1914- Eschatology of War/Für Kaiser, Volk und Vaterland

Dischi molto belli, dove vengono scandagliate le assurdità della guerra, ma soprattutto le tante assurdità della nostra vita, attraverso una ricerca storica e musicale imponente e molto affascinante.

Ristampa per l’ep e l’album di debutto per questo gruppo ucraino che, con Eschatology Of War, pubblica uno dei migliori concept album mai fatti sulla prima guerra mondiale.

Dalle cariche degli Arditi italiani, ai bombardamenti degli Zeppelin passando per l’Impero Ottomano, questo disco offre una visione differente e molto aderente di ciò che è stato uno dei peggiori massacri della storia. Dietro alla patina retrò ed elegante della propaganda, a milioni cadevano in fronti davvero estremi, a causa di battaglie che si risolvevano in corpi a corpi ancestrali, o uccisi dal gas o travolti dalle bombe. In Europa quasi ogni famiglia contava un reduce o un caduto al fronte, io stesso avevo un parente che visse fino alla morte con una pallottola nel torace, ricordo di una battaglia in Trentino. I 1914 fanno un genere tutto loro, che si situa tra il black ed il death, ma li supera entrambi, andando oltre il war metal, per entrare direttamente nei nostri cuori e nelle nostre menti. Con i 1914 siamo direttamente nel campo di battaglia, con il loro fantastico metal che spazia anche nel doom o nello sludge, a seconda dei momenti ma soprattutto delle esigenze emotive. Insieme a questa ristrampa troviamo anche il primo ep del gruppo, ormai introvabile, che dà una cifra precisa della loro bravura e del loro particolare stile, annoverando anche una cover molto molto particolare di Something On The Way dei Nirvana. Dischi molto belli, dove vengono scandagliate le assurdità della guerra, ma soprattutto le tante assurdità della nostra vita, attraverso una ricerca storica e musicale imponente e molto affascinante. Se andate nella loro pagina facebook troverete materiale molto interessante sulla prima guerra mondiale.

TRACKLIST
CD1: “Eschatology of war”
1. War In
2. Gasmask
3. Frozen in Trenches (Christmas Truce)
4. Verdun
5. Caught in the Crossfire
6. Zeppelin Raids
7. Ottoman Rise
8. Arditi
9. Battlefield
10. War Out

CD2: “Für Kaiser, Volk und Vaterland!”
1. An Meine Völker! (intro)
2. Karpathenschlacht (Dezember 1914 – März 1915)
3. 8 × 50 mm. Repetiergewehr M.95
4. Gas mask (Eastern front rmx by Solar Owl)

Trench mud outtakes
5. Caught in the Crossfire (trench demo 2014)
6. Frozen in Trenches (trench demo 2014)
7. Zeppelin Raids (trench demo 2014)
8. Zeppelin Raids (Western front rmx by ✞ λ₴MѺÐ∆I ✞)
9. Something in the way (Nirvana cover, Schlacht an der Somme version)
10. Preparing for the Next War (outro)

1914 – Facebook

Bethlehem – Bethlehem‬

L’ottava fatica su lunga distanza dei Bethlehem è sicuramente un qualcosa che non deve essere trascurato, anche per il tentativo, spesso riuscito, di scandagliare l’oscurità in musica in tutti i suoi meandri, specialmente quelli più inaccessibili e ripugnanti: resta il fatto che, per il mio gusto personale, manca sempre il canonico centesimo per fare l’euro.

Ho sentito più di una persona attendere con una certa fiducia questo nuovo album dei Bethlehem, alla luce di una storia che colloca la band tedesca tra quelle fondamentali per la crescita e lo sviluppo di un certo modo di interpretare la materia estrema.

Allo stesso modo, da parte mia, c’erano diversi dubbi legati al precedente Hexakosioihexekontahexaphobia, album che non mi aveva lasciato ricordi indelebili, e questa nuova fatica autointitolata ne dissipa alcuni ma ne fa crescere altri.
Sicuramente la creatura che, ormai da molti anni, viene guidata dal solo Bartsch , non produce musica che possa lasciare indifferenti e, nonostante la matrice black sia sempre bene in vista, il risultato finale non può essere mai scontato.
D’altra parte, però, pur non volendo togliere ai Bethlehem il titolo di band seminale e imprescindibile per quella che sarebbe diventata poi la scena black metal tedesca, resta il fatto che la loro produzione è sicuramente di buon livello, considerando anche che il leader si e circondato di musicisti di spessore (tra tutti il notevole batterista Stefan Wolz) ma senza raggiungere picchi corrispondenti allo status acquisito.
Anche questo nuovo lavoro, quindi, non sposta il mio giudizio pur se, rispetto al suo predecessore, si rivela leggermente più diretto e meglio focalizzato su un’indole black doom che offre più di un passaggio avvincente e ben memorizzabile.
Un altro aspetto che potrebbe fungere da spartiacque per più di un ascoltatore è l’interpretazione fornita dalla vocalist polacca Onielar, improntata su un registro isterico, a tratti anche molto teatrale, comunque più adatto a un disco di natura totalmente depressive piuttosto che ad un contesto simile, e che a mio avviso, oltre che stucchevole alla lunga, si rivela decisamente inferiore e meno versatile rispetto alla prova fornita da Guido Meyer su Hexakosioihexekontahexaphobia.
In definitiva, l’album dei Bethlehem mostra diversi sprazzi di genialità, ma i passaggi che si ricordano più volentieri sono quelli strumentali afferenti alla matrice doom e non quelli che, invece di stupire, finiscono solo per compromettere la fluidità di certe tracce.
Così è la diretta opener Fickselbomber Panzerplauze a convincere, così come i brani più meditati e melodicamente lineari quali Kynokephale Freuden im Sumpfleben e Arg tot frohlockt kein Kind, nelle quali trova spazio in maniera più concreta il qualitativo lavoro chitarristico di Karzov, mentre tra le tracce più anomale spicca Verderbnisheilung in sterbend’ Mahr, oscillante tra riff plumbei e minacciosi e liquide pulsioni dark wave .
Bartsch si conferma compositore di vaglia e senz’altro una delle migliori menti musicali in circolazione, ma sono troppe le scelte che personalmente ritengo cervellotiche e non del tutto funzionali al risultato finale, incluso il rutto che accoglie l’ascoltatore all’inizio del lavoro e che fa solo venire voglia di restituirlo al mittente …
Detto questo, l’ottava fatica su lunga distanza dei Bethlehem è sicuramente un qualcosa che non deve essere trascurato, anche per il tentativo, spesso riuscito, di scandagliare l’oscurità in musica in tutti i suoi meandri, specialmente quelli più inaccessibili e ripugnanti: resta il fatto che, per il mio gusto personale, manca sempre il canonico centesimo per fare l’euro.

