DOOM HEART FEST. – Bresso 11/11/2017

Il racconto della prima edizione del Doom Heart Fest., con Marche Funèbre, Tethra, Hadal e Theta.

La prima edizione del Doom Heart Fest. ha radunato al Blue Saloon di Bresso alcune realtà di grande interesse della scena internazionale ed italiana.

From left to right: Arne Vandenhoeck (Marche Funèbre), Alberto Carmine (Doom Heart), Alberto Esposito (Hadal), Clode (Tethra), Dennis Lefebvre (Marche Funèbre)

L’evento, ottimamente organizzato dalla RED MIST Booking & Management e da Doom Heart, pagina Facebook italiana di riferimento per gli appassionati di doom metal, nonché patrocinato anche da MetalEyes IYE, ha avuto il merito di portare in Italia i belgi Marche Funèbre, band attiva da diversi anni ma decisamente consacratasi quest’anno con il bellissimo album Into the Arms of Darkness.
A completare il bill sono stati chiamati i Tethra, anch’essi ormai assurti ad uno status superiore dopo l’ottimo Like Crows For The Earth, i triestini Hadal, autori del notevole Painful Shadow e la one man band Theta, fattasi notare sempre quest’anno con il sound sperimentale di Obernuvshis’.

THETA

E’ toccata proprio a Mattia Pavanello, ideatore di quest’ultimo progetto, l’apertura della serata: un compito non facile il suo, quello di rompere il ghiaccio con sonorità di complessa fruizione di fronte ad una platea ancora abbastanza diradata e disattenta e non ancora abbastanza numerosa, come sarebbe avvenuto in seguito.
Il giovane musicista milanese è salito sul palco, ha fatto partire le proprie basi e, senza dire una parola, nascosto dal cappuccio della sua felpa ha imbracciato la chitarra offrendo una mezz’ora di interessante doom drone. Chiaramente la proposta di Theta non è certo un qualcosa che possa coinvolgere con immediatezza e quindi, dal vivo, tutto ciò si rivela ancor più difficile: eppure, dopo alcuni minuti ci si è ritrovati del tutto accerchiati da questi accordi dilatati e distorti, poggiati su una base dronica volta a creare un flusso musicale che trova la sua forza e ragion d’essere nell’annullamento dei concetti di spazio e tempo.

HADAL

Sicuramente un’introduzione ideale per un set come quello dei triestini Hadal, band composta da musicisti esperti e capaci di offrire una prova convincente, pervasa da uno stile versatile che fa delle sonorità doom le fondamenta sulle quali erigere un metal allo stesso tempo robusto ed evocativo, comunque piuttosto sfaccettato aprendosi di volta in volta ad influenze che riportano anche al migliore alternative rock/metal.
Soprattutto si rivela vincente una spiccata componente grunge che, andandosi a fondere con le ritmiche e gli umori del gothic/death doom, conferisce al sound un certo tiro pur mantenendone intatte le malinconiche caratteristiche di fondo.
Molto vario ed efficace è apparso l’uso delle voci, con un Alberto Esposito a suo agio alle prese con le diverse gamme vocali e ben coadiuvato nel controcanto in growl dai suoi compagni d’avventura (tra i quali cito il simpaticissimo bassista Teo, una di quelle rare persone con cui parlare di musica, e non solo, è tempo speso benissimo), abili nel costruire un’impalcatura sonora solida e precisa in ogni frangente.

TETHRA

A rappresentare ulteriormente il doom tricolore sono stati successivamente i Tethra, la cui salita sul palco era piuttosto attesa giocando in qualche modo in casa: della band guidata oggi da Clode ho già ampiamente parlato nel corso di quest’anno sia in sede di recensione, sia con una successiva intervista ed infine raccontando del release party di Like Crows for the Earth, per cui non posso che ribadire quanto di buono scritto in quelle occasioni, trovando anzi, come è normale, la band ancora più incisiva nella trasposizione live dei propri brani: infatti, specialmente quelli più datati sono parsi ancor meglio assimilati da una line up che, vocalist a parte, non ha più nulla in comune con quella che incise Drown into the Sea of Life. A proposito di formazione, va segnalato che rispetto all’ultimo full length il bravo chitarrista Luca Mellana ha dovuto abbandonare la band per problemi di lavoro ed è stato rimpiazzato dall’altrettanto valido Federico Monti.
La band ha sciorinato nel tempo a propria disposizione i brani miglior di un repertorio di qualità, decisamente graditi da un pubblico che, con il passare delle ore , è decisamente aumentato, raggiungendo un dato numerico soddisfacente, almeno se rapportato al normale afflusso agli eventi doom sul suolo italiano.

