Then Comes Silence – Blood

Melodico ed accattivante, il sound di Blood, quarto lavoro dei Then Comes Silence, vi riporterà indietro nel tempo per poi tornare velocemente al 2017 in un’altalena di umori dark rock, tra chitarre torturate e liquidi tappeti elettro/pop.

Dark rock, postpunk e new wave, tutto rigorosamente ottantiano ma perfettamente calato nel nuovo millennio, assolutamente fuori da umori alternativi e debitore delle band che hanno fatto storia nel genere oscuro per antonomasia.

Melodico ed accattivante, il sound di Blood, quarto lavoro dei Then Comes Silence, vi riporterà indietro nel tempo per poi tornare velocemente al 2017 in un’altalena di umori dark rock, tra chitarre torturate e liquidi tappeti elettro/pop: il gruppo svedese trova la firma prestigiosa con Nuclear Blast con cui licenzia un album dall’appeal molto alto, sempre in bilico tra affascinati sfumature da locale notturno per soli vampirelli e più nobile post punk o dark wave ottanta style.
Ne esce quindi un buon lavoro, che non mancherà di produrre brividi a chi degli anni ottanta ha potuto godere delle trame dark rock dei Sister Of Mercy e post punk dei Joy Division, dell’hard rock ombroso dei primi The Cult e delle litanie stregonesche dei Siouxsie and The Banshees.
Non solo album nostalgico, Blood tiene ben saldi i piedi nel nuovo millennio con un impatto più corposo, con la sua musica a riempire una stanza che trabocca di note melanconiche e colme di raffinato romanticismo.
Un lavoro d’altri tempi ma assolutamente figlio dei tempi, con Alex Svensson perfetto cantore dark di questi undici brani, indiscutibilmente affascinanti e dalla facile presa.
Una raccolta di tracce in cui spiccano i brani più veloci e cool, ma che a ben sentire dà il meglio di sé quando l’anima introspettiva prende il sopravvento, anche se non riesce mai ad uscire dai binari di una melodia che non fa prigionieri, sicuramente un bene in tempi in cui un disco ha poche possibilità di far breccia su una generazione di ascoltatori per lo più frettolosi.
Strange Kicks, la più articolata My Bones, Good Friday e l’oscura Magnetic (con la quale si fa un salto tra le note dei Fields Of The Nephilim), sono i brani che a mio avviso hanno qualcosa in più in un album da ascoltare tutto d’un fiato ed ottimo ascolto per chi ama il dark rock classico ed i suoi derivati.

Tracklist
01. The Dead Cry For No One
02. Flashing Pangs Of Love
03. Strange Kicks
04. My Bones
05. In Leash
06. Choose Your Poison
07. Good Friday
08. The Rest Will Follow
09. Magnetic
10. Warm Like Blood
11. Mercury

Line-up
Alex Svenson – vocals, bass, synthesizers
Seth Kapadia – guitars
Jens Karnstedt – guitars
Jonas Fransson – drums

THEN COMES SILENCE – Facebook

Superhorror – Hit Mania Death

Hit Mania Death sa tanto di States, di quei viali ricoperti in autunno dalle foglie che, nel giorno dei morti vengono spazzate dai piedi che strisciano verso le vostre case mentre il punk rock dei Ramones gira senza fermarsi sul vostro piatto ed il cd dei Murderdolls aspetta il suo turno sullo scaffale.

One, two, three, four… rock’n’roll, anzi rock/punk/metal/hard’n’roll, irriverente, totalmente pazzoide, schizzato come una belle figliola che la notte di Halloween si accorge che il tipo incontrato al party è più morto che vivo, anzi, è proprio un morto vivente, ciondolante ed affamato e cerca disperatamente di accanirsi sulla sua carne con mire bel lontane da quelle sessuali.

Con i Superhorror, con un Fuck in meno nel monicker ma ancora più voglia di divertirsi e far divertire, siamo in pieno regime glam/metal/punk rock e Hit Mania Death è il loro potentissimo calcio nel deretano al mondo, una serie di straordinarie e stravolte tracce che vi faranno tornare, soprattutto concettualmente, agli anni ottanta, quando gli zombie facevano ancora paura nelle loro grottesche camminate verso il cibo che aveva sempre due gambe per scappare dal banchetto e due braccia da lasciare tra le fauci della vostra nonnina trasformata in una famelica razziatrice di budella altrui.
Hit Mania Death sa tanto di States, di quei viali ricoperti in autunno dalle foglie che, nel giorno dei morti vengono spazzate dai piedi che strisciano verso le vostre case mentre il punk rock dei Ramones gira senza fermarsi sul vostro piatto ed il cd dei Murderdolls aspetta il suo turno sullo scaffale.
Sarebbe inutile nominare un brano piuttosto che un altro, quindi se volete risvegliare il non-morto che è in voi fatevi travolgere dalla carica che sprigionano i Superhorror, e in overdose da Hit Mania Death comincerete a non resistere, quando vostra sorella o fidanzata vi gireranno intorno ed il vostro appetito aumenterà di conseguenza con il letale virus che si svilupperà all ascolto delle varie ed irresistibile Ready, Steady…Die!, Nazi Nuns From Outer Space, Ed Wood Blues, Rock Is Dead (Like Us) e Nekro-Nekro Gim.

Tracklist
01. Ready, Steady… Die!
02. Nazi Nuns From Outer Space
03. Mr. Rrigor Mortis
04. Ed Wood Blues
05. No Love For The Deceased
06. Dead To Be Alive
07. Rock Is Dead (Like Us)
08. Nice To Meat You
09. Little Scream Queen
10. Mourir, C’Est Chic
11. Selfish Son Of A Witch
12. Nekro-Nekro Gym

Line-up
Edward J. Freak: Vocals
Didi Bukz: Guitar, Kazoo, Backing Vocals
Mr.4: Bass, Backing Vocals
Franky Voltage: Drums, Backing Vocal

SUPERHORROR – Facebook

Jess And The Ancient Ones – The Horse And Other Weird Tales

I finlandesi Jess And The Ancient Ones non avrebbero assolutamente sfigurato nel panorama psych rock degli anni sessanta e anni settanta, con il loro groove unico ed inimitabile.

I finlandesi Jess And The Ancient Ones non avrebbero assolutamente sfigurato nel panorama psych rock degli anni sessanta e anni settanta, con il loro groove unico ed inimitabile.

