Duir – Obsidio Ep

L’ep è un’ottima prova di un gruppo che sta crescendo e che sviluppa un notevole pathos, rendendo davvero partecipe l’ascoltatore e facendolo diventare ben presto un loro fan sfegatato.

I Duir sono un gruppo di folk black death che conferma il valore della scena folk metal italiana.

Si sono formati nel 2013 e hanno avuto diversi problemi di formazione, soprattutto per quanto riguarda il batterista, ma finalmente con l’ingresso del nuovo picchiatore di pelli sono andati avanti ed è un bene per chi ama certe sonorità. Fin dal nome Duir, che significa quercia, per le popolazioni celtiche un albero di grande importanza, i ragazzi veronesi hanno dato una forte impronta folk alla loro musica, ed inizialmente hanno cominciato ad affiancarlo al death metal, salvo poi introdurre una seconda chitarra e quindi avvicinarsi maggiormente al black metal attuale. Obsidio è un ottimo lavoro in bilico tra folk metal, viking, black e momenti epici. Il gruppo ha un potenziale davvero notevole e lo si sente in pieno ascoltando l’ep che è un degno successore di Tribe, anzi va molto oltre rispetto al predecessore, essendo una tappa importante della maturazione del gruppo. I Duir hanno un talento raro per i gruppi folk metal, ovvero quello di saper cambiare registro più volte all’interno della stessa canzone, dando una nuova interpretazione al tutto. Questo loro avvicinamento al black metal ha donato maggiore potenza ed incisività alle  canzoni, e ha anche accentuato il valore delle parti folk, che sono davvero notevoli. L’ep è un’ottima prova di un gruppo che sta crescendo e che sviluppa un notevole pathos, rendendo davvero partecipe l’ascoltatore e facendolo diventare ben presto un loro fan sfegatato. Ci sono passaggi molto belli, e nel complesso tutto il disco sprigiona un sentimento forte che difficilmente vi lascerà indifferenti.

Tracklist
1.Inconscio
2.Destarsi
3.Rise Your Fear
4.Dies Alliensis
5.Insomnia Seed
6.Obsidio

Line-up
Giovanni De Francesco : Voci
Mirko Albanese : Chitarra
Pietro Devincenzi : Basso
Thomas Zonato : Cornamusa Scozzese
Matteo Polinari: Batteria

DUIR – Facebook

Auri – Auri

Lontano dal metal sinfonico dei Nightwish e più vicino all’anima folk e tradizionale della sua terra, Holopainen mette il suo talento al servizio della splendida consorte, affascinante sirena di questo lavoro fuori dai soliti schemi.

L’aurora, quel momento magico delle giornata in cui le fiabe prendono vita e dove la suadente Johanna Kurkela è fata, musa ispiratrice del mondo conosciuto come Auri, ora è anche un album, registrato insieme al suo più famoso consorte Tuomas Holopainen, tastierista e anima dei Nightwish, e al fido Troy Donockley.

E’ nella magia dell’aurora che la musica del trio prende vita e ad accompagnarci tra le note di questo raffinato lavoro c’è la voce incantevole della cantante, davvero sorprendente nella sua eleganza.
Più semplicemente Auri è ispirato dalla protagonista dei libri di Patrick Rothfuss, in una danza folk che ci accompagna per quasi un’ora di ispirazione celtiche, con la musica a risvegliare un villaggio in un’imprecisata regione a nord dei mari conosciuti.
Una magia valorizzata dalle corde che vibrano sotto le dita di Donockley, protagonista con una miriade di strumenti, dalla viola suonata dalla Kurkela e dai tasti d’avorio, mai cosi delicati e a tratti onirici, all’ombra dei quali la cantante trova riparo per la sua raffinata tonalità.
Un lavoro che si specchia nella tradizione finlandese, un sorprendente mondo fatato in cui leggende millenarie prendono vita, tra le note di The Space Between, Night 19, la splendida The Name Of The Wind e lo strumentale dal piglio cinematografico Savant.
Lontano dal metal sinfonico dei Nightwish e più vicino all’anima folk e tradizionale della sua terra, Holopainen mette il suo talento al servizio della splendida consorte, affascinante sirena di questo lavoro fuori dai soliti schemi.
Auri è un album non per tutti, ma sicuramente in grado di trasmettere emozioni sopite nel tempo, mentre la notte lascia spazio all’aurora e il delicato canto della splendida Johanna Kurkela torna a procurare brividi come la brezza mattutina.

Tracklist
1. The Space Between
2.I Hope Your World is Kind
3. Skeleton Tree
4. Desert Flower
5. Night 13
6. See
7. The Name of The Wind
8. Aphrodite Rising
9. Savant
10. Underthing Solstice
11. Them Thar Chanterelles (feat Liquor in the Well)

Line-up
Johanna Kurkela – Voices & viola
Tuomas Holopainen – Keys & backing voices
Troy Donockley – Acoustic and electric guitars, bouzouki, uilleann pipes, low whistles, aerophone, bodhran, keys, voices

AURI – Facebook

Tezza F. – A Shelter From Existence

L’album è vario, non stanca e ci riporta per un’ora nel clima classico e fiero del genere suonato una ventina d’anni fa dai primi Rhapsody, Gamma Ray, Blind Guardian ed Edguy.

Power metal melodico e sinfonico il giusto, epicissimo e che non rinuncia a correre veloce e potente, sullo stile delle uscite che infiammarono i cuori del true defenders di metà anni novanta.

