Samcro – Colpevoli

I Samcro, duo blues/hard rock toscano composto da Mario Caruso e Nicola Cigolini, ritornano, a distanza di quasi due anni da “Terrestre”, con gli undici brani di Colpevoli. Il disco, pubblicato da Soffici Dischi e impreziosito dalla presenza di Paolo Benvegnù (nel brano La Ricostruzione), suona grasso e corposo, ma coinvolge a fatica e risulta poco convincente nel suo insieme.

Il calore strumentale di Dalle Ceneri, apre il disco creando il terreno giusto per il trascinante procedere della torrida La Ricostruzione e per il sudato citare di Reagire Al Dolore (parte del testo arriva da “La Cognizione Del Dolore” di Carlo Emilio Gadda).
Il cantato/gridato ai limiti del punk di Opponibile, tagliando l’aria con il rabbioso graffiare di chitarre, cede spazio al procedere energico (ma piuttosto dispersivo) di Martin X, mentre Similitudine, non riuscendo a disegnare i deserti hard rock che vorrebbe, lascia che a seguire sia la poco incisiva Mahmud.
Kingsley, invece, provando a mordere con la sua energia, introduce il trambusto incolore di Colpevoli e le grasse chitarre de Il Mare Dentro Di Te.
La meno distorta e più introversa Benvenuto, infine, chiude il disco provando a mettere in mostra il lato più intimo e riflessivo della band.

Nonostante gli sforzi, l’energia e i tentativi, questo Colpevoli non risulta memorabile in nessuna occasione. Gli undici brani presentati, infatti, provano a creare un sound granitico, corposo e trascinante, ma ogni volta, si spengono in idee poco convincenti e in testi non proprio coinvolgenti. Insomma, l’impressione è che ci sia tanta passione e voglia di fare, ma che manchino ancora i contenuti necessari per rendere il sogno realtà. Un disco monotono e al di sotto delle aspettative.

TRACKLIST
01. Dalle Ceneri
02. La Ricostruzione
03. Reagire Al Dolore
04. Opponibile
05. Martin X
06. Similitudine
07. Mahmud
08. Kingsley
09. Colpevoli
10. Il Mare Dentro Di Te
11. Benvenuto

LINE-UP
Mario Caruso
Nicola Cigolini

SAMCRO – Facebook

Mightiest – Sinisterra

Un album che non deve scorrere tra l’indifferenza degli amanti dell’epicità in musica, assolutamente consigliato sia ai fans dei suoni estremi estremi che a quelli più orientati verso sonorità classiche ed old school.

Strana storia quella dei Mightiest, arrivati solo ora al debutto sulla lunga distanza, pur essendo una band considerata storica nel panorama estremo tedesco.

Il gruppo, nato nel 1994 e facente parte della seconda ondata delle truppe di blacksters che invasero l’Europa in quel periodo, non ha mai trovato la giusta stabilità di line up, o forse, le buone vibrazioni dei fans non andarono a braccetto con quelle degli addetti ai lavori, fatto sta che la discografia del gruppo non andò oltre ad un paio di demo, altrettanti ep ed uno split.
Arrivano così, dopo oltre vent’anni, al primo full length, licenziato dalla Cyclone Empire, ed il risultato non può che essere ottimo.
Sinisterra è una perfetta via di mezzo tra il black metal e l’heavy metal epico, ne esce un lavoro potente, permeato da atmosfere colme di epicità e fierezza, come se i Bathory più classici si alleassero con il melodic black metal di gruppi come i Naglfar, senza far mancare le atmosfere dei Secrets Of The Moon e dei Lunar Aurora ed una battagliera enfasi alla Manilla Road.
Sei brani medio lunghi, colonne sonore di epoche dove l’acciaio e gli dei comandavano sugli uomini, cavalcate di metallo votato all’oscura gloria, scritta con il sangue dei vinti e glorificata dalle urla vittoriose dei conquistatori.
La title track riassume il mood dell’album, magari lasciandosi andare ad una troppa prolissità, ma dall’indubbia presa, specialmente nel saper mantenere un’atmosfera epica mai doma.
I tasti d’avorio fanno da tappeto al sound che sprizza rabbia guerresca, gli strumenti sono armi in mano a musicisti/guerrieri, che formano un’orda barbarica, l’heavy metal epico valorizza a suon di solos classici ed atmosfere epiche songs come Soular Eclipse, mentre il mid tempo melodicissimo, che caratterizza l’inizio di Ocean Empires, travolge con la sua carica epica, prima che il crescendo si tramuti in una cavalcata di tremebondo black metal.
L’album si conclude con il brano più orientato verso il metal estremo (The Purifire), un vento ritmico che spazza via l’odore del sangue, anche se i solos si mantengono molto melodici e lo scream riecheggia di spirito epico, un lungo inno alla gloria della vittoria, tenendo ben salda tra le mani, avvolte nel metallo dell’armatura, la bandiera dell’heavy metal.
Un album che non deve scorrere tra l’indifferenza degli amanti dell’epicità in musica, assolutamente consigliato sia ai fans dei suoni estremi estremi che a quelli più orientati verso sonorità classiche ed old school.

TRACKLIST
1. Devour The Sun
2. Animalevolence
3. SinisTerra
4. Soular Eclipse
5. Oceanic Empires
6. The Purifire

LINE-UP
O. – throat
C. – battery
S. – guitars, bass
Ral – guitars, keys

MIGHTIEST – Facebook

Messa – Belfry

Belfry dà uno stato di calma quasi eterna, un punto distaccato dal quale osservare i nostri disperati affanni, una comoda nicchia nel fresco di un ghiacciaio morto da eoni.

Incredibile debutto per questo gruppo italiano, doom con fortissime influenze anni settanta, droni possenti e volanti, il tutto fatto benissimo.

Disco per fortuna inconsueto e fuori dall’ordinario per questo gruppo nato, composto da musicisti dai più disparati bagagli musicali, dal black metal al grind, dal prog al dark ambient, al doom. Tutto ciò porta ad un risultato strabiliante per un gruppo nuovo, dato che si è formato nel 2014. Il suono dei Messa sembra un rituale pagano molto oscuro e godibile, che cattura vari immaginari, nobilitato dalla voce di Sara, sacerdotessa che ci accompagna in questo viaggio agrodolce.
Tutte le canzoni sono diverse e raccontano una storia che si intreccia con suoni e visioni diverse. Belfry dà uno stato di calma quasi eterna, un punto distaccato dal quale osservare i nostri disperati affanni, una comoda nicchia nel fresco di un ghiacciaio morto da eoni. I Messa hanno il passo dei grandi gruppi, e grande scenicità musicale, come se fossero stati portati nel mondo reale da Dario Argento in persona, perché per tutto il disco aleggia questo sentimento di horror anni settanta all’italiana. Differenti visioni musicali si amalgamano per un risultato straordinario.

