Antonio Giorgio – Golden Metal-The Quest For The Inner Glory

Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito.

Le proposte della Andromeda Relix sono all’insegna della qualità e della varietà di stili, che vanno dal rock blues, all’hard rock, dal progressive all’heavy metal classico, e non è una novità in un panorama odierno in cui le case discografiche sono sempre meno specializzate e più aperte alle varie sfumature che compongono il variegato universo del rock.

In questo contesto si piazza una delle ultime uscite della label italiana, ovvero l’album d’esordio del compositore e musicista Antonio Giorgio, con un lavoro incentrato su sonorità metal classiche: Golden Metal – The Quest For The Inner Glory è infatti un concept epic/fantasy nel quale si alternano heavy metal, power, progressive andando a formare il golden metal, appellativo forgiato dallo stesso musicista.
Il mastodontico lavoro vede Antonio Giorgio aiutato da vari musicisti della scena nostrana facenti parte di ottime realtà come Fogalord, Astral Domine e Blue Rose.
Golden Metal introduce l’ascoltatore nel mondo epico e cavalleresco di Giorgio del quale, fin dalle prime note, si evince un amore profondo per i Virgin Steele, gruppo che musicalmente fa da padrino alle sontuose note create dal nostro, mentre le sei corde lampeggiano nel cielo come lampi metallici, lanciate in solos epici (The Voice Of The Prophet) e le tastiere ricamano arabeschi, ora barocchi, ora elegantemente sinfonici.
Le ritmiche passano da veloci cavalcate heavy/power (Luminous Demons) a potenti mid tempo sabbathiani era Dio/Tony Martin (The Reaper) mentre i tasti d’avorio sono protagoniste nella bellissima Forever We Are One, brano alle entusiasmanti reminiscenze della band di DeFeis.
Il golden metal continua a regalare ottima musica metallica, a tratti raffinata, epica e non priva di quei cliché, magari abusati, ma che non mancano di inorgoglire i defenders più accaniti, in brodo di giuggiole all’ascolto di Et In Arcadia Ego Suite, brano epico sinfonico molto suggestivo.
Non solo Virgin Steele, tra le note di Golden Metal-The Quest For The Inner Glory troverete accenni ad una buona fetta dei gruppi che hanno fatto la storia del genere, non solo icone degli anni ottanta (Black Sabbath) ma realtà classiche consolidate negli ultimi decenni come Kamelot e Royal Hunt.
L’album è accompagnato da un sontuoso digipack, mentre la versione digitale contiene un bonus cd con una dozzina di cover (Black Sabbath, Queensryche, Dream Theater, Kamelot, Virgin Steele tra gli altri) e un paio di brani inediti scritti da Antonio Giorgio.
Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito, da avere!

TRACKLIST
1.Golden Metal
2.Lost & Lonely (Desperate Days)
3.The Vision
4.The Calling
5.The Voice Of The Prophet
6.The Eternal Rebellion
7.Luminous Demons
8.Keeper Of Truth
9.The Reaper
10.Forever We Are One
11.Et In Arcadia Ego Suite: Part I -The Quickening (Golden Ages) Part II – Human Gods Part III – The Emerald Table (As Above So Below)
12.Alone Again

LINE-UP
Antonio Giorgio
Dany All
Giuseppe Lombardo
Nicolò Bernini
Stefano Paolini
Luca Gagnoni
Riccardo Scaramelli
Mattia Bulgarelli
Enrico Di Marco

ANTONIO GIORGIO – Facebook

Bloodgod – Catharsis

Una botta estrema che non si placa che per pochi secondi di trame acustiche che fanno da preludio all’ottima Hammerite, il resto è Dutch death metal di origine controllata.

La scena olandese dei primi anni novanta può sicuramente essere considerata come una delle più floride e qualitativamente importanti del death metal di quegli anni: non a caso, con il ritorno in auge dei suoni old school, le label hanno cominciato a rilasciare vecchie uscite dei gruppi più famosi o album di altri rimasti ai margini, persi nell’universo dell’ underground estremo.

I Bloodgod sono invece un gruppo nuovo di zecca o quasi: attivo da una manciata d’anni, arriva al secondo lavoro in formato ep intitolato Catharsis, che segue di quattro anni il debutto Pseudologia Phantastica.
Il trio proveniente dalla provincia di Utrecht si definisce dutch death metal band e non solo riguardo al paese che ha dato i natali a Johnny Derechos (batteria), Frank Van Boven (voce e basso) e Daan Douma (voce e Chitarra), ma per il sound che si ispira alla storica scena orange degli anni novanta.
Catharsis si compone di cinque brani oltremodo devastanti, con l’uso sistematico della doppia voce (scream/growl), chiaramente in ambito old school.
Quindi dimenticatevi anche una sola nota che vada più in là della metà del decennio che ha accompagnato il genere nel nuovo secolo: il death metal dei Bloodgod è pesante, soffocante, pregno di malati mid tempo ed una vena ispirata, tra gli altri, dai primissimi Gorefest, uno dei gruppi più importanti nati nei Paesi Bassi.
Un buon lavoro ed un gruppo che risulta senz’altro convincente nel saper trattare la materia, più delicata di quello che si possa pensare, una botta estrema che non si placa che per pochi secondi di trame acustiche che fanno da preludio all’ottima Hammerite, il resto è dutch death metal di origine controllata.

TRACKLIST
1.Valar Morghulis
2.Catharsis
3.Hammerite
4.’t Schrickelik Tempeest
5.Satan’s Smile

LINE-UP
Johnny Derechos – Drums, Spoken words
Frank van Boven – Vocals, Bass
Daan Douma – Vocals, Guitars

BLOODGOD – Facebook

Padre Gutiérrez – Addio Alle Carni

Addio Alle Carni è un lavoro maturo, completo, ottimamente suonato e prodotto e la speranza è che possa trovare il meritato apprezzamento anche da parti di chi non si nutre frequentemente di queste sonorità

Mattia Tarabini è un musicista emiliano che gravita all’interno della scena rock da molti anni e, dopo aver militato in diverse band, circa un decennio fa ha deciso di dar vita ad un progetto solista dai tratti cantautorali denominato, in maniera bizzarra, Padre Gutiérrez.