Tracklist:
1. Fickselbomber Panzerplauze
2. Kalt’ Ritt in leicht faltiger Leere
3. Kynokephale Freuden im Sumpfleben
4. Die Dunkelheit darbt
5. Gängel Gängel Gang
6. Arg tot frohlockt kein Kind
7. Verderbnisheilung in sterbend’ Mahr
8. Wahn schmiedet Sarg
9. Verdammnis straft gezügeltes Aas
10. Kein Mampf mit Kutzenzangen

Line-up:
Bartsch – Bass, Keyboards
Wolz – Drums
Karzov – Guitars, Keyboards
Onielar – Vocals

BETHLEHEM – Facebook

Endemise – Anathema

La band dei fratelli Sauvé, con questo disco, si crea decisamente la possibilità di uscire dai confini nordamercani per approdare ad un Europa senz’altro più ricettiva a questo tipo di sonorità

Lavoro di grande impatto per i canadesi Endemise, autori, con Anathema, del loro terzo full length.

La band di Ottawa è attiva da circa una decina d’anni nel corso dei quali ha senza dubbio affinato la propria conoscenza e la capacità di riproporre al meglio le sonorità symphonic black che fecero la fortuna, alla fine del secolo scorso di Cradle Of Filth e Dimmu Borgir, ed è soprattutto a questi ultimi che i nostri si rifanno, anche se in maniera non così smaccata come si potrebbe temere, un po’ come i loro colleghi statunitensi Abigail Williams.
Infatti, se il symphonic black degli Endemise è tutt’altro che sorprendente per i suoi contenuti, lo è invece per la qualità con il quale viene proposto, a partire dalla produzione, passando per una prova impeccabile a livello strumentale e vocale, e finendo con un songwriting di livello, capace di attrarre con melodie ariose che spesso di infrangono sulle accelerazioni furiose ma sempre ben controllate.
Due brani magnifici (la title track e Soma) ed un’altra manciata di episodi trascinanti e mai stucchevoli sono il fatturato più che positivo che gli Endemise mettono sul piatto: il genere offerto non sarà forse il più fresco ed innovativo possibile ma, quando viene esibito con tale cognizione di causa, è sempre un bel sentire.
La band dei fratelli Sauvé, con questo disco, si crea decisamente la possibilità di uscire dai confini nordamercani per approdare ad un Europa senz’altro più ricettiva a questo tipo di sonorità, non fosse altro che per il fatto d’avervi dato i natali.
Un lavoro che stupirà chi degli Endemise non ha mai sentito parlare, e mi si consenta, per finire, una piccola nota di colore volta anche a dirimere eventuali dubbi: anche se il vocalist di chiama Franky Falsetto non attendetevi un’interpretazione in stile King Diamond, perché il nostro si produce in uno screaming growl impietoso e di rara efficacia, che davvero non ha nulla a che spartire con il suo cognome …

Tracklist:
1.Nocturne
2.Anathema
3.Blackening
4.Procreator
5.Fragments in Stone
6.Soma
7.Come Serene Dark
8.Fragments in Flame

Line-up:
Franky Falsetto – Vocals
Dale Sauvé – Guitar
Graham Murpy – Guitar
Alex Aksentyev – Bass
David Sauvé – Drums

ENDEMISE – Facebook

Misanthropic Rage – Gates No Longer Shut

Come appare chiaro dal monicker scelto, la misantropia la fa da padrone, una malinconica e rabbiosa solitudine raccontata attraverso sette brani articolati di black metal progressivo.

Debuttano, tramite la Godz Ov War Productions, gli avantgarde black metallers Misanthropic Rage, duo polacco formatosi solo lo scorso anno.

Un ep di rodaggio licenziato all’inizio dell’anno ed ora questo Gates No Longer Shut, lavoro sufficientemente ispirato per accontentare gli amanti del black metal dalle trame progressive e dalle molte parti atmosferiche.
Il duo composto da W. alla voce e dal polistrumentista AR. rientra nella schiera di gruppi che, all’approccio oscuro ed maligno del black, aggiunge soluzioni atmosferiche intimiste e buone parti in cui risalta l’uso vario delle ritmiche.
Non mancano chiaramente le classiche sfuriate chitarristiche, lo scream diabolico e le partenze a razzo, ma in generale i brani mantengono la caratteristica di piccole e varie suite dove il gruppo si lascia andare in cangianti sfumature dai colori scuri.
Come appare chiaro dal monicker scelto la misantropia la fa da padrone, una malinconica e rabbiosa solitudine raccontata attraverso sette brani articolati che vedono nelle armonie acustiche di Into The Crypt, nel violento incedere che si trasforma in una marcia doom della seguente Niehodowalny e nelle trame maligne della conclusiva I Took The Fate In My Hands, i momenti migliori di Gates No Longer Shut.
In generale l’album risulta in grado di regalare spunti interessanti, aiutato da una produzione discreta, manca forse il classico brano sopra la media che possa trainare tutti gli altri, ma si può certo considerare il lavoro dei Misanthropic Rage come una buona partenza.

TRACKLIST
1.In A Blind Dimension
2.Gates No Longer Shut
3.I, The Redeemer
4.Into The Crypt
5.Niehodowalny
6.Cross Hatred
7.I Took The Fate In My Hands

LINE-UP
W. – Vocals
AR. – Vocals, All instruments

MISANTHROPIC RAGE – Facebook

Damnatus – Io Odio La Vita

Una buona prova d’esordio, alla quella forse manca soltanto qualche spunto melodico più incisivo e melodico in grado d’imprimersi più a lungo nella memoria.

