Norse – The Divine Light of a New Sun

Quaranta minuti di black metal fuori dai canoni, non fosse per qualche parte più marziale che può avvicinare brani come Exitus al sound dei nuovi Satyricon: una proposta estrema da maneggiare con le dovute cautele, ma a suo modo affascinante.

Black metal disarmonico e per questo ancora più estremo, misantropico nel concept che si riflette sulla musica, a tratti progressiva nel suo cercare soluzioni ritmiche fuori dagli schemi.

La band colpevole dei danni procurati dai padiglioni auricolari si chiama Norse e proviene dall’Australia, paese fuori dai circuiti metallici, perciò foriera (come i paesi asiatici) di metal che va oltre ai soliti cliché (infatti anche in questo album c’è lo zampino della Transcending Obscurity, label che da anni ci delizia con le opere estreme provenienti dai paesi dell’ immenso territorio asiatico.
Attivo da più di dieci anni, il duo composto da Forge (batteria e chitarra) e ADR (vocals, bass) arriva con questo destabilizzante lavoro al terzo full length della carriera che vede in The Divine Light of a New Sun l’intensificarsi delle parti dissonanti, per un approccio estremo che si discosta dalle proposte del genere.
Sfuriate black ed atmosfere in cui il duo gioca con le note in un’atmosfera che rimane oscura e diabolica, mentre il gran lavoro della sezione ritmica va di passo con la sei corde, molte volte portata al limite di saturazione in un delirio musicale che non lascia scampo.
Quaranta minuti di black metal fuori dai canoni, non fosse per qualche parte più marziale che può avvicinare brani come Exitus al sound dei nuovi Satyricon: una proposta estrema da maneggiare con le dovute cautele, ma a suo modo affascinante.

TRACKLIST
1.Supreme Vertical Ascent
2.Drowned by Hope
3.Telum Vitae
4.The Divine Light of a New Sun
5.Exitus
6.Synapses Spun as Silk
7.Sandarkan
8.Arriving in Peace, Pregnant with War
9.Cyclic

LINE-UP
Forge – Drums, Guitars
ADR – Vocals, Bass

NORSE – Facebook

Dead Man’s Blues Fucker – Phase II

Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi.

E’ tempo di lasciare i facili sentieri di una vita casa – lavoro – famiglia, e rispolverare il vecchio giubbotto di pelle e la bandana di ordinanza, buttare in una scarpata lo scooter e lucidare la vecchia moto, perché quello che promette questo album non vorrete solo sognarlo tramite la musica, ma viverlo ancora una volta sulla vostra pelle troppo profumata per essere quella di un vecchio rockers.

E Phase II, primo lavoro dei Dead Man’s Blues Fucker, è l’album giusto per ritrovare il vecchio spirito, soffocato da una pila di scartoffie che vi aspettano in ufficio tutte le mattine.
Se poi non avete mai smesso di vivere la vostra vita come un’avventura sperduti nella frontiera, allora la nuova band del polistrumentista Diego Potron è quanto di meglio possiate ascoltare tra la polvere del deserto in questa prima metà dell’anno.
Dieci anni di solo project, prima di unire le forze con il batterista Christian Amen Amendolara, in questa nuova realtà che lascia senza fiato per intensità ed impatto, un muro sonoro, stonerizzato, psichedelico e spettacolarmente southern.
Dimenticatevi dunque i facili viaggetti coast to coast, qui si cerca l’estremo in una lunga jam stonata, tra il bruciore dell’asfalto, il caldo delle marmitte sollecitate dal motore a pieni giri, persi in un deserto sconfinato dove i miraggi sono tenuti lontani dagli incubi.
Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi, in un’atmosfera opprimente come la testa che scoppia tra il caldo e i postumi di una sbornia nel locale della frontiera americana, che esce prepotentemente diabolica dal blues violento di The Power Of Your Love, dallo stoner/southern di Birthday Cake, o dalla più rilassata The Cornfields Queen Brotherhood.
Un album affascinante, ricco di sfumature, vario e dannatamente coinvolgente, pur rimando fortemente ancorato all’underground, in una parola … bellissimo.

TRACKLIST
01. Blind Sister’s Home
02. The Power Of Your Love
03. Black Woman
04. Birthday Cake
05. The Cornfields Queen Brotherhood
06. One Kind Favor
07. Bad Awakening
08. Crow Jane
09. Song For Mr. Occhio
10. The Place For You

LINE-UP
Diego DeadMan Potron – guitar, bass, organ,vocals
Christian Amen Amendolara – drums

DEAD MAN’S BLUES FUCKERS – Facebook

Lucidreams – Ballox

Il quintetto indiano si impegna a far risultare vario ed intrigante il suo heavy metal e, parlando di un ep, i venticinque minuti a disposizione sono sfruttati benissimo, con la qualità delle composizioni che si mantiene medio alta

Di questa heavy metal band indiana si sa poco, a parte che risulta attiva dalla prima metà degli anni novanta e che proviene da Bangalore, nel distretto di Karnataka.

I Lucidreams suonano un heavy metal old school che rispecchia in toto il sound classico, con qualche soluzione al limite del progressive e buone trame ritmiche, specialmente quando la velocità si fa sostenuta e ci si avvicina al thrash più tecnico.
Ballox è composto da cinque brani di buon livello nei quali spicca la voce personale ed interpretativa di Vineesh Venugopal, classico singer di genere.
Il quintetto indiano si impegna a far risultare vario ed intrigante il suo heavy metal e, parlando di un ep, i venticinque minuti a disposizione sono sfruttati benissimo, con la qualità delle composizioni che si mantiene medio alta, anche per la buon produzione.
Il gruoppo, senza strafare, ha dalla sua ottime canzoni ed una discreta tecnica che gli consente di svariare, pescando dalle sue ispirazioni, fonti inesauribili di musica dura come l’Ozzy Osbourne solista (in qualche passaggio il tono del vocalist, ricorda quello del Madman), Megadeth per quanto riguarda il versante thrash e i Judas Priest, per quello più tagliente ed heavy.
Un buon ep, peccato che solo un gruppo attivo da così tanti anni non metta a disposizione qualche informazione in più, il che è in sintonia con anche con una discografia piuttosto povera numericamente.