Anche se il tipo di musica proposto in Addio Alle Carni, titolo dell’album pubblicato quest’anno, non è propriamente uno dei più trattati dalla nostra webzine, mi ha solleticato non poco l’idea di parlare di questo lavoro, specie dopo averne sentito le prime note ed averne potuto constatare la qualità musicale e l’arguta originalità dei testi.
Intanto, non possedendo troppi parametri contemporanei, dedicandomi giornalmente al metal e per di più con propensioni estreme, sono stato costretto a riavvolgere il nastro e tornare indietro di un bel pezzo, a quando, da imberbe studente alle magistrali, sentivo impazzare nelle radio un album come Burattino Senza Fili di Edoardo Bennato: ovviamente una simile accostamento è da prendere con tutte le riserve del caso, però con il grande musicista partenopeo Mattia ha in comune diversi aspetti, come l’amore per il blues, che traspare in più di un brano, ed un’impostazione vocale spesso sardonica che ben si sposa con testi, come detto, tutt’altro che banali e ricchi di brillanti citazioni e metafore.
E, inevitabilmente, sono proprio i brani più movimentati o blueseggianti quelli capaci di colpirmi di più, come Il Buco Da Riempire, L’Ultimo Maiale Sulla Terra e Vanessa, ma in fondo la bravura del nostro “Padre” sta proprio nell’essere credibile e profondo anche quando, in Corpo Di Martire, si spinge verso lidi più canonicamente indie rock, oppure lambisce il jazz in Nudo Di Venere, per finire con l’intimismo di Della Mia Carne. Come si può intuire fin dal titolo, il tema della carne è ricorrente in tutti i brani, e viene trattato nelle sue diverse forme e significati, partendo dall’accezione propriamente sessuale a quella alimentare, per approdare ad un’eloquente La Carne è Finita, con la quale Mattia ci regala uno dei passaggi più illuminanti del lavoro, quando canta “Prendila con filosofia oppure prenditela con la filosofia se, finita la carne, anche lo spirito va via”, offrendo una sua personale e condivisibile visione su quanto (non) succede dopo che la “nostra” carne perde ogni suo soffio vitale.
Addio Alle Carni è un lavoro maturo, completo, ottimamente suonato e prodotto, e la speranza è che possa trovare il meritato apprezzamento anche da parti di chi non si nutre frequentemente di queste sonorità, perché quando la musica è suonata con simile passione e competenza, non ci sono barriere di genere che tengano.

Tracklist:
1.Il Rock
2.Il Buco da Riempire
3.L’Insaziabile
4.Corpo di Martire
5.La Donna dal Velluto Nero
6.Nudo di Venere
7.L’ultimo maiale sulla terra
8.Vanessa
9.Della mia carne
10.La Carne è Finita

Line up:
Mattia Tarabini

https://www.facebook.com/padregutierrez/

Del Norte – Teenage Mutant Ninja Failures

Teenage Mutant Ninja Failures si rivela un album fresco e graffiante, consigliato ai rockers dagli ascolti alternativi di matrice novantiana

Gli anni novanta non sono stati solo il decennio del grunge, infatti il rock americano in quel decennio ha avuto esponenti di un’ importanza epocale per lo sviluppo di un certo tipo di sonorità, uscite dai primi posti delle classifiche ma assolutamente in grado di influenzare generazioni di rockers in ogni parte del mondo.

Parliamo per esempio di Sonic Youth e Dinosaur Jr, con i primi all’assalto con il loro punk/noise e J Mascis a farci partecipi di un rock di provincia, malinconicamente alternativo, ma meno irruento; se a queste due band aggiungiamo il sound dei primi Smashing Pumpkins (Siamese Dream), siamo molto vicini al rock dei nostrani Del Norte, trio di Pesaro che, all’esordio con Teenage Mutant Ninja Failures, convince con sei brani potenti, irriverenti e aggressivi.
Badano al sodo i Del Norte, infatti l’attacco dell’opener Chun-Li è di quelli che lascia il segno, dritto per dritto il gruppo spara una serie di colpi che non si esauriscono alla prima traccia, e con Faceless arriva la prima bomba dalle reminiscenze Sonic Youth.
Leggermente più ariosa ed armonica On The Basement, mentre Billy Corgan jamma con i Sonic Youth in Pa Pa Pa! e la conclusiva Space Coyote si veste di rock ‘n’ roll energizzato da una vena punk rock.
Gianfranco Gabbani (voce, chitarra), Luca Follega (basso) e Gianluca Fucci (batteria) formano un gruppo molto interessante e Teenage Mutant Ninja Failures si rivela un album fresco e graffiante, consigliato ai rockers dagli ascolti alternativi di matrice novantiana.

TRACKLIST
1.Chun-Li
2.Faceless
3.Old Boy
4.On The Basement
5.Pa Pa Pa!
6.Space Coyote

LINE-UP
Gianfranco Gabbani – Chitarra, Voce
Luca Follega – Basso
Gianluca Fucci – Batteria

DEL NORTE – Facebook

The Night Flight Orchestra – Amber Galactic

I The Night Flight Orchestra hanno il pregio di tributare i suoni pop con una dose di hard rock, a tratti accennata, in altri più presente ma sempre in secondo piano, lasciando le luci della ribalta a suoni funky, soul, space dance in un delirio pop perfettamente riuscito.

In questi anni di recupero dei suoni classici dal rock al metal, chi segue la scena ha già ascoltato di tutto un po’, dalla new wave of british heavy metal al classic rock, fino al metal estremo, che di questi tempi fa tanto cool chiamare old school.

Mancavano le note illuminate dalle luci delle sale ballo della Grande Mela, in sabati sera con la febbre che saliva e gli anni settanta che regalavano grande musica anche nella disco e nel pop: suoni vintage, ovviamente elettrizzati da un’attitudine hard rock che crea un ibrido con i suoni Motown questo è, se volete, l’album più incredibile ed originale uscito quest’anno.
Incredibile perché dietro a questo progetto ci sono una manciata di musicisti della scena estrema , capitanati dall’eclettico vocalist dei Soilwork, Björn Strid, e dal bassista Sharlee D’Angelo degli Arch Enemy.
Dalla Svezia alla conquista dello Studio 54 , con una serie di brani pop/rock/funky da applausi, difficili da digerire per i fans della band di appartenenza, è meglio chiarirlo: qui si torna indietro di almeno quarant’anni, tra citazioni e tributi ad un mondo lontano da quello metallico, ma che ha regalato musica di spessore ed icone che fanno parte della storia delle sette note.
Un album che sarà apprezzato da chi ha qualche anno in più sul groppone e si lascerà trasportare dall’atmosfera de La Febbre del Sabato Sera o Grazie a Dio è Venerdì, pellicole che hanno immortalato il mondo delle discoteche nelle notti di un’ America che, a suo modo, bruciò una generazione lontana dalla cultura rock di quegli anni.
I The Night Flight Orchestra hanno il pregio di tributare i suoni pop con una dose di hard rock, a tratti accennata, in altri più presente ma sempre in secondo piano, lasciando le luci della ribalta a suoni funky, soul, space dance in un delirio pop perfettamente riuscito.
Accenni alle star del rock non mancano certo tra le note di Sad State Of Affair, Domino, Jennie e Something Mysterious (Survivor, Toto, Kiss), ma l’attenzione è catturata dai suoni leggeri ed irresistibili del pop danzereccio e dei suoi eccessi melodici … quando si parla di talento.