MARCHE FUNEBRE

Il gruppo più atteso della serata erano senz’altro i belgi Marche Funèbre, non fosse altro perché per la prima volta si spingevano a suonare all’interno dei nostri confini: va detto però che la data di Bresso non è stata in assoluto una primizia visto che il giorno prima Arne e compagni, sempre con i Tethra a precederli sul palco, si erano esibiti a Collegno, in questo caso purtroppo di fronte ad un pubblico più esiguo.
Forte di un album di grande spessore come il recente Into the Arms of Darkness la band fiamminga ha nettamente elevato la potenza di fuoco della serata, in virtù di un death doom che dal vivo diviene ancora più ruvido e di impatto: la scaletta ha oscillato tra brani recenti ed altri più datati, spesso superiori ai dieci minuti di durata, interpretati con vigore e convinzione da un gruppo di musicisti che ha senz’altro lasciato il segno.
In tal senso non si può non citare la prestazione del frontman Arne Vandenhoeck, capace di passare con buona disinvoltura dal growl allo screaming fino ad una evocativa voce pulita, ed arricchendo il tutto con una presenza scenica ed un’espressività che non è proprio consueta per i suoi colleghi di genere.
Ovviamente il momento clou dell’esibizione è stata l’esecuzione di Lullaby Of Insanity, quello che a mio avviso è uno tra i migliori brani death doom del 2017: trattasi di una traccia che supera il quarto d’ora di durata e nella quale i Marche Funèbre sono riusciti a far confluire tutte le loro anime, racchiuse tra le dolenti melodie tessute dalla chitarra solista di Peter Egberghs e le violente accelerazioni di matrice death, con la band capace davvero di viaggiare a pieno regime senza mai andare fuori giri.
Il set è stato chiuso da Crown Of Hope, brano manifesto che racchiude al suo interno il riferimento al monicker della band con la ripresa, nella parte conclusiva, della celeberrima Marcia Funebre di Chopin, il tutto tra i meritati applausi e ringraziamenti dei presenti.

Applausi e ringraziamenti che devono essere estesi, senza ombra di dubbio, ad Alberto “Morpheus” Carmine, motore di Doom Heart e portatore (in)sano di una passione per il doom che trova il suo naturale corrispettivo nel sottoscritto e in tutti quelli che, fottendosene delle mode e delle convenienze, continuano a promuovere un genere che “parla della morte ma è suonato ed ascoltato da persone che amano la vita”.
Resta lo spazio per un auspicio, ovvero che questa sia stata solo la prima edizione di un evento che, senza ambire ad assumere le dimensioni di un “Doom Over Kiev”, possa comunque trasformarsi un appuntamento fisso e tradizionale per tutti gli amanti del doom italiano.

SANDNESS

Il video del secondo singolo “Play With Fire” tratto dal nuovo album “Higher & Higher” uscito lo scorso dicembre tramite Sleaszy Rider Records.

Il video del secondo singolo “Play With Fire” tratto dal nuovo album “Higher & Higher” uscito lo scorso dicembre tramite Sleaszy Rider Records.

Voltumna – Dodecapoli

Per tutto Dodecapoli aleggia uno spirito antico che ha trovato il modo di esprimersi con una musica violenta e catartica, che ci mostra la magia e la forza di un popolo unico nella storia.

Nuovo e sempre più estremo assalto sonoro dei Voltumna, una delle band di punta del panorama black metal italiano.

Il gruppo viterbese usa il black death metal come linguaggio per raccontarci la storia di un popolo misterioso ai nostri occhi moderni ma molto più dentro di noi ai misteri che ci circondano. I Voltumna con Dodecapoli toccano, come dicono loro stessi, il punto più estremo della loro discografia, ma ne è sicuramente anche  la vetta più alta. Il disco possiede una bellissima furia black/death metal, spazza via tutto e accentra su di sé l’attenzione. Il percorso di questo gruppo non è mai stato comune o normale, con la musica e i testi ha sempre suscitato qualcosa di diverso: questa volta ci fa avventurare nella storia della federazione sacra delle dodici città etrusche, narrandoci avvenimenti ormai dimenticati di un’epoca che meriterebbe ben altra considerazione, perché gli Etruschi possedevano una sapienza che abbiamo perso, e questo è tra le cose all’origine della frattura fra noi e la nostra anima. La Dodecapoli etrusca è una storia davvero interessante e, narrata con la passione e la musica dei Voltumna, assume un significato ancora maggiore. Il disco è incredibile per intensità e forza di un black che si congiunge perfettamente con il death, e viceversa. Ci sono momenti di epicità notevoli, specialmente quando entrano in campo musiche tipiche del popolo etrusco, e il vortice dei Voltumna diventa un groviglio di magia antica. Per tutto Dodecapoli aleggia uno spirito antico che ha trovato il modo di esprimersi con una musica violenta e catartica che ci mostra la magia e la forza di un popolo unico nella storia. Semplicemente uno dei nostri migliori gruppi metal.

Tracklist
1.The Lion, The Goat, The Serpent
2.Itinere Inferi
3.Reading The Flames
4.In Principium Tarquinii
5.Criterion Of The Groma
6.Fanum Voltumnae
7.Lars Porsenna
8.Perdidit Veii
9.Cyclopean Walls
10.War Of Supremacy
11.Vessels Of Rasna
12.The Path To Our Twilight

Line-up
Zilath Meklhum – Vocal
Haruspex – Guitar
Augur Veii – Drums
Fulgurator – Bass

VOLTUMNA Facebook

Harmdaud – Blinda Dödens Barn

Con il monicker Harmdaud, Stenlund offre una buona prova all’insegna di un black death atmosferico che riporta senz’altro dalle parti degli Amon Amarth, ma se l’originalità non è la caratteristica principale di questo esordio, è innegabile che il suo ascolto si riveli alquanto gradevole e a tratti molto coinvolgente.

Blinda Dödens Barn è la prima testimonianza discografica di questo progetto solista del musicista svedese Andreas Stenlund.

