Decemberance – Conceiving Hell

Conceiving Hell per essere apprezzato pienamente va ascoltato diverse volte, dopo di che si manifesterà inesorabile in tutta la sua bellezza.

I greci Decemberance sono una band i cui primi passi risalgono addirittura a vent’anni fa, anche se, fino ad oggi, l’unico full lenght pubblicato era il buon Inside, del 2010.

Il gruppo guidato da Yiannis Fillipaios (voce, batteria) e Chris Markopoulos (chitarra) ritorna quindi dopo un lungo silenzio con il suo death doom arcigno e dalle frequenti propensioni funeral, nulla a che vedere perciò con i bravi Immensity, band dai toni ben più melodici nella quale i due militano, così come l’altro chitarrista Nikos Loukopoulos in veste live; a completare la stretta connessione dei Decemberance con la scena doom ateniese va ricordato anche come la sezione ritmica, formata dallo stesso Fillipaios e da Aggelos Malisovas, sia la stessa dei ben noti Daylight Misery.
Anche se il tempo scorre e la modernità spesso deforma in maniera determinante qualsiasi retaggio del passato, i Decemberance offrono un death doom saldamente ancorato agli anni novanta, quindi ai primordi del genere, risultando a tratti piacevolmente vicino ai primissimi Anathema.
Così, l’aspro growl del vocalist domina la scena stagliandosi su ruvidezze death che vengono intervallate da rarefazioni acustiche e, soprattutto, da rallentamenti ai confini del funeral nei quali la chitarra solista tesse splendide e dolenti trame melodiche.
Questa adesione fedele alle origini del death doom è manna del cielo per i suoi adoratori, almeno per quelli che ritengono ancora oggi brani come Under The Veil o Lovelorn Rhapsody tra i suoi capisaldi: i Decemberance dimostrano in ogni frangente una conoscenza della materia che consente loro di mettere in scena quasi un’ora e un quarto di musica, suddivisa in quattro brani, senza che il suo incedere risulti mai prolisso o ridondante.
Conceiving Hell offre un sound asciutto che trova i suoi punti più alti nei rallentamenti funeral di Departures e nello sviluppo piuttosto cangiante della magnifica The Blind Will Lead the Way, ma sempre mantenendo ben alto il livello anche dei restanti brani, grazie anche al misurato ma essenziale lavoro tastieristico di Alexandros Vlahos; il disco si muove fluttuando con disinvoltura tra il death asfissiante dei Morbid Angel di Covenant ed il doom della Sacra Triade albionica, con in più un pizzico di vena sperimentale che fa capolino in certi passaggi, come nel finale dominato dal basso della già citata The Blind Will Lead the Way.
L’opera dei Decemberance, a mio avviso, va anche ben oltre le aspettative, perché riavvolge il nastro riportandoci ai fast del death doom più verace, intriso di ottundente dolore e privo di sbocchi melodici consolatori; Conceiving Hell  per essere apprezzato pienamente va ascoltato diverse volte, dopo di che si manifesterà inesorabile in tutta la sua bellezza.

Tracklist:
1. The Scepter
2. Departures
3. The Blind Will Lead the Way
4. Sailing…

Line-up:
Chris Markopoulos – Guitars
Alexandros Vlahos – Keyboards, Samples
Yiannis Fillipaios – Vocals, Drums
Aggelos Malisovas – Bass
Nikos Loukopoulos – Guitars

DECEMBERANCE – Facebook

Where The Sun Comes Down – Welcome

Avvicinatevi con le dovute precauzioni a questo primo lavoro dei Where The Sun Comes Down, ci vuole la giusta esperienza per entrare nel buio della cantina dove si svolge la liturgia mistica che ancora una volta vede presente, in veste di sacerdoti mefistofelici, una buona fetta dell’heavy doom di scuola italiana, forse il genere non convenzionale in cui siamo più famosi.

Avvicinatevi con le dovute precauzioni a questo primo lavoro dei Where The Sun Comes Down, ci vuole la giusta esperienza per entrare nel buio della cantina dove si svolge la liturgia mistica che ancora una volta vede presente, in veste di sacerdoti mefistofelici, una buona fetta dell’heavy doom di scuola italiana, forse il genere non convenzionale in cui siamo più famosi.

D’altronde la nostra cultura è piena di leggende riguardanti il mondo dell’occulto e quella horror è sempre stata, sia nella musica che nel cinema, un passo avanti prima ancora che i blockbuster facessero scempio dei maestri italiani lodati in tutto il mondo.
Se non avete idea di chi siano Death SS, Violet Theatre ed ovviamente Paul Chain, chiudete il computer o cambiate ‘zine, stiamo parlando della storia del metal in Italia, o almeno di quello che dal doom/dark prese atmosfere e sfumature per regalare musica occulta di qualità superiore.
Thomas Hand Chaste, Alex Scardavian e Claud Galley fanno parte della storia di queste leggendarie icone e insieme a Sanctis Ghoram hanno dato vita all’ ennesimo tributo all’heavy doom/dark, che turba già dalla copertina, fuori dai soliti schemi del genere ma aperta a mille interpretazioni.
Dall’apertura, affidata a Mister Lie, si scende nell’abisso malato di un sound che scaturisce da un trip horror settantiano, la voce interpreta le varie liturgie con una teatralità unica, il doom metal lascivo e disturbante si accoppia con atmosfere che dal dark più oscuro e luciferino prendono vita; la chitarra urla dolore, il basso è un cuore che pulsa impazzito di paura e sollecitato dalle torture (A Snowin’ Day, Voyage), e la batteria tiene il passo, un lento cammino verso la perdita della ragione, quando le tastiere intonano melodie di puro terrore.
La dark wave dei primi anni ottanta è un genere importante per lo sviluppo del sound di Where The Sun Comes Down, messa come conclusione di questo terribile sabba che ha in Welcome una piccola parantesi ritmicamente doom/stoner alla Cathedral di Lee Dorrian, anche lui stregato dal sacerdote Chain nel capolavoro Alkahest (1995).
Dopo aver sentito questo lavoro, probabilmente non troverete nulla di più terrificante, a meno che non abbiate qualche anno in più e dai gruppi citati vi siete già fatti impossessare a suo tempo.

TRACKLIST
1.Mister Lie
2.A Snowin’ Day
3.Voyage
4.Myself
5.Welcome
6.Because We Were Fools
7.Where The Sun Comes Down

LINE-UP
Thomas Hand Chaste
Alexander Scardavian
Claud Galley
Sanctis Ghoram

Burning Shadows – Truth In Legend

Album intenso, adulto e dai forti connotati epici, Truth In Legend è perfettamente in grado di soddisfare i fans del power epico sparsi per il globo.