TRACKLIST
1.Father Forgive Them – Prologue
2.Brains Collide
3.Mighty Stripes
4.Father Forgive Them – Epilogue
5.Ballox

LINE-UP
Vineesh Venugopal -Vocals
Steve Jaby (Stephen Anthony) – Drums
Deepak Vijaykumar – Guitars
Narayan Shrouthy – Bass
Jayanth Sridhar – Guitars

LUCIDREAMS – Facebook

For My Demons – Close To The Shade

Un ascolto obbligato per le anime tormentate che vagano in questo tragico inizio millennio.

For My Demons è un brano dei Katatonia tratto dal bellissimo Tonight Decision, album licenziato dal gruppo svedese nel 1999, ma è anche il modo con il quale Gabriele Palmieri ha provato ad esorcizzare i suoi demoni attraverso la musica.

Musica che ovviamente penetra nell’anima, essendo dark e melanconica, melodica e a tratti rabbiosa, ma sempre attraversata da un mood di eleganza estetica sopra la media.
Sarà la bellissima voce del leader (ex Neverdream), sarà l’atmosfera dark che mantiene una raffinatezza d’autore, sarà per quel velo di elettronica che fa da tappeto melodico a strutture ritmiche notevoli e mai banali, ma Close To The Shade risulta un esordio eccellente, un album maturo, sentito e profondo.
Non è cosa da poco riuscire a trasmettere emozioni del genere, ma i For My Demons ci riescono con questo intensa opera prima.
La title track ci da il benvenuto con il suo assolo che scava nella nostra anima, tirando fuori gli incubi a mani nude: un brano splendido che viene seguito da una meno disperata Directions.
Reborn si avvia su un tappeto orchestrale, la chitarra acustica sanguina accordi classici mentre le ritmiche tutt’altro che semplici mantengono alta la tensione, per tornare al dark metallico dell’opener, tragico ed intimista nei perfetti interventi delle sei corde (Emanuela Marino, Luca Gagnoni) e versatile a livello ritmico (Andrea Terzulli al basso e Valerio Primo alle pelli).
La Fleur Du Mal, altro ottimo brano dall’andamento lineare, lascia spazio alla conclusiva Burning Rain, che gode di un riff pesante e dalle reminiscenze riconducibili ai primi Anathema, seguito da un giro pianistico melanconicamente dark con la splendida voce di Palmieri che, quando prende il comando, fa decollare il sound mantenendo altissima la qualità della musica prodotta e portandoci ai titoli di coda che scorrono su un fiume in piena di emozioni.
Non una nota fuori posto in un lavoro in cui è normale essere spinti a confrontare tra i For My Demons con le band storiche del genere, senza però che questo vada a sminuire la personalità e la capacità di emozionare del gruppo nostrano.
Un ascolto obbligato per le anime tormentate che vagano in questo tragico inizio millennio.

TRACKLIST
01 – Close to the Shade
02 – Directions
03 – Scars
04 – Reborn
05 – When Death Hurts
06 – La fleur du mal
07 – Burning Rain

LINE-UP
Gabriele Palmieri – Vocals
Luca Gagnoni – Guitar
Emanuela Marino – Guitar
Andrea Terzulli – Bass
Valerio Primo – Drums

FOR MY DEMONS – Facebook

Hadal Maw – Olm

Ottimo lavoro estremo questo secondo album degli australiani Hadal Maw, con il loro sound che risulta una fatale miscela di death metal tecnico e black.

Gran bella mazzata estrema questo nuovo album dei deathsters australiani Hadal Maw, ma in effetti quelle terre posizionate all’altro capo del mondo offrono spesso ottima musica, in tutti i campi dell’universo metallico.

Il quintetto di Melbourne arriva al secondo full length con un sound che risulta una fatale miscela di death metal tecnico e black/death riconducibile al modus operandi dei Behemoth, maestri europei del genere.
Una proposta interessante, dunque, pesantissima ed estrema, curata in ogni dettaglio e suonata molto bene dai musicisti coinvolti, tanto da avvicinarsi a tratti al technical death metal.
La differenza la fa il songwriting che sposta le coordinate del sound sull’impatto, lasciando la mera tecnica al servizio di devastanti brani neri come la pece, su cui si staglia il vocione di Sam Dillon, una vera miniera di tonalità cupe ed efferate.
Grande è il lavoro della sezione ritmica (Jim Luxford al basso e Rob Brens alle pelli) e delle due chitarre (Ben Boyle e Nick Rackham) che tagliano l’aria irrespirabile con fendenti metallici, lasciando la melodia alle parti più rallentate di rabbioso doom/death (False King) che, con l’altra perla del disco, la lunga ed emozionante Simian Plague, una cavalcata death/black tra mid tempo e terremoti ritmici, rendono Olm un acquisto consigliato agli amanti del metal estremo.
Un’altra ottima prova proveniente dall’Australia, dove ferve una scena per certi versi ancora tutta da scoprire.

TRACKLIST
1.Leviathan
2.Affluenza
3.Failed Harvest
4.Witch Doctor
5.False King
6.The Olm
7.Simian Plague
8.Germinate
9.Hyena
10.Circus of Flesh

LINE-UP
Sam Dillon – Vocals
Nick Rackham – Guitar
Ben Boyle – Guitar:
Jim Luxford – Bass
Rob Brens – Drums

HADAL MAW – Facebook

The Big Blue House – Do It

Si torna a parlare di blues sulle pagine di MetalEyes con il primo album dei The Big Blue House, quartetto toscano che si presenta al pubblico con un lavoro fresco ed energico, frizzante e disperato come sa essere l’amore e la musica con cui viene descritto.

Quali note se non quelle del blues si rivelano più adatte a descrivere in musica l’amore, essendo per sua natura viscerale, sanguigno e, spesso, perdente (perché nell’amore c’è quasi sempre un vincitore ed un vinto).

Si torna a parlare di blues sulle pagine di MetalEyes con il primo album dei The Big Blue House, quartetto toscano che si presenta al pubblico con un lavoro fresco ed energico, frizzante e disperato come sa essere l’amore e la musica con cui viene descritto.
I tasti d’avorio passano dai suoni classici dell’ hammond di scuola rock, a quelli jazzati del pianoforte, con Sandro Scarselli che si dimostra musicista dotato di feeling, così come Danilo Staglianò, con una chitarra che sanguina passione ed una voce che racconta di amori, illusione e ricerca della felicità.
Luca Bernetti (basso) e Andrea Berti (batteria) accompagnano semplicemente, ma con classe, la musica che i due compagni estraggono dai loro strumenti lungo otto brani piacevoli, nei quali si alternano l’energia rock della sei corde e lascive armonie tastieristiche.
Un blues che trova la sua natura malinconica nelle note della splendida Now I Can Call Your Name, il suo spirito rock’n’roll nella coppia iniziale formata dalla title track e da Blue Sky, che raggiunge la perfetta armonia ed attitudine nella clamorosa He’s A Fucking Bluesman e strappando, infine, applausi nella disperata e sentita interpretazione che la band offre nella conclusiva This Is How Feel.
Un album godibilissimo per gli amanti del rock blues di scuola classica e in cui spicca una forte personalità che costituisce, ovviamente, un fondamentale valore aggiunto.