Il tutto parte dalla splendida voce di Jess, che tesse infinite trame melodiche che raccontano storie antiche e archetipe della nostra razza, momenti occulti ed esplosioni di vita. Il gruppo la supporta con una musica che non è assolutamente riconducibile a nessuna delle mode o dei modi attuali di fare musica. Il modo di comporre e di eseguire dei Jess And The Ancient Ones è qualcosa di totalmente libero, non ha alcuna costrizione ed è libertà totale, è orgia dei sensi e della bellezza messa in musica. Dimenticatevi qualsiasi cosa, denudatevi dei vostri finti io ed ascoltate questa raccolta di storie, quasi delle favole per adulti (ma quali sono le favole per bambini?), che raccontano di noi stessi per vie differenti. Le canzoni sono tutte diverse e al loro interno si celano molti cambi di registro musicale, ma tutto è molto organico e piacevole, come un’esperienza psichedelica positiva. L’occulto è ovviamente molto presente, ed è un motivo in più per apprezzare questi gruppo unico non solo nel suo genere, ma nel panorama musicale mondiale. L’intensità, la dolcezza, la forza, la carnalità, la spiritualità, c’è tutto, poiché tutto è collegato con tutto. Beatles, Pink Floyd e tanto altro qui trovano una sintesi che riporta ancora a qualcos’altro, in un rimando continuo come un ouroboros. Il problema è che bisogna aspettare fino al primo dicembre … ma ne varrà la pena.

Tracklist
1. Death Is The Doors
2. Shining
3. Your Exploding Heads
4. You And Eyes
5. Radio Aquarius
6. Return to Hallucinate
7. (Here Comes) The Rainbow Mouth
8. Minotaure
9. Anyway The Minds Flow

Line-up
Jess – Vocals
Thomas Corpse – Electric Guitar
Fast Jake – Electric Bass
Abrahammond – Keyboard
Jussuf – Drums and Percussion

JESS AND THE ANCIENT ONES – Facebook

Poisonheart – Till The Morning Light

Non è così facile assemblare una tracklist dove umori tanto diversi ammantano le atmosfere dei brani, ma i Poisonheart ci sono riusciti, permettendo alle loro anime di convivere e rendendo Till The The Morning Light un ottimo album.

Sneakeout Records e Burning Minds, label fondata dai ragazzi dell’Atomic Stuff, ci presentano questo ottimo debutto all’insegna di un hard rock roccioso, classico e pregno di melodie dark.

Gli autori sono i bresciani Poisonheart, attivi da tredici anni, con un primo ep di cover alle spalle seguito dal secondo lavoro, questa volta di inediti licenziato nel 2009 (Welcome To The Party).
Gli anni seguenti passano tra concerti ed una piccola sterzata nel sound, un’evoluzione che porta il gruppo verso lidi oscuri, lasciando in parte il rock’n’roll da party suonato nei primi anni.
Un po’ come i finlandesi The 69 Eyes, chiamati in causa tra le ispirazioni dei Poisonheart, la band è fautrice di questo buon connubio hard/dark rock, non ancora espresso in tutta la sua oscura decadenza come nella band del vampiro Jirky 69, ma ancora legato da un filo neanche troppo sottile con il rock duro.
Ne esce un album vario con buone idee a soprattutto belle canzoni, alcune ancora elettrizzate dal rock’n’roll degli esordi come l’opener (You Make Me) Rock Hard o Hellectric Loveshock, altre già pervase da umori dark, nebbie oscure che avvolgono brani come Flames & Fire o Shadows Fall, ed infine alcune che sanno di frontiera come la splendida Baby Strange.
Non è così facile assemblare una tracklist dove umori tanto diversi ammantano le atmosfere dei brani, ma i Poisonheart ci sono riusciti, permettendo alle loro anime di convivere facendo di Till The The Morning Light un album riuscito, con i brani che lasciano la loro firma in testa all’ascoltatore dopo pochi passaggi.
Prodotto dal gruppo insieme a Oscar Burato, che ha mixato e masterizzato l’album, Till The Morning Light vive di hard rock tradizionale, rock’n’roll e dark di matrice scandinava: The 69 Eyes, ma anche i Poisonblack di Ville Laihiala, appaiono tra le influenze del gruppo, ispirato al meglio per questo ottimo debutto.

Tracklist
01. (You Make Me) Rock Hard
02. Flames & Fire
03. Anymore
04. Lovehouse
05. Shadows Fall
06. Baby Strange
07. Under My Wings
08. Out For Blood
09. Hellectric Loveshock
10. Pretty In Black

Line-up
Fabio Perini – Lead Vocals, Guitar
Giuseppe Bertoli – Bass, Backing Vocals
Andrea Gusmeri -Lead Guitar, Backing Vocals
Francesco Verrone – Drums, Backing Vocals

POISONHEART – Facebook

Dr.Gonzo And The Cheesy Boys – The Witch

The Witch è un disco peculiare ed unico, fatto di momenti davvero belli, lo si ascolta come se fosse un sogno e riporta la psichedelia al suo naturale alveo insieme all’hard rock, in una cornice curatissima, e conferma come Piacenza e dintorni siano la culla italiana di una certa musica visionaria e bellissima.

Due lunghe suite psichedeliche divise in due lati per un uno dei migliori gruppi italiani di musica visionaria.

I Dr.Gonzo and The Cheesy Boys sono un gruppo nato nel 2006 da amanti della musica anni settanta, che è il collante di questo gruppo. The Witch è in pratica un concept album sulla nascita, la vita e la morte di una strega, il tutto narrato con una musica che prende ispirazione dalla psichedelia inglese anni sessanta e settanta, e da un hard rock anch’esso di quell’epoca. Il disco è anche un esordio poiché il gruppo avrebbe inciso anche un altro disco nel 2009, The River, che non è mai stato pubblicato. La musica di The Witch è veramente stupefacente e ci riporta prepotentemente negli anni settanta, anche grazie all’uso di moog e hammond che procurano momenti di vero viaggio all’interno delle canzoni. Le canzoni sono strutturate per non essere tali ma lunghe jam nelle quali può succedere di tutto, e in esse possiamo trovare generi diversi, improvvisi cambi di atmosfera e di registro, da un’aria più atmosferica a qualcosa di più cupo, ma il tutto è molto intrigante e bello. Forte, come nella psichedelia inglese anni sessanta e settanta, è il richiamo verso l’occulto, verso quella parte di realtà che esiste ma che non vediamo, e personaggi come le streghe possono portarci oltre i nostri limiti. The Witch è un disco peculiare ed unico, fatto di momenti davvero belli, lo si ascolta come se fosse un sogno e riporta la psichedelia al suo naturale alveo, insieme all’hard rock, in una cornice curatissima, e conferma come Piacenza e dintorni siano la culla italiana di una certa musica visionaria e bellissima.

Tracklist
01. The Witch Pt. 1
02. The Witch Pt. 2

Line-up
Mattia Montenegri: drums
Emil Quattrini: Hammond, Moog, Rhodes, Mellotron
Carlo Barabaschi: guitar
Filippo Cavalli: bass

DR.GONZO AND THE CHEESY BOYS – Facebook

Jx Arket – Meet Me Abroad

Meet Me Abroad è un disco da assaporare a lungo, ci sono momenti di vero entusiasmo e di grande coinvolgimento, e non capitava da tanto di sentir coniugare in questa maniera l’emocore e l’hardcore, per delle emozioni che lasciano il segno.