TRACKLIST
1. Midnight Flyer
2. Star Of Rio
3. Gemini
4. Sad State Of Affairs
5. Jennie
6. Domino
7. Josephine
8. Space Whisperer
9. Something Mysterious
10. Saturn In Velvet

LINE-UP
Björn Strid – vocals
David Andersson – guitars
Sharlee D’Angelo – bass
Jonas Källsbäck – drums
Sebastian Forslund – guitars, percussion
Richard Larsson – keyboards

THE NIGHT FLIGHT ORCHESTRA – Facebook

Lambstone – Hunters & Queens

Se volete ascoltare un album intenso, duro ma allo stesso tempo melodico e dall’appeal enorme, allora Hunters & Queens fa al caso vostro.

Per parlare del debutto dei milanesi Lambstone bisogna partire da lontano, da una ventina d’anni fa, quando l’esplosione del grunge si esaurì in una nuvola di fumo che, diradandosi, lasciò il music biz (specialmente negli States) orfano della Seattle da ascoltare e iniettarsi nelle vene, morta nell’aprile del 1994 insieme alla disperazione ed alla depressione di Kurt Cobain.

Nu metal e post grunge furono la cura per tornare alla grande, specialmente con il secondo, più melodico rispetto al suono grezzo e selvaggio dei primi anni novanta, ma ancora più amato dai giovani rockers, con una manciata di gruppi che divennero icone del lato melodico del moderno hard rock, tra suoni grunge, ispirazioni southern e più pericolose e lisergiche divagazioni stoner.
Staind, Nickelback, Creed e poi Alter Bridge sono forse le band più accreditate per essere considerate le eredi della scena di Seattle, guarda caso tutte e quattro prepotentemente nelle corde del quintetto lombardo e del suo primo lavoro sulla lunga distanza, intitolato Hunters & Queens, licenziato dalla Vrec Audioglobe, dopo una manciata di ep e singoli autoprodotti, e rilasciato sotto la supervisione del produttore Pietro Foresti, al lavoro in passato con membri di Guns ‘n’ Roses, Korn, Asian Dub Foundation.
La band è composta da Alex “Astro” Di Bello, singer di genere tra Scott Stapp (Creed) e Chad Kroeger (Nickelback), i due fratelli Giorgio “Dexter” Ancona e Ale “Jackson” Ancona alle chitarre, Andrea “Illo” Figari al basso e Andrea “Castello” Castellazzi alle pelli.
Se volete ascoltare un album intenso, duro ma allo stesso tempo melodico e dall’appeal enorme, allora Hunters & Queens fa al caso vostro: un bellissimo esempio di rock americano, colmo di hit, maturo e assolutamente ispirato nel saper manipolare un genere che ha detto molto di sé in passato e rivive in quei gruppi che sanno scrivere canzoni, niente di più semplice ma difficilissimo da attuare.
Ed i Lambstone ci sono riusciti, con il loro rock che non manca di grezza attitudine grunge, ma che nel suo figlio legittimo si specchia, riuscendo a comunicare emozioni e alternando irruenza e malinconia con una serie di brani che hanno nel singolo Hunting, nella Staind oriented Queen e nella splendida accoppiata Jesus e Hopeless il sunto artistico di questa notevole band italiana.

TRACKLIST
1.Sun
2.Hunting
3.Queen
4.Kingdom
5.Stronger
6.Jesus
7.Hopeless
8.Violet
9.Grace
10.Dust in the Wind

LINE-UP
Alex “Astro” Di Bello – vocals
Giorgio “Dexter” Ancona – guitars
Ale “Jackson” Ancona – guitars
Andrea “Illo” Figari – bass
Andrea “Castello” Castellazzi – drums

LAMBSTONE – Facebook

Guerra Total & Metalucifer – Metalucifer / Guerra Total

Interessante split che rimbalza dalle coste sudamericane della Colombia, con il thrash/black & roll degli irriverenti Guerra Total, a quelle del sol levante con l’heavy sound dei Metalucifer.

Interessante split che rimbalza dalle coste sudamericane della Colombia,l con il thrash/black & roll degli irriverenti Guerra Total, a quelle del sol levante,  con l’heavy sound dei Metalucifer.

Dieci brani divisi perfettamente a metà tra le due band ed un prodotto abbastanza esaustivo per conoscere queste due realtà dell’underground metallico già da un po’ di anni in attività.
I Guerra Total, infatti, è quindici anni che portano distruzione, violenza e morte con il loro thrash/black & roll dalle scorribande speed old school, una quantità illimitata di lavori minori e cinque full length, con il sesto in procinto di uscire quest’anno.
Palla lunga e pedalare, tanta sana ignoranza ed un impatto pari ai Motorhead in trip black metal, questo risulta il sound del quartetto sudamericano che ricorda degli Impaled Nazarene più tradizionali ed heavy.
Si conta sino a tre e ci si lancia in un pogo senza soluzione di continuità, mentre il gruppo spara bordate vecchia scuola pregne di devastante rock’n’roll estremo.
Si cambia totalmente registro con i giapponesi Metalucifer, dal 1996 alle prese con il metal classico, tra heavy ed un tocco di speed nelle ritmiche, che non sposta però di molto le coordinate di un sound che rimane ancorato su un heavy metal di ispirazione Maiden/Saxon.
Con alle spalle una discografia cospicua, fatta di moltissimi live album e lavori minori, con i full length che però non superano le quattro unità, la band si scaglia sulla scena con il suo concentrato di metal classico che si specchia nella new wave of british heavy metal.
I cinque brani presenti riproducono in toto l’heavy metal tradizionale in tutti i suoi cliché, lasciando un buona impressione ma non andando oltre al tipico prodotto per fans accaniti del genere, anche per l’utilizzo della lingua madre esibito in questo split.
Due gruppi distanti tra loro ma uniti dall’assoluta attitudine old school, il che li colloca nel npvero delle realtà interessanti ma sicuramente di nicchia.

