Hertz Kankarok – Make Madder Music

Hertz Kankarok conferma e rafforza le impressioni destate in occasione dell’esordio, offrendo con questo nuovo ep intitolato Make Madder Music un’altra mezz’ora abbondante di sonorità fresche e imprevedibili.

Dopo un ep sorprendente come Livores, datato 2015, ritorna Hertz Kankarok con la sua proposta trasversale, inquieta e lontana dalla banalità.

Il musicista siciliano conferma e rafforza le impressioni destate in occasione dell’esordio, offrendo con questo nuovo ep intitolato Make Madder Music un’altra mezz’ora abbondante di sonorità fresche e imprevedibili, in quanto anche quando può sembrare che siano le ritmiche nervose del djent a prendere il sopravvento, in realtà troviamo sempre una linea melodica ben definita a guidarci nel labirinto musicale ideato da Hertz Kankarok, il quale, come nel precedente lavoro, si dedica esclusivamente ad una versatile interpretazione vocale lasciano ad Andrea Cavallaro (nei primi tre brani) e a Dario Laletta (nel quarto) l’onere di occuparsi dell’intera parte strumentale e degli arrangiamenti.
Per quanto anomali, questi connubi funzionano a meraviglia e questo nuovo ep si dimostra l’ulteriore sviluppo di un sound che era già apparso ampiamente evoluto in Livores: forse nel complesso la struttura dei brani è leggermente più arcigna, ma i cambi di scenario, talvolta repentini, che fanno approdare il sound su lidi molto più ariosi ed atmosferici, avvengono sempre con magistrale fluidità.
Nei quattro brani che vanno a comporre questo ep non c’è un solo momento di stasi, con i suoni che si rivelano ottimali sia quando al proscenio salgono riff secchi e taglienti sia quando il tutto assume connotati più melodici od evocativi.
Del resto, ascoltando più volte Make Madder Music, mi sono reso conto di quanto sia complesso provare a descrivere i brani, anche per la difficoltà oggettiva nell’individuare un termine di paragone o di ispirazione ben definita: volendo esemplificare al massimo, nel corso del lavoro di volta in volta si manifestano richiami che vanno  da Meshuggah a King Crimson, dai Nevermore ai Tiamat, dai Nine Inch Nails per giungere perfino ai Devil Doll, ma sono citazioni del tutto soggettive e che i,n quanto tali lasciano il tempo che trovano. Ma la cosa che maggiormente conta è il consuntivo finale, rappresentato in questo caso da un lavoro che convince e, in più di un passaggio, entusiasma, passando dalle nervose ruvidezze di una Cargo Cult alla stupefacente solennità del capolavoro Who Is Next, e con le irrequiete Deceive Yourself! e The Great Whirlpool (la cui seconda metà rappresenta la chiusura ideale per qualsiasi disco) a mostrare la capacità di cambiare veste in maniera vorticosa senza soluzione di continuità come i migliori dei trasformisti.
Hertz Kankarok per lavoro ha viaggiato molto ed ha vissuto in diversi paesi, anche extraeuropei: questa sua indole cosmopolita influisce nel suo percorso compositivo non tanto in maniera diretta, perché nella sua musica le pulsioni etniche appaiono ma non in maniera preponderante, quanto nella naturalezza con la quale i vari impulsi vengono assimilati e poi trasformati in sonorità che, pur non offrendo uno stabile punto di riferimento, non appaiono mai dispersive od ancor peggio ridondanti.
Tutto questo consente di affermare, senza tema di smentita, che questo musicista atipico è stato nuovamente in grado di offrire, a distanza di qualche anno, un’ulteriore testimonianza di una sound innovativo e progressivo nel senso più autentico del termine, con il decisivo valore aggiunto di una scrittura ficcante e sempre ben lontana da una sterile esibizione di tecnica, nonostante la possibilità di avvalersi di due compagni d’avventura di eccezionale bravura come Cavallaro e Laletta.
Resta solo da ottenere, per Hertz Kankarok, la consacrazione a questi livelli con un full length, auspicabilmente con l’aiuto decisivo di una label capace di promuoverne a dovere la musica.

Tracklist:
1. Deceive Yourself!
2. Cargo Cult
3. Who Is Next?
4. The Great Whirlpool

Line-up:
Hertz Kankarok – Vocals
Andrea Cavallaro – Guitars, bass, Synths on 1.2.3.
Dario Laletta – Guitars, bass, Synths on 4.

HERTZ KANKAROK – Facebook

PACINO

Il video di “Out Of The Cage”, dall’album “Fallen America” (Sneakout Records / Burning Minds Music).

Il video di “Out Of The Cage”, dall’album “Fallen America” (Sneakout Records / Burning Minds Music).

Sneakout Records & Burning Minds Music Group sono lieti di annunciare che il video di “Out Of The Cage”, primo singolo estratto dal debut album degli alternative rocker Pacino, “Fallen America”, è ora online.

“Fallen America” è previsto per il rilascio il prossimo 1 Giugno 2018 via Sneakout Records / Burning Minds Music Group.

Ordina la tua copia ora: https://www.rocktemple.it/shop/4089/Pacino-Fallen%20America-

“Fallen America” tracklist:
01. Fallen America
02. Lately
03. Lifestyle
04. Desert Trip
05. Out Of The Cage
06. Iknusa
07. The Misanthrope
08. Under My Feet

Line-up:
Mattia Briggi: Voce
Francesco Bozzato: Chitarra
Bruno Zocca: Tastiere, Synth
Douglas D’Este: Batteria

Web/Social Links:
https://www.facebook.com/pacinoband

https://www.facebook.com/sneakoutrecords

https://www.burningmindsgroup.com/sneakout

OGNI DOMENICA ALLE 22, ALL’INTERNO DI OVERTHEWALL

Nel corso del programma condotto da Mirella su EnergyRadio, avremo uno spazio di qualche minuto nel corso del quale porteremo in evidenza i migliori dischi da noi recensiti nel corso della settimana. Qui è disponibile la versione testuale dell’ultima puntata.

