Gloam / Obscure Evil – Split 10″EP

Questo split ci presenta due realtà sicuramente da approfondire, anche se un brano è poco per dare un giudizio finale sulla proposta dei gruppi in questione, pur essendo comunque in grado di accendere la curiosità degli amanti del genere.

La Blood Harvest ci presenta due band estreme in arrivo dagli Stati Uniti (Gloam) e dal Perù (Obscure Evil) che, in comune, hanno un sound dalla forte connotazione black, più tradizionale quella del gruppo statunitense, contaminata invece da tempeste thrash quella del gruppo sudamericano.

I Gloam nascono in California nel 2010, e la loro discografia li vede, dopo un paio di lavori minori, alle prese con il primo full length nel 2015 (Hex Of The Nine Heads) e successivamente ancora con un ep, prima di questo split che li vede protagonisti di un brano che risulta un tornado black metal lungo ben sette minuti, una cavalcata di buona fattura, maligna come lo scream da demone norvegese, devastante come sa essere il true black metal marcissimo e piacevolmente old style.
Gli Obscure Evil, attivi dal da pochi anni, hanno cominciato il loro virulento cammino nella scena sudamericana un paio d’anni fa, con il classico demo d’esordio seguito da un ep, ed una compilation.
La parola di Satana viene glorificata da un ottimo black/thrash metal, selvaggio e spinto fuori giri dalla supersonica velocità con cui viene suonato, lambendo lo speed di matrice ottantiana e sempre sul pezzo per quanto riguarda riff e melodie vincenti, il tutto in un contesto furioso e feroce.
I due brani che formano un’unica discesa negli inferi, un massacro dal piglio motorheadinano, con i Venom a spalleggiare i giovani adepti in un delirio black intenso e senza compromessi.
Questo split ci presenta così due realtà sicuramente da approfondire, anche se un brano è poco per dare un giudizio finale sulla proposta dei gruppi in questione, pur essendo comunque in grado di accendere la curiosità degli amanti del genere.

Tracklist
1.Gloam – Black Swords Of Desecration
2.Obscure Evil – Tribes Of Ueth/Necronihilism
Line-up

Gloam:
Dayan Weller – Bass
Flynn Jones – Drums
Colby metzger – Guitars, Vocals
Shane Terry – Guitars

Obscure Evil:
Suffering Soul – Bass
Tzarathustra – Drums, Vocals
Naked Whipper – Guitars, Vocals

OBSCURE EVIL – Facebook

GLOAM – Facebook

Cultes Des Ghoules – Sinister, Or Treading The Darker Paths

Un disco che continua il tenebroso percorso, e dà la conferma che i Cultes Des Ghoules siano davvero un grande gruppo, perché dopo un disco monumentale come Coven non era facile produrre qualcosa di così valido.

Torna il misterioso collettivo polacco di black metal che si cela dietro al nome Cultes Des Ghoules.

Di loro non si sa quasi nulla, se non che hanno frequenti cambi di formazione, ma la musica rimane di alta qualità e molto poco convenzionale. Il loro black metal è peculiare, nel senso che si parte dal genere nella veste più classica e convenzionale, per arrivare ad un qualcosa che sa di gotico, con passaggi quasi new wave nella melodia, e non sono assenti passaggi death e thrash. Il tutto è molto teatrale e al contempo realistico, quasi un black metal che si dipana davanti ai nostri occhi con le sue nere e neoromantiche vicende. Il precedente disco Coven, Or Evil Ways Instead Of Love era un monolite che poggiava su due dischi, una vera e propria opera black, mentre questo Sinister, Or Treading The Darker Paths è più immediato, maggiormente assetato di sangue, con le grandi intuizioni che hanno reso questo gruppo una solida leggenda underground. Gli ascoltatori dei Cultes Des Ghoules sanno che non vi sarà mai nulla di scontato nella loro musica e che tutto qui scorre nel sangue e nella nera perdizione, come un maledetto feuilleton ottocentesco. Ogni canzone differisce dall’altra, proprio come la loro interpretazione del verbo del nero metallo, è il rito va avanti come vogliono loro senza pose né pause. Il black metal per sua stessa definizione è materia che viene plasmata da chi la produce, e non il contrario come altri generi, e qui c’è un modo molto gotico e decadente di farlo. La produzione ha quel giusto tocco di bassa fedeltà che rende migliore il tutto, e anche l’uso di tastiere ed altri strumenti meno canonici per il genere è fatto con sagacia e gusto. Il risultato è un disco che continua il tenebroso percorso, e dà la conferma che i Cultes Des Ghoules siano davvero un grande gruppo, perché dopo un disco monumentale come Coven non era facile produrre qualcosa di così valido

Tracklist
1.Children of the Moon
2.Woods of Power
3.Day of Joy
4.The Serenity of Nothingness
5.Where the Rainbow Ends

Noctem Aeternus – Winter Spells

Winter Spells scorre molto bene, abbastanza ben prodotto per i canoni del black e connotato da una serie di brani dal buon impatto melodico e di pregevole valore.

Winter Spells è il primo full length di questo progetto solista proveniente dall’Argentina, terra che di norma non è protagonista in ambito black metal.

Uscendo per Naturmacht non sorprende certo il constatare che Noctem Aeternus propone una versione molto atmosferica del genere con risultati sicuramente soddisfacenti, perché se si possiedono doti compositive adeguate ed un buon gusto melodico il più è fatto.
Winter Spells scorre così molto bene, abbastanza ben prodotto per i canoni del black e connotato da una serie di brani dal buon impatto melodico e di pregevole valore come Nocturnal Mantle e Bleeding Night, senza dimenticare una proposta a suo modo coraggiosa in tale ambito sotto forma di un brano delle durata di quasi un quarto d’ora, The Waning Moon Has Fallen, nel corso del quale abbondano le variazioni sul tema senza che però il bravo musicista argentino perda di di vista il proprio filo compositivo.
E’ forse proprio la notevole fruibilità dell’album, nel suo insieme, che mi suggerisce più che in altri frangenti un’intermittente sensazione di già sentito, un qualcosa che aleggia però senza disturbare in maniera decisiva l’ascolto; non va nemmeno dimenticato che questa è la prima prova di consistente durata da parte di Noctem Aeternus, per cui Winter Spells deve necessariamente essere considerato un album più che soddisfacente, e un’ideale base di partenza per un progetto in grado di ambire a risultati ancora migliori, alla luce del notevole potenziale che si percepisce.