TRACKLIST
1.Guerra Total – Black Rock and Roll
2.Guerra Total – Black Speed Rock and Roll
3.Guerra Total – Evil Headbangers
4.Guerra Total – Satan’s Army of the Apocalypse
5.Guerra Total – Zombiehammer
6.Metalucifer – Bloody Countess (Japanese version)
7.Metalucifer – Wolf Man (Japanese version)
8.Metalucifer – Headbanging (Japanese version)
9.Metalucifer – Heavy Metal Samurai (Japanese version)
10.Metalucifer – Warriors Ride on the Chariots (Japanese version)

LINE-UP
Guerra Total:
Demonslaught – Bass, Vocals, Theremin.
DeathFiend – Lead Guitar.
Jordicaz – Vocals.
Naberius – Drums.

Metalucifer:
Elizabigore – Guitars
Elizaveat – Guitars, Drums
Gezolucifer – Vocals, Guitars, Bass
Mamonohunter – Bass
Tormentor – Drums
Blumi – Vocals, Guitars

METALUCIFER – Facebook

Funeral Tears – Beyond The Horizon

In quasi un’ora, Nikolay Seredov riesce a convogliare con grande proprietà compositiva le varie fonti di ispirazione che vanno a comporre questo bel monolite sonoro di puro e melanconico dolore.

E’ da circa un decennio che il musicista russo Nikolay Seredov è sulla scena con questo suo progetto solista denominato Funeral Tears.

Ovviamente, un simile monicker lascia ben pochi dubbi sul genere prescelto, che altro non può essere se non un dolente e malinconico funeral/death doom, e in questi casi l’unica discriminante rispetto a molte altre realtà dello stesso tenore è la competenza nell’approccio al genere.
Beyond The Horizon è il terzo fulll length che, dopo prove buone ma ancora leggermente acerbe come Your Life My Death (2010) e The World We Lost (2014), eleva la creatura di Nikolay ad uno status decisamente superiore: nell’album, infatti, tutto funziona per il meglio, a partire da un’ottima resa sonora, base ideale sulla quale erigere un sound che oscilla tra il funeral ed il death doom melodico, con qualche puntata nell’ambient.
In quasi un’ora, il musicista di Tomsk riesce a convogliare con grande proprietà compositiva le varie fonti di ispirazione che vanno a comporre questo bel monolite sonoro di puro e melanconico dolore: chiaramente il tutto è rivolto a quella nicchia di ascoltatori che si nutre avidamente di queste sonorità e che verranno ampiamente ripagati, per esempio, da due tracce magnifiche come Breathe e la conclusiva e struggente Eternal Tranquillity.
In Beyond The Horizon sono ottime le vocals, costituite di norma da un growl profondo che, ogni tanto però, sconfina in un aspro screaming, ed appaiono convincenti anche le trame chitarristiche, lineari ma dal necessario impatto emotivo: i Funeral Tears offrono tutti gli ingredienti capaci di rendere un disco di tale caratteristiche qualcosa di molto simile ad una vertiginosa discesa, senza possibilità di ritorno, nei gorghi della psiche umana.

Tracklist:
1. Close My Eyes
2. Breathe
3. Dehiscing Emptiness
4. I Suffocate
5. Beyond The Horizon
6. Eternal Tranquillity

Line-up:
Nikolay Seredov

FUNERAL TEARS – Facebook

The C.Zek Band – Set You Free

Fatevi elettrizzare e a tratti cullare dal blues suonato con maestria da questo gruppo nostrano, bravo nel saper dosare grinta rock e liquida eleganza soul, contrasti che animano un lotto di brani bellissimi.

Sui vari gruppi di Facebook ai quali, ahimè, mi hanno iscritto e che riguardano la musica (dal rock al metal), le domande più frequenti che gli iscritti pongono all’attenzione degli altri riguardano il genere che un gruppo specifico suona o meno, come se la musica e le emozioni ad essa legate passassero in secondo piano rispetto alla gabbia in cui vengono imprigionate le note.

Forse sono persone che cercano un approvazione su quel gruppo o album, forse è il timore di non ascoltare qualcosa di cool, non so, fatto sta che mai come di questi tempi la nostra musica preferita è sempre più divisa e confinata in antipatici compartimenti stagni.
Fortunatamente c’è chi fa spallucce e supporta gruppi di ogni genere, passando dal metal classico all’hard rock, dal progressive al metal estremo, fino al blues, il genere padre di tutta la musica moderna.
Ed allora mi ritrovo tra le mani Set You Free, bellissimo esempio di rock blues, licenziato dalla The C.Zek Band tramite Andromeda Relix: un viaggio nel rock americano, in partenza da Verona ed in arrivo, un giorno, nelle terre paludose dove il grande fiume americano trova finalmente il suo meritato riposo.
Set You Free regala blues d’autore, contaminato da una leggera brezza soul, cantato con sanguigna eleganza e raffinata malinconia, suonato come se Christian Zecchin (alias C.Zek) ed i suoi compagni fossero impegnati in una lunga jam su uno dei battelli che galleggiano stanchi sul letto del padre Mississippi.
Il cantato sontuoso ma mai invadente della bravissima Roberta Dalla Valle, a tratti lascia spazio a quello del chitarrista, il gruppo unito riporta l’ascoltatore a respirare note che dal blues passano al funk, mentre la sei corde intona note hendrixiane, gli Stones presenziano alla cerimonia con la cover (bellissima) di Gimme Shelter e l’hammond tiene legato il sound con umori settantiani, mentre una lieve nebbia southern si alza sul fiume nella lunga ed umida notte (The Allman Brothers).
Così fatevi elettrizzare e a tratti cullare dal blues suonato con maestria da questo gruppo nostrano, bravo nel saper dosare grinta rock e liquida eleganza soul, contrasti che animano un lotto di brani bellissimi come l’opener John Corn, il capolavoro dell’album Tell Me, con l’hammond e la voce che scaldano la notte sul fiume, la title track, omaggio al miglior Slowhand, e la conclusiva Drink With Me che, con i suoi sette minuti abbondanti, ci accompagna fino all’alba.
C’è comunque tanto di The C.Zek Band su questo lavoro, quindi non solo brani influenzati dai grandi nomi, ma musica ispirata e riportata con personalità e talento su uno spartito del nuovo millennio.

