Hypocras – Implosive

Un folk metal semplice e battagliero, infuocato di passione che brucia per le tematiche care al viking.

Dalla Svizzera, abbattendo tutto quello che incontra a colpi di zanne, arriva la carica del cinghiale simbolo degli Hypocras, band di Ginevra al secondo ep in carriera, intervallato da un full length uscito nel 2013 (The Seed Of Wrath).

Il gruppo death viking metal dagli spunti folk, rilascia questo mini cd di quattro brani, con due inediti (Implosive Absolution e At The Edge), la cover di A Song for Them dei Djizoes ed una versione alternativa pop techno di At The Edge che, sinceramente, con il genere suonato centra veramente poco.
I due brani inediti ci presentano un gruppo tosto, il metal estremo di questi ragazzi svizzeri è senza fronzoli e diretto pur mantenendo l’approccio folk dato dal flauto, sempre presente nella struttura delle canzoni.
Un folk metal ignorante, se mi passate il termine usato per altri generi, semplice e battagliero, infuocato di passione che brucia per le tematiche care al viking metal e che ha permesso al gruppo di aprire per nomi di un certo rilievo come Orphaned Land ed Ensiferum.
Peccato per la versione da spiaggia e cocktail di At The Edge, che vorrà senz’altro essere uno scherzo ma che in un ep già di per se corto avremmo lasciare spazio ad brano originale, da assalto al fortino.
Comunque il gruppo si fa valere, aspettiamo il prossimo full length per vedere all’opera un cinghiale ancora più inferocito.

TRACKLIST
1.Implosive Absolution
2.At the Edge
3.A Song for Them (Djizoes cover)
4.At the Edge (Fucked Up Ibiza Vikings Remix by BAK XIII)

LINE-UP
Nicolas SauthierGuitars – Guitars
Arnaud Aebi – Flute
Alexandre Sotirov – Vocals
Benjamin Alfandari – Bass
Olivier Sutter – Drums

HYPOCRAS – Facebook

Fen – Winter

Opere che emozionano cosi profondamente sono perle rare che non possiamo perdere.

Ritornano gli albionici Fen con il loro quinto full a tre anni di distanza da “Carrion Skies”, un altro meraviglioso opus, intriso di quella oscura vena malinconica, figlia diretta della paludosa zona dell’est dell’Inghilterra da cui provengono, le Fenland.

Il trio inglese, attivo dal 2007, continua ad elaborare un suono che si bilancia sempre meglio tra intuizioni post-rock e influssi black metal creando un equilibrio che ha pochi eguali; la nuova opera Winter, dalla copertina, come al solito, evocativa e dalle tinte pastello si dipana per una abbondante ora in sei movimenti (Pathway, Penance, Fear, Interment, Death, Sight) che descrivono il senso di perdita e l’eterno dilemma vita – morte, conducendo noi ascoltatori a un profondo viaggio interiore ricco di contrasti e dubbi; l’opera nella sua alternanza di atmosfere tristi, meditative e momenti black condotti con grande maestria da una solida sezione ritmica, da un guitar sound convinto e variegato e da uno scream incisivo, ha bisogno di essere centellinata con molti attenti ascolti perché, ad un approccio superficiale non rivela la sua alta qualità.
Le atmosfere suggestive sono molteplici, passando dall’ opener di diciassette minuti, Pathway, dove anime sferzate da tormente di neve urlano la loro ribellione all’infinito, al viaggio introspettivo di Fear dove una circolare melodia si infrange su stalattiti black affilate e disperate; l’urlo feroce di Death non lascia scampo e ci trasporta velocemente verso una “blessed death”, mentre i delicati arpeggi tinteggiati di ambient di Sight si aprono in una ultima decisa cavalcata che conclude un lavoro superbo … I Surrender, I Descend, I Dissolve, I End.
Da ricordare a lungo .

TRACKLIST
1. I (Pathway)
2. II (Penance)
3. III (Fear)
4. IV (Interment)
5. V (Death)
6. VI (Sight)

LINE-UP
Grungyn Bass, Vocals
The Watcher Guitars, Vocals
Derwydd Drums, Percussion

FEN – Facebook

Malignance – Architects Of Oblivion

Un gran ritorno per un gruppo fedele al metal e che, senza tanti proclami e pose, fa un disco da riascoltare spesso, mentre fuori scorre la vera battaglia chiamata quotidianità.

Dopo quattordici da Regina Umbrae Mortis tornano i genovesi Malignance e lo fanno con prepotenza.

Nato nel 2000 dall’incontro del chitarrista Arioch, del bassista Achemar e del cantante Krieg, il gruppo muove i primi passi con un suono death thrash che lascia ben presto spazio all’attuale black, ma le influenze originarie, come potrete ascoltare nel disco, non vanno affatto perse. Nel 2001 viene rilasciato l’ep Ascension To Obscurity, per poi firmare per BOTD e pubblicare il full length Regina Umbrae Mortis, che vi consiglio di andare a recuperare perché è un disco notevole. Nel 2005 i Malignance partecipano allo spilt De Vermis Misteris, che fin dal titolo mi sembra sia chiaro di cosa si tratti, e Arioch in quel momento decide di sospendere le attività dei Malignance per dedicarsi ad altri progetti. Nel 2015 Arioch e Krieg danno nuovamente vita ai Malignance per arrivare a questo nuovo Architects Of Oblivion . I Malignance usano generi conosciuti ma li rielaborano alla loro maniera per arrivare a quello che definirei Genoan Battle Metal, perché sarebbe piaciuto ai balestrieri medioevali genovesi che andavano a conquistarsi fama e morte in battaglie lontane. Il cantato è quasi sempre pulito, a parte qualche momento di maggior concitazione, e la musica è molto potente, con composizioni di notevole intensità che hanno il gusto di metal antico e moderno allo stesso tempo. Architects Of Oblivion non si esaurisce certo in quanto detto poco sopra ed ha molte sfumature, anche melodiche, ma è sopratutto un forte concentrato di lucida potenza metal, e di quest’ultimo ne è un ottimo distillato. Basso slappato come nella vecchia scuola, chitarre che avanzano come falangi e la batteria che lancia dardi infuocati. Un gran ritorno per un gruppo fedele al metal e che, senza tanti proclami e pose, fa un disco da riascoltare spesso, mentre fuori scorre la vera battaglia chiamata quotidianità.