Questo è più o meno il sunto dell’ottima proposta di Filippo Tezza, cantante dei Chronosfear e bassista-cantante degli Empathica, giunto al secondo lavoro del suo progetto solista, attivo dal 2006 e firmato Tezza F.: A Shelter From Existence segue di sei anni il primo album autoprodotto, The Message (…A Story Of Agony, Hope and Faith…) che gli valse la firma con Heart Of Steel Record.
Aiutato da Michele Olmi (Chronosfear, SpellBlast) alla batteria e da Davide Baldelli (Chronosfear), alle tastiere su tre brani,  il polistrumentista e songwriter nostrano dà vita ad un ottimo album incentrato su sonorità classiche, dalle varie impostazioni vocali che sconfinano nello scream di stampo black metal e dove non mancano parti cantante in italiano.
Epico, composto da brani medio lunghi ma non prolissi e piacevoli nella loro fluidità, A Shelter From Existence si rivela un lavoro riuscito, fresco e ben fatto, anche se ovviamente ispirazioni ed influenze sono chiare nel loro seguire i trademark del power metal melodico.
L’album è vario, non stanca e ci riporta per un’ora nel clima classico e fiero del genere suonato una ventina d’anni fa dai primi Rhapsody, Gamma Ray, Blind Guardian ed Edguy.
Tezza dimostra di saperci fare, confezionando un piccolo gioiello classico e lo valorizza con la bellissima suite Of Life And Death Opera, quindici minuti che riassumono in maniera impeccabile il credo musicale del progetto, tra orchestrazioni, ripartenze fulminee, mid tempo epici e tutto quello che gli amanti di queste sonorità vogliono trovare all’ascolto di un’opera del genere.
A Shelter From Existence risulta così una gradita sorpresa e un altro passo assolutamente riuscito per il musicista veronese.

Tracklist
01. The Dawn of Deliverance – intro
02. Nailed to My Dreams
03. A New Dimension
04. Gates To Worlds Unknown
05. Gleams Of Glory
06. Across The Sky
07. The Shelter
08. Rise and Fall
09. Of Life and Death Opera

Line-up
Filippo Tezza – all vocals, all instruments, programming, compositions, lyrics
Michele Olmi – Drums
Davide Baldelli – Keyboards (2,5, 6)

TEZZA F. – Facebook

Moloch – The Other Side

The Other Side è un lavoro conciso ed efficace, in grado di offrire una mezz’oretta di musica fuori dai consueti schemi, composto da un musicista di sicuro spessore la cui bravura merita d’essere esportata anche al di fuori dei confini polacchi e degli steccati di genere.

The Other Side è il nuovo ep di questa interessante entità dedita ad un dark elettronico con diverse sfumature metal, guidata dal musicista polacco Fabian Filiks.

I sei brani offerti possiedono un ritmo incalzante che fornisce la base ad un lavoro melodico sempre in primo piano: l’elettronica di Moloch è abbastanza “rumorosa”, nel senso che non mostra esclusivamente il proprio lato più algido e robotico, rivelandosi in tal senso un possibile approdo per gli appassionati di metal che non disdegnano le derivazioni del genere sul versante dungeon synth, e neppure band come i Goblin.
In effetti, un certo sentore orrorifico può anche riportare istintivamente dalle parti dei seminali autori di colonne sonore horror per eccellenza (The End), andandosi a combinare con le ritmiche geometriche del kraut rock (i Kraftwerk si palesano manifestamente in diversi momenti nella splendida A Dream of Death).
Nel complesso The Other Side è un lavoro conciso ed efficace, in grado di offrire una mezz’oretta di musica fuori dai consueti schemi, composto da un musicista di sicuro spessore la cui bravura merita d’essere esportata anche al di fuori dei confini polacchi e degli steccati di genere.

Tracklist:
1.The Other Side
2. Escape From The Nameless City
3. F.E.A.R.
4. I Am Moloch
5. A Dream of Death
6. The End MOLOCH

Line-up:
Fabian Filiks

MOLOCH – Facebook

NEREIS

Il lyric video di Two Wolves, dall’album Turning Point in uscita a giugno (Eclipse Records).

Il lyric video di Two Wolves, dall’album Turning Point in uscita a giugno (Eclipse Records).

NEREIS pay homage to Native Americans with new Two Wolves music video

New full-length album Turning Point out June 8, 2018

NEREIS have revealed a new single and video for their song ‘Two Wolves’. This is the second video from their upcoming full-length album entitled Turning Point due out on June 8, 2018 via Eclipse Records. The video was directed by Maurizio Del Piccolo, utilizing imagery created by artist Claudio Calefato. Watch the video at this location, and hear the single via Spotify or Apple Music today!

“Two Wolves is a Cherokee native American legend which illustrates the central internal struggle of humanity” says vocalist Andrea Barchiesi. “In this legend, a tribal elder is teaching his grandson about life. He explains that there is a battle between two spirit wolves going on inside each of us. One is evil, and the other good. The first represents anger, greed, arrogance, and self-pity. The second represents peace, love, humility, and kindness.” Guitarist Samuel Fabrello continues. “The grandson thinks about this for a few minutes, then asks which will win? His grandfather replies that the wolf you feed will win.”

Turning Point features twelve hard-rocking songs that take the listener on an all-out aural adventure, ranging from blistering alternative metal to mellow power-rock, and everything in between. The album was produced by Mauro Andreolli at das Ende der Dinge, and the album art was designed by Daniel Hofer of Archetype Design. The band has also released a music video for their previous single, ‘Breaking Bad’ which may be watched at this location.

Pre-order the full album on iTunes, Amazon, Google Play, or CD, and stream the singles via Spotify, Apple Music, Deezer, Pandora, iHeart Radio, and more at http://eclp.se/rtrnn

For more information on Nereis, please visit them on Facebook, Twitter, or Eclipse Records.

Nereis Discography
Turning Point (LP) – 2018
From the Ashes (EP) – 2014
Burnin’ Game (demo) – 2012

Nereis Lineup
Andrea Barchiesi (lead vocals), Mattia Pessina (guitar), Samuel Fabrello (guitar), Gianluca Nadalini (bass), Davide Odorizzi (drums)

Deny – Parasite Paradise

I gruppi come i Deny sono fieramente underground e non fanno certamente musica per fare soldi, ma sono anzi delle persone che vogliono comunicare qualcosa, per cui se sono tornati è perché hanno qualcosa da dire.

Primo disco dal duemila per questi protagonisti dalle scena svedese crust hardcore punk dal 1995 al 2000.