TRACKLIST
1- Alba
2- Babalon
3- Fårö
4- Hour Of The Wolf
5- Blood
6- Tomba
7- New Horns
8- Bell Tower
9- Outermost
10- Confess

LINE-UP
Mark Sade: guitar/bass/ambient
Sara: Voice.
Mistyr : drums.
Albert: lead guitar

MESSA – Facebook

Ravens Creed – Ravens Krieg

Un album feroce e brutale, death/thrash che troverà estimatori negli amanti dei suoni old school

I Ravens Creed sono una band britannica attiva ormai da una decina d’anni, tra le sue fila militano musicisti di una certa importanza del metal underground, come il fondatore e chitarrista Steve Watson (ex Iron Monkey), Al Osta (ex Cerebral Fix) e Jay Graham (ex Skyclad).

Ravens Krieg è il terzo lavoro sulla lunga distanza, di una discografia che si completa con altri lavori minori, tra ep e split.
Il sound proposto è un minimale e ruvido death metal , dall’approccio diretto, musica estrema senza fronzoli, dalla furia thrash e dalle reminiscenze old school.
Ravens Krieg si sviluppa su tredici brani, dalla durata minima, giusto il tempo di scaricare mitragliate estreme, aggressive e da battaglia, una scarica di pugni in pieno volto, portati senza pietà, anche grazie al gran lavoro di Graham alle pelli.
Sicuramente un lavoro composto nel più puro spirito underground, dove velocità, pesantezza ed attitudine senza compromessi la fanno da padrone, non concedendo nessuno spazio a melodie facili, ma andando dritti al cuore, spaccandolo a colpi di metallo intransigente e aggressivo.
Dove il gruppo rallenta, si viene travolti da una cadenzata potenza guerresca (Victory In Defeat), trascinati dal growl abrasivo di Osta e dalle ritmiche che rilasciano putrido groove.
La produzione segue il filo conduttore di un sound grezzo, l’atmosfera che si respira è da tregenda, mentre una dopo l’altra le songs non lasciano all’ascoltatore un secondo per riprendere fiato, attanagliato dall’odore della polvere da sparo e dai cadaveri in decomposizione.
Il riffing a tratti pesantissimo (Bitten By Witch Fever) segna la marcia dei soldati della morte verso la carneficina (Brigade ’77), mentre l’album scivola verso un finale che non può che essere tragico.
Un album feroce e brutale, death/thrash che troverà estimatori negli amanti dei suoni old school, e a chi continua a preferire l’impatto più aggressivo ed ignorante al genere, rimane comunque l’impressione di essere al cospetto di musicisti di tutto rispetto,.

TRACKLIST
1. Rock Cemetery
2. Palmer the Harmer
3. Jungle Justice
4. Riding the Pillock
5. Lecturn of Burning Swords Reversed
6. Victory in Defeat
7. VIP Treatment
8. Go Home
9. Bitten by Witch Fever
10. Brigade ’77
11. Dirty Diary
12. While You Were Sleeping
13. Carrion Screaming

LINE-UP
Rod Boston – Bass
Jay Graham – Drums
Steve Watson – Guitars
Al Osta – Vocals

RAVENS CREED – Facebook

Coffin Lust – Manifestation of Inner Darkness

Un mare di odio mosso da onde di sporcizia e sangue.

Un mare di odio mosso da onde di sporcizia e sangue. I Coffin Lust sono un duo australiano che propone un death metal cattivo e sporco, a volte veloce, spesso lento e pregno di malvagità.

I due componenti del gruppo sono due veterani della scena metal australiana. Il loro debutto come Coffin Lust è un demo del 2012 intitolato Beyond The Dark, quattro tracce nelle vene di Autopsy, Dismbember, vecchia scuola insomma. Nel lavoro attuale le coordinate generali sono quelle, ma spesso nel disco nuovo il suono si rallenta per fa affiorare maggiormente la cattiveria e la sporcizia. I Coffin Lust grattano alla ricerca della cattiveria che alberga in ognuno di noi, cattiveria che il death metal riesce a purificare senza grossi danni per noi e per i nostri simili. Sporca cattiveria australiana in lp, cd e cassetta.

TRACKLIST
1. Execration of Mortality
2. Beyond Redemption
3. Chaos Absolute
4. Swarming Black Inferno
5. Damnation’s Bringer
6. Prophecy of Malevolence
7. Manifestation of Inner Darkness

LINE-UP
J.R. – Drums, Guitars.
P.W. – Guitars, Vox.

COFFIN LUST – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Slave One – Disclosed Dioptric Principles

Accompagnato da una splendida copertina, l’album è composto da sette brani posizionati esattamente tra il death metal tecnico degli Obscura ed il suono progressivo degli storici Cynic.

E’ arrivato, anche per i transalpini Slave One il momento di licenziare il debutto sulla lunga distanza.

La death metal band francese, attiva dal 2009, si era fermata ad un demo e al mini cd uscito nel 2012 dal titolo, Cold Obscurantist Light.
Il nuovo lavoro, uscito quindi quattro anni dopo e propostoci dalla Dolorem Records, segna un passo importante per la band, la quale ci investe con il suo death metal tecnico e progressivo, colmo di sfumature jazz/fusion, anche se l’approccio dei nostri rimane alquanto brutale, specialmente nel growl, ed in molte delle ritmiche di cui è composto il sound di Disclosed Dioptric Principles.
Accompagnato da una splendida copertina, l’album è composto da sette brani posizionati esattamente tra il death metal tecnico degli Obscura ed il suono progressivo degli storici Cynic.
La band sa suonare, questo è evidente, e lo dimostra in queste songs dove sfuriate estreme, sfumature orientaleggianti e buoni inserti progressive/fusion alimentano un songwriting vario, dove non mancano le sorprese e le atmosfere oscure tengono la tensione a livelli altissimi.
Il fulcro del lavoro risultano gli undici minuti di Liquid Transcendental Echoes, una suite dove il gruppo sfoggia tutta la sua bravura, anche se qualche passaggio cervellotico di troppo, molto spesso fa perdere all’ascoltatore il filo del discorso musicale elaborato dal gruppo.
Gran lavoro, sotto l’aspetto tecnico di tutti i musicisti, dalla sezione ritmica varia e potente , alle asce che ricamano solos su solos e riffoni pesanti ed oscuri che seguono la lezione dell’angelo morboso, mentre gli inserti orientaleggianti e i cori monastici aggiungono un’aura mistica al concept musicale di Disclosed Dioptric Principles.
L’opera si conclude con i ritmi latini di Degenesis, il brano che più guarda ai maestri Cynic.
Riassumendo, gli Slave One risultano un’ottima band sotto l’aspetto tecnico, l’album piacerà non poco ai fans dei gruppi descritti e a cui il gruppo deve non poco, manca forse un minimo di fluidità in più, a volte le songs danno l’impressione di spezzarsi e ricominciare d’accapo, un dettaglio sicuramente migliorabile, resta comunque in generale una sensazione positiva.