TRACKLIST
1.Architects of Oblivion
2.Iron of Janus
3.Nakedness of Evil
4.Hekate Kleidoukos
5.Thy Raven Wings
6.Industrial Involution
7.Hailstorm of Malignance
8.Gods of the Forsaken
9.The negative spiral of Self Indulgence
10.And then I shall fall

LINE-UP
David Krieg – Vocals
Arioch – Guitars, bass, drum programming

Live Members:
Lord of Fog – drums
Eligor – Guitars
Actaeon – Bass

MALIGNANCE – Facebook

Patria – Magna Adversia

L’aggettivo più calzante per un lavoro come Magna Adversia è “completo”, in quanto non manca nulla di ciò che l’appassionato ricerca in un album black.

I Patria sono da un decennio gli esponenti più in vista del black metal brasiliano.

Indubbiamente tale status è dovuto anche alla notevole prolificità della band, considerando che Magna Adversia ne è il sesto full length, attorniato da una sequela di uscite minori. Del resto, nella scena musicale odierna, ed ancor più nell’underground metal, è quanto mai importante dare frequenti segnali di vita per non farsi dimenticare, venendo soppiantati da altri nomi.
I Patria indubbiamente aderiscono a tale modello e lo fanno per di più (cosa fondamentale) unendo alla quantità quella qualità di cui quest’ultimo lavoro non fa certo difetto.
Il black metal, nell’interpretazione fornita dalla coppia Mantus / Triumphsword, aderisce in maniera piuttosto fedele ai dettami nordeuropei, con una certa tendenza verso le sonorità della scuola svedese, nonostante in questa occasione i nostri si avvalgano dell’aiuto di nomi pesanti della scena norvegese quali Asgeir Mickelson alla batteria e Øystein G. Brun alla produzione.
Forse anche grazie a questo incontro tra diversi flussi di ispirazione che vanno a fondersi con un gusto melodico ben radicato nelle radici latine dei musicisti, Magna Adversia entra a far parte di diritto del novero di album black metal che, probabilmente, verranno ricordati a livello di consuntivi di fine anno.
Se è inutile ricercare spunti innovativi vale la pena infatti di godere della capacità della band brasiliana di rendere ogni brano meritevole di attenzione per perizia tecnica, intensità e fruibilità, proprio grazie a linee melodiche che sovente vengono guidate da eccellenti progressioni chitarristiche o dalle puntuali ed efficaci orchestrazioni affidate a Fabiano Penna dei Rebaelliun.
L’aggettivo più calzante per un lavoro come Magna Adversia è “completo”, in quanto non manca nulla di ciò che l’appassionato ricerca in un album black: potenza strumentale unita a forza evocativa, ritmi incalzanti ma controllati, fino a qualche sconfinamento nel doom, varietà compositiva conferita da diversi break acustici ed uno screaming adeguatamente vetriolico; dovendo estrarre dal mazzo i brani che più mi hanno colpito in una tracklist inattaccabile, scelgo la più rallentata A Two-Way Path, l’irresistibile Communion e la più nervosa Porcelain Idols.
Se il black metal può aver esaurito in parte la propria spinta propulsiva nelle aree geografiche che ne hanno visto la nascita e la consacrazione, non è affatto così in nazioni in cui la tradizione del genere è relativamente recente e viene costantemente ravvivata da band come i Patria che, fortunatamente, hanno ancora molto da dire e da fare.

Tracklist:
1. Infidels
2. Axis
3. Heartless
4. A Two-Way Path
5. Communion
6. Now I Bleed
7. Arsonist
8. The Oath
9. Porcelain Idols
10. Magna Adversia

Line-up:
Mantus – all instruments
Triumphsword – vocals

Asgeir Mickelson – drums

PATRIA – Facebook

Scuorn – Parthenope

Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

Personalmente ritengo Parthenope un disco epocale per molti motivi. Prima di tutto per la musica che, d’accordo non è nulla di nuovo, ma viene eseguita come nel marmo dell’inferno. Poi per ciò che esprime: è il primo disco in metal che, utilizzando il dialetto, tratta di Napoli e della partenopeità, un concetto davvero affascinante ed ampio.

Partiamo dall’inizio.
Scuorn nasce nel 2008 per opera di Giulian, che qui nel disco compone e suona tutto, con validi aiuti che vedremo di seguito. Questo è il suo debutto discografico, ed è qualcosa di strabiliante. Innanzitutto il nome: Scuorn letteralmente vuol dire vergogna, ma è un concetto diverso da quello italiano, anzi quando ascolterete questo disco dimenticatevi dell’italiano, è solo un intralcio, calatevi nella lingua napoletana, poiché ha maggiori livelli di pensiero dell’italiano.
Parthenope è un concept album sulle storie e soprattutto sulle leggende greco romane di Napoli e dintorni, ogni canzone una leggenda. Le origini sono interessantissime e ancora misteriose, perché Napoli non mostra mai il suo vero volto, nemmeno oggi. Di Napoli abbiamo un’immagine comune, dei pregiudizi, ma Napoli è altro. Ogni volta che ci vai vedi un lato diverso, perché era una città cara agli dei, e questo disco ce lo fa capire molto bene. Scuorn narra di epicità perduta con un suono incredibile, che parte dal black metal sinfonico per andare ben oltre. Come coordinate sonore prendete dei Fleshgod Apocalypse più black, con un incedere però diverso, ma ugualmente magnifico, e questa è una delle forze del disco. Con loro Scuorn ha in comune il produttore, quello Stefano Morabito che si è occupato anche degli Hour Of Penance, ed è uno dei più bravi in giro, infatti la produzione di Parthenope è pressoché perfetta. Per le parti orchestrali Giulian si è avvalso della preziosa collaborazione di Riccardo Studer dei Stormlord, e il suo grandissimo lavoro si può ascoltare nel secondo disco dell’edizione speciale, che contiene le bellissime versioni orchestrali di ciascun brano. Dentro a questo immaginifico suono ci stanno le narrazioni di Giulian, che ci riporta indietro nel tempo, alla parte greca e romana della storia di questa città, che più che una città è una civiltà vera e propria. Notevolissimi sono i pezzi suonati con gli strumenti tipici di Napoli, uno su tutti il mandolino, che è anche nel simbolo del gruppo. Questi strumenti sono usati molto bene, inserendoli con gran cura nella narrazione: infatti, Averno è un pezzo strumentale che diventerà uno spartiacque, come Kaiowas per i Sepultura. Parthenope è un capolavoro assoluto, un atto d’amore e di odio entrambi incondizionati per una città che è uno stato d’essere, con radici occulte ed antichissime che nessuno mai prima d’ora aveva narrato in questa maniera. Qui dentro troverete quel sentire che solo a Napoli è possibile, il tutto usando il metal come codice e linguaggio per raccontare. Il metal, ed in particolare il black metal, è uno dei mezzi migliori per narrare storie epiche e sopratutto per raccontare le diversità e le peculiarità delle varie terre. E’ incredibile l’evoluzione di un genere che è nato per isolare ed invece è uno strumento formidabile di conoscenza e scambio, straordinario veicolo di storie e popoli. Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