TRACKLIST
1.Do It
2.Blue Sky
3.Now I Can Call Your Name
4.He’s A Fucking Bluesman
5.Sweet Thing Bad Thing
6.I Knew A Story About
7.Everything’s Rollin’
8.This Is How I Feel

LINE-UP
Danilo Staglianò – Guitar/Voice
Luca Bernetti – Bass
Sandro Scarselli – Keyboards/ Hammond
Andrea Berti – Drum

THE BIG BLUE HOUSE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=CF4t94TZhRs

Adamantine – Heroes & Villains

Tornano con il loro secondo full length i portoghesi Adamantine, presentati come una thrash metal band, ma in realtà gruppo che guarda alla scena death melodica scandinava.

Tornano con il loro secondo full length i portoghesi Adamantine, presentati come una thrash metal band, ma in realtà gruppo che guarda alla scena death melodica scandinava.

Nato in quel di Lisbona una decina d’anni fa, il quartetto torna così a produrre death/thrash melodico (lo chiamerò così per non fare torto a nessuno) dopo il primo album uscito cinque anni fa (Chaos Genesis).
Heroes & Villains è un album intenso e molto ben curato, con devastanti brani come la title track e Fire That Cleanses, in arrivo, esplosive e melodiche, dopo l’intro semi orchestrale che ci invita all’ascolto di questo lavoro senza tregua e dalla perfetta alchimia tra il death estremo e quello melodico, dove il thrash finisce per fare da struttura portante di alcune canzoni a livello ritmico; da citare anche Scream, che ricorda ragazzacci cattivi su nel nord Europa, liberi di far danni con la sua furia davvero notevole e senza soluzione di continuità.
Personalmente, tra i solchi di notevoli bombe sonore come Remember Who You Are, Elegies Of War e Blood On My Hands ho riscontrato una quasi totale venerazione per Soilwork ed At The Gates, mentre di gruppi puramente thrash neanche l’ombra.
Se sia un bene o un male sta a voi decidere, Heroes & Villains rimane comunque un ottimo album estremo che non manca di melodie e di quel tocco classico nei solos, segreto di Pulcinella dei migliori gruppi del genere.

TRACKLIST
1.Lux in Tenebris
2.Heroes & Villains
3.Fire That Cleanses
4.Reborn in Darkness
5.Remember Who You Are
6.Spellbound
7.Elegies of War
8.Grudge
9.Hydra
10.Blood on My Hands
11.Everything Ends

LINE-UP
André Bettencourt – Vocals, Guitar
Luís Abreu – Guitar
Frederico Campos – Drums
André Pisco – Bass

ADAMANTINE – Facebook

The Match – Just Burn

Just Burn non è un affatto brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

I The Match sono un duo composto da Francesco Gallo e Ivan Mercurio, rispettivamente basso/voce e batteria, attivi da quattro anni ed ora all’esordio con l’album Just Burm.

Un sound strutturato solo su strumenti ritmici non può che risultare un concentrato di cambi di tempo, sfuriate alternative che fanno capo al funky, ancor prima del rock, e questo rende senz’altro originale la proposta del gruppo.
Chiaramente il rock alternativo proposto non può che fare riferimento ai gruppi che, nel proprio DNA, hanno ben consolidati generi che con il rock hanno poco a che fare, ma è pur vero che in generale i nove brani presenti in Just Burn funzionano, almeno ad un primo ascolto, quando il fattore sorpresa fa il suo sporco lavoro.
Con il passare del tempo scema la sorpresa ed anche l’attenzione, perché le tracce tendono ad assomigliarsi un po’ troppo, coinvolgendo l’ascoltatore solo a sprazzi.
La cover di Firestarter dei Prodigy, Danger e Earthz (il brano più metal del lotto) sono i brani più coinvolgenti di un lavoro consigliato agli amanti dei Primus e dei Red Hot Chili Peppers, nascosti da un attitudine punk rock e dal lavoro del basso, tecnicamente notevole così come quello delle bacchette sulle pelli.
Just Burn non è affatto un brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

TRACKLIST
1. Beast
2. Firestarter
3. Aflame
4. K-22
5. Danger
6. Shinobu
7. Earthz
8. San Francisco
9. Neh

LINE-UP
Francesco “The GrooVster” Gallo – Bass, Vocals
Ivan “Pattùman” Mercurio – Drums, backing vocals

THE MATCH – Facebook

Atreides – Neopangea

Neopangea è un buon lavoro, grintoso e dal sound che sottolinea la buona tecnica dei suoi protagonisti, con qualche salto nell’epica eleganza del power scandinavo.

Nati dalle ceneri dei metallers Skydancer intorno al 2014, i power metallers Atreides licenziano il loro primo full length per la Suspiria Records, questo buon pezzo di granito heavy/power dal titolo Neopangea.

Il quartetto spagnolo presenta dunque un roccioso album di metallo classico cantato in lingua madre, seguendo le band storiche del metal iberico, ma a differenza dei loro colleghi, l’impostazione melodica e progressiva tipica della scena spagnola, viene scaraventata in un angolo dalla furia power: gli Atreides suonano pesante, sicuramente melodici ma dalle ritimiche che in alcuni casi si avvicinano al thrash metal e con un’atmosfera oscura più vicina al metal classico statunitense.
Neopangea è un buon lavoro, grintoso e dal sound che sottolinea la buona tecnica dei suoi protagonisti, con qualche salto nell’epica eleganza del power scandinavo; non manca certo quel tocco orchestrale tipico dei gruppi del genere, ma dell’album piace la belligeranza di brani come Penitiencia o il riff estremo di Plaga Capital, che giunge a rompere l’atmosfera romantica creata dall’ottima Balada n°6.
E così, tra ritmi forsennati, epica oscurità ed incendiari passaggi metallici, il cantante Iván López e compagni, influenzati da gruppi come Kamelot, Iced Earth ed i compatrioti Avalanch, si distinguono per forza e potenza amalgamate ad una certa eleganza, liberando la bestia sotto forma di un convincente album heavy/power metal.
E’ da seguire la scena spagnola, foriera di ottime realtà per quanto riguarda il metal classico, dall’heavy al power e della quale gli Atreides sono uno degli esempi recenti di maggior spicco.