I Deny tornano con un ep di otto canzoni molto veloci e potenti, ben bilanciate fra il crust e l’hardcore. Il loro stile risente molto della vecchia scuola scandinava di quei generi, ma non c’è solo questo. I Deny con Parasite Paradise fanno capire perché all’epoca erano uno dei gruppi più interessanti. In queste otto tracce non troverete momenti stanchi o pesanti, ma solo cavalcate della giusta lunghezza, composte in maniera da poter esprimere la massima potenza anche dal vivo. Parasite Paradise è inoltre un nuovo inizio per loro, dato che sarà solo uno dei nuovi lavori che pubblicheranno nel 2018, e la loro etichetta Cramada ristamperà inoltre per via digitale il vecchio materiale, che è davvero molto valido. Il ritorno del gruppo svedese conferma una tendenza che fortunatamente era già nell’aria da tempo, ovvero l’aumentare di gruppi nuovi o il ritorno dei vecchi nella scena crust hardcore, che ultimamente non aveva vissuto anni brillanti, mentre invece ora sta vedendo di nuovo la luce. I gruppi come i Deny sono fieramente underground e non fanno certamente musica per fare soldi, ma sono anzi delle persone che vogliono comunicare qualcosa, per cui se sono tornati è perché hanno qualcosa da dire.
Aumenta la crisi, aumenta il crust.

04TRACKLIST
1. Inbred Insanity
2. Make It Great
3. Bring Me Down
4. Victims
5. Resisting Hard
6. Denied
7. What I Deserve
8. You Feed My Hate

LINE-UP
Bjuren – Vocals
Tobbe – Guitar
Jonsson – Guitar
Martin – Bass
Arvid – Drums

DENY – Facebook

Hellretic – Lights Out

Sono solo quindici minuti, ma tanto basta agli Hellretic per entrare nelle grazie degli amanti del metal estremo di stampo thrash/death.

Sono solo quindici minuti, ma tanto basta agli Hellretic per entrare nelle grazie degli amanti del metal estremo di stampo thrash/death.

La band romana, attiva dal 2014, è nata dalle ceneri degli Opium Populi e ha subito qualche avvicendamento nella line up, prima di firmare per la Hellbones Records che licenzia Lights Out, ep di quattro tracce più intro di death/thrash metal potente e feroce, pregno di maligni mid tempo e ripartenze devastanti.
Il quintetto ci presenta quattro brani, altrettante mazzate estreme che raccontano tematiche horror dall’impalcatura  death metal e thrash slayerano, in un turbine di violenza ed atmosfere putride;  il growl di Demetrio è brutale e malato, le chitarre soffrono torturate da Piero e Lorenzo, mentre la sezione ritmica martella senza pietà i crani degli ascoltatori sotto i colpi inferti dal basso di Simone e la batteria di Andrea.
Dopo l’intro,Three Evil Mothers ci presenta un sound compatto e diabolico, un concentrato di cattiveria ispirato anche dai Necrodeath ed accentuato nella title track e soprattutto nella letale Evil Dead, brano ispirato dal film di Sam Raimi.
Buon inizio, dunque, per questa realtà estrema in arrivo dalla capitale: se il buon giorno si vede dal mattino seguitela con noi, ci sarà da divertirsi.

Tracklist
1. Intro (Ghosthouse)
2. Three Evil Mothers.
3. Lights Out
4. Devil’s Rejects
5. Evil Dead

Line-up
Demetrio – Growl Vocals
Piero – Guitar
Lorenzo – Guitar
Simone – Bass & Back Vocals
Andrea – Drums

HELLRETIC – Facebook

Evil Warriors – Fall From Reality

Certamente gli Evil Warriors non inventano nulla, ma svolgono al meglio il loro corrosivo compito, ben sorretti da una produzione adeguata, da idee sufficientemente chiare e da quello che volgarmente viene definito “tiro” che trova una sua concretizzazione in una tracklist di grande compattezza e priva di cali di tensione.

A sette anni dal primo full length tornano i tedeschi Evil Warriors con un nuovo album all’insegna di un ruvido e diretto black thrash.

In questa band di Lipsia troviamo due componenti degli Antlers, gruppo molto interessante del quale abbiamo parlato di recente, ma in Fall From Reality tutto si svolge in maniera ben differente, in quanto è evidente l’intento di spiattellare sulla faccia dell’ascoltatore un’interpretazione del metal estremo lontana da da sfumature atmosferiche, ma quanto mai essenziale e basata sull’impatto, o perlomeno, questo è ciò che resta alla fine dell’ascolto, al netto di alcuni passaggi che rendono efficacemente l’idea di come gli Evil Warriors siano molto più che biechi mazzuolatori.
I rallentamenti di Pillow Of Cold Water, l’incipit dissonante di Reincarnation che prelude ad una deflagrazione difficilmente contenibile e gli intermezzi rarefatti di Idleness and Doom, sono solo alcuni degli esempi di un’idea musicale ben più articolata di quanto possa a apparire ad un ascolto distratto.
Certamente gli Evil Warriors non inventano nulla, ma svolgono al meglio il loro corrosivo compito, ben sorretti da una produzione adeguata, da idee sufficientemente chiare e da quello che volgarmente viene definito “tiro” che trova una sua concretizzazione in una tracklist di grande compattezza e priva di cali di tensione.
Tanto basta per chi vuole godersi tre quarti d’ora di metal spigoloso, onesto ma vario, proprio per quegli spunti citati e disseminati nel corso del lavoro, a mio avviso senz’altro superiore a quelle uscite che spesso derubrichiamo alla voce “palla lunga e pedalare”; d’altro canto da una band che decide di chiamarsi Evil Warrios sarebbe stato improbabile ascoltare un qualcosa di sperimentale o innovativo e, sicuramente, la chiarezza d’intenti è uno degli aspetti che più convincono nell’operato di questo valido trio tedesco.

Tracklist:
1. Fall From Reality
2. Excess
3. Pillow Of Cold Water
4. Reincarnation
5. Idleness and Doom
6. Mania and Passion
7. Worthless Wretch
8. All The Stars

Line-up:
Alastor – Guitar
Beast – Guitar/Vocals
Exesor – Drums

EVIL WARRIORS – Facebook

Walls Of Babylon – A Portrait of Memories

Gli spettacolari arrangiamenti tastieristici legano i moltissimi particolari che emergono da un ascolto attento, accentuando la presa sull’ascoltatore, travolto dal turbinio di note con cui gli Walls Of Babylon esprimono il loro concetto di musica progressiva, che dal metal prende il carattere ed il piglio drammatico ricamato a tratti da ariose aperture melodiche.