TRACKLIST
1. Deus Otiosus
2. The Antikythera Mechanism
3. Obsidian Protocol Achievement
4. For Shiva Whispered The Universe
5. Aeon Dissonance
6. Liquid Transcendental Echoes
7. Degenesis

LINE-UP
Nicolas P.-Vocals
Benoit-Guitar
Nicolas S.-Guitar
William S.-Guitar
Seb S.-Drums

SALVE ONE – Facebook

The Foreshadowing – Seven Heads Ten Horns

I The Foreshadowing consolidano la recente fama acquisita con un altro splendido disco.

Per una band che ha raggiunto il picco qualitativo della propria carriera il difficile viene proprio nel momento in cui bisogna dare seguito a quanto di buono fatto in precedenza, con l’obiettivo di migliorare ulteriormente o, in subordine, quello di mantenersi su uno standard quanto meno simile.

Per i The Foreshadowing la missione appariva ancor più complessa, visto che il valore assoluto di un disco come Second World ne aveva esteso la fama oltre i confini nazionali, portandoli anche ad intraprendere un tour americano in compagnia di nomi pesanti quali Marduk e Moonspell.
Nonostante il primissimo approccio con Seven Heads Ten Horns mi avesse lasciato più di una perplessità, la percezione dei contenuti dell’album è progressivamente lievitata, ascolto dopo ascolto, fino a svelarne inesorabilmente la vera natura, quella di degno successore di una pietra miliare come Second World.
I The Foreshadowing confermano così il loro valore uscendo vincenti da questa ardua prova, anche se il particolare stile esibito non rappresenta più una sorpresa, essendosi consolidato nel corso degli anni; la band capitolina in questo caso ha optato per un percepibile ammorbidimento del sound, puntando allo sviluppo di chorus dal grande impatto, di quelli che si imprimono subdolamente nella memoria e ci si ritrova a cantare quasi in maniera inconsapevole: una scelta, questa, che offre risultati eccellenti anche se viene sacrificato un pizzico di quella energia esibita nei lavori precedenti.
Del resto i nostri possiedono quella peculiarità tipica dei campioni che è l’esibizione di una cifra stilistica riconoscibile, non solo per il timbro vocale di Marco Benevento, ma anche per un gusto melodico innato che li porta ad essere, volendo un po’ forzare la mano nei paragoni, un ideale punto di incontro tra Paradise Lost, Moonspell e Depeche Mode.
Azzardato ? No, perché un brano di una bellezza stordente come Until We Fail avrebbe trovato una naturale collocazione all’interno di quel capolavoro intitolato Songs of Faith and Devotion; no, perché il background doom attinto dai maestri di Halifax si fonde mirabilmente, in canzoni come Two Horizons e Lost Soldiers, con la malinconia gotica dei lusitani.
I brani citati sono quelli che maggiormente spiccano in una tracklist priva di passaggi a vuoto, prima che la conclusiva Nimrod, traccia di quasi un quarto d’ora composta da quattro movimenti (The Eerie Tower, Omelia, Collapse e Inno al Dolore) si snodi in un magnifico crescendo emotivo, trovando la propria sublimazione in un drammatico ed emozionante finale.
Seven Heads Ten Horns è incentrato, dal punto di vista lirico, sul declino della civiltà europea, delineandone un parallelismo tutt’altro che fuori luogo con quella dell’antica Bababilonia, con tanto di metaforico crollo della torre posto come funesto epilogo di un lavoro curato sotto tutti gli aspetti, incluso quello grafico, grazie all’ennesimo visionario artwork creato dal frontman dei Septicflesh, Seth Siro Anton.
I The Foreshadowing consolidano la recente fama acquisita con un altro disco impeccabile e, francamente, alla luce dello status raggiunto e del livello espresso, si auspicano per loro ben altri palcoscenici rispetto a quelli offerti in un’italietta dalla ristretta cultura musicale.

Tracklist:
1. Ishtar
2. Fall of Heroes
3. Two Horizons
4. New Babylon
5. Lost Soldiers
6. 17
7. Until We Fail
8. Martyrdom
9. Nimrod (The Eerie Tower / Omelia / Collapse / Inno al Dolore)

Line-up:
Alessandro Pace – Guitars
Andrea Chiodetti – Guitars
Francesco Sosto – Keyboards
Marco Benevento – Vocals
Francesco Giulianelli – Bass
Giuseppe Orlando – Drums

THE FORESHADOWING – Facebook

Fleshgore – Denial of the Scriptures

Un talento per la brutalità disarmante e tanta violenza, fanno di Denial Of The Scriptures uno dei più riusciti album del genere in questa prima metà dell’anno.

Con sommo gaudio, inizio dalle considerazioni finali e vi consiglio caldamente questo enorme e chirurgico Denial Of The Scriptures, nuovo lavoro degli ucraini Fleshgore, una macchina spaventosamente perfetta e micidiale di brutal death metal.