Riproponiamo questa rubrica con la quale noi di Metaleyes porremo alla vostra attenzione alcuni tra i dischi dei quali abbiamo parlato nel corso della settimana.

La settimana scorsa non siamo andati in onda dato che la nostra speaker preferita è stata impegnata nelle vesti di presentatrice del Metal Queen’s Burning Night, quindi sono molti i lavori degni di menzione accumulatisi in questi 15 giorni, per cui li porterò alla vostra attenzione con una rapida carrellata.
Cominciamo con il ritorno di due nomi pesanti provenienti dal nord europa, sto parlando degli At The Gates con To Drink From The Night Itself, e degli Amorphis con Queen Of Time, due opere convincenti per band che non hanno bisogno di presentazioni e che dimostrano come il passare degli anni non ne abbia affievolito l’impatto; c’è senz’altro chi non sarà d’accordo sostenendo che questi dischi non sono all’altezza delle loro opere più datate ma, attenzione, se si guarda sempre indietro non si vede dove si appoggiano i piedi mentre si cammina e in più si rischia un fastidioso torcicollo …
Sempre in ambito melodic death va segnalato l’ottimo The Light That Shines dei francesi Fractal Gates, mentre chi ama il thrash non dovrebbe farsi sfuggire l’ultimo lavoro degli spagnoli Angelus Apatrida, Cabaret De La Guillotine e infine, per chi si ritiene orfano dei migliori Nightwish, è doveroso l’ascolto del full length d’esordio dei bulgari Metalwings, For All Beyond.
Voliamo nella nostra ingovernabile penisola segnalando, in ambito heavy/power metal, i Chronosfear con l’album omonimo e i Nereis con Turning Point; per le sonorità più estreme, black metal nello specifico, emergono i Kyterion con Inferno II e gli storici Abhor con Occulta Religio.
Per quanto riguarda sonorità più moderne e nervose ecco poi il metalcore dei Last Resistance con A World Painted Grey ed il postmetal degli Sterpaglie con Pellicano del Deserto.
L’angolo del doom contiene un’altra band italiana, i siciliani Haunted, autori del magnifico Dayburner, gli inglesi Grave Lines con Fed Into The Nihilist Engine e gli statunitensi Chrch con Light Will Consume Us All, entrambi interpreti del miglior sludge. Chiudo segnalando un album decisamente ostico ma a mio avviso di enorme valore come quello degli inglesi Bodies On Everest , i quali con A National Day Of Mourning offrono un inquietante spaccato della cupa realtà che ci circonda con un terrificante mix di psichedelia ,drone, sludge, ambient ed elettronica.

EnergyRadio

Hekate – Totentanz

Un lavoro che mantiene un tasso qualitativo bel al di sopra della media, con il suo picco in un episodio magnifico come Lost And Broken, brano emblematico di una capacità di scrittura da parte degli Hekate che sicuramente non è stata corrotta dal tempo.

Hekate è uno dei nomi che gode di maggiore considerazione all’interno della scena neofolk tedesca, in virtù di una carriera iniziata nei primi anni novanta seppure non ricchissima di uscite.

Peraltro, ascoltando questo ultimo lavoro intitolato Totentanz, l’inserimento in questo filone musicale appare calzante soprattutto nella parte iniziale, in coincidenza con i brani cantati da Axel Menz, il quale conferisce al tutto un’aura solenne sia nei brani in inglese che in quelli in lingua madre.
Nella seconda metà dell’opera entra in scena invece la voce di Susanne Grosche, vocalist bravissima ed espressiva ma che, inevitabilmente, fa venire meno quell’alone algido e marziale che è da sempre la parte che più mi affascina in tale ambito.
Al di là del gusto personale, il lavoro non soffre però di evidenti cali qualitativi grazie a brani che brillano per pulizia esecutiva e ricerca di soluzioni sempre evolute.
Certamente il lungo rituale intitolato Embrace The Light si discosta parecchio dal minimalismo della successiva Desire e, tenendo conto dei già citati brani cantati da Menz, questa apparente disomogeneità può essere l’unica pecca, sia pure minima, in un’opera che sicuramente non delude dall’alto dell’esperienza dei musicisti coinvolti, anche se il progressivo spostarsi del sound verso pulsioni più sperimentali impedisce a Totentanz di raggiungere quell’eccellenza alla quale sembrava destinato dopo i primi tre quattro brani.
Il tutto va ricondotto comunque al mantenimento di un tasso qualitativo bel al di sopra della media, in un lavoro che trova il suo picco in un episodio magnifico come Lost And Broken, brano emblematico delle capacità di scrittura da parte degli Hekate che sicuramente non è stata corrotta dal tempo.

Tracklist:
01. The Old King
02. Lost And Broken
03. Mondnacht
04. Luzifer Morgenstern
05. Ascension Day
06. Totentanz
07. Spring Of Life
08. Embrace The Light
09. Desire
10. Am Meere

Line-up:
Axel Menz
Susanne Grosche

HEKATE – Facebook

Blood Rites – Demo 1

Il black metal dei Blood Rites si rivela una morbosa, blasfema ed efficace cascata di suoni, prodotta in maniera adeguata alla bisogna ed in grado di assolvere al compito di colpire mortalmente in maniera concisa ma definitiva

Sputato fuori da chissà quale antro infernale, ecco arrivare a noi questo demo dei cileni Blood Rites, sotto l’egida della sempre attiva label portoghese Caverna Abismal.