TRACKLIST
1.Caminante
2.Penitencia
3.Laberintos
4.La niebla
5.Frágiles
6.Balada Nº6
7.Plaga capital
8.¿A dónde ir?
9.Solaris
10.Nueva pangea

LINE-UP
Antonio Orihuela – Bass
Dany Soengas – Guitars,Backing Vocals, Keys
Adrián Moa – Drums
Iván López – Vocals

ATREIDES – Facebook

Olneya – Olneya ep

Un rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato.

Chiudete gli occhi ed immaginate la nostra costa adriatica completamente spoglia delle catene di alberghi, parchi di divertimento e cittadine affollate dal turismo estivo, quello del divertimento a tutti i costi, delle facili conquiste e delle balere che hanno fatto illudere di vivere una vita diversa ad una moltitudine di generazioni.

Una distesa sabbiosa che dalle coste venete scende fino alla Puglia, sabbia e mare, un deserto caldissimo dove l’ombra è un tesoro ed il sale ha già riempito la nostra bocca, dopo pochi chilometri in riserva di ossigeno e acqua dolce.
Un trip, un incubo che vi si ripresenterà ogni qualvolta vi metterete in ascolto di questo rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato, l’ep omonimo degli Olneya, trio nostrano composto da Maurizio Morea alla Chitarra, PJ alle pelli e Enry Cava al basso.
I piedi bruciano sopra la sabbia arsa dal sole desertico, mentre Mantra e Zerouno ci accompagnano nei primi passi di questo che sarà un viaggio relativamente corto, ma totalmente destabilizzante.
Il basso pulsa e ci dà il ritmo da tenere per non perdere terreno, mentre la sei corde ci tortura, a tratti psichedelica e settantiana, in altri momenti più vicina alle sonorità americane del caldissimo decennio che accompagnò la fine del millennio, tra l’assolato stoner rock della Sky Valley ed il piovoso grunge di Seattle.
Siamo già a Zerotre, liquida, avvolgente e pericolosa come le spire di un serpente mostruoso creato dalla nostra mente in balia del caldo opprimente e degli effetti collaterali causati dall’abuso di questo ep e altro, mentre la musica sfuma, l’incubo sparisce e la spiaggia torna ad animarsi di uomini, donne e bambini, incuranti di noi e del nostro delirio.

TRACKLIST
1.Mantra
2.Zerouno
3.Zerodue
4.Road to Aokigahara
5.Zerotre

LINE-UP
Maurizio Morea – Guitars
Pj – Drums
Enry Cava – Bass

OLNEYA – Facebook

Foetal Juice – Masters of Absurdity

Tornare indietro di qualche mese e scoprire questo gioiellino estremo è un dovere che, per tutti gli amanti del genere, si trasformerà in sadica goduria alle prime note di Masters of Absurdity.

In colpevole ritardo sulla data di uscita (Dicembre 2016) vi presentiamo il primo full length della death metal band inglese Foetal Juice.

Colpevole, perché il loro primo lavoro sulla lunga distanza, dopo svariati ep e split, è un bombardamento sonoro notevole, un album davvero massiccio ed a tratti stupefacente nel saper dosare la violenza in un contesto al limite del brutal.
Death, grind e brutal si incontrano e con l’hardcore, che fa da quarto cavaliere dell’apocalisse, costituiscono il sound del gruppo di Manchester, una macchina da guerra naturalmente predisposta a portare distruzione e morte.
Poco più di mezzora ma da catastrofe, quella che i Foetal Juice ci offrono, mentre fantasmi di un neanche troppo lontano passato affiorano in tutta la loro belligeranza estrema tra i solchi di brani creati per fare male, senza soluzione di continuità.
Ed infatti Dutch Oven, devastante opener dell’album seguita da Phantom Visions e dalle altre tracce, non possono che far affiorare l’amore del quartetto per Napalm Death, Lock Up e Death, padrini di questo modo di intendere il metal estremo.
Tornare indietro di qualche mese e scoprire questo gioiellino estremo è un dovere che, per tutti gli amanti del genere, si trasformerà in sadica goduria alle prime note di Masters of Absurdity.

TRACKLIST
1.Dutch Oven
2.Phantom Vision
3.Noneckahedron
4.The Leachate King
5.Brutal Tooth
6.Gin’ll Fix It
7.Grave Denied
8.Booze Locust
9.Nun So Vile
10.More Hate, More Hell

LINE-UP
Ben – Bass, Vocals
Rob – Drums
Ry – Guitars
Sam – Vocals

FOETAL JUICE – Facebook

Antonio Giorgio – Golden Metal-The Quest For The Inner Glory

Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito.

Le proposte della Andromeda Relix sono all’insegna della qualità e della varietà di stili, che vanno dal rock blues, all’hard rock, dal progressive all’heavy metal classico, e non è una novità in un panorama odierno in cui le case discografiche sono sempre meno specializzate e più aperte alle varie sfumature che compongono il variegato universo del rock.

In questo contesto si piazza una delle ultime uscite della label italiana, ovvero l’album d’esordio del compositore e musicista Antonio Giorgio, con un lavoro incentrato su sonorità metal classiche: Golden Metal – The Quest For The Inner Glory è infatti un concept epic/fantasy nel quale si alternano heavy metal, power, progressive andando a formare il golden metal, appellativo forgiato dallo stesso musicista.
Il mastodontico lavoro vede Antonio Giorgio aiutato da vari musicisti della scena nostrana facenti parte di ottime realtà come Fogalord, Astral Domine e Blue Rose.
Golden Metal introduce l’ascoltatore nel mondo epico e cavalleresco di Giorgio del quale, fin dalle prime note, si evince un amore profondo per i Virgin Steele, gruppo che musicalmente fa da padrino alle sontuose note create dal nostro, mentre le sei corde lampeggiano nel cielo come lampi metallici, lanciate in solos epici (The Voice Of The Prophet) e le tastiere ricamano arabeschi, ora barocchi, ora elegantemente sinfonici.
Le ritmiche passano da veloci cavalcate heavy/power (Luminous Demons) a potenti mid tempo sabbathiani era Dio/Tony Martin (The Reaper) mentre i tasti d’avorio sono protagoniste nella bellissima Forever We Are One, brano alle entusiasmanti reminiscenze della band di DeFeis.
Il golden metal continua a regalare ottima musica metallica, a tratti raffinata, epica e non priva di quei cliché, magari abusati, ma che non mancano di inorgoglire i defenders più accaniti, in brodo di giuggiole all’ascolto di Et In Arcadia Ego Suite, brano epico sinfonico molto suggestivo.
Non solo Virgin Steele, tra le note di Golden Metal-The Quest For The Inner Glory troverete accenni ad una buona fetta dei gruppi che hanno fatto la storia del genere, non solo icone degli anni ottanta (Black Sabbath) ma realtà classiche consolidate negli ultimi decenni come Kamelot e Royal Hunt.
L’album è accompagnato da un sontuoso digipack, mentre la versione digitale contiene un bonus cd con una dozzina di cover (Black Sabbath, Queensryche, Dream Theater, Kamelot, Virgin Steele tra gli altri) e un paio di brani inediti scritti da Antonio Giorgio.
Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito, da avere!