Il trio di psicopatici musicisti di Kiev, arriva con questo lavoro al quinto full length, non un gruppo senza la dovuta esperienza quindi, ma una terribile e devastante realtà che si aggira per l’est europeo, ed abbatte ogni cosa a colpi di metal estremo.
L’alba del nuovo millennio vede i primi passi dei Fleshgore, che arrivano all’esordio nel 2003 con Killing Absorption, inizio di una discografia consistente ed una buona costanza nelle uscite, non così abituale in questi anni e specialmente nei gruppi estremi.
Accompagnato da una copertina che più blasfema non si può, il nuovo lavoro risulta un massacrante e destabilizzante esempio della forza che il gruppo sprigiona, senza soluzione di continuità, con l’aiuto di una tecnica spaventosa ed un songwriting in stato di grazia.
Prodotto alla grande, i brani contenuti si susseguono come le frustate di un sadico carceriere, il suono devastante, ma pulito aiuta non poco l’ascolto e Talk to Me About God, Inception of Incursion, per esempio, non faticano ad entrare nell’ascoltatore, sovrastato e brutalizzato da ritmiche da infarto, riff affilati e chirurgici, e growl che risulta il rumore di una locomotiva impazzita.
Non un riff al posto sbagliato, uno tsunami di blast beat che si riversano, uno dopo l’altro, senza lasciare superstiti, nei padiglioni auricolari dei fans, un talento per la brutalità disarmante e tanta violenza, fanno di Denial Of The Scriptures uno dei più riusciti album del genere in questa prima metà dell’anno.
Igor Lystopad alla chitarra, Ruslan Drozd (basso e voce) e Lev Kurgansky alle pelli, formano un trio di musicisti inumani, ed il loro nuovo lavoro difficilmente troverà avversari nel brutal death metal classico, chiaramente di ispirazione statunitense, ma assolutamente frutto della bestiale creatività dei tre musicisti ucraini.

TRACKLIST
01. Talk to Me About God
02. Inception of Incursion
03. Stop the Possessor
04. Killing Relapse
05. Forgotten Knowledge
06. Bloody Hands of Aggressor
07. New Ordeal Comes into the World
08. Numinosum
09. Denial of the Scriptures
10. Gorging on Mucus and Bile (Pyaemia cover)

LINE-UP
Igor Lystopad – Guitars
Ruslan Drozd – Bass, Vocals
Lev Kurgansky – Drums

FLESHGORE – Facebook

Impurity / Sex Messiah – Vomiting Blasphemies Over The World

Primitivismo black metal, ma non solo, per un netto e felice revival di un certo suono norvegese che non smette mai di risuonare per cattiveria nel mondo tutto, come ben testimonia questo split.

Blasfemia per due ottimi gruppi black metal underground.

Gli Impurity vengono dal Brasile, e si inseriscono nel filone black metal classico, con chiari riferimenti ai Sarcofago, gloria nazional metal brasiliana.
I Sex Messiah vengono invece dal Giappone, hanno inciso demo, compilation e degli split, e fanno un black metal marcio e corrosivo. Tutto nasce da un tour in terra nipponica, dopo il quale la misteriosa etichetta High Society Satanic Records fece uscire questo split in cd in edizione limitata. Da qui questa edizione in vinile della Nuclear War Now !. Ascoltando lo split si capisce quanto siano simili le anime di questi simpaticoni, visto il simile approccio alla nera materia. Primitivismo black metal, ma non solo, per un netto e felice revival di un certo suono norvegese che non smette mai di risuonare per cattiveria nel mondo tutto, come ben testimonia questo split.

TRACKLIST
01. Cult Anti – Matutinal
02. Anti – Dominical
03. Preaching Mark Of The Beast
04. Maniac Lust
05. Holy Death
06. Vampire
07. Eternal Winter

SEX MESSIAH – Facebook

Crafter of Gods – The Scarlet Procession

La band non ha paura di estremizzare la propria proposta ed è brava a raffinarla con gli elementi classici

Uscito lo scorso anno, ma meritevole anche se con un po’ di ritardo, della vostra attenzione, vi presento The Scarlet Procession, primo ep dei veneti Crafter Of Gods, band estrema ma dalla ottima vena sinfonica, attiva dal 2007 e con due promo già licenziati tra il 2009 ed il 2010.

Il gruppo di Treviso dà alle stampe questo mini cd, ed è già all’opera per la realizzazione del primo full length che, vista la buona qualità della musica prodotta in questi cinque brani, alza non poco le aspettative di chi segue le sorti del metal underground.
The Scarlet Procession mette in evidenza un approccio alla materia che si discosta non poco dalle solite opere symphonic gothic, il sound mantiene un’atmosfera brutale, sempre in bilico tra il black ed il death, le parti orchestrali riempiono di raffinata ed oscura eleganza gli assalti sonori, dove un’ottima sezione ritmica (Luca Felet al basso e Alessandro Padovan alle pelli) aggredisce con veloci sfuriate black e cadenzate ma potenti ritmiche death, mentre gli strumenti classici disegnano armonie dal sapore gotico molto affascinati.
Drammatico ed oscuro, il mood del disco è poi valorizzato da un ottimo uso delle voci, così che screaming, parti pulite e voce femminile dal taglio operistico ma molto personale (Francesca Eliana Rigato), si scambino il palcoscenico evidenziando la personalità di una band navigata.
Le chitarre giocano con il death metal melodico (Giovanni Perin e Nicola Trentin), mentre la produzione perfetta aggiunge valore all’ascolto di piccoli gioielli estremi come l’opener The Tempest Legacy e In the Midst of Ocean’s Infinity, song strutturata su continui cambi di tempo, tra l’irruenza death metal, e parti più pacate e classiche.
Stupenda A Mirage of Hanging Moon, il sunto del sound proposto dal gruppo, una tempesta metallica dove bellissimi accordi pianistici, interrompono la devastante furia del black/death e solos melodici portano le note dei nostri a posarsi su lidi scandinavi, mentre la conclusiva Celestial Breed, Treacherous Blood, ci presenta il lato più sinfonico e magniloquente dei Crafter Of Gods.
Ho trovato questo lavoro molto ben fatto e a suo modo originale, la band non ha paura di estremizzare la propria proposta ed è brava a raffinarla con gli elementi classici, donando al proprio sound caratteristiche che pescano da gruppi molto diversi tra loro come Epica, Dark Tranquillity e Dark Lunacy.
Ascoltatelo e vi metterete, come me, in trepidante attesa del prossimo full length, ne sono certo.

TRACKLIST
1.The Tempest Legacy
2. In the Midst of Ocean’s Infinity
3. A Mirage of Hanging Moon
4. In Silence of Death We March
5. Celestial Breed, Treacherous Blood

LINE-UP
Giovanni Perin – Guitar, Vocals, Keys
Nicola Trentin – Guitar, Vocals, Keys
Luca Felet – Bass
Alessandro Padovan – Drums

CRAFTER OG GODS – Facebook

Darkend – The Canticle Of Shadows

Farvi trascinare in un mondo circondato dall’orrore e dalla deviata spiritualità di questo enorme caleidoscopio musicale di malvagità unica, è un’esperienza che dovete assolutamente vivere se siete amanti del metal più estremo e dalle reminiscenze sinfonico orchestrali.

