Godwatt – L’ultimo Sole

I Godwatt sono l’ennesimo esempio di come nel nostro paese si fa musica come e, molto spesso, meglio dei paesi con molta più tradizione e credito, è giunta l’ora di supportare e far uscire allo scoperto le nostre realtà.

Una cascata di riff pesantissimi, una marmorea statua innalzata per glorificare le sonorità doom, il tutto originalmente cantato in Italiano, questa è la clamorosa proposta dei laziali Godwatt, tornati sul mercato con questo monolitico L’Ultimo Sole, licenziato dalla Jolly Roger Records.

Sono sincero, non conoscevo il terzetto nostrano, da dieci anni in attività, prima con il monicker Godwatt Redemption, ridotto successivamente in Godwatt, non prima di aver dato alle stampe due full length autoprodotti, The Hard Ride of Mr. Slumber nel 2008 e The Rough Sessions del 2012.
Tre anni fa, la riduzione del monicker e la scelta di cantare in lingua madre portano il gruppo a Senza Redenzione, nuovo lavoro seguito dall’ep Catrame e dall’ultimo full length MMXVXMM, licenziato all’inizio dello scorso anno e sempre autoprodotto.
L’ultimo periodo è contraddistinto dalla firma per la label nostrana e da questo nuovo lavoro che racchiude sette brani ri-registrati dal precedente album, più due da Senza Redenzione (Scheletro e Venus, ma solo nella versione cd).
Una band dalla personalità debordante, valorizzata da esperienze live accanto a gruppi come Ufomammut, Necrodeath, Doomraiser, Zippo, Karma To Burn, un sound di una pesantezza inumana che risulta molto più legato alla musica del destino che allo stoner, e la scelta, fuori dagli schemi del genere, di cantare in italiano testi di lucida decadenza, sono gi elementi che impreziosiscono queste nove incudini di metallo pesantemente lento e cadenzato, composto da una serie di riff che riducono in cenere.
Moris Fosco (chitarra e voce), Mauro Passeri (basso) e Andrea Vozza alle pelli, giustamente fanno spallucce al suono desertico, tanto di moda di questi tempi (e che io adoro, non fraintendetemi) per tornare al doom classico, messianico, oscuro e monolitico, come la discesa inesorabile di lava che cade dopo l’esplosione del vulcano attivo che risulta questo lavoro, pescando a piene mani dai gruppi della scena di primi anni novanta come i Cathedral del reverendo Dorrian e in parte dalle band d’oltreoceano come Saint Vitus ed i Revelation, e aggiungendo pochi ma azzeccati elementi settantiani che danno quel giusto tocco vintage.
Lo stoner è comunque presente, in qualche passaggio più acido, ma nel disco regna sua maestà il doom, lento, a tratti claustrofobico, inesorabile nella sua marcia cadenzata che accelera leggermente per stenderci al tappeto con frustate heavy rock, che strappano le carni, torturate nel sabba ossianico a cui i Godwatt ci invitano, vittime inconsapevoli di questa cerimonia di decadente e ruvido metallo.
Memoria, Cenere, la title track, il basso di Nessuno Mai, che pulsa come un cuore strappato ed in mano ad un sacerdote pazzoide, sono le songs che strappano applausi, ma è il lavoro nella sua interezza che non lascia scampo, con le due chicche finali tratte dal disco del 2013 (Scheletro e Veleno) che confermano il valore assoluto del combo laziale con un’heavy rock che letteralmente stende.
I Godwatt sono l’ennesimo esempio di come nel nostro paese si fa musica come e, molto spesso, meglio dei paesi con molta più tradizione e credito, è giunta l’ora di supportare e far uscire allo scoperto le nostre realtà.

TRACKLIST
1. Catene
2. Condannata
3. Memoria
4. Cenere
5. Nostro Veleno
6. Nessuno Mai
7. L’ultimo Sole
8. Scheletro (Cd Bonus)
9. Venus (Cd Bonus)

LINE-UP
Moris Fosco-Guitars, vocals
Mauro Passeri-Bass
Andrea Vozza-Drums

GODWATT – Facebook

Circle Of Indifference – Welcome To War

Welcome To War è un’altra nera perla estrema targata Circle Of Indifference

Piano piano, uno alla volta, tornano con nuovi lavori tutti i gruppi che un paio di anni fa, chi più chi meno, avevano impreziosito con album dall’elevata qualità l’underground metallico.

Questa volta tocca ai Circle Of Indifference del polistrumentista svedese Dagfinn Övstrud, realtà scandinava dalle potenzialità enormi confermate anche in questo bellissimo lavoro che ci invita senza mezzi termini alla guerra.
Infatti il mood dell’album è molto più in your face rispetto al suo splendido predecessore, anche se Övstrud non ci fa certo mancare il suo incredibile talento per melodie in piena overdose da scandinavian melodic death metal.
Al microfono troviamo, come su Shadows Of Light, il vocalist belga Brandon L. Polaris, ma gli ospiti non si fermano qui con le performance di Kostas Vassilakis (Infravision) alle tastiere ed alle pelli e la chitarra solista di Tyler Teeple.
Prodotto ottimamente da Övstrud, Welcome To War ci invita alla distruzione totale con i primi due brani, Concription e Einberufung (Conscription), pesantissimi, epici e battaglieri, che vedono la band esplorare il lato più duro e drammatico della propria anima musicale, avvicinandosi al puro death metal scandinavo.
Arriva From This I Depart e si torna a cavalcare l’onda del primo lavoro, il riff melodico che sostiene il brano è di una bellezza straordinaria e la voce pulita si alterna al growl cattivissimo di Polaris in un crescendo emozionale elevatissimo.
Neanche il tempo di metabolizzare questo splendido brano che l’elettronica si impossessa della progressiva Menschenmörder (Murderer Of Man), regalando emozioni a non finire e tornando al songwriting stellare della prima opera tra Edge Of Sanity e Pain.
Welcome To War è marziale, monolitica e con un mood da tregenda, le tastiere addolciscono leggermente l’atmosfera pesante di questa death metal song, mentre la voce pulita dai toni disperati di Kein Entkommen (No Escape) sembra non dare speranza, ma quando tutto è perduto un assolo classico e melodico, accompagnato dai tasti d’avorio di chiara ispirazione prog, riaccende una flebile speranza.
Veil Of Despair è irruente ed aggressiva in un crescendo che porta ad una parte strumentale da brividi, con i musicisti ad impartire sotto la guida del leader lezioni di metallo estremo, devastante e melodicissimo.
Ein Akt Der Güte (An Act Of Kindness) chiude, con i suoi abbondanti sette minuti, questa nuova e splendida opera estrema, lasciando che tutto il mondo dei Circle Of Indifference si apra all’ascoltatore, investito da uno tsunami di death metal melodico sopra le righe, potente, maturo, progressivo ma oltremodo drammatico e violento.
Welcome To War è un’altra nera perla estrema targata Circle Of Indifference: se il primo lavoro risultava una piacevole sorpresa, la conferma di essere al cospetto di un grande compositore e musicista l’avrete nel momento di mettere l’elmetto, imbracciare il fucile e scendere in trincea … Benvenuti alla guerra.