Con il monicker Harmdaud, Stenlund offre una buona prova all’insegna di un black death atmosferico che riporta senz’altro dalle parti degli Amon Amarth, ma se l’originalità non è la caratteristica principale di questo esordio, è innegabile che il suo ascolto si riveli alquanto gradevole e a tratti molto coinvolgente.
Del resto, benché non ne risulti una particolare attività negli ultimi anni, il nostro è personaggio abbastanza conosciuto nell’ambiente estremo svedese, essendo membro di diverse band ed avendo ricoperto per un certo periodo il ruolo di chitarrista dal vivo per Vintersorg, e proprio il magnifico vocalist, famoso anche per la sua militanza nei Borknagar, si è occupato della produzione di Blinda Dödens Barn.
E’ un sentore epico, quindi, quello che aleggia all’interno di questi otto brani tra i quali spiccano i primi due, Vägens Slut e Själens Vanmakt e, soprattutto, il più evocativo Andetag, ma nel complesso l’album si rivela piuttosto uniforme per valore e, pur non toccando vette epocali, si rivela senza dubbio un ascolto ideale per chi ama questo tipo di sonorità.

Tracklist:
1. Vägens slut
2. Själens Vanmakt
3. Blinda Dödens Barn
4. Slagregn
5. Andetag
6. Till Glömskan
7. Vemodet
8. Memento Mori

Line-up:
Andreas Stenlund – Guitars, vocals, bass, programming, synthesizers

HARMDAUD – Facebook

Decryption – Gods Fallen

Dalla scena thrash siciliana nasce questa creatura metallica chiamata Decryption, al debutto con Gods Fallen, ep di cinque brani davvero belli che confermano quanto di buono arriva dalle assolate terre della Trinacria.

Dalla scena thrash siciliana nasce questa creatura metallica chiamata Decryption, al debutto con Gods Fallen, ep di cinque brani davvero belli che confermano quanto di buono arriva dalle assolate terre della Trinacria.

La band è formata da vecchie volpi della scena come Angelo Bissanti (Thrash Bombz e Bloodevil) e Carmelo Scozzari (Ancestral) ai quali si sono uniti il bassista Giulio Natalello ed il batterista Mauro Patti.
Gods Fallen, frutto di numerose jam, è stato mixato e masterizzato da Bissanti, chitarrista ma soprattutto cantante di razza alle prese con un thrash metal che, pur mantenendo una leggera impronta classica, viene valorizzato dalle ritmiche groove metal dal piglio più moderno e da chitarre che tanto sanno di death metal melodico.
Ne escono cinque bombe sonore notevoli, con il growl dal piglio death di Bissanti a troneggiare su un pesante metallo estremo che lascia il caldo territorio siciliano e si concede un viaggetto in Scandinavia.
Per semplificarvi la vita, voi che amate le etichette, pensate ad un buon mix tra death metal melodico (Arch Enemy) thrash statunitense (Exodus) e groove metal a dare quell’impronta moderna e personale a brani trascinati e nati per far male in sede live come la title track , che apre l’ep come meglio non potrebbe, The Eye Upon Us sorretta da un riff dannatamente coinvolgente e da un chorus melodico.
Bellissima è anche Set The Evil Free, fulgido esempio di ciò di cui sono capaci i Decryption tra riff mastodontici, solos che sanguinano melodia e la continua ricerca del chorus perfetto.
Ancora i due minuti acustici di Drowning In Fear fanno da preludio alla conclusiva Dust To Dust, primo brano scritto dal quartetto, con un sound che si concede quasi per intero al thrash metal e che mette fine a questi ventitré minuti di metallo incandescente; la band è già al lavoro su nuove composizioni, quindi aspettiamoci a breve di ritrovarci una nuova raccolta di brani battenti bandiera Decryption.

Tracklist
1.Gods Fallen
2.The Eye upon Us
3.Set the Evil Free
4.Drowning in Fear
5.Dust to Dust

Line-up
Angelo Bissanti – Guitars, Vocals
Carmelo Scozzari – Guitars
Mauro patti – Drums
Giulio Natalello – Bass

DECRYPTION – Facebook

Destruction – Thrash Anthems II

Per i vecchi fans Thrash Anthems II è un nuovo modo di ascoltare i vecchi Destruction, per i più giovani invece una raccolta di brani storici ed imperdibili ai quali la band ha dato una nuova veste e che risulta quindi molto appetibile.

E’ indubbio che un’operazione da molti considerata inutile e nostalgica come una raccolta, acquisti un diverso valore se viene valorizzata dall’inserimento di nuovi brani o dal restyling delle tracce più datate, come ormai è di moda in questi ultimi tempi.

C’è da dire che le opere delle icone del metal estremo nati negli anni ottanta, come i Destruction, si portano dietro produzioni deficitarie che ne fanno album ormai inascoltabili, magari pezzi pregiati per collezionisti o intoccabili reliquie per gli amanti dell’old school a prescindere dalla resa sonora.
I Destruction tornano dunque con la seconda parte di Thrash Anthems, dopo i fasti del bellissimo Under Attack licenziato lo scorso anno e la parentesi Panzer, progetto del leader Schmier tornato ultimamente con la bomba metallica Fatal Command.
Questione di punti di vista dunque, ma ascoltare le vecchie registrazioni con un nuovo look sonoro fatto di una sezione ritmica presente ed un suono pieno e cristallino, non può che far gioire gli amanti dell’estetica sonora, a mio avviso importantissima anche nel metal ed ancor di più in quello estremo come il thrash metal teutonico.
E se è vero che gallina vecchia fa buon brodo, con una ripulita ed una messa a punto, questi undici storici brani del gruppo, più la cover di Holiday In Cambogia dei Dead Kennedys, tornano a far male, confermando il momento d’oro del leader Schmier che ultimamente trasforma in oro qualsiasi cosa tocchi.
Ovviamente i fans accaniti del gruppo e del lato più acerbo, ruvido e selvaggio del thrash old school, non dovranno fare altro che ignorare l’uscita e riascoltare le versioni originali pubblicate tra il 1984 ed il 1986 sui vari Sentence Of Death, Infernal Overkill ed Eternal Devastation, anche se a mio avviso si perderebbero un’opera riuscita che onora il primo periodo del gruppo, nobilitando brani devastanti e cattivissimi come Confused Mind, Dissatisfied Existence, Black Death e The Antichrist.
Per i vecchi fans Thrash Anthems II è un nuovo modo di ascoltare i vecchi Destruction, per i più giovani invece una raccolta di brani storici ed imperdibili ai quali la band ha dato una nuova veste e che risulta quindi molto appetibile per tutti.