TRACKLIST
1.Golden Metal
2.Lost & Lonely (Desperate Days)
3.The Vision
4.The Calling
5.The Voice Of The Prophet
6.The Eternal Rebellion
7.Luminous Demons
8.Keeper Of Truth
9.The Reaper
10.Forever We Are One
11.Et In Arcadia Ego Suite: Part I -The Quickening (Golden Ages) Part II – Human Gods Part III – The Emerald Table (As Above So Below)
12.Alone Again

LINE-UP
Antonio Giorgio
Dany All
Giuseppe Lombardo
Nicolò Bernini
Stefano Paolini
Luca Gagnoni
Riccardo Scaramelli
Mattia Bulgarelli
Enrico Di Marco

ANTONIO GIORGIO – Facebook

Exhume To Consume

Gianluca Lucarini (Rome In Monochrome, Degenerhate) ci presenta la sua nuova temibile creatura chiamata Exhume To Consume.

ME Ciao Gianluca. Degenerhate, Rome In Monochrome ed ora Exhume To Consume, non ti fermi mai …

GL Ciao Alberto, ben trovato! No, non mi fermo mai, ho sempre bisogno di esplorare nuovi orizzonti musicali. E poi, come dicono nei paesi anglosassoni: rest is rust!

ME Una nuova avventura, un nuovo sound e altri ottimi musicisti da presentare ai lettori di MetalEyes.

GL I miei compagni d’avventura sono musicisti che conoscete molto bene: Alessio Reggi alla chitarra (suona con me anche nei Rome In Monochrome), Marco Paparella al basso (suona con me nei Rome In Monochrome e nei Degenerhate), Flavio Castagnoli alla batteria (batterista anche nei Rome In Monochrome) e Sergiu Mircescu alla voce. Il feeling che ho con questi eccezionali musicisti, che sono anche ottimi amici, è straordinario! Quando ho deciso di creare gli Exhume To Consume, sono state le prime persone alle quali ho pensato.

ME Il sound di questa nuova e temibile creature estrema è orientato su un brutal death metal impreziosito da un gran lavoro melodico delle sei corde: è tutta farina del tuo sacco o c’è qualcuno in particolare con cui hai lavorato in fase di scrittura dei brani?

GL I quattro brani che compongo il nostro mini cd d’esordio, Let The Slaughter Begin, sono stati scritti da me. Successivamente, in fase d’arrangiamento, Alessio ha creato quelle linee melodiche, alle quali accennavi tu.

ME Quali sono le band che vi hanno maggiormente influenzato, oltre ovviamente ai Carcass, (Exhume To Consume è il titolo di un brano presente su Symphonies of Sickness, secondo lavoro dello storico gruppo estremo inglese) ai quali  vi siete ispirati per il nome del gruppo?

GL Come tutti oramai sapranno, i Carcass sono la mia band preferita di sempre. Anche se musicalmente, lo stile degli Exhume To Consume è stato ispirato da band statunitensi come Internal Bleeding, Devourment, Pyrexia, Broken Hope. Il nostro è un mix tra brutal death metal old school e quello che odiernamente viene chiamato slam, con qualche passaggio melodico a stemperare il tutto.

ME Lo splatter/gore offre al metal estremo, così come nel cinema, una miriade di sfumature ed ispirazioni, eppure continua ad essere considerato un genere di serie b (per molti solo spazzatura): tu come ti sei avvicinato a questo mondo?

GL Io sono appassionato di splatter/gore da sempre, e cinefilo amante del genere fin da tenera età. Sono sempre stato terribilmente attratto da qualsiasi forma artistica (musica, cinema, libri, fumetti, dipinti) che abbia una connotazione orrorifica. Colleziono dvd splatter/gore di serie b da moltissimi anni. Ho formato gli Exhume To Consume proprio come tributo a questa mia passione.

ME Degenerhate, Rome in Monochrome ed Exhume To Consume sono tre realtà musicali profondamente diverse: in quale, tra queste, come musicista ti ritrovi di piu?

GL Avendo formato io tutte e tre le band, mi ritrovo in ognuna di essa. Sono tre proiezioni del mio essere musicista, in tre diverse maniere, ma sono sempre io.

ME Porterete Let The Slaughter Begin dal vivo?

GL Ci stiamo pensando seriamente, perché parecchie persone ce lo stanno chiedendo. Ora valuteremo la cosa, comunque per essere sempre informati sulle attività della band, vi consiglio di seguire la nostra pagina Facebook: www.facebook.com/exhumetoconsumeofficial

ME Ci puoi anticipare le prossime mosse sul versante Degenerhate e Rome In Monochrome?

GL Con i Rome In Monochrome, abbiamo appena terminato le registrazioni del nuovo album, che si chiama “Away from light”. Inoltre, seguiteci in giro per l’Italia, perché faremo diverse date nello stivale. Con i Degenerhate, ho appena iniziato a scrivere il nuovo full lenght album, che uscirà nel 2018. Stay tuned!

Bloodgod – Catharsis

Una botta estrema che non si placa che per pochi secondi di trame acustiche che fanno da preludio all’ottima Hammerite, il resto è Dutch death metal di origine controllata.

La scena olandese dei primi anni novanta può sicuramente essere considerata come una delle più floride e qualitativamente importanti del death metal di quegli anni: non a caso, con il ritorno in auge dei suoni old school, le label hanno cominciato a rilasciare vecchie uscite dei gruppi più famosi o album di altri rimasti ai margini, persi nell’universo dell’ underground estremo.