TRACKLIST
01.Concription
02.Einberufung (Conscription)
03.From This I Depart
04.Menschenmörder (Murderer Of Man)
05.Welcome To War
06.Kein Entkommen (No Escape)
07.Veil Of Despair
08.Ein Akt Der Güte (An Act Of Kindness)

LINE-UP
Dagfinn Övstrud – Guitars, bass and additional keyboards
Kostas Vassilakis – Keyboards, Drums
Tyler Teeple – Guitars
Brandon L. Polaris – Vocals

CIRCLE OF INDIFFERENCE – Facebook

Solothus – No King Reigns Eternal

No King Reigns Eternal è davvero un ottimo album, grazie ad una resa sonora ottimale che valorizza una scrittura nell’alveo della tradizione, ma sempre convincente nel suo far convivere in maniera fluida la ferocia del death e la pesantezza del doom.

Dalle gelide lande finniche emerge una nuova inquietante creatura denominata Solothus.

In effetti, No King Reigns Eternal è il secondo full length, che segue di circa tre anni il precedente Summoned from the Void, quindi non su può certo parlare di una band ai primi passi, ma è chiaro che questo nuovo ottimo lavoro potrebbe ampliare il novero dei suoi estimatori.
Il death doom dei Solothus è sbilanciato in maniera netta sulla prima delle due componenti, soprattutto nella prima parte del lavoro, laddove in The Betrayer e nella title track sono umori alla Morbid Angel (epoca Covenant) o alla Asphyx a predominare, per cui qui la melodia è confinata agli ottimi interventi della chitarra solista che, sovente, corrispondono anche ai momenti in cui il sound rallenta fino a farsi soffocante.
Lo stesso growl di Kari Kankaanpää non lascia spazio ad equivoci, le clean vocals sono del tutto bandite e il cavernoso grugnito è perfettamente funzionale alla resa finale del lavoro.
L’accoppiata Darkest Stars Aligned e Malignant Caress trasporta il sound verso il più cupo e grumoso sentire di band com gli Evoken, mentre Towers in the Mist appare più orientata ad un doom “classico”, con i suoi toni sabbatiani ampiamente irrobustiti nel loro incedere.
The Winds Of Desolation chiude nel migliore dei modi l’album: unica a superare i 10 minuti di lunghezza, la traccia è sostenuta da una linea chitarristica relativamente “catchy” senza che per questo vengano meno l’impatto e l’intensità costantemente caratterizzanti il sound dei Solothus.
No King Reigns Eternal è davvero un ottimo album, grazie ad una resa sonora ottimale che valorizza una scrittura nell’alveo della tradizione, ma sempre convincente nel suo far convivere in maniera fluida la ferocia del death e la pesantezza del doom.

Tracklist:
1. The Betrayer
2. No King Reigns Eternal
3. Darkest Stars Aligned
4. Malignant Caress
5. Towers in the Mist
6. The Winds of Desolation

Line-up:
Veli-Matti Karjalainen – Guitars
Kari Kankaanpää – Vocals
Juha Karjalainen – Drums
Sami Iivonen – Guitars, Vocals (backing)
Tami Luukkonen – Bass

SOLOTHUS – Facebook

Horrified – Of Despair

Of Despair è un’opera poco originale ma ben realizzata, un buon modo per ricordare i primi passi del famigerato death metal scandinavo

Vi avevamo già parlato dei britannici Horrified in occasione dell’uscita del loro debutto, Descent into Putridity, uscito un paio di anni fa e che vedeva il gruppo di Newcastle confrontarsi con il metal estremo di matrice scandinava.

Completamente devoto alla scena death metal nord europea di inizio anni novanta, il gruppo inglese esordì con un dischetto sufficientemente in grado di risvegliare dal torpore gli amanti del death metal scandinavo old school, con una mazzata che, se risultava ancora leggermente acerba, coinvolgeva in quanto a violenza ed impatto.
Il ritorno in questo 2016 si chiama Of Despair, otto brani che formano una cascata di sonorità estreme care alle band storiche della gloriosa scena scandinava.
Ad un primo ascolto il gruppo lascia intravedere non pochi miglioramenti, soprattutto nel songwriting, leggermente più vario ed ispirato da una maggiore esperienza, che si evince anche da un miglioramento tecnico individuale.
La band continua a martellare senza pietà, ma in questo lavoro fanno la voce grossa le melodie, che escono a frotte dai manici delle sei corde dei due axeman, Daniel Alderson e Rob Hindmarsh e, se il primo lavoro viaggiava al ritmo devastante di Entombed e Dismember, Of Despair paga dazio agli immensi Edge Of Sanity, storica creatura estrema di quel genio di Dan Swano.
Aperture melodiche, solos dall’impronta classicheggiante, ripartenze e rallentamenti atmosferici pesantissimi avvicinano il sound del gruppo ai primi lavori dei Sanity, continuando a massacrare l’ascoltatore con ritmiche veloci, ed improvvise sfuriate che rimandano a Like An Everflowing Stream dei Dismember.
Un buon passo avanti, che convince non poco, Of Despair ha nell’assalto sonoro Palace of Defilement, in Funeral Pyres, nell’ottimo strumentale che è la titletrack e nel conclusivo monumento ai Sanity, The Ruins That Remain, le sue armi migliori.
Death metal old school, questa volta assistito da una buona produzione, Of Despair è un’opera poco originale ma ben realizzata, un buon modo per ricordare i primi passi del famigerato death metal scandinavo.

TRACKLIST
1. Palace of Defilement
2. Infernal Lands
3. Chasm of Nihrain
4. Funeral Pyres
5. Amidst the Darkest Depths
6. Dreamer of Ages
7. Of Despair
8. The Ruins That Remain

LINE-UP
Matthew Henderson – Drums
Daniel Alderson – Guitars (lead), Bass, Vocals
Dan H – Bass
Rob Hindmarsh – Guitars (lead)

HORRIFIED – Facebook

Inedia – Aritmia / Wasteland

Aritmia/Wasteland entra piano in noi, prima con una dolcezza armonica ricca di melanconiche atmosfere post rock, poi in un crescendo di tensione ci prende con la violenza del metal estremo, colmo di groove stonato, in un caleidoscopio di suoni e colori

Aritmia/Wasteland entra piano in noi, prima con una dolcezza armonica ricca di melanconiche atmosfere post rock, poi in un crescendo di tensione ci prende con la violenza del metal estremo, colmo di groove stonato, in un caleidoscopio di suoni e colori alternative, scavando senza sosta nel nostro corpo e nella nostra anima.