Disco oltremodo entusiasmante per questa giovane band torinese. Prendete il miglior emocore anni novanta, un po’ di post hardcore e tanta urgenza pienamente hardcore e avrete un qualcosa che si avvicina a questo disco.

I Jx Arket esordiscono con molti botti, pubblicando un disco che fa cantare, puntare il dito in alto e buttarsi dal tavolo della cucina per fare stage diving con i vicini di sotto. Intensità, partecipazione, tanta rabbia e tanto amore, non è facile equilibrare questi elementi, ma i torinesi ci riescono molto bene e vanno anche oltre. Tutte le canzoni sono notevoli, il cuore della loro musica è oltreoceano, ma ci sono momenti pienamente europei, e in realtà si viene sempre stupito dalle loro soluzioni sonore. La melodia è l’asse portante della musica dei Jx Arket, e viene declinata in modi disparati con l’energia che rimane sempre molto alta. Pur essendo stato fondato solo nel 2016 il gruppo ha un disegno musicale ben preciso, ed infatti è attualmente impegnato in un tour europeo che sicuramente gli procurerà del seguito: Meet Me Abroad è un disco da assaporare a lungo, ci sono momenti di vero entusiasmo e di grande coinvolgimento, e non capitava da tanto di sentir coniugare in questa maniera l’emocore e l’hardcore, per delle emozioni che lasciano il segno. Un disco che folgora e che farà gridare moltissimo sotto al palco. Questo album è un piccolo capolavoro, ed è stato possibile anche grazie all’opera di persone come Marco Mathieu, bassista dei Negazione e tanto altro, ancora in coma dopo un grave incidente motociclistico, ma lo spirito continua anche in dischi come questo, ed è un’eredità che nessun incidente potrà mai cancellare.
L’underground è bello grazie a cose come questo disco.

Tracklist
1. I’ll be the one
2. Just another sad song
3. Aokigahara
4. Rooms
5. Day off
6. Fragments
7. Jonathan Livingstone
8. Happines is not for us
9. Last words from the broken

Line-up
Andrea Mazzocca and Bruno Consani – guitars. Davide Giaccaria – voices
Marco Mei – drums
Paolo Brondolo – bass

JX ARKET – Facebook

Jellygoat – Eat The Leech

Secondo lavoro in studio per i Jellygoat da Milano, un gruppo che riesce a fondere molto bene l’hard rock, lo stoner e forti influenze grunge.

Secondo lavoro in studio per i Jellygoat da Milano, un gruppo che riesce a fondere molto bene l’hard rock, lo stoner e forti influenze grunge.

Il loro suono è molto scorrevole e piacevole, si può apprezzare la cura dei partico0ari e la solidità delle strutture compositive. La forza del gruppo sta nel fare un rock duro e graffiante con gusto, passione e  coivolgimento; negli ultimi tempi l’hard rock è uno dei generi che riesce a stare meglio a galla, ma molte uscite sono davvero dimenticabili, mentre i Jellygoat ci regalano un ep di ottime canzoni. La voce è nello stile Vedder, ma non è pura imitazione, perché da ciò escono cose buone ed originali. Eat The Leech è la dimostrazione che uno spirito hard rock tendente al grunge vive anche nelle generazioni che non hanno vissuto direttamente il periodo delle camicie a quadri di Seattle, ma ne hanno assorbito il gusto. Questo disco avrebbe fatto un’ottima figura nel palinsesto della defunta Rock Fm, che tanta nostalgia ci ha lasciato: Eat The Leech è una buona continuazione del discorso intrapreso con il precedente ep e fa prevedere un gran futuro per questo gruppo.

Tracklist
1. Perfect
2. Hate you
3. My song
4. Morning light
5. The devil’s slice
6. Brand new start
7. Out thrown (outro)

Line-up
Alessio Corrado (voce, chitarra)
Davide Borroni (chitarra, cori)
Ramona Orsenigo (basso)
Gianluca Carioti (batteria, cori)

JELLYGOAT – Facebook

Párodos – Catharsis

La speranza è che questo, per i Párodos, sia solo il primo passo del brillante cammino intrapreso da una nuova band formata da musicisti che, forse proprio in quest’ambito, paiono aver trovato la loro ideale dimensione.

Anche se il monicker Párodos è una novità nella scena metal italiana, si tratta in realtà del prodotto dell’unione di musicisti già attivi in diverse band dell’area salernitana.

Catharsis dimostra in ogni passaggio d’essere frutto di un lavoro di squadra nel quale nulla è stato lasciato al caso, partendo dal pregevole songwriting per arrivare alla realizzazione curata da Marco Mastrobuono ai Kick Recordings Studio di Roma, in quella che si può considerare la fucina sonora per eccellenza del metal italiano centro-meridionale.
L’etichetta di avantgarde/post black attribuita ai Párodos può starci anche se, come spesso accade, vuol dire tutto e niente, visto che qui troviamo certamente qualche accelerazione di matrice black, ma anche una ricerca melodica che spinge spesso il sound su versanti heavy progressive, mantenendo quale tratto comune un’oscurità di fondo che ben si addice ai contenuti lirici dell’album.
Catharsis, infattiscaturisce dall’elaborazione di un lutto entrando a far parte di quella categoria di dischi che, oltre ad essere riusciti da un punto di vista prettamente artistico, racchiudono quella scintilla di creatività derivante dalla volontà di omaggiare qualcuno che non c’è più ottenendo, appunto, il desiderato effetto “catartico”.
L’album è brillante in ogni sua parte, a partir dall’interpretazione vocale versatile di Marco Alfieri, per arrivare all’elegante ed  incisivo lavoro tastieristico di Giovanni Costabile, passando per la puntualità ritmica della coppia Gianpiero “Orion” Sica (basso) ed Alessandro Martellone (batteria), e per il sobrio ed efficace lavoro chitarristico di Francesco Del Vecchio: è notevole l’equilibrio che i Párodos riescono a mantenere tra la tensione drammatica e l’impatto melodico, che sovente squarcia con decisione il velo di oscurità che attanaglia un album di grande intensità emotiva.
Space Omega, la title track e Metamorphosis sono i brani che spiccano in un contesto di spessore talvolta sorprendente, e gli ospiti illustri nelle persone dello stesso Marco Mastrobuono (Hour Of penance), Massimiliano Pagliuso (Novembre) e Francesco Ferrini (Fleshgod Apocalyspe) arricchiscono del loro personale marchio di qualità un’opera che si dimostra già dopo pochi ascolti ben superiore alla media.
La speranza è che questo, per i Párodos, sia solo il primo passo del brillante cammino intrapreso da una nuova band formata da musicisti che, forse proprio in quest’ambito, paiono aver trovato la loro ideale dimensione.

