D.A.M – The Awakening

Dopo l’ottimo Ep “Phantasmagoria”, a distanza di pochi mesi ancora un centro pieno per i D.A.M

Tornano, a pochi mesi di distanza dal bellissimo ep “Phantasmagoria” i symphonic/power metallers D.A.M di Guilherme De Alvarenga: la band di Belo Horizonte, autrice di un ottimo full-length di debutto (“Tales Of The Mad King”) lo scorso anno, brucia le tappe, qualitativamente parlando, andando a confermare quanto di buono aveva fatto sentire nell’Ep, continuando la crescita esponenziale di un songwriting che, ad oggi, risulta una garanzia; i suoni classici, amalgamati con sapienza dalla band con grandiose parti di death metal melodico contornanti di parti sinfoniche e power, avvicinano il gruppo alle band scandinave.

Ci ritroviamo così, in poco tempo, davanti ad un gruppo maturo, che regala canzoni dal potenziale enorme, suonate divinamente da un terzetto di ottimi musicisti, e supera di gran lunga molte delle più conosciute band europee.
Certo, stiamo parlando di una band brasiliana, ed allora è utile ricordare che, nel paese verdeoro, è forte la tradizione metallica, non solo per il successo delle band più conosciute (Sepultura, Angra), ma anche per un underground più vivo che mai, di cui i D.A.M sono diventati ormai una delle band di punta.
The Awakening si sviluppa su più di un’ora di metallo incandescente: i brani, tutti bellissimi, portano in sé una minor foga rispetto a “Pahntasmagoria”, che era incentrato su songs velocissime, mentre su quest’album la band lavora di fino, gli interventi delle vocals pulite sono più presenti ed il tutto risulta più rivolto al power piuttosto che al death melodico.
Non mancano comunque devastanti parti nelle quali il trio dà battaglia (la title-track), ma l’impronta di The Awakening è più classica e a mio parere piacerà non poco anche ai fan dei suoni heavy/power.
Guilherme De Alvarenga continua a dare spettacolo con i tasti d’avorio, in un turbinio di scale suonate alla velocità della luce, oppure regalando melodicissime parti dove la vena sinfonica del gruppo, questa volta, esce allo scoperto ancora più magniloquente, aiutato come sempre dall’ottimo Edu Megale, prezioso compare e chitarrista dal gusto melodico straordinario, dal tocco elegante ma grintoso e potente quando, insieme al basso di Caio Campos, decidono di aggredirci con debordanti parti ritmiche.
Prodotto da De Alvarenga in collaborazione con David Fau, The Awakening non tradisce le attese, il metal del gruppo è quanto di più esaltante e spettacolare possiate trovare in giro oggi, i richiami alle band scandinave come i primi In Flames e Children Of Bodom sono sempre presenti, così come ai gruppi più classici (Stratovarius), andando questa volta anche a prendersi a spallate con i Rhapsody più oscuri e regalando perle come Nightmare (T.M.S pt II), con l’intervento della voce di Jessica Delazare, Reborn From The Shadows, Violated Angel e la conclusiva, grandiosa, Thelema, brano che raggiunge l’apoteosi metallica regalando un finale di lavoro entusiasmante che conferma i D.A.M come una delle più convincenti realtà dedite al genere.
Notizie fresche dal gruppo: è in programma un tour in Giappone, il che dovrebbe dare al gruppo la meritata visibilità in una terra storicamente sensibile ai suoni metallici, sperando che presto possano sbarcare anche nel vecchio continente. Boa sorte …

Tracklist:
1.From The Ashes(T.J.O.T.F)
2.The Great Work(Magnum Opus PT 1)
3.Reborn From The Shadows
4.Lies
5.The Breaking Point(T.M.S PT IV)
6.Illusions
7.The Awakening
8.Violated Angel
9.Nightmare(T.M.S PTII)
10.Separation
11.Alone
12.Thelema

Line-up:
Guilherme De Alvarenga – Vocals, Keyboards, Synths
Edu Megale – Guitars
Caio Campos – Bass

D.A.M – Facebook

Dantalion – Where Fear Is Born

Quello che forse hanno perso a livello di peculiarità del sound, i Dantalion lo hanno guadagnato in immediatezza senza per questo smarrire quel gusto per composizioni dai tratti oscuri e malinconici che li contraddistingueva anche nella loro precedente incarnazione.

Gli spagnoli Dantalion sono attivi già da diversi anni, nel corso dei quali sono passati dalle sonorità di stampo black degli esordi, stemperate con il tempo in umori più melodici e dalle sfumature depressive per approdare infine all’attuale forma di gothic-death doom.

La trasformazione riuscita in maniera sicuramente efficace, a giudicare dalla resa di questo ultimo album Where Fear Is Born, che presenta una serie di brani piuttosto efficaci per quanto del tutto in linea con le tendenze del genere. La band di Vigo mette sul piatto tutta la propria esperienza ner disegnare passaggi struggenti, per lo più affidati ad un lavoro chitarristico che non lesina anche assoli prolungati.
Brani medio lunghi si susseguono senza particolari momenti di stanca, mostrando al contrario più di un episodio di splendida fattura tra i quali, su tutti, spicca The Tree of the Shadows.
Il rimpasto di line-up che vede quali superstiti della formazione originaria i soli Villa e Brais, si è rivelato funzionale al nuovo corso intrapreso dai Dantalion: l’attuale vocalist Diego è pressoché antitetico al predecessore Sanguinist, dall’urlo di matrice depressive, esibendo un ottimo growl, mentre appare meno convincente nelle parti pulite e, nel contempo, gli altri due nuovi arrivi svolgono senza sbavature il loro compito.
Il risultato finale è un lavoro senz’altro bello, ovviamente dalla ridotta componente innovativa, con il quale i galiziani si vanno a collocare sulla scia degli Helevorn e delle altre band che stanno portando la scena doom spagnola ad emergere in maniera prepotente negli ultimi anni.
Quello che forse hanno perso a livello di peculiarità del sound, i Dantalion lo hanno guadagnato in immediatezza senza per questo smarrire quel gusto per composizioni dai tratti oscuri e malinconici che li contraddistingueva anche nella loro precedente incarnazione.
Nonostante l’oggettiva bontà di questo lavoro, finisco ugualmente per rimpiangere la band capace di proporre quell’intrigante mix di DSBM e gothic-doom che tanto mi aveva affascinato in “Return to Deep Lethargy”.
Va da sé che bisogna prendere atto del fatto che i Dantalion di oggi sono fondamentalmente un’altra band, né migliore né peggiore, semplicemente diversa.

Tracklist:
1. Revenge in the Cold Night
2. Raven’s Dawn
3. Lost in a Old Memory
4. The Tree of the Shadows
5. Nightmare….
6. Listening to the Suffering of the Wind
7. Black Blood, Red Sky

Line-up:
Villa – Drums
Brais – Guitars
David – Bass
Andrés – Guitars
Diego – Vocals

DANTALION – Facebook

Cropsy Maniac – Sheer Terror

Ep di buon grind/death da parte degli statunitensi Cropsy Maniac.

Sembra di essere tornati indietro di vent’anni: fortunatamente il metal estremo old school, grazie all’underground, sta tornando a mietere vittime come ai bei tempi (primi anni novanta) ed in tutto il mondo nascono band dedite ai suoni che, all’epoca, fecero sfracelli.