Questa bellissima opera, profonda e alquanto matura, è il terzo album dei nostrani Inedia, gruppo veneto fondato nel 2009 e con ben saldo un contratto con la Sleaszy Rider, ottima label greca dal roster molto vario e di ottima qualità, che spazia nello sconfinato mondo dell’hard rock, sia classico che appunto moderno ed alternativo.
Non sono poche le band nel nostro paese dedite a questo tipo di suono e devo dire con sincerità che tutte possiedono un approccio maturo, che non scivola mai nella noia, ma viene apprezzato per un innato senso poetico/melodico.
Gli Inedia fanno senz’altro parte di questo gruppo di poeti moderni, che disegnano con le note paesaggi melanconici ed atmosfere depressive, dove non mancano scariche di rabbiosa elettricità, come se la mente si ribellasse a cotanta tristezza, in attimi di violenza liberatoria, prima di ricadere ancora una volta nel proprio disperato tunnel.
Gli Inedia a tutto questo aggiungono, atmosfere desertiche, jam liquide di psichedelia stonata, come persi nel fumo di sostanze illecite, viaggiando con la mente in paesaggi liquidi, attimi dove il non ritrovarsi si trasforma in pace assoluta.
Concentrato in poco più di mezzora, Aritmia/Wasteland è tutto questo, almeno per il sottoscritto, rapito dall’etereo incedere di questi sette brani sconvolti da bellissime atmosfere rarefatte e da bordate death metal che ne accentuano la drammatica atmosfera.
Una lunga jam che raccoglie in sé diversi generi, amalgamati con cura dal quintetto per donare musica profonda, matura, violenta e raffinata, liquida, oscura ed assolutamente toccante.
Album da ascoltare come un unico brano, diviso in emozioni e sensazioni, in Aritmia/Wasteland troverete ad aspettarvi un mondo di note che accomunano il depressive rock/metal dei Katatonia, lo stoner suonato dai Kyuss e che, insieme, accolgono in un abbraccio il prog estremo dei magnifici Opeth.
Disco bellissimo, da far vostro senza riserve.

TRACKLIST
1. The Fire Fellows
2. Neighbour’s Dog
3. Graveyards
4. The Days Of Sandstorm
5. Message From My Futureself
6. Paranoia’s End
7. ((π))

LINE-UP
Mattia Parolin – vocals
Marco Tossin – bass
Giacomo Lovato – guitars
Luca Munaretto – drums
Paolo Sanna – guitars

INEDIA – Facebook

Nihilistinen Barbaarisuus – Madness Incarnate

Madness Incarnate si rivela un’uscita apprezzabile da parte di una band da tenere sott’occhio nella prospettiva di un prossimo lavoro su lunga distanza

Questa band, nonostante il complesso monicker in lingua finlandese, proviene da Philadelphia, anche se il ricorso a quella lingua è ampiamente giustificato dal fatto che Mika Mage, colui che regge le file dei Nihilistinen Barbaarisuus, è originario appunto del grande paese dei mille laghi.

Sotto l’egida della label russa Symbol of Domination, come l’etichetta madre Satanath Records specializzata nel recupero di realtà semisconosciute ma meritevoli di attenzione, i nostri propongono il loro black dai tratti atmosferici e, in ossequio alle origini di Mage, molto più orientato come sound alla scena nord europea piuttosto che a quella statunitense.
L’ep è breve ma, in questi pochi minuti, i Nihilistinen Barbaarisuus dimostrano di manipolare la materia in modo appropriato, conferendo al sound per lo più un’aura algida con puntate in territori depressive, ma sempre sorretto da buone linee melodiche; Mage si avvale nel corso del lavoro del contributo di tre diversi vocalist, tutti allineati comunque al tradizionale screaming di matrice back.
Molto bella e incisiva l’opener Traversing The Frozen North e non da meno si dimostrano la title track e la più robusta Immaculate Deconception (uscita in precedenza come singolo) mentre convince un po’ meno Virgin Essence per scelte ritmiche piuttosto opinabili; interessante anche la chiusura affidata al brano acustico Comte-Sponville, nel quale si può apprezzare la pregevole tecnica chitarristica di Mage.
Madness Incarnate si rivela un’uscita apprezzabile da parte di una band da tenere sott’occhio nella prospettiva di un prossimo lavoro su lunga distanza e, al riguardo, potrebbe essere utile riscoprire il relativamente recente full-length The Child Must Die, pubblicato circa un anno fa.

Tracklist:
01. Traversing The Frozen North
02. Madness Incarnate
03. Virgin Essence
04. Immaculate Deconception
05. Comte-Sponville

Line-up:
Mika Mage – Guitar, Synth, Composer

Guest Members:
Gary Hadden – Vocals “Traversing the Frozen North”, “Immaculate Deconception”
James Dorton – Vocals “Virgin Essence”
Joel Robert Thompson – Vocals “Madness Incarnate”
Joffre Videz – Drums
Manuel Rodriguez – Bass

NIHILISTINEN BARBAARISUUS – Facebook

www.youtube.com/watch?v=nuUorgRYXbo

Ashen Horde – Nine Plagues

L’ora delle nove piaghe è arrivata e queste si abbattono senza pietà, portando male, morte e distruzione dove prima c’era lusso e divertimento, in una devastante tempesta di suoni estremi che vanno dal death metal di scuola americana al black metal

Dopo i fasti degli anni ottanta, la Sunset Strip di Los Angeles ha lasciato ai posteri solo un manipolo di zombie armati di chiodo e spandex, che si aggirano senza meta aspettando che tutto si riaccenda come in un immenso luna park, fatto di code davanti ai locali, droga, sesso facile e tanto rock’n’roll.

Ma nella notte un’identità oscura e maligna si aggira per le vie della città degli angeli, fagocitando queste povere amebe nostalgiche di un mondo ormai finito: è Ashen Horde, mandata dall’inferno a cacciare anime dannate, perse nel vortice del vizio e pronte per bruciare nell’antro più buio nella casa del signore oscuro.
Trevor Portz, polistrumentista e mente di questo progetto diabolico, nato nelle fatiscenti vie dove tanti anni fa il via vai delle Cadillac davanti ai locali più cool era la normalità, arriva con Nine Plagues al secondo lavoro sulla lunga distanza.
L’ora delle nove piaghe è arrivata e queste si abbattono senza pietà, portando male, morte e distruzione dove prima c’era lusso e divertimento, in una devastante tempesta di suoni estremi che vanno dal death metal di scuola americana al black metal, il tutto ben congegnato ed unito da un collante progressivo che ne fa una proposta estrema molto interessante.
Assolutamente padrone di tutti gli strumenti, Trevor Portz lancia una maledizione in musica dall’effetto distruttivo, il sound di Ashen Horde non lascia molto spazio alle atmosfere e si viaggia in un clima da tregenda, come in un’invasione di cavallette il caos regna sovrano, inutile scappare, non ci si può difendere da questa martellante amalgama di death/black contaminato da belligerante e pazzoide thrash progressivo, che richiama le opere del geniale Devin Townsend.
Desecration of the Sanctuary mette subito le cose in chiaro, nove minuti di metal estremo che passa dal death metal di Covenant dell’angelo morboso, a devastanti sfuriate di black metal old school, scandinavo nel suo macabro sound e schizoide quando le ritmiche thrash, aggiungono violenza a violenza.
Bravissimo tecnicamente e sul pezzo con tutti gli strumenti, il musicista americano rifila cinquanta minuti di maligno e disturbante metal estremo, le fughe in blast beat, come le frenate sull’orlo del baratro, aggiungono monoliticità a brani che urlano dolore sconvolgendo con le oscure trame di Feral, The Stranger, il capolavoro black progressive doom Isolation e la conclusiva e terremotante A Reversal of Misfortune.
Al passaggio del demone, sulla strada rimane solo una putrida e soffocante puzza di zolfo, ora le vie sono in mano all’oscuro e feroce demone, statene alla larga, soprattutto di notte …

TRACKLIST
1. Desecration of the Sanctuary
2. Sans Apricity
3. Feral
4. Famine’s Feast
5. The Stranger
6. Atra Mors
7. Dissension
8. Isolation
9. A Reversal of Misfortune

LINE-UP
Trevor Portz – Everything

ASHEN HORDE – Facebook

The Erkonauts – I Did Something Bad

Prodotto da Drop, bassista degli immensi Samael,I Did Something Bad è un notevole esempio di metallo alternativo dalle reminiscenze prog e punk.