Tracklist:
1. Prologue
2. Space Omega
3. Catharsis
4. Heart of Darkness
5. Stasima
6. Black Cross
7. Evocazione
8. Metamorphosis
9. Exodus

Line-up:
Marco “M.” Alfieri – Vocals
Giovanni “Hybris” Costabile – Synth & Keyboards
Francesco “Oudeis” Del Vecchio – Guitars
Gianpiero “Orion” Sica – Bass
Alessandro “Okeanos” Martellone – Drums & Percussions

Special Guests :
Marco Mastrobuono – fretless bass in “Space Omega”, “Black Cross”, “Evocazione”
Massimiliano Pagliuso – guitar solo in “Black Cross”
Francesco Ferrini – “Stasima”, fully arranged and composed

PARODOS – Facebook

Ruxt – Running out Of Time

Una perfetta simbiosi tra i maestri (Rainbow, Dio, Whitesnake) e i loro eredi (Lande, Astral Doors), questo è se Running Out Of Time, secondo imperdibile album dei Ruxt.

Neppure il tempo di archiviare le bellissime trame power di Metalmorphosis, opera licenziata dagli Athlantis di Steve Vawamas, che la Diamonds Prod. sforna il secondo lavoro dei Ruxt, band hard & heavy che, oltre al bassista in forza pure a Mastercastle, Bellathrix ed Odyssea, vede all’opera Stefano Galleano ed Andrea Raffaele (Snake, Rock.It), il batterista Alessio Spallarossa (Sadist) ed il talentuoso vocalist Matt Bernardi (Purplesnake).

Ed è ancora una volta, tra gli stretti vicoli di una Genova mai così metallica, che si consuma il secondo rito targato Ruxt, un altro riuscito esempio di nobile metallo, pregno di atmosfere hard’n’heavy che, di questi temp,i molti preferiscono chiamare old school ma che è invece semplicemente classico.,
Certo, probabilmente il sound del gruppo è il più ottantiano tra quelli in dote alle band che gravitano intorno alla scena sviluppatasi nei dintorni del capoluogo ligure, ma per gli amanti dell’ hard & heavy targato Rainbow, Dio, Whitesnake, Lande, ed Astral Doors, anche Running Out Of Time. come il primo Behind The Masquerade (uscito lo scorso anno) risulterà una vera cavalcata tra le sonorità che hanno reso famose questi grandi interpreti della nostra musica preferita.
Un songwriting di alto livello, accompagnato da una prova esemplare del buon Matt “Jorn” Berardi, fanno sussultare dalla poltrona più di un fans del metal/rock classico, tra arcobaleni, serpenti bianchi, folletti dal cognome religiosamente importante, talentuosi omoni nordici dal microfono facile e porte astrali, che si aprono su un mondo dove le sei corde squarciano il cielo, con solos che sono tuoni e fulmini nel tramonto, oscure e drammatiche trame dal flavour epico che a suo tempo fecero storia e chorus che sprizzano orgoglio metallico.
Un album più diretto rispetto al debutto, un mastodontico pezzo di granito hard & heavy che risveglia gli appetiti dei fans legati alla tradizione con una serie di brani pesanti, colmi di epica tragicità e che regala nel suo insieme tanta buona musica, anche se la title track, posta in apertura e perfetto ed esplosivo brano alla Lande che ci invita all’ascolto dell’album, il nuovo singolo e video Everytime Everywhere, con Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle, Vanexa, Odissea, Athlantis) in veste di ospite, l’accoppiata Leap In The Dark/Let Me Out, e lo spettacolare mid tempo Queen Of The World sono i pezzi pregiati che troverete in questo ennesimo scrigno da aprire senza indugi per coglierne i tesori.
Una perfetta simbiosi tra i maestri (Rainbow, Dio, Whitesnake) e i loro eredi (Lande, Astral Doors), questo è Running Out Of Time, secondo imperdibile album dei Ruxt.

Tracklist
1.Running out of Time
2.Legacy
3.In the Name of Freedom
4.Everytime Everywhere
5.Scars
6.Leap in the Dark
7.Let me Out
8.My Star
9.Queen of the World
10.Heaven or Hell

Line-up
Matt Bernardi – Vocals
Stefano Galleano – Guitars
Andrea Raffaele – Guitars
Steve Vawamas – Bass
Alessio Spallarossa- Drums

RUXT – Facebook

Elmo Karjalainen – Age Of Heroes

Quarto album solista per Elmo Karjalainen, ex chitarrista dei melodic rocker finlandesi Deathlike Silence, che con Age Of Heroes è protagonista di un buon lavoro di metal strumentale, leggermente prolisso ma consigliato agli amanti dei guitar heroes.

Quarto lavoro strumentale per l’ex chitarrista del Deathlike Silence, gruppo hard rock melodico pregno di atmosfere horror e gotiche, che nel 2009 licenziò il bellissimo ed ultimo album Saturday Night Evil.

Del sestetto di Turku abbiamo purtroppo perso le tracce, mentre il suo axeman dal 2012 ha intrapreso la carriera solista con una serie di lavori strumentali di ottima fattura.
Poco conosciuto fuori dal territorio nazionale, Elmo Karjalainen giunge al quarto album, interamente scritto da lui, una lunga jam strumentale di settanta minuti (forse troppi) dove il metal e l’hard rock incontrano varie soluzioni stilistiche, sognanti atmosfere pinkfloydiane tra musica dura e progressiva.
Le influenze del musicista finlandese sono da attribuire ai maghi delle sei corde che tanto hanno fatto parlare in passato gli addetti ai lavori (Paul Gilbert, Joe Satriani e Yngwie J. Malmsteen), quindi l’opera è adatta ai palati metallici, anche se in così tanti minuti troverete riferimenti a più di un’ icona del rock /metal mondiale.
Age Of Heroes ha nella sua eccessiva durata il punto debole, anche se la musica suonata da Karjalainen non si avvolge su se stessa come quella di molti suoi colleghi.
How Can Less Be More, The Grassy Gnoll, la doppietta composta dalla title track e dalla speed metal song A Meeting Of The Gods (And This Guy), sono i momenti più interessanti di un album che rischia di passare inosservato come i suoi predecessori, mentre meriterebbe più di attenzione da parte degli amanti del genere, anche se come detto il minutaggio non gioca a favore della fruibilità, importantissima in lavori come Age Of Heroes.