Tracklist
1.Confused Mind
2.Black Mass
3.Front Beast
4.Dissatisfied Existence
5.United By Hatred
6.The Ritual
7.Black Death
8.The Antichrist
9.Confound Games
10.Rippin’ You Off Blind
11.Satan’s Vengeance

Line-up
Schmier – vocals, bass
Mike – guitar
Vaaver – drums

DESTRUCTION – Facebook

GENUS ORDINIS DEI

Il video di “Cold Water”, dall’album “Great Olden Dynasty”, in uscita a novembre (Eclipse Records).

Il video di “Cold Water”, dall’album “Great Olden Dynasty”, in uscita a novembre (Eclipse Records).

Binary Creed – A Battle Won

A Battle Won è un ottimo esempio di power metal scandinavo dalle venature progressive con cui i Binary Creed costruiscono un muro di metallo, valorizzato da ottime e possenti ritmiche, da una chitarra dallo spirito neoclassico nei solos e da un vocalist che sa come far risplendere le trame create dai suoi compagni.

Chi di musica vive da qualche decennio sa come, anche nel metal e nelle sue ramificazioni, le mode dettino legge così che una band che fino a pochi anni fa risultava cool e di conseguenza meritevole d’attenzione e di recensioni positive, diventa inutile e criticata nel momento in cui il genere suonato non attira più le attenzioni della massa di ascoltatori soggiogati dai media di turno.

E’ successo con il metal classico o per esempio con il grunge, genere che nel periodo di massimo splendore vedeva le recensioni positive di gruppi al primo ed unico album fare bella mostra di sé, per poi finire nell’animato appena poco tempo dopo, tacciate come band obsolete.
Per il power metal sta succedendo la stessa cosa, essendo stato in questi anni surclassato dalle sinfonie gotiche e metalliche e, a parte i grossi nomi non ,valorizzato come una quindicina d’anni fa.
Eppure di album meritevoli se ne continuano ad incontrare girovagando virtualmente per l’underground, come questo a mio avviso bellissimo A Battle Won, secondo lavoro sulla lunga distanza degli svedesi Binary Creed, quintetto che con il power metal scandinavo dalle venature progressive costruisce un muro di metallo valorizzato da ottime e possenti ritmiche, da una chitarra dallo spirito neoclassico nei solos e da un vocalist che sa come far risplendere le trame create dai suoi compagni.
A Battle Won non si può considerare un capolavoro, ma semmai un gradito ritorno al sound che tanto ha fatto impazzire i fans del genere nella seconda metà degli anni novanta, avendo tutte le virtù richieste, come tenere l’ascoltatore legato alla poltrona con assoli tempestosi ma raffinati, buone melodie e cavalcate che si trasformano in bellissimi mid tempo epici e suggestivi di scuola Dio (A Better Man).
Il resto è un susseguirsi di riff e refrain sicuramente già sentiti ma piacevoli, tra Stratovarius, Pyramaze e quel tocco oscuro tipico del filone power progressivo scandinavo alla Morgana Lefay.
Questo è un album che, se fosse uscito sul finire del secolo scorso. avrebbe detto la sua: purtroppo non sono più quei tempi, ma noi di MetalEyes non ne facciamo un problema, buon ascolto.

Tracklist
01. Servants
02. Lurking in the Shadows
03. In a Time to Come
04. The Fallen King
05. The Ones to Bleed
06. Safer Than Now
07. A Better Man
08. Black Storm
09. These Hands
10. Journey Without End

Line-up
Robert Rasmussen Ahlenius – bass
Peter Widding – drums
Stefan Rådlund – guitars
Peo Olofsson – keyboards
Andreas Stoltz – vocals

BINARY CREED – Facebook

Mindfeels – XXenty

XXenty continua la missione intrapresa dai Mindfeels e ci regala quasi un’ora di musica delicatamente rock, raffinata ed elegante, mai sopra le righe sotto l’aspetto della grinta e tenuta a freno da una melodia che rifugge la banalità, perfettamente incanalata in un genere che dona emozioni ad ogni passaggio.

I Mindfeels sono un’altra notevole realtà nostrana che si affaccia sulla scena melodica grazie alla Art Of Melody/Burning Minds ed XXenty è il loro secondo lavoro, successore del debutto autoprodotto licenziato sotto il monicker Dejanira e che vedeva al microfono la cantante Raffaella Miani.