La Revalve non si smentisce neppure questa volta, licenziando questo bellissimo album ad opera dei marchigiani Walls Of Babylon e centrando per l’ennesima volta il bersaglio.

A Portrait Of Memories è infatti un ottimo esempio di metallo progressivo, dalle atmosfere e sfumature cangianti, intimiste, tragiche e drammatiche, in perfetto equilibrio tra la tradizione heavy power statunitense e quella nord europea.
La band attiva dal 2012 e con un primo album autoprodotto (The Dark Embrace) riesce nella non facile impresa di creare un sound robusto, tecnico, ma melodico e progressivo, valorizzandolo con una serie break atmosferici in un contesto metallico che ricorda tanto gli Evergrey come i Queensryche, aggiungendo quel tocco tricolore (Vision Divine) che fa la differenza.
Il gruppo non manca di tecnica, con un cantante che interpreta le varie tracce con una personalità notevole, e presenta un lotto di canzoni che, nei loro intrecci progressivi, le fughe rabbiose e momenti che esplodono in fuochi d’artificio musicali, convince a più riprese in un genere che lascia poco spazio all’originalità e molto al talento compositivo.
Gli spettacolari arrangiamenti tastieristici legano i moltissimi particolari che emergono da un ascolto attento, accentuando la presa sull’ascoltatore, travolto dal turbinio di note con cui gli Walls Of Babylon esprimono il loro concetto di musica progressiva, che dal metal prende il carattere ed il piglio drammatico ricamato a tratti da ariose aperture melodiche.
Starving Soul, le splendide melodie di Let Me Try e l’irruenza delle rocciose Sacred Terror e Treason, sono un ottimo inizio per entrare nel mondo di questa notevole realtà nostrana, fatevi avanti senza timore, non ve ne pentirete.

Tracklist
01.Oblivion
02.Starving Soul
03.My Disguise
04.Burden
05.Forgotten Desires
06.Let Me Try
07.Sacred Terror
08.Sudden Demon
09.Treason
10.My Heaven

Line-up
Valerio Gaoni- Vocals
Fabiano Pietrini- Guitar
Francesco Pellegrini -Lead guitar
Matteo Carovana- Bass
Marco Barbarossa- Drums

WALLS OF BABYLON – Facebook

Bloodshot Dawn – Reanimation

Reanimation è in tutto e per tutto un nuovo inizio per i deathsters britannici, una fiumana di note che si rincorrono su uno spartito estremo che non perde mai il filo conduttore.

Quando la tecnica è messa al servizio del sound si alza la qualità del prodotto, è inevitabile in qualsiasi genere musicale si suoni, figuriamoci nel metal estremo dove ormai la valanga di progressive technical death metal band, che ci piove da tutte le parti, offre album che risultano un mero esercizio tecnico fine a sé stesso.

Gli inglesi Bloodshot Dawn invece abbinano una bravura tecnica elevata ad un sound che pesca tra la sottile linea che passa tra death metal classico, thrash moderno e death metal melodico.
La band è stata ricostruita dal chitarrista ed unico superstite della line up originale Josh McMorran , dopo un paio di full length tra il 2012 ed il 2014 e la firma per Hostile Media.
Ora la formazione dei Bloodshot Dawn vede, oltre a McMorran, Morgan Reid alla chitarra , James Stewart alle pelli e l’italiano Giacomo Gastaldi, aiutati in questo nuovo lavoro dalla partecipazione in veste di ospiti di Jeff Loomis (Arch Enemy, Nevermore), Paul Wardingham, Ken Sorceron (Abigail Williams, The Faceless) e Mendel Bij De Leij (Aborted).
Reanimation è in tutto e per tutto un nuovo inizio per i deathsters britannici, una fiumana di note che si rincorrono su uno spartito estremo che non perde mai il filo conduttore di brani che passano con disinvoltura da parti violentissime ad una spiccata ricerca della melodia, piazzata tra ghirigori solistici dei due axeman e ritmiche che si prendono carico della struttura di brani vari e sempre in bilico tra melodia e violenza.
L’opener Seared Earth, Soul Affliction e la brutalmente progressiva Battle For The Omniverse vi faranno sussultare sulla poltrona, mentre Carcass e Arch Enemy li ritroverete sballottati da questa fantascientifica centrifuga estrema chiamata Reanimation.
Un album suonato ottimamente, perfettamente in grado di battere cassa nel mondo del metal estremo e regalare un po’ di soddisfazioni a questa band.

Tracklist
1. Seared Earth
2. Graviton Nightmare
3. Survival Evolved
4. Upon the Throne of Fear
5. Controlled Conscious
6. Soul Affliction
7. Shackled
8. Battle for the Omniverse
9. DNA Reacquisition
10. Reanimated

Line-up
Josh McMorran – Guitar, Vocals
Morgan Reid – Guitar, Vocals
James Stewart – Drums
Giacomo Gastaldi – Bass

Reanimation Guest Appearances
Jeff Loomis (Arch Enemy, Nevermore)
Paul Wardingham, Ken Sorceron (Abigail Williams, The Faceless)
Mendel Bij De Leij (Aborted)

BLOODSHOT DAWN – Facebook

Parris Hyde – Undercover 1

Thrash, horror metal, hard rock: le ispirazioni per creare musica arrivano da svariati generi e vengono confermate anche in questo ep, nel quale il gruppo si cimenta in canzoni pescate dalle discografie di artisti dei più svariati generi.

Tornano i Parris Hyde, band nostrana capitanata dal compositore e musicista omonimo, ex Bonecrusher poi con gli hard rockers Waywarson, dando alle stampe un ep intitolato Undercover 1, composto da quattro cover, un brano inedito e la “video version” del singolo 2ND2NO1.