Copertina splatter, sound devastante e tanta attitudine sono le armi messe in campo dagli statunitensi Cropsy Maniac, all’esordio con questo Ep di cinque brani, cortissimo ma che ci dice molto sulla band del Kentucky: all’insegna di un grind dall’impatto massacrante, che tiene più di un piede nel death metal old school, questo lavoro piace per la capacità della band di estremizzare il genere senza sconfinare nel grindcore, mantenendo le coordinate stilistiche dei vecchi Terrorizer. Grande è il lavoro delle chitarre, che hanno un tocco europeo molto apprezzabile (Creepy Things), investendo di riff l’ascoltatore torturato dai due axeman Kevin Herr e Aaron Whitsell.
Buon lavoro della sezione ritmica (Travis Ruvo alle pelli e lo stesso Whitsell al basso) e vocals brutali che vomitano testi gore e splatter come se piovesse (Kevin Reece).
Tra i brani spicca la conclusiva Dawn In The Rotting Paradise, cover degli storici Haemorrhage.
Nove minuti sono pochini, ma la band americana dimostra di saperci fare: essendo di formazione recente (2013), i Cropsy Maniac hanno sicuramente i numeri per far bene anche sulla lunga distanza.

Tracklist:
1. Cirque Du Absurd
2. Creepy Things
3. Shear Terror
4. I Strangled Mine
5. Dawn in the Rotting Paradise (Haemorrhage cover)

Line-up:
Travis Ruvo – Drums
Kevin Herr – Guitars
Aaron Whitsell – Guitars, Bass
Kevin Reece – Vocals, Lyrics

CROPSY MANIAC – Facebook

Revel In Flesh – Death Kult Legions

Uno dei capolavori old school death metal dell’anno.

Uno dei dischi dell’anno in campo old school death metal è questo mastodontico lavoro dei tedeschi Revel In Flesh che rappresenta, insieme a “The Crawling Chaos” dei Puteraeon, licenziato anch’esso dalla Cyclone Empire, un manifesto di quello che era ed è fortunatamente ancora oggi il death metal scandinavo.

Prodotto agli Unisound studios da sua altezza Dan Swanö, Death Kult Legions è quanto di meglio potete trovare se amate il metal estremo dei primi anni novanta, proveniente dalle terre del nord Europa, una lava death metal che vi travolgerà nel suo essere devota al miglior sound nato negli ultimi venticinque anni.
La band, nata nel 2011, ha all’attivo due full lenght(“Deathevokation” del 2012 e “Manifested Darkness” del 2013) più una marea di split (ben quattro in questo 2014); il terzo ed ultimo lavoro sulla lunga distanza è una botta notevole, un album sacrificato sull’altare del death metal con tutti i crismi per essere considerato nel suo piccolo un cult.
Grandiose parti chitarristiche in pieno stile Edge Of Sanity (era “The Spectral Sorrows”) saldano le cuffie alle orecchie, rallentamenti e accelerazioni, tra Dismember e Hipocrisy, sconvolgono ed esaltano in egual misura; i brani elargiscono cattiveria, ma anche fantastiche melodie nei solos e frenate doom come solo gli autori di “Purgatory Afterglow” e “The Fourth Dimension” sapevano regalare e, quando decidono di inserire la quarta e scappare via (Hurt Locker), riescono ad elargire un furioso spettacolo estremo.
Il riff di Cryptcrawler è uno dei più belli sentiti da anni nel genere, colonna portante di una song capolavoro, così come l’enorme When Glory Turns To Ruin, mentre le campane sabbatiane che aprono la cattivissima Graveyard Procession sono puro delirio metallico.
Musicisti che sanno come far male, tutti sul pezzo, compreso il cavernoso e terribile growl di Haubersson, simile ma con due note sotto all’ex leader dei ‘Sanity, un lotto di canzoni fantastiche, ed una copertina epocale, rendono questo lavoro imperdibile; certo, qui si parla di old school ed allora non troverete il minimo accenno di modernità, ma se volete godere per cinquanta minuti di quello che è il re dei generi estremi non rimarrete delusi da Death Kult Legions.

Tracklist:
1. In the Name of the Flesh
2. When Glory Turns to Ruin
3. Black Oath Impurity
4. Graveyard Procession
5. Deathkult Legions
6. Frozen Majesty
7. Hurt Locker
8. Cryptcrawler
9. As Souls Descend
10. Leviathan
11. Necropolis

Line-up:
Gotzberg – Bass
Vogtsson – Drums
Herrmannsgard – Guitars
Maggesson – Drums, Guitars (lead)
Haubersson – Guitars, Bass, Vocals

REVEL IN FLESH – Facebook

Assumption – The Three Appearances

Gran disco, l’ennesimo partorito in ambito estremo dalla musicalmente sempre fertile Trinacria.

Gli Assumption sono un duo palermitano composto da Giorgio e David, musicisti che troviamo coinvolti anche in altre band già portate in evidenza da Iyezine: il primo, che si occupa della voce e di tutti gli strumenti ad eccezione della batteria, lo ritroviamo anche con Elevators to the Grateful Sky, Sergeant Hamster Haemophagus e Morbo, mentre il secondo, che si dedica appunto al lavoro dietro alle pelli, è tutt’ora anch’esso coinvolto nelle ultime due band.

Musicisti versatili, dunque, visto che nei gruppi citati si spazia dallo stoner al death, dalla psichedelia al grindcore: sotto il monicker Assumption i due, invece, affidano la loro urgenza espressiva ad un death-doom di grande fascino, derivante da caratteristiche peculiari che talvolta ne rendono persino un po’ forzata la collocazione in tale ambito stilistico.
The Three Appearances presenta una mezz’oretta di musica che, almeno nella sua prima metà circa, coincidente con i primi tre brani, ci riporta di peso all’alba degli anni ’90, per l’esattezza proprio al 1991, anno di grazia che vide l’uscita di tre capolavori epocali per il metal estremo: “Necroticism …” dei Carcass, “Forest Of Equilibrium” dei Cathedral e “Blessed Are The Sick” dei Morbid Angel: non è un azzardo affermare ciò, visto che un ascoltatore attento potrà rinvenire agevolmente un growl profondo alla David Vincent sovrastare un riffing di stampo carcassiano, spesso rallentato fino alla bradicardia, così come avveniva nella irreplicata pietra miliare edita dalla band di Lee Dorrian.
Esagero? No, anche perché, essendo (purtroppo) sufficientemente vecchio per aver potuto ascoltare quei dischi in tempo reale, e per di più quand’ero già adulto, le prime piacevoli sensazioni provate all’ascolto del lavoro degli Assumption sono state proprio quelle legate a tali sonorità apparentemente antiche, eppure sempre dannatamente attuali.
Il duo siciliano riesce in questa non facile impresa senza disdegnare di regalare un’ultima parte di album dai tratti più sperimentali, come quella rappresentata dai dodici minuti della title-track, laddove viene immessa un’importante componente psichedelica che va a compenetrarsi con passaggi di morbosa lentezza, sempre sorretti da un growl e da un chitarrismo davvero convincenti da parte di Giorgio.
Gran disco, l’ennesimo partorito in ambito estremo dalla musicalmente sempre fertile Trinacria.

Tracklist:
1. Moribund State Shift
2. The NonExisting
3. Veneration of Fire
4. The Three Appearances (Snag Gsum)

Line-up:
David – batteria
Giorgio – chitarra, basso, synth, voce

ASSUMPTION – Facebook

Starbynary – Dark Passenger

Grandissimo esordio su Bakerteam per gli Starbynary con “Dark Passenger”, capolavoro di power/prog metal.

Magniloquente, esaltante, metallico nella concezione più pura e tecnica, elegante, raffinato: insomma, questo straordinario debutto ha tutte le carte in regola per piacere ai fan del metallo nobile, risultando una cascata di melodie fra accelerazioni power e tecnica prog al servizio di una decina di brani bellissimi.