Una band immensa, un sound apocalittico che, pur basandosi sulle estreme note del black metal, si contorna di sinfonie, cori monastici, il tutto con una spiccata predisposizione teatrale.

Un esempio concreto e quanto mai sublime di come la scena nostrana sia cresciuta in modo esponenziale, andando oltre le più rosee aspettative, regalando monumenti di musica concettualmente estrema e profonda.
I Darkend non sono una sorpresa, il loro precedente lavoro Grand Guignol-Book I aveva fatto gridare al miracolo, questa volta perpetuato dalle forze del male, più di un addetto ai lavori e questo fenomenale ultimo parto, conferma il talento estremo del gruppo emiliano.
Symphonic black metal, per lasciarvi un’ indicazione di massima, ma qui si va oltre il già sentito, per la ricchezza di clamorose partiture estreme per fermarsi ad inutili categorizzazioni o paragoni con altre realtà: d’altronde, quando il sax crimsoniano prende il comando di A Precipice Towards Abyssal Caves (Inmost Chasm, I), non potrete che inchinarvi a cotanta genialità.
Allora un passo indietro, tanto lo so che molti, occupati a svuotare il portafogli all’uscita dell’ultimo patetico album della solita band glorificata dalle riviste di settore più cool, non conosceranno questo eccezionale combo, che vede la sua nascita una decina di anni fa, nelle pianure padane di un’Emilia lontana da lambrusco e pop corn e più vicina al signore oscuro.
Due full length all’attivo, prima di questo capolavoro: Assassine del 2010 e, appunto, Grand Guignol-Book I, uscito quattro anni fa; il gruppo si compone di cinque elementi con a capo il singer Animae superbo cantore di questo devastante girone infernale tradotto in musica.
Musica demoniaca, sinfonica e sublime, perché il male è oltremodo affascinante, ipnotizza ed ammalia, senza lasciare scampo a chi vi si avvicina senza le dovute precauzioni.
Citare ogni capitolo di questa opera oscura e magniloquente è quanto meno un’impresa, mentre invitarvi a fare vostra la glaciale perfezione della terrificante Il Velo Delle Ombre è quantomeno un’obbligo da parte del sottoscritto.
Farvi trascinare in un mondo circondato dall’orrore e dalla deviata spiritualità di questo enorme caleidoscopio musicale di malvagità unica, è un’esperienza che dovete assolutamente vivere se siete amanti del metal più estremo e dalle reminiscenze sinfonico orchestrali.
Cosa hanno di diverso i Darkend rispetto ad una qualsiasi altra band straniera? Proprio quello che fa arricciare il naso a molti, il fatto di essere italiani e di esibire tematiche occulte profondamente radicate nel loro DNA.
Dimenticavo: al disco hanno collaborato Attila Csihar (Mayhem), Niklas Kvarforth (Shining), Sakis Tolis (Rotting Christ) e Labes C. Necrothytus (Abysmal Grief), serve altro?
Devo tornare indietro di un bel po’ di anni, fino all’uscita di In The Nightside Eclipse degli Emperor, per ricordare d’aver provato qualcosa di simile ascoltando black metal, non aggiungo altro.

TRACKLIST
1. Clavicula Salomonis
2. Of the Defunct
3. A Precipice Towards Abyssal Caves (Inmost Chasm, I)
4. Il velo delle ombre
5. A Passage Through Abysmal Caverns (Inmost Chasm, II)
6. Sealed in Black Moon and Saturn
7. Congressus cum Dæmone
8. Inno alla stagione dell’inverno

LINE-UP
Valentz – Drums
Animæ – Vocals
Specter – Bass
Ashes – Guitars
Nothingness – Guitars

DARKEND – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Depicting Abysm – Passage

Passage è un album che sicuramente comunica un senso di algida alienazione e, se questo era l’intento dei due ragazzi San Pietroburgo, l’obiettivo viene sicuramente raggiunto, permane però sullo sfondo una certa monotonia provocata da un incedere senza particolari strappi.

I russi Depicting Abysm, duo dedito ad un atmospheric depressive black, pubblicano il loro secondo full length intitolato Passage.

Al netto di una esecuzione pregevole e di una produzione buona per gli standard abituali del genere, va detto che nell’album latitano quegli spunti emotivi che sarebbe lecito attendersi con maggiore continuità in una proposta simile. I ritmi sono costanti, così come le melodie tenui ma non troppo incisive, che creano un sottofondo senza sobbalzi allo screaming disperato di matrice DSBM e a clean vocals per lo più recitate
Anche il doom entra nel novero delle influenze mostrate dai Depicting Abysm, specie nelle parti iniziali di alcuni brani, laddove l’incedere si fa più soffocante.
L’opener Shelter è sicuramente un buon brano, resta il fatto che la formula si ripete poi per oltre mezz’ora salvo le impennate finali di Gathering, in cui un violino fornisce quella variabile lungamente attesa, e di Unity, in cui un dolente chitarrismo di matrice doom, regala il picco di drammaticità dell’album.
Passage è un album che sicuramente comunica un senso di sottile afflizione e, se questo era l’intento dei due ragazzi di San Pietroburgo, l’obiettivo viene sicuramente raggiunto, permane però sullo sfondo una certa monotonia provocata da un incedere senza particolari strappi.

Tracklist:
1.Shelter
2.Shadow
3.Disbelief
4.Gathering
5.Unity

Line-up:
A. – All instruments, Programming
K. – Vocals

DEPICTING ABYSM – Facebook

Lanthanein – Nocturnalgica

I Lanthanein conquistano per l’approccio sinfonico, ma dalle ritmiche chi si allontanano dalle sonorità più in voga ultimamente, per esplorare lidi più dark oriented e doom.

Poche informazioni ma grande musica gli argentini Lanthanein, duo che con un po’ di ritardo giunge a noi con questo ep dal titolo Nocturnalgica.