Dopo alcuni anni ed alcune importanti novità come un contratto discografico, un nuovo protagonista dietro al microfono, con Davide Gilardino a prendere il posto della Miani, e il cambio di monicker in Mindfeels, la band biellese taglia il traguardo del secondo album, sempre all’insegna di un rock melodico dal sound debitore degli storici Toto e pregno di sfumature West Coast, la principale fonte d’ispirazione.
XXenty continua la missione intrapresa dal gruppo e ci regala quasi un’ora di musica delicatamente rock, raffinata ed elegante, mai sopra le righe sotto l’aspetto della grinta e tenuta a freno da una melodia che rifugge la banalità, perfettamente incanalata in un genere che dona emozioni ad ogni passaggio.
Quando il genere si fa adulto riesce a far sognare e l’ascoltatore si ritrova a viaggiare sullo spartito di brani dall’appeal straordinario come l’opener Don’t Leave Behind, il primo singolo e video Soul Has Gone Away, la superba ed ipnotica Speed, la delicata These Words e Fear, brano da arena rock sorretto da chitarre più arrembanti e un andamento leggermente più ombroso.
La prova dei musicisti è del giusto livello per rendere l’album un’opera imperdibile per gli amanti del rock melodico influenzato dalla scena West Coast e, a conferma di ciò, nella versione in cd compare una nota introduttiva di Kenneth Bremer, caporedattore del noto portale internazionale Blue Desert.

Tracklist
01. Don’t Leave Me Behind
02. Soul Has Gone Away
03. Hidden Treasures
04. The Joker
05. Skyline
06. Speed
07. These Words
08. Fear
09. It’s Not Like Dying
10. Touch The Stone
11. The Number One

Line-up
Davide Gilardino – Lead & Backing Vocals
Luca Carlomagno – Guitars, Keyboards & Violin
Roberto Barazzotto – Bass
Italo Graziana – Drums
Special Guest :
Christian Rossetti – Keyboards

MINDFEELS – Facebook

Motherslug – The Electric Dunes Of Titan

I Motherslug pubblicano uno dei migliori dischi dell’anno nel genere, e i contendenti non sono da poco, ma questo loro è veramente un bell’esempio di come si può riuscire a coniugare belle cose e pesantezza.

I Motherslug sono un gruppo che porta l’ascoltatore davvero lontano, con una proposta musicale fatta di stoner, sludge, ma soprattutto di un groove psichedelico pesante e costante, che continua a macinare eoni sonori.

La base di partenza può essere considerata lo stoner desert, e da lì si parte per un viaggio nello spazio. Il titolo nasce dalla notizia che su Titano le dune hanno una carica elettrica, e il gruppo di Melbourne rende tutto ciò in musica con un’opera maestra, un indicare vie sconosciute. I Motherslug pubblicano uno dei migliori dischi dell’anno nel genere, e i contendenti non sono da poco, ma questo lavoro è veramente un bell’esempio di come si può riuscire a coniugare belle cose e pesantezza. Ci sono pezzi che fluttuano in uno strano etere, altri momenti di durezza monolitica e tanta musica psichedelicamente dura. Questi australiani non hanno paura di sperimentare, e fanno quello che prefersicono, seguendo il loro stile e le loro viziose inclinazioni fino in fondo. Non ci sono cose trite o copiate, qui è tutto originale seguendo un percorso sonoro nato nel 2012 e che progredisce di disco in disco. Troppi dischi di questo genere sono simili fra loro e stereotipati, mentre questo album indica una via da seguire per viaggiare a pieni polmoni. Non c’è fretta, si deve solo calibrare la mente sulle vibrazioni degli Motherslug, e The Electric Dunes Of Titan farà il resto. Difficilmente in questo ambito si sente una tale completezza sonora, le composizioni nascono dalle jam, ma c’è molto di più, ed è tutto da sentire.

Tracklist
1.Electric Dunes of Titan
2.Downriver
3.Followers of the Sun
4.Stoned by the Light
5.Serpents
6.Staring at the Sun
7.Tied to the Mast
8.Cave of the Last God

Line-up
Regan: Guitar
Cyn: Bass
Nick: Drums
Cam: Vocals

MOTHERSLUG – Facebook

Nazghor – Infernal Aphorism

La band di Uppsala conferma quanto di buono fatto in passato, ribadisce l’approdo ad una tendenza maggiormente melodica già evidenziata nel precedente Death’s Withered Chants e, mirabilmente, continua a non deludere le attese, regalando un’altra ora di black inattaccabile per resa sonora, esecuzione e brillantezza compositiva.

Tenendo fede alle proprie ormai consolidate abitudini, gli svedesi Nazghor offrono al fans del black metal melodico di matrice svedese il loro annuale full length intitolato Infernal Aphorism.