Loro sono gli Starbynary e l’album si intitola Dark Passenger: nati come trio, composto dal bravissimo vocalist Joe Caggianelli e dai funambolici Leo Giraldi alla sei corde e Luigi Accardo alle keys, si avvalgono in quest’occasione della collaborazione di Diego Ralli alle pelli e nientemeno che di Mike Lepond dei Symphony X al basso.
L’album è un concept tratto dall’opera “La Mano Sinistra Di Dio” dello scrittore Jeff Lindsay (dalla quale è stata poi tratta la serie televisiva Dexter), ed è un monumento al genere di rara bellezza, tra fughe tastieristiche, cavalcate power e momenti in cui la vena prog del gruppo ammalia tra fantastiche melodie, non perdendo mai di vista il nostro amato metal anzi, nobilitandolo, con un songwriting sopra le righe.
La musica della band non dà tregua, le parti in cui l’ascoltatore è travolto dall’onda anomala creata dal terremoto di note create dal gruppo si susseguono senza soluzione di continuità, per più di un’ora di metallo che scorre alla velocità della luce, suonato divinamente e marchiato a fuoco da atmosfere neoclassiche spettacolari.
Impossibile non rimanere affascinati: la band infila una dietro l’altra perle che risplendono, incastonate in questo gioiello di musica che definire grandiosa è un puro eufemismo.
Le prove dei musicisti sono da manuale, con Joe Caggianelli che si dimostra vocalist superlativo, mettendo in fila più di un collega, assecondando lo strapotere di tastiere e chitarra, che si dividono gli applausi dello stupito (e meravigliato da cotanta classe) ascoltatore di turno.
Le influenze, in un genere in cui non è sicuramente l’originalità il principale punto di forza, ci sono ma vanno ricercate nel meglio del power nazionale, dai Labyrinth ai Vision Divine, passando per l’epicità elegante e neoclassica dei gruppi scandinavi e un gusto strutturale dai rimandi progressive che spinge l’album tra i capolavori di un anno da ricordare per il metal nazionale: Dark Passenger si attesta tra le migliori uscite in assoluto, spinto da brani fantastici come …Dawn Of Evil, la title-track, Codex, The Ritual e l’ultima grandiosa mezzora composta da Look Around Turn Away e la conclusiva The End Begins.
Disco da avere assolutamente, Dark Passenger è un’opera eccezionale che ci consegnandoci una band che alo stato attuale nel genere ha pochi eguali.

Tracklist:
1. Before The Dawn…
2. …Dawn Of Evil
3. Dark Passenger
4. Blood
5. Reflections
6. Codex
7. My Enemies
8. The Ritual – Modus Operandi
9. Turn Around, Look Away!
10. The End Begins

Line up:
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo – Keyboards

Guests:
Mike Lepond – Bass
Diego Ralli – Drums
Bea Sinigaglia – Soprano on “Dawn Of Evil”

STARBYNARY – Facebook

Mindwars – The Enemy Within

Esordio dei Mindwars, band di Mike Alvord, chitarrista degli storici Holy Terror.

I Mindwars non sono altro che la band di Mike Alvord, storico chitarrista dei seminali Holy Terror, autori nella seconda metà degli anni ottanta di due capisaldi del thrash metal dell’epoca: “Terror And Submission” e “Mindwars”.

Della partita fanno parte anche il batterista Roby Vitali, torinese di adozione e già dietro le pelli di Headcrasher, The Art Of Zapping e Jester Beast, e Danny Z.Pizzi, bassista conosciuto nell’underground torinese. Il sound del gruppo non può non ricordare quello della band di Alvord, thrash metal old school di scuola statunitense, marcatamente ottantiano anche nella produzione, così da sembrare in tutto e per tutto un disco dell’epoca. Nostalgici? Forse, ma The Enemy Within ha in sé un fascino irresistibile, specialmente per chi quegli anni li ha vissuti lontano dalle menate computerizzate di questi giorni, quando una TDK registrata con la vecchia piastra Teac aveva un valore che, purtroppo, oggi si è inevitabilmente perduto. La band dall’alto della sua esperienza sa come giocare con la materia, i brani dell’album appaiono da subito compatti e massacranti, lasciando che le influenze dell’epoca tornino prepotentemente alla ribalta con in testa, nei brani rallentati, i Black Sabbath, ed un occhio alla New Wave Of British Heavy Metal che aveva fatto sfracelli anche nel nuovo continente, qui punkizzata dalla band di Alvord. Tra velocità speed, solos, riff di ottima fattura e frenate che variano il sound, rendendolo mai noioso, The Enemy Within regala brani stupendi, colmi di quell’attitudine ormai andata praticamente perduta nelle band attuali, a parte pochi casi scovati nell’underground. Retrobution, Final Battle, Master of War, raccolgono l’eredità delle band dell’epoca (Holy Terror, ovviamente, ma anche Whiplash e Rigor Mortis) e le portano nel nuovo millennio raccontando, tra le loro note, una fetta di storia importantissima del metal mondiale. Album da considerare come libro di testo per chiunque si voglia avvicinare al genere e per i giovani fan del thrash, tanto bistrattato da molti addetti ai lavori quanto uno dei generi cardine per l’evoluzione della nostra musica preferita. Fondamentale.

Track list:
1. Upside Down
2. Crash
3. Speed Kills
4. Retrobution
5. Time in the Machine
6. Lost
7. Chaos
8. Final Battle
9. Masters of War
10. Death Comes Twice
11. Walking Alone

Line-up:
Danny “Z” Pizzi – Bass
Roby Vitari – Drums
Mike Alvord – Guitars, Vocals

MINDWARS – Facebook

Paganizer – 20 Years In A Terminal Grip

Mastodontica raccolta per gli svedesi Paganizer, opera consigliata a tutti i fan del death metal old school.

Monumentale opera firmata Paganizer per festeggiare al meglio i vent’anni di attività: 20 Years Of A Terminal Grip è una raccolta imperdibile per tutti i fan del death metal old school.

Con otto full-length all’attivo (il primo, “Deadbanger”, datato 1998) ed una miriade di Ep e split album, la band di Rogga Johansson, musicista instancabile, ideatore e protagonista di altri progetti sempre all’insegna del metal estremo, raccoglie vent’anni di musica in questo doppio cd, licenziato dalla Cyclone Empire, a ripercorrere una carriera all’insegna di quel death old school di matrice scandinava, dalle tematiche gore, influenzato da Entombed, Dismember e Grave (ovvero, il gotha del death nordeuropeo), senza compromessi e dall’impatto devastante. Più di altre operazioni analoghe effettuate da parte di band magari più note, questa raccolta risulta un ottimo modo per entrare ancora di più nel mondo di questo genere: i Paganizer, pur essendo una band di secondo piano sotto l’aspetto commerciale, hanno scritto invece pagine importanti a livello qualitativo, e la loro discografia dimostra che, sotto la spinta del suo leader, personaggio dall’attitudine e dalla passione fuori dal comune, si possono ottenere buoni risultati senza necessariamente snaturarsi. Il formato proposto per la raccolta è un doppio cd, il secondo dei quali decisamente stuzzicante in quanto presenta rarità, versioni demo e brani mai editi, per un lavoro di recupero di un pezzo di storia del death metal scandinavo assolutamente da avere. I Paganizer oggi, assieme al buon Rogga alla sei corde ed al microfono, vedono in line-up Dennis Blomberg alla chitarra solista, Matthias Fiebig alle pelli e Martin Klasén al basso; la copertina del lavoro ad opera di Daniel “Devilish” Johnson è quanto di più brutale ed old school si possa trovare, un’autentica chicca per gli amanti degli artwork a sfondo horror, a completare questo tributo, non solo ad una band, ma a tutto il death metal classico.