TRACKLIST
1.John Corn
2.I’m So Happy
3.Tell Me
4.Kissed Love
5.Set You Free
6.Gimme Shelter
7.Boring Day
8.It Doesn’t Work Like This
9.Drink with Me

LINE-UP
Christian Zecchin Guitars & Voice
Roberta Dalla Valle – Voice
Matteo Bertaiola – Rhodes&Hammond
Nicola Rossin – Bass
Andrea Bertassello – Drums

THE C.ZEK BAND – Facebook

Gurt – Skullossus

La musica dei Gurt è quanto di più pesante, tossico e destabilizzante possiate trovare nel genere e non solo, una colonna sonora al male di vivere che si trasforma in misantropia ed inquietudine.

Le vie estreme del metal sono infinite e a ribadire questa verità non scritta ci pensano gli inglesi Gurt, dediti ad un grezzo, irriverente e pesantissimo stoner/sludge.

Il quartetto è in giro a fare danni da sette anni e si porta dietro una discografia lunghissima formata da lavori minori e due full length, Horrendosaurus del 2014 e quest’ultimo trip andato a male, intitolato Skullossus.
Il sound che va a formare questo pesantissimo ed estremo lavoro è composto da una vena stoner, fatta di blues sporco e doom apocalittico, il tutto sotto la sgualcita bandiera dello sludge metal.
La musica dei Gurt è quanto di più pesante, tossico e destabilizzante si possa trovare nel genere e non solo, una colonna sonora al male di vivere che si trasforma in misantropia ed inquietudine.
Ma attenzione,  non c’è niente che possa far pensare ad un qualcosa di romantico, la misantropia insita in Skullossus è fastidiosa, violenta e senza soluzione di continuità.
I brani sono pesantissimi e portano con loro la disperata rabbia di personaggi disadattati, protagonisti loro malgrado di un mondo sconcertante, senza speranza e volto all’autodistruzione.
Skullossus è una jam acida mastodontica e belligerante di disperazione tossica contenente almeno tre perle come Gimme The Night Any Day, The CrotchWobbler e John Gar See Ya Later, quest’ultima vero colpo fatale per la nostra mente.

TRACKLIST
1.Welcome to the Shit Show
2.Give Me the Night, Any Day
3.Battlepants
4.Double Barreled Shot-Pun
5.The Crotchwobbler
6.Existence Is Pain
7.Broken Heart Heroin Man
8.Meowing at the Fridge
9.Jon GarSeeYa Later
10.The Ballad of Tom Stones and Reg Montagne (Part 1)
11.The Ballad of Tom Stones

LINE-UP
Rich Williams – Sedulurt – Riffmonster
Dave Blakemore – Spice – Bassmaster
Bill Jacobs – The Scorpion – Bashing

Gareth Kelly – Vocals
Richard Williams – Guitars
Dave Blakemore – Bass
Bill Jacobs – Drums

GURT – Facebook

No Good Advice – From The Outer Space

From The Outer Space è un piacevolissimo e molto ben scritto disco di musica pesante che sicuramente farà la gioia di molti, testimoniando l’assoluta bontà della scena italiana.

I No Good Advice sono attivi a Torino dal 2012 e, dopo alcuni cambi di formazione, si sono ora assestati e hanno prodotto il loro primo disco su lunga distanza, dopo l’ep del 2015 Prehistoric Overdrive.

Se dovessi dirvi, come un venditore di qualcosa, in cosa differiscono i No Good Advice dagli altri gruppi, rimarcherei il grande equilibrio che hanno tra melodia e potenza, tra la forte armoniosità della voce e l’impero del resto del gruppo. Questo non è solo stoner o qual dir si voglia, ma è un rock and roll potente ed altro, che colpisce per ricchezza, struttura e lussuria. I No Good Advice fanno dischi concept, questo parla dello spazio ed è accompagnato da uno splendido libretto del cd di 24 pagine, praticamente un fumetto, che è parte essenziale del progetto. Il loro suono pieno riesce a soddisfare totalmente l’ascoltatore in cerca di musica, potente ma bilanciata melodicamente, con frequenti accenni al meglio della scena pesante anni settanta. Dischi come questi sono possibili poiché teenagers di tanti anni fa ribassarono le chitarre, fecero lunghe jams nelle quali il trip non era solo fiori e amore. From The Outer Space è un piacevolissimo e molto ben scritto disco di musica pesante che sicuramente farà la gioia di molti, testimoniando l’assoluta bontà della scena italiana. In certe aperture melodiche, specialmente in Stoned Jesus, oltre ai riferimenti più classici, sembra davvero di poter sentire qualcosa dei Ritmo Tribale, e per estensione maggiore di un certo rock italiano che per fortuna non muore mai, ma si ripropone in altre forme e battaglie.

TRACKLIST
1 The Great Dawn
2 Space Surfers
3 Black Monolith
4 Napalm
5 Suicide Inside
6 Stoned Jesus
7 Super Looper Groover
8 Astronaut Superstar
9 Mother of the Void
10 Tears of the Universe
11 Into Your Grave
12 Between the Earth and Space

LINE-UP
Livio Cadeddu : Guitars, Voice
Lorenzo Moffa : Guitars
Marco Nalesso : Bass
Giacomo Passarelli : Drums

NO GOOD ADVICE – Facebook

Aleph – Exhumed Alive

Il free download ottenibile sul sito della band vi obbliga ad ascoltare questo ottimo lavoro, grazie al quale scoprirete una realtà molto interessante della nostra scena estrema.

Gli Aleph sono una band bergamasca attiva già sul finire del secolo scorso, la loro discografia, oltre ai primi due demo ed uno split si compone di tre album: In Tenebra uscito nel 2005, Seven Steps Of Stone del 2009 e l’ultimo Thanatos licenziato lo scorso anno.

Exumed Alive (che trovate in download gratuito sul sito della band) è un ep composto dalla splendida riedizione del brano Chimera MMXVII , tratto dal secondo full length e sette brani dal vivo registrati l’8 Ottobre 2016 presso il Centrale Rock Pub ad Erba.
Il gruppo lombardo è fautore di un death metal pregno di atmosfere dark e horror e Chimera MMXVII ne è il perfetto sunto, tra parti estreme, oscure atmosfere acustiche ed un tocco suggestivo di dark horror progressivo tipico degli anni settanta.
Nelle parti death non mancano veloci sfuriate al limite del black metal, tenute a bada dall’entrata in gioco delle tastiere e delle atmosfere orrorifiche.
La voce del chitarrista Dave Battaglia ricorda il primo Nick Holmes ed il sound effettivamente può essere descritto come una riuscita jam tra Paradise Lost, Mercyful Fate e Morbid Angel.
In sede live il gruppo mantiene inalterata la sua vena orrorifica, anche se chiaramente il sound ne esce, uscendone alla grande con una performance sugli scudi.
La grandiosa e monumentale The Snakesong, opener dell’ultimo lavoro, così come Smoke And Steel / Multitudes e la conclusiva The Old Master confermano gli Aleph come gruppo di alto livello, sia in studio che dal vivo.
Il free download ottenibile sul sito della band vi obbliga ad ascoltare questo ottimo lavoro, grazie al quale scoprirete una realtà molto interessante della nostra scena estrema.