Tracklist:
1. Winter Spells
2. Ahab
3. Bleeding Night
4. Nocturnal Mantle
5. Interlude in G minor
6. Autumn Glare
7. Diminishing Night
8. The Waning Moon Has Fallen
9. The Final Hill

Line-up:
Noctem Aeternus – All instruments, Vocals (2014-present)

NOCTEM AETERNUS – Facebook

MaYaN – Dhyana

Monumentale e violento, Dhyana incolla l’ascoltatore per oltre un’ora come farebbe un’epica pellicola cinematografica, contraddistinto come sempre da un sound all’insegna di un pesantissimo death/black progressivo.

In un ipotetico derby tra la scena sinfonica scandinava e quella olandese, quella che fino a poco tempo fa poteva essere pronosticata come una facile vittoria nordica, si è trasformata negli ultimi tempi in una partita senza esclusione di colpi, con quella olandese a primeggiare, forte delle prestazioni degli Epica ed ora dei MaYaN che con i primi hanno in comune Mark Jansen, creatore con Jack Driessen (After Forever) di questo straordinario progetto arrivato con Dhyana al terzo lavoro dopo gli ottimi risultati in termini qualitativi ottenuti con Quarterpast (2011) e Antagonise (2014).

Dhyana porta la band su di un altro livello, ed il death metal gotico e sinfonico del gruppo diventa un magniloquente, titanico ed impressionante esempio di musica pesantissima, orchestrale ed debordante.
Assicuratesi le prestazioni dell’orchestra filarmonica di Praga e delle splendide voci di Marcela Bovio (Stream Of Passion) e del soprano Laura Macrì, i due olandesi danno vita ad una magnifica opera estrema, che non indugia nel mostrare il lato sinfonico ed orchestrale della propria musica, e lo amalgama in modo talmente perfetto da risultare la colonna sonora di una battaglia tra gli dei.
Monumentale e violento, Dhyana incolla l’ascoltatore per oltre un’ora come farebbe un’epica pellicola cinematografica, contraddistinto come sempre da un sound all’insegna di un pesantissimo death/black progressivo.
Ovviamente la calma tra le tempeste di note è lasciata alle voci delle due regine di questo mondo fuori dal tempo in cui eleganza e raffinate melodie vanno a braccetto con un metal estremo violento e orchestrale.
Pur apprezzando gli ultimi Nightwish e la scena nata in scia al successo del gruppo finlandese, qui siamo su un altro pianeta, vicino alle ultime esaltanti prove degli Epica soprattutto per l’alta qualità della musica proposta.
Tra death, doom, sinfonie orchestrali, trame gotiche, squarci black e magniloquenti trame operistiche, Dhyana alza ancora di un po’ l’asticella per quanto riguarda il genere con una serie di brani (The Rhythm Of Freedom, Rebirth From Despair, The Illusory Self, Maya (The Veil Of Delusion) che rapiscono, scuotono ed esaltano in un delirio di atmosfere estreme, epiche e progressive da applausi: sicuramente disco dell’anno per quanto riguarda questo tipo di sonorità.

Tracklist
01. The Rhythm of Freedom
02. Tornado of Thoughts (I Don’t Think Therefore I Am)
03. Saints Don’t Die
04. Dhyana
05. Rebirth from Despair
06. The Power Process
07. The Illusory Self
08. Satori
09. Maya (The Veil of Delusion)
10. The Flaming Rage of God
11. Set Me Free

Line-up
Mark Jansen – Vocals (harsh), orchestrations
Jack Driessen – Keys, orchestrations, vocals
Henning Basse – Vocals (clean)
Laura Macrì – Vocals (soprano)
George Oosthoek – Vocals (grunts)
Marcela Bovio – Vocals (female)
Frank Schiphorst – Guitars
Merel Bechtold – Guitars
Roel Käller – Bass
Ariën van Weesenbeek – Drums, vocals

MAYAN – Facebook

Empty – Vacio

Gli Empty cercano di proporre una versione del black piuttosto coraggiosa senza sconfinare nell’avanguardismo, inserendo invece nel proprio sound istanze provenienti sia dal gothic che dal depressive.

Probabilmente la Spagna, tra le maggiori nazioni dell’Europa meridionale è quella con la scena black metal meno sviluppata, al contrario invece di quanto accade per esempio in campo doom o death.

Gli Empty, da Saragozza, cercano di proporre una versione del genere piuttosto coraggiosa senza sconfinare nell’avanguardismo, inserendo invece nel proprio sound istanze provenienti sia dal gothic che dal depressive: l’operazione riesce abbastanza bene dal punto di vista strettamente compositivo, perché le soluzioni offerte dal gruppo iberico sono varie, brillanti ed evitano accuratamente di lasciare che il sound si adagi lungo i più rassicuranti e conosciuti stilemi sonori. D’altro canto, però, non si può fare a meno di notare che in sede di produzione di sarebbe potuto fare molto meglio, in quanto soprattutto il suono della batteria fuoriesce dalle casse in maniera secca e quasi fastidiosa per l’udito, anche se non escludo che tale difetto possa esser accentuato dalla compressione dei file mp3 che ci sono pervenuti.
Questo, benché non infici il valore complessivo di Vacio, ne attenua inevitabilmente l’impatto, anche perché basta ascoltare un brano ottimo come The night remains for who is per rendersi conto del potenziale in serbo ad una band che, d’altronde, è attiva da quasi un ventennio, con uscite su lunga distanza piazzate a distanza abbastanza regolare ogni 3-4 anni.
La lunghissima Filandom under the sign of misfortune rappresenta, invece, la summa di tutto quanto gli Empty riescono a convogliare nel proprio sound, passando da fraseggi acustici, classiche accelerazioni ed un finale dai tratti disperati e dal notevole impatto emotivo, chiedendo nel migliore dei modi un album che si sviluppa decisamente in crescendo, sotto tutti gli aspetti.
La versione in vinile pubblicata dalla Osmose contiene anche una ottava traccia, Deathlorn, anch’essa dai connotati piuttosto cupi e drammatici, in ossequio ad un concept che lascia ben poco spazio a sprazzi di ottimismo nei confronti delle nostra condizione di esseri umani.
Vacio è un album decisamente interessante, il cui approccio sonoro un po’ naif non dovrebbe impedire agli appassionati più attenti di apprezzarne lo sviluppo vario e connotato dalla giusta intensità emotiva.

Tracklist:
1.The yellow rain
2.Empty
3.The rope at the mill
4.We all taste the same for the worms
5.The night remains for who is
6.The pilgrim of desolation
7.Filandom under the sign of misfortune
8.Deathlorn

Line-up:
Drizzt: voices & bass
Orgall: guitars
Vanth: lead & acoustic guitars
Naemoth: drums (Session)

EMPTY – Facebook

Perpetuum Mobile – Paradoxa Emblemata

La mancanza di informazioni raggiunge lo scopo di far concentrare l’ascoltatore sulla musica e sulla forte mistica dell’opera, un qualcosa di antico fatto con codici moderni, perché questa è musica occulta che mostra cose che altrimenti non potremmo vedere.