Tracklist
1. Warm Welcome
2. How Can Less Be More
3. The Colour of Greed
4. Chikken Noodul
5. A Fertile Discussion
6. The Grassy Gnoll
7. Blue Eyes
8. Party Political Speech
9. Age of Heroes
10. A Meeting of the Gods (And This Guy)
11. Sunset
12. Return of the Silly English Person
13. Falling for Falafels
14. Lost In a Foreign Scale
15. Three Days of Peace
16. Limiting Rationality
17. Breathe

Line-up
Derek Sherinian – Keyboards on “The Colour of Greed”
Mattias IA Eklundh – Gutiar solos on “A Fertile Discussion” and “Falling for Falafels”
Janne Nieminen and Emil Pohjalainen – Guitar solos on “A Meeting of the Gods (And This Guy)”
Vesa Kolu – Drums on “A Fertile Discussion”, “Blue Eyes”, “Falling for Falafels”, “Three Days of Peace”, and “Limiting Rationality”
Christer Karjalainen – Drums on “Chikken Noodul” and “Sunset”
Elmo Karjalainen – everything else

ELMO KARJALAINEN – Facebook

The Watchers – Sabbath Highway

I The Watchers sono come un tornado in mezzo al deserto, un vortice di sonorità hard & heavy che si abbattono sulla campagna americana, un twister selvaggio dal titolo Sabbath Highway.

Torniamo indietro fino alla metà degli anni novanta, il decennio più importante della storia del metal/rock dopo gli anni settanta, facciamoci ancora del male con i primi lavori di Zakk Wilde e dei suoi Black Label Society, aggiungiamoci i Soundgarden di Louder Than Love e i Corrosion Of Conformity nella versione più stonerizzata (Wiseblood/America’s Volume Dealer) ed avremo ottenuto una ricetta musicale da veri Masterchef del rock, oppure saremo molto vicini alla proposta di questi clamorosi rockers statunitensi, i The Watchers.

Sabbath Highway, ep uscito qualche tempo fa, ci consegna un gruppo davvero interessante, pronto per licenziare il primo lavoro sulla lunga distanza che si preannuncia come una bomba sonora, almeno per chi apprezza queste sonorità.
Niente di nuovo, chiariamolo subito, ma senz’altro convincente, con i Sabbath che compaiono nel titolo e fanno da padrini al quartetto composto da Tim Narducci alla voce, Jeremy Von Eppic alla chitarra, Cornbread al basso e Carter Kennedy (Orchid) alla batteria.
Esaltanti ed irresistibili, i The Watchers sono come un tornado in mezzo al deserto, un vortice di sonorità hard & heavy che si abbattono sulla campagna americana, un twister selvaggio dal titolo Sabbath Highway.
E selvagge sono le note che escono a tratti violente dalla title track o dalla monumentale Call The Priest, spettacolare brano tra Soundgarden e Black Sabbath, dove Narducci fa il Cornell d’annata.
I nostri picchiano duro anche in Today, veloce come una Harley lanciata all’impazzata e nella conclusiva Just A Needle, mid tempo potente e cadenzato, un carro armato hard rock con la scritta B.L.S. sulla fiancata.
Ripple Music è l’etichetta responsabile dei danni inferti ai padiglioni auricolari degli amanti del genere da parte del gruppo, in attesa di un full length che si preannuncia dinamitardo.

Tracklist
1.Sabbath Highway
2.Requiem Intro
3.Call The Priest
4.Today
5.Just A Needle

Line-up
Carter Kennedy – Drums
Cornbread – Bass
Jeremy Von Eppic – Guitars
Tim Narducci – Vocals

THE WATCHERS – Facebook

Tony Mills – Streets Of Chance

Un ottimo album, intenso, raffinato ed elegantemente melodico, suonato e cantato da un nugolo di musicisti che fanno parte della crema del genere, e soprattutto composto da belle canzoni.

Cantante di livello assoluto e protagonista fin dal lontano 1983 nella scena hard & heavy internazionale Tony Mills torna con un nuovo lavoro, il quinto della sua carriera solista iniziata all’alba del nuovo millennio con l’album Cruiser.

Parlare della vita artistica di Tony Mills vuol dire ripercorrere almeno una trentina d’anni di hard rock di altissima qualità, prima con gli Shy, poi con i TNT e con altre realtà più o meno importanti della scena come China Blue e Serpentine.
Il suo nuovo album intitolato Streets Of Chance è stato prodotto e mixato da Pete Newdeck (Tainted Nation, Blood Red Saints, The Shock) e masterizzato da Harry Hess.
Ma il bello di questo splendido lavoro sono gli ospiti che sono stai invitati e si sono seduti alla tavola rotonda di questo vecchio cavaliere britannico dell’ hard rock, formando una line up che, nel genere. è difficilmente eguagliabile.
Al microfono, insieme a Tony, troviamo Pete Newdeck (Tainted Nation, Blood Red Saints, The Shock), anche dietro ai tamburi, mentre a dispensare note melodiche prodotte da magiche sei corde si alternano chitarristi del calibro di Joel Hoekstra (Whitesnake, Night Ranger), Tommy Denander (Radioactive, Alice Cooper, Paul Stanley), Robby Boebel (Frontline, Evidence One, State of Rock), Neil Frazer (Rage of Angels, Ten), Tommy Denander, Robby Boebel e Pete Fry (FarCry).
La lista dei bassisti si ferma a Toine Vanderlinden (Martyr, Rebelstar Rock) e Linda Mills (Dolls of Disaster) e quella dei tastieristi a Eric Ragno (The Babys, Joe Lynne Turner, China Blue),Tommy Denander and Robby Boebel.
Con una line up del genere mancava solo un songwriting degno di questo ritrovo di talenti e gli amanti del rock melodico sono stati accontentati, con un lotto di brani davvero belli che mettono in risalto la splendida voce di Mills, a suo agio tra brani raffinati ed altri più graffianti, mentre gli strumenti valorizzano il talento del leone britannico senza risultare invadenti.
Ma d’altronde si parla di hard rock melodico, da sempre ricco di emozioni e su Streets Of Chance i brividi non si fanno attendere già dall’opener Scars, mentre la seguente When The Lights Go Down accende le luci intense di un’arena rock in balia di splendidi chorus direttamente dagli anni ottanta.
Legacy accentua le ritmiche mentre il refrain ci conquista al primo passaggio e l’album continua a dispensare grande musica mentre i toni si attenuano con Battleground e Dream On.
C’è ancora tempo per tornare su livelli altissimi con le ultime due tracce (Storm Warning, Seventh Wonder), fulgidi esempi di hard rock grintoso ma elegante e raffinato, con un Mills sugli scudi malgrado il tempo che avanza inesorabile.
Un ottimo album, intenso, raffinato ed elegantemente melodico, suonato e cantato da un nugolo di musicisti che fanno parte della crema del genere, e soprattutto composto da belle canzoni.