Mentre il music biz ed i canali più importanti dell’informazione musicale si chiedono che futuro avrà il rock, dopo la dipartita in poco tempo di alcuni degli artisti più conosciuti che, se non altro, riempivano le arene nei festival estivi e le tasche degli organizzatori, le ‘zine di riferimento sono travolte da una serie di gruppi e album che, nel sottobosco musicale, tengono accesa la fiamma con lavori di qualità in tutti i generi musicali.

E’ clamoroso a mio avviso, il fatto che un canale televisivo come Rock TV non abbia un programma, nel suo palinsesto, che parli delle scene underground sviluppatesi in questi anni, fornendo non solo supporto ai gruppi ed alle label, sempre più in crisi, ma un’informazione più approfondita ai molti fans sparsi sul territorio.
Ci sono le ‘zine, come detto, e meno male, visto che un lavoro del livello di questo I Did Something Bad, rischierebbe di passare del tutto inosservato, specialmente se parliamo nello specifico della nostra penisola.
I The Erkonauts sono un gruppo proveniente dalla Svizzera, fondato un paio di anni fa e dove milita l’ex cantante dei Sybreed Ales Campanelli, ora insieme ai suoi ex compagni della sua prima avventura (Djizoes), con cui ha composto questo straordinario lavoro di alternative metal, ristampato quest’anno dalla Kaotoxin con l’aggiunta di due brani registrati per l’occasione, ma uscito originariamente un paio di anni fa.
Prodotto da Drop, bassista degli immensi Samael, l’album è un notevole esempio di metallo alternativo dalle reminiscenze prog, ma attenzione non aspettatevi il solito disco alla Tool o un post grunge tecnico, qui si marcia spediti sull’ottovolante del punk e del metal moderno, i brani vorticano e rapiscono come in un’improbabile jam tra Primus, Jane’s Addiction e Suicidal Tendencies, anche se a tratti spunta una vena psichedelica che fa strabuzzare occhi e puntare orecchie, laddove le sei corde strizzano l’occhio al David Gilmour di pinkfloydiana memoria (la superba Hamster’s Ghosthouse).
Punk, alternative metal, progressive moderno, e rigurgiti settantiani, sono pane per i denti di chi, senza paraocchi di sorta si avvicina a questo immenso lavoro che sfiora il capolavoro.
La band si districa nel suo stesso travolgente songwriting con maestria, le chitarre formano un muro compatto di riff, mentre Campanelli è spettacolare al microfono, enorme nei brani che esplodono sotto la cascata di watts, personale e sanguigno quando la tempesta si calma un poco (Your Wife è una supeballatona da brividi).
Non manca la componente metal, violenta ad un passo dall’estremo suonare, come un bolide sparato a trecento all’ora su di un rettilineo troppo corto per fermarsi in tempo (Machine), mentre gli strumenti continuano a far uscire dalle loro corde e bacchette, note che si alternano e cambiano pelle come un grosso rettile che, dopo averci ingoiato, lascia il segno del suo passaggio con l’involucro vuoto del suo vecchio manto.
Siamo quasi a metà di questo 2016, ed in campo alternative metal troverete molte difficoltà ad ascoltare un album che si avvicini a I Did Something Bad, ve lo assicuro.

TRACKLIST
1. The Great Ass Poopery
2. Tony 5
3. All the Girls Should Die
4. Nola
5. Dominium Mundi
6. Hamster’s Ghosthouse
7. Gog
8. Your Wife
9. 9 Is Better Than 8
10.Machine
11.Culbutos

LINE-UP
Ales Campanelli – bass, vocals
Sébastien “Bakdosh” Puiatti – guitars
Adrien Bornand – guitars
Kevin Choiral – drums

THE ERKONAUTS – Facebook

Cretura – Fall Of The Seventh Golden Star

Se cercate un ascolto diverso nell’immenso panorama dei suoni sinfonici, sicuramente Fall Of The Seventh Golden Star riesce nella non facile impresa di risultare un album vario, violentissimo, epico e bilanciato da bellissimi momenti atmosferici a loro modo originali e dalla forte personalità.

I quattro cavalieri dell’apocalisse, immortalati sulla copertina, ci introducono al nuovo lavoro dei norvegesi Cretura, ottimo combo estremo arrivato al traguardo del terzo full length, licenziato dalla Wormholedeath, e successore dei precedenti Monsters of Wonderland (debutto del 2012) e When the Dead Goes to Dance, uscito nel 2013.

Symphonic extreme metal è il sound su cui si poggia questo bellissimo lavoro, prodotto da Wahoomi Corvi ai Realsound Studios, un’epica cavalcata di sessanta minuti in compagnia di guerra, morte, distruzione e carestia, una delle molteplici interpretazioni date ai quattro leggendari cavalieri.
E la musica dei Cretura ben si adatta al concept, un oscuro, debordante e devastante metal estremo, che pesca dal black metal sinfonico, caro a i Dimmu Borgir, ma non manca di potenziare il suo impatto con la forza del death metal, orchestrato a meraviglia da ottimi inserti tastieristici e reso affascinate dall’uso della doppia voce, uno screaming malvagio, ed una voce femminile (Sárá Márjá Guttorm) che, opportunamente, si discosta dai toni operistici tout court, per un apporto più concreto alle affascinanti atmosfere da tregende metallica del sound.
Come tutti i musicisti provenienti dal freddo nord Europa, anche i Cretura non lasciano indietro una tecnica strumentale sopraffina, la sezione ritmica risulta travolgente come raffiche di vento gelido che si abbattono sulle coste del mare del nord (Jørgen Beijer Johnsen al basso e Michael Sveri alle pelli), le chitarre sono armi micidiali , spadoni che tagliano e squartano con solos ora colmi di epicità, ora di tragiche melodie (Markus Oddekalv Pettersen, anche terrificante orco al microfono e Marius Toen) mentre le tastiere aggiungono feeling sinfonico al mood estremo e drammatico dell’album.
Si viaggia a velocità sostenute, a tratti qualche rallentamento alza l’atmosfera di brani d’assalto come l’opener Reign of Terror e la successiva Grand Warfare Through Dark Ages, anche se il cuore dell’album è lasciato alla marcia funebre, Funeral Roses, accompagnata da un video molto suggestivo, ed alla cavalcata in crescendo Northern Winds, che parte come un’oscura ballad per crescere di intensità e travolgere con una bordata di black metal epico.
Anche se ad un primo ascolto la sensazione rimane oscurata dalla violenza di brani come Voices Of Hunger e Når lyset dør, affiorano col passare del tempo affascinanti sfumature folk, che rendono l’atmosfera di Fall Of The Seventh Golden Star molto suggestiva, facendo respirare aria di tempi passati, lontani centinaia di anni, perennemente all’ombra della furia distruttrice del metal estremo suonato dal gruppo di Bergen.
Una menzione particolare per The Pale Horseman & the Hunter of the Sky , stupendo brano dalle sfumature gotiche che avvicina il gruppo al symphonic gothic, grazie all’interpretazione della singer, questa volta più in linea con le sue colleghe di genere.
Se cercate un ascolto diverso nell’immenso panorama dei suoni sinfonici, sicuramente Fall Of The Seventh Golden Star riesce nella non facile impresa di risultare un album vario, violentissimo, epico e bilanciato da bellissimi momenti atmosferici a loro modo originali e dalla forte personalità.