Metallo classico, epico e potenziato da ritmiche power, ormai di prassi nel genere, questa in poche parole è la musica che si ascolta sull’ultimo lavoro dei Burning Shadows, quartetto proveniente dal Maryland.

Una carriera iniziata all’alba del nuovo millennio, una manciata di ep e due lavori sulla lunga distanza è il bottino di questi guerrieri statunitensi, ora di nuovo in sella sui propri destrieri, armi in pugno e pronti per l’ennesima battaglia a colpi di heavy power metal.
E’ un buon lavoro Truth In Legend,  che non nasconde la sua vena epica, marcata non poco e che avvicina il sound del gruppo all’epic metal tradizionale, anche per la voce declamatoria e maschia di Tom Davy, ad un primo ascolto non convincente se ci si aspetta un disco power metal duro e puro, ma che cresce nel momento in cui si entra nel cuore del sound dei Burning Shadows.
Il power americano è chiaramente presente, sicuramente più in luce rispetto a quello europeo, lasciato ad alcune soluzioni ritmiche più veloci, per il resto è una glorificazione del metal guerresco tra Manowar e Cirith Ungol, con solos maideniani che portano un po’ di Europa nel sound del gruppo, in mano alle ispirazioni che arrivano tutte dal nuovo continente.
Sworn To Victory, la title track e la conclusiva Deathstone Rider risultano il cuore dell’album ed il sunto della proposta dei Burning Shadows: l’epicità è una spessa coltre di nebbia formata dalle goccioline evaporate dalle pozze di sangue che si allargano sul campo di battaglia, i crescendo maideniani, si alternano a cavalcate heavy power che a tratti ricordano gli Iced Earth, mentre l’epic metal glorioso e declamatorio porta Truth In Legend su territori meno power di quello che si può pensare in un primo momento.
La conclusione dell’opera viene lasciata, come detto, a Deathstone Rider, brano capolavoro di questa ottima prova da parte del gruppo americano.
Album intenso, adulto e dai forti connotati epici, Truth In Legend è perfettamente in grado di soddisfare i fans del power epico sparsi per il globo.

TRACKLIST
1.Day of Darkness
2.Southwind
3.Sworn to Victory
4.From the Stars
5.The Last One to Fall
6.Truth in Legend
7.The Blessed
8.Deathstone Rider

LINE-UP
Tim Regan – Rhythm Guitar, Vocals
Tom Davy – Lead Vocals
Chris Malerich – Lead Guitar
The Spencehammer – Drums

http://www.facebook.com/bsmetal

Buioingola – Il Nuovo Mare

I Buioingola spaziano su assi differenti e, partendo da una base crust, sviluppano un suono molto originale con inserti neo industrial, incursioni nel doom, soprattutto perl’incedere, e tanta oscurità.

Trattando Il Nuovo Mare, bisogna annotare ed incassare una notizia buona ed una cattiva. Dato che siamo tutti metallari vi lascio prima la notizia cattiva: molto probabilmente questo sarà l’ultimo disco dei Buioingola.

La notiza buona ed in parte consolatoria consiste nel fatto che è davvero un gran disco, un viaggio oscuro per fugare la falsa luce che ci avvolge. Il trio toscano, dopo un demo di tre tracce nel 2012 ed un lp per Sentient Ruin Laboratories nel 2013, Dopo L’Apnea, portano a compimento con questo lavoro un percorso poetico e musicale davvero notevole. I Buioingola spaziano su assi differenti e, partendo da una base crust, sviluppano un suono molto originale con inserti neo industrial, incursioni nel doom, soprattutto per l’incedere, e tanta oscurità. Il gruppo assorbe la lezione semantica di certi ensemble come Neurosis, Killing Joke, ma anche Cure (molto probabilmente capiremo appieno solo dopo anni l’estrema importanza di Robert Smith e compagni per la musica oscura), e una certa new wave. Permane come motore primo una ruvidezza e cattiveria crust hardcore punk, ma si va molto lontani, ed il risultato è stupefacente, perché lega assieme suoni ed orizzonti diversi uniti sotto la bandiera dell’oscurità. Dolore, angoscia e nessuna speranza di salvarsi, proprio come in un nuovo mare di tenebra che ci avvolge e ci porta alla consapevolezza che siamo soprattutto dolore. I testi in italiano rendono moltissimo, e non sono certo un freno, perché il gruppo è molto apprezzato all’estero. Un bellissimo viaggio tra crust, doom punk e oscurità anni ottanta e novanta, per un disco che va ascoltato e apprezzato con molteplici passaggi, non perché sia particolarmente difficile, ma proprio per il suo grande valore.

TRACKLIST
1. Polvere
2. Latenza
3. Irriconoscibile
4. Attesa
5. Eclisse
6. Silenzio
7. Il giorno dopo

LINE-UP
Diego Chuhan – chitarra, voce
Thomas Gianardi – batteria, campionamenti
Omar Bovenzi – basso, voce

BUIOINGOLA – Facebook

Three Horns – Jackie

Un lotto di brani da spararsi senza remore, una botta di vita a tutto volume, mentre il caldo ci soffoca e l’impianto dell’aria condizionata ci ha salutato da un pezzo, cosi che mai come ora la nostra pianura si trasforma in un deserto aldilà dell’oceano.

Tra citazioni del Grande Lebowsky, una partita a bowling, ed una Voghera trasportata nell’inferno del deserto americano (ma anche in quei luoghi d’estate il caldo non scherza), i Three Horns ci consegnano un altro lavoro di stoner hard rock, genere che in Italia sta regalando grosse soddisfazioni nella scena underground.

Il gruppo formato da Alessio Bertucci (chitarra e voce), Mic Roma (basso e voce) e Simone Gabrieli (batteria) se ne esce con un album, Jackie, formato da una serie di brani irriverenti, dallo spirito punk e rock’n’roll che si impossessa dell’hard rock stonato, classicamente americano e perso nel deserto o nelle pianure infuocate del nord Italia.
Diretto come un pugno in pieno volto preso in una rissa da bar, Jackie lascia ad altri jam psichedeliche per incontrare il grunge, l’alternative rock dei primi anni novanta ed il rock’n’roll appesantito da potenti dosi di ritmiche stonerizzate e varie, come se Kurt Cobain avesse lasciato le parti ritmiche di Nervermind nelle mani di Les Claypool.
L’irriverenza punk fa il resto, consegnandoci mezz’ora di rock adrenalinico, un sound live che si evince da una produzione essenziale ma perfettamente in linea con l’idea di rock del gruppo di Voghera, che piazza una serie di colpi come California, brano che apre l’album, la successiva Evil Dead, Michigan e Fight Velasquez.
Un lotto di brani da spararsi senza remore, una botta di vita a tutto volume, mentre il caldo ci soffoca e l’impianto dell’aria condizionata ci ha salutato da un pezzo, cosi che mai come ora la nostra pianura si trasforma in un deserto aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1.California
2.Evil Dead
3.Jackie
4.Half Life
5.Michigan
6.Fight Velasquez
7.The balland of the lonley man

LINE-UP
Alessio Bertucci – lead vocals and backing vocals, electric and acoustic guitar, synth,dobro,banjo, keyboards,percussions, glockenspiel
Michele Romagnese – lead vocals and backing vocals, bass, megabass, percussions
Simone Gabrieli – Drums,percussions

THREE HORNS – Facebook

Evil Cinderella – Dangerous Inside

La band ci presenta cinque brani di spumeggiante hard & heavy tedesco, con le chitarre a forgiare ritmi potenti e riff tosti come l’acciaio, una forma canzone già di buona fattura e chorus ottantiani di quell’hard rock melodico che nel loro paese è tradizione radicata come la birra.