Damnatus è il nome dato al proprio progetto solista dal musicista alessandrino Oikos, all’esordio con questo ep intitolato Io Odio La Vita.

Ci troviamo mani e piedi negli anfratti più oscuri e dolenti del depressive black, che qui viene offerto in maniera molto esplicita anche dal punto di vista lirico. Se le coordinate sonore e stilistiche sono quelle consuete del dsbm, con i protagonisti che urlano tutto il loro disagio su una base piuttosto malinconica e melodica, non si può mai fare a meno di apprezzare questa particolare forma musicale, capace di far riflettere ciascuno sui pensieri più negativi ed autodistruttivi che ognuno prova in determinati momenti della propria esistenza.
L’operato dei Damnatus rientra nella media per la sua resa finale, rivelandosi ben eseguito, tutto sommato ben prodotto per gli standard del genere e convincente anche a livello lirico, pur evidenziando a volte qualche accentuazione retorica di troppo: di sicuro, però, alla fine dell’ascolto resta la consapevolezza del fatto che l’alienazione ed il desiderio di fuga del protagonista verso un solo approdo, la morte, rappresentano un qualcosa appartenente al vissuto di tutti noi e con il quale, prima o poi, si è destinati a dover fare i conti.
Anche per questo amo il depressive, per il coraggio di chi lo suona nel mettere in piazza, con un auspicabile effetto catartico, quel malessere che spesso viene nascosto sotto maschere di convenienza che non riescono a celare del tutto l’inanità di gran parte dei nostri gesti quotidiani.
Per Oikos, quindi, una buona prova d’esordio, alla quella forse manca soltanto qualche spunto melodico più incisivo e melodico in grado d’imprimersi più a lungo nella memoria.

Tracklist:
1. Intro
2. Primavera depressa
3. Ricaduta
4. Le ferite non si rimarginano
5. Il ricordo inesistente di una vita andata a male

Line-up:
Oikos – Vocals, All Instruments

Dreariness – Fragments

I Dreariness confermano e rafforzano con Fragments il loro status di band capace di produrre musica di bellezza cristallina, ammantata da una spessa coltre di oscurità ed inquietudine.

Attendevo con curiosità il secondo album dei Dreariness, band che mi aveva colpito alla sua prima uscita (My Mind Is Too Weak To Forget – 2013) con una proposta radicata nel depressive, ma con quel qualcosa in più a livello poetico e melodico in grado di fare la differenza.

In questo nuovo Fragments il sound appare più meditato in molte sue parti, ma nulla cambia riguardo al tormento e la sofferenza che la musica dei Dreariness induce, utilizzando come strumento aggiunto la voce di Tenebra, che si dimostra una delle interpreti più credibili del settore.
Il suo screaming esasperato è accompagnato da vocals pulite (altro elemento di novità rispetto al passato) che ne sono l’ideale contraltare, e il tutto va a comporre un quadro compositivo che si potrebbe definire depressive blackgaze ma che, in fondo, è solo un modo come un altro, per quanto necessario, di definire un sound in cui le melodie create da Gris e ben punteggiate dal drumming di Torpor vengono trasformate in qualcosa di realmente inquietante dagli interventi vocali.
Infatti, se gli Alcest, con il loro shoegaze, ci conducono per mano all’interno dei sogni di Neige, con i Dreariness ci si addentra in una realtà onirica prossima all’incubo, quasi che le asprezze vocali intendano riportarci bruscamente ad una realtà che la mente immagina meno ostile e più rassicurante.
Vengono rappresentati frammenti di luce, a tratti abbacinante, che vivono nella nostra mente lo spazio della vita di una lucciola, prima d’essere oscurati dall’inquietudine e dal senso di costante inadeguatezza di fronte al mistero dell’esistenza: un qualcosa che ogni mente dotata di n minimo di raziocinio non può fare a meno di provare.
Melodie struggenti sono la colonna sonora di una vita in frantumi, la cui catarsi finale però non avviene necessariamente con l’autoannientamento, ma può giungere anche attraverso un azzeramento del proprio vissuto propedeutico ad una nuova rinascita.
Di certo l’ascolto di un album dei Dreariness non è mai né semplice né banale: questa è musica che provoca non poco turbamento, anche se le sonorità meno aspre rispetto al più classico depressive favoriscono un approccio meno ostico per chi dovesse approdare a Fragments con un background meno estremo.
Quasi un’ora di musica sognante, che la voce di Tenebra trasforma sovente in un incubo dal quale il risveglio, però, potrebbe rivelarsi tutt’altro che una liberazione, è il magnifico contenuto di un album dall’elevato impatto emotivo, nel quale ogni passaggio è funzionale allo scopo e dove The Blue ( traccia “novembrina” non solo per il titolo) e In The Deep Of Your Eyes catturano qualche consenso in più nella mia personale scala di gradimento, prima che la splendida Catharsis chiuda il lavoro quale autentico manifesto concettuale reso ancor più potente dall’utilizzo della nostra lingua.
I Dreariness confermano e rafforzano con Fragments il loro status di band capace di produrre musica di bellezza cristallina, ammantata da una spessa coltre di oscurità ed inquietudine: francamente, oggi, non credo ci sia in giro un’altra realtà, in questo specifico settore, capace di trasmettere con eguale forza e cristallina bellezza un tale senso di senso di prostrazione e smarrimento.

Tracklist:
1. Starless Night
2. The Blue
3. Essence
4. In the Deep of Your Eyes
5. Somnium
6. No Temporary Dreams
7. Catharsis

Line-up:
Tenebra – Vocals
Grìs – Guitars, Bass, Keys
Torpor – Drums

DREARINESS – Facebook

Terra – Mors Secunda

Un disco meraviglioso, che riuscirà a toccare dentro chi è ancora disposto ad emozionarsi con la musica pesante.

Ultimamente in Inghilterra c’è un gran fermento nell’ambito della musica estrema.