TRACKLIST
1. Past, Present & Future
2. Reign of Terror
3. Grand Warfare Through Dark Ages
4. Voices of Hunger
5. Funeral Roses
6. Northern Winds
7. Pray For A Brighter Tomorrow
8. Når Lyset Dør
9. At The 11th Hour
10. The Pale Horseman & The Hunter of The
Sky
11. The Last Song of The Earth

LINE-UP
Marius Toen – Guitars (lead)
Zlargh – Guitars, Vocals
Jørgen Beijer -Johnsen Bass
Michael Sveri – Drums
Sárá Márjá Guttorm – Vocals
Kine-Lise Madsen Skjeldal – Keyboards, Vocals (backing)

CRETURA – Facebook

Mesarthim – Isolate

Isolate è un’opera senz’altro leggera ma, nonostante questa sua levità, i Mesarthim riescono per lo più a non rifugiarsi in soluzioni melodiche troppo banali

Il duo australiano denominato Mesarthim, con questo primo album contraddistinto da un sound atmosferico spruzzato di black metal, offre uno spaccato musicale invero molto gradevole.

Lo screaming in sottofondo ed una base ritmica accelerata non varranno certo ad ottenere i favori dei blacksters più puri, ma resta inconfutabile il fatto che le melodie prodotte in Isolate siano davvero belle, per quanto semplici nel loro reiterarsi all’interno dei pezzi.
I titolo dei brani e la stessa copertina offrono l’idea di armonie dal respiro cosmico e Interstellar ne costituisce l’emblema in quanto esempio meglio riuscito, laddove la linea melodica resta impressa non solo per la sua linearità ma, anche e soprattutto, per il suo fluido integrarsi con le asprezze metalliche, che comunque restano sempre in secondo piano.
L’unico rischio di una simile operazione, però, è quello di spingere questo incedere soave delle note fino ai pericolosi confini delle melensaggine, andando a lambire talvolta i territori del neoclassicismo formato “famiglia del Mulino Bianco” in stile Allevi, nonostante le asprezze ritmiche e vocali.
Isolate è un’opera senz’altro leggera ma, nonostante questa sua levità, i Mesarthim riescono per lo più a non rifugiarsi in soluzioni melodiche troppo banali, portando l’ascoltatore ad armonizzarsi con un mondo circostante che, per chi è stato dotato suo malgrado da madre natura di una sensibilità superiore alla media, si dimostra un involucro sempre meno accogliente.

Tracklist:
1. Osteopenia
2. Declaration
3. Interstellar
4. Abyss
5. Floating
6. Isolate

MESARTHIM – Facebook

Craigh – Of Dreams And Wishes

Of Dreams And Wishes esplora un po’ tutte le atmosfere racchiuse nel metal più cool, dal metalcore al nu metal, fino all’alternative, con buona padronanza degli strumenti ed un ottimo talento melodico.

Il pagliaccio in copertina ricorda lo Stephen King del capolavoro It o il circo degli orrori della quarta stagione di American Horror Story: Freak Show, un invito ad entrare sotto il tendone dove ad aspettarci ci sono i Craigh, giovane band svizzera, al debutto per la Dark Wings con questo intrigante Of Dreams And Wishes.

Molto attiva sotto il fronte live, dove i ragazzi d’oltralpe si sono fatti le ossa ed affinato la loro tecnica, la band sforna un debutto dall’alto appeal, il loro metal moderno che richiama il più estremo metalcore, è infarcito da una valanga di melodie orecchiabili, facendo del gruppo una band dall’alto potenziale commerciale.
Vedremo, nel frattempo Of Dreams And Wishes esplora un po’ tutte le atmosfere racchiuse nel metal più cool, dal metalcore al new metal, fino all’alternative, con buona padronanza degli strumenti ed un ottimo talento melodico
Se siete amanti di queste sonorità, l’album racchiude molte hits, un concentrato di quello che il genere, ormai inflazionato, a dire il vero, ha saputo donare ai fans di tutto il mondo, suonato con una carica di giovane pazzia che è la maggiore virtù dei nostri.
Ritmiche indiavolate, buone soluzioni chitarristiche ed un cantante a suo agio sia nello scream che troverete su ogni album del genere, sia soprattutto nelle clean vocals, pronto a far innamorare orde di giovani metallare dall’headbanging facile.
Quasi cinquanta minuti di suoni metallici moderni non sono pochi, ma le varie Deathless Wings, The Hearts Drive, Every End e Shattered, ci accompagnano in questo mondo di giocolieri, acrobati e freaks di ogni tipo, per mano al temibile pagliaccio, che poi tanto cattivo non è, anche se a noi fa paura, così come le scariche adrenaliniche di una band che quando ci si mette sa come far male, alternando melodia a ruvide esplosioni core, con buona padronanza della materia.
Perfetta la produzione, cristallina e da album top, un fiocco al regalo preparato dai Craigh per tutti gli amanti dei suoni più cool di questo inizio di millennio.
Se son rose fioriranno, nel frattempo godetevi Of Dreams And Wishes, ed attenti al clown, non si sa mai.

TRACKLIST
1. Origin
2. Deathless Wings
3. Ronny B. Johnson
4. Again and Again
5. The Hearts Drive
6. Hate to Love You
7. Every End
8. The Light Inside
9. Going Commando
10. Unity
11. Destroy to Create
12. Shattered
13. Desire Remains

LINE-UP
Sebastian Möbius – Vocals
Michael Rüegg – Guitars
Cyril Neukomm – Guitars
Thomas Münch – Drums
Daniel Gmür – Bass

CRAIGH – Facebook

Fear Theories – The Predator

The Predator convince, la produzione lascia qualche pecca ma sono dettagli, il classico pelo nell’uovo nel contesto di una valutazione più che positiva

Heavy metal old school, ipervitaminizzato da ritmiche che richiamano il thrash made in Bay Area, questo il sound proposto dai norvegesi Fear Theories, metallo fiero, ruvido e grintoso, una mazzata che varia tra cavalcate veloci e mid tempo epici e dalla forza bruta, insomma, un album dedicato alle sonorità che più ci hanno fatto innamorare, parlando di metal classico.