Le nuove leve dell’hard & heavy mondiale fanno spallucce ai detrattori ed ai ricercatori dell’originalità a tutti i costi e tornano sulle strade impervie del genere, quello vero che negli anni ottanta fece innamorare un’intera generazione di ascoltatori, tanto da non lasciare mai le classifiche di settore.

Negli anni novanta il rock americano ha letteralmente spinto in un angolo il genere, ma nell’underground ed in certi paesi (come il Giappone) i gruppi sopravvissuti agli eccessi del decennio precedente e le nuove leve hanno trovato un rifugio sicuro.
Di questi tempi, per l’ennesima volta è cambiato tutto e l’hard & heavy sta tornando ad infiammare le autoradio degli amanti del genere, così non manca mai una nuova band di cui occuparsi per chi di questi suoni scrive e si nutre.
I giovani rockers tedeschi Evil Cinderella sono un quartetto attivo da una manciata d’anni e Dangerous Inside è il secondo ep, successore di Wanna Get Dirty uscito un paio di anni fa.
La band ci presenta cinque brani di spumeggiante hard & heavy tedesco, con le chitarre a forgiare ritmi potenti e riff tosti come l’acciaio, una forma canzone già di buona fattura e chorus ottantiani di quell’hard rock melodico che nel loro paese è tradizione radicata come la birra.
Krokus, Bonfire, Gotthard e più o meno tutte le band di rock duro, passano attraverso questa manciata di brani, interpretati con passione da questo gruppo di giovani musicisti che valorizzano gli insegnamenti dei maestri con la potenza e la melodia che si alternano su Eagle Eye, Day By Day e la title track.
Un ep che conferma la buona presa della musica del gruppo, pronto per un futuro full length che noi di MetalEyes cercheremo di non farci scappare.

TRACKLIST
1.Eagle Eye
2.Day by Day
3.Dangerous Inside
4.Without a Chance to Fight
5.Pretend You Died

LINE-UP
Henrik de Bakker – Vocals, Guitars
Paul Nakat – Guitars
Christian Lange – Bass
Jonas Christians – Drums

EVIL CINDERELLA – Facebook

Façade – Loathe

Sia pure con gli scostamenti minimi che il genere consente, i Façade riescono nell’intento di offrire un lavoro eccellente e dalla cifra stilistica piuttosto personale, finendo per non assomigliare in maniera particolare a nessuno tra i nomi di riferimento del settore.

Dalla fertile scena olandese ecco arrivare una nuova interessante band dedita al death doom.

In realtà i Façade non sono proprio di nuovo conio, essendo attivi già da diversi anni e con alle spalle un ep nel 2013, ma Loathe è il primo full length che, di fatto, ne va a collocare il nome tra le più stimolanti realtà europee.
Sia pure con gli scostamenti minimi che il genere consente, la band di Dordrecht riesce nell’intento di offrire un lavoro dalla cifra stilistica piuttosto personale, finendo per non assomigliare in maniera particolare a nessuno tra i nomi di riferimento del settore.
Loathe si muove tra le ritmiche rallentate come da copione ma agitate da sussulti ritmici capaci di catturare, anche se non si può fare a meno di rilevare una vena post metal innestata con buona fluidità nel sound: spesso, infatti, passaggi liquidi e più rarefatti costituiscono il contraltare alle ruvidezze intrise di dolente senso melodico, con l’interpretazione dell’ottimo Ben De Graaff (chiamato a prestare la sua voce anche nella nuova reincarnazione degli storici Phlebotomized) che, in compenso, non deroga quasi mai da un growl profondo ed incisivo.
L’album non mostra punti deboli, snodandosi lungo sei tracce ugualmente convincenti e valorizzate appieno dal non così consueto apporto di tre chitarre, le quali garantiscono sia un corposo apporto ritmico sia assoli di pregevole fattura, a costellare una tracklist fatta di sette lunghi brani tra i quali spiccano le drammatiche Insanity Restored e Departure, rilucenti vette emozionali di un lavoro eccellente sotto tutti gli aspetti.
I Façade sono un’altra notevole band che va ad aggiungere l’ennesimo tassello ad un genere come il funeral/death doom, appannaggio di pochi intimi qui in Italia ma capace invece, fuori dai nostri confini, di riscuotere un buon consenso di pubblico, dando vita ad un circolo virtuoso che vede la costante nascita di realtà in grado di affiancare con pari dignità i nomi storici della scena.

Tracklist:
1.Apostate
2.Veil of Deceit
3.Insanity Restored
4.Sleepless
5.Departure
6.Forlorn

Line-up:
Ben de Graaff – Vocals
Pim van Dijk – Bass
Berend Klein Haneveld – Guitar
Conrad Stroebel – Guitar
Chris Harmsen – Guitar
Korijn van Golen – Drums

Façade – Facebook

Dark Ages – A Closer Look

L’incontro tra il progressive rock ed il metal, avvenuto nei primi anni novanta, ha portato una ventata di freschezza al primo, genere tendenzialmente conservatore (più tra gli ascoltatori che tra i musicisti, ad onor del vero) ed un tocco di eleganza e raffinatezza tecnica al secondo, creando di fatto un genere parallelo (il prog metal) anche se non mancano proposte come quella dei veterani Dark Ages,  classica band progressive alla quale, a tratti, non mancano verve e grinta metallica.