Stanno uscendo moltissimi bei dischi e ci sono gruppi molto validi, e ci sono anche gruppi eccezionali come i Terra, che vengono da Cambridge che fanno musica eccezionale, tra il black metal e l’atmospherical, ma più che dare definizioni è importante ascoltarli, perché in questi due pezzi di lunga durata raggiungono apici davvero notevoli. In certi momenti sembra che la sezione ritmica faccia una cosa, mentre la chitarra si fonde con un vento che porta lontani e la voce rimbomba da antichi e ancora vergini anfratti. Il risultato è di un’intensità e coinvolgimento eccezionali, si rimane attaccati ad ascoltare cosa viene dopo quel giro continuo di basso, o quella rullata che introduce qualcosa di meraviglioso. Un disco meraviglioso, che riuscirà a toccare dentro chi è ancora disposto ad emozionarsi con la musica pesante.

TRACKLIST
01. Apotheosis
02.Nadir

LINE-UP:
Luke Braddick – Drums
Olly Walton – Vocals, Bass
Ryan Saunders – Vocals, Guitars

TERRA – Facebook

Mordskog – XIII

Un debutto davvero positivo, un gran disco di black metal dal Messico.

Direttamente da Città Del Messico ecco i Mordskog, per i tipi della brutale Werewolf Records.

Questi blasfemi messicani propongono un black metal molto influenzato dalla seconda ondata del genere. Il loro black metal è molto ben suonato, è intellegibile e veloce, ed è di grande effetto. Il loro stile non è nulla di nuovo, ma questi messicani lo fanno molto meglio di tanti altri, arrivando ad imprimersi in maniera ben definita nelle orecchie e nel cervello dell’ascoltatore. I Mordskog sono veloci e spietati, e i loro testi parlano della morte, vista nell’ottica di qualcosa di essenziale per la vita stessa, e non solo come la fine della vita umana, ma un andare oltre, non le bugie raccontate dalla chiesa cattolica che in Messico conoscono bene quasi quanto noi italiani. Un debutto davvero positivo, un gran disco di black metal dal Messico.

TRACKLIST
1 Lautem Novedialem
2 Nascentes Morimur
3 Aequo Pulsat Pede
4 Pulvis Et Umbra Sumus
5 Mors Est Vitae Essentia
6 Ad Me Venite Mortui
7 C.A.M
8 Mors Vincit Omnia
9 todos ustedes deben mor

MORDSKOG – Facebook

Lesbian – Hallucinogenesis

Dall’underground del metal estremo una piccola gemma da scoprire lentamente!

Logo black metal, nome che colpisce l’attenzione, questi cinque musicisti, alcuni derivanti dagli Accused (“Martha splatterhead”), dagli Asva e dai Burning Witch, sono giunti al quarto full in circa dieci anni di attività e continuano ad elaborare, attorcigliare il loro suono attorno a derive doom, sludge, death, progmetal, black, stoner per un risultato che appare caotico ma sempre intelligibile.

Non è assolutamente facile “catalogarli” ma forse il modo migliore per approcciarli è lasciarsi trasportare in questo caos sonoro, stordente, talvolta anche fuori fuoco, ma del resto anche già a partire dalla cover ci indicano la strada; non parliamo poi del concept che regge tutta l’opera “collisione sulla terra di un asteroide ripieno di spore fungine con la creazione di una nuova alba e di una nuova coscienza\spiritualità in cui sopravvive il KOSMOCERATOPS come signore di questa nuova terra”.
Mentre nel loro precedente “Forestelevision” avevano deflagrato con il brano omonimo di quarantacinque minuti, ora il nuovo full presenta quattro brani (dai nove ai quindici minuti) ed è pubblicato dalla americana Translation Loss, nota per pubblicare molte band dal suono “indefinito” (Mouth of an Architect, Intronaut, Rosetta…); fino dal primo loro lavoro “Power Hor” del 2007 i Lesbian continuano a miscelare nel modo più “weird” (con titoli delle song come Pyramidal existinctualism o La brea borealis) possibile i vari generi dal black al death, dal progmetal allo stoner lanciandosi in selvagge cavalcate volte a fondere tutti i suddetti generi, il tutto accompagnato dal growl o dallo scream del nuovo singer Brad Mowen.
Bisogna, come spesso accade, essere nel mood giusto per poter apprezzare, anche dopo ripetuti ascolti queste miscele sonore create da musicisti che non hanno mai timore di ampliare i loro e i nostri orizzonti sonori.

TRACKLIST
1. Pyramidal Existinctualism
2. La Brea Borealis
3. Kosmoceratops
4. Aqualibrium

LINE-UP
Daniel J. La Rochelle – Guitars (rhythm)
Bradley J. Mowen – Vocals
Arran E. McInnis – Guitars (lead)
Dorando P. Hodous – Bass, Vocals
Benjamin P. Thomas-Kennedy – Drums, Percussion

LESBIAN – Facebook

Witchery – In His Infernal Majesty’s Service

Il nuovo album risulta uno dei migliori della discografia degli Witchery nel nuovo millennio e noi non possiamo che inchinarci a cotanta maestria in questo tipo di sonorità.

E si torna a navigare a vele spiegate verso l’inferno, dopo sei lunghi anni di attesa in compagnia degli Witchery.

Il gruppo svedese, che si avvicina al ventennale di una carriera all’insegna del più devastante death/black ‘n’ roll, e che vede tra le sue file quel monumento al metal estremo che risulta Sharlee D’Angelo, bassista che nei suoi lunghi anni di militanza nella scena metal ha fatto parte di band che chiamare storiche è un eufemismo (Arch Enemy, Spiritual Beggars, The Night Flight Orchestra, Mercyful Fate, Illwill, King Diamond, Sinergy, tra le tante) insieme all’axeman Patrik Jensen, e di altri tre stregoni cattivissimi, torna a far danni con questo ultimo ed infernale lavoro e sono dolori.
Erano altri tempi quando il tramonto della prima ondata del death metal melodico scandinavo era alle porte e quello che, allora, venne definito dai più un super gruppo estremo, spazzò via le ultime resistenze delle truppe melodiche, sotto i colpi mortali di un sound scarno, diretto, violento e senza compromessi, racchiuso negli ormai seminali Restless & Dead (1998) e Red, Hot & Ready (1999); dopo altri tre album nel decennio scorso, la band si ripresenta a sei anni di distanza dall’ultima uscita, con una line up in parte rinnovata dai nuovi innesti di Chris Barkensjo alle pelli ed Angus Norder a sbraitare collera e blasfemie sugli undici devastanti brani che compongono In His Infernal Majesty’s Service.
Poche nuove, buone nuove, si dice: gli Witchery tornano più malvagi e sinistri che mai, il loro sound continua a mietere vittime sui roghi del metal estremo pregno di attitudine death/black e con quell’insano gusto rock ‘n’ roll che fa la differenza; i due nuovi compari sono all’altezza del compito e l’album si lascia ascoltare che è un piacere tra pochi ma perfetti camei horror, metal estremo di alto rango ed un impatto che molte delle nuove leve si sognano.
I titoli sono tutto un programma da Nosferatu, a The Burning Salem, da Lavey-athan (devastante opener) all’organo messianico che fa da preludio all’enorme Escape From Dunwich Valley, traccia che fa scuola tra le file degli adepti al genere.
Un ritorno, per certi versi a sorpresa, che non poteva essere più gradito: il nuovo album risulta uno dei migliori della discografia degli Witchery nel nuovo millennio e noi non possiamo che inchinarci a cotanta maestria in questo tipo di sonorità.