Tracklist
1. Scars
2. When The Lights Go Down
3. Legacy
4. Battleground
5. Dream On
6. Weighing Me Down
7. When We Were Young
8. The Art Of Letting Go
9. Storm Warning
10. Seventh Wonder

Line-up
Tony Mills – Vocals

Pete Newdeck – Vocals, Drums
Joel Hoekstra – Lead Guitars
Tommy Denander – Lead Guitars, Rhythm Guitars, Keyboards
Robby Boebel – Lead Guitars, Rhythm Guitars, Keyboards
Neil Frazer – Lead Guitars
Pete Fry – Rhythm Guitars
Toine Vanderlinden – Bass
Linda Mills – Bass
Eric Ragno – Keyboards

TONY MILLS – Facebook

Ancient VVisdom – 33

Il suono è un qualcosa che non troverete da nessuna altra parte, bisogna completamente abbandonasi a questo piccolo grande capolavoro di musica occulta americana, che si sviluppa su più livelli e che potrebbe farvi vedere le cose in una prospettiva diversa, derivando direttamente dall’oscurità dei figli dei fiori, dalle pazze ore di Aleister Crowley e che continua a fluire tra le ere, non domata da duemila anni di cristianesimo.

Gli Ancient Vvisdom sono dei cantori dell’occulto, seguaci di Lucifero e del percorso della mano sinistra, adoratori della carnalità umana, ma soprattutto un grandissimo gruppo musicale.

Nato nel 2009 in quel di Austin in Texas, il trio si compone di Nathan Opposition, anche nei Vessel Of Light con Dan Lorenzo, suo fratello Michael e Connor Metsker. Nel 2010 incidono un dodici pollici split intitolato Inner Earth Inferno su Withdrawl Records con un certo Charles Manson, non so se lo conoscete. In seguito hanno pubblicato altri tre dischi dopo quel dodici pollici. La loro traiettoria musicale è un rock neo folk con innesti doom e gotici, dal forte retrogusto metal, e fortemente ispirato dalla tradizione del folk americano. In alcuni momenti ci si avvicina anche al death rock, ma è davvero difficile non privilegiare la matrice folk per definire il gruppo. 33 è un disco esoterico ed occulto, che parla di luce e tenebra molto diversamente dai soliti termini, e già dal titolo ha dei riferimenti ben precisi in tal senso. Qui, sia nella musica che nei testi c’è la carnalità umana, l’eterna lotta dell’umano per uscire fuori dai binari già determinati di un’esistenza priva di libero arbitrio. La musica è dolce e molto melanconica, ti culla nell’oscurità, adoratori di Lucifero ti sussurrano parole di conoscenza proibita e tutto il disco ha un sapore difficilmente dimenticabile. In 33 ci sono momenti di assoluto entusiasmo grazie ad un gruppo che è in stato di grazia, e che va ben oltre la musica. Il suono è un qualcosa che non troverete da nessuna altra parte, bisogna completamente abbandonasi a questo piccolo grande capolavoro di musica occulta americana, che si sviluppa su più livelli e che potrebbe farvi vedere le cose in una prospettiva diversa, derivando direttamente dall’oscurità dei figli dei fiori, dalle pazze ore di Aleister Crowley e che continua a fluire tra le ere, non domata da duemila anni di cristianesimo.

Tracklist
1. Ascending Eternally
2. Light of Lucifer
3. In the Name of Satan
4. True Will
5. The Infernal One
6. Summoning Eternal Light
7. Rise Fallen Angel
8. 33
9. The Great Beast
10. Lux
11. Dispelling Darkness

Line-up
Nathan “Opposition” Jochum – vocals, acoustic guitar, kick drum
Michael Jochum – guitar, back up vocals
Connor Metsker – bass

ANCIENT VVISDOM – Facebook

Appice – Sinister

Sinister si può certamente considerare un buon lavoro, dedicato a chi con i due fratelli americani di origine italiana è cresciuto e giusto tributo ad una carriera nel mondo del rock e del metal di altissimo livello.

E fu così che anche i fratelli Appice, signori della batteria, si ritrovarono a scrivere un album assieme dopo tanti anni di musica heavy rock alle spalle, con Vanilla Fudge, Cactus e Ozzy Osbourne (Carmine) e Dio, Black Sabbath e Heaven And Hell (Vinny), tanto per nominare i nomi più importanti di due carriere invidiabili che, a distanza di una decina d’anni (Vinny è più giovane di undici anni), hanno dato lustro ad un cognome da paisà facendogli calcare i palchi di mezzo mondo.

Sinister è il risultato di questo album scritto in famiglia e suonato dai numerosi ospiti che hanno tributato i due martelli americani con le loro performance, e il risultato non può che essere buono, specialmente per chi ama l’hard & heavy di stampo ottantiano.
Prodotto benissimo, Sinister vive di questi notevoli contributi che vedono alternarsi tra gli altri Paul Shortino (Quiet Riot) e Chas West (Linch Mob) al microfono, Joel Hoekstra (Whitesnake), Craig Goldy (Dio, Giuffria) ed Eric Turner (warrant) alla sei corde, Tony Franklin (Blue Murder, The Firm), Phil Soussan (Ozzy) e Johnny Rod (Wasp, King Cobra) al basso.
E la musica se ne giova di conseguenza, grazie ad un songwriting che mette in evidenza l’esperienza dei musicisti in azione, calati nell’opera e a disposizione dei fratelli Appice per far risplendere di grintoso hard & heavy molti dei brani dell’album.
Rock duro di origine controllata, in alcuni casi riuscito alla grande, in pochi altri sui generis, ma suonato ed interpretato come meglio non si può: in Sinister, troviamo richiami ai migliori Whitesnake e Black Sabbath a comporre un quadro completo della carriera dei due batteristi nella loro versione metallica, con lo spirito di Dio che sorride ai tanti tributi offertigli.
L’album si sviluppa in più di un’ora ma ha il pregio di non annoiare, anche se i brani migliori come Monsters And Heroes, con Shortino alla voce, Killing Floor, lasciata tra le corde vocali di un Chas West debordante, e il mid tempo sporcato di blues di Suddenly sono tutti nella prima metà del cd, che si conclude con un mix di brani storici dei Black Sabbath intitolato Sabbath Mash.
Sinister si può certamente considerare un buon lavoro, dedicato a chi con i due fratelli americani di origine italiana è cresciuto, nonché giusto tributo ad una carriera nel mondo del rock e del metal di altissimo livello.

Tracklist
01. Sinister
02. Monsters And Heroes
03. Killing Floor
04. Danger
05. Drum Wars
06. Riot
07. Suddenly
08. In The Night
09. Future Past
10. You Got Me Running
11. Bros In Drums
12. War Cry
13. Sabbath Mash

Line-up
Carmine Appice – drums & vocals
Vinny Appice – drums

Jim Crean – vocals
Paul Shortino – vocals
Robin McAuley – vocals
Chas West – vocals
Scotty Bruce – vocals
Craig Goldy – guitar
Bumblefoot – guitar
Joel Hoekstra – guitar
Mike Sweda – guitar
Erik Turner – guitar
David Michael Phillips – guitar
Tony Franklin – bass
Phil Soussan – bass
Johnny Rod – bass
Jorgen Carlson – bass
Erik Norlander – keyboards

Dancing Scrap – This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk

Un altro ottimo album, vario ed originale ad opera di un gruppo a cui non mancano coraggio e buone idee, da consumare se siete amanti del rock a prescindere da odiati compartimenti stagni.