Track list:
Disc 1
1. Nailed Forever
2. Bleed Unto Me
3. Among the Unknowing Dead
4. Scandinavian Warmachine
5. Even in Hell
6. You Call It Deviance
7. Frontier Cthulhu
8. Life Slips Away
9. Meateater
10. Colder
11. Just Here Rotting
12. Landscapes Made of Human Skin
13. Crusader
14. On Your Knees
15. The Cadaverous
16. Beyond Redemption
17. Mass of Parasites
18. No Divine Rapture
19. Their Skin Suits Me

Disc 2
1. Natures Bleeding
2. Religious Cancer
3. Viking Hammer
4. Blood on the Axe
5. Ode to the Horde
6. The Cyclone Empire
7. This Place Is Rot
8. Gasmask Obsession
9. Abortion Van
10. Hell Is Already Here
11. Massdeath Maniac
12. Army of Maggots
13. Flesh Collector
14. The Morbidly Obscene
15. The Festering of Sores
16. The Return of Horror
17. Born to Be Buried Alive
18. Carbonized Resurrection
19. Flesh Nest
20. Vaken Mardröm
21. Nothing Really Matters
22. This Place of Dying
23. Morbid Warfare
24. Grinded and Exiled V 1.0
25. Fleshnaut V 1.0
26. Buried Alive
27. NY Ripper

Line-up:
Rogga Johansson – Vocals, Guitars
Matthias Fiebig – Drums
Dennis Blomberg – Bass
Martin Klasén – Bass

PAGANIZER – Facebook

Mirna’s Fling – For The Love Of Me

Arjan Hoekstra ci guida in un mondo dai colori tenui ma tendenti invariabilmente a rivestirsi di una cappa di grigio, stante il mood malinconico che pervade anche episodi ingannevolmente più spensierati.

Mirna’s Fling è il progetto solista del musicista olandese Arjan Hoekstra (The Good Hand, Alvenrad) e For The Love Of Me ne è la prima testimonianza discografica edita dalla piccola ma qualitativa Trollmusic.

Se dovessi cominciare ad elencarvi tutte le influenze, i riferimenti, gli accostamenti che fa scaturire l’ascolto di questo lavoro mi ridurrei ad elencare un arido elenco di artisti più o meno noti, quindi per l’occasione mi limiterò a dire che, per farvi un’idea di ciò che vi dovrete attendere nell’approcciarvi a questo disco, è sufficiente pensare a chiunque, negli ultimi trent’anni, sia stato in grado di emozionarvi solo con la propria voce accompagnata da una chitarra acustica, dal pianoforte e qualche altro strumento non elettrico collocato sapientemente e sobriamente all’interno dei singoli brani.
Qualsiasi nome vi sia venuto in mente in prima battuta, senz’altro lo ritroverete tra le note di questa raccolta, siano esse racchiuse in brani dalle sfumature dark, dalle reminiscenze neo folk o in semplici ballate: la voce di Arjan ci guida in un mondo dai colori tenui ma tendenti invariabilmente a rivestirsi di una cappa di grigio, stante il mood malinconico che pervade anche episodi ingannevolmente più spensierati.
La produzione di Markus Stock (Empyrium, The Vision Bleak) valorizza al massimo le undici perle elargite da Hoekstra, a fronte di una struttura compositiva apparentemente semplice che, al contrario, racchiude diversi passaggi ricchi di particolari che una registrazione non ottimale avrebbe finito per occultare.
Misery, Goodbye, Winter’s Breeze e il capolavoro assoluto World of Make Believe sono solo i picchi di un lavoro che non conosce cali e che sussurra all’anima di ciascuno lasciandole in eredità più di una ferita, nonostante le armi utilizzate sembrino a prima vista poco affilate.
Del resto, “che cosa succede alla vostra anima quando un rapporto ha causato distruzione e disperazione per troppo tempo”? Questo è quanto ci chiede Arjan Hoekstra nelle note di presentazione: non ho una risposta vera e propria a questa domanda, di sicuro For The Love Of Me giunge a spargere ulteriore sale laddove ci sono già state frequenti lacerazioni.
Contro ogni previsione sto letteralmente consumando questo disco, che per certi versi mi procura un senso di malinconico smarrimento più insanabile di quanto non riescano a fare molti album del mio amato doom.
Melancholy is not a sickness …

Tracklist:
1. Misery
2. Goodbye
3. Surreal
4. Rendez-vouz
5. Lost in light
6. World of make believe
7. Trouble
8. Winter`s Breeze
9. The final mourning song
10. For the love of me
11. Stranded

Line-up:
Arjan Hoekstra – All Instruments, Vocals

MIRNA’S FLING – Facebook

Apneica – Pulsazioni…Conversione

Prova formidabile per gli Apneica, altra gemma nascosta che merita d’essere portata alla luce.

C’è decisamente qualcosa che non quadra, dopo aver ascoltato questo Ep dei sardi Apneica, e non sto parlando della qualità del lavoro che, come vedremo, è assolutamente al di sopra della media, ma del fatto che fino ad oggi ben pochi paiono essersi accorti del potenziale enorme di questa band.

Probabilmente il fatto di non esser supportati da una label o da qualche agenzia che curi la promozione dell’Ep influisce non poco al riguardo, e questo è un vero peccato, visto che ho perso il conto delle band che non valgono un’unghia degli Apneica e che, nonostante questo, vivacchiano sotto le comode ali protettive di etichette anche di un certo nome.
Così, chi si attende di dover ascoltare un prodotto artigianale o ancor peggio, raffazzonato, si ritrova folgorato da un primo brano come Alba Artificiale che, in qualche modo, smentisce parzialmente l’etichetta death-doom che accompagna i ragazzi di Sorso: personalmente ritrovo anche un notevole influsso del post metal più nobile, che sposta il sound verso lidi per certi versi inconsueti, ma forse più consoni ai quei mondi alieni descritti dalle ottime liriche rigorosamente in italiano .
Anche se lo stile della band del sassarese è sicuramente molto personale (e in un genere come questo, credetemi, è tutt’altro che scontato riuscirci) il primo nome che mi viene in mente a livello di contiguità stilistica è un altra giovane realtà nostrana, ovvero i bresciani (EchO).
L’ottima alternanza tra growl e voce pulita esibita da Ignazio Simula è l’ideale mezzo espressivo per assecondare le doti compositive di Alessandro Seghene, mastermind del gruppo ed impeccabile chitarrista; il passaggio da progetto solista a band a tutti gli effetti è coinciso con l’approdo a sonorità più focalizzate rispetto al death-doom sperimentale e strumentale contenuto nel lavoro omonimo uscito nel 2011, risultato al quale ha contribuito ovviamente anche la coppia ritmica costituita da Francesco Pintore (basso) e Luigi Cabras (batteria).
In effetti, questa differenza è riscontrabile ascoltando proprio il brano di chiusura, la title-track, uno strumentale perfettamente eseguito e di indubbia qualità al quale, però, l’assenza del contributo vocale che ci aveva accompagnato nei primi venti minuti dell’Ep, finisce per non rendere del tutto giustizia.
Assenza di Gravità e In Orbita, infatti, sono altre due tracce dall’enorme impatto e non c’è dubbio che il growl del buon Ignazio contribuisce ad inasprire i suoni tanto quanto la sua voce pulita ne ingentilisce i tratti, evitando così che il sound assuma connotazioni interlocutorie.
Se Pulsazioni … Conversione rappresentava una sorta di test voluto da Alessandro per verificare la resa degli Apneica in questa loro nuova veste, direi che gli esiti sono andati ben oltre le più rosee aspettative: il lavoro è un vero proprio gioiello che deve finire al più presto sulla scrivania di qualche label lungimirante (e in Italia ce ne sono, sicuramente) in grado di aiutare i nostri a raggiungere, con la loro musica, più persone possibili anche al di fuori dei confini nazionali, laddove la ricettività verso questo tipo di suoni è di gran lunga superiore.