TRACKLIST
1. Lavey-athan
2. Zoroast
3. Netherworld Emperor
4. Nosferatu
5. The Burning Of Salem
6. Gilded Fang
7. Empty Tombs
8. In Warm Blood
9. Escape From Dunwich Valley
10. Feed The Gun
11. Oath Breaker

LINE-UP
Angus Norder – Vocals
Jensen – Guitar
Rikard Rimfält – Lead Guitar
Sharlee D’Angelo – Bass
Chris Barkensjö – Drums

WITCHERY – Facebook

Laster – Ons Vrije Fatum

Non è black metal, seppur cominci da lì, sono i Laster, un gruppo da scoprire ed ascoltare, perché è un’esperienza davvero unica.

Particolarissimo gruppo olandese di black metal di alta qualità, con rimandi new wave e forte teatralità.

Gli olandesi sono al secondo disco, dopo l’ottimo debutto con De verste verte is hier,e dimostrano di essere un gruppo assolutamente peculiare. Il loro black metal è molto innovatore, contenendo il vecchio stile come partenza, ma il risultato è qualcosa di assai difficile da classificare. Viene in mente la new wave, soprattutto per la tensione che si crea in questi pezzi, dove la musica sembra essere davvero suonata da fantasmi, come nelle loro esibizioni con maschere di ossa. Il disco è ammantato di una malinconia, di uno spleen sublimato da un talento musicale superiore che di questo disco uno dei migliori e maggiormente innovatori di quest’anno. Non è black metal, seppur cominci da lì, sono i Laster, un gruppo da scoprire ed ascoltare, perché è un’esperienza davvero unica. Obscure Dance Music.

TRACKLIST
01 Ons vrije fatum
02 Binnenstebuiten
03 Bitterzoet
04 Helemaal naar huis
05 De tijd vóór
06 De roes na
07 Er wordt op mij gewacht

LINE-UP:
S. – All instruments, Vocals
N. – All instruments, Vocals
W. Damiaen – All instruments, Vocals

LASTER – Facebook

Barbarian Swords – Worms

Secondo full length per i catalani Barbarian Swords, band capace di offrire un interpretazione piuttosto interessante del black metal imbastardendolo con una massiccia dose di doom.

Secondo full length per i catalani Barbarian Swords, band capace di offrire un interpretazione piuttosto interessante del black metal imbastardendolo con una massiccia dose di doom.

Worms è un album che mostra, volutamente, gli aspetti meno politically correct del metal, con la sua ricerca di passaggi ad effetto che vanno ad enfatizzare brutalità assortite (ne sono testimonianza titoli di brani come The Last Virgin On The Earth, Sodomized o Carnivorous Pussy, che non lasciano molto spazio ad equivoci).
Detto questo, l’operato della band si rivela interessante, sicuramente non tedioso e, fatte tutte le debite proporzioni e sostituendo la componente thrash con quella black, Worms ricorda non poco per modus operandi quel Slow, Deep And Hard che fu il primo dirompente album dei Type O Negative.
E’ bene precisare che le similitudini si fermano all’alternanza tra sfuriate e rallentamenti mortiferi e, soprattutto, all’ostentata misoginia dei loro interpreti, perché si tratta alla fine di due lavori che sono ben lungi dal poter essere avvicinabili l’un l’altro per importanza e valore, ma non per questo però Worms va sottovalutato o messo nel dimenticatoio
I Barbarian Swords svolgono infatti il loro compito al meglio, portando alle estreme conseguenze le proprie peggiori perversioni senza porsi particolari limiti né etici ne musicali: ne scaturisce un album sporco, cattivo e pervaso da un filo di humour nerissimo, con brani notevoli come Christian Worms (che, seppur solo nel titolo richiama un’altra traccia storica della band di Steele come Christian Woman) o The Last Virgin On The Earth, Sodomized, senza contare l’interminabile incubo doom di Requiem.
Ecco, forse al gruppo di Barcellona viene meno solo il dono della sintesi, perché settanta minuti di questo tenore potrebbero rivelarsi indigesti per molti, esclusi gli appassionati di doom che non disdegnano atmosfere truculente e grottesche.

Tracklist:
1. I’m Your Demise
2. Outcast Warlords
3. Pure Demonology
4. Christian Worms
5. Total Nihilism
6. The Last Virgin On The Earth, Sodomized
7. Carnivorous Pussy
8. Requiem
9. Ultrasado Bloodbath

Line-up:
Panzer – Bass
Joe Beltza – Drums
Steamroller – Guitars
Voice Of Noise – Guitars
Von Pax – Vocals
BARBARIAN SWORDS – Facebook

Siaskel – Haruwen Airen

Questo disco è speciale, poiché raramente si riesce ad ascoltare un black death che riesca a coniugare epicità ma, anche e soprattutto, un’esecuzione pulita e chiara, che conferisce maggior forza al disco

Secondo disco per i cileni Siaskel, un combo black metal che tratta nei suoi lavori della cultura Selk’nam.