TRACKLIST
1.Cenner e Fummo
2.Fra Ciel’ e Terr’
3.Virgilio Mago
4.Tarantella Nera
5.Sanghe Amaro
6.Averno
7.Sibilla Cumana
8.Sepeithos
9.Parthenope
10.Megaride
11.Cenner’ e Fummo (ORCHESTRAL VERSION)
12.Fra Ciel’ e Terr’ (ORCHESTRAL VERSION)
13.Virgilio Mago (ORCHESTRAL VERSION)
14.Tarantella Nera (ORCHESTRAL VERSION)
15.Sanghe Amaro (ORCHESTRAL VERSION)
16.Averno (ORCHESTRAL VERSION)
17.Sibilla Cumana (ORCHESTRAL VERSION)
18.Sepeithos (ORCHESTRAL VERSION)
19.Parthenope (ORCHESTRAL VERSION)
20.Megaride (ORCHESTRAL VERSION)

LINE-UP
Giulian

SCUORN – Facebook

Entity Of Hate – Cursed for Eternity

Un lavoro breve ma davvero notevole, alla luce di una freschezza impronosticabile quando ci si cimenta con sonorità in voga circa un ventennio fa.

I Diabolus Arcanium, gruppo di Chennai dedito ad un atmospheric black metal, sono stati protagonisti di un’evoluzione invero particolare: infatti, al posto della band originaria ne esistono oggi due, che si muovono però in due direzioni ben distinte.

La prima di queste si chiama Cybernation e, come da monicker, i suoi primi passi saranno improntati a sonorità industriali, mente la seconda, denominata Entity Of Hate, ha appena pubblicato sotto l’egida della Transcending Obscurity il proprio esordio, l’ep Cursed For Eternity.
Tra le due è quest’ultima a dare in qualche modo continuità a quando già fatto dalla band madre, visto che le pulsioni symphonic black vengono ancor più esasperate per approdare su un territorio a metà strada tra il melodic black/death di scuola finlandese (Norther, Kalmah e primi Children Of Bodom) e, ovviamente, i Dimmu Borgir, imprescindibili per chi si approccia a questo genere.
Più che alla maestosità del sound però, Hex, responsabile di questi tutti i suoni ad eccezione della chitarra ritmica a cura di Virgil, punta all’incisività delle parti soliste, che trovano la loro ideale sublimazione in un brano killer fin dalle sue prime note come la title track, decisamente difficile da schiodare dalla mente.
Il connubio tra le tastiere e le sei corde funziona ottimamente anche in Lovers & Prey e Heart Shaped Dagger, con la prima più orientata al black e la seconda che fa riemergere la vena heavy e melodica della traccia di apertura, mentre a livello vocale Hex si disimpegna bene anche se la specialità non appare in assoluto il suo punto di forza.
La strumentale Bloody Tears (Castlevania) non toglie e non aggiunge alcunché e, quindi, si rivela tutto sommato superflua nell’economia dell’ep, ma queste sono piccole smagliature all’interno di un lavoro breve ma davvero notevole, alla luce di una freschezza impronosticabile quando ci si cimenta con sonorità in voga circa un ventennio fa.
Non resta che attendere le prossime mosse di questa nuova “entità” proveniente dall’India: le basi per produrre qualcosa di notevole sono state indubbiamente poste.

Tracklist:
1. Cursed For Eternity
2. Lovers & Prey
3. Heart Shaped Dagger
4. Bloody Tears (Castlevania)

Line-up:
Hex – Lead guitars/Keyboards/Vocals/Bass & Drums on the track Castlevania
Virgil – Rhythm guitars
Karry – Bass (except on Castlevania)
Simon – Drums (except on Castlevania)

ENTITY OF HATE – Facebook

Red Harvest – HyBreed

The Soundtrack to the Apocalypse: ristampa fondamentale per una band geniale e avvincente, da maneggiare con cura …

Ogni anno il mondo musicale è sommerso da grandi quantità di materiale e diventa sempre più difficile, anche per chi si diletta come “cercatore d’oro”, seguire tutte le uscite, nuove o ristampe che siano; in questo caso rischia di passare inosservata la reissue di un autentico capolavoro della leggenda underground norvegese Red Harvest, band attiva fin dal lontano 1989 con il demo Occultica, con il suo suono claustrofobico figlio di commistioni industrial, death, doom e ambient.