Il gruppo fondato da Simone Calciolari, chitarrista ed unico membro rimasto della formazione originale datata 1982, licenzia il suo quarto studio album per l’Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa, dopo le fatiche per aver portato in teatro le due parti del concept Teumman, opera ambiziosa piaciuta non poco nell’ambiente del progressive rock.
Dopo l’entrata in formazione di Roberto Roverselli alla voce e Gaetano Celotti al basso, arriva il momento di A Closer Look, album che conferma quanto di buono i Dark Ages hanno fatto in questi anni.
Non mancano alcuni ospiti, come i cantanti Claudio Brembati (Anticlockwise), Ilaria L’Abbate e Tiziano Taffuri, il sax di Enrico Bentivoglio (Against The Tides) ed il recitato di Paul Crespel in Fading Through the sky, a completare ed impreziosire un’ altra opera rock/metal in arrivo dalla scena nazionale.
A Closer Look, nella sua interezza, è un susseguirsi di tensione emotiva ed atmosfere eleganti, un rincorrersi tra la parte più rock e rilassata del progressive e quella animata dall’irruenza del metal, tra cambi di tempo perfetti ed un lavoro sontuoso sui tasti d’avorio che orchestrano a meraviglia gli umori cangianti di perle progressive come At The Edge Of Darkness, cuore pulsante di questo lavoro, dieci minuti di melodie progressive sapientemente metalliche che sfumano nelle armonie delicate create da sax e piano in Against The Tides.
Il gruppo conosce molto bene la materia e le scale armoniche che riempiono la title track e la bellissima Yours non mancheranno di strappare un sorriso agli amanti del genere collocandosi tra Dream Theater e Yes, due generazioni di musica progressiva che si incontrano senza scontrarsi nella musica dei Dark Ages.
Una velata sfumatura epica aleggia su A Closer Look, particolare di non poco conto, importantissimo per riuscire a far breccia nei cuori ribelli dei progsters dall’anima metal e rendere l’album uno dei migliori esempi di musica progressiva uscita dal nostro paese in questa prima metà del 2017.

TRACKLIST
01. A Closer Look
02. Till the Last Man Stands
03. Yours
04. At the Edge of Darkness
05. Against the Tides
06. The Anthem
07. Fading Through the Sky

LINE-UP
Simone Calciolari – Guitars
Gaetano Celotti – Bass
Roberto Roverselli – Vocals
Carlo Busato – Drums
Angerla Busato – Keyboards

DARK AGES – Facebook

A Closer Look nella sua interezza è un susseguirsi di sali e scendi di tensioni ed atmosfere eleganti, un rincorrersi tra la parte più rock e rilassata del progressive e quella animata dall’irruenza del metal.

Assault – The Fallen Reich

Il quintetto asiatico mostra una buona tecnica applicata a idee sfruttate a suo tempo dai nomi storici del genere, riportate perfettamente alle orecchie dei fans in questo lavoro che non può non fare breccia tra i deathsters dai gusti melodici.

Anche nella lontana Singapore si suona death metal melodico e di ottima qualità, a giudicare da questo lavoro che viene considerato un full length ma, più realisticamente, della durata di un ricco ep.

Ventuno minuti, infatti, sono troppo pochi per considerare The Fallen Reich un lavoro su lunga distanza, ma la qualità della musica proposta dagli Assault lo colloca ugualmente tra gli ep più riusciti di questa prima metà del 2017, almeno nella scena underground e nel genere proposto.
Gli Assault suonano death metal melodico da oltre dieci anni: poco prolifici, hanno dato alle stampe un solo lavoro prima di The Fallen Reich, l’ep The Exceptions of the Rebellions uscito sei anni fa.
Poco per dare continuità ad una carriera, in tempi nei quali dopo pochi mesi dall’uscita un album è già vecchio, ma vista la qualità della musica prodotta perdoniamo la band di Singapore, autrice di un ottimo esempio di death metal melodico scandinavo in un paese migliaia di miglia lontano dalle nevi di Stoccolma o Oslo.
Enslavement to Torture, Spawn Of Rage e la title track sono un buon esempio di genere, tra Soilwork, At The Gates e primi In Flames, niente di nuovo all’orizzonte, ma tutto ben fatto e dal notevole impatto.
Il quintetto asiatico mostra una buona tecnica applicata a idee sfruttate a suo tempo dai nomi storici del genere, riportate perfettamente alle orecchie dei fans in questo lavoro che non può non fare breccia tra i deathsters dai gusti melodici.

TRACKLIST
1.Enslavement to Torture
2.Genocidal Conspiracy
3.Spawn of Rage
4.Ghettos
5.The Fallen Reich
6.The Final Solution

LINE-UP
Syaz – Bass
Hanesh – Guitars (lead)
Clarence Chong – Vocals
Noh – Drums
Yuda – Guitars (rhythm)

ASSAULT – Facebook

Weregoat – Pestilential Rites of Infernal Fornication

Grazie all’accurata produzione il massacro si compie nitidamente e i Weregoat confezionano un gran lavoro di death puro e senza compromessi.

Con abbondante anticipo sulla data di uscita a fine giugno vi scriviamo la modesta recensione di questo disco maledetto, non doveste più avere nostre notizie andate a rifugiarvi con prontezza perché i demoni evocati dai Weregoat sono liberi.

Tutto ciò e molto altro ancora più in basso è ciò che verte intorno al disco, fatto di un un death black metal davvero distorto e malato. Molta malvagità è passata dai tempi dei primi dischi death davvero cattivi e degenerati, e vi sono state anche punte elevate in gruppi che hanno poi venduto meritatamente, ad esempio i Morbid Angel, per dire un nome. Qui invece la cattiveria, la velocità, la potenza e la pazzia sono una sordida preghiera al nero signore. I Weregoat non danno tregua e in questo esordio ci mettono tutto la degenerazione che hanno accumulato negli anni, anche grazie ad uscite musicali con durata inferiore a quella di questo disco. Vera gioia nera, pura perversione satanica, farfalla di un death Black molto sbilanciato verso il death più underground, e molto ben prodotto. Grazie all’accurata produzione il massacro si compie nitidamente e i Weregoat confezionano un gran lavoro di death puro e senza compromessi. Se questo è il debutto, verremo presto spazzati via.

TRACKLIST
01 Goat Lust
02 Osculum
03 Molested By Evil
04 Screaming
05 Forked Tongue
06 Full Moon
07 Under The Whip
08 Archgoat
09 As Cold as The Devils Seed
10 Pestilential Rites

LINE-UP
Lecherous Agressor – Guitar Sodomy
Nocturnal Hellfukker – SubAtomic Detonations and Kommands of Bestial Penetration
SadoSeducer- Doomhammers of primal lust and hate!

WEREGOAT – Facebook

The Dead Daisies – Live & Louder

Licenziato dalla Spitfire/SPV in vari formati, tra cui uno con un documentario ed interviste ai vari membri dei The Dead Daisies, Live & Louder fotografa perfettamente la dimensione live di una band che, ad oggi, può sicuramente esser considerato il super gruppo per eccellenza, almeno per quanto riguarda il genere suonato.