Nord europeo, ma dalla forte impronta statunitense nel sound, il gruppo di Haugesund, molto giovane, promette davvero bene, The Predator sa come far male, nel suo alternare il metal old school britannico (Judas Priest e Maiden), alle più estreme performance delle realtà thrash d’oltreoceano (Metallica), così da formare un compatto e piacevole esempio di musica pesante, dove le ritmiche inchiodano al muro, i solos non mancano di essere melodici il giusto e la voce, maschia e ruvida si impossessa di tutti i cliché epici che le sonorità usate richiedono.
Il quartetto scandinavo è al debutto sulla lunga distanza, l’ep di tre anni fa (So It Begins) è valso alla band la firma per la Crime Records, label che licenzia questo ottimo lavoro e The Predator conquisterà non pochi cuori metallici in giro per il globo.
My Own Worst Enemy apre le danze, la tensione si fa subito altissima, il quartetto norvegese spinge subito sull’acceleratore, badando al sodo, metal che esplode in tutta la sua nobile fierezza, accompagnato dallo scudiero valoroso che di nome fa thrash metal e nel variegato mondo metallico è il più accreditato compagno d’avventure di sir heavy.
Il gruppo con buon saper fare, alterna brani più diretti, a mid tempo ottantiani di sicura presa: Cancelled, The End Of Time, risuonano di fragore metallico, mentre Andreas Tjøsvoll urla tutta la sua devozione all’immortale e leggendario suono, nato nelle strade grigie di fumo e nebbia del Regno Unito e trasferitosi negli States neanche maggiorenne.
Il riff portante della title track è quanto di più vicino al perfetto esempio di metal old school si possa trovare in giro e trasformandosi in un crescendo esaltante, si avvicina pericolosamente al sound della vergine di ferro, mentre il tono vocale del singer mantiene un mood aggressivo e thrash oriented.
Metal Lives Forever è il classico inno da cantare on stage, per ringraziare gli dei dell’immortalità regalata al nostro genere preferito, mentre i saluti sono lasciati alla song che prende il titolo dal monicker del gruppo, un altro metal anthem, dal tiro micidiale e dalle ottime melodie chitarristiche.
The Predator convince, la produzione lascia qualche pecca ma sono dettagli, il classico pelo nell’uovo nel contesto di una valutazione più che positiva, dategli un ascolto anime metalliche, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
01. My Own Worst Enemy
02. Atonement
03. Cancelled
04. Heroes of Today
05. The End of Time
06. The Predator
07. Metal Lives Forever
08. Addicted
09. Fear Theories

LINE-UP
Ole Sønstabø – Lead guitars
Andreas Tjøsvoll – VocaLS, guitars
Brage Nygaard – Drums
Joakim Antonsen – Bass

FEAR THEORIES – Facebook

Immensity – The Isolation Splendour

Il gruppo ellenico, nel corso di questo riuscito esordio su lunga distanza, dimostra d’aver appreso alla perfezione gli insegnamenti dei migliori nomi del settore

Un’altra band si affaccia al proscenio del metal più malinconico e melodico: si tratta dei greci Immensity, i quali con The Isolation Splendour entrano a far parte del ricco novero delle band europeo dedite al doom death atmosferico.

Il gruppo ellenico, nel corso di questo riuscito esordio su lunga distanza, dimostra d’aver appreso alla perfezione gli insegnamenti dei migliori nomi del settore, e parlo in particolare di Swallow The Sun e Daylight Dies, senza dimenticare spunti rinvenibili anche in band dalla storia più recente come Evadne e When Nothing Remains.
Se vogliamo, è questo l’unico punto dolente dell’album, ovvero il fatto di non mettere in mostra ancora un sound del tutto personale a differenza delle band citate, che esibiscono un tratto peculiare e riconoscibile nonostante tra di esse gli scostamenti siano apparentemente minimi.
Di loro, però, i ragazzi ateniesi ci mettono sicuramente un gusto melodico da primi della classe e un’interpretazione vocale impeccabile da parte di Leonidas Hatzimichalis, ottimo sia con il suo feroce growl sia con le più sognanti clean vocals.
The Isolation Splendour è senz’altro molto bello, curato a livelli di suoni, ricco di spunti notevoli e, in fondo, scorre esattamente come l’appassionato se lo aspetterebbe, ora guidato dalle dolenti note chitarristiche, ora con le clean vocals a dare respiro alla drammatica aura fornita dal growl.
Più brillante nella sua prima metà, l’album regala appunto tre preziose gemme come l’opener Heartfelt Like Dying e Irradiance, più orientate allo stile delle band d’oltreoceano (oltre ai già citati Daylight Dies, anche qualcosa dei primi Novembers Doom), anche se a differenza di queste troviamo più caratterizzanti break con clean vocals, e la title track, il brano migliore dell’album nel quale sono rinvenibili anche sfumature progressive; tutt’altro che trascurabili comunque, The Sullen, che offre notevoli spunti emozionali grazie al lavoro della chitarra solista, Everlasting Punishment, brano strumentale piuttosto elegante, e la conclusiva Adornment, sorta di atto d’amore nei confronti dei My Dying Bride nella sua fase iniziale, con successivo sviluppo all’insegna dello struggimento melodico, mentre Eradicate risulta un episodio più opaco rispetto al resto della tracklist.
Va detto che gli Immensity sono attivi comunque fin dai primi anni del decennio (infatti le ultime due tracce citate sono presenti anche nel demo datato 2012), per cui ciò che potrebbe apparire derivativo spesso non è altro che un percorso parallelo, all’insegna di un comune sentire musicale, con altre band emerse in tempi relativamente recenti.
In definitiva, The Isolation Splendour è un lavoro che sarà apprezzato non poco da parte degli appassionati al versante più melodico del death/doom: il prossimo obiettivo per il gruppo ellenico sarà quello di mantenere questo stesso standard qualitativo rendendo però maggiormente personale il proprio sound.

Tracklist:
1. Heartfelt like Dying
2. Irradiance (For the Unlight)
3. The Isolation Splendour
4. The Sullen
5. Everlasting Punishment
6. Eradicate (The Pain of Remembrance)
7. Adornment

Line-up:
Nora Koutsouri – Keyboards
Andreas Kelekis – Guitars
Leonidas Hatzimichalis – Vocals
George Kritharis – Bass
Yiannis Fillipaios – Drums
Chris Markopoulos – Guitars

IMMENSITY – Facebook

Occult Burial – Hideous Obscure

Da Ottawa un fantastico debutto a base di heavy e speed metal in purissimo stile anni ottanta.

Da Ottawa un fantastico debutto a base di heavy e speed metal in purissimo stile anni ottanta.

Questo disco farà la gioia di Fenriz, il deus ex machina dei Darkthrone, poiché è quanto di più ottantiano possiate trovare in giro. Sono già passati trenta anni da quel magico periodo che nel metal ha dato molta gloria a molte band. Il suono di quegli anni, come di questo disco, è grezzo eppure caldissimo, un vero piacere per le teste metalliche là fuori. Questi canadesi fanno tutto alla perfezione, sia come grafica, sia come musica. Dopo tre demo e la partecipazione ad una compilation dal titolo Evil Spells, Volume, 1 ecco questo folgorante debutto che colpisce al cuore i nostalgici ma non solo. Il disco è davvero piacevole e ben suonato, fatto con il cuore e tanta passione, per continuare una tradizione che non muore mai, quella del vero metallo. Meglio di tante parole farà l’ascolto di questi canadesi.

