri, simboli della Morte Sovrana.
Killing Tristan rappresenta l’omicidio della felicità. Un bellissimo black mediterraneo, fa da cornice ad una vera condanna verso tutto ciò che è speranza e ricerca della gioia. Un mid-tempo centrale ornato da meravigliosi orpelli melodici, smentisce drasticamente nientepopodimeno che Sant’Agostino, annichilendo chi, come molti di noi, trovò nella sua “De Beata Vita”, scampoli di speranza sulla ricerca della felicità.
In The Apocalypse Through a Hierophant’s Eye, ci caliamo in uno dei più misteriosi culti della storia. Lo ierofante, capo religioso supremo dell’antichissima Attica e potente sacerdote del culto misterico degli Eleusi, ci descrive, tra scream e voci clean, l’Apocalisse a noi miseri postulanti, come ineluttabile fine della Creazione. Il Demiurgo Fulmineos, sapiente musicista, ci indottrina sui culti esoterici, attraverso sonorità che danzano tra black metal e scaltri accorgimenti atmosferici, che rendono questa nostra iniziazione ancor più agonizzante.
Riappaiono bruscamente i Rotting Christ in Oculta Kormos, sublime traccia di maestoso black atmosferico. Qui si abbandona l’esoterismo e la cultura greca, per essere violentati dalla terribile consapevolezza che tutto ha una fine e noi, arsi vivi come Roma da Nerone, non siamo che vittime sacrificate all’arte dell’autocrate romano (“From peoples sacrifices I make my art!”).
Elder Magik segue la scia del precedente. Primordiali riti magici, di cui si è perso memoria, ci rimandano alla favolosa As If By Magic dei signori del black metal ellenico. Incalzanti mid-tempo, sostenuti da ritmiche thrash e da una doppia cassa, potente ma suonata con estrema lucidità e sagacia da Putrid, alias Andrei Jumugă, rendono il pezzo un maestoso omaggio al capolavoro A Dead Poem.
Faceless Metamorphosis sfreccia senza timori, come un razzo interstellare di nera musica, concedendo all’ascoltatore pochissime pause. Velocità mostruose e tremolo, feroci blast beat intervallati da brevi e gelidi mid-tempo, in cui il parlato talvolta sostituisce volentieri lo scream, incoronano la traccia come vero ed unico momento di black metal scandinavo di tutto l’album.
Sol Omnia Regit (il Sole regola ogni cosa, o meglio tutto dipende dal Sole) premia tutti gli amanti del black più atmosferico. La sensazione e la consapevolezza della fragilità umana, difronte all’incombenza della natura e della grandiosità del cosmo, ci annichiliscono con l’incedere della canzone, con un impianto musicale così maiestatico e monumentale, che non ci impone di leggerne il testo, per apprenderne l’immenso senso cosmico. Potrebbe anche essere un momento solo strumentale, privo quindi di lyrics esplicative ed illuminanti, tale è imponente nella sua struttura, che ci ricorda mestamente l’infinitesimale limitatezza della nostra natura umana.
La title track omaggia le notti del protagonista dell’Opera Prima di Goethe, spese tra cupi pensieri e difficili scelte tra studi intrapresi tra alchimia, filosofia e teologia, e l’oscura tentazione di accedere ai misteri della natura attraverso l’indagine e la lettura di antichi trattati sulla magia. Qui subentra il miglior Fulmineos che, attraverso le sue sopraffine doti compositive e la sua grande cultura a tutto tondo riesce, parafrasando il profondo sibillino significato dell’Opera (la natura nasconde oscuri segreti a cui accedervi è concesso unicamente tramite il Maligno – Faust invoca un elementale, accorgendosi poi di aver invece evocato Mefistofele stesso), a donarci un meraviglioso ma malvagio affresco di marmorei suoni, dolorose litanie, invocazioni musicali e magiche fosche melodie, che chiudono maestosamente questo splendido album.