Undercover 1 viene licenziato dal gruppo in attesa del nuovo full length, successore del debutto Mors Tua Vita Mea, uscito un paio di anni fa e che vedeva la band inglobare in un unico sound tutte le influenze del musicista italiano, da trent’anni nella scena underground rock/metal.
Thrash, horror metal, hard rock: le ispirazioni per creare musica arrivano da svariati generi e vengono confermate anche in questo ep, nel quale il gruppo si cimenta in canzoni pescate dalle discografie di artisti dei più svariati generi,  da Living Next Door To Alice (Smokie) alla famosissima Bad Romance di Lady Gaga, per tornare al metal con House of 1.000 Corpses di Rob Zombie e la splendida versione del capolavoro Lost Reflection dei Crimson Glory, tributo al grande Midnight, cantante preferito dal singer nostrano.
No Place To Call Me, ripresa dalle session del primo full length è un inedito metal/blues molto suggestivo, una jam tra Lizzy Borden e primi Whitesnake firmata Parris Hyde.
La versione video di 2ND2NO1, secondo brano nella track list di Mors Tua Vita Mea, conclude al meglio questo interessante ep: in attesa, come scritto, del nuovo lavoro del gruppo, nel frattempo godetevi questo ep, a conferma dell’ottima proposta dei Parris Hyde.

Tracklist
01.Living Next Door To Alice
02.Bad Romance
03.House of 1.000 corpses
04.Lost Reflection
05.No Place To Call me
06.2ND2NO1 (Video Version)

Line-up
Parris Hyde – Vocals, Guitars, Keyboards
Paul Crow – Guitars
Max Dean – Bass
Karl Teskio – Drums

PARRIS HYDE – Facebook

THE STEEL

Il video di “Metaphysical Journey”, dall’album “The Evolution of Love” (Perris Records).

Il video di “Metaphysical Journey”, dall’album “The Evolution of Love” (Perris Records).

Il terzo Official Video di The STEEL – ex Wizard – estratto dall’album “The Evolution of Love” distribuito dalla Perris Records. Il brano si chiama “Metaphysical Journey”. La band intanto sta lavorando al materiale che comporrà il prossimo album.

BIOGRAFIA WIZARD
Hard Rock band napoletana composta da Roy Zaniel al basso e voce, Rino Musella alla batteria e Marco Perrone alla chitarra. I Wizard nascono nel 1979 per volontà del bassista Roy Z. e del batterista Rino M. ed un’intensa attività live ha sempre caratterizzato la band negli anni anche in ambito di importanti festival e rassegne nazionali.Tre sono le demos ufficiali registrate nel corso degli anni:
“We can do it” 1988,
“Shiver and shake” 1990,
“Carved the rock” 2010,
ed inoltre i Wizard sono presenti nelle 2 compilation
“Surgery of power” (Metal/Vinile) 1989
“Rocka in Musica” (Rock/Cd) 2012.
L’uscita dell’EP “Straight to the Unknown” nel dicembre 2014 prodotto e distribuito da Radio Entropia Factory segna il debutto discografico della Band.
Nel 2016 i Wizard realizzano l’ album “The Evolution of Love” e cambiano il loro nome in The STEEL firmando un contratto discografico con l’ americana Perris Records che distribuirà per 2 anni questo nuovo disco.

WIZARD’S BIOGRAPHY
Wizard is a Hard Rock Neapolitan band which members are:
Tiziano Favero (bass and voice) Rino Musella(drums) and Marco Perrone(guitar).
The Wizard were born in 1979 thanks to Tiziano F. and Rino M. and an intense live activity has always characterized the band in the years and also in important festivals and in national reviews. Three are the demos that have been recorded over the years:
“We Can Do It” 1988,
“Shiver And Shake” 1990,
“Carved The Rock” 2010,
and also Wizard are shown in the two compilations
“Surgery Of Power” (Metal/Vinile) 1989
“Rocka In Musica” (Rock/Cd) 2012.
The publication of the EP “Straight To The Unknown” in December 2014 produced and distributed by Radio Entropia Factory marks the recording debut of the band.
In 2016 Wizard made their album “The Evolution of Love” and changed their name to “The STEEL”, signing a contract with Perris Records, which will distribute the said album for two years.

Bong – Thought And Existence

Un disco che è un rito, un rito antico che abbiamo seppellito sotto montagne di false credenze, e non si parla di dei, ma dell’unico dio al quale parla Thought And Existence : il nostro cervello che vuol tornare verso le stelle.

Nuovo viaggio astrale offerto da un gruppo che va ben oltre la musica,i geordies Bong, qui alla loro ottava prova su lunga distanza.

Per chi già li conosce sa che una volta ascoltata la loro musica, la prospettiva delle cose cambia, come quando si legge un libro che sposta l’angolazione dalla quale vediamo la realtà e quindi riusciamo a scostare il velo che ricopre tutto. I Bong fanno musica rituale, aprono porte per andare in dimensioni diverse, e la loro musica non può essere fruita in maniera normale o consumistica, con le cuffie per strada. Bisogna prepararsi per un viaggio mentale, quindi ognuno deve fare la preparazione al rito alla propria maniera, consumando droghe od isolandosi, l’unico denominatore comune è alzare il volume, perché la musica dei Bong è cubitale e molto fisica. Nei dischi precedenti i Bong avevano fatto vedere di cosa sono capaci, ovvero di usare la musica come medium per eccellenza per riti di magick, la magia crowleryana e non solo, che fa andare su piani astrali diversi da quello, davvero misero, nel quale viviamo. Questa musica non è escapismo o un qualcosa di new age, ma è una forza antica che arriva da lontano, e non a caso i Bong sono inglesi, perché l’isola e la sua storia è fortemente permeata di magia e di forze che altrove non esistono, o sono presenti in maniera minore. L’Inghilterra ha un storia antichissima ed il cristianesimo o il protestantesimo qual dir si voglia, è presente da duemila anni, una parentesi ben minore se si pensa agli altri cicli storici. La sapienza druidica è continuata per vie laterali, ed in Thought And Existence è molto presente, come magia per riconnettersi a quello che siamo veramente, energia a stento trattenuta da un corpo e dalle membra. Ascoltando questi droni, questa frequenza che i Bong stendono per tutta la loro opera, si ha la sensazione di tornare a casa, di riunirsi con un qualcosa che ci è stato fatto dimenticare, ed infatti tutto il disco è come un marcia di entità che nello spazio si ricongiungono alle loro altre metà. I Bong fanno qualcosa di potentissimo e di davvero originale, e dare un genere alla loro emissione musicale non è facile, anche se si potrebbe dire che sia un qualcosa fra lo sludge e il drone, post metal altro. In questo frangente si coglie tutta la inadeguatezza della nostra civiltà a definire una cosa come Thought And Existence, perché questo disco viene da lontanissimo, ed è passato in qualcosa dello spirito psichedelico inglese degli anni sessanti e settanta, ma prima era nelle processioni druidiche lungo il serpente Tamigi: proviene dallo spazio ed è stato a volte visto dai Neurosis e dagli Ozric Tentacles, è pura energia mentale. Un disco che è un rito, un rito antico che abbiamo seppellito sotto montagne di false credenze, e non si parla di dei, ma dell’unico dio al quale parla Thought And Existence: il nostro cervello che vuol tornare verso le stelle.
Forse la migliore prova di un gruppo che non fa solo musica da consumare.