I Bloodgod sono invece un gruppo nuovo di zecca o quasi: attivo da una manciata d’anni, arriva al secondo lavoro in formato ep intitolato Catharsis, che segue di quattro anni il debutto Pseudologia Phantastica.
Il trio proveniente dalla provincia di Utrecht si definisce dutch death metal band e non solo riguardo al paese che ha dato i natali a Johnny Derechos (batteria), Frank Van Boven (voce e basso) e Daan Douma (voce e Chitarra), ma per il sound che si ispira alla storica scena orange degli anni novanta.
Catharsis si compone di cinque brani oltremodo devastanti, con l’uso sistematico della doppia voce (scream/growl), chiaramente in ambito old school.
Quindi dimenticatevi anche una sola nota che vada più in là della metà del decennio che ha accompagnato il genere nel nuovo secolo: il death metal dei Bloodgod è pesante, soffocante, pregno di malati mid tempo ed una vena ispirata, tra gli altri, dai primissimi Gorefest, uno dei gruppi più importanti nati nei Paesi Bassi.
Un buon lavoro ed un gruppo che risulta senz’altro convincente nel saper trattare la materia, più delicata di quello che si possa pensare, una botta estrema che non si placa che per pochi secondi di trame acustiche che fanno da preludio all’ottima Hammerite, il resto è dutch death metal di origine controllata.

TRACKLIST
1.Valar Morghulis
2.Catharsis
3.Hammerite
4.’t Schrickelik Tempeest
5.Satan’s Smile

LINE-UP
Johnny Derechos – Drums, Spoken words
Frank van Boven – Vocals, Bass
Daan Douma – Vocals, Guitars

BLOODGOD – Facebook

Del Norte – Teenage Mutant Ninja Failures

Teenage Mutant Ninja Failures si rivela un album fresco e graffiante, consigliato ai rockers dagli ascolti alternativi di matrice novantiana

Gli anni novanta non sono stati solo il decennio del grunge, infatti il rock americano in quel decennio ha avuto esponenti di un’ importanza epocale per lo sviluppo di un certo tipo di sonorità, uscite dai primi posti delle classifiche ma assolutamente in grado di influenzare generazioni di rockers in ogni parte del mondo.

Parliamo per esempio di Sonic Youth e Dinosaur Jr, con i primi all’assalto con il loro punk/noise e J Mascis a farci partecipi di un rock di provincia, malinconicamente alternativo, ma meno irruento; se a queste due band aggiungiamo il sound dei primi Smashing Pumpkins (Siamese Dream), siamo molto vicini al rock dei nostrani Del Norte, trio di Pesaro che, all’esordio con Teenage Mutant Ninja Failures, convince con sei brani potenti, irriverenti e aggressivi.
Badano al sodo i Del Norte, infatti l’attacco dell’opener Chun-Li è di quelli che lascia il segno, dritto per dritto il gruppo spara una serie di colpi che non si esauriscono alla prima traccia, e con Faceless arriva la prima bomba dalle reminiscenze Sonic Youth.
Leggermente più ariosa ed armonica On The Basement, mentre Billy Corgan jamma con i Sonic Youth in Pa Pa Pa! e la conclusiva Space Coyote si veste di rock ‘n’ roll energizzato da una vena punk rock.
Gianfranco Gabbani (voce, chitarra), Luca Follega (basso) e Gianluca Fucci (batteria) formano un gruppo molto interessante e Teenage Mutant Ninja Failures si rivela un album fresco e graffiante, consigliato ai rockers dagli ascolti alternativi di matrice novantiana.

TRACKLIST
1.Chun-Li
2.Faceless
3.Old Boy
4.On The Basement
5.Pa Pa Pa!
6.Space Coyote

LINE-UP
Gianfranco Gabbani – Chitarra, Voce
Luca Follega – Basso
Gianluca Fucci – Batteria

DEL NORTE – Facebook

The Night Flight Orchestra – Amber Galactic

I The Night Flight Orchestra hanno il pregio di tributare i suoni pop con una dose di hard rock, a tratti accennata, in altri più presente ma sempre in secondo piano, lasciando le luci della ribalta a suoni funky, soul, space dance in un delirio pop perfettamente riuscito.

In questi anni di recupero dei suoni classici dal rock al metal, chi segue la scena ha già ascoltato di tutto un po’, dalla new wave of british heavy metal al classic rock, fino al metal estremo, che di questi tempi fa tanto cool chiamare old school.

Mancavano le note illuminate dalle luci delle sale ballo della Grande Mela, in sabati sera con la febbre che saliva e gli anni settanta che regalavano grande musica anche nella disco e nel pop: suoni vintage, ovviamente elettrizzati da un’attitudine hard rock che crea un ibrido con i suoni Motown questo è, se volete, l’album più incredibile ed originale uscito quest’anno.
Incredibile perché dietro a questo progetto ci sono una manciata di musicisti della scena estrema , capitanati dall’eclettico vocalist dei Soilwork, Björn Strid, e dal bassista Sharlee D’Angelo degli Arch Enemy.
Dalla Svezia alla conquista dello Studio 54 , con una serie di brani pop/rock/funky da applausi, difficili da digerire per i fans della band di appartenenza, è meglio chiarirlo: qui si torna indietro di almeno quarant’anni, tra citazioni e tributi ad un mondo lontano da quello metallico, ma che ha regalato musica di spessore ed icone che fanno parte della storia delle sette note.
Un album che sarà apprezzato da chi ha qualche anno in più sul groppone e si lascerà trasportare dall’atmosfera de La Febbre del Sabato Sera o Grazie a Dio è Venerdì, pellicole che hanno immortalato il mondo delle discoteche nelle notti di un’ America che, a suo modo, bruciò una generazione lontana dalla cultura rock di quegli anni.
I The Night Flight Orchestra hanno il pregio di tributare i suoni pop con una dose di hard rock, a tratti accennata, in altri più presente ma sempre in secondo piano, lasciando le luci della ribalta a suoni funky, soul, space dance in un delirio pop perfettamente riuscito.
Accenni alle star del rock non mancano certo tra le note di Sad State Of Affair, Domino, Jennie e Something Mysterious (Survivor, Toto, Kiss), ma l’attenzione è catturata dai suoni leggeri ed irresistibili del pop danzereccio e dei suoi eccessi melodici … quando si parla di talento.