Perpetuum Mobile è un misterioso gruppo (o solista, non è dato sapere ma non importa granché) che produce questo disco basato sul libro di illustrazioni Paradoxa Emblemata di Dionysius Andreas Freher, un mistico cristiano tedesco del diciassettesimo secolo con base a Londra, vera capitale dell’occulto.

Il libro si compone di 153 immagini astratte, emblemi e geroglifici di cui non si sa molto.
Freher era fortemente influenzato dall’opera di Jakob Böhme un mistico luterano tedesco dichiarato eretico dalla chiesa germanica. Detto così sembra una cosa complicata ma se approfondite vi troverete di fronte ad una mistica e ad una filosofia affascinanti ed affatto convenzionali. Su questo libro la sfuggente entità dedita al black metal hardcore ha incentrato questo disco, che mette in musica delle figure scelte dal libro di Freher, fondamentalmente uno scritto alchemico. La musica qui contenuta è un micidiale attacco con la voce praticamente sempre in growl, mentre il gruppo ha una forte identità black dal ritmo hardcore, che poi è uno dei codici sorgente del nero metallo, sia della prima che della seconda ondata. I brani non durano giustamente più di 2 minuti, e rendono molto bene con testi che parlano di occulto in maniera competente, come se fosse un rituale. La mancanza di informazioni raggiunge lo scopo di far concentrare l’ascoltatore sulla musica e sulla forte mistica dell’opera, un qualcosa di antico fatto con codici moderni, perché questa è musica occulta che mostra cose che altrimenti non potremmo vedere. Come sempre, quando si parla di black metal e dintorni, non è roba per tutti e non lo vuole affatto essere, anzi. Il disco uscirà a breve per la Xenoglossy Productions, un’etichetta realmente underground e con ottimi lavori nel proprio catalogo.

Tracklist
1.Perpetuum Mobile
2.Unum Immobile / Cuncta Moventur
3.Point, Center, Circumference
4.Out of One
5.Seven Are One
6.Abyssal Nothing
7.Great Conjunction
8.Thee Not
9.Generation of Fire
10.Pro Merito Binarius excluditur

A Forest of Stars – Grave Mounds And Grave Mistakes

Grave Mounds And Grave Mistakes porta ad un livello qualitativo ancora superiore l’idea musicale degli A Forest Of Stars, giungendo molto vicino alla perfezione.

Se l’esistenza di un musicista o di una band assume un proprio senso compiuto nel momento stesso in cui la sua proposta appare unica e facilmente riconoscibile, allora dobbiamo dare atto agli A Forest Of Stars d’essere riusciti pienamente in questa non facile impresa.

La pittoresca congrega di gentlemen vittoriani è in pista ormai da un decennio ed ha continuato ad offrirci album denotati da un costante crescendo qualitativo, rendendo via via sempre più fluida la commistione tra il black metal, che costituisce solidamente la base del sound, un folk tipicamente british ed atmosfere oscure e magnificamente avvolgenti.
Questo ultimo Grave Mounds And Grave Mistakes si porta ad un livello ancora superiore che avvicina di molto alla perfezione l’idea musicale del combo di Leeds: capita davvero di rado, infatti, che un disco di oltre un’ora di durata riesca a coinvolgere in maniera totale senza mostrare alcun segno di cedimento o perdersi in lungaggini interlocutorie.
Del resto, dopo l’intro Persistence Is All, un brano come Precipice Pirouette ci trasporta di peso e senza indugi in quell’epoca che, grazie agli A Forest of Stars, abbiamo imparato a conoscere un po’ meglio, coadiuvati dal racconto stentoreo e teatrale di Mr.Curse, fondamentale nell’economia di ogni lavoro della band, anche se a qualcuno potrà apparire un elemento alieno all’evocatività del sound.
L’afflato melodico di Precipice Pirouette, con il morbido controcanto di Katerine, viene spezzato da una repentina quanto caratteristica sfuriata, prima che il flauto introduca Premature Invocation, traccia che si apre in un finale di drammatica intensità.
E’ il black metal, furioso così come lo conosciamo nelle sue sembianze più canoniche, a connotare Children of the Night Soil, costituendo una parentesi decisamente meno ammaliante nella sua forma, andando a creare così un contrasto netto e deciso con la poesia più rarefatta di Taken by the Sea, interamente interpretata da Katerine.
Una parentesi più delicata e a suo modo eterea, che introduce gli ultimi venti minuti dell’album, prima con Scripturally Transmitted Disease, traccia che cambia connotati più volte prima di adagiarsi su un finale atmosferico e lasciare spazio alla chiusura della stupefacente Decomposing Deity Dance Hall, brano pazzesco nel quale il sentore folk della parte iniziale viene messo momentaneamente all’angolo per alcuni minuti nei quali sembra che i nostri, nel corso di una seduta medianica, vengano posseduti dallo spirito degli Alan Parson’s Project, prima che nuovamente sonorità black, ariose e solenni, conducano al termine di un album meraviglioso.
Bisogna essere musicisti di livello superiore per riuscire ad offrire un disco così denso, complesso, pieno eppure sempre fruibile; forse la loro imprevedibilità e la difficile collocazione stilistica li farà sempre restare un una confortevole nicchia di culto, fatto sta che oggi gli A Forest Of Stars sono una delle espressioni musicali più originali ed eccitanti dell’intera scena metal e non sarebbe male che se accorgessero molte più persone.

Tracklist:
1.Persistence Is All
2.Precipice Pirouette
3.Tombward Bound
4.Premature Invocation
5.Children of the Night Soil
6.Taken by the Sea
7.Scripturally Transmitted Disease
8.Decomposing Deity Dance Hall

Line-up:
Mr. T.S. Kettleburner – Bass, Vocals, Guitars
The Gentleman – Drums, Keyboards, Pianoforte, Percussion
Mister Curse – Vocals
Katheryne, Queen of the Ghosts – Vocals, Violin, Flute
Mr. John “The Resurrectionist” Bishop – Drums, Percussion
Mr. Titus Lungbutter – Bass
Mr William Wight-Barrow – Guitars

A FOREST OF STARS – Facebook

 

Mare – Ebony Tower

Nidrosian Black Metal at his best: i norvegesi Mare fondono mirabilmente le radici dei grandi antichi con ritualistici paesaggi sonori.Artisti con forte personalità che ci regalano uno dei migliori dischi dell’anno.

Iniziare l’ascolto del primo full length dei norvegesi, di Trondheim, Mare, è come affrontare un antico rituale generato da innominabili forze oscure; l’atmosfera è immediatamente, senza preliminari, permeata di fredda oscurità.