La ristampa in questione, Hybreed, presentata in un elegante confezione accompagnata da una copertina virata rosso deserto e con un secondo cd contenente un concerto reunion del 2013, presenta il loro apice creativo, anche se i successivi quattro full esalteranno e completeranno il loro percorso artistico. L’opera, uscita nel 1996 per Voices of Wonder, si articola su undici brani che presentano un grande varietà di suoni miscelati sapientemente tra loro, a partire dal opener Mazturnation, breve, ma intenso urlo ribelle di entità aliene alla natura bizzarra, per poi proseguire con il lento cammino di un’anima ruggente in Lone Walk; l’incipit di questa opera è già magistrale ma è con il prosieguo dei brani che si rimane stupefatti di fronte alla magnificenza regalataci da cinque grandi artisti: Mutant, urgente messaggio da un futuro graffiante e oscuro, After All, quattro minuti in cui sembrano scontrarsi oscuri eserciti di anime bruciate che ci narrano di inferni micidiali, l’oasi elettroacustica lugubre e metropolitana di Ozrham, screziata da fredde percussioni anticipa lo zenith On sacred ground, dove una maestosa melodia si apre lentamente in un mondo pesante, plumbeo e greve: un brano veramente magnifico! La materia fluttuante e le cascate laviche che accompagnano The Harder they fall trovano fugace quiete nell’ottavo brano Underwater, dove il lento salmodiare è squarciato da strali improvvisi di oscura luce; gli ultimi tre brani, Monumental, In deep (sinistra ambient) e The Burning wheel, portano a completa sublimazione l’arte di una band che tanto ha dato e poco o niente ha ricevuto. Ripetuti ascolti porteranno assuefazione e gioveranno allo spirito in questi tempi privi di certezze; la promessa da parte della band di un comeback discografico nel 2017 ci lascia speranzosi di poter ascoltare altre meraviglie.

TRACKLIST
1.Maztürnation
2.The Lone Walk
3.Mutant
4.After All…
5.Ozrham
6.On Sacred Ground
7.The Harder They Fall
8.Underwater
9.Monumental

CD2
1.In Deep
2.The Burning Wheel
3.Live BlastFest 2016
4.Omnipotent
5.The Antidote
6.Hole in Me
7.Godtech
8.Cybernaut
9.Mouth Of Madness
10.Sick Transit Gloria Mundi
11.Absolut Dunkel-Heit

LINE-UP
Jimmy Bergsten – Vocals, Guitars, Keyboards
Cato Bekkevold – Drums
Thomas Brandt – Bass
Ketil Eggum – Guitars
Lars Sørensen – Samples, Keyboards

RED HARVEST – Facebook

Evil Priest – Evil Priest

Le atmosfere catacombali che aleggiano su tutto l’ep, il growl che spunta da un buco collegato al centro degli inferi ed il senso di morbosa devastazione, lo rendono un nero gioiellino, da ascoltare se si è amanti del metal estremo dalle venature più malvagie.

MetalEyes vola virtualmente in Sudamerica, precisamente in Perù, per incontrare gli Evil Priest, trio estremo nato nei meandri nascosti e diabolici di Lima.

L’ep omonimo, primo parto malefico del gruppo è disponibile in musicassetta, altra prova dell’approccio assolutamente underground dei tre musicisti peruviani, che hanno consegnato la loro musica nelle mani della Caligari Records.
Death/black feroce e senza compromessi, aperto da una lunga nenia liturgica (Ikarus) e seguita da tre brani che risultano un compromesso tra i primi lavori dei Morbid Angel e il death/black suonato dai gruppi dell’est europeo (soprattutto polacchi).
Ne esce un lavoro macabro, dove il caos demoniaco regna sovrano, con tre tracce assolutamente maligne, una voce proveniente dall’inferno, ferri del mestiere soffocati da una produzione old school, così come la musica suonata.
Ma attenzione perché il tutto funziona ed Evil Priest non è un’ opera da sottovalutare, la sua natura estrema convince dando la sensazione di essere al cospetto di un gruppo vero.
Le atmosfere catacombali che aleggiano su tutto l’ep, il growl che spunta da un buco collegato al centro degli inferi ed il senso di morbosa devastazione, lo rendono un nero gioiellino, da ascoltare se si è amanti del metal estremo dalle venature più malvagie.

TRACKLIST
1.Ikarus
2.Great Snake
3.Gates of Beyond
4.Evil Priest

LINE-UP
E.P. – Supreme Invocations from the Depths
M.C – Density of the Dark Matter
R.P. – Obscure Resonance

EVIL PRIEST – Facebook

Wiegedood – De Doden Hebben het Goed II

De Doden Hebben het Goed II è il disco black metal che non si sentiva da tempo, laddove furia, morbosa potenza e, perché no, una buona dose di melodia, vanno a scontarsi frontalmente con l’inevitabile tendenza, derivante dal background dei musicisti, a lambire i confini del genere.

Secondo album per questi notevoli Wiegedood, band fiamminga che annovera tra le sue fila musicisti in forza a nomi di spicco delle scena belga come AmenRa ed Oathbreaker.

De Doden Hebben het Goed II è il seguito della prima parte, uscita nel 2015, e mette a fuoco ancor meglio l’idea di black metal perseguita dal trio, che solo a tratti fa emergere le pulsioni postmetal/posthardcore che fanno parte delle band madri.
Infatti, il genere gode di un’interpretazione a tratti furiosa e sorprendentemente fedele ai dettami della tradizione (Ontizlling), mentre in altri frangenti ad emergere sono passaggi intrisi di malsana oscurità (la title track); di certo c’è che la qualità si mantiene sempre ai massimi livelli, perché questa è tutt’altro che un’interpretazione calligrafica di uno stile che molti ritengono, a torto, morto e sepolto se non sulla via dell’estinzione.
De Doden Hebben het Goed II è il disco black metal che non si sentiva da tempo, laddove furia, morbosa potenza e, perché no, una buona dose di melodia, vanno a scontarsi frontalmente con l’inevitabile tendenza, derivante dal background dei musicisti, a lambire i confini del genere, per poi rientrare in un alveo comunque sempre instabile e cangiante.
Un brano come Smeekbede è il migliore esempio di come la materia oscura, forgiata in Norvegia nei primi anni novanta, possa essere manipolata e trasformata senza che le sue coordinate di base vengano minimamente intaccate.
Difficile fare di meglio oggi, anche per chi il black metal lo ha inventato, perché quello che potrebbe apparire, viste le premesse, un semplice diversivo per musicisti orientati a sonorità sempre estreme ma dalla struttura più complessa, costituisce di fatto una maniera di liberare in maniera più esplicita quella rabbia che nel post hardcore viene quasi repressa dal suo incedere plumbeo.
Esattamente il disco di black metal che ogni appassionato vorrebbe ascoltare, detto questo c’è ben poco d’altro da aggiungere.