TRACKLIST
1. Intro
2. Blasted Death
3. Black Adoration
4. Jackal Head
5. Ancient Returns
6. A Witch Shall Be Born (Daughter Of Darkness)
7. Hades Son
8. Hideous Obscure
9. Occult Burial

LINE-UP
Dan Lee : Drums.
Dan McLoud :Guitars.
Joël Thomas :Vocals, Bass.

INVICTUS – Facebook

Morgue Supplier – Morgue Supplier

Disturbante ma molto affascinate, Morgue Supplier viaggia una spanna sopra i lavori della maggioranza dei gruppi dediti al genere, perderlo sarebbe un peccato mortale per gli amanti del grindcore e del death metal estremo

Il corridoio di un cimitero abbandonato, le lapidi alle pareti che ricordano i cari defunti, sono per qualcuno solo corpi decomposti, involucri vuoti che un tempo erano solo oggetti da torturare senza pietà.

Lo sporco e l’incuria aleggiano in questo sacrario dimenticato, mentre l’ombra putrida dell’insana bestia assetata di sangue, si aggira tra ratti e vermi, ormai unici abitanti di questo luogo maledetto.
Benvenuti nel mondo dei Morgue Supplier e del loro sound,malato e schizoide, un death metal violentissimo, stravolto da iniezioni di grindcore feroce e senza compromessi che, nella sua assoluta brutalità, si abbellisce di pazzie sonore alla Voivod e rallentamenti doom destabilizzanti.
Il gruppo proviene da Chicago, ha molta esperienza alla spalle ed arriva, tramite la Obscure Musick, a questo malatissimo lavoro, una mazzata psicologicamente instabile di metal estremo, una caduta libera nella violenza primordiale, valorizzata dalle virtù tecniche e dalle ottime idee in fase di stesura dei brani da parte della band, che non dimentica nei suoi testi di denunciare le orribili stragi e le violenze perpetuate dall’uomo sui suoi stessi simili.
Veloce, devastante e a tratti cerebrale, l’album in questione non lascia dubbi sul valore dei tre musicisti coinvolti: le songs coinvolgono l’ascoltatore, travolto dal sound sempre al limite dell’umano delle varie Cultic Rape, Bringer of the End (Executioner) ed End Of Self, lasciando alle insane riminiscenze doom di Rotting In An Alley lo scettro di brano più bello e coinvolgente dell’intero lavoro.
Lavoro disturbante ma molto affascinate, Morgue Supplier viaggia una spanna sopra i lavori della maggioranza dei gruppi dediti al genere, perderlo sarebbe un peccato mortale per gli amanti del grindcore e del death metal estremo.

TRACKLIST
1. Heathen (The Throes of Poison)
2. Cultic Rape
3. Moral Vacuity
4. Bringer of the End (Executioner)
5. Mental Slum
6. End of Self
7. Graveyard Filler
8. Rotting in an Alley
9. Massive Murder
10. Dead Room
11. Equipped to Obliterate
12. Destroying a Human
13. Restraints
14. Broken Gods

LINE-UP
Paul Gillis – Vocals
Eric Bauer – Drums, Guitars
Steve Reichelt – Bass

MORGUE SUPPLIER – Facebook

Devilgroth – Morena

Morena è un buon disco perché non banale e coinvolgente a sufficienza, ma presenta qualche sbavatura di troppo per poter ambire all’eccellenza.

Duo siberiano dedito al black metal , i Devilgroth con Morena timbrano puntualmente il cartellino mantenendo il ritmo di un full length all’anno fin dal 2012.

Qui ci si trova di fronte ad un’esibizione che convince dal punto di vista del songwriting mentre, talvolta, qualcosa non quadra a livello di suoni (la batteria, che ogni tanto perde qualche colpo, è comunque sovrastata dalle chitarre che predominano il sound); avendo, per mia natura, sempre anteposto per importanza il primo dei due aspetti, non posso che confermare la bontà complessiva di un lavoro la cui produzione un po’ naif viene compensata da un’interpretazione del genere sufficientemente personale.
Il black dei Devilgroth possiede un che di epico che, nel contempo, viene sospinto dai gelidi venti della terra d’origine dei nostri. Morena si rivela pertanto un album gradevole, con diversi brani convincenti (in particolare, per potenziale evocativo, la conclusiva The Vedic Rus’) , anche se da una band dalla discografia già piuttosto cospicua diviene lecito attendersi qualcosa in più a livello di cura dei particolari.
Un buon disco, quindi, perché non banale e coinvolgente a sufficienza, ma che presenta qualche sbavatura di troppo per poter ambire all’eccellenza.

Tracklist:
1. Introduction
2. Nav’
3. Open the Eye
4. Space Suggests to Serve
5. Cradle of All Lifeless
6. Shine of the North
7. Stribog
8. The Vedic Rus’

Line-up:
Celestial – Drums
Aarsland – Guitars, Bass, Vocals

DEVILGROTH – Facebook

Xibalba (Xibalaba Itzaes) – Ah Tza ! 7″ Ep

Il loro black metal è immanente e cattivo, malvagità maya che non conosce pietà ne fa prigionieri.

Tornano i black metallers messicani Xibalba, con la loro notevole mistura di dei maya e black metal.

Gli Xibalba o meglio Xibalba Itzaes, non hanno avuto una carriera lineare, dato che pubblicano poche cose, ad esempio Demo 2010 vede la luce o meglio le tenebre quattrodici anni dopo i loro demo del 1992 e del 1994, seguiti dal debut album Ah Dazam Poop Ek del 1994. Il loro black metal è immanente e cattivo, malvagità maya che non conosce pietà ne fa prigionieri. Loro sono stati fondamentali nella nascita e nello sviluppo del black metal messicano, che ora rappresenta uno dei migliori movimenti dell’America di lingua latina. Gli Xibalba Itzaes sono stati il primo gruppo messicano a riportare la cultura maya al centro del discorso, facendo riguadagnare l’interesse dei giovani per il proprio patrimonio culturale, in chiave pagana ed anticristiana. In questi nove minuti di diluvio black metal su vinile i messicani toccano vette davvero alte di intensità, rifuggendo giustamente da una miope ottica lo fi, rendendo con una decente produzione un buon suono. Il loro black metal si discosta dalla media sia per l’esecuzione che la composizione, ma soprattutto per essere originale perché potente ma non cieco.
Furia pagana e classe balck metal per un ritorno molto gradito, che fa rimpiangere la loro scarsa prolificità.

TRACKLIST
01. Ah Tza !
02. Katun 1
03. Dawn of Endless Horrors.

LINE-UP
Marco Ek-Balam – Guitar & Vocals.
Vic EkXibChac – Bass Guitar.
Jorge Ah-Ektenel – Drums.

XIBALBA – Facebook

Mind Affliction – Into The Void

Il gruppo polacco ci investe con tutta la sua potenza estrema, unita ad un approccio tecnico che si avvicina al brutal, pur rimando confinato nel sound tradizionalmente suonato in quei luoghi.

La Metal Scrap sta facendo davvero un ottimo lavoro: nell’est europeo, oltre alle band più famose, esiste una scena in continuo fermento nell’underground metallico, che abbraccia più di un genere musicale, dal metal classico ai suoni estremi.