Ovviamente il tutto rigorosamente in cassetta, in ossequio al gradito ritorno di un formato che ben si addice a sonorità crude e che, a loro modo, rifuggono la modernità: il black metal dei Blood Rites si rivela una morbosa, blasfema ed efficace cascata di suoni, prodotta in maniera adeguata alla bisogna ed in grado di assolvere al compito che la band si è proposta, quello di colpire mortalmente in maniera concisa ma definitiva, per poi tornare a rintanarsi nel sottosuolo nel quale gli interpreti più genuini del genere prosperano e si riproducono.
Dichiaratamente ispirati al sound ellenico dei primi vagiti di band seminali come Varathron, Rotting Christ e Necromantia, i tre sudamericani dimostrano di sapere il fatto loro, infiorettando ognuno dei brani con intro minacciose quanto funzionali alla causa; perché sembra facile a parole ricalcare gli stilemi di un black diretto e lineare, ma non lo è affatto all’atto pratico riuscire a renderlo in maniera così credibile. Onore ai Blood Rites, sperando di ritrovarli prossimamente alle prese con un uscita dal minutaggio più corposo.

Tracklist:
1.Holy Hate
2.Mask of Damnation
3.Dark Majestics

Line up:
Mal’EK – Guitars, Vocals
RH – Drums, Keyboards
NW – Bass

Horrorgraphy – Season of Grief

Season of Grief  alla fine si lascia ascoltare ma, quasi ad avallare l’impietosità del confronto, la band greca piazza alla fine la cover di The Rise of Sodom and Gomorrah che definisce con chiarezza la distanza siderale che spesso intercorre tra i maestri di un genere ed i loro volenterosi epigoni.

La recente uscita dei Therion, viste le sue dimensioni inusuali, dovrebbe aver placato per un po’ la sete di symphonic gothic metal degli appassionati.

Diviene così ancora più difficile per le band minori trovare nuovi spazi in un settore che di suo è già sufficientemente inflazionato, figuriamoci poi se uno dei nomi di punta se ne esce con tre ore di musica inedita.
Ci provano ugualmente i greci Horrorgraphy a ritagliarsi uno spazio, con questo lavoro d’esordio che non nasconde in alcun modo la devozione nei confronti dell’opera di Christofer Johnsson.
Il tutto avviene, ovviamente, senza che a disposizione ci siano né i mezzi né il talento per avvicinare quei livelli, ma nonostante ciò il risultato finale non è affatto deprecabile.
Dimon’s Nigh, già incrociato con altri suoi progetti come Humanity Zero e Inhibitions, si occupa di tutta la parte musicale e si avvale di tre voci, quella femminile di Marialena Trikoglou e quelle maschili di Pain e Seek.
La configurazione, sia detto con il massimo rispetto, sembra quella di una sorta di Therion dei poveri e quello che ne deriva non può che essere inevitabilmente un discreto surrogato e nulla più.
A livello compositivo Season of Grief mostra buone intuizioni, mentre la perfezione sonora ed esecutiva delle opere johnssoniane è piuttosto lontana; meglio quindi allorché gli Horrorgraphy spingono in po’ più sull’acceleratore, dato che nelle parti più evocative e rarefatte certe carenze (voce femminile e chitarra solista in particolare) tendono ad emergere più nettamente.
Season of Grief  alla fine si lascia ascoltare ma, quasi ad avallare l’impietosità del confronto, la band greca piazza alla fine la cover di The Rise of Sodom and Gomorrah che definisce con chiarezza la distanza siderale che spesso intercorre tra i maestri di un genere ed i loro volenterosi epigoni.

Tracklist:
1. In a Dark Time
2. Ghosts
3. Hauted
4. The March of the Dead
5. Hounds of Hell
6. Her Violin Sings at Night
7. Join Me in Suicide
8. Season of Grief
9. The Rise of Sodom and Gomorrah (Therion cover)

Line up:
Dimon’s Night – All instruments, Songwriting
Pain – Vocals
Seek – Vocals
Marialena Trikoglou – Vocals (soprano)

Coroner – R.I.P.

R.I.P. è il primo dei full length ristampati dalla Century Media utili a ricordare chi fossero i Coroner, una band di fondamentale importanza nello sviluppo di un certo tipo di trash metal tanto d’impatto quanto tecnico ed innovativo.

La Century Media ha rimesso meritoriamente in circolazione i primi tre dei cinque full length pubblicati dai Coroner, una band che non dovrebbe avere bisogno di presentazioni, vista la sua importanza nello sviluppo di un certo tipo di trash metal tanto d’impatto quanto tecnico ed innovativo.

Presupponendo che queste righe vengano lette da qualcuno che non abbia mai sentito parlare del gruppo svizzero, si può tranquillamente affermare che con R.I.P., album d’esordio uscito nel 1987, veniva decisamente alzata l’asticella qualitativa in un genere che, poco più a nord, era da qualche anno letteralmente esploso sotto i colpi inferti dalla triade formata da Kreator, Sodom e Destruction.
Ciò che sorprende in un lavoro come R.I.P. è il suo non essere a rischio di obsolescenza: infatti, nonostante una produzione che per forza di cose trent’anni fa non poteva essere paragonabile a quelle odierne, questi tre magnifici musicisti dimostravano una creatività ed una padronanza strumentale non comune, che brani come Suicide Commando e Coma esibivano in maniera eloquente.
Dopo lo scioglimento avvenuto nei primi anni novanta, successivamente al’uscita di Grin, il solo vocalist e bassista Ron Royce non è più stato coinvolto con altre band all’interno della scena, mentre Marquis Marky è stato impegnato con gli Apollyon Sun di Tom G.Warrior e Tommy T.Baron ha svolto un ruolo da protagonista nei due album più sperimentali (non a caso) dei Kreator, Outcast ed Endorama.
Oggi la band risulta in teoria ancora attiva, ma dopo il tour effettuato all’inizio del decennio e l’annuncio di un possibile nuovo disco qualche anno fa, di fatto non si hanno più notizie che confermino questa possibilità: sperare non costa nulla, perché personaggi di questa levatura potrebbero avere ancora moltissimo da dire.