Tracklist:
1.Ontzielling
2.Cataract
3. De Doden Hebben het Goed II
4.Smeekbede

Line-up:
Wim Sreppoc – drums
Gilles Demolder – guitars
Levy Seynaeve – guitars, vocals

WIEGEDOOD – Facebook

Acrimonious – Eleven Dragons

Questi greci sanno molto bene come si fa a rendere interessante un disco e passano di registro in registro con molta facilità: il lavoro è davvero piacevole, libero da tanti vincoli che a volte appesantiscono troppo i dischi di black death

Un diluvio satanico di black metal classico con inserzioni notevoli di death metal.

Terzo album per gli oscuri Acrimonious, attivi fin dal 2002, con molti cambi di formazione che non hanno impedito loro di produrre ottimi album, ed Eleven Dragons si rivela il loro disco più riuscito. Il tiro è del black metal classico, con chitarre veloci e non troppo distorte, la voce trova la sua giusta collocazione tra il growl ed il clean, e la sezione ritmica è molto pulsante. L’ispirazione gli Acrimonious la trovano nella prima ondata black metal, quando il suono era debitore all’hardcore punk, ma gli ellenici ci aggiungono molto di loro, con la voce epica di Cain Latifer che narra di nere storie, e le melodie sono messe in primo piano, senza essere sovrastrutturate da un impianto sonoro troppo pesante per poterle cogliere. Eleven Dragons è un disco di grande sostanza, un tributo molto efficace al nero signore, ed è un disco che segna il grande ritorno del gruppo, che si spera essere stabile. Questi greci sanno molto bene come si fa a rendere interessante un disco e passano di registro in registro con molta facilità: il lavoro è davvero piacevole, libero da tanti vincoli che a volte appesantiscono troppo i dischi di black death, primo fra tutti l’essere ridondanti. Qui tutto fluisce da e verso l’abisso, forse l’unica e vera salvezza che ci viene concessa. Una delle particolarità maggiori del disco è la grande epicità delle canzoni che sembrano allestimenti teatrali, poiché sono piene di drammaticità e pathos. Una grande prova.

TRACKLIST
1. Incineration Initiator
2. The Northern Portal
3. Damnation’s Bells
4. Satariel’s Grail
5. Elder of the Nashiym
6. Kaivalya
7. Qayin Rex Mortis
8. Ominous Visions of Nod
9. Stirring the Ancient Waters
10. Litany of Moloch’s Feast
11. Thaumitan Crown

LINE-UP
Cain Letifer – guitars, vocals
Semjaza – guitars, bass
C.Docre – drums

ACRIMONIOUS – Facebook

Naddred – Sluagh

La scena black in Irlanda ha partorito diversi buoni gruppi, ma sinceramente nessuno era all’altezza di questi ragazzi, e ascoltando le quattro tracce di questo demo lo capirete, essendo questo un black di livello assoluto.

Dall’Irlanda arriva un nuovo gruppo di black metal da tenere assolutamente d’occhio, figlio di vari incesti fra diversi gruppi dell’underground irlandese, quali Slidhr, Eternal Helcaraxe e Sol Axis.

Il suono di questo gruppo ha l’incedere caratteristico dei grandi gruppi, poiché il loro black metal è veloce, melodico, potente e riesce anche a fare notevoli incursioni nel death metal, il tutto con classe e senso della misura. Soprattutto i ragazzi irlandesi non sono dogmatici, ma scorrazzano da par loro. Questo demo in cassetta lascia presagire un grande futuro, ed effettivamente i segnali ci sono tutti. Quattro pezzi che scorrono benissimo, con una facilità compositiva che potrebbe fare invidia a gruppi ben più consacrati- L’underground del black metal è una continua fucina di ottimi dischi, e soprattutto è la fiamma che tiene su il tutto, senza si scivolerebbe nella noia e nello stereotipo. Il black metal è una materia che ognuno può plasmare a proprio piacimento, e i Naddred lo fanno con grande capacità, e questi quattro pezzi vorresti che fossero cento, tanto sono belli e neri. La scena black in Irlanda ha partorito diversi buoni gruppi, ma sinceramente nessuno era all’altezza di questi ragazzi, e ascoltando le quattro tracce di questo demo lo capirete, essendo questo un black di livello assoluto.

TRACKLIST
01 Four Crowned Prince Of Hell
02 Sluagh
03 The Beast Walks The Earth
04 The Dullahan

NADDRED – Facebook

Förgjord – Uhripuu

Uhripuu è un gran disco, senza compromessi e con ottime melodie, ed è un’opera da non lasciarsi assolutamente scappare.

Terzo album per i Förgjord , leggendario gruppo finnico attivo da metà degli anni novanta.

Formati in concomitanza con l’epoca aurea del black, i Förgjord sono un gruppo che ha prodotto poco ma tutto di estrema qualità. Il loro suono è un black classico molto devoto alla tradizione finnica del genere, quindi assai fedele al passato ma molto efficace. La loro caratteristica principale è quella di saper creare un pathos notevole, riuscendo a scolpire nella mente dell’ascoltatore melodie ben precise, sotterrate sotto tonnellate di riffs e distorsioni. La voce è un growl senza tregua, con la chitarra perfettamente distorta in stile black e la batteria costantemente all’assalto. In generale il suono non è molto dissimile da quello di molte altre band, ma è profondamente diverso il risultato, essendo davvero notevole l’empatia che riescono a scatenare. Black metal in giro ce n’è molto ma difficilmente riesce a raggiungere queste vette, coinvolgendo totalmente e direttamente, portandoci in un nero vortice di ossa e neve. La scuola finlandese, ed in particolare le uscite della Werewolf Records, qui in collaborazione con la Hells Headbangers, è di grande interesse, e ultimamente sta continuando a tenere elevata la qualità delle sue uscite, confermando la Finlandia come una delle terre promesse, o maledette, del metal, e del black in particolare. Uhripuu è un gran disco, senza compromessi e con ottime melodie, ed è un’opera da non lasciarsi assolutamente scappare.