Tracklist
01. The Golden Fields
02. Tlön, Uqbar, Orbis Tertiu

Line-up
David Terry – Bass
Mike Smith – Drums
Mike Vest – Guitars

BONG – Facebook

LEATHERJACKS

Il video di Persona Non Grata, dall’album di prossima uscita Songs For The Strangest Ones.

Il video di Persona Non Grata, dall’album di prossima uscita Songs For The Strangest Ones.

“Persona Non Grata” is the new single for our 2nd upcoming album, entitled “Songs For The Strangest Ones” (No Release Date Yet). This is the Official Lyric Video of the song.

– All Voices, Guitar and other Instruments by Mauro Cordeiro.
All Lyrics, Song and Arrangements by Mauro Cordeiro.
Mixing and Mastering by Mauro Cordeiro.

– After Effects Video Editing, Motion Graphics, Art, Animations, and Concepts by Mauro Cordeiro.

– Produced by Mauro Cordeiro at MauCor Music.

SirJoe Project – Letze Baum

A tratti sembra davvero di vivere l’emozione visiva di terre lontane e la bellezza del mondo animale, tra canti e cori etnici, trasportati e cullati dalla musica di questo splendido lavoro, che del progressive prende la sua caratteristica di non genere, o meglio di un’unione di stili che formano un quadro musicale in l’arcobaleno scaglia come frecce i suoi colori.

Nel mondo della musica le sorprese sono sempre dietro l’angolo e dopo quasi quarant’anni di ascolti, lo stupore e la consapevolezza di essere al cospetto di un lavoro sopra le righe è sempre vivo e rappresenta il motore per continuare ad ascoltare, senza costruirsi inutili barriere, cercando il bello in ogni angolo del mondo musicale rock/metal.

Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, l’ultimo animale libero ucciso, vi accorgerete… che non si può mangiare il denaro.
Questa bellissima, tragica e drammatica frase è lo spunto da cui nasce Letze Baum, concept ideato dai SirJoe Project, che altri non è che un musicista storico della scena dark/progressive/rock, il chitarrista Sergio Casamassima dei Presence, qui aiutato da una manciata di bravissimi musicisti come il cantante Alessandro Granato, il bassista Mino Berlano, il tastierista Luciano Longo ed il batterista Peppe Iovine.
Il musicista, compositore e maestro, crea questo viaggio di denuncia attraverso il nostro pianeta, a bordo di una macchina musicale che non trova ostacoli, tra bellissimi brani che ci portano dall’Africa, all’Oceania, dalla vecchia Europa alle Americhe, passando per i poli denunciando e difendendo il pianeta e la sua splendida madre, la natura.
A tratti sembra davvero di vivere l’emozione visiva di terre lontane e la bellezza del mondo animale, tra canti e cori etnici, trasportati e cullati dalla musica di questo splendido lavoro, che del progressive prende la sua caratteristica di non genere, o meglio di un’unione di stili che formano un quadro musicale in l’arcobaleno scaglia come frecce i suoi colori.
Grandi melodie all’interno di un sound vario e progressivo, dunque, per più di un’ora (non poca di questi tempi) nel corso della quale i SirJoe Project tessono spartiti, legano ispirazioni diverse tra musica etnica e rock riuscendo ad unire terre, popoli e natura, in tempi in cui le divisioni purtroppo sono sempre più nette.
Gli impulsi musicali quindi arrivano dal rock, come dal metal, dal progressive come da stili lontanissimi dal normale sentire per chi si nutre di queste sonorità, come la musica etnica e la world music, il tutto unito da trame melodiche affascinanti.
Settantadue minuti di musica, divisa in tredici perle musicali che trovano il sottoscritto in difficoltà nel suggerirne una piuttosto che un’altra: quindi prendete un po’ del vostro tempo e dedicatelo a qualcosa che vi riempia il cuore, come questo splendido lavoro, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Forgive Us
2.Thieves In The Temple
3.Coltan Grave
4.I Pray The Rain
5.The Power Of The Sea
6.Deadly Waltz
7.Anyway
8.Binary Codes
9.The King Of All
10.I Need Time
11.Maybe Today
12.Raimbow Warriors
13.Selfdestruction

Line-up
Sergio Casamassima – Lead Guitar
Alessandro Granato – Voice
Mino Berlano – Bas
Luciano Longo – Keybaords
Peppe Iovine – Drums

SIRJOE PROJECT – Facebook

A Perfect Circle – Eat The Elephant

Gli A Perfect Circle, senza dovere escogitare qualcosa di particolare, hanno prodotto un album di grande spessore, che riesce a differenziarsi dalle produzioni odierne in virtù di un’interpretazione del rock alternativo in qualche modo “antica”, proprio per la sua lontananza dalla natura usa e getta del rock più radiofonico e commerciale.