TRACKLIST
1Chimera MMXVII
2.Intro
3.Nightmare Crescendo
4.The Snakesong
5.The Fallen
6.Winterlude
7.Smoke and Steel (Incl. Multitudes)
8.The Old Master

LINE-UP
Giuseppe Ciurlia – Guitars
Manuel “Ades” Togni – Drums
Dave Battaglia – Guitars, Vocals
Giulio Gasperini – Keyboards
Antonio Ceresoli – Bass

ALEPH – Facebook

Sarea – Black At Heart

Se siete orfani dei migliori In Flames e degli album delle truppe scandinave di inizio millennio, Black At Heart è un lavoro da avere e consumare.

Andate direttamente alla terza traccia, Perception, alzate il volume e tornerete all’alba del nuovo millennio scapocciando sulle note di quel monumento al death metal melodico moderno che è Clayman, storico capolavoro degli In Flames.

Ormai sono passati diciassette anni e il gruppo di Anders Fridén è l’ombra della grande band arrivata, dopo gli ottimi lavori degli anni novanta, a scrivere il vangelo del genere con molti gruppi che ancora oggi provano a raggiungere le vette artistiche di quell’album senza riuscirci.
Ma, attenzione, perché la Wormholedeath parte per una battuta di caccia in Svezia e la preda sono i Sarea, band di Norrköping che se la cava benissimo, licenziando un album di melodic modern metal molto interessante, composto da una serie di brani melodici, dall’ottimo appeal, ma belli tosti, grintosi e tirati.
Quindi dimenticatevi i ritmi sincopati o stoppati del metalcore, il sestetto scandinavo spara una dozzina di adrenaliniche tracce dove l’estremo è di casa e convive con un talento per le melodie da top band.
Non siamo al debutto e si sente, il gruppo, attivo da 2006, si gioca la carta dell’esperienza accumulata nei tre full length precedenti (Rise Of A Dying World del 2008, Alive del 2010 e l’ultimo This Is Not Goodbye uscito tre anni fa) e in Black At Heart non sbaglia un passaggio, una melodia, uno scambio tra il growl e la voce pulita (spettacolare il primo, nella norma la seconda), con un lavoro chitarristico che non lascia scampo, tra riff moderni di scuola americana e solos che fanno lacrimare più di un sopravvissuto al death melodico novantiano.
Che non siamo al cospetto della solita band core è subito chiaro dall’opener Lights, talmente perfetta ed irresistibile nelle melodie da lasciare sgomenti, mentre la title track ci porta verso quella che a mio avviso è il capolavoro di questo album, la già citata Perception che strappa cuori mentre gli In Flames si chiedono perché non sono più riusciti a scrivere un brano di questa levatura.
Ma fatevi rapire anche dalle irresistibili melodie di Let Us Fall,  dalle atmosfere estreme di The Dormant National, quelle intimiste e tragiche della ballata darkwave Control ed il ritorno tra le sfumature di inizio millennio con la conclusiva e devastante Circles.
Se siete orfani dei migliori In Flames e degli album delle truppe scandinave di inizio millennio, Black At Heart è un lavoro da avere e consumare.

TRACKLIST
01. Lights
02. Black at Heart
03. Perception
04. The Others
05. Let Us Fall
06. Duality
07. The Dormant National
08. Monotone
09. Control
10. Dead Eyes
11. All for None

LINE-UP
Chris Forsberg – Vocals
Calle Larsson – Drums
Johan Axelsson – Guitar
Alex Dzaic – Guitar
Johan Larsson – Bass
Martin Persson – keyboard

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Danzig – Black Laden Crown

E’ apprezzabile da parte di Danzig la voglia di rimettersi in gioco con del materiale inedito, quando molti altri, alla sua stessa età, si limitano a vivacchiare sulle produzioni del passato, e qualche brano riuscito rende Black Laden Crown un album non del tutto superfluo, anche se purtroppo il confronto con i lavori composti nei primi anni novanta si rivela impietoso.

Glenn Danzig rappresenta un bel pezzo di storia del rock/metal contemporaneo e, in quanto tale, la gratitudine per quanto fatto con i Misfits prima e con la band che porta il suo nome in seguito, è doverosa ma non può influenzare le sensazioni derivanti dall’ascolto di questo nuovo album di inediti, pubblicato ben sette anni dopo l’ultimo Death Red Sabaoth.

Il tempo trascorre inesorabile per tutti, e se già un certo calo della voce di Danzig era emerso nei primi lavori del nuovo millennio, Black Laden Crown segna in questo senso un punto di probabile non ritorno.
Infatti, non sono stati pochi i vocalist che, ad un certo punto della loro carriera, non sembravano più in grado di ripetersi ai livelli del passato salvo poi riuscire a tornare su registri accettabili, ma questo non sembra proprio il caso del nostro che, quanto meno, pare accettare il tutto cercando di adeguare il sound alle sue attuali potenzialità, optando anche per una produzione ovattata che di certo, però, non aiuta a valorizzare il lavoro chitarristico del buon Tommy Victor.
Inevitabilmente tutto ciò finisce per penalizzare un album che a livello compositivo non dispiace nemmeno troppo, pur non avvicinandosi alle migliori opere del passato: la peculiare commistione tra heavy/doom metal e rock/blues che aveva reso sfolgoranti i primi quattro lavori usciti a nome Danzig, con due capolavori assoluti come Lucifuge e How The Gods Kill, ogni tanto fa capolino tra le atmosfere di Black Laden Crown, ma senza l’apporto decisivo di quella voce che riusciva ad essere sia profonda che stentorea.
Così qualche spunto brillante lo si riscontra ancora nella notevole But A Nightmare o nella blueseggiante Last Ride, mentre riguardo ad un brano come Devil On Hwy 9 non si può fare a meno di notare come il Danzig d’annata avrebbe potuto esaltarne al massimo il buon potenziale, anche commerciale, e lo stesso discorso lo si può fare anche per la conclusiva Pull the Sun.
Resta comunque apprezzabile, da parte del musicista americano, la voglia di rimettersi in gioco con del materiale inedito, quando molti altri, alla sua stessa età, si limitano a vivacchiare sulle produzioni del passato, ed i buoni episodi citati all’interno della tracklist rendono alla fine Black Laden Crown un album non del tutto superfluo, anche se purtroppo il confronto con i lavori composti nei primi anni novanta si rivela impietoso.