Al sesto lavoro su lunga distanza in altrettanti anni di attività, i Nazghor si pongono quali ideali continuatori della tradizione del paese delle Tre Corone riguardo a questa derivazione del genere, che prende le mosse dagli imprescindibili Dissection, per arrivare fino ai giorni nostri ai Dark Funeral e ai Watain.
La band di Uppsala conferma quanto di buono fatto in passato, ribadisce l’approdo ad una tendenza maggiormente melodica già evidenziata nel precedente Death’s Withered Chants e, mirabilmente, continua a non deludere le attese, regalando un’altra ora di black inattaccabile per resa sonora, esecuzione e brillantezza compositiva.
Se l’originalità è qualcosa sulla quale, in determinati ambiti musicali, va messa sopra fin da subito una bella pietra (tombale), non si può fare a meno di salutare con favore un album come Infernal Aphorism, vero manifesto di un modo di interpretare il metal estremo in maniera impeccabile, con un brano emblematico quale The Darkness Of Eternity, esaltante nel suo incedere epico e solenne, con una magnifica impronta melodica che si staglia su ritmiche talvolta parossistiche.
Se vogliamo, queste sono le caratteristiche di tutti i brani, ma ciò non significa che il sound sia uniforme e senza variazioni sul tema: se il trademark resta comunque quello ampiamente descritto, troviamo comunque frequenti variazioni ritmiche e persino eleganti passaggi pianistici o tastieristici che, sovente, introducono i brani preparando sapientemente il terreno al deflagrare degli altri strumenti (emblematica in tal senso l’altra perla dell’album, Absence Of Light).
Nonostante i Nazghor si spingano oltre l’ora di durata, il loro Infernal Aphorism scorre via fluido e senza annoiare, facendosi al contrario ricordare per più di un episodio davvero riuscito: inutile dire che per i fans delle band citate quali termini di paragone o ispirazione, l’ascolto di quest’album è quanto meno doveroso.

Tracklist:
1. Opus Profanus
2. Malignant Possession
3. Decretion At Eschaton
4. The Darkness Of Eternity
5. Deathless Serpent
6. Rite Of Repugnant Fury
7. Ephemeral Hunger
8. Spawns Of All Evil
9. Absence Of Light
10. Infernal Aphorism

Line up:
Nekhrid – Vocals
Armageddor – Guitars
Angst – Guitars
Crowlech – Bass
Cosmarul – Drums

NAZGHOR – Facebook

Resistance – Metal Machine

La cover del classico Blackout degli Scorpions chiude in bellezza Metal Machine, album da spararsi senza ritegno o da usare come arma di disturbo per il vicino troppo attento ai rumori provenienti dallo stereo piazzato nella vostra stanza.

Una bomba metallica sta per esplodere sulla scena heavy/power metal mondiale, sulla fiancata porta la scritta Resistance ed è partita da Glendora, California.

La devastante portata dell’esplosione travolgerà una buona fetta dei paesi dove si suona e si ascolta heavy metal classico, forgiato nell’acciaio, duro come un incudine e travolgente come un tornado.
Judas Priest, Primal Fear e Vicious Rumors sono i padrini di questa miscela di otto brani arrembanti e taglienti, dalle ritmiche che alternano il tradizionale impatto priestiano di Painkiller con dosi mortali di power/thrash statunitense, arma in più del sound del gruppo californiano.
La carriera dei Resistance parte all’alba del nuovo millennio, anche se i protagonisti si aggirano nella scena metallica dalla seconda metà degli anni ottanta, con questo terzo full length licenziato dopo un paio di ep ed altre due prove sulla lunga distanza, uscite tra il 2004 ed il 2006 (Lies In Black e Patents Of Control) ed un altro ep uscito un paio di anni fa a rompere un silenzio di undici anni.
Poco male i Res,istance ritornano più grintosi che mai con questo Metal Machine, con guru del calibro di Bill Metoyer e Neil Kernon a dividersi produzione, masterizzazione e mix, ed otto brani incendiari che si alternano nel rimembrare ai metallari della vecchia guardia le scudisciate a suon di heavy metal dei gruppi di un tempo e con un accenno al metal stradaiolo alla W.A.S.P., che esce prepotentemente verso la fine e valorizza brani come Dirty Side Down e Heroes.
La cover del classico Blackout degli Scorpions chiude in bellezza Metal Machine, album da spararsi senza ritegno o da usare come arma di disturbo per il vicino troppo attento ai rumori provenienti dallo stereo piazzato nella vostra stanza.

Tracklist
1. Metal Machine
2. Hail to the Horns
3. Rise and Defend
4. Some Gave All
5. Time Machine
6. Dirty Side Down
7. Heroes
8. Blackout (Scorpions Cover)

Line-up
Robbie Hett – Vocals
Dan Luna – Guitars
Burke Morris – Guitars
Paul Shigo – Bass
Matt Ohnemus – Drums

RESISTANCE – Facebook

Coraxo – Sol

I Coraxo licenziano un piccolo gioiellino metallico, un raccolta di sensazioni e sfumature che portano inevitabilmente verso la perfetta simbiosi tra generi sfiorando i capolavori progressivi di Dan Swanö e dei suoi innumerevoli progetti.

Il metal e le decine di modi in cui si può esprimere si avvia verso il 2018 lasciando in eredità grandi album come questo spettacolare Sol, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Coraxo, duo finlandese attivo da qualche anno e con due ep ed il full length Neptune a completare la discografia.

Un sound molto particolare, che unisce svariati generi, in un clima estremo e progressivo, è quello che sentirete dopo aver premuto il tasto play del vostro lettore, entrando in un mondo in cui melodic death metal, progressive ed elettronica vivono in perfetta simbiosi.
Sol è composto da undici tracce che variano per umori ed atmosfere, estremo nel suo mantenere un impatto metallico potente, progressivo nei suoni tastieristici che ricordano il new prog britannico (quindi per rimanere nella penisola scandinava gli immensi Nightingale) e pregno di atmosfere elettroniche che rendono la musica del duo moderna e catchy.
Tomi Toivonen e Ville Vistbacka da Tampere licenziano un piccolo gioiellino metallico, un raccolta di sensazioni e sfumature che portano inevitabilmente verso la perfetta simbiosi tra i generi descritti, sfiorando i capolavori progressivi di Dan Swanö e dei suoi innumerevoli progetti.
I tasti d’avorio sono assolutamente protagonisti, le ritmiche si fanno estreme come il growl che accompagna la voce pulita e a tratti teatrale e declamatoria (Arcturus), mentre tra le note delle splendide Satellite, Retrograde, Revenants, tanto per nominarvene alcune, riecheggiano trent’anni di musica nata e sviluppata soprattutto nelle fredde terre del nord.
Il progressive incontra il death metal melodico e la new wave, e tra i solchi di Sol avrete il piacere di incontrare vecchi amici come Hypocrisy, Arcturus, Edge Of Sanity e Nightingale, con l’elettronica ed un pizzico di sci-fi a trasformare il tutto in un turbinio di spettacolare musica senza confini né tempo.