Cambio di monicker (da Dancing Crap a Dancing Scrap), qualche aggiustamento ulteriore nella line up e Ronnie Abeille torna con la sua band ì, con una S in più ma non solo.

Avevamo lasciato la band nostrana all’indomani dell’uscita di Cut It Out, debutto sulla lunga distanza licenziato un paio di anni fa, ed è già tempo di nuova musica, mentre il sound ha subito qualche leggero cambiamento sterzando verso atmosfere più moderne e, come suggerisce il titolo, alternative.
This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk risulta infatti meno pervaso dallo spirito rock ‘n’ roll che aveva contraddistinto il suo predecessore, le sfumature elettroniche e funky contribuiscono a rendere l’album in sintonia con il rock americano più mainstream, facendo sì che le parti campionate e alternative, già comunque presenti in Cut It Out, diventino preponderanti nell’economia dell’album.
Se tutto questo è un bene dipende molto dai gusti di chi presterà ascolto a questa nuova raccolta di brani, sicuramente il gruppo (con la supervisione di Gianmarco Bellumori, che si è occupato del mix e della masterizzazione dell’album) ha fatto un buon lavoro, cercando di non soffermarsi troppo su un genere ma allargando i suoi orizzonti così da presentarsi come una realtà di non facile catalogazione.
This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk vive di alternative metal come di rock ‘n’ roll, sguazza in soluzioni elettropop e ci sbatte in faccia quell’irriverenza punk che continua ad essere l’arma in più del sound, con Abeille che a tratti ricorda non poco il Johnny Rotten post Sex Pistols.
Mezzora di musica dritta sul muso dei rockers, dallo stivale al Regno Unito, che Acid presenta al pubblico con un riff appunto acido e i ritmi che si mantengono su di un mid tempo rock, per poi trasformarsi in un irresistibile alternative funky alla Red Hot Chili Peppers in Big Fuckin’ Deal.
Il singolo I Like It, uscito qualche mese fa, segue le linee di ciò che poi si svilupperà lungo l’intero lavoro, con un rock sporcato di elettronica e punk che gioca a nascondino tra montagne di campionamenti.
I brani si susseguono con dei picchi di originalità (SWC e la conclusiva Bitch… And You Know It) che valorizzano il lavoro svolto dal gruppo, che continua imperterrito ad alternare i generi descritti non lasciando mai una traccia sicura per seguire l’andamento e riuscendo nell’impresa di non far perdere attenzione all’ascoltatore, ora sorpreso, ora divertito dai vari scenari musicali presentati su This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk.
Un altro ottimo album, vario ed originale ad opera di un gruppo a cui non mancano coraggio e buone idee, da consumare se siete amanti del rock a prescindere da odiati compartimenti stagni.

Tracklist
1.Acid
2.Big Fuckin’ Deal
3.I Like It
4.Renegades
5.SWC
6.Ready for the Show
7.The Rocker You’re Not
8.My Goddess
9.Yet to Come
10.Watered Down Drink
11.Bitch… and You Know It (The Drunken Bass Song)

Line-up
Ronnie Abeille – Vox
Sal Ariano – Guitar
Eugenio “The Joker” Pavolini – Guitar
Bobby Gaz – Bass
Danilo “Wolf” Camerlengo – Drums

DANCING SCRAP – Facebook

Coburg – The Enchantress

Un album piacevole e senz’altro riuscito, una sorpresa per gli amanti del genere che sapranno cogliere la bellezza dei brani che compongono The Enchantress a prescindere dalla splendida dea al microfono.

Se oltre alla musica anche i vostri occhi vogliono la loro parte, allora senza ulteriori indugi vi presento i Coburg, monicker che deriva dal cognome della splendida cantante e modella Anastasia, alla guida di questa symphonic rock band londinese.

The Enchantress è il loro debutto, licenziato dalla Evolve Or Die Records, un lavoro che sa tanto di rock, moderno e gotico, che non punta solo sull’aspetto della sua musa ma si avvale di una raccolta di brani melodici ed accattivanti, sinfonici il giusto per attirare gli amanti del gothic/dark da club.
La Coburg oltre a cantare suona chitarra e tastiere, segno che non siamo di fronte alla sola bellezza ma ad un’artista e musicista che sa il fatto suo, ed interpreta le moderne trame dark rock di The Enchantress con la giusta dose di fatale teatralità.
Quasi un’ora di musica nel corso della quale raffinata eleganza gotica, dark rock e mai invadenti sinfonie fanno da colonna sonora alla voce della singer, ottima interprete di brani a tratti suadenti, altri pregni di un’urgenza elettrica, altri che si muovono tra le note sinfoniche ed orchestrazioni che ricamano melodie melanconiche in brani come Echoes In The Night, The Hall Of Ghosts, la splendida Requiem, dalle accentuate ispirazioni new wave, o Till The Bitter End, dall”oscura atmosfera romantica.
Un album piacevole e senz’altro riuscito, una sorpresa per gli amanti del genere che sapranno cogliere la bellezza dei brani che compongono The Enchantress a prescindere dalla splendida dea al microfono.
Quando la bellezza va di pari passo con la bravura: il debutto dei Coburg ne è un esempio lampante.

Tracklist
1.A Cold Day In Hell
2.Echoes In The Night
3.The Hall Of Ghosts
4.Into The Darkness
5.Requiem
6.The Enchantress
7.Thy Dagger
8.Till The Bitter End
9.Warrior’s Blood
10.Rise

Line-up
Anastasia Coburg – Lead Vocals, Lead Guitar & Synths
Dean Baker – Synths & Backing Vocals
Mark Spencer – Bass Guitar & Backing Vocals
Sarah Sanford – Rhythm Guitar & Backing Vocals
Pietro Coburg – Drums & Backing Vocals

COBURG – Facebook

Grog – Man Of Low Moral Fiber

Le emozioni non mancano in questo disco strumentale partorito da due menti musicalmente bulimiche, che abbracciano una moltitudine di situazioni e di gusti musicali.

I Grog sono un duo di Reggio Calabria al loro secondo ep per la netlabel Musichette Records.