Se non fosse che il fatto stesso di ricevere il promo di un album così atteso sia motivo di soddisfazione, l’obbligo di dover commentare un disco come Eat The Elephant degli A Perfect Circle è una delle prove a cui tutto sommato ci si sottrarrebbe volentieri, un po’ per il fatto che noi di ME siamo orientati per indole ad occuparci di band che hanno sulla loro pagina Facebook 200 o 2.000 like e non 2 milioni, ma soprattutto in quanto sappiamo benissimo che ogni parere emesso al riguardo diviene a sua volta oggetto di infinite discussioni e di sterili polemiche.

Infatti, ogni uscita che coinvolge Maynard James Keenan, che sia a nome della sua band principale (Tool) o di altri progetti collaterali (Puscifer e, appunto, A Perfect Circle), viene spesso accolta dal pubblico in maniera tutt’altro che oggettiva, facendo pesare in sede di valutazione diversi aspetti che con la musica hanno ben poco a che vedere, derivanti per lo più dalla personalità inusuale del vocalist e del suo modo di porsi sicuramente non troppo alla mano.
Aggiungiamoci poi che l’interminabile assenza dalle scene dei Tool ha aumentato esponenzialmente l’attesa verso questo nuovo lavoro degli A Perfect Circle, a loro volta in stand by da ben quattordici anni, andando a comporre uno scenario nei confronti del quale è facile perdere di vista l’aspetto più importante, che è pur sempre quello musicale.
Provando così ad ascoltare Eat The Elephant senza alcun pregiudizio, in un senso o nell’altro, ciò che se ne ricava è la sensazione d’essere in presenza di un gran bel disco, nel quale è stata immessa una cura dei particolari degna di altri tempi da parte del buon Billy Howerdel (sul quale, è sempre bene ricordare, pesa l’onere compositivo, liriche escluse, negli APC).
Soprattutto, questo è un album fatto di canzoni, nel senso più autentico del termine. E quando queste godono di una produzione ed un’esecuzione strumentale che rasenta la perfezione, di un songwriting piuttosto ispirato, e di un cantante che, lo si apprezzi o meno, possiede doti interpretative non comuni, ecco che il pranzo è servito, per la gioia dei non pochi amanti di questo tipo di cucina.
Tra la dozzina di brani proposti ne troviamo diversi irresistibili, dotati di passaggi capaci di imprimersi nella memoria in maniera pressoché indelebile per sovvenire anche nei momenti meno propizi (So Long, And Thanks For All The Fish, Delicious, Disillusioned, The Doomed), altri dallo sviluppo più ricercato ed intimista ma dagli esiti ugualmente eccellenti (la title track, Get The Lead Out) e alcuni, pochi per fortuna, gradevoli ma decisamente meno brillanti, appartenenti alla categoria di quelli che musicisti di simile caratura compongono con il pilota automatico (By And Down The River, Feathers) oppure cervellotici e parzialmente fuori contesto (Hourglass).
Eat The Elephant è un’opera molto meno nervosa di Mer de Noms e anche di Thirteenth Step, ed appare evidente la scelta di prediligere un certa orecchiabilità che per fortuna non scade nella banalità, cosa questa che avrebbe sorpreso non poco se si fosse verificata; quello che appare evidente è che gli A Perfect Circle, senza dovere escogitare qualcosa di particolare, hanno prodotto un album di grande spessore, che riesce comunque a differenziarsi dalle produzioni odierne in virtù della classe superiore alla media di un compositore come Howerdel e di un cantante come Keenan (autore come sempre di testi tutt’altro che scontati), offrendo un interpretazione del rock alternativo in qualche modo “antica”, proprio per la sua lontananza dalla natura usa e getta del rock più radiofonico e commerciale.

Tracklist:
1. Eat The Elephant
2. Disillusioned
3. The Contrarian
4. The Doomed
5. So Long, And Thanks For All The Fish
6. TalkTalk
7. By And Down The River
8. Delicious
9. DLB
10. Hourglass
11. Feathers
12. Get The Lead Out

Line-up:
Maynard James Keenan
Billy Howerdel
James Iha
Jeff Friedl
Matt McJunkins

A PERFECT CIRCLE – Facebook

Neck Of The Woods – The Passenger

I Neck Of The Woods sono ancora lontani dal luogo in cui è nascosto il santo graal dell’originalità, ma sicuramente sono riusciti con personalità e buone idee a creare un album affascinante e per nulla scontato, tagliando il cordone ombelicale che li teneva legati al metalcore e quindi liberi di creare musica progressivamente metallica ma dall’approccio moderno.

I canadesi Neck Of The Woods rilasciano il primo album sulla lunga distanza, questo ottimo lavoro che conferma quanto sia diventata sottile la linea che separa un certo modo di fare prog metal con il metal moderno di estrazione core.

La band, nata nel 2013 e con il classico demo di inizio carriera, seguito da un ep omonimo licenziato un paio di anni fa, con The Passenger conferma questo trend che porta i gruppi dell’ultima ondata progressiva ad amalgamare suoni introspettivi e dilatati, con frustate metalliche di estrazione core allargando i confini dei due generi.
Non sono sicuramente l’unica band che prova a suonare qualcosa di meno scontato nel panorama odierno, ma è pur vero che The Passenger, visto dai due lati contrapposti, rilascia ottime sensazioni, portando con sè atmosfere suggestive, e melanconiche in un sound estremo e valorizzato dall’ottima tecnica in possesso dei cinque musicisti.
The Passenger, fin dalle prime note dell’opener Bottom Feeder, passando per il death metal tecnico e melodico di Nailbiter e la forza espressiva della notevole You’ll Always Look the Same to Me esprime un’urgenza di arrivare all’ascoltatore senza per forza usare i soliti cliché ormai abusati nel metal moderno, ma ci investe con una serie di solos entusiasmanti, ci accarezza delicatamente, pregno com’è di sfumature melanconicamente dark e ci travolge a tratti con la furia controllata di un metalcore che ha in sé residui hardcore.
I Neck Of The Woods sono ancora lontani dal luogo in cui è nascosto il santo graal dell’originalità, ma sicuramente sono riusciti con personalità e buone idee a creare un album affascinante e per nulla scontato, tagliando il cordone ombelicale che li teneva legati al metalcore e quindi liberi di creare musica progressivamente metallica ma dall’approccio moderno.