Tracklist:
1. Black Laden Crown
2. Eyes Ripping Fire
3. Devil On Hwy 9
4. Last Ride
5. The Witching Hour
6. But a Nightmare
7. Skulls & Daisies
8. Blackness Falls
9. Pull the Sun

Line-up:
Glenn Danzig – lead vocals, rhythm guitar
Tommy Victor – lead guitar, bass guitar
Joey Castillo – drums, percussion
Johnny Kelly – drums, percussion
Karl Rockfist – drums, percussion
Dirk Verbeuren – drums, percussion

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Circus Nebula – Circus Nebula

Qui le barriere sono abbattute da un purosangue musicale che indomito cavalca verso la libertà, quella di esprimersi senza briglie, tra riff metallici, impatto street rock, irriverenza rock’n’roll e tanta di quella attitudine da farne dono ad una buona fetta di realtà che calcano la scena attuale.

Oggi è tutto più difficile, si cerca sempre di dividere e a catalogare tutto, ad incatenare creatività ed idee in compartimenti stagni che, nella musica, non sono altro che generi e sottogeneri sotto la stessa bandiera, quella del rock’n’roll.

Il rock e l’ hard rock , per chi lo ha vissuto negli anni settanta ed ottanta era soprattutto libertà di esprimersi o ascoltare fuori dai soliti schemi, diventati purtroppo obbligatori anche nella nostra musica preferita da almeno due decadi.
Ora, infatti, ascoltare e scrivere di rock o progressive e con disinvoltura e passione godere anche di un album estremo è cosa di pochi, ma tanti anni fa ascoltare Led Zeppelin, Iron Maiden ed i primi vagiti estremi di Slayer e Venom era la normalità, con magari nel mezzo dosi adrenaliniche di street rock dalla lussuriosa Los Angeles.
Nel 1988 la scena italiana, povera di mezzi e di seguito e tenuta in piedi da veri eroi delle sette note, vedeva nascere i Circus Nebula, gruppo che esordisce con il primo full length solo oggi, ma che calca i palchi in giro per lo stivale fin da allora, sempre in mano a Alex “The Juggler” Celli (chitarra), Mark “Ash” Bonavita (voce) e Bobby Joker (batteria).
Ora voi vi chiederete : cosa c’entrano i Black Sabbath con l’hard rock stradaiolo suonato nella città degli angeli?
Come può un gruppo southern rock prendere sottobraccio e farsi un giro con una band proveniente dalla new wave of british heavy metal?
E come hanno potuto i nostri eroi aprire i concerti di Death SS e Paul Chain, ma anche quelli dei Dog’s D’Amour?
La risposta sta tutta in queste dodici tracce, che formano un album di adrenalinico hard & heavy, colorato con una scatola di pennarelli che vanno dal nero del doom, al rosso del rock’n’roll, dal grigio del metal, al marrone del southern con un tocco di giallo psichedelico a formare un arcobaleno di musica straordinaria.
A completare la formazione troviamo Michele “Gavo” Gavelli alle tastiere (in comproprietà con la band Blastema) e Frank “Leo” Leone al basso, un contratto con l’Andromeda Relix ed il sogno del rock’n’roll continua anche dopo trent’anni, tanta esperienza con altre band ed una voglia di lasciare il segno che si evince da questo splendido lavoro omonimo.
Come si può intuire, qui le barriere sono abbattute da un purosangue musicale che indomito cavalca verso la libertà, quella di esprimersi senza briglie, tra riff metallici, impatto street rock, irriverenza rock’n’roll e tanta di quella attitudine da farne dono ad una buona fetta di realtà che calcano la scena attuale.
D’altronde quando una band conclude l’album con un brano rock’n’roll alla Chuck Berry (Mr. Penniwise), seguito subito dopo da un heavy doom alla Death SS (Spleen) le possibili chiavi di lettura sono la pazzia o la genialità: io propenderei per la seconda ipotesi, senza tralasciare del tutto la prima …

TRACKLIST
1. Hypnos (Intro)
2. Sex Garden
3. Ectoplasm
3. Here Came The Medecine Man
4. Rollin’ Thunder (Raw’n’Roll)
5. Vacuum dreamer
6. Welcome To The Circus Nebula
7. 2 Loud 4 The crowd
8. Electric Twilight
9. Head down
10. Mr. Pennywise
11. Spleen

LINE-UP
Mark Ash – Vocals
Aex “The Juggler” – Guitars
Bobby Joker – Drums
Michele “Gavo” Gavelli – Keyboards
Luca “Ago” Agostini – Bass

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Virulent Depravity – Fruit Of The Poisoned Tree

Un album estremo suonato da musicisti di livello assoluto, con poche emozioni ma tanta tecnica: consigliato agli amanti della perizia strumentale prima di tutto.

Debuttano gli americani Virulent Depravity con Fruit of the Poisoned Tree, album di death metal tecnico e progressivo, una cascata di note che si modellano sui generi con cui la band gioca per questo primo lavoro che arriva un paio di anni dopo la sua nascita.

Trio composto dal polistrumentista e compositore Colin Butler, dal chitarrista Malcolm Pugh e dal batterista degli Svart Crown, Kevin Paradis, i Virulent Depravity si avvalgono di un buon numero di ospiti che valorizzano le performance micidiali dei protagonisti.
Il lavoro mette in mostra tecnica eccezionale ed impatto brutale, reso più nobile da momenti di musica progressiva in un cambiamento repentino di atmosfere che portano fino al jazz ed alla fusion: niente di nuovo in definitiva, ma il tutto è ben legato da un songwriting che dà spazio alla tecnica, a tratti in modo eccessivo, con altri passaggi invece più ragionati che lasciano scorrere fluidamente la musica.
Fruit Of The Poisoned Tree, aiutato da un’ottima produzione che aiuta non poco l’ascolto delle numerose parti intricate, risplende della bravura dei suoi protagonisti (Kevin Paradis è un mostro dietro i tamburi), mentre gli ospiti si danno il cambio nei vari ed intricati brani che, come ragnatele, ci imprigionano in mezzo ai loro intricati fili.
Quasi un’ora di death metal progressivo e brutale, dove la parola d’ordine è stupire con soluzioni tecnicissime al limite dell’umano ed i musicisti ci riescono, grazie alle evoluzioni estreme su tracce come Spineless Obedience, Desecrating Eden e Mechanized Defilement.
Un album estremo suonato da musicisti di livello assoluto, con poche emozioni ma tanta tecnica: consigliato agli amanti della perizia strumentale prima di tutto.