Tracklist:
1.Alba Artificiale
2.Assenza di Gravità
3.In Orbita
4.Pulsazioni…Conversione

Line-up:
Ignazio Simula-Vocal
Alessandro Seghene-Guitars
Francesco Pintore-Bass
Luigi Cabras-Drum

APNEICA – Facebook

Southern Drinkstruction / Carcharodon – Pizza Commando

“Pizza Commando” è un disco che nasce dall’amicizia e dalla voglia di fare musica e, infatti, i risultati sono ottimi grazie a queste grandi premesse.

Devastante split con due gruppi fra i più potenti e divertenti in Italia.
Uniti da una sincera amicizia e stima, nonché dagli stessi vizi ed abusi, i Southern Drinkstruction e i Carcharodon convolano finalmente e giustamente a nozze con questo disco equamente diviso.

Pizza Commando è una mazzata declinata in diverse maniere e stili, ma fondamentalmente si parla di metal e bassezze umane.
I due gruppi fanno un metal diverso ma che sta bene anche messo nello stesso disco, facendo apprezzare maggiormente la bravura e l’originalità di questi gruppi.
I Southern Drinkstruction, già recensiti su queste pagine, sono un gruppo romano nato nel 2005, grazie al chitarrista Pinuccio Ordnal, per suonare southern metal, thrash e death: hanno al loro attivo un Ep e due ottimi dischi tra cui il bellissimo “Drunk Till Death” del 2012.
I Carcharodon, anch’essi già da trattati da Iyezine in occasione del loro ultimo album “Roachstomper”, sono una band ligure che fa un metal molto affascinante ed originale, ricco di varie influenze e tante idee nuove.
Questo disco non si può propriamente definire uno split, poiché è vero che i due gruppi si dividono lo spazio, ma c’è anche un pezzo suonato insieme, Zuppa Romana, cover del grande gruppo tedesco anni ottanta Schrott Nach 8, oltre al fatto che come detto si tratta di due realtà molto coese.
Il risultato è un disco che il metal italiano, e non solo, non aveva mai sentito, qualcosa di davvero originale e godurioso, derivante non solo dall’addizione di due gruppi ma proprio dal loro comune sentire.
I Southern Drinkstruction si sono un po’ allontanati dal southern metal e si sono parecchio induriti, diventando ancora meglio di prima se possibile.
I Carcharodon, invece, sono uno strano animale a trenta teste e quattro apparati riproduttivi, con un suono nemmeno lontanamente paragonabile a qualche altro gruppo ed un futuro che saprà stupire.
Due gruppi che, quindi, sono cresciuti molto in questi anni e che non è esagerato definire grandi band.
Pizza Commando è un disco che nasce dall’amicizia e dalla voglia di fare musica e, infatti, i risultati sono ottimi grazie a queste grandi premesse.
Un bagno di sangue e pomodoro.

Tracklist:
1. Southern Drinkstruction – The South Face
2. Southern Drinkstruction – Cadillac Mammoths
3. Carcharodon – The Hornet and the Hunter
4. Carcharodon – From North to South
5. Southern Drinkstruction / Carcharodon – Zuppa Romana
6. Southern Drinkstruction – Vultur Montain
7. Southern Drinkstruction – My Only Words
8. Southern Drinkstruction – The Cursed Track
9. Southern Drinkstruction – Suck, Duck, Truck, Fuck
10. Southern Drinkstruction – Southern Drinkstruction
11. Carcharodon – Champagne and Caviar
12. Carcharodon – Cadillac Grinder
13. Carcharodon – Zombie Jesus
14. Carcharodon – Pit of Mammoths

Line-up:
Southern Drinkstruction
Francesco Basthard – Voce
Pinuccio Ordnal – Chitarra
Carlo Zorro – Basso
Andrea Eddie Vegenius – Batteria

Carcahrodon
Pixo – Voce e Basso
Boggio – Chitarra
Max – Chitarra
Zack – Batteria

SOUTHERN DRINKSTRUCTION – Facebook

CARCHARODON – Facebook

The Shiver – The Darkest Hour

Ottimo terzo lavoro per i The Shiver con il loro alternative rock dalle digressioni darkwave.

I The Shiver sono una band italiana che fa un rock alternativo impregnato di suoni dark wave, nata nel 2005 da un’idea della cantante e compositrice Federica Sciamanna e dal batterista Francesco Russo.

Arrivano, con The Darkest Hour, al terzo album dopo aver dato alle stampe l’esordio “Inside” nel 2008 e “A New Horizon” nel 2010, oltre ad un Ep acustico dal titolo “The Acoustic Experience”. La band in questi anni ha raggiunto una buona popolarità specialmente fuori dai confini nazionali, esibendosi live con band del calibro di The Misfits, Papa Roach, The Ark e Negramaro. Il nuovo album, prodotto e arrangiato da Mario Cristi, conferma la vena compositiva della band, la loro musica si approccia alla materia rock con buon gusto ed ottimo senso melodico, i brani spaziano dall’alternative alla dark wave; il connubio di queste sonorità con l’elettronica, presente in modo massiccio, unito alla bellissima voce della Sciamanna, crea atmosfere malinconiche, anche se la new wave ottantiana rimane un sentiero sicuro per il viaggio musicale della band, che fa dell’eleganza compositiva e di esecuzione il prprio punto di forza. Non spingono mai troppo i The Shiver, le chitarre non affondano i colpi, ma piuttosto accompagnano la vena della vocalist in questo viaggio tra i mali di un’umanità in disfacimento. L’album parte alla grande con la bellissima Ocean, da cui è stato estratto un video, presentandoci un gruppo collaudato; i brani si susseguono e ci avvolgono in un abbraccio sonoro: The Key, Forgotten Soul e Into The Darkest Hour ammaliano, ma è tutto l’album che si dimostra maturo in ogni frangente. L’alternative rock degli ultimi vent’anni viene nobilitato in questo lavoro dai The Shiver, i quali, aggiungendovi un’ottima miscela di Depeche Mode e Placebo, riescono a regalare un album davvero sopra le righe, dove sugli scudi sale prepotentemente la classe sopraffina di questi splendidi musicisti. Sarebbe l’ora che la band raccogliesse i suoi frutti anche nel proprio paese, lampante esempio dell’umanità descritta in The Darkest Hour.

Tracklist:
1.Ocean
2.The Key
3.Little Lonely Boy
4.Forgotten Soul
5.Bury
6.The Secret
7.Into the Darkest Hour
8.Runaway
9.Anything
10.Over

Line-up:
Federica Faith Sciamanna – Vocals
Francesco Finch Russo – Drums
Michele Colantuoni – Bass
Vincenzo Lodolini – Guitars

THE SHIVER – Facebook

Lilyum – Glorification of Death

I Lilyum preferiscono essere piuttosto che apparire e questo loro quinto album convince per l’adesione ad uno stile consolidato ma reso affascinante da un’interpretazione sentita e personale

I Lilyum sono parte integrante dello zoccolo duro del black metal, quello fatto di sonorità dirette, ritmiche veloci, suoni crudi e privi di particolari fronzoli, il tutto inserito in un contesto pervaso da un’aura fortemente oscura e misantropica.