Tracklist
1.Your Life. Our Future
2.Of Stars Reborn
3.Satellite
4.Helios
5.Retrograde
6.Revenants
7.Ascension
8.Sunlight
9.Sacrifices Made
10.The Chase – In Hiding pt. 1
11.Spearhead

Line-up
Tomi Toivonen – Vocals, Guitars, Keyboards
Ville Vistbacka – Drums

CORAXO – Facebook

Folkstone – Ossidiana

Ossidiana è uno scrigno colmo di gioie e grande musica, per un gruppo che è decisamente una delle cose migliori che abbiamo in Italia, poiché riesce a rendere in musica e nelle parole una grande gamma di sensazioni e cose perse nei tempi andati.

Riesce davvero difficile definire folk metal i Folkstone, perché questo gruppo è molto più.

Il loro sesto album è molto maturo e completo e segna un ulteriore avanzamento nel viaggio che hanno intrapreso i Folkstone. Il gruppo sentiva il bisogno di una nuova fusione tra musica e parole, e l’hanno trovata progredendo ulteriormente, e Ossidiana è un disco di musica completa e di grande sostanza. Nel 2014, in Oltre L’Abisso, i Folkstone fecero una cover di Tex dei Litfiba, e con il gruppo fiorentino di quel tempo condividono quella maniera così efficace di unire immagini e parole, formando una narrazione che trasporta davvero lontano: non sono mai stati un gruppo ovvio e scontato, ma in questo disco raggiungono un livello superiore, mai toccato in Italia. Troppo spesso il folk metal viene bollato come genere vuoto, mentre ascoltando questo disco si capisce la ricchezza di questo linguaggio musicale quando finisce nelle mani giuste. I Folkstone fanno un’epica delle nostre vite, hanno testi profondi ed introspettivi e la musica è splendida, quasi come se ci trovassimo davvero in un’altra era, forse più vicina alla nostra anima. Tutto qui è curato nel minimo particolare, la registrazione a Zurigo ha giovato molto, e si sente un continuo miglioramento del loro livello. L’album è musicalmente molto ricco e tutte le canzoni entrano nel cuore e nella mente, aprendo entrambi ad emozioni notevoli. I Folkstone ci portano in giro per il mondo, abbattendo barriere che non hanno davvero senso, contano solo i sentimenti e qui ce ne sono davvero molti. Ossidiana è uno scrigno colmo di gioie e grande musica, per un gruppo che è decisamente una delle cose migliori che abbiamo in Italia, poiché riesce a rendere in musica e nelle parole una grande gamma di sensazione e cose perse nei tempi andati.

Tracklist
01. Pelle Nera e Rum
02. Scintilla
03. Anna
04. Psicopatia
05. Asia
06. Scacco al Re
07. Mare Dentro
08. E Vado Via
09. Istantanea
10. Supernova
11. Dritto al Petto
12. Sabbia Nera
13. Ossidiana

Line-up
Lorenzo Marchesi: Vocals
Roberta Rota: Pipes, Vocals, Rauschpf
Matteo Frigeni: Pipes, Hurdy Gurdy, Rauschpf
Maurizio Cardullo: Pipes, Woodwinds, Cittern
Andrea Locatelli: Pipes, Percussions, Rauschpf
Federico Maffei: Bass
Luca Bonometti: Guitars
Edoardo Sala: Drums

FOLKSTONE – Facebook

RAIN

Il video di “Black Ford Rising”, dall’album “Spacepirates” (Aural Music).

Il video di “Black Ford Rising”, dall’album “Spacepirates” (Aural Music).

Deep As Ocean – Broken Dreams

La proposta dei Deep As Ocean è un metalcore molto melodico e curato rivolto al pubblico più giovane, con intarsi tecnici al di sopra della media, ma sono anche in grado ben altro se lo volessero.

I Deep As Ocean nascono a Milano nel 2016 per mano dei fratelli Buttò, già nei Generation Fuckstar, e vengono completati da Matteo Bonfanti alla voce (See You Inside), Matteo Acquati al basso (Diamond Breakers) e Manuel Panepinto alla chitarra.

La loro proposta sonora è un metalcore molto melodico e curato rivolto al pubblico più giovane, con intarsi tecnici al di sopra della media, ma sono anche in grado ben altro se lo volessero. Senza andare troppo nel campo dell’ipotetico, questo ep di esordio è veramente ben prodotto e suona molto meglio dei dischi di altri nomi molto più celebrati ed in voga. Il metal qui è più un linguaggio che un genere, e viene usato per fare da contrappeso alla melodia: il risultato è buono, radiofonico e piacerà molto. A mio modesto avviso le critiche a gruppi come questo sono futili, perché questi ragazzi fanno molto bene, con passione e competenza la loro cosa, quindi se non piacciono il mondo musicale è sterminato e ci si deve rivolgere altrove. Essendo un debutto colpisce la loro già ben definita identità musicale e la forza nel portarla avanti. In questo core melodico si affaccia, portato dalle tastiere, qualche elemento dark gotico che potrebbe essere uno sviluppo futuro della loro musica; Broken Dreams resta un lavoro rivolto ad un pubblico ben definito, ma senz’altro dai molti aspetti positivi.