Questi ultimi erano gli abitanti indigeni del lembo più estremo della Patagonia. L’origine dei Selk’am si perdono in ere davvero lontane da noi, e quel che poco che si sa di loro lo si deve ai pochi sopravvissuti e a racconti perlopiù orali. Il black death di ottima fattura dei Siaskel ci riporta vivide immagini della vita, della mitologia e della forza di questa popolazione. Come altre volte il linguaggio del black metal serve a riscoprire le proprie origini e le vere tradizioni, ed un genere musicale che si vuole nichilista per antonomasia riesce a compiere un salvataggio storico culturale molto importante. Musicalmente Haruwen Airen è un disco molto maturo, potente e ben suonato con una forza ben definita, e fa parte di un percorso che se compiuto porterà i Siaskel molto lontano. Questo disco è speciale, poiché raramente si riesce ad ascoltare un black death che riesca a coniugare epicità ma, anche e soprattutto, un’esecuzione pulita e chiara, che conferisce maggior forza al disco. I Siaskel sono un gruppo dalla forte personalità, e con questo lavoro vanno ben oltre la nomea di gruppo interessante.

TRACKLIST
1.Hechuknhaiyin Yecna Shuaken Chima
2.Só`ón Hás-Kan
3.Haruwen Airen
4.Hais
5.Hain
6.Mai-ich
7.Han K´win Sa

SIASKEL – Facebook

Paganland – From Carpathian Land

Il lavoro scorre molto fluido dall’inizio alla fine, regalando una quarantina di minuti di buona musica che, se non gode di una particolare peculiarità, neppure aderisce in maniera scoperta ad un preciso modello compositivo.

Gli ucraini Paganland sono una delle tante band che, nonostante una genesi risalente ai primi anni del secolo, hanno trovato un muovo impulso negli ultimi anni dopo un lungo silenzio discografico.

Questo From Carpathian Land è, infatti, il terzo full length negli ultimi tre anni per il gruppo di Lviv, dedito come da ragione sociale ad un black metal epico dalle venature folk
Niente di nuovo, ovviamente, ma eseguito nel migliore dei modi e qui potremmo chiudere, non potendoci essere particolare sorpresa nell’ascoltare i brani racchiusi nell’album e neppure nel constatare la bravura dei Paganland nel proporli, con una propensione assolutamente in linea con la buona tradizione della scena ucraina.
Il black metal offerto in From Carpathian Land, alla fine, mostra un lato ben più epico che folk ed è maggiormente caratterizzato da ampie aperture atmosferiche e da ottime progressioni chitarristiche; il lavoro scorre molto fluido dall’inizio alla fine, regalando una quarantina di minuti di buona musica che, se non gode di una particolare peculiarità, neppure aderisce in maniera scoperta ad un preciso modello compositivo.
Tra i brani segnalerei la magnifica Black Mountain, rimarcando il fatto che di passaggi a vuoto non se ne riscontrano anche grazie al buon gusto melodico che contraddistingue le parti atmosferiche.
Un buon lavoro che non deluderà gli appassionati di pagan black.

Tracklist:
1. Stozhary [Стожари] (Intro)
2. At the Heart of Carpathians [У Серці Карпат]
3. Black Mountain [Чорногора]
4. Belted by Spirit [Підперезаний Духом]
5. The Gloom [Морок]
6. From Carpathian Land [З Карпатського Краю]
7. Chuhayster [Чугайстер] (Outro)

Line-up:
Ruen – keyboards
Lycane – drums
Eerie Cold – guitars
Zymobor – vocals
Ivan – bass

Earth And Pillars – Pillars I

Si rimane attoniti e piacevolmente allibiti nell’ascoltare canzoni di oltre quindici minuti, che come un vento impetuoso ci sradicano dall’abituale sradicamento del tempo come lo conosciamo, per portarci lontano, ma anche molto vicini alla nostra anima.

Il black metal è uno dei linguaggi musicali più ricchi e vari che siano mai esistiti.

Come in un laboratorio si possono acquisire elementi e conoscenze standard per poi fare qualcosa di completamente nuovo, una fotografia di un angolo ancora sconosciuto. Gli Earth And Pillars fanno proprio questo, inventano un qualcosa che non c’era prima, seppur usando elementi conosciuti. Si potrebbe definire per facilità il loro black metal come atmosferico, mentre sarebbe più appropriato dire che lo suonano nell’atmosfera, poiché la loro musica porta lontano, molto lontano. Pillars I è un disco di valore assoluto, incredibile dalla prima all’ultima nota, contenente un miliardo di emozioni, di lacrime e voli radenti su foreste innevate, ma soprattutto di libertà, sia di creare che di immaginare. Il gruppo fa una musica che è in parte suono, ma in gran parte sentimento, un sentire diverso rispetto a quello che possiamo provare. Nelle loro lunghe canzoni si alternano sfuriate e pezzi quasi elettro ambient, per poi riprendere il viaggio, mischiando sudore, freddo e morte. L’atmosfera che pervade il disco, il suo nucleo più nascosto è un magma che brucia incessantemente, un continuo cercare, un sublimare il nostro destino di sofferenza. Da molto tempo non si ascoltava un disco come Pillars I in ambito black metal atmosferico, come in altri ambiti. Si rimane attoniti e piacevolmente allibiti nell’ascoltare canzoni di oltre quindici minuti, che come un vento impetuoso ci sradicano dall’abituale sradicamento del tempo come lo conosciamo, per portarci lontano, ma anche molto vicini alla nostra anima. Ognuno qui deve aggiungere qualcosa di suo, lasciando il suo io, perché qui c’è di meglio. Tastiere, chitarre distorte, caverne e radure incontaminate.
Chiudere gli occhi ed ascoltare.
Stupefacente, sognante e tremendamente vivo.

TRACKLIST
1.Pillars
2.Myth
3.Solemnity
4.Penn

EARTH AND PILLARS – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Draugsól – Volaða Land

I Draugsól fanno un black metal unico per intensità, potenza e melodia, vicino ai primi Ulver per epicità e maestosità.

Black metal dall’Islanda, incredibile vulcano musicale sempre attivo, con una qualità incredibile. Questa volta la splendida isola ci regala un disco di black metal molto bello e nero.