Per molti questo può costituire un limite dovuto alla riproposizione di sonorità indubbiamente datate, ma molto più prosaicamente ritengo che la musica debba trasmettere qualcosa all’ascoltatore e ciò va ben oltre gli stili e gli spunti innovativi.
Sperimentare senza andare in una direzione precisa è inutile e talvolta serve solo per gettare fumo negli occhi e mascherare persino carenze tecniche o compositive; molto meglio, allora, fare nel migliore dei modi musica priva di particolari sorprese, ma proposta con competenza e con la giusta attitudine. I Lilyum preferiscono essere piuttosto che apparire e questo loro quinto album convince per l’adesione ad uno stile consolidato ma reso affascinante da un’interpretazione sentita e personale, capace di regalare brani trascinanti come Dark Holocaust e Veins Of Stone, senza dimenticare una traccia più avvolgente, con i suoi ritmi meno parossistici, come la title-track; Kosmos Reversum e Lord J. H. Psycho svolgono il loro lavoro in maniera ottimale, mentre Xes (vocalist anche dei potentini Infernal Angels) fornisce un minimo elemento di discontinuità rispetto agli stilemi del genere rinunciando all’abusato screaming e optando invece per un efficacissimo growl. Alla fine qualcuno si potrà chiedere se sia utile pubblicare oggi lavori con queste caratteristiche: la mia risposta è sì, perché il valore di un album non si misura con un ipotetico “novitometro” bensì attraverso ben altri parametri, gran parte dei quali ovviamente del tutto soggettivi, come lo è per esempio il fatto che io consideri tempo decisamente ben speso quello impiegato per ascoltare Glorification Of Death

Tracklist:
1. Transgressus Absconditus / Through Gateways Unseen
2. Christ Will Fall
3. Mater Pestis
4. Dark Holocaust
5. Glorification of Death
6. Veins of Stone
7. Torchbearer of the Cadaverous Dawn
8. Extinction
9. Necrosis
10. Todessendung 013

Line-up:
Kosmos Reversum – Guitars, Percussion, Programming
Lord J. H. Psycho – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards
XeS – Vocals

LILYUM – Facebook

Thrash Bombz – Dawn

Tornano i Thrash Bombz, alfieri del thrash metal old school, con questo ottimo Ep intitolato Dawn.

Tornano i siciliani Thrash Bombz, alfieri del thrash metal ottantiano, con un nuovo Ep che, seppur seguendo la strada intrapresa nel precedente full-length di inizio anno, porta con sé, un’importante novità in seno alla band.

Causa la defezione del vocalist Leonardo Botta, infatti, la band ha deciso di affidare le parti vocali al bassista Angelo “Destruktor” Bissanti, già al microfono sull’album della sua “creatura” Blood Evil (“Infection”, pubblicato all’inizio di quest’anno), singer di razza e protagonista di un’ottima prova, tra vocals agguerrite in puro stile ottantiano, ricche di vari spunti e di debordante personalità.
Venti minuti circa nei quali i Thrash Bombz confermano quanto di buono fatto sul precedente album: i brani sono quanto di più coinvolgente potete trovare in ambito old school, chiaramente ispirati alle band che hanno fatto grande il genere oltre vent’anni fa, ma suonati con ottima tecnica e personalità, il che li rende una delle realtà più convincenti della nostra penisola in questo ambito musicale.
La coppia d’asce formata dalla ritmica di Giuseppe “UR” Peri e la solista di Salvatore “Skizzo” Li Causi mietono vittime come un mitragliatore sferragliante nell’ambito di uno scontro a fuoco: Li Causi, in piena forma, sforna solos straordinari, sostenuto dalla seconda chitarra di Peri ed un lavoro della sezione ritmica (lo stesso Bissanti al basso e Vincenzo “Vihol” Lombardi alle pelli) potente, veloce, ma oltremodo elegante laddove la band si concede passaggi dall’alto tasso melodico, come lo struggente strumentale che dà il titolo all’album.
Con sei brani notevoli, i Thrash Bombz nobilitano il genere continuando la loro tradizione che li vuole fautori di un thrash che alterna sfuriate metalliche (grandiose a mio parere … Presence ed Eternal Punishment) ad un talento mostruoso nel saper inserire parti strumentali tecnicamente ineccepibili e dal grande impatto emotivo, aspetto che ne rende vario e maturo il sound.
Ottimo lavoro, dunque, consigliato non solo ai fan del genere ma adatto anche a chi ha confidenza con i suoni metallici più classici: per il gruppo potrebbe essere una sorta di ripartenza vista l’importanza del cambio di vocalist nel contesto di una band; dal mio canto consiglio, per chi ancora non l’avesse ascoltato, anche il bellissimo album “Mission Of Blood”.

Tracklist:
1. Unknown…
2. …Presence
3. Drown in Your Misery
4. Eternal Punishment
5. Dawn
6. Human Obliteration

Line-up
Giuseppe “UR” Peri – Guitars
Angelo “Destruktor” Bissanti – Vocals, Bass
Salvatore “Skizzo” Li Causi – Guitars
Vincenzo “Vihol” Lombardi – Drums

https://www.facebook.com/ThrashBombzOfficial

In Tormentata Quiete – Cromagia

Ciò che stupisce in “Cromagia” è un senso melodico che non viene mai meno,trasformandosi nel vero filo conduttore di un lavoro che è spettacolare tanto musicalmente quanto a livello lirico.

Il terzo album degli In Tormentata Quiete si rileverà una delle consuete croci per chi tenta chi catalogare la musica come se si trattasse di riordinare dei libri in una biblioteca, rispettando un rigoroso ed ineluttabile ordine alfabetico.

L’ensemble bolognese, ed è questo ciò che conta, regala l’ennesima perla di una carriera che, come spesso accade dalle nostre parti per chi tenta di fare musica nella sua accezione artistica più elevata, è destinata più allo status di culto che non a quello di realtà di successo.
Del resto, non credo che gli In Tormentata Quiete si siano mai posti prioritariamente quest’ultimo obiettivo, soprattutto operando e vivendo in un paese come l’Italia nel quale se non appari non esisti e dove, se proponi musica che costringe ad essere ascoltata e non semplicemente sentita, sei irrimediabilmente destinato a restare nel cuore di pochi fortunati.
All’interno di Cromagia possiamo trovare folk, prog, black e cantautorato italiano, una ricetta che parrebbe, messa giù così, dannatamente intricata, eppure tutto scorre senza che nessuna di queste componenti prevarichi mai l’altra, stupendo per l’equilibrio raggiunto, quasi come quando si osservano quei folli funamboli che attraversano i canyon camminando su una sottile fune tesa sopra baratri profondi centinaia di metri …
Per una volta mi trovo piuttosto d’accordo con le note di presentazione, nelle quali si accenna a nomi quali Solefald, Ulver e Devil Doll, riferimenti che, francamente, potrebbero risultare controproducenti al momento del dunque: nonostante ciò i nostri si rivelano del tutto degni, se non proprio a livello di sonorità sicuramente per attitudine, dell’accostamento a questo manipolo di geniali sperimentatori.
Ciò che stupisce ulteriormente, con tali premesse, è un senso melodico che in Cromagia non viene mai meno, trasformandosi nel vero filo conduttore di un lavoro che è spettacolare tanto musicalmente quanto a livello lirico, con il suo concept incentrato sulle emozioni ed i sentimenti associati ai singoli colori.
L’intreccio vocale è un ulteriore aspetto capace di elevare gli In Tormentata Quiete sul resto della concorrenza: due voci pulite, l’una maschile, l’altra femminile, si scambiano continuamente i ruoli “disturbate” da uno screaming acido che opera per lo più con la funzione di controcanto, quasi a voler sporcare, con le sue efferate incursioni, quelle tessiture melodiche che, a lungo andare, si insinuano nella mente e nel cuore di chi ascolta.
Bastano dodici minuti, quelli nei quali si sviluppa l’accoppiata iniziale Blu / Il Profumo del Blu, a chi non avesse mai ascoltato una nota degli ITQ, per capire d’essere al cospetto di una realtà unica nel panorama italiano e per attendersi ulteriori meraviglie sonore (tra le quali spiccano l’elegia di Verde ed il black/folk di La Carezza Del Giallo) nel corso dei restanti tre quarti d’ora.
Ma, intanto, il destino di talenti trasversali come questi è quello d’essere capiti da pochi: troppo colti per chi ha bisogno di musica usa e getta, troppo metallici per i tolemaici del progressive (mi pare di sentirli “ …. ah, quella voce gracchiante …”), troppo melodici per i metallari, infine troppo superiori alla media per poter diventare, anche solo per sbaglio, un fenomeno di massa.
Quei pochi che, appunto, non si sono mai adeguati al minimalismo spastico degli sms e riescono a leggere almeno tre righe di una mail senza avvertire un calo di attenzione, provino a dare una chance agli In Tormentata Quiete