Tracklist
1. FLY OR FALL
2. BROKEN DREAMS
3. WASTED
4. FIGHT FOR SOMETHING
5. DEAD MAN

Line-up
Matteo Bonfanti – Vocals
Alberto Buttò – Guitar
Manuel Panepinto – Guitar
Matteo Acquati – Bass
Riccardo Buttò – Drums

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Granada – Sincronizado

Un carro armato che sputa rabbia, i Granada targati Sincronizado sono questo, prendere o lasciare, con la lingua madre che rientra nell’attitudine underground del gruppo ed uno sguardo al thrash metal statunitense inebriato dal crossover, in uso a cavallo dei due millenni.

Si torna in Argentina per parlarvi dell’ultima uscita targata Granada, thrash metal band di Buenos Aires già protagonista sulle pagine della nostra webzine un anno fa in occasione dell’uscita del precedente Prisionego.

Licenziato dalla Symbol of Domination Prod., quest’ultimo lavoro non cambia di una virgola la proposta del gruppo, che si aggira per i meandri metallici tra thrash metal e hardcore, con testi di denuncia politica e sociale e un sound che non lascia scampo, offrendo un rabbioso metallo cantato in lingua madre con  qualche passo nel groove, così da rendere ancora più potente l’impatto .
Un carro armato che sputa rabbia, i Granada targati Sincronizado sono questo, prendere o lasciare, con la lingua madre che rientra nell’attitudine underground del gruppo ed uno sguardo al thrash metal statunitense inebriato dal crossover, in uso a cavallo dei due millenni.
Meno panteriano del predecessore, Sincronizado è un terremotante album di thrash metal moderno, dalle ispirazioni punk/hardcore, quindi immaginatevi Nailbomb, Pro Pain e i Machine Head del sottovalutato The Burning Red, miscelati con attitudine e spirito preso in prestito dalla scena hardcore.
Dieci brani ed  altrettante prese di posizione sulle barricate, dieci cariche contro il sistema, atti di denuncia e mitragliate nel fondo schiena, mentre il fumo degli incendi si fa più spesso e le vetrine si infrangono sotto i colpi delle varie Poseso, Sincronizado o La Cosecha.
Per gli amanti del genere i Granada sono una garanzia di sfogo, si schiaccia il tasto play e si parte all’assalto senza se e senza ma.

Tracklist
1.Poseso
2.Sincronizado
3.Mensaje oculto
4.Provocación
5.Solve et Coagula
6.La cosecha
7.La serpiente
8.Almas vendidas
9.Prohibido por la luz
10.Más allá de la muerte

Line-up
Manuel “Manolo” Mauriño – Guitars
Guillermo “Guille” Estevez – Vocals, Guitars
Marcos Edwards – Drums
Matias Brandauer – Bass

GRANADA – Facebook

Dirty Grave – Evil Desire

Evil Desire è un lavoro più che onesto da parte di una band capace comunque di trasmettere buone vibrazioni e che trova il modo di non tediare l’ascoltatore grazie ad un approccio piacevolmente naif.

Full length d’esordio per i paulisti Dirty Grave, band il cui sound deriva in maniera quanto mai esplicita dai giganti del classic doom, partendo dai Black Sabbath per arrivare ai Saint Vitus e, soprattutto, ai Pentagram.

Il gruppo del redivivo Bobby Liebling pare essere, infatti, il principale punto di riferimento di questi musicisti, i quali non si pongono particolari problemi al riguardo, offrendo una prova di sostanza che, probabilmente, non entrerà negli annali del genere ma è ugualmente in grado di lasciare buone sensazioni all’ascoltatore.
Uno dei pregi del trio brasiliano è quello di non risultare monotematico, consentendo alla propia matrice tradizionalmente doom di espandersi verso sfumature diverse, come il blues della cover di Willie Dixon, Evil (Is Going On), l’inprinting hendrixiano della title track, l’hard rock psichedelico di Satan’s Wings, questo tanto per citare solo alcune della canzoni di un album piuttosto scorrevole e che lascia in chiusura la più oscura e minacciosa The Black Cloud Comes.
Psichedelia e blues sono comunque le due componenti che vanno a compenetrarsi con le radici più profonde del doom il che, complice una produzione abbastanza sporca, conferisce all’album quell’aura vintage che indubbiamente si confà a simili coordinate sonore.
Evil Desire è un lavoro più che onesto da parte di una band capace comunque di trasmettere buone vibrazioni e che trova il modo di non tediare l’ascoltatore grazie ad un approccio piacevolmente naif.

Tracklist:
01. Satan’s Wings
02. Until The Day I Die
03. Evil Desire
04. Evil (Is Going On) [Willie Dixon cover]
05. Beyong The Door
06. Remorse
07. You Dead
08. The Black Cloud Comes

Line-up:
Mark Rainbow – vocal, bass
Victor Berg – guitar
Arthur Assis – drums

DIRTY GRAVE – Facebook

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