Il loro suono è una jam di math e noise rock, un gioioso effluvio di note e di progressione musicale. Le emozioni non mancano in questo disco strumentale partorito da due menti musicalmente bulimiche, che abbracciano una moltitudine di situazioni e di gusti musicali. Non ci si annoia mai in giro fra questi suoni, tra momenti alla Don Caballero ed aperture ambient molto belle, tra il noise più graffiante e la psichedelia più sfrenata. Il disco dovrebbe essere visto ma soprattutto ascoltato come un continuo musical-temporale, infatti qui le divisioni e i titoli servono a ben poco, di fronte ad un fiume lavico di note. Il suono dei Grog non è potentissimo o distorto, ma pieno di idee e di invenzioni musicali. Si passa attraverso molti specchi tenendo ben ferme le coordinate musicali zappiane, ovvero non avere coordinate ma spaziare il più possibile. In questo contesto la musica è molto soggettiva, nel senso che questi suoni fanno scaturire in ognuno di noi qualcosa di diverso. Grande è stata la lezione per i Grog da parte di gruppi come gli Zu o altri compari della nouvelle vague rumorosa italiana, quel suonare senza limiti dando una visione distorta della distorta realtà. Ci sono dischi come questo che sono totalmente alieni al concetto di commerciale o alternativo, sono momenti musicali alti e stimolanti, assolutamente alieni rispetto alla musica normale. Ritmo, deviazioni, accelerazioni e miliardi di accordi, con uno stile compositivo molto vicino all’improvvisazione jazz, porta della libertà totale. In definitiva questo è letteralmente un disco di drum and bass.

Tracklist
1. The great Jeeg in the sky
2. Got Ham
3. Give more water, please everybody
4. L.A. Crime

Line-up
Luigi Malara – basso, glockenspiel, clavietta, tastiere
Filippo Buglisi – batteria, tastiere

GROG – Facebook

The Fright – Canto V

Canto V è un disco che non riesce smuovere l’ascoltatore a livello emotivo, risultando perfetto ad un livello superficiale ma rivelandosi, alla lunga, privo della necessaria profondità.

Recentemente ho avuto modo di parlare di ottimi dischi catalogabili in quel settore, in verità abbastanza sfaccettato, definibile post punk / dark wave, prima grazie all’interpretazione più eterea e, a tratti, intimista dei Soror Dolorosa e, successivamente, con il robusto e goticheggiante incedere dei magnifici Grave Pleasures.

Tocca oggi ai tedeschi The Fright mettersi alla prova in tale ambito con Canto V, che richiama nel titolo sia un’ispirazione lirica dantesca sia la progressione numerica di quello che, infatti, è il loro quinto full length.
Qui l’orientamento è sì verso sonorità dark ma ampiamente contaminate da un’anima hard rock, tanto che il più delle volte la proporzione tra gli ingredienti base appare tranquillamente invertita.
L’opener Bonfire rimanda in maniera evidente ai The Cult e come partenza non sarebbe affatto male, visto che il brano si imprime nella memoria in maniera abbastanza convincente: da lì in poi però si susseguono tracce che si muovono in maniera ondivaga tra Him, Sentenced e The 69 Eyes, con ampie aperture melodiche ed un’orecchiabilità che troppe volte sconfina in un’insostenibile leggerezza, senza che i The Fright possiedano a sufficienza la sensualità dei primi, il background metal dei secondi e l’indole gotica dei terzi, e la stessa Oblivion è una potenziale hit che però sembra provenire dalla discografia più recente della band di Jirky, coincidente appunto con una fase che ha visto prevalere la forma sulla sostanza.
Il risultato che ne consegue è un disco che non riesce smuovere l’ascoltatore a livello emotivo, risultando perfetto ad un livello superficiale ma rivelandosi, alla lunga, privo della necessaria profondità.
Del resto non può essere neppure un caso il fatto stesso che il brano più convincente, alla fine, sia In Sicherheit, cover della punk band tedesca Fliehende Stürme, alla quale anche l’utilizzo della lingua madre dona quell’aura decadente che purtroppo latita nel resto del lavoro.
Nonostante Canto V sia fondamentalmente indirizzato ai fruitori abituali di musica dark, ritengo che invece possa trovare maggiori favori in chi, amando l’hard rock, potrà goderne una versione dai toni più cupi: detto ciò, il nuovo lavoro dei The Fright non può essere definito brutto, ma chi predilige nella musica un’oscurità tangibile e non patinata, ricercando un rapporto di empatia emotiva con i musicisti, finirà per rivolgersi altrove.

Tracklist:
1. Bonfire
2. No One
3. Wander Alone
4. Love Is Gone
5. Fade Away
6. Oblivion
7. Leave
8. Drowned In Red
9. Century Without A Name
10. In Sicherheit

Line-up:
Lon Fright – Vocals
Kain – Bass
Kane – Guitar
Danny – Guitar
Luke Seven – Drums

THE FRIGHT – Facebook

Across The Atlantic – Works Of Progress

Il pop punk in questa maniera lo sanno fare solamente in America, ed è un qualcosa che va fortissimo nelle radio punk e metal, specialmente quelle del circuito dei college.

Gli Across The Atlantic vengono fuori dal tumultuoso underground texano, e più precisamente da San Antonio.

La loro proposta musicale è un pop punk con spruzzate di post hardcore, con molta energia e rivolto principalmente ad un pubblico giovanile. Le linee melodiche di Works Of Progress tengono molto bene e il disco scorre facilmente, con ritornelli e stacchi che rimangono in testa, e con un gran sapore di dolcezza. Il pop punk in questa maniera lo sanno fare solamente in America, ed è un qualcosa che va fortissimo nelle radio punk e metal, specialmente quelle del circuito dei college. Negli Across The Atlantic possiamo trovare oltre a tutto ciò anche una buona dose di post hardcore, specialmente nei giochi di rimando fra voce melodica e voce più grezza. La composizione del disco è di buon livello, i texani hanno già capito molto bene cosa può funzionare e cosa no, e dalla loro hanno una notevole energia. Questo lavoro piacerà a chi già segue questo genere e ha dimestichezza, e farà sicuramente nuovi proseliti per chi si avvicinerà a queste sonorità con questo disco. La Sharptone Records, sussidiaria della Nuclear Blast Records, sta costruendo un roster interessante di gruppi che spaziano dal metalcore al pop punk e post hardcore come appunto gli Across The Atlantic. Un disco come Works Of Progress mancava in questa carrellata, ed è anche figlio del gran lavoro che ha fatto per emergere questo gruppo che ha tutte le carte in regola per spiccare il volo.

Tracklist
1. Prelude
2. Playing For Keeps
3. Sundress Funeral
4. Cutting Corners
5. Chin Up
6. 24 Hours
7. Word of Mouth
8. Self (less)
9. Starting Over
10. Blind Eyes
11. Works Of Progress

Line-up
Jay Martinez- Vocals
Jason Lugo- Guitar
Julio Bautista- Guitar
Jayy Garza- Bass
Cody Cook- Drums

ACROSS THE ATLANTIC – Facebook