La label si sta imponendo come uno dei maggiori punti di riferimento per fans e addetti ai lavori, presentando nel suo catalogo una vasta gamma di gruppi e generi diversi, dalla Polonia fino agli stati dell’ex Unione Sovietica.
E dalle terre polacche arrivano i Mind Affliction, extreme metal band di Cracovia nata nel 2009 e con alle spalle un demo e il full length d’esordio, Pathetic Humanity, datato 2013.
Il gruppo polacco ci investe con tutta la sua potenza estrema, unita ad un approccio tecnico che si avvicina al brutal, pur rimando confinato nel sound tradizionalmente suonato in quei luoghi.
Death metal dai richiami black, un buon cocktail di suoni old school e moderne intuizioni, per un sound che rimane esattamente a metà strada tra i generi descritti, ma che convince, anche per l’attenta predisposizione al songwriting del combo.
Ad un primo ascolto, la lezione dei maestri Behemoth è il primo elemento che salta alle orecchie, specialmente quando il growl lascia spazio ad uno scream di stampo black metal, ma ad un ascolto più attento si intuisce che nel sound dei Mind Affliction c’è molto di più.
I tre musicisti non risparmiano le loro qualità tecniche, mettendole in campo e facendo sì che le songs siano valorizzate da brutali scariche di death metal tecnico, senza perdere la bussola e tenendo tra le briglie la forma canzone.
Brani mediamente lunghi, tra cui spiccano le devastanti Enjoy The Violence, Sundraft e Abandoned, blast beat, velocità e potenza che si trasformano in bordate di atmosferico doom metal che segue le orme degli storici Asphyx, mentre le cavalcate estreme di oscuro black/death abbondano come da tradizione nella scena estrema dei paesi dell’est.
Dariusz Zabrzeсski ( Voce e chitarra), Krzysztof Chomicki (voce e basso) e Dawid Adamus alle pelli, ci consegnano un ottimo lavoro, tra l’altro prodotto con tutti i crismi per sfondare i timpani agli amanti di queste sonorità, sta a voi andare oltre i soliti nomi e cercare ottime alternative come i Mind Affliction.

TRACKLIST
1. Lucid Void
2. Enjoy the Violence
3. Sundraft
4. Chaos Readings
5. Madness Utopia
6. Abandoned
7. Armin’s Hunger

LINE-UP
Dawid Adamus – Drums
Kamil Poręba – Guitars
Krzysztof Chomicki – Vocals (scream), Bass
D. – Vocals, Guitars

MIND AFFLICTION – Facebook

Love Sex Machine – Asexual Anger

La seconda prova per I Love Sex Machine presenta uno sludge brutale, ossessivo e ossessionante. Continuamente colpiti all’addome, il disco toglie il respiro. Le angoscianti sezioni ritmiche, le liriche malate e la voce distorta, alla fine, risultano stranamente affascinanti.

A distanza di 4 anni dal suo primo lavoro, la band di Lille esce con Asexual Anger, un album che per quanto possibile è ancora più brutale, più schiacciante, con urla infernali di supplizio e di paura.

La title track inizia con battute piuttosto cupe, succedute da un esplosione sonora caratterizzata da un aumento di potenza, da chitarre più massicce e voce straziante. Testo allucinante in cui ritroviamo piatti di carne umana, testicoli stufati ripieni di formaggio, pizza allo scroto e peni fritti croccanti. La rabbia sessuale ribolle e si manifesta in tutta la sua follia.
Drone Syndrome è una lama che entra in una ferita ormai putrida e marcescente, infliggendo dolore continuo. Solo una breve e sadica pausa fa riposare le cavità orali, ma poi riprendono agonia e martirio.
Trionfante e celebrativa Black Mountain si articola su una base di fondo piuttosto lenta rispetto al resto dell’album, nella quale si innestano lamenti carichi di sofferenza, con liriche meno disturbate.
Il morbo di Aujesky è l’equivalente della rabbia per i maiali, quindi non serve aggiunger altro. Il testo è pesantissimo, da far venire gli incubi al gentil sesso.
Devolution è l’equivalente di unghie passate su una lavagna, mentre preservativi volanti e donne con le gambe aperte che aspettano una pioggia di sborra sono il tema centrale della insana Atrocity.
Carni lacerate da sadici strumenti di tortura, sonorità da re degli inferi che impartisce sofferenze, Infernal Spiral è la perfetta colonna sonora di un incessante castigo a cui un anima può essere sottoposta.
I Love Sex Machine hanno vomitato un album con copertina dalle grafiche prossime alla censura, così pesante da tenerti schiacciato al suolo. Non mi sorprenderebbe sapere che una buona parte degli ascoltatori, in fondo in fondo abbia bisogno di terapia. Satanismo ed esperienze sessuali decisamente particolari, presentate sotto forma di lamenti e musica che ti fanno sperare di perdere l’udito. Ma alla fine il tutto risulta estremamente affascinante, quasi come se fossimo falene attirate da una luce in mezzo al buio, metafora di uno sludge ossessionante mescolato con dell’hardcore brutale.

TRACKLIST
1. Asexual Anger
2. Drone Syndrome
3. Black Mountain
4. Aujeszky
5. Devolution
6. Atrocity
7. Infernal Spiral
8. Silent Duck

LINE-UP
Yves – Chitarra, Voce
Xavier – Batteria
Guillaume – Basso, Chitarra

LOVE SEX MACHINE – Facebook

Tombstoned – II

I Tombstoned sono un gruppo particolare e qui lo confermano nettamente, producendo un disco fantastico.

Tornano questi giganti finlandesi del doom rock, con il secondo capitolo su lunga distanza.

Dopo un ottimo album omonimo nel 2013 pubblicato dalla fondamentale Svart Records, che li ha portati a suonare al Roadburn di quell’anno, ecco il nuovo capitolo. Ed è al livello del precedente, se non migliore, ma i Tombstoned vanno ascoltati ed assaporati disco dopo disco. Rispetto all’esordio alcune cose sono cambiate, il suono è sempre un piacevolissimo doom rock fortemente influenzato dagli anni settanta, ma per niente derivativo. Vivendo in nazioni differenti i membri del gruppo hanno accentuato il carattere jam session dei loro brani, ed il risultato è ottimo, lunghi riff con ottime melodie che sanno dove andare e cosa fare. il tutto con composizioni di ottima qualità.
I Tombstoned non hanno vissuto tempi facili ultimamente e la loro musica è più oscura rispetto al passato, anche il cantato è mutato, divergendo dall’iniziale carattere sabbatiano per trovare qualcosa di più simile al post punk. II è un disco molto affascinante e con un timbro dominante e forte. L’approccio totalmente analogico all’incisione da quel tocco di calore che rende ancora più magica questa musica. I Tombstoned sono un gruppo particolare e qui lo confermano nettamente, producendo un disco fantastico.

TRACKLIST
1. Pretending to Live
2. Brainwashed Since Birth
3. Time Travels
4. And I Told You
5. Haven’t We Seen All This Before
6. You Can Always Close Your Eyes
7. Remedies

LINE-UP
Akke – Drums
Olavi – Bass
Jussi – Guitar & Vocals

TOMBSTONED – Facebook