TRACKLIST
1.Johdanto
2.Uhripuu
3.Kuolleiden Yö
4.Täyttymys
5.Vahvempi Kuin Koskaan
6.Nälkämaan Laulu
7.Kiviseen Syleilyyn
8.Tie, Totuus Ja Kuolema
9.Ovat Korpit Pois Lentäneet

LINE-UP
Valgrinder – Guitars, Bass
Prokrustes Thanatos – Vocals, Drums
BLK – Drums

FÖRGJORD – Facebook

Disharmony – Goddamn the Sun

Lo stile dei Disharmony fa riferimento alla vecchia scuola del black ellenico, fortemente legata all’aspetto epico sia del suono che dei testi.

Finalmente arriva il tempo del debutto per i Disharmony, gruppo greco di black metal sinfonico. Formati nel 1991, si sciolsero nel 1995 producendo tre demo ed un ep di culto sulla label Molon Lave, per poi riprendere recentemente le attività, culminate in questo disco.

Lo stile dei Disharmony fa riferimento alla vecchia scuola del black ellenico, fortemente legata all’aspetto epico sia del suono che dei testi. La forza dei Disharmony sta nella loro capacità di fondere molte cose diverse all’interno del loro suono, dagli elementi più vicini al suono classico del symphonic black metal, a cose più minimali e quasi recitate. Infatti si ha la netta impressione che questo disco sia come un atto teatrale, che parte da lontano per arrivare fino a noi. Il disco è pieno di pathos, di forza narrativa, e di immagini mentali molto forti. Il tortuoso cammino gruppo di questo gruppo rassomiglia al percorso di un fiume sotterraneo che ha finalmente trovato il modo di sgorgare in superficie sfogando tutta la sua potenza. Il disco è molto particolare e va approcciato con una mente aperta per poterlo apprezzare in tutta la sua ricchezza, che è molto grande e particolare. I Disharmony non sono affatto un gruppo comune e lo dimostrano con questo disco, che è al di sopra della media, e può essere considerato un nuovo inizio per loro. Le soluzioni sono molteplici per tutta la durata del disco, non facendo mai annoiare l’ascoltatore, introducendo anche qualche elemento di novità nel genere, a volte piuttosto stantio. Un lavoro epico, e forte, che narra di un mondo che non è il nostro, tutto da scoprire.

TRACKLIST
1. Invocation – Troops Of Angels
2. The Gates Of Elthon
3. Elochim
4. Summon The Legions
5. War In Heaven
6. Rape The Sun
7. Praise The Fallen
8. Whore Of Babylon
9. The Voice Divine
10. Third Resurrection

DISHARMONY – Facebook

Black Cilice – Banished From Time

Black Cilice documenta questa sofferenza, questo dilaniamento continuo, portandoci totalmente in un’altra dimensione, dove si interrompe il normale flusso della vita.

Il mistero ammanta la figura di Black Cilice, musicista portoghese che da anni è uno dei migliori dell’ottima scena black metal portoghese. Dopo Mysteries del 2015, il nostro ritorna con questo gran disco di black metal classico e lo fi, completamente devoto all’oscuro verbo del nero metallo.

Black Cilice usa il black metal per introdurci in un’atmosfera altra, in una dimensione diversa dalla nostra, dove l’uomo è completamene trasfigurato in un sentimento dilaniato, figlio della frattura tra la nostra anima e ciò che siamo nella nostra dimensione normale e quotidiana. Noi indossiamo ogni giorno delle maschere per sottosta ai diktat di una società che non vole che siamo noi stessi, ed ogni giorno soffriamo, sanguinando con un falso sorriso. Black Cilice documenta questa sofferenza, questo dilaniamento continuo, portandoci totalmente in un’altra dimensione, dove si interrompe il normale flusso della vita. La dimensione in cui ci porta Black Cilice è puro dolore distillato in musica, dove la sua voce in lontananza è un lamento disperato, e la musica è un diluvio di black metal lo fi, formando un magma che converge su di noi, non dandoci punti di riferimento e portandoci lontano, o forse molto vicino ad un qualcosa che abbiamo dimenticato. Black Cilice non sbaglia un disco, confermandosi uno dei più validi nella scena europea e non solo, con un black metal davvero particolare ed unico. Quest’ultimo parte dalla fase classica del genere, per arrivare ad una sintesi personale, unica ed esoterica, per un mistero che si rinnova in continuazione.

TRACKLIST
01 Timeless Spectre
02 On the Verge of Madness
03 Possessed by Night Spirits
04 Channeling Forgotten Energies
05 Boiling Corpses

BLACK CILICE – Facebook

Cripta Oculta – Lost Memories

Lost Memories è un viaggio dentro un passato che riposa dentro di noi e che non aspetta altro che risvegliarsi, ed è anche un ottimo disco di black metal selvaggio e fatto con passione.

Tornano con il loro quarto album i portoghesi Cripta Oculta, uno dei gruppi principali della scena black metal portoghese. Il duo pubblica, con la label di riferimento portoghese Signal Rex, un altro grande disco di black metal classico, intriso di misticismo e di ricerca di qualcosa che va molto oltre gli schemi di questa società.

Il Portogallo è una terra antica ed inquieta, che da moltissimo tempo vive di inquietudine e di uno strano modo di sentire le cose, che ha portato il suo popolo a sviluppare una sensibilità molto particolare, con uno sguardo melanconico verso la vita. Tutto ciò si è spesso tradotto in svariati capolavori nelle più disparate discipline, e Lost Memories si inserisce a pieno titolo in questa casistica. I Cripta Oculta sono difensori e diffusori delle tradizioni lusitane, e in questo disco ci conducono per antichi sentieri grazie al loro black metal selvaggio, lo fi e classicheggiante, di grande impatto. Qui la musica è un mezzo per comunicare empaticamente qualcosa che non potrebbe essere comunicato qualcosa, e chi apprezza il black metal conosce benissimo questo processo. La narrazione ci porta in boschi, sentieri e nel cuore del Portogallo, e il black metal dei Cripta Oculta ci fa vedere cose celate allo sguardo dell’uomo moderno. Si torna indietro in un’esperienza davvero coinvolgente, grazie ad un gruppo assolutamente fuori dal comune per capacità di comunicare e per la sua potenza di fuoco. Si cambia spesso registro in questo disco, passando da cavalcate black metal a momenti di dark ambient con strumenti tradizionali lusitani, andando a ricercare un passato che non è solo nostalgia, ma riproposizione di una tradizione che era e che ora non è più. Lost Memories è un viaggio dentro un passato che riposa dentro di noi e che non aspetta altro che risvegliarsi, ed è anche un ottimo disco di black metal selvaggio e fatto con passione.