Tracklist:
1. Blu
2. Il Profumo del Blu
3. Rosso
4. Il Sapore del Rosso
5. Verde
6. Il Sussurro del Verde
7. Giallo
8. La Carezza del Giallo
9. Nero
10. La Visione del Nero
11. InVento

Line-up:
Maurizio D’Apote – Bass
Francesco Paparella – Drums
Lorenzo Rinaldi – Guitars
Antonio Ricco – Keyboards
Marco Vitale – Vocals (harsh)
Irene Petitto – Vocals
Simone Lanzoni – Vocals

IN TORMENTATA QUIETE – Facebook

https://soundcloud.com/mykingdommusic/itq-lvdn

Cadaveria – Silence

Al quinto album di una discografia che negli anni non ha accusato alcuna caduta di tono, Cadaveria con la sua band continua a regalare opere oscure con disarmante naturalezza.

Torna la regina del metal estremo, Cadaveria, con la sua band omonima.

Ormai lontani gli esordi con gli Opera IX, la vocalist dal 2002, anno dell’esordio (“The Shadow’s Madame”) con il progetto a suo nome, continua imperterrita a sfornare opere di metallo estremo dalle sfuriate black e fascino gotico di assoluta qualità, ed il nuovo parto dal titolo Silence non tradisce le attese, confermando la band biellese come una delle realtà più floride del panorama nazionale nonché una tra le più conosciute anche fuori dai patri confini.
Al quinto full-length di una discografia che negli anni non ha accusato alcuna caduta di tono, il gruppo continua a regalare opere oscure con disarmante naturalezza, ormai modello per qualsiasi giovane band si avvicini al genere, capitanata dalla regina nera sempre in piena forma.
Silence offre quanto di meglio la band poteva donare ai propri fan, rivelandosi un album sempre in bilico tra gotiche atmosfere, cavalcate death/black e sfuriate thrash, il tutto sostenuto da emozionanti ed oscuri passaggi, nei quali cala la violenza ma nel contempo l’aria si fa gelida e i brividi fanno tremare corpi e menti, tale è il clima orrorifico che si respira tra i solchi di queste nuove undici canzoni.
Cadaveria è sempre qui, tra un growl da strega malefica ed ambigue parti nelle quali le nenie terrorizzano ancora di più: spettacolare nella sua teatralità, rende questo viaggio nel mondo oscuro un incubo dal quale, però, non ci si vuole svegliare, ammaliati, affascinati, ipnotizzati come in un incantesimo da tanto malefico rituale.
I musicisti che accompagnano la singer, formano come sempre un team ultravincente, con la sezione ritmica composta da Killer Bob al basso e Marcelo Santos (ovvero Flegias dei Necrodeath) alla batteria, perfetti dove le ritmiche accelerano vertiginosamente, e la coppia d’asce Frank Booth e Dick Laurent i quali, ispiratissimi, sono protagonisti di una prova spettacolare colmando di solos melodici e riffoni thrash il sound dell’album.
Ottimamente prodotto, Silence regala perle di metallo oscuro come Carnival Of Doom e Free Spirit, e va in crescendo con il passare dei minuti, regalando il meglio di se nelle ultime tre tracce, Almost Ghostly, Loneliness e Strangled Idols, in un’orgia di suoni estremi ed atmosfere dark davvero da antologia.
Un album che conferma il talento di Cadaveria e dei suoi degni compari, tornati per riprendere il trono tra le band del genere ed il ruolo di guida ed influenza per qualsiasi realtà nostrana che voglia approcciarsi al metal più oscuro.

Tracklist:
1. Velo (The Other Side of Hate)
2. Carnival of Doom
3. Free Spirit
4. The Soul That Doesn’t Sleep
5. Existence
6. Out Loud
7. Death, Again
8. Exercise1
9. Almost Ghostly
10. Loneliness
11. Strangled Idols

Line-up:
Cadaveria – Vocals
Killer Bob – Bass
Marcelo Santos – Drums
Frank Booth – Guitars
Dick Laurent – Guitars

CADAVERIA – Facebook

Putrid Offal – Suffering

Un assaggio di quello che sarà il ritorno sulle scene degli storici grindsters francesi Putrid Offal.

In attesa dell’imminente full-length che vedrà la luce nel prossimo anno, la Kaotoxin immette sul mercato il nuovo singolo degli storici grindsters francesi Putrid Offal.

Nata nel lontano 1991, la band sfornò, fino alla metà degli anni novanta, lavori con buona continuità e dopo un demo d’esordio e una manciata di split si fermò, per tornare dopo vent’anni più forte di prima con questo singolo. Siamo davanti ad una band eccellente per impatto e violenza, i due brani inseriti in questo lavoro (Suffering in ben tre versioni e Livor Mortis) descrivono un gruppo compatto, che non ha nulla da invidiare alle band più conosciute del genere proposto: velocità inumana, devastazione, ritmiche mozzafiato e due voci (growl e scream) che letteralmente inchiodano l’ascoltatore, travolto da un wall of sound pari ad un vento atomico. Franck Peiffer (chitarra e voce) e Frèdèrick Houriez (basso) sono accompagnati nella nuova avventura da Philippe Reinhalter (chitarra) e la band gira a mille, lasciando esterrefatti. Come già accennato, i Putrid Offal sono pronti per uscire con il debutto su lunga distanza nel prossimo anno: il titolo sarà “Mature Necropsy” e, da quanto ascoltato in questo singolo, ne vedremo e sentiremo delle belle, state sintonizzati.

Tracklist:
1.Suffering(2014 version, taken from the full lenght Mature Necropsy).
2.Suffering(2014 demo version)
3.Suffering(1991 demo version)
4.Livor Mortis

Line-up:
Franck Peiffer – guitars & vocals
Philippe Reinhalter – guitars
Frédéric Houriez – bass & vocals

PUTRID OFFAL – Facebook

Right To The Void – Light Of The Fallen Gods

Ottimo melodic death metal con questo secondo album dei francesi Right To The Void

Imperterrito al trascorrere del tempo, specialmente in ambito underground, il death metal melodico continua a partorire band di ottime potenzialità, non solo rivolte a quello più moderno violentato da ritmiche core, tanto caro ai giovani fan di questi tempi, ma anche al più vecchio e mai domo scandinavian melodic death dei primi anni novanta, che dall’underground ha acquistato nuova linfa non potendo più contare sulle band che lo resero popolare allora, ammaliate dai dollari statunitensi e in gran parte sbiadite parodie di se stesse.