Il fascino ancestrale della nera arte pervade ogni fibra nervosa, ogni vaso sanguigno e ogni tessuto del nostro corpo; cinque brani bastano a saziare ogni nostra ricerca di sensazioni, che solo il Black Metal di alto livello può dare; i quattro musicisti sono tutti dotati di ampia credibilità all’ interno del circuito underground, sono artisti che han fatto parte di band come Dark Sonority, Celestial Bloodshed, Vemod, Aptorian Demon e altre, che negli anni hanno prodotto mirabili opere di arte nera sicuramente conosciute e apprezzate dai veri cultori. I Mare sono attivi dal 2005 e dopo vari demo e un paio di EP arrivano, finalmente, all’atteso e sospirato debutto sulla lunga distanza, Ebony Tower, che non tradisce le aspettative, anzi si propone come una vera e propria gemma da considerare probabilmente tra i migliori dischi dell’anno; affermazione sicuramente importante, ma i ripetuti ascolti mi hanno convinto che le atmosfere elaborate sono di gran livello, la capacità di scrittura è veramente eccellente e le chitarre, memori del grande suono norvegese, creano riff, momenti coinvolgenti, non perdendosi mai in momenti di stanca… tutto è votato alla creazione di un rituale oscuro e senza via di uscita. Nessuna luce può penetrare in questo tessuto sonoro, che, forte anche di vocals varie tra scream, litanie e teatralità, regalando momenti di inquietudine e maestosità (Nightbound). Originario di Trondheim, fino al 1200 d.C. capitale della Norvegia e successivamente denominata Nidaros fino a inizio ‘900, il gruppo appartiene al Nidrosian Black Metal, che raggruppa varie band, One Tail One Head prossimi al debutto, Vemod, Black Majesty tra le altre, che all’ interno della scena norvegese rappresentano un unicum creando un suono sì memore della old school ma capace di integrare anche “ritualistic soundscapes”, forgiando atmosfere arcane e dal forte fascino. Difficile non rimanere rapiti di fronte a un brano come Labyrinth of Dying Stars, impetuoso, memore dei grandi antichi ma capace con un finale da brividi, di proiettarci verso un cosmo infinito: una magnificenza da ascoltare in loop per sempre. Notevolissima conferma di una band che incarna con personalità il culto della Nera Arte.

Tracklist
1. Flaming Black Zenith
2. Blood Across the Firmament
3. These Foundations of Darkness
4. Nightbound
5. Labyrinth of Dying Stars

Line-up
Luctus – Bass
ⷚ – Drums
Nosophoros – Guitars
HBM Azazil (aka Kvitrim) – Guitars, Vocals

MARE – Facebook

Hermóðr – Rovdjur & Northern Might

Viviamo in tempi distopici e il black metal non offre le risposte ma semmai dischi di una bellezza eroticamente mortale come questo, dove è presente uno dei tanti pneuma di questo immenso genere.

Due lunghe suite di black metal atmosferico minimale e dal grande fascino, un qualcosa di arcaico che risveglia un senso di bellezza e di soddisfazione come se ci si stendesse sopra un prato verde in una primavera ventilata su al nord.

Hermóðr è un progetto dello svedese Rafn, attivo dal 2012, che ha saputo raccogliere un buon numero di adepti e ascoltandolo non si può fare a meno di amarlo perché incarna molte delle cose belle del black metal. Come già detto poc’anzi, la struttura del suono è fortemente atmosferica, la struttura è molto minimale e la bassa fedeltà non è estrema ma è voluta ed è indispensabile per la riuscita del tutto. Il suono nel suo complesso è debitore dei Bathory, del resto Quorthon è il nume tutelare di un certo modo di fare e di credere il black metal, ma è ugualmente originale. Il dipanarsi delle canzoni è progressivo (la forma canzone è lontana da questi lidi) e si può cogliere qualcosa in quota primo Alcest, giusto per far capire le coordinate, senza però l’attuale “piacioneria” del francese ma con un rigore minimale. Bisogna essere molto bravi e capaci per fare due pezzi di oltre quindici minuti l’uno in questo genere riuscendo a farsi apprezzare. Da ogni aspetto, copertina, titolo etc, traspare la ferrea volontà di mettere la musica come motore primo e scopo ultimo ed unico, senza fronzoli e pose. Tutto qui va verso un’idea mitica ed idealizzata del nord, sia esso quello antico o forse quello che non c’è mai stato, ma sempre meglio di ciò che stiamo vivendo, che è davvero sbagliato; viviamo in tempi distopici e il black metal non offre le risposte ma semmai dischi di una bellezza eroticamente mortale come questo, dove è presente uno dei tanti pneuma di questo immenso genere. Un sogno lento dal quale non vi vorrete svegliare.

Tracklist
1.Rovdjur
2.Northern Might

Line-up
Rafn – Everything

HERMODR – Facebook

Graveborne – 1918

Dischi così non hanno data di scadenza, prestandosi a molti ascolti che daranno sempre soddisfazione, perché chi ama il black metal classico e con contenuti amerà 1918, se poi approfondirete anche la guerra civile finlandese scoprirete molte cose interessanti.

La guerra civile finlandese, sisällissota in lingua originale, fu un sanguinoso e poco conosciuto conflitto interno allo stato nordico che cominciò il 27 gennaio 1918 e che terminò il 27 maggio dello stesso anno.

Gli schieramenti in campo erano fondamentalmente tra i finlandesi rossi, punaiset, guidati dai socialdemocratici e dai comunisti con il supporto sovietico, e dall’altra parte i finlandesi bianchi, i valkoiset, che furono aiutati dalla Germania. Lo scontro, nonostante il limitato periodo di tempo, fu cruento e mise di fronte la Finlandia a quello che sarebbe stato il suo futuro, ovvero di baluardo atlantico alla minaccia sovietica che ha sempre visto la Finlandia come un suo possedimento di diritto. I Graveborne raccontano tutto ciò attraverso un black metal classico e molto influenzato da momenti punk, dove non mancano importanti melodie con le tastiere ed intarsi epici. Il gruppo finnico è attivo da circa una decina di anni e nel corso degli anni ha saputo ritagliarsi una fetta importante di pubblico molto fedele, anche perché i suoi lavori sono tutti di ottima fattura, e forse questo 1918 è il loro episodio migliore. Il disco è interamente in lingua finlandese e ciò fa parte del suo fascino anziché essere un ostacolo alla comprensione: questo lavoro conferma che il black metal è un mezzo molto consono al racconto storico, sia per la sua capacità di rottura che per la sua urgenza musicale e verbale, una poesia di guerra e sangue. 1918 ha al suo interno un vortice di emozioni e di situazioni musicali diverse e tutte molto valide, che lo rendono un’opera black metal di alto livello e variegata, dalle molte opzioni. Dischi così non hanno data di scadenza, prestandosi a ripetuti ascolti che daranno sempre soddisfazione, perché chi ama il black metal classico e con contenuti amerà 1918. Se poi approfondirete anche la guerra civile finlandese scoprirete molte cose interessanti.