Tracklist:
1. Intro
2. Reborn Through Hate
3. When Angels Die
4. Intro (Nosferatu)
5. Nosferatu
6. Suicide Command
7. Spiral Dream
8. R.I.P.
9. Coma
10. Fried Alive
11. Intro (Totentanz)
12. Totentanz
13. Outro

Line-up:
Tommy T. Baron – Guitars, Vocals (backing)
Marquis Marky – Vocals (backing), Drums
Ron Royce – Vocals, Bass

CORONER – Facebook

HOGS – Milano 3 giugno

Gli HOGS saranno in trasferta a MILANO domenica 3 GIUGNO, per presentare il loro album “Fingerprints”, uscito l’11 maggio per Red Cat Records/7Hard, all’interno dell’ evento “Gym Live Jam – La Palestra Della Musica”

https://www.facebook.com/events/1800625503340329/

Palestra Visconti, via Bellezza 16/A Milano
Dalle ore 17.00 alle ore 19.00

Presentazione nuovo album degli HOGS, “Fingerprints” con conferenza stampa e concerto a seguire.
Lo storico gruppo fiorentino percorrerà più di 200 km per venirci a trovare a Gym Live Jam e improvvisare con noi.
Non vediamo l’ora di sentire il loro nuovo disco live!

Homepage: www.hogsband.com/

Facebook: www.facebook.com/hogsband

Youtube: www.youtube.com/channel/UCXla5VyvN7zkAjuuoudFYjg

www.redcatpromotion.com

AVELION

Il video del singolo “Echoes And Fragments”.

Il video del singolo “Echoes And Fragments”.

Gli AVELION pubblicano un nuovo video, si tratta del singolo “Echoes And Fragments” Remix by The Algorithm.

Il singolo sarà disponibile anche su Spotify e iTunes

Chronosfear – Chronosfear

Un power metal spontaneo, con un tocco moderno di prog che riesce a non sconfinare nel virtuosismo.

I Chronosfear si presentano al mondo con un album omonimo, un biglietto da visita per chi ancora non avesse capito con chi si ha a che fare.

Sì, perché ci sono dei pezzi da 90 dello scenario metal del nord Italia. La band, composta da 5 elementi, è nata nel 2003 con un altro nome e con l’intenzione di proporre cover rivisitate. Solo tra il 2015 e il 2016 completa la formazione con gli attuali elementi e sforna questo condensato di power metal con l’aggiunta di una sana nota di prog firmato Underground Symphony Records (che ha lavorato con gente del calibro di Labyrinth e Fabio Lione)
La formazione con una sola chitarra è del tutto uguale a quella dei Sonata Arctica, eccezion fatta per la virtuosa keytar di Klingenberg che però, di fatto, è uno dei pregi di questo album. Il virtuosismo dei singoli è infatti sempre controllato, malgrado il genere sia presti molto e ci abbia sempre abituato agli assoli di 5 minuti con tanto di botta e risposta continui tra chitarre e tastiere,-ma  i Chronosfear riescono a non eccedere mai, anche quando potrebbero.
Il disco ci fa saltare da momenti molto carichi dell’energia tipica del power a momenti lenti ed emozionanti con una disinvoltura tale che l’ascoltatore non se ne stanca mai. Tutto questo ovviamente, si ripercuote anche sui testi. I temi ci fanno viaggiare da battaglie per l’equilibrio dell’universo a tematiche più gotiche legate alla vita ed il suo significato, fino a quello attualissimo della guerra contemporanea. Insomma, ce n’è per tutti i gusti.
Se siete amanti del power metal non potrete che apprezzare questo lavoro d’esordio dei Chronosfear, che li posiziona certamente in cima alla lista dei dischi in uscita tra i gruppi emergenti. L’auspicio è che possa essere il primo di una lunga serie. L’inizio è dei migliori, ma presto vorremo conoscerne il seguito.

Tracklist
01. Clockworks
02. The gates of Chronos
03. Symphonies of the dreams untold
04. The last dying ember
05. Of dust and flowers
06. Faces
07. Innocent and lost
08. The ascent
09. Time of your life
10. Revelations
11. Homeland

Line-up
Filippo Tezza – Vocals
Eddie Thespot – Guitars
Davide Baldelli – Keyboards
Xavier Rota – Bass
Michele Olmi – Drums

CHRONOSFEAR – Facebook

Omination – Followers of the Apocalypse

Se può apparire inconsueta una proposta del genere proveniente dalla Tunisia, non lo è affatto dal punto di vista dell’ortodossia stilistica che mostra, quale unica possibile devianza, una propensione verso ritmiche di matrice black disseminate all’interno di un’opera di un’ora e mezza di durata.

Omination è un progetto solista di matrice funeral death doom che esibisce quale sua indubbia particolarità il fatto d’essere opera di un musicista tunisino, Fedor Kovalevsky.