TRACKLIST
1.Mistérios do Sangue
2.Uma Noite de Trevas
3.Para o reavivar das Tradições
4.Batalha Nocturna
5.A Dança do Fado Negro
6.A Mão de Ferro que Esmaga Sião

SIGNAL REX – Facebook

Trauer – A Walk Into The Twilight

A Walk Into The Twilight è colmo di passaggi dal grande potenziale evocativo e di splendide melodie che più di una volta, purtroppo, devono essere intuite piuttosto che ascoltate con la dovuta nitidezza.

Certo che sta cominciando a capitare troppo spesso e, benché di norma non lo ritenga un problema prioritario o insormontabile, qualche domanda bisogna pure cominciare a porsela, considerando che il calendario è puntato sul 2017 e la tecnologia progredisce ogni giorno.

Sto parlando di album di black metal, provenienti da un po’ tutte le parti del mondo, che paiono essere stati registrati con l’ausilio di una macchina del tempo, riportando i musicisti nella prima metà degli anni novanta, quando la foga e l’urgenza espressiva erano prioritarie rispetto alla pulizia e alla resa sonora.
Questo secondo full length dei teschi Trauer, per esempio, sarebbe potenzialmente un bellissimo lavoro a livello di scrittura, perché con le sue sonorità che, partendo da una base black sconfinano sovente nel depressive e nel doom, andrebbe a collocarsi in un punto d’incontro ideale per i miei gusti musicali, peccato però che la produzione e qualche sbavatura tecnica finiscano per inficiarne parzialmente il risultato finale.
Già, perché A Walk Into The Twilight è colmo di passaggi dal grande potenziale evocativo e di splendide melodie che più di una volta, purtroppo, devono essere intuite piuttosto che ascoltate con la dovuta nitidezza.
Detto questo, preferisco mille volte di più ascoltare un lavoro con tali caratteristiche piuttosto che un cristallino sbrodolamento di tecnica esecutiva fine a sé stessa, però innegabilmente, in questa maniera, si rischia di depauperare un patrimonio musicale non trascurabile.
Basti, quale dimostrazione, un brano come When Our Hertbeats Counting Down, inaugurato da arpeggi acustici (in questo caso fortunatamente puliti) che lasciano spazio ad un accenno quasi funeral, per poi lanciarsi in una cavalcata dolente chiusa da una bellissima melodia chitarristica: uno come il sottoscritto, che considera Andacht dei Lunar Aurora (non certo un prodotto da esibire quale esempio di limpidezza sonora) quale miglior album black metal mai uscito dal suolo tedesco, riesce abbastanza facilmente ad andare oltre l’aspetto formale, prediligendo l’impatto emotivo di una proposta come questa, dalla buona profondità anche a livello lirico, mentre lo stesso non accadrà a chi è abituato a fare le pulci ad ogni singola nota, il quale verrà inevitabilmente spinto a mettere in secondo piano gli effettivi contenuti musicali.
Non ci vogliono produttori di grido per valorizzare un genere che fa anche della genuinità uno dei propri dirompenti punti di forza, ma una band dal notevole potenziale, come lo sono i Trauer, avrebbe dovuto trovare almeno una via di mezzo che avesse consentito di godere di A Walk Into The Twilight senza dover recriminare su ciò che poteva essere e, purtroppo, non è stato.

Tracklist:
1. The Invocation of the Parasites
2. A Servant to the Desert
3. Walking in the Twilight
4. Procession in the Fog
5. Her String Dance
6. Under Grey Vaults
7. When Our Heartbeats Counting Down
8. Ending at the Ground

Line-up:
Neideck – All instruments, Vocals
Dominion – Drums
H.S. – Guitars

Scáth na Déithe – Pledge Nothing But Flesh

Quattro brani di oltre dieci minuti, più due brevi tracce ambient, sono il fatturato di un album di sicuro interesse ma da lavorare con una certa assiduità per coglierne l’essenza.

Full length d’esordio per il duo irlandese Scáth na Déithe, all’insegna di un black metal oscuro atmosferici e dai frequenti sconfinamenti sul terreno doom.

Dici Irlanda in campo metal e pensi ai Primordial: come è naturale, ogni tanto i riferimenti all’imprescindibile band di Alan Averill emergono, in particolare in una certa algida solennità che avvolge l’intero album, mentre manca del tutto agli Scáth na Déithe lo stesso afflato epico a fronte di passaggi talvolta più meditati ai limiti dell’ambient.
Proprio per questo il lavoro non è di fruibilità immediata: il sound possiede un impronta cupa che il growl finisce per accentuare ulteriormente: ad alleggerire le atmosfere in senso melodico contribuiscono buoni passaggi di chitarra solista ma, alla fine, Pledge Nothing But Flesh si rivela un’efficace esempio di arte musicale oscura, dove black, doom e ambient confluiscono in maniera sufficientemente fluida per renderne oltremodo stimolante l’ascolto.
Quattro brani di oltre dieci minuti, più due brevi tracce ambient, sono il fatturato di un album di sicuro interesse ma da lavorare con una certa assiduità per coglierne l’essenza: il premio è l’approdo a Search Unending, bellissimo episodio conclusivo che racchiude idealmente il sound del duo di Dublino, aprendosi leggermente a barlumi melodici (oltre ad un finale acustico) che sono per lo più negati in un contesto sovente claustrofobico e, anche per questo, a suo modo affascinante.

Tracklist:
1.Si Gaoithe
2.Bloodless
3.This Unrecognized Disease
4.Failte Na Marbh
5.The Shackled Mind
6.Search Unending

Line up:
Stephen Todd – drums
Cathal Hughes – vocals, guitars, bass, synth

SCATH NA DEITHE – Facebook

Teleport – Ascendance ep

I Teleport hanno tutti i crismi per diventare una band di culto nel panorama estremo europeo, e un prossimo full length potrebbe lanciare definitivamente il quartetto sloveno

Loro lo chiamano sci-fi death metal o cosmic metal, io vi consiglio di ascoltare questo mini cd, ultimo lavoro dei Teleport, perché porta con se un pizzico di originalità ed un songwriting nobilitato dalla geniale pazzia dei Voivod.