Tracklist
1.1918
2.Myrskytuuli
3.Jääkärin tie
4.Valkokaarti
5.Susinarttu
6.Kuoleman kellot
7.Tuomittu
8.Punakaarti
9.Vaiti
10.Jumalan palvelija

Line-up
Raato – Vocals
Marchosias – Guitar
Horkka – Guitar
Kalmo – Bass
Pentele – Drums

GRAVEBORNE – Facebook

Gnaw Their Tongues & Crowhurst – Burning Ad Infinitum: A Collaboration

Molto raramente una collaborazione fra due entità musicali e spirituali è stata così proficua e valida, come se si trattasse di un nuovo gruppo che nasce da due teste, un incubo sonoro votato al dio rumore.

Quando due estremismi musicali e due produttori di rumore si incontrano non può che venirne fuori una piccola apocalisse, e questo è proprio il caso della collaborazione fra l’olandese Gnaw Their Tongues e Jay Gambit aka Crowhurst.

Gnaw Their Tongues è la creatura di noise tribale estremo di Maurice De Jong, che si è creato con le su opere uno zoccolo duro di amanti dei suoi suoni alieni, mentre Jay Gambit è un altro esploratore sonico in solitaria, ma ha anche collaborato proficuamente con Caïna ed Ævangelist
Il risultato è un ep devastante e bellissimo, una fotografia insanguinata ed in movimento di ciò che può essere un uso del metal e dl rumore fatto da due produttori molto talentuosi. I quattro pezzi dell’ep sono tutti diversi e portano avanti un discorso separato, quasi come se fossero opere a sé stanti ed autosufficienti, con il titolo che rende benissimo la struttura portante del lavoro. Burning Ad Infinitum, bruciare all’infinito, è un qualcosa che è molto ben rappresentato da questa musica, un continuo rovesciamento, un incrociare droni con un black death che vive di grind, un sottofondo violento che poi esplode in passaggi vicini all’hardcore e ai Sepultura più tribali. Un misto di estremismo e di grandi scelti musicali non convenzionali, qui come in ognuno di noi non vi è nulla di normale, come tastiere angeliche che fanno da accompagnamento ad un pezzo grind noise. Ascoltando questa collaborazione (che non è uno split, attenzione) si viene completamente immersi in una forma musicale che è una deprivazione sensoriale, poiché qui il vero protagonista è il rumore che distorce la realtà e ce la fa vedere per quello che è: il nulla. Molto raramente l’unione fra due entità musicali e spirituali è stata così proficua e valida, come se si trattasse di un nuovo gruppo che nasce da due teste, un incubo sonoro votato al dio rumore. A differenza di tante avanguardie che sono inascoltabili od illeggibili, a volte per scelta volontaria, qui tutto è perfettamente leggibile ed ascoltabile, e ciò spaventa ancora di più perché questo è rumore vero. Il dodici pollici è pubblicato dalla Crown And Thorne Ltd, che è una delle etichette più libere e creative in circolazione, nonché la casa più adatta per questi suoni.

Tracklist
1.Nothing’s Sacred
2.Speared Martyrs
3.The Blinding Fury of Suffering
4.The Divinity Of Our Great Perversions

Felis Catus – Banquet On The Moon

Banquet On The Moon è un’opera che vi porterà lontano dandovi modo di sognare attraverso un reticolato musicale che si espande dentro e fuori di noi.

Felis Catus è l’affascinante progetto solista di Francesco Cucinotta, voce e chitarra dei catanesi Sinaoth.

In questo progetto solista cominciato nel 2010 Francesco si esprime liberamente e spazia in tantissimi generi, dando vita ad una delle cose più interessanti dell’underground italiano, uscendo per la Masked Dead Records di Brescia che ha un catalogo molto interessante. Il disco è visionario e usa diversi linguaggi musicali per dipanare una narrazione interessante ed assolutamente non convenzionale. Per idee e prolificità Francesco è una di quelle persone che vive di musica, ed è molto bravo a rendere al meglio atmosfere diverse. Ascoltando Banquet On The Moon, seppure non sia di lunga durata, ci sono innumerevoli sorprese, è come un palazzo con ampie stanze, ma anche passaggi segreti che scorrono a fianco delle cose visibili. Il suo approccio alla musica è totale, la sua ricerca musicale è immensa, in questo disco ci sono vere e proprie visioni musicali che denotano la sua voracità musicale. Qui dentro troviamo dal death metal all’ambient e tanto altro, ma soprattutto si incontra una coerenza nel raccontare una storia, come se Banquet On The Moon fosse la colonna sonora di un libro o di un film. Il filo conduttore del disco è la meraviglia, lo stupore dell’uomo di fronte a qualcosa di molto più grande e misterioso di lui, e Felis Catus mette in musica una grandissima gamma di emozioni, di vita, sogni e morte. Praticamente Cucinotta ha suonato da solo tutto il disco, come un magnifico direttore di orchestra, e il risultato assomiglia molto a vecchie colonne sonore di film italiani underground dimenticati ma ancora vivi. Il metal è solo un punto di partenza e c’è un forte gusto italiano in queste musiche, una sensazione che parte dagli anni sessanta ed arriva ai giorni nostri, un visionario filo che lega insieme molto dell’underground e di aspetti che attraversano varie discipline, senza terminare con il mero atto musicale o di scrittura. Banquet On The Moon è un’opera che vi porterà lontano dandovi modo di sognare attraverso un reticolato musicale che si espande dentro e fuori di noi.

Tracklist
1) Banquet On The Moon
2) Cydonia (Feat. Gray Ravenmoon)
3) Baron Munchausen
4) Eternity (The Nothigness) (Feat. Alessandro Riva)

Line-up
Francesco Cucinotta – All Instruments and voice

FELIS CATUS – Facebook

Ash Of Ashes – Down The White Waters

Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Cultura pagana ed heavy metal, un connubio che negli anni ha donato grande musica epica, poi attraversata da tempeste estreme arrivate dal grande nord.