Marili Portorrico (voce, arrangiamenti e programming) e Juan Mansilla (voce, chitarre, basso e programming) licenziano questi oscuri ed affascinanti venti minuti circa di musica gotica, sinfonica, operistica e dalle reminiscenze doom/dark, giocando con l’anima malinconica e decadente del metal con eleganza e talento.
Alternando l’idioma inglese alla lingua madre, il gruppo sudamericano conquista subito per l’approccio sinfonico, ma dalle ritmiche chi si allontanano dalle sonorità piu in voga ultimamente, per esplorare lidi più dark oriented e doom.
Molto raffinato, il songwriting è valorizzato da un’ottima interpretazione vocale, classica ma molto suggestiva, specialmente nei brani (A Orillas Del Silencio) dove la vocalist fa sfoggio della sua lingua, il che regala raffinatezza alle già eleganti trame orchestrali, oscure e pregne di un’elegante melanconia.
Un accenno metallico di stampo black rimane confinato al solo inizio della pur ottima title track, mentre Marili Portorrico ammalia e affascina non poco con la sua bellissima voce.
Siamo nei dintorni del doom gotico di metà anni novanta, la pesantezza dei ritmi lenti e cadenzati vanno a braccetto con orchestrazioni raffinate, delicate ed oscure.
L’atmosfera è magicamente dark, il piano disegna accordi classici, le sinfonie non sono mai troppo invadenti e la voce maschile, quando accompagna la sontuosa prova della singer, lo fa senza estremizzare troppo l’aura gotico orchestrale delle songs (Lacrimosa Et Gementem).
Quattro brani da ascoltare per una band da seguire nei suoi prossimi passi che potrebbero regalare grosse soddisfazioni, sia ai Lanthanein, sia alle anime notturne sempre alla ricerca di nuove colonne sonore per paesaggi crepuscolari.

TRACKLIST
01.Lágrimas De Luna
02.Nocturnálgica
03.A Orillas Del Silencio
04.Lacrimosa Et Gementem

LINE-UP
Marili Portorrico – Vocals, Choir, Arrangements, Programming
Juan Mansilla – Vocals, Guitar, Bass, Programming

LANTHANEIN – Facebook

Convulse – Cycle Of Revenge

Veterani della scena death metal finlandese, i Convulse non hanno avuto una storia facile e lineare, a partire dal debutto del 1991 World Without God, che li ha portati ben presto nel novero delle miglior band del genere.

Ai Convulse però ciò non bastava, dato che nel secondo album del 1994, Reflections, il death metal veniva accompagnato da fughe rock and roll, tanto da essere etichettati appunto come un gruppo death and roll. Ma c’è molto di più nelle musica di questo gruppo e lo possiamo ascoltare proprio in questo disco. La Svart Records li pubblica dal loro terzo disco del 2013, Evil Prevails, un’opera marcatamente death metal. Con questo quarto disco i finlandesi ampliano maggiormente i loro orizzonti ed arrivano a proporre un genere tutto loro, dove il death è la base ma si va lontanissimi, passando ora dal prog ora addirittura da cose più gothic. La voce rimane spiccatamente death, ma il resto dell’impianto è vario e caleidoscopico, addirittura psichedelico. Chi ascolta i dischi della Svart Records ovviamente non ama l’ovvio, e quindi eccoci serviti delle fantastiche escursioni nel mondo metal tutto.
Ci sono molte cose dentro questo disco, e gli stessi Convulse ci hanno creduto molto, dato che hanno impiegato molti mesi per scriverlo. Sta a voi pubblico giudicare questo disco, ascoltatelo e ragionate con la vostra testa, non con generi, tags od altro.

TRACKLIST
1.Cycle Of Revenge
2.God Is You
3.Pangaea
4.Fractured Pieces
5.Nature Of Humankind
6.Ever Flowing Stream
7.War
8.Into The Void

LINE-UP
Rami Jämsä – Guitar, Vocals.
Juha Telenius – Bass.
Rolle Markos – Drums.

CONVULSE – Facebook

Curse / Styggelse / WAN – Necroholic

Tre band per una quarantina di minuti non sono male per il fan che non si accontenta dei soliti nomi, per cui l’ascolto è consigliato, con un’attenzione particolare ai tre brani degli Styggelse, davvero molto bravi.

Buon split a cura della Satanath Records che, in un sol colpo, ci presenta tre band black metal, una proveniente dall’Islanda (Curse) e le altre due dalla Svezia ( Styggelse e Wan).

Si parte con i quattro brani degli islandesi Curse, duo nato sul finire degli anni ottanta e dalla nutrita discografia, composta da una manciata di lavori minori e tre full length; il loro sound risulta un marcissimo black metal, influenzato dal rock’n’roll di matrice motorheadiana, tra testi anticristiani e mitologia nordica.
Ritmiche velocissime e voce cartavetrata, che tanto devono alla band di Lemmy come ai Darkthrone, l’impatto è all’altezza e sui brani composti per l’occasione, spicca la cover di Ace Of Spades, storico pezzo del gruppo britannico.
Si vola in Svezia dove ci aspettano gli Styggelse, fondati all’inizio del nuovo millenni e anch’essi con un produzione già interessante, anche se il gruppo di Goteborg risulta ancor più compatto e devastante, grazie ad una produzione più consona, alla miglior amalgama tra il black metal e la musica del diavolo e tre asce che crivellano di colpi black le teste degli ascoltatori. Le ritmiche da armageddon formano un sound da tregenda che valorizza i tre brani presentati: Angel Bloodshed, Stay True To Satan For Eternity, No Team in I, pochi rispetto alla qualità della loro musica estrema, che risulta la migliore del lotto.
Le noti dolenti arrivano in parte con gli Wan, anch’essi svedesi, con alle spalle due lavori sulla lunga distanza ed un approccio più puro ed old school al genere.
Purtroppo la produzione è deficitaria e l’approccio è assolutamente obsoleto: satanici, oscuri e maligni, i Wan lasciano molto per strada, il loro sound è quanto di più scarno ed essenziale si possa concepire nel genere, ma anche atmosfericamente non alcun ricordo all’ascoltatore guastando non poco il clima di devastante divertimento che le due band, prima di loro, erano riuscite a creare con la loro musica.
Necroholic rimane una proposta interessante, e tre band per una quarantina di minuti non sono male per il fan che non si accontenta dei soliti nomi, per cui l’ascolto è consigliato, con un’attenzione particolare ai tre brani degli Styggelse, davvero molto bravi.