I ragazzi terribili sono tornati e dopo aver dato alle stampe un esordio omonimo, un secondo album dinamitardo come Revolución, ed un autentico capolavoro dal titolo Make Some Noise, mancava solo il classico live album (come si faceva una volta), che va ad immortalare una formazione ed una raccolta di canzoni che sono l’essenza stessa dell’hard rock.

La formazione è la stessa dell’ultimo lavoro (ricordo che i The Dead Daisies sono un progetto del chitarrista David Lowy , nel quale si sono dati il cambio musicisti che sono icone del genere) con un John Corabi straordinariamente in forma al microfono, la sezione ritmica composta dal batterista Brian Tichy e Marco Mendoza al basso, un signor chitarrista come Doug Aldrich e l’evento è servito.
Licenziato dalla Spitfire/SPV in vari formati, tra cui uno con un documentario ed interviste ai vari membri dei The Dead Daisies, Live & Louder fotografa perfettamente la dimensione live di una band che, ad oggi, può sicuramente esser considerato il super gruppo per eccellenza, almeno per quanto riguarda il genere suonato.
Ovviamente i brani suonati, pescati dai vari album, dal vivo assumono quel pizzico di verve in più che li rende delle autentiche perle, graffianti e spettacolari, ma anche bluesy, dove l’ elettricità lascia spazio alle atmosfere semiacustiche di Something I Said.
Long Way To Go e Mexico indicano una partenza che lascia senza fiato e sul posto almeno il 90% dei gruppi odierni, mentre il bolide The Dead Daisies sfreccia a tutta velocità verso un traguardo che prima vede passare la title track dell’ultimo album, il rock’n’roll di Fortunate Son, Join Together e With You And I stritolate da un serpente bianco, mentre Corabi elargisce lezioni da rockstar, Aldrich e Lowy strapazzano le loro sei corde e la coppia Tichy/Mendoza è una macchina da guerra hard rock.
In altri tempi i The Dead Daisies sarebbero osannati come stelle del rock alla pari dei gruppi storici, impressione che diventa consapevolezza all’ascolto di questo mastodontico live, mentre Helter Skelter, capolavoro heavy di quei quattro geni dei Fab Four, accompagna verso il gran finale gli astanti, presi a schiaffi da American Band, cover dei Grand Funk Railroad, e Midnight Moses dal bellissimo Revolución.
Per gli amanti dei live album, Live & Louder si rivela un album imperdibile, a rappresentare l’hard rock alla sua massima potenza.

TRACKLIST
1. Long Way To Go
2. Mexico
3. Make Some Noise
4. Song And A Prayer
5. Fortunate Son
6. We All Fall Down
7. Lock ‘ N’ Load
8. Something I Said
9. Last Time I Saw The Sun
10. Join Together
11. With You And I
12. Band Intros
13. Mainline
14. Helter Skelter
15. American Band
16. Midnight Moses

DVD content: total playing time: 85 min language: English video: NTSC / 16:9 audio: 2.0 Stereo Documentary “Live & Louder” (40min)
1. Intro
2. Looking back at 2016
3. Touring with the Daisies
4. Doug Aldrich
5. Show Preparation
6. Stage Fright
7. Song Favorites
8. Cover Songs
9. The Signing Sessions
10. Looking to the Future
Tour Recaps (25 min)
1. Recording
2. Musikmesse / Hessentag
3. Summer Tour
4. Freedom to Rock Tour
5. Arizona Cardinals
6. Japan / South Korea – U.S.O.
7. Kiss Kruise
8. Fall/Winter
Tour Bonus Content (20min)
1. Slideshow Best of 2016
2. Videoclip: Song and a Prayer
3. Videoclip: Join Together
4. Videoclip: Long Way to Go
5. Videoclip: Make Some Noise

LINE-UP
Brian Tichy – drums
David Lowy – guitars
John Corabi – vocals
Doug Aldrich – guitars
Marco Mendoza – bass

THE DEAD DAISIES – Facebook

Debackliner – Debackliner

Un album che cresce con gli ascolti e si mantiene su un buon livello per tutta la sua durata: metallo classico con tutti gli annessi e connessi, serve altro?

Attivi dal 2006 sotto un altro monicker (The Omega), poi cambiato qualche anno fa, arrivano solo ora al debutto i francesi Debackliner, band di metal classico che centra il bersaglio con questo buon debutto omonimo.

Chitarre maideniane, un cantante molto bravo ed il gioco è fatto, Debackliner offre quello che il metallaro chiede a gran voce da un gruppo di heavy metal classico: grinta, melodie ben incastonate in un sound che non manca di qualche spunto progressivo, ormai di norma nelle opere di genere in questi ultimi anni, un tocco epico dato dai chorus che sprizzano energia metallica e un lotto di brani che, senza risultare clamorosi, lasciano che mid tempo potenti, crescendo tipici della new wave of british heavy metal e qualche accelerazione thrash non facciano di certo annoiare l’ascoltatore.
Debackliner è lungi ad essere un album perfetto, ma senz’altro l’approccio thrash/power di brani come l’ottima Children Of The Night, la potenza epico metallica della portentosa Erase The Hordes, un brano tra l’heavy metal degli Iron Maiden e il power dei Blind Guardian, fanno proseliti tra i fans del metal classico, assolutamente d’accordo nel fare i sentiti complimenti al mattatore dell’album, il singer Bob Saliba.
E l’ugola del vocalist fa strage di cuori metallici tra le trame delle due spettacolari tracce che risultano il cuore pulsante di questo lavoro, le epiche e progressivamente metalliche cavalcate che rispondono al nome di The Omega e Jolly Roger.
Con questi due soli brani la band si conquista un buon voto, il sound del gruppo viene bilanciato da un’eleganza progressiva che ricorda gli Ark e, a tratti, i Masterplan del primo album, specialmente nelle linee melodiche del cantante che ricordano quelle del maestro Jorn, mentre le atmosfere oscure nello stacco centrale di Jolly Roger tornano a far risuonare il mood maideniano che avvolge l’intero lavoro.
Un album che cresce con gli ascolti e si mantiene su un buon livello per tutta la sua durata: metallo classico con tutti gli annessi e connessi, serve altro?

TRACKLIST
1.Pandora
2.Rise of Angel
3.Children of the Night
4.Werewolf
5.Erase the Hordes
6.Mr. Jack
7.The Omega
8.Jolly Roger
9.Circle

LINE-UP
Thomas Pognante – Bass
Serge Servise – Drums
Rémi Caleca – Guitars
Eric Luvera – Guitars (rhythm)
Bob Saliba – Vocals

DEBACKLINER – Facebook

Katharos XIII – Negativity

I Katharos XIII dimostrano di possedere le stimmate della band di livello superiore alla media, ed indicano un’ideale sbocco creativo a chiunque voglia offrire una personale rilettura della materia black metal.