Epic folk metal dai rimandi pagani è a grandi linee il sound del duo tedesco Ash Of Ashes, al debutto con Down The White Waters, lavoro degno di menzione in virtù dell’esibizione di un buon talento nel creare mid tempo epici e guerreschi in un contesto atmosferico.
Ovviamente la parte metal è di derivazione viking black, poi alleggerita da una valanga di melodie che lasciano spazio anche agli ascoltatori di generi meno estremi, grazie anche alla voce evocativa, che duetta per gran parte dell’album con quella di stampo estremo.
In Down The White Waters l’epicità si tocca con mano, l’alternanza tra parti viking black metal, folk e melodic death è l’arma con cui il duo conquista le terre nemiche, creando un’atmosfera leggendaria.
Molto belli sono i brani che riescono a far convivere tutte le anime del sound sotto la spessa coltre di epicità: la band sorprende per il songwriting di buon livello già dal primo album, con picchi come Flames Of The Horizon, Sea Of Stones e gli ultimi due movimenti prima della chiusura: le splendide The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland) e Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland).
Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Tracklist
01. Down The White Waters
02. Flames On The Horizon
03. Ash To Ash
04. Sea Of Stones
05. Springar
06. Seven Winters Long (The Lay Of Wayland)
07. In Chains (The Lay Of Wayland)
08. The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland)
09. Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland)
10. Outro

Line-up
Skaldir – Vocals, guitars, keyboards, bass
Morten – Lyrics, vocals

ASH OF ASHES – Facebook

Malthusian – Across Deaths

Un album difficile, non aiutato da una produzione che ne soffoca il suono e troppo impegnata a risaltare i bassi, magari anche voluta ed in linea con l’assoluto mood estremo di un sound che alterna (nei momenti più intensi e riusciti) furia death/black e litanie doom.

Un vento freddo e terribile spira da nord, portando con se la musica dei death/blacksters Malthusian, gruppo estremo di Dublino che mette in musica le teorie di Thomas Malthus, sotto la spinta di un metal estremo che risulta un caos primordiale, una tempesta di suoni death metal resi ancora più estremi e caotici da sferzate black metal.

I Malthusian sono un quartetto attivo dal 2012 che ha già espresso il proprio concept con un demo ed un ep uscito tre anni fa (Below the Hengiform).
Con musica e tematiche di difficile digeribilità anche per chi non è nuovo ad ascolti estremi, Across Deaths si sviluppa su cinque brani per quaranta minuti di tsunami musicale, tra brani medio lunghi che raggiungono durate importanti come i dodici minuti abbondanti di Primal Attunement-The Gloom Epoch, cuore di questo lavoro che ci riserva una varietà nel songwriting più accentuata, con atmosfere che rallentano fino a toccare lidi doom/death.
Un album difficile, non aiutato da una produzione che ne soffoca il suono e troppo impegnata a risaltare i bassi, magari anche voluta ed in linea con l’assoluto mood estremo di un sound che alterna (nei momenti più intensi e riusciti) furia death/black e litanie doom.

Tracklist
1. Remnant Fauna
2. Across the Expanse of Nothing
3. Sublunar Hex
4. Primal Attunement – The Gloom Epoch
5. Telluric Tongues (Roaring Into the Earth)

Line-up
PG – Bass, Vocals
JK – Drums
AC – Guitars, Vocals
MB – Guitars, Vocals

MALTHUSIAN – Facebook

Dark Buddha Rising – The Black Trilogy

Per chi ama il metal psichedelico e rituale, un sottogenere apertamente esoterico e alienante, questa raccolta dei primi tre dischi dei finlandesi Dark Buddha Rising è un bellissimo regalo da parte della Svart Records.

Per chi ama il metal psichedelico e rituale, un sottogenere apertamente esoterico e alienante, questa raccolta dei primi tre dischi dei finlandesi Dark Buddha Rising è un bellissimo regalo da parte della Svart Records.

Prima di accasarsi alla stessa Svart e incidere per la Neurot, gli sciamani finnici avevano rilasciato tre doppi dischi, Ritual IX del 2008, Entheomorphosis del 2009 e Abyssolute Transfinite datato 2011, sulla loro etichetta Post -RBMM con un bassa tiratura, diventando ben presto un feticcio per i collezionisti. Ora sono disponibili rimasterizzati e con una nuova veste, in doppio vinile, cd e download digitale. Inoltre c’è anche una bellissima edizione limitata in sette vinili che oltre a contenete i succitati lp ha anche al suo interno l’introvabile demo del 2007.
Definire la loro musica è molto difficile, diventa arduo anche decidere se sia musica, poiché qui gli strumenti musicali, inclusa la voce umana, sono usati per compiete rituali che aprono la mente a dimensione diverse a quella in cui viviamo. Infiniti giri di chitarra basso e batteria, che con frequenze diverse dal normale entrano nella nostra mente e grattano via le nostre idee mentali per aprirci delle porte. Ad esempio il rituale chiamato Ennethean, dal primo disco Ritual IX, ha una frequenza talmente bassa che farà vibrare tutto il vostro corpo, membra incluse. Ovviamente questa non può essere una proposta musicale per tutti: qualche curioso potrà essere un nuovo adepto di questo grandissimo gruppo, ma chi non ha la mente aperta non entri neppure qui. I Dark Buddha Rising sono uno dei pochi gruppi al mondo, inclusi i Nibiru da Torino, che fanno davvero musica rituale, ovvero un qualcosa che ci metta in contatto con mondi diversi, dentro e fuori da noi. Le coordinate spazio temporali qui perdono di significato, si viaggia per l’universo come la pallina di un flipper, oppure molto lentamente, con il terrore di incontrare gli Antichi di Lovecraft. Magia, arcaici archetipi che si fondono dentro di noi, perché ci sono sempre stati e questa musica rituale dei finlandesi li porta fuori o ce li fa semplicemente rivivere.
Un’operazione doverosa e ben condotta dalla Svart Records per riportare a galla delle gemme che si erano perse e per espandere le nostre coscienze.

Tracklist
– Ritual IX –

1.Enneargy
2.Enneanacatl
3.Enneathan
4.Enneathan

– Entheomorphosis –

1.Transperson I
2.Transperson II
3.Transcent
4.Nog Uash’Tem

– Abyssolute Transfinite –

1.Ashtakra I
2.Ashtakra II
3.Chonyidt 45
4.Sol’Yata

Line-up
V. Ajomo
M. Neuman
P. Rämänen
J. Rämänen
J. Saarivuori

DARK BUDDHA RISING – Facebook

Daagh – Daagh

Il disco suona come dovrebbe suonare un album di black metal classico ed è nettamente al di sopra della media del genere.

Black metal norvegese suonato da un uomo solo nel solco della tradizione norvegese.