TRACKLIST
1. Curse – Exploding Head
2. Curse – The Observer
3. Curse – War of One
4. Curse – Ace of Spades (Motörhead cover)
5. Styggelse – Angel Bloodshed
6. Styggelse – Stay True To Satan For Eternity
7. Styggelse – No Team in I
8. WAN – In Your Face
9. WAN – Dirty Bastards
10. WAN – I brand
11. WAN – På korset vi kräks
12. WAN – Faun

LINE-UP
Curse
Einar “Eldur” Thorberg – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards
D. Theobald – Drums

Styggelse
Skadeglade – Drums
Larsson – Guitars, Vocals
Kallbrand – Guitars, Vocals (backing)
Desekrator – Guitars
Kenneth Thunderbolt – Bass

Wan
Isengrim-Bass
Aganaroth – Guitars
Tsjud – Vocals
Draup – Drums

CURSE – Facebook

STYGGELSE – Facebook

WAN – Facebook

Altarage – Nihil

Nihil è un disco densissimo ed originale che tira le fila di un certo movimento blackened che sta crescendo molto negli ultimi tempi, ma che non sempre è di qualità come in questo caso.

Lp per questi baschi che suonano un death metal fortemente influenzato dal black e dall’hardcore maleficamente mutato.

Non si conoscono i nomi dei musicisti coinvolti in questo misfatto sonoro, si sa solo che sono veterani della scena underground. Fatto sta che riescono a creare un magma che sembra immoto ma che in realtà si muove molto velocemente verso di noi e non è prevista al salvezza. Ci sono anche elementi di hardcore e metalcore dentro questo maleficio messo in musica. La furia e la rabbia tipici di chiunque faccia metal qui raggiungono un nuovo livello, con un certo lo fi che è funzionale al conseguimento del risultato. Nihil è un disco densissimo ed originale che tira le fila di un certo movimento blackened che sta crescendo molto negli ultimi tempi, ma che non sempre è di qualità come in questo caso.
Ci sono momenti di saturazione e tensione estrema in questo disco, e proprio quei momenti vorresti non finissero mai. Un suono nuovo per vecchie oscurità. Notevole.

TRACKLIST
1.Drevicet
2.Womborous
3.Graehence
4.Baptism Nihl
5.Vortex Pyramid
6.Batherex
7.Altars
8.Cultus

ALTARAGE – Facebook

October Tide – Winged Waltz

Pur in presenza di una serie di canzoni ineccepibili formalmente e dotate di notevoli spunti, il disco si adegua ad un andamento che, se non delude, neppure ricrea il pathos raggiunto con lo splendido brano d’apertura.

Gli October Tide, quando mossero i loro primi passi alla fine del secolo scorso, attirarono su di loro una certa attenzione essendo di fatto una sorta di costola death doom dei ben più noti Katatonia, grazie alla presenza in formazione di Fredrik Norrman e di Jonas Renkse.

Peraltro la bontà di lavori come Rain Without End, uscito subito dopo Brave Murder Day, anche se la sua genesi va fatta risalire a qualche anno prima, e Grey Dawn, che arrivò invece subito dopo la coppia di capolavori Discouraged Ones e Tonigth’s Decision , giustificò ampiamente l’attenzione loro riservata da appassionati e addetti al lavori.
Dopo diversi anni di oblio Fredrik Norrman, successivamente alla sua uscita dai Katatonia, decise di ridare nuovo impulso alla band riportandola agli onori della cronaca con due lavori che videro la luce all’inizio di questo decennio, A Thin Shell e l’ottimo Tunnel Of No Light
Questo Winged Waltz, quindi, veniva atteso come una sorta di spartiacque in grado di stabilire quale fosse l’attuale status degli October Tide, ma la risposta a tale quesito credo debba essere rinviata alla prossima occasione: la band, infatti, spara subito la propria cartuccia migliore, Swarm, brano coinvolgente e dalla qualità che non a tutti è concesso raggiungere, ma poi, pur in presenza di una serie di canzoni ineccepibili formalmente e dotate di notevoli spunti, il disco si adegua ad un andamento che, se non delude, neppure ricrea il pathos raggiunto con l’opener.
Ciò che lascia perplessi, negli October Tide, è che solo a tratti riescono e trasmettere le emozioni che chi ascolta questo genere si attende, tanto più quando ad essere coinvolto è, come in questo caso, un musicista come Norrman, oggettivamente di levatura superiore alla media e con alle spalle una storia così importante.
Detto questo, affermare che Winged Waltz non sia un buon disco sarebbe quasi disonesto intellettualmente, perché di rado è dato ascoltare musica così ben eseguita e prodotta, ma qui la tensione drammatica si palesa in maniera troppo intermittente, compressa tra un incedere per lo più ritmato e talvolta relativamente catchy (A Question Ignite) e qualche limpida apertura chitarristica il cui afflato melodico non viene poi sfruttato come si potrebbe.
Alexander Högbom alla voce conferma le buoni impressioni destate in Tunnel Of No Light, Fredrik Norrman è chitarrista sopraffino, ben coadiuvato da Emil Alstermark , dal fratello Mattias al basso e da Jocke Wallgren alla batteria, ma resta il fatto che, oltre alla già citata Swarm ed alla “katatonica” Lost in Rapture, gli October Tide non riescono ad infondere le suggestioni emotive con la continuità che sarebbe lecito attendersi.
Ma forse sono io ad essere troppo esigente nei confronti di un musicista come Norrman, al quale posso essere solo grato per essere stato partecipe di alcuni dischi che hanno fatto la storia; probabilmente chi si porrà nei confronti di Winged Waltz con diverse aspettative potrebbe restare, invece, oltremodo soddisfatto.

Tracklist:
1. Swarm
2. Sleepless Sun
3. Reckless Abandon
4. A Question Ignite
5. Nursed by the Cold
6. Lost in Rapture
7. Perilous
8. Coffins of November

Line-up:
Alexander Högbom – vocals
Fredrik Norrman – guitars
Mattias Norrman – bass
Emil Alstermark – guitars
Jocke Wallgren – drums

OCTOBER TIDE – Facebook

Blackwood – As the world rots away

Elettronica e noise, rumori e silenzi in negativo, riverberi maledetti e tanto altro, quello dei Blackwood è un disco importante, intimo e allo stesso tempo catartico e malevolo dannatore.

Odio, fastidio, dolore, paura, non adatto, inabile, coltelli sulla gola, fitte dietro il cuore.

Suoni e rumori instabili, graffianti e pesantemente e diversamente vivi, ecco a voi anime belle il debutto dei Blackwood su Subsound Records . Tutto ciò è opera del cervello e del corpo di un uomo solo, Eraldo Bernocchi, sperimentatore ed agitatore sonoro da tanto tempo in corsa verso le nostre orecchie. Dal drone, all’industrial, da cose in quota Sunn O))) ad altre prettamente ansiogene, questo disco ha un raggio d’azione ampissimo ma è claustrofobico come una panic room economica. Si rimane rasenti al suolo, per evitare i demoni interiori che Bernocchi ci e si scatena contro. Il suono è pesante, intermittente e curatissimo, una presa di posizione geometrica contro il nulla che ci avviluppa, la colonna sonora dei nostri fallimenti e dei nostri ancora più miseri tentativi. Elettronica e noise, rumori e silenzi in negativo, riverberi maledetti e tanto altro, As the world rots away è un disco importante, intimo e allo stesso tempo catartico e malevole dannatore. Davvero un debutto incredibile per una nuova avventura di un musicista che ha tanto da dire.