Se può apparire inconsueta una proposta del genere proveniente da un paese magrebino, non lo è affatto dal punto di vista dell’ortodossia stilistica che mostra, quale unica possibile devianza, una propensione verso ritmiche di matrice black disseminate all’interno di un’opera di un’ora e mezza di durata.
Fedor si era già fatto vivo quest’anno con il demo …Whose Name Is Worthlessness, contenente l’omonima lunghissima traccia che ritroviamo anche in questo primo full length intitolato Followers of the Apocalypse.
Ed è, appunto, l’Apocalisse ad essere il tema dominante di un lavoro sul quale aleggia una religiosità inusuale per questo tipo di sound, così come non lo è invece una visione purificatrice che, personalmente, mi sgomenta più che consolarmi, ma in fondo questo è il frutto dell’insanabile dicotomia tra chi crede in qualcosa e chi no.
L’approccio del musicista tunisino alla materia è comunque dei migliori, grazie ad un’aura minacciosa che aleggia costantemente sul tutto e che, se risente inevitabilmente d’una cospicua durata impedendo una fruizione agevole, d’altra parte esibisce più di un momento di spaventosa intensità, che ha a mio avviso il suo apice in una traccia dal crescendo drammatico come Crossing the Frozen Wasteland, anche se la stessa …Whose Name Is Worthlessness non scherza in tal senso, con il suo magnifico finale in odore di Skepticism.
Il funeral degli Omination non offre moltissimo spazio alla melodia ma, allo stesso, tempo risulta avvolgente ed emotivamente di grande impatto: in tal senso fa parzialmente eccezione la splendida traccia iniziale The Temple of the End of Time, che rende piuttosto manifesto quali siano le nobili fonti di ispirazione per Fedor, che mette nel mirino Esoteric e Mournful Congregation senza approdare neppure troppo lontano da tali obiettivi.
Followers of the Apocalypse sorprende piacevolmente, allargando ancor più la geografia di un genere come il funeral doom che continua a regalare emozioni a chi riesce a guardare al di sopra dello spesso drappo nero che avvolge un’umanità alla sbando.

Tracklist:
1. The Temple of the End of Time
2. Towards the Holocaust
3. Followers of the Apocalypse
4. Crossing the Frozen Wasteland
5. The Whirlpool of Ignorance
6. A Replica…
7. …Whose Name Is Worthlessness
8. Maybe (The Ink Spots)

Line up:
Fedor Kovalevsky

OMINATION – Facebook

DYING AWKWARD ANGEL

Il lyric video di “Maldita Seas”, dall’album “Absence of Light” (Rockshots Records).

Il lyric video di “Maldita Seas”, dall’album “Absence of Light” (Rockshots Records).

Italian death metal tyrants DYING AWKWARD ANGEL have posted a new lyric video “Maldita Seas” in support of their new full length “Absence of Light” out now as of May 25th via Rockshots Records.

Initially formed two decades ago in Turin, Italy, DYING AWKWARD ANGEL are a total testament to the strength and convictions of true metallers. Enduring line-up changes and travails that would have crushed a lesser band, DYING AWKWARD ANGEL refused to die…instead they have thrived!

Inspired by In Flames, At The Gates, Carcass, Dark Tranquillity, in 2013, DYING AWKWARD ANGEL unleashed their debut full length album ‘Waiting For Punishment’, following it in 2016 with a well-received EP entitled ‘Madness Rising’. Now in 2018, the band’s current line up with founding member Edoardo Demuro on guitar, Luca Pellegrino on drums, Lorenzo Asselli on guitars, David Onidaon on bass and Michael Spallieri on vocals release their next full length “Absence of Light”.

Guitarist Edoardo Demuro comments:

“We started with the only goal of destroying everything…Over the years we have been working to achieve a more solid and understandable sound. We have created the very personal Dying Awkward Angel sound…’Absence of Light’ is a new era for us; the first official release, a mature sound, an increased richness of themes, a real powerful new voice on our music. You can see it as the might of God, when it doesn’t give you what you expected. This new chapter of Dying Awkward Angel is heavy, fast, powerful, dark and bright at the same time. We hope to give the fans the same emotions we have when we play! We hope they have a lot of fun!”

“Absence of Light” is available for stream and download on Rockshots.eu here, iTunes, Spotify and all other major online retailers.

Track Listing:
1. Blood of Your Blood (5:39)
2. Death Coach (2:58)
3. Isaiah 53:7 (4:33)
4. Shade (2:54)
5. Dolls (4:50)
6. Sancta Sanctorum (4:19)
7. Absence of Light (1:59)
8. Maldita Seas (4:03)
9. The Dust Devil (3:52)
10. T.U.S.K. (3:42)
11. The Killing Floor (5:47)
Album Length: 44:42

DYING AWKWARD ANGEL is:
Edoardo Demuro (Guitars)
Luca Pellegrino (Drums)
Lorenzo Asselli (Guitars)
Davide Onida (Bass)
Michele Spallieri (Vocals)

For more info:
http://www.Rockshots.eu
http://www.dyingawkwardangel.com
https://www.facebook.com/dyingawkwardangel
https://twitter.com/dyingawkwarda

ENEMYNSIDE

Il lyric video di Buried Past, dall’album “Dead Nation Army.

Il lyric video di Buried Past, dall’album “Dead Nation Army.

I thrashers capitolini ENEMYNSIDE hanno pubblicato un nuovo lyric video per la loro canzone “BURIED PAST”, tratta dall’EP intitolato “Dead Nation Army” uscito lo scorso 23 Gennaio.
Il video creato da Stefano Mastronicola, conferma attraverso il testo e la musica di questa canzone, tutta la potenza di questo quartetto.

Cavus – The New Era

Fatta salva la possibilità di ascoltare una quarantina di minuti di musica diretta e senza fronzoli, The New Era non ha le caratteristiche necessarie per diventare qualcosa di meno rumorosamente effimero di quanto non sia un temporale estivo.

Secondo full length per questa band finlandese dedita ad un black metal abbastanza canonico nel risultato finale, pur se intriso di diverse pulsioni che oscillano dal black’n’roll (Presence of Existence) a passaggi al limite del grind, almeno per quanto riguarda la velocità impressa alle ritmiche (Killtech).