TRACKLIST
1. Midnight Flyer
2. Star Of Rio
3. Gemini
4. Sad State Of Affairs
5. Jennie
6. Domino
7. Josephine
8. Space Whisperer
9. Something Mysterious
10. Saturn In Velvet

LINE-UP
Björn Strid – vocals
David Andersson – guitars
Sharlee D’Angelo – bass
Jonas Källsbäck – drums
Sebastian Forslund – guitars, percussion
Richard Larsson – keyboards

THE NIGHT FLIGHT ORCHESTRA – Facebook

Lambstone – Hunters & Queens

Se volete ascoltare un album intenso, duro ma allo stesso tempo melodico e dall’appeal enorme, allora Hunters & Queens fa al caso vostro.

Per parlare del debutto dei milanesi Lambstone bisogna partire da lontano, da una ventina d’anni fa, quando l’esplosione del grunge si esaurì in una nuvola di fumo che, diradandosi, lasciò il music biz (specialmente negli States) orfano della Seattle da ascoltare e iniettarsi nelle vene, morta nell’aprile del 1994 insieme alla disperazione ed alla depressione di Kurt Cobain.

Nu metal e post grunge furono la cura per tornare alla grande, specialmente con il secondo, più melodico rispetto al suono grezzo e selvaggio dei primi anni novanta, ma ancora più amato dai giovani rockers, con una manciata di gruppi che divennero icone del lato melodico del moderno hard rock, tra suoni grunge, ispirazioni southern e più pericolose e lisergiche divagazioni stoner.
Staind, Nickelback, Creed e poi Alter Bridge sono forse le band più accreditate per essere considerate le eredi della scena di Seattle, guarda caso tutte e quattro prepotentemente nelle corde del quintetto lombardo e del suo primo lavoro sulla lunga distanza, intitolato Hunters & Queens, licenziato dalla Vrec Audioglobe, dopo una manciata di ep e singoli autoprodotti, e rilasciato sotto la supervisione del produttore Pietro Foresti, al lavoro in passato con membri di Guns ‘n’ Roses, Korn, Asian Dub Foundation.
La band è composta da Alex “Astro” Di Bello, singer di genere tra Scott Stapp (Creed) e Chad Kroeger (Nickelback), i due fratelli Giorgio “Dexter” Ancona e Ale “Jackson” Ancona alle chitarre, Andrea “Illo” Figari al basso e Andrea “Castello” Castellazzi alle pelli.
Se volete ascoltare un album intenso, duro ma allo stesso tempo melodico e dall’appeal enorme, allora Hunters & Queens fa al caso vostro: un bellissimo esempio di rock americano, colmo di hit, maturo e assolutamente ispirato nel saper manipolare un genere che ha detto molto di sé in passato e rivive in quei gruppi che sanno scrivere canzoni, niente di più semplice ma difficilissimo da attuare.
Ed i Lambstone ci sono riusciti, con il loro rock che non manca di grezza attitudine grunge, ma che nel suo figlio legittimo si specchia, riuscendo a comunicare emozioni e alternando irruenza e malinconia con una serie di brani che hanno nel singolo Hunting, nella Staind oriented Queen e nella splendida accoppiata Jesus e Hopeless il sunto artistico di questa notevole band italiana.

TRACKLIST
1.Sun
2.Hunting
3.Queen
4.Kingdom
5.Stronger
6.Jesus
7.Hopeless
8.Violet
9.Grace
10.Dust in the Wind

LINE-UP
Alex “Astro” Di Bello – vocals
Giorgio “Dexter” Ancona – guitars
Ale “Jackson” Ancona – guitars
Andrea “Illo” Figari – bass
Andrea “Castello” Castellazzi – drums

LAMBSTONE – Facebook

Guerra Total & Metalucifer – Metalucifer / Guerra Total

Interessante split che rimbalza dalle coste sudamericane della Colombia, con il thrash/black & roll degli irriverenti Guerra Total, a quelle del sol levante con l’heavy sound dei Metalucifer.

Interessante split che rimbalza dalle coste sudamericane della Colombia,l con il thrash/black & roll degli irriverenti Guerra Total, a quelle del sol levante,  con l’heavy sound dei Metalucifer.

Dieci brani divisi perfettamente a metà tra le due band ed un prodotto abbastanza esaustivo per conoscere queste due realtà dell’underground metallico già da un po’ di anni in attività.
I Guerra Total, infatti, è quindici anni che portano distruzione, violenza e morte con il loro thrash/black & roll dalle scorribande speed old school, una quantità illimitata di lavori minori e cinque full length, con il sesto in procinto di uscire quest’anno.
Palla lunga e pedalare, tanta sana ignoranza ed un impatto pari ai Motorhead in trip black metal, questo risulta il sound del quartetto sudamericano che ricorda degli Impaled Nazarene più tradizionali ed heavy.
Si conta sino a tre e ci si lancia in un pogo senza soluzione di continuità, mentre il gruppo spara bordate vecchia scuola pregne di devastante rock’n’roll estremo.
Si cambia totalmente registro con i giapponesi Metalucifer, dal 1996 alle prese con il metal classico, tra heavy ed un tocco di speed nelle ritmiche, che non sposta però di molto le coordinate di un sound che rimane ancorato su un heavy metal di ispirazione Maiden/Saxon.
Con alle spalle una discografia cospicua, fatta di moltissimi live album e lavori minori, con i full length che però non superano le quattro unità, la band si scaglia sulla scena con il suo concentrato di metal classico che si specchia nella new wave of british heavy metal.
I cinque brani presenti riproducono in toto l’heavy metal tradizionale in tutti i suoi cliché, lasciando un buona impressione ma non andando oltre al tipico prodotto per fans accaniti del genere, anche per l’utilizzo della lingua madre esibito in questo split.
Due gruppi distanti tra loro ma uniti dall’assoluta attitudine old school, il che li colloca nel npvero delle realtà interessanti ma sicuramente di nicchia.

TRACKLIST
1.Guerra Total – Black Rock and Roll
2.Guerra Total – Black Speed Rock and Roll
3.Guerra Total – Evil Headbangers
4.Guerra Total – Satan’s Army of the Apocalypse
5.Guerra Total – Zombiehammer
6.Metalucifer – Bloody Countess (Japanese version)
7.Metalucifer – Wolf Man (Japanese version)
8.Metalucifer – Headbanging (Japanese version)
9.Metalucifer – Heavy Metal Samurai (Japanese version)
10.Metalucifer – Warriors Ride on the Chariots (Japanese version)

LINE-UP
Guerra Total:
Demonslaught – Bass, Vocals, Theremin.
DeathFiend – Lead Guitar.
Jordicaz – Vocals.
Naberius – Drums.