Ancora una volta, in un lasso di tempo relativamente breve, ci troviamo a parlare di metal estremo in arrivo dalla Romania, con non pochi legami con gli album appena trattati.

Infatti, i Katharos XIII, al loro secondo full length, provengono anch’essi dalla fertile scena di Timisoara e vedono in line-up l’ormai nota figura di Fulmineos, all’opera con i magnifici Argus Megere, oltre ad Ordinul Negru ed un passato nei numi Negură Bunget.
Rispetto agli autori di VEII, il black metal in questo caso assume sembianze più sperimentali, anche se non mi trovo molto d’accordo con l’etichetta depressive assegnata nelle note di accompagnamento, se non per l’aspetto lirico che tiene perfettamente fede ad un titolo come Negativity.
In realtà, l’approccio dei Katharos XIII è piuttosto avanguardistico, pur senza spingersi verso orizzonti eccessivamente cervellotici, poiché appaiono sempre ben delineate le intuizioni melodiche e neppure si disdegnano ritmiche a tratti dall’impatto catchy, come avviene nell’opener XIII, traccia più che mai esemplificativa degli intenti dei nostri.
La pesantezza della successiva title track, del resto, è tutt’altro che sintomo di monotematicità, con l’esibizione di minacciosi break e rallentamenti che, come nel resto del disco, contribuiscono a rendere vario e poco scontato l’album.
Il velo di sofferenza che avvolge il lavoro si estrinseca attraverso trame sonore sempre brillanti, spesso di sorprendente originalità, che dal black traggono soprattutto l’interpretazione vocale e certe accelerazioni ritmiche: in Negativity vengono frullate con grande abilità pulsioni estreme, progressive e post metal, per un risultato finale sul quale si sarebbe potuto scommettere ad occhi chiusi alla luce del valore della crescente scena che questi musicisti rappresentano.
I Katharos XIII spargono con generosità all’interno del loro album diversi momenti di fulgore compositivo (ognuno dei sette brani è splendido, ma No One Left To Lead The Way e Inside spiccano per il loro trascinante incedere), dimostrando di possedere le stimmate della band di livello superiore alla media ed indicando un’ideale sbocco creativo a chiunque voglia offrire una personale rilettura della materia black metal.

Tracklist:
1. XIII
2. Negativity
3. No One Left To Lead The Way
4. The Chains Are So Beautiful
5. World’s Coffin
6. I Die Everytime I Walk This Path
7. Inside

Line-up:
F – vocals, guitars, keyboards
Andrei – guitars
SQ – bass
Sabbat – drums

KATHAROS XIII – Facebook

From The Dust Returned – Homecoming

Un debutto davvero sorprendente per un gruppo che riesce nella non facile impresa di risultare classicamente progressivo pur usando note, sfumature ed attitudine fuori dai cliché conservatori del genere.

Dopo varie vicissitudini che hanno portato il gruppo a rimodellare la formazione, Homecoming finalmente vede la luce tramite la Sliptrick Records e la carriera di questa ottima band progressive può prendere il via.

Stiamo parlando dei From The Dust Returned, gruppo nostrano che vede all’opera due membri degli storici Graal (Danilo Petrelli e Cristiano Ruggero, rispettivamente tastiere e batteria) e del suo debutto in formato ep, una mezzora di musica progressiva, tra tradizione settantiana, metal estremo ed atmosfere dark.
Ogni brano prende ispirazione da patologie psichiatriche, un viaggio in più di una mente malata di schizofrenia, clinofobia e depressione e la musica che supporta il concept non può che essere cangiante, tragica, oppressivamente estrema e dark, seguendo appunto i deliri provocati dalla sofferenza che malattie del genere comportano.
L’album si apre con Harlequeen, sunto del sound prodotto dai From The Dust Returned, con armonie acustiche post dark ammantate di prog metal teatrale che ci accompagnano in questo viaggio nella mente umana: la voce pulita, a tratti declamatoria, si scontra con il growl, mentre i tasti d’avorio disegnano arabeschi di progressive rock;
l’atmosfera delle varie tracce si può senz’altro dichiarare estrema, perennemente in tensione e attraversata da notevoli cambi di tempo e parti acustiche suggestive.
In un sound in cui l’anima progressiva classica è preponderante, il growl ed i vari toni vocali usati fanno la differenza, così come il gran lavoro delle tastiere, mentre la parte estrema permette a brani come Echoes Of Faces e Wipe Away The Rain di acquistare un tocco di originalità in più, elevando Homecoming al rango di lavoro da apprezzare in tutte le sue sfumature.
Un debutto davvero sorprendente per un gruppo che riesce nella non facile impresa di risultare classicamente progressivo pur usando note, sfumature ed attitudine fuori dai cliché conservatori del genere.

TRACKLIST
01. Harlequeen
02. Homecoming
03. Echoes of faces
04. Glare
05. Wipe away the rain
06. Sleepless

LINE-UP
Alex De Angelis – Vocals, Guitars
Marco del Bufalo – Vocals
Miki Leandro Nini – Bass
Danilo Petrelli- Keyboards
Cristiano Ruggiero – Drums

FROM THE DUST RETURNED – Facebook

Khrophus – Presages / Eyes of Madness

Gli ultimi due album dei Khrophus vengono ripresi in questa interessante uscita.

Presages/Eyes Of Madness racchiude le ultime due uscite discografiche dei devastanti deathsters brasiliani Khrophus e si rivela molto utile per tastare il polso alla scena estrema sudamericana.

La band infatti è attiva dai primi anni novanta, periodo d’oro del genere un po’ in tutto il mondo, ed ovviamente anche nel paese verde oro, da sempre molto ricettivo per i suoni metallici con particolare attenzione per quelli estremi di stampo death.
Erano anno che impazzavano i Sepultura, senza dubbio la band metal più famosa e longeva proveniente dal Brasile, mentre negli Stati Uniti la scena floridiana risplendeva dei suoni brutali della Bay Area, quindi i Khrophus si identificano in quelle band che seguirono la strada tracciata dai gruppi più famosi, creandosi il loro seguito nella scena underground.
Gli ultimi due album, datati 2009 (Presages) e 2013 (Eyes Of Madness), sono ripresi in questa uscita che risulta interessante, specialmente per gli amanti del genere dai gusti assolutamente old school: due opere dal mood abissale, soffocanti come il miglior death metal di scuola Morbid Angel, pesantissimo nelle ritmiche spesso rallentate per poi ripartire in un armageddon di suoni violentissimi.
Un growl animalesco ed uno scream che compare come un demone dall’oscurità accompagnano il death metal dei Khrophus, band che senza apparire irrinunciabile non mancherà di soddisfare gli appassionati del genere.