In molti generi musicali basterebbe questa scarna descrizione per far capire ai più di cosa stiamo parlando, invece nel black metal questo è solo il punto di partenza di un viaggio.
L’ep di esordio di Daagh è un bellissimo trattato di circa trentacinque minuti su come si possa fare ancora del grande black metal nel solco del true norwegian black metal, a partire dalla copertina per arrivare alle note musicali. Dall’inizio alla fine di questo disco si è trascinati nel freddo inverno nordico, dove tutto è ghiacciato, e proprio lì arde il fuoco del black. Le chitarre distorte che trovano lo spazio per magnifiche melodie malate, la batteria che cala incessante come una scure vendicatrice, la voce che appare lontana come potrebbe essere in una tempesta di neve, e quell’incedere che ha fatto amare a tante persone il verbo del black metal. A ragion veduta è stato detto tante volte che questo non è giustamente un genere per tutti, e l’ep di Daagh ne è la prova. Chi ama il nero metallo qui potrà trovare l’armonia del caos che solo questa musica sa regalare, invece chi non lo apprezza vi ascolterà solo una cacofonia. Daagh usa al meglio la tradizione norvegese per produrre un album molto ortodosso e pieno di ottime idee, con alcuni spunti geniali. Il disco suona come dovrebbe suonare un album di black metal classico ed è nettamente al di sopra della media del genere. Ci si immerge totalmente in questo muro del suono, in questa veemenza nichilista e di richiamo verso un passato che era sicuramente più sincero di questo attuale presente. Uno dei punti a favore di Daagh è il sapiente uso delle tastiere, che creano grandi atmosfere aggiungendo maggior valore al disco. Un grande ep che esce per la polacca Wolfspell Records, un’eccellente etichetta di black metal underground, che farà uscire ottime cose in concomitanza con il solstizio autunnale.

Tracklist
1.I
2.II
3.III
4.IV
5.V

DAAGH – Facebook

Mørketida – Panphage Mysticism

Nessun imbellettamento sonoro, ma solo nera sostanza è quanto ci viene mirabilmente offerto grazie al misantropico sentire dei Mørketida, capaci di afferrare saldamente il testimone da chi definì le coordinate del black diverse centinaia di chilometri più ad ovest.

Dopo un demo risalente ormai a sei anni fa, si rifanno vivi i finlandesi Mørketida con una prova magnifica, capace di rievocare i fast del black metal nelle sue sembianze più pure ed originali.

Quella del duo finnico è una fuga all’indietro che trova il suo naturale approdo nella rievocazione delle pulsioni primordiali del genere, sia a livello stilistico che di rivestimento sonoro; l’operazione non è affatto, però, una superflua e nostalgica riproposizione di un qualcosa di trito e ritrito, ma un’adesione totale, nello spirito e nella forma, ai suoni che agitarono il Nordeuropa e la scena metal all’inizio degli anni ’90.
Pervicacemente lontani da ogni bagliore modernista, Nagafir Devraha e Sol Schwarz regalano un album che potrà essere apprezzato in toto solo da chi ama il genere nella sua essenza più pura: Panphage Mysticism esprime un black metal ruvido, essenziale ma nel contempo contrassegnato da un melodico e malinconico incedere.
I tre brani centrali, Serpent’s Grail, Throne of Unseen e la title track, dovrebbero essere usati in ipotetici libri di testo per spiegare ai più giovani quali siano le reali coordinate sonore del genere, ma se questo potrebbe far apparire l’operato dei Mørketida una semplice quanto riuscita operazione di copiatura ci si sbaglia: un simile lavoro sicuramente non sarebbe mai uscito se non fossero esistiti prima i vari Darkthrone, Burzum e compagnia, ma il lavoro viene restituito con una forza espressiva ed una credibilità tale da farlo apparire al 100% farina del sacco dei due finlandesi.
Nessun imbellettamento sonoro, ma solo nera sostanza è quanto ci viene mirabilmente offerto grazie al misantropico sentire dei Mørketida, capaci di afferrare saldamente il testimone da chi definì le coordinate del black diverse centinaia di chilometri più ad ovest.

Tracklist:
1. Intro
2. Invoking the Seventh Moon
3. Witchcraft
4. Serpent’s Grail
5. Throne of Unseen
6. Panphage Mysticism
7. Temple of Prevailing Darkness
8. Outro

Line-up:
Nagafir Devraha – Drums, Synths, Vocals
Sol Schwarz – Guitars, Bass

MORKETIDA – Facebook

Bonehunter – Children Of The Atom

Speed metal, thrash, black e punk formano una miscela esplosiva che ha come padrini i soliti nomi di chi suona il genere, e i Bonehunter sanno come miscelare per bene questa bomba in musica, trascinando i fans in un vortice di metal ignorante, senza compromessi e blasfemo.

Trio proveniente da Oulu ed attivo dal 2011, i finlandesi Bonehunter pubblicano il terzo full length che va a rimpinguare una discografia abbondante, specialmente per quanto riguarda ep e split.

Children Of The Atom è il nuovo lavoro sulla lunga distanza, successore di Evil Triumphs Again uscito nel 2015 e del secondo massacro licenziato lo scorso anno dal titolo Sexual Panic Human Machine.
Syphilitic Satanarchist (voce e basso), Witch Rider (Guitars) e S.S Penetrator (batteria) suonano un thrash/black old school mosso da uno spirito demoniaco e punk: il loro nuovo album risulta una mazzata estrema di chiara ispirazione ottantiana, con un sound alimentato dalla confluenza di generi che ancora oggi si nutrono di anime nell’underground metallico mondiale.
Speed metal, thrash, black e punk formano una miscela esplosiva che ha come padrini i soliti nomi di chi suona il genere, e i Bonehunter sanno come miscelare per bene questa bomba in musica, trascinando i fans in un vortice di metal ignorante, senza compromessi e blasfemo.
Children Of The Atom parte sgommando e non si ferma più: il gruppo scarica mitragliate metalliche dove le ritmiche non danno tregua, l’attitudine punk risveglia sensazioni motorheadiane mentre Lucifero si crogiola tra invocazioni alla distruzione totale, alla guerra e al caos.
Tempestoso e velocissimo inno estremo, l’album gode di una produzione discreta e di dieci brani ispirati dove Venom, Slayer e Motorhead sono chiamati alle armi dai Darkthrone per dare vita ad una raccolta che vede Sex Messiah Android, la title track e Spider’s Grave quali momenti migliori di questa totale e violenta aggressione di matrice old school.

Tracklist
1.Initiate The Sequence
2.Demonic Nuclear Armament
3.Sex Messiah Android
4.Children Of The Atom
5.The Reek Of Reaper’s Scyte
6.Black Star Carcass
7.Spider’s Grave
8.Cybernetic Vampirism
9.Man Of Steel (Spiritus Mortis cover)
10.Devil Signal Burst

Line-up
Syphilitic Satanarchist – Vocals, Bass
Witch Rider – Guitars
S.S Penetrator – Drums

BONEHUNTER – Facebook

Black Howling – Return of Primordial Stillness

Il Black Metal portoghese non tradisce mai, con una band che, attiva dal 2003, ha saputo imporsi per doti tecniche, originalità, mutevolezza e grandi capacità evolutive, in una scena concorrenziale ricchissima, dove la numerosità di attori principali, costituisce il cast del colossal musicale Lusitano.