TRACKLIST
1.Breaking God’ Spine
2.Santissima Muerte
3.Sodom
4.Purtridarium
5.Vulture
6.Unrecoverable Mistakes

LINE-UP
Eraldo Bernocchi: electronics, guitars.
Jacopo Pierazzuoli: live drummer.

BLACKWOOD – Facebook

Snake Tongue – Raptor’s Breath

Hardcore e metal sono uniti in questi nove brani esplosivi, dall’ottimo impatto, un vero attacco frontale prodotto benissimo, dalle ritmiche folli, violento come una burrasca nel Mare del Nord

I paesi scandinavi, maestri in molti dei generi che formano la grande famiglia metallica, hanno nell’underground una fiorente scena punk/hardcore, balzata agli onori già da molti anni, ma soffocata dalle più conosciute realtà death, black e power.

Nulla di male, ma è altresì vero che i gruppi dediti al genere sono molti, ed alcuni meritevoli d’attenzione, in fondo sempre di musica estrema si tratta, parente di quel genere ribelle ed anticonformista che è il grindcore e che, a sua volta spesso si ritrova a bere un bicchiere con il buon vecchio death metal.
Gli Snake Tongue sono un gruppo svedese, al debutto con questa mezz’ora di hardcore metal, mixata da Kurt Ballou dei Converge dal titolo Raptor’s Breath.
Il loro sound si ispira alla scena statunitense, anche se i richiami al metal estremo della loro terra non mancano, così come qualche rallentamento al limite dello sludge.
L’assalto sonoro portato dal gruppo è brutale e senza soluzione di continuità, con il singer Patrik che si danna l’anima, urlando e sbraitando senza sosta, mentre gli strumenti creano un devastante e potente muro sonoro, compatto, brutale e dalla forza disarmante.
Hardcore e metal sono uniti in questi nove brani esplosivi, dall’ottimo impatto, un vero attacco frontale prodotto benissimo, dalle ritmiche folli, violento come una burrasca nel Mare del Nord e compatto come il buio dell’oceano in una notte tempestosa.
Ottima padronanza degli strumenti e poca voglia di scherzare fanno di Raptor’s Breath un buon ascolto per gli amanti dell’hardcore che non disdegnano qualche sconfinamento nel metal estremo.
La formula non dispiace e l’album esce vario, colmo di cambi di ritmo, mentre l’atmosfera rimane da tregenda sonora, valorizzata da un sound che più in your face di così non si può.

TRACKLIST
1.Raptors Breath
2.In Stone
3.Post Mortem Spasms
4.Altar
5.Lashes
6.The Horror
7.Ghost Dance
8.Death Dance
9.The Narcissict

LINE-UP
Samuel – Drums
Niklas – Guitar
Martin – Bass & Vocals
Patrik – Vocals
Fredrik – Guitar

SNAKE TONGUE – Facebook

Eversin – Flagellum Dei

Un’uscita che conferma l’assoluta proposta senza compromessi degli Eversin, band unica nel panorama estremo nazionale ed assolutamente in grado di tenere testa ai gruppi stranieri, troppo spesso portati agli onori delle cronache metalliche nel nostro esterofilo paese.

Trinity: The Annihilation, un album violentissimo e disturbante, lontano dalle facili cavalcate care al thrash old school, o le moderne riminiscenze core delle nuove tendenze, aveva consentito al metal estremo tricolore di raggiungere uno dei propri apici.

Gli Eversin non si fermano e, per tenere ben accesa la fiamma estrema che li contraddistingue, immettono sul mercato questo singolo contenente quattro brani, confermando la voglia di bombardarci con il loro thrash metal tra Slayer, Testament, Forbidden e, questa volta Sepultura, sempre con il proprio marchio bene in mostra.
Si parte alla grande spinti a forza nel caos primordiale dell’opener di Trinity : The Annihilation, Flagellum Dei, brano che dà il nome al lavoro e che esplode come un’atomica, furiosa e devastante, un inferno nucleare dalle conseguenze fatali per la terra.
A seguire, Refuse/Resist, cover dello storico brano dei fratelli Cavalera, tratta dal monumento estremo Chaos AD, irrompe in tutto il suo fragore: la band ci mette del suo per far risultare l’impatto del brano ancora più violento (con le vocals rabbiose dell’ospite Mick Montaguti dei seminali Electrocution) cavandosela egregiamente e lasciando annichiliti per cotanto massacro sonoro.
For the Glory of Men MMXVI , riedizione della traccia presente nel secondo album Tears On The Face Of God, è un brano in pieno Slayer style, in cui il clima da tregenda apocalittica è meno accentuato a favore di un approccio più old school: qui gli Eversin si scontrano con un’icona del genere ed una delle loro ispirazioni principali senza perdere un grammo in impatto e pareggiando il conto con Araya e soci.
Flagellum Dei si chiude con il remix di We Will Prevail, uno dei brani cardine dello scorso album: freddo come un terminator che toglie l’ultimo respiro ai feriti sul campo di battaglia, si riveste di un’aura industrial ricordando i terrificanti Throne Of Molok, conterranei del gruppo siciliano.
Un’uscita che conferma l’assoluta proposta senza compromessi degli Eversin, band unica nel panorama estremo nazionale ed assolutamente in grado di tenere testa ai gruppi stranieri, troppo spesso i soli ad essere portati agli onori delle cronache metalliche nel nostro esterofilo paese.

TRACKLIST
1.Flagellum Dei
2.Refuse/Resist (Sepultura cover)
3.For the Glory of Men MMXVI
4.We Will Prevail (Electro-Industrial Remix)

LINE-UP
Angelo Ferrante-Lead Vocals
Ignazio Nicastro-Bass, Screaming And Growling Vocals
Giangabriele Lo Pilato-Lead And Rhythm Guitars
Danilo Ficicchia-Drums

Guest voice on track n. 2 by Mick Montaguti from ELECTROCUTION

EVERSIN – Facebook

childthemewp.com