Metalucifer:
Elizabigore – Guitars
Elizaveat – Guitars, Drums
Gezolucifer – Vocals, Guitars, Bass
Mamonohunter – Bass
Tormentor – Drums
Blumi – Vocals, Guitars

METALUCIFER – Facebook

The C.Zek Band – Set You Free

Fatevi elettrizzare e a tratti cullare dal blues suonato con maestria da questo gruppo nostrano, bravo nel saper dosare grinta rock e liquida eleganza soul, contrasti che animano un lotto di brani bellissimi.

Sui vari gruppi di Facebook ai quali, ahimè, mi hanno iscritto e che riguardano la musica (dal rock al metal), le domande più frequenti che gli iscritti pongono all’attenzione degli altri riguardano il genere che un gruppo specifico suona o meno, come se la musica e le emozioni ad essa legate passassero in secondo piano rispetto alla gabbia in cui vengono imprigionate le note.

Forse sono persone che cercano un approvazione su quel gruppo o album, forse è il timore di non ascoltare qualcosa di cool, non so, fatto sta che mai come di questi tempi la nostra musica preferita è sempre più divisa e confinata in antipatici compartimenti stagni.
Fortunatamente c’è chi fa spallucce e supporta gruppi di ogni genere, passando dal metal classico all’hard rock, dal progressive al metal estremo, fino al blues, il genere padre di tutta la musica moderna.
Ed allora mi ritrovo tra le mani Set You Free, bellissimo esempio di rock blues, licenziato dalla The C.Zek Band tramite Andromeda Relix: un viaggio nel rock americano, in partenza da Verona ed in arrivo, un giorno, nelle terre paludose dove il grande fiume americano trova finalmente il suo meritato riposo.
Set You Free regala blues d’autore, contaminato da una leggera brezza soul, cantato con sanguigna eleganza e raffinata malinconia, suonato come se Christian Zecchin (alias C.Zek) ed i suoi compagni fossero impegnati in una lunga jam su uno dei battelli che galleggiano stanchi sul letto del padre Mississippi.
Il cantato sontuoso ma mai invadente della bravissima Roberta Dalla Valle, a tratti lascia spazio a quello del chitarrista, il gruppo unito riporta l’ascoltatore a respirare note che dal blues passano al funk, mentre la sei corde intona note hendrixiane, gli Stones presenziano alla cerimonia con la cover (bellissima) di Gimme Shelter e l’hammond tiene legato il sound con umori settantiani, mentre una lieve nebbia southern si alza sul fiume nella lunga ed umida notte (The Allman Brothers).
Così fatevi elettrizzare e a tratti cullare dal blues suonato con maestria da questo gruppo nostrano, bravo nel saper dosare grinta rock e liquida eleganza soul, contrasti che animano un lotto di brani bellissimi come l’opener John Corn, il capolavoro dell’album Tell Me, con l’hammond e la voce che scaldano la notte sul fiume, la title track, omaggio al miglior Slowhand, e la conclusiva Drink With Me che, con i suoi sette minuti abbondanti, ci accompagna fino all’alba.
C’è comunque tanto di The C.Zek Band su questo lavoro, quindi non solo brani influenzati dai grandi nomi, ma musica ispirata e riportata con personalità e talento su uno spartito del nuovo millennio.

TRACKLIST
1.John Corn
2.I’m So Happy
3.Tell Me
4.Kissed Love
5.Set You Free
6.Gimme Shelter
7.Boring Day
8.It Doesn’t Work Like This
9.Drink with Me

LINE-UP
Christian Zecchin Guitars & Voice
Roberta Dalla Valle – Voice
Matteo Bertaiola – Rhodes&Hammond
Nicola Rossin – Bass
Andrea Bertassello – Drums

THE C.ZEK BAND – Facebook

Gurt – Skullossus

La musica dei Gurt è quanto di più pesante, tossico e destabilizzante possiate trovare nel genere e non solo, una colonna sonora al male di vivere che si trasforma in misantropia ed inquietudine.

Le vie estreme del metal sono infinite e a ribadire questa verità non scritta ci pensano gli inglesi Gurt, dediti ad un grezzo, irriverente e pesantissimo stoner/sludge.

Il quartetto è in giro a fare danni da sette anni e si porta dietro una discografia lunghissima formata da lavori minori e due full length, Horrendosaurus del 2014 e quest’ultimo trip andato a male, intitolato Skullossus.
Il sound che va a formare questo pesantissimo ed estremo lavoro è composto da una vena stoner, fatta di blues sporco e doom apocalittico, il tutto sotto la sgualcita bandiera dello sludge metal.
La musica dei Gurt è quanto di più pesante, tossico e destabilizzante si possa trovare nel genere e non solo, una colonna sonora al male di vivere che si trasforma in misantropia ed inquietudine.
Ma attenzione,  non c’è niente che possa far pensare ad un qualcosa di romantico, la misantropia insita in Skullossus è fastidiosa, violenta e senza soluzione di continuità.
I brani sono pesantissimi e portano con loro la disperata rabbia di personaggi disadattati, protagonisti loro malgrado di un mondo sconcertante, senza speranza e volto all’autodistruzione.
Skullossus è una jam acida mastodontica e belligerante di disperazione tossica contenente almeno tre perle come Gimme The Night Any Day, The CrotchWobbler e John Gar See Ya Later, quest’ultima vero colpo fatale per la nostra mente.

TRACKLIST
1.Welcome to the Shit Show
2.Give Me the Night, Any Day
3.Battlepants
4.Double Barreled Shot-Pun
5.The Crotchwobbler
6.Existence Is Pain
7.Broken Heart Heroin Man
8.Meowing at the Fridge
9.Jon GarSeeYa Later
10.The Ballad of Tom Stones and Reg Montagne (Part 1)
11.The Ballad of Tom Stones

LINE-UP
Rich Williams – Sedulurt – Riffmonster
Dave Blakemore – Spice – Bassmaster
Bill Jacobs – The Scorpion – Bashing

Gareth Kelly – Vocals
Richard Williams – Guitars
Dave Blakemore – Bass
Bill Jacobs – Drums

GURT – Facebook