E’ senz’altro apprezzabile la furia con la quale il gruppo si scaglia nell’arena, fendendo colpi senza porsi troppi problemi se, nella concitazione, vengono lasciate a terra anche vittime innocenti, ma fatta salva la possibilità di ascoltare una quarantina di minuti di musica diretta e senza fronzoli, The New Era non ha le caratteristiche necessarie per diventare qualcosa di meno rumorosamente effimero di quanto non sia un temporale estivo.
L’album non è del tutto deprecabile, sia chiaro, ma ritengo che un lavoro di questo genere possa attrarre solo chi, dal metal estremo, vuole ascoltare più baccano possibile: in tal caso le tracce citate e Calling the Flames, leggermente più articolata, al netto di quanto percepibile da una produzione che certo non aiuta, potrebbero anche risultare gradite.

Tracklist:
1. The New Era
2. Killtech
3. Divine Power
4. I Watch You Die
5. Morphine
6. Calling the Flames
7. The Strength of Hatred
8. Presence of Existence
9. Come to Me Shadows
10. There Will Be Blood

Line up:
A.R.G. – Bass
T.T.T. – Drums
J.K – Guitars
B.P. – Guitars, Vocals
H. – Guitars

CAVUS – Facebook

Skjult – Progenies ov Light

I brani sono oscuri e incalzanti come da copione, la produzione è tutto quanto serve ad apprezzare al meglio di genere, e pazienza se l’originalità è meno che ai minimi termini: questo disco è un bel tuffo in acque caraibiche che, al suono degli Skjult, si tramutano in quelle gelide dei fiordi norvegesi.

I vichinghi, come ben si sa, erano grandi nonché audaci navigatori e furono con ogni probabilità i primi a giungere sul continente americano, anche se nelle sue propaggini più settentrionali, ben prima di Colombo.

Crto che, ascoltando questo secondo album della one man band cubana Skjult, viene da pensare che possano essersi spinti sino ai Caraibi, visto che il sound offerto in  Progenies ov Light sembra più scandinavo di molti degli stessi gruppi norvegesi e svedesi. Con tale premessa, ovviamente, non ci sono da attendersi soverchie variazioni sul tema ma questo non impedisce al buon Conspirator di pubblicare un lavoro valido pur nella sua rigida ortodossia stilistica.
Fino ad oggi il nome più conosciuto del black metal cubano nel quale ci si era imbattuti era quello di Narbeleth, altro progetto solista dalle propensioni leggermente più atmosferiche, ma indubbiamente la scoperta di questi Skjelt testimonia di una scena che dalle parti dell’Avana è tutt’altro che anomala o pittoresca.
Per trovare la chiave di lettura dell’album è opportuno l’ascolto di un brano emblematico come Summoning the Eternal Black Flames of Death, dove echi degli Emperor di In The Nightside Eclipse sono più che una suggestione.
Progenies ov Light è un lavoro che magari a molti potrà apparire anacronistico, e forse lo sarebbe davvero se provenisse da una nazione nordeuropea: al contrario, l’approccio alla materia in qualche modo “puro” di Conspirator rende l’ascolto un’esperienza gradevolissima per intensità e convinzione.
I brani sono oscuri e incalzanti come da copione, la produzione è tutto quanto serve ad apprezzare al meglio di genere, e pazienza se l’originalità è meno che ai minimi termini: questo disco è un bel tuffo in acque caraibiche che, al suono degli Skjult, si tramutano in quelle gelide dei fiordi norvegesi.

Tracklist:
1. Into the Void
2. Immolation Rites
3. Summoning the Eternal Black Flames of Death
4. Glorious Night
5. Hail Blasphemous Hated (The Lord Is Upon Us)
6. A Crown of Horns
7. Dawn of an Era ov Light
8. Baptized by the Unholy Goat

Line up:
Conspirator

SKJULT – Facebook

Sadness – Ames De Marbre

La ristampa di quest’album degli svizzeri Sadness, uscito all’inizio degli anni novanta , da una parte fornisce l’occasione di riscoprire una band che all’epoca ottenne una discreta attenzione in virtù di una cifra stilistica anche coraggiosa, ma dall’altra ci fa constatare amaramente come gran parte dei lavori pubblicati poco meno di trent’anni fa fossero penalizzati da produzioni che impedivano loro di apparire ancora oggi attuali.

Questo, ovviamente, è un problema che riguarda sostanzialmente le opere di seconda fascia, come appunto fu Ames de Marbre,  esordio su lunga distanza per la band elvetica, edito nel 1993 e riproposto oggi grazie al meritorio operato dall’etichetta olandese Vic Records, le cui uscite son appunto perlopiù delle ristampe.
I Sadness proponevano un gothic doom che sembrava però suonato e composto con un approccio vicino al post punk, ricco quindi di buone intuizioni ma, col senno di poi, un po’ farraginoso e dai suoni anche troppo scarni; nonostante l’album conservi il suo fascino vintage, frutto anche di una scrittura mai scontata, della quale offrono una buona testimonianza brani magnifici come Lueurs e Red Script, quello che venticinque anni fa appariva alle nostre orecchie indubbiamente interessante oggi si rivela irrimediabilmente datato .
Pregio e difetto essenziale della band di Sion era quello di muoversi con buona padronanza all’interno del metal dalle tonalità più oscure, attingendo liberamente dal death, dal doom e dal gothic, cospargendo il tutto di una certa teatralità: come contraltare, mancava per forza di cose di quell’amalgama che probabilmente si sarebbe riuscita a trovare se le stesse composizioni fossero state affidate ad un produttore con i mezzi e le competenze odierne.
Tutto questo non significa che Ames de Marbre fosse un’opera trascurabile, anzi, credo fermamente che gli estimatori di certe sonorità potranno gradire non poco questa riedizione, che offre anche la possibilità di ascoltare i due demo pubblicati dai Sadness nel 1991 (Y) e nel 1992 (Eodious), utili più a fini di curiosità che altro, alla luce di una resa sonora ai limiti dell’ascoltabilità; non va dimenticato, però, che in quegli stessi tempi uscivano dischi che, pur con gli stesi mezzi tecnici a disposizione, se riascoltati oggi non sono affatto a rischio di obsolescenza (per esempio, Seredenades o Turn Loose The Swans) e questo è tutto ciò che fa la differenza tra album seminali (quelli citati) ed altri validi ma inevitabilmente destinati a restare confinati nella nicchia delle opere di culto ricordate da un numero esiguo di persone.