TRACKLIST
1.Dominated
2.Symbols or Not?
3.Of the Elders
4.Statues
5.Returning to Apollo… Resurrecting from the Darkness
6.Fisher of Souls
7.Slaves of Hunger
8.Spirits
9.Smoke Screen
10.Dead Face
11.By the Sun
12.Interposition
13.Forbidden Melodies
14.The Book of the Dead
15.Lost Initiations
16.Master of Shadows
17.Harvest (Eyes of Madness)
18.Chimeras

LINE-UP
Adriano Ribeiro – Guitars
Alex Pazetto – Vocals, Bass
Carlos Fernandes – Drums

KHROPHUS – Facebook

Sabbath Assembly – Rites Of Passage

Un disco dolcissimo e tremendo, un metal pop liberty che è concepito e suonato in maniera straordinaria, per un gruppo che continua a stupire facendo musica di qualità altissima.

I Sabbath Assembly sono da anni uno dei gruppi più interessanti nel panorama del metal occulto, e sono ovviamente molto altro.

Dopo qualche cambio di formazione, sempre sotto il comando illuminato della cantante Jamie Myers, ex Hammer of Misfortune, i Sabbath Assembly tornano con un disco molto interessante e differente rispetto alle loro altre opere. Ad ogni lavoro il gruppo progredisce e ci offre musica diversa, impreziosita dal fatto di essere scritta e suonata benissimo. Rites Of Passage è un disco maestoso, bellissimo e costruito per essere apprezzato su diversi livelli di lettura, come tutte le grandi opere. La loro magnificenza rituale e simbolistica è davvero grande, il disco ha un incedere epico e magnificente, scava dentro il nostro passato per provare a mettere a fuoco il nostro presente. La loro musica si può definire in molti modi, ma forse barocca è quello che le calza meglio. In questo caso, barocco non è un inclinazione verso gli orpelli, ma un istinto a leggere la storia umana e a rigettarla sotto forma di musica e di piacere. Gli album dei Sabbath Assembly sono sempre stati strutturati come rituali, sacrifici in forma di musica, e questo disco rappresenta vari riti di passaggio che possiamo incontrare nella nostra vita. La musica è un doom rock per l’ appunto barocco, con forti momenti di heavy pop anni settanta. I Sabbath Assembly, semplificando notevolmente sono simili ai Ghost, solo molto più interessanti, e poi vari musicalmente ed esteticamente più aderenti. In sede di scrittura è forte l’ impronta di King Diamond nei suoi dischi solisti, con quel timbro sontuoso e aperto ad influenze liberty. Rites Of Passage, come per i loro dischi precedenti, va poi oltre un significato meramente musicale. Qui c’è il dolore dei riti di passaggio che sigla ogni nostro cambiamento, ogni perdita o cambiamento importante, poiché in questa epoca di finto progresso abbiamo dato per scontato che il dolore possa essere escluso dalle nostre vite, invece è esso stesso un rito di passaggio. Un disco dolcissimo e tremendo, un metal pop liberty che è concepito e suonato in maniera straordinaria, per un gruppo che continua a stupire facendo musica di qualità altissima.

TRACKLIST
1. Shadows Revenge
2. Angels Trumpets
3. I Must Be Gone
4. Does Love Die
5. Twilight of God
6. Seven Sermons to the Dead
7. The Bride of Darkness

LINE-UP
Johnny DeBlase – Bass
Kevin Hufnagel – Guitars
Dave Nuss – Drums
Jamie Myers – Vocals
Ron Varod – Guitars

SABBATH ASSEMBLY – Facebook

Assaulter – Meat Grinder

Un album che sprizza metal devastante e tripallico da tutti i pori, un altro lavoro convincente dalla sempre meno provinciale scena italiana.

Un altro gradito ritorno sulla scena metallica nostrana è quello dei pugliesi Assaulter, thrashers di Taranto che avevano rotto non poche teste con il primo ep, Crushed by Raging Mosh, uscito ormai sei anni fa.

Thrash metal dirompente, bilanciato tra tradizione americana ed europea, suonato e prodotto molto bene e, per questo, esplosivo il giusto per non fare prigionieri ma solo macerie.
Riff veloci e taglienti, tanta grinta che a tratti si trasforma in pura rabbia, ed una dose molto alta di adrenalina continuano ad essere le maggiori qualità del gruppo di Taranto, in guerra contro tutto e tutti con un approccio speed che ne rende appetibile il sound ai thrashers dai gusti classici ed old school.
Meat Grinder non lascia scampo, le tracce più veloci vengono rallentate e si trasformano in muri sonori, mentre il gruppo viene impossessato da uno spirito hardcore/punk nei quarantadue secondi della violentissima L.M.T., oppure quando il gioco al massacro è condotto dallo speed/thrash old school di Assaulter o Mind Control.
L’alternanza tra velocità e mid tempo risulta più marcato nelle tracce in cui il minutaggio si allunga, come in Terror World ed After The Countdown, anche se l’approccio al genere, per il gruppo è da guerra totale per tutta la durata dell’opera.
Meat Grinder è un album che i thrashers duri e puri troveranno perfetto, perché la band usa a suo piacimento tutti i cliché del genere con personalità e tecnica, affidandosi ad un suono esplosivo che trasporta l’ascoltatore, affascinato dal tagli di un lavoro curato nei minimi dettagli.
Un album che sprizza metal devastante e tripallico da tutti i pori, un altro lavoro convincente dalla sempre meno provinciale scena italiana.

TRACKLIST
1.Assaulter
2.Meat Grinder
3.Dead End Siding
4.Terror World
5.L.M.T.
6.Liesocracy
7.Mind Control
8.Pay to Play
9.After the Countdown
10.Bestial Vomit

LINE-UP
Paolo Iori – Guitars
Enzo – Vocals, Bass
Rodolfo – Drums
Gigi – Guitars

ASSAULTER – Facebook

Heavy Temple – Chassit

La musica racchiusa in Chassit, secondo ep degli Heavy Temple, trio nato da un sabba in qualche locale di Philadelphia cinque anni fa, la si può senz’altro descrivere come un trip di rock vintage alla massima potenza.

Doom metal e psichedelia: un connubio pericolosissimo se non viene usato con estrema cautela, se poi ci si aggiunge un pizzico di stoner ed una vena leggermente progressiva si ottiene un cocktail micidiale di musica rock dalle reminiscenze settantiane, fatte amoreggiare con sonorità pescate dai decenni successivi.