I Draugsól fanno un black metal unico per intensità, potenza e melodia. In un vortice sonoro questi islandesi, anche grazie ad un’ottima produzione riescono a metterci dentro davvero tante cose, riuscendo ad essere incisivi come pochi altri gruppi. Il loro orientamento è classicheggiante, ma hanno anche bordate improvvise, specialmente con le chitarre che li fanno avvicinare al migliore death metal. La musica che proviene dai Draugsól potrebbe essere la colonna sonora dell’avanzata verso la città di Minas Tirith, una massa abnorme e crudele. Ma in fondo queste narrazioni, il tutto fieramente in islandese, sono paradigmi per descrivere la lotta che abbiamo dentro noi stessi in quanto uomini, quelle continue tensioni e lanci nel vuoto. I Draugsól sottolineano il tremendo fatto che noi siamo i creatori e allo stesso tempo i distruttori di noi stessi, in un incessante cambio di abiti mentali e di progressioni miste a cadute incredibili. Si lotta senza tregua, come una canzone, ed è riduttivo definire così le creazioni dei Draugsól. In tutto ciò fa capolino la paura dello sconosciuto, tema che gli islandesi penso conoscano molto bene, dato che per loro c’è stato molto di sconosciuto, ma tutto ciò li ha portati ad essere un popolo ben definito e soprattutto un popolo che suona. Un album eccezionale, epico e maestoso, che ricorda i primi Ulver, ma che in realtà è solo Draugsól. Un gran disco di black metal islandese pubblicato da una grande etichetta portoghese, e nel black metal questa è la chiusura perfetta del cerchio.

TRACKLIST
1.Volaða Land
2.Formæling
3.Bót Eður Viðsjá Við illu Aðkasti
4.Spáfarir Og Útisetur
5.Váboðans Vals
6.Holdleysa

DRAUGSOL – Facebook

Esperoza – Aum Corrupted

Un cantico oscuro, un’ora di musica estrema e dalle evocative atmosfere sinfoniche

Un cantico oscuro, un’ora di musica estrema e dalle evocative atmosfere sinfoniche, in cui la parte gotica viene violentata da un bombardamento metallico, per un’opera che va molto vicino ai suoni di in un girone infernale messo a soqquadro dall’arma più letale in mano alle forze oscure, la musica.

Se è vero che l’arte delle sette note, o almeno una sua gran parte, è quanto di più vicino alle forze demoniache ci sia in questo mondo, se l’uomo si allontana da dio ipnotizzato dalle melodie lascive che amoreggiano con la brutalità dell’estremo, se l’umano lato oscuro è continuamente messo alla prova e ammaliato dal mistero e dalla perversione, con Aum Corrupted, nuovo album del gruppo moldavo Esperoza, siamo vicini alla perfezione.
Il trio di Chisinau è l’ennesima scoperta della WormHoleDeath, un altro gruppo assolutamente fuori dai soliti canoni, una creatura che fa dell’arte oscura una meravigliosa e destabilizzante musica estrema, classica nell’approccio, varia nel saper muoversi con sagacia in molti dei generi estremi, originale nell’amalgamare orchestrazioni con un metal brutale, devastante, intenso e a suo modo progressivo.
La musica degli Esperoza è teatrale nella sua più pura concezione, iniziando dall’uso della voce operistica, ma lontana anni luce dalle female fronted band odierne, interpretativa, evocativa, come uno spirito che porta la morte o la possessione, terribilmente affascinate ma pericolosissima, mentre il male, diretto, violento e terribile arriva ad imprigionare l’anima con growl e scream direttamente dal più buio pozzo di anime nere: quella la voce, che fino ad un momento prima, ipnotizzava e ci trascinava inconsapevoli verso la perdizione, si trasforma in un demoniaco ed ultimo cantico prima del buio infinito ed il silenzio perenne.
Zoya Belous , Dmitrii Prihodko e Vadim Cartovenko hanno creato un’opera entusiasmante, difficile da catalogare con la classica etichetta da scrivere in calce alla recensione: Aum Corrupted è un contenitore di musica che ha nell’estremo il suo credo, ma che si riempie di sfumature ed atmosfere, talmente varie da perdere ogni certezza man mano che ci avviciniamo alla conclusione.
Black metal, death, doom, dark prog, gothic, symphonic, ognuno troverà il suo appiglio per non perdersi irrimediabilmente tra i meandri di un sound che lascia indizi come le briciole di Pollicino, ma che se verranno seguite porteranno là, da dove non si torna più ed è facile che accada ascoltando gemme oscure come Egohypnotized, Tomb Of Deeds, Periods Of 8, ma è tutto il lavoro che lascia senza fiato.
Come detto è molto difficile fare paragoni, il sottoscritto ha trovato in molte atmosfere il maligno ed orrorifico talento dei Devil Doll, chiaramente in versione più estrema e sinfonica, ma le note che escono dal tocco dei tasti d’avorio mi conducono verso il mondo di Mr.Doctor, poi la furia estrema tocca devastanti vertici black, death e doom, che mantengono sempre alta la tensione in questa colonna sonora pregna di magnifica, teatrale e diabolica oscurità.

TRACKLIST
01. A Broken Passage (Intro)
02. Egohypnotized
03. Unknown Summons
04. Tomb of Deeds
05. Nocturne Opus 93
06. Blame it on Me
07. Periods of 8
Desolate Grief (Interlude)
09. I Rot
10. ..and here comes the immaculacy / Aum Mantra (you will be punished for your prayers)

LINE-UP
Zoya Belous – Vocals
Dmitrii Prihodko – Guitar
Vadim Cartovenko – Drums

ESPEROZA – Facebook

Reveal – Flystrips

Black/death metal old school, forse un po’ troppo, tanto che sembra di essere al cospetto di un demo dei primi anni novanta, con suoni terribili, voce dall’oltretomba e batteria piatta.

Sfatiamo il luogo comune che, tutto quello che viene dai paesi scandinavi sia di livello superiore alle scene degli altri paesi.