I Right To The Void, gruppo francese al secondo full-length, licenziato in questi giorni per la sempre più imprescindibile WormHoleDeath, la lezione l’hanno imparata eccome ed il loro nuovo album risulta un ottimo esempio di come si possa, seguendo sentieri già tracciati, risultare ugualmente convincenti sotto ogni punto di vista. La band esordisce con un demo nel 2010 per poi approdare nel 2013 al primo album (“Kingdom Of Vanity”), sempre per la label italiana, acquisendo nel contempo una buona esperienza live dividendo il palco con band del calibro di Napalm Death ed Immolation, esperienze che forgiano i musicisti transalpini, qui in ottima forma e più compatti che mai. Light Of The Fallen Gods si rivela così un gran lavoro di genere, sempre in bilico tra soluzioni od school e melodic-death impreziosite dall’ottimo lavoro delle chitarre, che alternano bordate estreme a solos melodici di ottima fattura(Paul e Gauthier). Una sezione ritmica di grande impatto (Hugo alle pelli e Romain al basso) ed un vocalist (Guillame) sugli scudi per tutto il lavoro, bravissimo sia nel classico growl che nell’uso dello scream dai rimandi black, molto usato nel genere ma poche volte così convincente, fanno sì che la decina di brani proposti lascino il segno; il gruppo non dà tregua e l’album, fin dall’opener Swallow’s Flight parte a mille per non fermarsi più, regalando botte di metallo estremo, cavalcate elettriche devastanti che, a tratti, lambiscono atmosfere di epicità oscura dalla notevole resa. Siamo al cospetto degli Dei, come recita il titolo, ed allora tra cielo e terra infuria la battaglia, feroce, senza esclusione di colpi, dove anche l’ascoltatore vacilla sotto il bombardamento di canzoni come le velocissime Death Circles, Fate Of Betrayal, Through The Grave e, mentre i due eserciti se le danno di santa ragione, riprendiamo fiato con la prima parte strumentale della stupenda The One Who Shoulder’s The Light. Con una produzione al top e una copertina che trasuda epicità nordica, questo lavoro potrebbe piacere non poco ai seguaci di Amon Amarth e compagnia vichinga, pur non essendo comunque un prodotto viking “tout court” ma tenendo ben saldo il cordone che lega la band al melodic death; etichette a parte, un album da ascoltare e far vostro. Promossi a pieni voti.

Tracklist:
1. Swallow’s Flight
2. Death Circles
3. Fate of Betrayal
4. The Sun of the Living Ones
5. Throught the Grave
6. The One Who Shoulders the Light (Part I)
7. The One Who Shoulders the Light (Part II)
8. Majesty’s Doors
9. Origins of a New World
10. This Is Our Time

Line-up:
Fabien – Bass
Hugo – Drums
Paul – Guitars
Gauthier – Guitars
Guillaume – Vocals

RIGHT TO THE VOID – Facebook

Hourswill – Inevitable

Prova del full-length superata ampiamente dal gruppo che, senza strafare, riesce ad intrattenere gli ascoltatori con grande padronanza dei propri mezzi.

Debutto sulla lunga distanza per gli Hourswill, band di Lisbona attiva dal 2009 e con alle spalle un singolo ed un demo nel 2011, con il loro metal tecnico che lascia agli annali buoni spunti e canzoni caratterizzate dall’ottimo impatto.

Certo, la band portoghese non brilla per originalità, ma ha dalla sua carte buone da giocarsi sul piatto del genere, mettendoci anima e corpo in questi nove brani devoti al verbo del teatro del sogno. Infatti, fin da Vows of Submission, che segue la classica intro, il songwriting si attesta su un prog metal classico, ben eseguito, nel quale a tratti compaiono voci in growl (Dead End Memory), che rendono il sound ancora più metallico e la band, dopo aver inserito la quinta, viaggia in tranquillità su territori sicuri, mostrando comunque buona padronanza degli strumenti. Molto bella Lessons Unlearned, in breve la traccia migliore del lavoro, che fa coppia con il brano più progressive del lotto, quella Weight Of Vengeance che regala attimi dove atmosfere più vicine al prog settantiano si amalgamano alla vena heavy del combo, per donare stupendi affreschi di musica metallica, sempre con le ottime parti in growl nella voce, che sanno tanto di prog metal nordico. Atrocity Throne risulta la traccia più pesante del disco: le ritmiche, sempre tecnicissime, si fanno grevi come macigni, avvicinandosi al metal oscuro e drammatico dei fenomenali Nevermore di Warrel Dane. I musicisti lasciano intravedere grandi potenzialità, specialmente le due asce che si rendono protagoniste di solos tecnico-melodici dal buon gusto ed estremamente funzionali all’economia dei brani, senza cadere nell’esibizione strumentale fine a se stessa. Per concludere, prova del full-length superata ampiamente dal gruppo che, senza strafare, riesce ad intrattenere gli ascoltatori con disinvoltura: Inevitable si rivela un buon lavoro per gli appassionati dei suoni tecnici, ma allo stesso tempo dai connotati metallici. Assolutamente da ascoltare.

Tracklist :
1. The Damnation Clockwork
2. Vows of Submission
3. Inevitable Collapse
4. Dead End Memory
5. Lessons Unlearned
6. Atrocity Throne
7. Nothing Divine
8. Weight of Vengeance
9. Their Hopeless Reality

Line-up:
Ruben Chamusca – Bass
Nuno S. Damião – Vocals
José Bonito – Guitars
Sérgio Melo – Guitars
Nuno Peixoto – Drums

HOURSWILL – Facebook

HaatE / Chiral – Where The Mountains Pierce The Nightsky

“Where The Mountains Pierce The Nightsky” è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone questi due progetti guidati da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

HaatE e Chiral sono i progetti solisti di due musicisti italiani che dovrebbero essere già conosciuti a chi si aggira su queste pagine, visto che abbiamo avuto occasione di commentare nei mesi scorsi i loro recenti lavori.

Ben venga, quindi, questo split album che consente in un sol colpo di ascoltare due realtà differenti ma ugualmente contigue, più orientata verso un dark/ambient la prima e catalogabile come black atmosferico la seconda.
Per l’occasione i due sfruttano in parte il materiale già edito: HaatE, infatti, ripropone la splendida Crystal e la prima parte di As The Moon Painted Her Grief, tratte dall’omonimo album, regalando comunque una buona traccia inedita quale The Crystal Pathway, mentre Chiral, di fatto, rielabora in maniera decisamente interessante alcuni dei temi già proposti in “Abisso”, presentandoli in una sola lunga traccia di venti minuti intitolata Everblack Fields of Nightside.
Appare inevitabile, quindi, parlare positivamente di questi due musicisti, sia per la qualità del loro operato, ribadita in quest’occasione, sia per la tenacia e la convinzione con la quale cercano di proporre al pubblico generi musicali sicuramente non per tutte le orecchie .
Per HaatE c’è la conferma di un modus operandi molto vicino a nomi quali Lustre o i Wolves In The Throne Room sperimentali dell’ultimo “Celestite”, mentre Chiral mostra un volto più atmospheric/ambient riducendo di molto rispetto ad “Abisso” la componente estrema del suo sound, quasi in ossequio al compagno di split e, soprattutto, ad un concept che viene ben rappresentato da queste due diverse entità: se la prima parte (HaatE) verte sul viaggio di un essere spirituale, la seconda (Chiral) narra del peregrinare terreno di una creatura mortale ma, per entrambe, nonostante diverse finalità e modalità, la fine del percorso coincide con il termine dell’esistenza.
Where The Mountains Pierce The Nightsky è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone queste due realtà musicali guidate da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

Tracklist:
HaatE
1. The Crystal Pathway
2. Crystal
3. As The Moon Painted Her Grief

Chiral
4. Everblack Fields of Nightside

HAATE – Facebook

CHIRAL – Facebook