TRACKLIST
1. Serpentine Messiah
2. Spineless Obedience
3. Your Demise
4. Desecrating Eden
5. Fruit of the Poisoned Tree
6. Bad Drug
7. Beyond the Point of No Return
8. Only Human
9. Mechanized Defilement
10. Crushed by Futuristic Filth

LINE-UP
Colin Butler – Composition, Guitar, Bass, Vocals
Malcolm Pugh – Rhythm Guitar
Kévin Paradis – Drums

Jimmy Pitts (Pitts Minneman Project, Equipoise, NYN, etc) – Keys (Track 4, 10)
Mark Hawkins – Guitar Solo (Track 1)
Nick Padovani (Equipoise) – Guitar Solo (Track 6)
Craig Peters (Deeds Of Flesh) – Guitar Solo (Track 8)
Elijah Whitehead (Enfold Darkness) – Guitar Solo (Track 9)
Sims Cashion – Guitar Solo (Track 10)
Nathan “Sounds” Bounds (Enfold Darkness) – Guest Vocals and Latin Chants (Track 10)

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Acid Death – Balance Of Power

Il suono di Balance Of Power non è un mero recupero, ma un’intelligente riproposizione di un prodotto molto valido, ieri come oggi, perché è un disco di valore assoluto, ancor di più se si considera che sarebbe dovuto essere l’esordio degli Acid Death.

Dopo 25 anni di attesa, arriva il disco che sarebbe dovuto essere il debutto dei pionieri greci Acid Death.

Grazie alla Floga Records possiamo ascoltare rimasterizzato questo mini lp che non vide mai la luce. Questa storia a lieto fine cominciò nel 1991 quando si formarono e tutti i componenti erano sotto i venti anni. In quei tempi erano davvero pochi gli studi di registrazione agibili per un gruppo metal, ed il migliore era il Praxis Studios di Atene. Con lo studio pagato per 40 ore e nessuna esperienza nell’uso del registratore analogico a sedici tracce, i ragazzi riuscirono, come possiamo ascoltare oggi, a fare un buon lavoro anche perché dotati di notevole talento. Infatti, riascoltandolo, si rimane francamente stupiti di fronte a questo mini lp di esordio, perché tanti gruppi molto più blasonati al giorno d’oggi fanno molto, ma molto peggio di ciò in cui riuscirono all’epoca questi ragazzini greci. Il lavoro in origine sarebbe dovuto uscire per la greca Black Power Records, ma problemi finanziati ritardarono ed infine ne cancellarono l’uscita. L’anno dopo l’altrettanto greca Molon Lane Records, attiva dal 1990 al 1996, pubblicò due tracce del mini lp in quello che diventò l’esordio del gruppo, l’ep Apathy Murders Hope, che è appunto il titolo di una delle due tracce. Da lì partì il volo di questa band attiva fino al 2001, riformatasi nel 2011 ed ancora attiva. Balance Of Power è un grande disco di death tecnico e fortemente incline al prog, con impalcature sonore molto interessanti, un suono fortemente anni novanta, ma già molto maturo e consapevole delle proprie potenzialità. Il recupero di questo disco aggiunge maggior valore ad un lunga carriera, che ha sempre dato buoni frutti, ma che soprattutto può dare ancora molto. Il suono di Balance Of Power non è un mero recupero, ma un’intelligente riproposizione di un prodotto molto valido, ieri come oggi, perché è un disco di valore assoluto, ancor di più se si considera che sarebbe dovuto essere l’esordio discografico di questi (all’epoca giovanissimi) greci.

TRACKLIST
Side A
1) Psychosis
2) Apathy Murders Hope
3) Civil War
4) Death From Above

Side B
1) Balance Of Power
2) Twilight Spirits
3) State Of Paranoia

LINE-UP
Savvas Betinis – bass & vocals
Dennis Kostopoulos – lead & rhythm guitars
John Anagnostou – lead & rhythm guitars
Kostas Alexakis – drums & percussion

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Descent Into Maelstrom – Descent Into Maelstrom

Descent Into Maelstrom convince, mostrando un’aura gotica e malinconica pur nella sua natura estrema, consigliato quindi alle anime nere ed agli amanti del death melodico.

I Descent Into Maelstrom, progetto di metal estremo creato dal chitarrista Andrea Bignardi, di fatto una one man band, ci esortano a spingerci nei deliri dello scrittore Edgar Alan Poe e della sua opera, dalla quale anche l’album prende il titolo.

Una passione, quella per la letteratura gotica, che ha portato il musicista piacentino alla realizzazione di questo lavoro dal sound estremo che si rivela un buon death/black melodico influenzato dalla maestra terra scandinava.
Grande il lavoro della sei corde, strumento preferito da Bignardi sia nelle parti grondanti metallo estremo, sia in quelle atmosferiche o dalle ottime melodie che si rifanno al metal classico.
L’atmosfera che regna tra i brani è ovviamente oscura ed orrorifica, ma non mancano cavalcate in crescendo come la notevole Castle Of Otranto, nella quale Bignardi ricama solos melodici di ottima fattura, alternando potenza metallica a suggestive parti acustiche, in una tempesta di suoni che richiamano a più riprese la scena death melodica di primi anni novanta.
Per farsi un’idea del sound contenuto nell’album si potrebbero immaginare degli In Flames gotici che giocano a fare i Dissection, e comunque Ignis Fatuus, Storm And Assault, la già citata Castle Of Otranto e la title track rendono merito allo sforzo del musicista e compositore emiliano.
Descent Into Maelstrom convince, mostrando un’aura gotica e malinconica pur nella sua natura estrema, consigliato quindi alle anime nere ed agli amanti del death melodico.

TRACKLIST
1. Everything Against
2. Ignis Fatuus
3. Innerwhere (feat. Samuele Ordanini – Inferno 9)
4. Storm And Assault
5. Castle Of Otranto
6. Atavic Enemies
7. Descent Into Maelstrom
8. Peroratio In Rebus

LINE-UP
Andrea Bignardi – Guitar, Bass, Vocals

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