Ma andiamo con ordine: i Teleport sono una band slovena, nata nel 2010 e in questi sette anni di attività ha pubblicato tre demo e questo primo ep dal titolo Ascendance.
Il quartetto proveniente dalla capitale Lubiana, la bellissima città dei draghi, ha creato un sound che amalgama thrash metal voivodiano e death/black in un contesto progressivo e dal concept sci-fi.
Una bellezza questi quattro brani più intro, estremi e devastanti, progressivi nelle ritmiche e spazzati da un vento death/black che soffia dalla Scandinavia e arriva gelido nel loro paese natio.
Dimenticatevi una sola ritmica che sia scontata, e anche nelle veloci e devastanti sfuriate il lavoro ritmico è da applausi, lo scream ricorda Jon Nodveidt compianto leader e cantante dei Dissection, mentre lo spirito di Dimension Hatross e Nothing Face aleggia su brani bellissimi e ricchi di dettagli e note, destabilizzanti ed originali come in The Monolith e Artificial Divination, primi due brani capolavoro di questo ep.
Darian Kocmur alle pelli, ultimo arrivato in casa Teleport, e Lovro Babič al basso formano la sezione ritmica, mentre le due chitarre che fanno fuoco e fiamme sull’ottovolante Real Of Solar Darkness sono armi letali tra le mani di Jan Medved (alle prese con il microfono) e Matija “Dole” Dolinar.
I Teleport hanno tutti i crismi per diventare una band di culto nel panorama estremo europeo, e un prossimo full length potrebbe lanciare definitivamente il quartetto sloveno: staremo a vedere, per ora gustiamoci questa ventina di minuti di musica estrema spettacolare.

TRACKLIST
1. Nihility
2. The Monolith
3. Artificial divination
4. Realm of solar darkness
5. Path to omniscience

LINE-UP
Jan Medved – vocals, guitars
Lovro Babič – bass
Matija “Dole” Dolinar – guitars
Darian Kocmur – drums

TELEPORT – Facebook

Acrosome – Narrator And Remains

Il suono è un vortice che non scema mai, e nel mezzo di questo black metal carnale e fisico ci sono ottimi intarsi sinfonici e tutto il disco è inteso come un’opera, con atmosfere ed azioni che si dipanano man mano che scorre la sua interezza.

Acrosome è il nom de plume di Da, che è creatore totale e padrone di questa bestia musicale.

Sono sempre affascinanti le avventure musicali solitarie, e sono molto comuni soprattutto nel black metal, che è moltissime cose, e forse è il genere più solipsistico della storia. Attraverso il black metal si può esprimere la più infinita gamma di sentimenti e accadimenti senza aver bisogno di ausili o aiuti esterni, e questo disco ne è la più lampante dimostrazione. Acrosome è black metal totale, potente ed oscuro, Acrosome è un suono che satura l’ambiente, sigillando ogni via di fuga perché è di noi e di se stesso che sta parlando. I testi sono interessanti ed intelligibili perché il cantato è pulito e assai distinguibile. Il suono è un vortice che non scema mai, e nel mezzo di questo black metal carnale e fisico ci sono ottimi intarsi sinfonici e tutto il disco è inteso come un’opera, con atmosfere ed azioni che si dipanano man mano che scorre la sua interezza. Narrator And Remains è infatti una grande opera di black metal, magniloquente e perfettamente plausibile, e il lavoro stesso ne è la spiegazione migliore. Acrosome si conferma come uno dei progetti più interessanti ed originali del black metal europeo e non solo, e questo album doverebbe essere la definitiva conferma per questo musicista molto dotato.

TRACKLIST
1. First Step On To The World
2. Crossbreed Rising
3. Cognitive Contact
4. Sight
5. In The Wake Of Foot Traces
6. Accommodate
7. Terra Amata

LINE-UP
DA – All Instrument and Programming

ACROSOME – Facebook

Woest – La Fin de l’ère Sauvage

Un album la cui apparente modernità viene ampiamente incrinata da un approccio selvaggio e ostentatamente datato a livello di rivestimento sonoro.

I marsigliesi Woest esordiscono con questo full length intitolato La Fin de l’ère Sauvage, un lavoro che include pulsioni industrial all’interno di un’impalcatura black doom.

Come spesso accade, dal suolo francese giungono proposte fortemente disallineate rispetto alla normalità, una tendenza questa che dà vita a dischi geniali così come ad altri cervellotici o deludenti: il caso in questione si colloca più o meno a metà strada, in virtù di una buona propensione sperimentale che purtroppo non sempre è sorretta da suoni ottimali.
Non so se ciò possa dipendere solo dalla qualità del promo in mio possesso, ma qui la produzione alquanto ovattata non sembra valorizzare al meglio uno stile che si differenza sostanzialmente dal black più canonico, necessitando a mio avviso di una maggiore pulizia a livello sonoro.
Detto ciò La Fin de l’ère Sauvage mostra più di un passaggio brillante che rende merito al tentativo, da parte dei Woest, di creare un qualcosa di non scontato: il loro industrial black è algido, solenne e cadenzato, in possesso dunque di tutte le caratteristiche per poter inquietare i sonni di più di un ascoltatore, in virtù di rare concessioni alla melodia.
La barbarie est l’état naturel de l’humanité. La civilisation n’est pas naturelle. Elle résulte simplement d’un concours de circonstances. Et la barbarie finira toujours par triompher” è il motto, mutuato dal Robert E.Howard, che campeggia sulla pagina Facebook e sul Bandcamp della band transalpina, e credo si confaccia perfettamente ad un album la cui apparente modernità viene ampiamente incrinata da un approccio, appunto, selvaggio e ostentatamente datato a livello di rivestimento sonoro.
Un lavoro complesso, a tratti ostico, ma senz’altro interessante.

Tracklist:
01-Le Froid Efface
02-Tout S’écroule
03-La Fin de l’ère Sauvage
04-Noir
05-Moelleuse et Tiède
06-Toundra

Line-up:
Torve – vocals
Malemort – guitars, drum machine
Dismas – bass

WOEST – Facebook