E’ indubbio che la maggior parte delle realtà metalliche nate al nord, anche per un discorso culturale e sociale (la musica in quelle nazioni ha sempre avuto molta importanza nello sviluppo sociale dell’individuo) sia di un livello molto alto, ma non mancano certo i gruppi che non danno qualitativamente quello che il loro paese di nascita promette.
I Reveal, per esempio sono un combo black/death di Uppsala, attivo da una decina d’anni e con due lavori alle spalle: il full length Nocturne of Eyes and Teeth, uscito nel 2011, ed il singolo Cadmium di quest’anno, che apriva la strada a questo nuovo lavoro, Flystrips.
Black/death metal old school, forse un po’ troppo, tanto che sembra di essere al cospetto di un demo dei primi anni novanta, con suoni terribili, voce dall’oltretomba e batteria piatta.
Peccato, perché la band ha molte frecce al proprio arco: un sound destabilizzante, un approccio schizoide e dall’attitudine punk, ben nascosto tra le trame di brani a loro modo originali, che tornano indietro agli anni dei primi passi di quello che diventerà il temibile black metal scandinavo.
Poco più di mezz’ora faticando tra i non suoni di un lavoro obsoleto, magari idolatrato dai fans duri e puri, ma poco incline ad essere apprezzato, anche da chi, come il sottoscritto, ama il metal estremo old school.
Non mancano comunque buone idee, la band ha degli spunti interessanti e bizzarri e, specialmente negli intricati riffi trova il proprio punto di forza: poco per andare oltre una sufficienza risicata, che di questi tempi per Flystrips equivale ad un probabile oblio.

TRACKLIST
1. I Am Going To Eat You
2. Leopard Cunt
3. Heart
4. Cadmium
5. Comes Crashing Down
6. Stale Smoke***
7. Old Speckled One
8. Tame Your Neighborhood (with knives)

LINE-UP
Spine – guitar
Gottfrid – bassguitar
Petter– drums & percussion
Crack – vocals

REVEAL – Facebook

Insonus – Nemo Optavit Vivere

La capacità di variare le sfumature stilistiche da parte degli Insonus, rende Nemo Optavit Vivere un lavoro di un certo interesse.

Ep d’esordio per gli Insonus, duo italiano che va ad inserirsi nell’affolata scena black metal.

La maniera per farsi notare in questo specifico settore, tralasciando la remota possibilità che qualcuno che riesca ad introdurre particolari elementi innovativi nel proprio sound, è sicuramente quella di intepretare la materia in maniera coerente e competente, anche se non sempre si rivela ugualmente utile a raggiungere lo scopo.
Gli Insonus, in ogni caso, il loro compito lo svolgono in maniera egregia, con la proposta di un black che in certe parti sembra spingere più sul versante depressive, mentre in altre rimane nell’alveo della tradzione, il tutto però sempre con una buona propensione nel creare linee melodiche capaci di attrarre l’attenzione del’ascoltatore.
Proprio la capacità di variare le sfumature stilistiche da parte del duo, rende Nemo Optavit Vivere un lavoro di un certo interesse, proprio perché offre la sensazione di una ricerca musicale che va oltre la ripoposizione fedele degli stlemi del genere.
Così, se The Solution è una bella traccia nello stile dei migliri Arckanum, Bury Me esplora n manira decisa il versante depressive, con un andatura più rallentata ed il canonico scraming disperato a fare da corollario; Nihist Manifesto è un brano che, dopo un’introduzione pacata, diviene inarrestabile quando le ritmiche si fanno a trati parossistiche, mentre Life Hurts A Lot More Than Death è un pregevole episodio di matrice ambient.
L’ep indica senz’altro buone doti compositive da parte degli Insonus e gli scostamenti stilistici denotano il lodevole tentativo di non apparire eccessivamente calligrafici, cosa che riesce loro piuttosto bene: a mio avviso il brano più focalizzato ed incisivo è The Solution, ma anche i restanti risultano degni di una certa attenzione. Un esordio decisamente positivo.

Tracklist:
1. The Solution
2.Bury Me
3.Nihilist Manifesto
4.Life Hurts A Lot More Than Death

Line-up:
R. – Guitars, Additional Vocals, Songwriting
A. – Vocals, Lead guitars, Bass, Programming, Arrangements

INSONUS – Facebook

Gaerea – Gaerea

Quello dei Gaerea è black metal di elevata qualità, corrosivo per contenuto ed aspro nella sua forma, nonostante non disdegni passaggi più melodici ed altri più ragionati.

Ep d’esordio per i Gaerea, band che mantiene un rigoroso mistero sulla propria provenienza (alcuni li danno per italiani, ma altri indizi farebbero pensare a dei portoghesi), un aspetto che, alla fine, si rivela marginale quando è la musica stessa a poter parlare.

Quello dei Gaerea è, infatti, black metal di elevata qualità, corrosivo per contenuto ed aspro nella sua forma, nonostante non disdegni passaggi più melodici ed altri più ragionati, come avviene nella conclusiva Void Of Numbness.
Sarà forse l’idea che possano essere portoghesi a farmi balenare questa sensazione, ma trovo nel sound dei Gaerea (specialmente nell’operer Sanctificato) qualcosa di quel piccolo gioiello di arte nera intitolato Hermeticum, rimasto un episodio isolato ed uscito a nome Daemonarch, che altri non erano se non i Moonspell sotto mentite spoglie.
Un approccio lacerante e impietoso, senza però apparire mai troppo algido come certe volte accade alle band scandinave o tedesche, depone a favore per una provenienza ed un background musicale se non mediterraneo, sicuramente di matrice sudeuropea; in questa mezz’ora scarsa i Gaerea ci fanno capire diverse cose, oltre a spiegarci il loro personale (e per lo più condivisibile) punto di vista sulle questioni religiose: nonostante il voler mantenere il riserbo sull’identità dei membri il più delle volte possa apparire un’inutile messa in scena, questi fanno decisamente sul serio e l’ep potrebbe costituire la premessa ad un futuro discografico di notevole importanza.
La tensione compositiva è palpabile, la produzione è di standard superiore alla media per il genere, così come l’abilità che questi musicisti dimostrano nei cinque brani contenuti in un ep che, senz’altro, farà parlare molto (e prevalentemente bene) gli addetti ai lavori, in attesa che il nome Gaerea venga del tutto sdoganato anche tra i non pochi appassionati dell’arte musicale più oscura.

Tracklist:
1.Santificato
2.Final Call
3.Pray To Your False God
4.Through Time
5.Void Of Numbness

GAEREA – Facebook