Tracklist
1. Bottom Feeder
2. Nailbiter
3. White Coats
4. Open Water
5. You’ll Always Look the Same to Me
6. Face of the Villain
7. Drift
8. Foothills
9. Before I Rest

Line-up
Jeff Radomsky – Vocals
Dave Carr – Guitars
Travis Hein – Guitars
Jeremy Gilmartin – Drums
Jordan Kemp – Bass

NECK OF THE WOODS – Facebook

Hundred Year Old Man – Breaching

Breaching non è un lavoro molto semplice da assimilare e la sua durata vicina all’ora rende il tutto ancor più impegnativo, ma anche gratificante per chi apprezza certe sonorità.

Dopo aver parlato nello scorso inverno dell’ep Black Fire, ritroviamo i britannici Hundred Year Old Man alle prese con il loro primo full length,

Da quel lavoro la band di Leeds mutua sia il brano omonimo sia Disconnect, presentando altre sei tracce inedite, tre delle quali sono pregevoli episodi di matrice ambient, mentre The ForestLong Wall e Ascension mettono in mostra quello sludge post metal disturbato da inserti dronici e ben poco propenso a lasciare spazio agli accenni melodici nei quali ci eravamo imbattuti qualche mese fa.
Va detto che proprio il brano conclusivo, però, al di là delle vocals straziate, si muove su tempi più ragionati andando a creare un’interessante dicotomia tra lo sviluppo del sound e, appunto, l’uso della voce.
Il risultato finale è un album che tiene fede alle aspettative, fornendo comunque buona continuità alla precedente produzione e andando a collocare gli Hundred Year Old Man tra le realtà di sicura prospettiva nella scena europea.
Breaching non è ovviamente un lavoro molto semplice da assimilare e la sua durata vicina all’ora rende il tutto ancor più impegnativo, ma anche gratificante per chi apprezza tali sonorità.

Tracklist:
1 Breaching
2 Black Fire
3 The Forest
4 Clearing The Salients
5 Long Wall
6 Disconnect
7 Cease
8 Ascension

Line-up:
Aaron Bateman
Paul Broughton,
Steve Conway
Owen Pegg,
Dan Rochester-Argyle
Tom Wright

HUNDRED YEAR OLD MAN – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL – TRACY GRAVE

Grazie alla reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Questa volta tocca ai Tracy Grave, band sarda guidata dall’omonimo vocalist dedita ad un ottimo hard/sleze/glam rock

MC Li abbiamo ascoltati qui su Overthewall con il nuovo singolo, Over the top, con noi Tracy Grave!
Tracy, la bio raccontava che la tua carriera musicale inizia dal 2000. Ma altre fonti mi hanno rivelato che ascoltavi glam già dalla tenera età! Quand’è che hai cominciato a comporre e quando hai pensato di metterti finalmente in gioco?

Ciao Mirella, è vero, ho scoperto il rock in tenera età e a 12 anni avevo già la mia prima band!! Ma è solo nel 2000 che ho cominciato a scrivere materiale originale. Prima mi dilettavo solo nella stesura di poesie, ho addirittura ancora valanghe di fogli da qualche parte. Per quanto riguarda la scrittura ho sempre sentito il bisogno di scrivere pensieri, poesie, racconti, ma è solo nel 2000 che ho cominciato ad esprimermi in musica ed e stata una cosa improvvisa senza pensarci su.

MC Nella tua carriera musicale hai condiviso il palco con grossi nomi del metal quali Alice Cooper, Paul di Anno, giusto per citarne alcuni. Ci racconti le tappe più importanti del tuo passato artistico?

Ogni tappa è stata importante, dal più piccolo palco al più grande, ogni percorso fatto mi ha lasciato un segno, non è il grande artista o il poco pubblico, semplicemente il fatto di cantare ed esprimerti è sempre un emozione unica.

MC Come nascono i tuoi brani? Da cosa riesci a trarre ispirazione per i testi e la musica?

In passato, come tanti altri, mi basavo sull’emulazione dei miei idoli, faceva figo fare l’Axl della situazione ecc…
Dopo un po’ di anni mi sono reso conto che non ero io, non era quello che avevo dentro e che volevo trasmettere.
Negli ultimi due album ho trovato la mia dimensione artistica, diciamo, e per quanto riguarda i testi, mi ispiro a persone, cose, momenti, istanti… tutte cose reali, comunque, e non provenienti dagli anni ’80 o rubate ad altre band più gettonate.

MC Il 5 aprile scorso pubblicate il nuovo album ” Sleazy Future” per la Volcano Records. Proprio per questa occasione ti avvali della collaborazione di una band, creata assieme al chitarrista e compositore Mark Shovel. Ci parli di questo nuovo lavoro discografico?

Sleazy Future è una sorta di ribellione contro tutto ciò che viviamo e contro ciò che ci prospetta il futuro, Un calcio in culo a chi ci ha sempre sbattuto le porte in faccia, un vaffanculo all’industria discografica…mi fermo qui per ora eheh.
Abbiamo dovuto scegliere tra una quarantina di brani per arrivare ai 10 dell’album, quindi vi lascio immaginare quanta rabbia c’è in questo disco.

MC Ci saranno spettacoli dal vivo a promuovere la nuova uscita?

Per ora stiamo girando la Sardegna e abbiamo in organizzazione un prossimo tour che ci porterà fuori molto presto.

MC Quali sono i progetti futuri della band?

Continuare a suonare prima di tutto e farci conoscere il più possibile in tutto il mondo, poi si vedrà!! Prendiamo tutto al momento, lavorando giorno dopo giorno!

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?

Siamo presenti in tutti i social (https://www.facebook.com/tracygraveofficialpage/https://twitter.com/tracygraverock) e abbiamo anche il sito web ufficiale (https://www.tracygraveofficial.com).

MC Grazie di essere stato qui con noi!!

Grazie mille a voi per lo spazio concesso!!! A presto e Rock n’ roll!!

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