La musica racchiusa in Chassit, secondo ep delle Heavy Temple, trio nato da un sabba in qualche locale di Philadelphia cinque anni fa la si può senz’altro descrivere in questo modo, un trip di rock vintage alla massima potenza.
Siamo giunti quindi al secondo album (il primo ep omonimo è datato 2014) e la band formata da Saint Columbidae alle pelli, Arch Bishop Barghest alla sei corde e la sacerdotessa High Priestess NightHawk al basso e voce, continua la sua immersione nella musica dal puzzo di zolfo e la potenza di uno schiaccia sassi, ornata da ricami lisergici e cadenzate parti stonerizzate, mentre il rituale prende vita tra teschi ornati di serpi e pentoloni a bollire su fuochi che emanano esalazioni infernali.
Un accenno al prog con In The Court Of The Bastard King, titolo dallo spunto crimsoniano, e lente agonie liturgiche (Pink Glass), mentre il sole sorge ma noi si rimane imprigionati nel vortice di colori innaturali che sguazzano nella nostra mente, ormai in balia delle tre sacerdotesse americane.
Per chi i piace il genere le Heavy Temple possono rivelarsi un’autentica e gradita sorpresa.

TRACKLIST
1.Key and Bone
2.Ursa Machina
3.Pink Glass
4.In the Court of the Bastard King

LINE-UP
Saint Columbidae – Drums
Arch Bishop Barghest – Guitars
High Priestess NightHawk – Bass, Vocals

HEAVY TEMPLE – Facebook

Graveyard Of Souls – Pequeños Fragmentos De Tiempo Congelado

Il duo iberico mostra il suo volto migliore quando approccia il genere con ritmi più ragionati e una maggiore ricerca dell’emotività, mentre convince meno il tentativo di rendere il sound più catchy nei passaggi prossimi al death melodico o al gothic.

Degli spagnoli Graveyard Of Souls ci eravamo già occupati qualche anno fa, in occasione del loro primo full length Shadows Of Lifes.

Autori di un buon gothic death doom, all’epoca i nostri non erano apparsi in grado di elevarsi oltre un livello medio, comunque apprezzabile, e non è che l’impressione vada a modificarsi più di tanto con questo nuovo Pequeños Fragmentos De Tiempo Congelado, album che arriva dopo altre due opere su lunga distanza, Infinitum Nihil e Todos los caminos llevan a ninguna parte.
L’interpretazione del genere da parte di Raul e Angel non lascia spazio a particolari critiche né dal punto di vista esecutivo né da quello della produzione (anche se quest’ultimo aspetto è senz’altro migliorabile), perché in questo genere li ritengo elementi marginali rispetto al potenziale emotivo di un’opera: il problema è che, in buona sostanza, vengono meno quei guizzi capaci di rendere identificabile il sound.
Va detto, ad onore dei Graveyard Of Souls, che alcuni brani si dimostrano senz’altro all’altezza della situazione, specie quando questi possiedono un maggiore respiro atmosferico: non mancano così spunti melodici di buona fattura, come nelle buone Entre fragmentos de locura, Cementerio de ilusiones e Al atardecer, che contribuiscono a mantenere l’album al di sopra della linea di galleggiamento senza però che l’attenzione dell’ascoltatore venga catturata con la necessaria continuità.
Sicuramente il duo iberico mostra il suo volto migliore quando approccia il death doom con ritmi più ragionati e una maggiore ricerca dell’emotività, mentre le fasi contraddistinte dal tentativo di rendere il sound più catchy, nei passaggi prossimi al death melodico o al gothic, non convincono anche per l’apparente discrasia stilistica che si manifesta in alcuni momenti dell’album (piuttosto superfluo, per esempio, lo strumentale Across the Cygnus Loop).
Come per l’album d’esordio, non resta così che derubricare l’operato dei Graveyard Of Souls ad un’interpretazione gradevolmente retrò di queste sonorità, senza però che lo scorrere del tempo abbia portato all’auspicato salto di qualità.

Tracklist:
1. Todo se desvanece lentamente
2. Entre fragmentos de locura
3. Beyond the Black Rainbow
4. Cementerio de ilusiones
5. As Lightday Yields (Lake of Tears cover)
6. Al atardecer
7. Across the Cygnus Loop
8. Kristallnacht

Line-up:
Angel Chicote: Music & Lyrics
Raúl Weaver: Vocals

GRAVEYARD OF SOULS – Facebook

Pestilence – Presence of the Pest (Live at Dynamo Open Air 1992)

La Vic Records ci presenta i Pestilence in un concerto al Dynamo Open Air Festival nel 1992, una chicca per i fans del gruppo olandese e per i cultori del death metal old school.

Si continua a parlare di chicche del metal estremo degli anni novanta, riesumati e messi sul mercato per la gioia dei collezionisti e amanti del genere, con la label olandese Vic Records che, negli ultimi tempi, è salita alle cronache metalliche proprio per le sue ristampe atte a lustrare vecchi gioielli death metal.

I Pestilence erano già stati toccati dalla mano della label in seguito alla raccolta di demo e rarità Reflections Of The Mind, uscita qualche mese fa e che riguardava brani in fase embrionale che andarono poi a comporre i tre album della prima fase del gruppo proveniente dal paese dei tulipani: Consuming Impulse, Testimony of the Ancients e, appunto, il capolavoro Spheres.
Si torna dunque al 1992 ed al live che la band tenne al Dynamo Open Air Festival, allora uno dei Festival più in voga e già palcoscenico di live album importanti per band del calibro di Testament e Death.
Presence Of The Pest è un documento affascinante e che non presenta grossi aggiustamenti in studio da parte di Tom Palms (Phlebotomized) che ha rimasterizzato il tutto.
Il gruppo all’epoca viaggiava a mille, perciò aspettatevi una concerto intenso dove, almeno per una volta, le imperfezioni non inficiano il risultato finale, così che chiudendo gli occhi sembra di tornare a venticinque anni fa, sotto il palco dove Patrick Mameli e gli altri componenti del gruppo scrivevano un pezzo di storia del death metal con brani del calibro di Presence Of The Dead, Testimony e Stigmatized.
L’album si arricchisce di tre bonus registrate nello stesso periodo a Rotterdam, quindi ci troviamo davanti ad un’opera esaustiva rispetto alla carica e all’energia che il gruppo olandese sapeva tirare fuori in sede live.
La scelta di non ritoccare troppo il suono da parte della label va a mio parere elogiata, proprio perché non viene snaturato lo spirito old school ed assolutamente estremo dell’opera.

TRACKLIST
1.Dehydrated
2.Chemo Therapy
3.Presence of the Dead
4.The Process of Suffocation
5.Lost Souls
6.Twisted Truth
7.Testimony
8.Chronic Infection
9.Stigmatized
10.Out of the Body
11.Darkening
12.Presence of the Dead
13.Prophetic Revelations
14.Suspended Animation
15.The Secrecies of Horror
16.The Trauma
17.Land of Tears

LINE-UP
Patrick Mameli – Lead guitar/Vocals
Santiago Dobles – Lead guitar
Alan Goldstein – Bass
Septimiu Hărşan – Drums

PESTILENCE – Facebook