Tracklist:
1. Ames de Marbre
2. Lueurs
3. Tristessa
4. Opal Vault
5. Tears of Sorrow
6. Red Script
7. Antofagasta
8. Red Script
9. Eodipus
10. Disease of Life
11. Face of Death
12. Y
13. The Lost Colors
14. Outro

Line up:
Gradel – Drums
Steff – Guitars, Vocals
Chiva – Guitars, Piano
Andy – Bass, Vocals (German)

SADNESS – Facebook

Utburd – The Horrors Untold

Come per tutti quelli che saccheggiano a livello lirico l’opera di Lovecraft, non si può non provare un moto di empatia nei confronti di Tuor, ma ciò non basta ad evitare di derubricare l’album alla voce discreto ma non imprescindibile.

Ałtra one man band di provenienza russa, quella denominata Utburd si presenta come portatrice di un black metal atmosferico e dalle venature depressive.

In parte si può di anche essere d’accordo con entrambe le affermazioni, benché tali elementi non siano così evidenti nel corso dell’intero album.
L’operato di Tuor, musicista residente nella zona di Murmansk, sembra piuttosto ricordare quei lavori nei quali emergono semmai sonorità piuttosto dissonanti, senza lasciare spazio a quelle aperture melodiche che sarebbe lecito attendersi viste le premesse.
The Horrors Untold, secondo full length targato Utburd, fin dal titolo fa presagire riferimenti alla letteratura lovecraftiana, cosa puntualmente verificabile da brani come Rise Of Dagon e The Mystery Of Joseph Karven (che i realtà dovrebbe essere Joseph Curwen, protagonista di The Case Of Charles Dexter Ward, ma credo possa trattarsi di uno dei guai della traslitterazione dal cirillico); l’orrore evocato a livello di intenti fatica un po’ ad emergere, in quanto il sound mostra un volto per lo più solenne ed algido, il che non è affatto male di per sé ma paga alla lunga una certa mancanza di picchi qualitativi, forse a causa anche di una produzione che restituisce suoni quasi riverberati.
Alla fine, come per tutti quelli che saccheggiano a livello lirico l’opera del solitario di Providence, non si può non provare un moto di empatia nei confronti di Tuor, ma ciò non basta ad evitare di derubricare l’album alla voce discreto ma non imprescindibile.
La ricerca di un maggiore pathos da riversare nelle composizioni potrebbe rivelarsi la chiave di volta per inchiodare l’ascoltatore alla prossima  occasione; resta comunque la sensazione d’essere al cospetto di un progetto interessante e non banale, che ha solo la necessita di rifinire alcuni aspetti che ne frenano al momento il decollo.

Tracklist:
01. Rise Of Dagon
02. The Mystery Of Joseph Karven
03. Death From Mount Tempest
04. Pikman’s Triumph
05. The Horror Untold
06. He, Who Paint In Red
07. Waiting For Death Is Worse
08. He, Who Paint In Red (Instrumental Demo 2016)

Line up:
Tuor – all instruments and arrangements

UTBURD – Facebook

The Chapter – Angels And Demons

Gli otto brani che vanno a comporre il lavoro sono tutti decisamente validi, ognuno equilibrato nel suo oscillare tra un’anima più pesantemente metallica e quella più malinconica e gotica.

I portoghesi The Chapter sono una delle non poche band formatesi nello scorso decennio che, dopo un’uscita d’assaggio, hanno atteso molto tempo prima di dare alla luce un primo full length.

La band di Lisbona prova ad inserirsi nel filone gothic dark, immettendo nel proprio sound la robustezza del doom, e lo fa con un buon risultato tenendo fede alla consolidata traduzione lusitana che prende vita dai Moonspell ma passa anche da nomi meno famosi ma ugualmente rilevanti come Heavenwood, Painted Black e A Dream Of Poe.
Il vocalist Pedro Rodrigues si disimpegna ottimamente piazzando nelle parti più ruvide un pregevole growl, mentre le clean ricordano quelle di Jonas Renkse dei Katatonia e anche certe aperture melodiche riportano al periodo (secondo me) d’oro di Tonight’s Decision e Discouraged Ones.
Se poi aggiungiamo che, quando il sound si sposta su lidi gothic doom, il piacevole riferimento a tratti sembrano diventare i migliori Evereve, il quadro che si presenta è quello di una band che cerca di trovare soluzioni in qualche modo meno prevedibili, proprio in quanto pare attingere da fonti meno scontate rispetto a quanto fatti da altri gruppi.
Gli otto brani che vanno a comporre il lavoro sono tutti decisamente validi, ognuno equilibrato nel suo oscillare tra un’anima più pesantemente metallica e quella più malinconica e gotica: sicuramente le due canzoni iniziali, la title track dalle molte sfaccettature e Shattered Emotions, più rarefatta e vicina al melodic death doom d’autore, squarciano il velo sul potenziale dei The Chapter, il cui operato si rivela convincente e sempre intriso di un buon grado di emotività, sia quando sono i Moonspell a fungere da faro (Aenima Vipera) sia sempre i Katatonia (For A Ghost, To Live For) proprio per la bravura della band di Setubal nello svincolarsi da un’interpretazione calligrafica inserendo frequenti variazioni di ritmo.
Una bella prova che ha la sola controindicazione di un connubio tra monicker (The Chapter) e titolo dell’album (Angels And Demons) che, dalla ricerca su Google, restituisce praticamente solo informazioni sul best seller di Dan Brown o sul film che ne fu tratto, e questo non giova certo ad una divulgazione efficace delle informazioni riguardanti la band; quando è però la musica a parlare, i lusitani mettono sul piatto una padronanza del genere non scontata, tale da far presupporre e sperare che questo sia solo il nuovo inizio un di un percorso musicale ripartito con il piede giusto.