Se ipotizzassimo di tracciare linee immaginarie sulla cartina dell’Europa, per definire le macro fasce geografiche del genere Black Metal del Vecchio Continente, potremmo (almeno) individuare tre zone: la fascia Scandinava, il Centro Europa e l’area Mediterranea.

Ed è proprio in quest’ultima che una nazione come il Portogallo, risulterebbe seconda a nessuna (probabilmente al livello di Grecia e appena sopra il Bel Paese).
Un terra antica – la Lusitania – nata in epoca preromana, popolata da abitanti affini sì agli antichi Iberi, ma con connotazioni religiose, sociali e culturali pressoché analoghe agli antichi e misteriosi Celti, precedenti abitanti di questa terra (poi cacciati dagli stessi Lusitani che ne occuparono i territori, oggi più o meno coincidenti con l’attuale Portogallo).
Antichi culti pagani e divinità di chiara origine celtica (l’impavido Cariocecus poi sincretizzato in Ares per i Greci o ancora il “buono” Endovelicus probabilmente identificabile con Apollo), perdurati nei secoli, nonostante le coercitive evangelizzazioni (spesso senza risultato) della dominazione romana e una collocazione geografica, così lontana dal resto d’Europa (quasi a voler stigmatizzare un’appartenenza ad un continente specifico e a voler far intendere di essere l’ultimo baluardo a difesa da immaginari invasori d’oltre oceano), hanno contribuito nei secoli ad avvolgere di arcano mistero questa terra meravigliosa.
In un contesto così misteriosamente e cupamente affascinante, non poteva che trovare terra fertile un genere come il Black Metal.
Moonspell (poi orientati verso lidi musicali più melodicamente gotici e doom) e poi Decayed, Sacred Sin, e successivamente Corpus Christii, Irae, Cripta Oculta, Inthyflesh, Mons Veneris (ma si potrebbe continuare per giorni) ed appunto i nostri, i Black Howling, costituiscono l’ossatura nera della terra dei navigatori.
Satanismo, occultismo (tematica molto cara “all’area Mediterranea”), folklore, ma anche distruzione, odio, pessimismo e misantropia, temi ricorrenti nei testi, rappresentando l’incipit e l’excipit (e tutto ciò che ne viene compreso) del nero grimorio lusitano.
E sono proprio queste ultime tematiche a fare da cornice al genere proposto dal duo di Lisbona, (d’altronde il depressive portoghese rappresenta un imprescindibile ramo del Black Lusitano). Costanti atmosfere funeree e tragicità onnipresente, costituiscono il core delle loro lyrics. Sonorità angoscianti e urla strazianti, presenziano ogni loro traccia. Cinque album all’attivo, moltissimi split, due ep ed alcuni demo, rappresentano la produzione di questa prolifica band. Mai una luce, mai un bagliore, nessuna traccia di ottimistiche visioni future. Solo depressione, afflizione e nere sofferenze, convergono nel loro funereo ultimo sforzo, Return of Primordial Stillness, full length uscito per la portoghese Signal Rex, della durata di circa 40 minuti, ma contenente unicamente 4 brani (due dei quali di 15 minuti circa!).
Iberia, il primo brano, è un funeral black doom agghiacciante. Quasi sei minuti che ci accompagnano inesorabilmente verso antichi rituali funebri; mai un’accelerazione, neanche un accenno di mid-tempo … solo triste lentissimo incedere di un sound che, se accolto ad occhi chiusi e assaporato in una stanza buia, rende partecipi di una straziante mortuaria marcia. Immaginari occhi proiettati verso il cielo, consapevolmente, ci lasciano intendere di essere noi il cadavere, mestamente trasportato nel feretro . Molto Sleep di Stillborn, occhiolino ai Black Sabbath di Electric Wizard, con un sottofondo melanconicamente melodico (in cui ho rivissuto in parte le emozioni di Melissa), in una cornice dolorosamente, ma maestosamente Black.
Ma sono i due pezzi successivi che ci straziano di felicità. Un galoppante Black Metal classico, ricco di melodia, adagiato su tipici tremoli ed intarsiato da uno scream lancinante ma efficace, sostiene il corpo della traccia Celestial Syntropy (Übermensch Elevated), ove non mancano momenti lenti e sinfonici, corollati da una depressione sempre latente e arricchiti da magici assoli di chitarra di A. (dotato di tecnica sopraffina), intervallati da maestosi mid-tempo, che sfumano in momenti più thrash, evidenziando la bravura dei nostri, sia in fase solista che ritmica. La potenza esercitata da basso (sempre di A.) e batteria (di P.) risultano impressionanti. Vocalizzi strazianti (P.) vengono qui sapientemente amalgamati da angoscianti cori clean, che rendono tutto il pezzo un omaggio ai solenni sintropici aspetti della natura dell’Universo. E in antitesi all’universale ordine sintropico, non poteva mancare il disordine entropico del successivo pezzo – Celestial Entropy (Emptiness Revelation) – la canzone definitiva: il momento musicale che scandisce la morte entropica del tutto, lo stato finale ove tutte le energie universali terminano. In una parafrasi musicale, il pezzo che assorbe letteralmente ogni nostra umana vitalità, sprofondandoci in un’etera depressione, costruita su apatici tempi funebri, adagiati su melodie contaminate da un sound doom anni settanta, che collima, verso il minuto 6” circa, con un momento (seppur breve) di divino di metal settantiano, dove le apparizioni dei Black Sabbath, ci inebriano di cupa decadenza e di drammatica occulta sofferenza.
Una ripresa black veloce, il ritorno Heavy Doom e la melodica disforia musicale, accompagnano i lancinanti vocalizzi del lamento di A. sino al termine di una canzone, che più che un brano, è un inno alla fine dell’esistenza, dell’Universo, del Cosmo intero.
C’è ancora tempo per un momento strumentale (Cosmic Oblivion, interamente a cura di A.) che sancisce la morte definitiva del Cosmo. Qui, un delizioso arpeggio, sonorità elettroniche affini a rumorismi quasi sci-fi, instillano fluidi psichedelici nelle nostre vene che, adagiandoci su un letto di morte, ci cullano grazie ad echi e risonanze floydiane, rendendo meno dolorosa la fine del Tutto.
Gloria in excelsis Deo, in onore di un Dio della Musica, che mai come in questo album ha ispirato il duo Lusitano. Da non perdere.

Tracklist
1.Iberia
2.Celestial Syntropy (Übermensch Elevated)
3.Celestial Entropy (Emptiness Revelation)
4.Cosmic Oblivion

Line-up
A. – Guitars, Bass
P. – Vocals, Drums

BLACK HOWLING – Facebook