Tracklist
1.Approaching the Door of Damnation
2.Killing Tristan
3.The Apocalypse Through a Hierophant’s Eye
4.Oculta Kormos
5.Elder Magik
6.Faceless Metamorphosis
7.Sol Omnia Regit
8.Faustian Nights

Line-up
Fulmineos – Guitars, Vocals, Lyrics (except track 1)
Putrid – Drums, Percussion
Orthros – Bass
Urmuz – Guitars, Vocals

ORDINUL NEGRU – Facebook

Runeshard – Dreaming Spire

Ascoltando Dreaming Spire si viene avvolti da una calda sensazione di epica bellezza e si sta bene, si viene portati in volo da un’aquila e vediamo battaglie, draghi che assaltano castelli, insomma si chiude gli occhi e si sogna, cosa non da poco in questi tempi.

Metal epico, dungeon synth, symphonic black metal, una delle migliori colonne sonore per un videogioco come se ne facevano negli anni ottanta, maestoso e cavalleresco.

Il duo ungherese dei Runeshard, qui al loro debutto, è una delle cose maggiormente originali che potete trovare in ambito metal e non solo. I Runeshard vi prenderanno per mano e vi porteranno in un mondo che è come quello della splendida copertina, draghi, castelli su vette innevate e cavalieri che combattono, insomma cose che piacciono molto a chi ama il metal che si lega al fantasy. Musicalmente la loro proposta è un misto di black metal sinfonico, epic metal e anche una bella dose di dungeon synth, che nei territori dell’est europeo ha sempre avuto una buona diffusione e produzione costante. Questo sottogenere è uno strano ed azzeccato miscuglio di arcaicismo e fantasy messa in musica. I Runeshard vanno però oltre il dungeon synth e fanno una miscela tutta loro di tanti generi e sottogeneri, arrivando ad un risultato notevole, orecchiabile e credibile che ricorda il meglio del sympho black metal degli anni novanta. Questi ungheresi hanno una grande facilità a cambiare registro, facendo canzoni veloci e ben costruire, dove le tastiere sono l’impalcatura sulla quale si innestano felicemente gli altri strumenti per una musica totalmente epica e votata alla narrazione fantasy. Ascoltando Dreaming Spire si viene avvolti da una calda sensazione di epica bellezza e si sta bene, si viene portati in volo da un’aquila e vediamo battaglie, draghi che assaltano castelli, insomma si chiude gli occhi e si sogna, cosa non da poco in questi tempi. Per i Runeshard è un ottimo inizio di una saga che li porterà lontano, e noi con loro.

Tracklist
1.The Coronation
2.Dreaming Spire
3.Crimson Gates
4.Atlantean Sword

RUNESHARD – Facebook

Cemetery Lights – Lemuralia

Questo è l’underground metal nella sua accezione più reale, con un’offerta musicale genuina, priva di filtri, direttamente dal produttore al consumatore anche per il formato prescelto, quello della musicassetta.

Lemuralia è la prima uscita di questa one man band del Rhode Island, autrice di un grezzo ma efficace black metal.

In realtà il genere, nell’interpretazione di The Corpse abbraccia uno stretto più ampio sfiorando a tratti il doom (Lemuralia), o un proto black molto vicino al thrash quando viene accelerata l’andatura (Necrophilosoph,Accursed), mantenendo sempre quell’approccio sporco e diretto che in tali frangenti non guasta affatto.
Questo è l’underground metal nella sua accezione più reale, con un’offerta musicale genuina, priva di filtri, direttamente dal produttore al consumatore anche per il formato prescelto, quello della musicassetta.
Il giro chitarristico di Charite’s Revenge è il portale d’ingresso ideale nelle sonorità del lavoro, che vede quale suo picco la title track, brano ricco di notevoli intuizioni che comunque il ragazzo statunitense dissemina un po’ in tutti i brani.
Anche l’impegno a livello lirico e concettuale non va sottovalutato, visto che mitologia, storia ed occultismo si fondono in maniera tutt’altro che banale.
Lemuralia è stato seguito pochi mesi dopo dall’uscita di un nuovo ep, The Church On The Island, che si preannuncia decisamente migliore a livello di produzione e con uno sviluppo atmosferico più accentuato.
Quindi questo ep va considerato essenzialmente un primo approccio senz’altro positivo nel suo complesso, costituendo nel contempo la base necessaria sulla quale erigere nuove e più evolute costruzioni sonore da parte dei Cemetary Lights.

Tracklist:
1. Charite’s Revenge
2. Lemuralia
3. Necrophilosoph
4. Accursed Funeral

Line-up:
The Corpse – Everything

CEMETERY LIGHTS – Facebook