Tracklist:
1. Angels And Demons
2. Shattered Emotions
3. Aenima Vipera
4. For a Ghost
5. This Scar
6. To Live For
7. The Past is Dead
8. The Librarian

Line up:
Eurico Mealha – Bass
João Gomes – Guitar
Pedro Almeida – Guitar
Pedro Antunes – Drums
Pedro Rodrigues – Vocals

Guests:
Micaela Cardoso – Vocals

THE CHAPTER – Facebook

PAOLA PELLEGRINI LEXROCK

Il video di Lovely Man, dall’album Lady To Rock (Red Cat).

Il video di Lovely Man, dall’album Lady To Rock (Red Cat).

“LOVELY MAN”, il nuovo video di PAOLA PELLEGRINI LEXROCK , presentato in anteprima sulla home page di metal.it, è disponibile ora su YouTube:

“Paola Pellegrini è forse una delle donne più complesse e carismatiche che la nostra nazione possa vantare in ambito musicale”. MetalWave

“Un album corposo e bello da ascoltare complice anche la bella voce di Paola che riesce a dare il giusto equilibrio a questo album che merita davvero di essere ascoltato.”. Soundsgoodwebzine

“This is one hell of a cool release.” Battlehelm-UK

“SURELY INTERESTING LISTENING TO THIS ITALIAN JOB…WELL DONE”. Hardrockheavymetal-UK

CONTATTI ARTISTA:
SITO: www.lexrock.it
FACEBOOK: https://www.facebook.com/paolapellegrinilexrock
TWITTER: https://twitter.com/PaolaLexrock?s=07
INSTAGRAM: https://www.instagram.com/paola_pellegrini_lexrock/
YOUTUBE: https://www.youtube.com/user/LexrockLexrockwww.redcatpromotion.com

Mammoth Weed Wizard Bastard/Slomatics- Totems

Un’uscita che riunisce due tra le migliori realtà sludge doom provenienti dal Regno Unito.

Ad avvalorare la teoria secondo la quale gli split album sono sovente molto di più rispetto ad una semplice operazione discografica volta a mettere assieme due o più band, talvolta estranee l’una dall’altra per stile o status, al fine di ottimizzare tempi e spazi, eccoci a contemplare questa uscita che accoppia due tra le migliori realtà sludge doom provenienti dal Regno Uunito.

Certo, neppure Mammoth Weed Wizard Bastard e Slomatics possono definirsi band del tutto simili, visto il diverso approccio alla materia, ma sicuramente qui non vengono meno contiguità stilistica e comunione d’intenti.
I gallesi Mammoth Weed Wizard Bastard sono di formazione più recente e il loro doom psichedelico è fortemente caratterizzato dalla voce di Jessica Ball, la quale dona un tocco a tratti liturgico al sound della band. I due lunghi brani sono decisamente esaustivi rispetto alle caratteristiche di un’interpretazione davvero peculiare, con The Master and His Emissary che possiede un intrigante incipit elettronico volto ad introdurre, dopo alcuni minuti, le sonorità relativamente più canoniche del doom.
Si cambia facciata e con gli Slomatics in teoria il tutto si normalizza, anche se uno sludge doom come quello offerto dal trio nord irlandese non può essere certo considerato ordinario; qui però, fin da Ancient Architects, si capisce che il sound si appoggia meno sulle suggestioni vocali per volgersi in maniera più decisa all’impatto provocato da riff di enorme presa e potenza, mentre la voce del drummer Marty nella seconda traccia assume sembianze più consone ad una psichedelia che emerge insidiosa dalla spessa fanghiglia sonora.
In entrambi i casi, le interpretazioni delle band evidenziano come tali sonorità, quando vengono maneggiate da band britanniche, assumono toni ben diversi rispetto a ciò che avviene oltreoceano, alla luce di soluzioni relativamente più ricercate e un po’ meno truci.
Totems è, in definitiva, uno split album di una qualità non comune, tale da spingermi a consigliare agli appassionati del genere di non farselo sfuggire per alcun motivo.

Tracklist:
A
1. (Mammoth Weed Wizard Bastard) The Master and His Emissary
2: (Mammoth Weed Wizard Bastard) Eagduru

B
1: (Slomatics) Ancient Architects
2: (Slomatics) Silver Ships Into The Future
3: (Slomatics) Master’s Descent

Line-up:
Mammoth Weed Wizard Bastard
Jessica Ball – Bass, Vocals
James ‘Carrat’ Carrington – Drums
Wez Leon – Guitars, Effects
Paul Michael ‘Dave’ Davies – Guitars, Effects

Slomatics
Chris – Guitars
David – Guitars
Marty – Drums, Vocals

MAMMOTH WEED WIZARD BASTARD – Facebook

SLOMATICS – Facebook