Pain – Coming Home

Un album che sintetizza il credo musicale odierno del musicista svedese, un rock industriale dal piglio melodico, dark nelle atmosfere ma arioso nello spirito.

Peter Tägtgren si può certamente considerare insieme a Dan Swanö la mente più geniale del panorama metal scandinavo: leader dei seminali Hypocrisy, con cui ha scritto una serie di lavori irrinunciabili per gli amanti del death metal nord europeo prima, ed ora assoluto protagonista delle divagazioni elettro/industrial dei Pain, con in mezzo centinaia di album prodotti che ne hanno fatto una firma prestigiosa anche dietro alla consolle.

Tägtgren torna con i suoi Pain dopo la collaborazione con Till Lindemann, vocalist dei Rammstein, e Coming Home già dal titolo si preannuncia come un ritorno al progetto che ad oggi considera il solo mezzo per liberare la sua creatività, lontano dai dettami estremi di una band storica come gli Hypocrisy, focalizzandosi su di un genere che possiamo sicuramente considerare la strada ultima del musicista e produttore svedese.
Aiutato da Clemens Wijers per le orchestrazioni (Carach Angren), Tägtgren aggiunge un altro tassello alle fondamente della casa Pain con un lavoro godibilissimo, ultra melodico, ma ritmicamente pesante di quegli umori industriali che indubbiamente portano in terra tedesca e nel cortile della casa dei Rammstein.
Ma attenzione, dove il gruppo tedesco mantiene la sua più fortunata caratteristica, nell’andamento marziale e freddo, la musica dei Pain si nutre di umori dark wave, comuni al rock ottantiano, con l’occhiolino strizzato al pop di quegli anni, fortunato non solo per il metal ma pure per la musica mainstrem.
Ne esce come sempre un lavoro difficile da digerire per i fans storici del Tägtgren cattivo ed estremo dietro al microfono degli Hypocrisy: Coming Home risulta colmo di brani dal piglio radiofonico, una raccolta di episodi godibili in qualsiasi club sparso per le vie notturne delle città europee, meravigliosamente orchestrali, dannatamente irresistibili e commerciali come forse non i Pain prima d’ora non avevano mai prodotto.
Un album che sintetizza il credo musicale odierno del musicista svedese, un rock industriale dal piglio melodico, dark nelle atmosfere ma arioso nello spirito e A Wannabe, Pain In The Ass e Black Knight Satellite ne sono il più fulgido esempio.

TRACKLIST
01 – Designed to Piss You Off
02 – Call Me
03 – A Wannabe
04 – Pain in the Ass
05 – Black Knight Satellite
06 – Coming Home
07 – Absinthe-Phoenix Rising
08 – Final Crusade
09 – Natural Born Idiot
10 – Starseed

LINE-UP
Peter Tägtgren – vocals, guitar, programming

David Wallin – drums
Michael Bohlin – guitar
Johan Husgavfel – bass

PAIN – Facebook

Epica – The Holographic Principle

Una perfezione raggiunta passo dopo passo, album dopo album in un crescendo artistico che ha portato il gruppo a questo capolavoro.

Ecco il classico album che, ammettiamolo, mette in difficoltà chiunque si approcci all’ascolto con mire di giudizio da scrivere su di una pagina cartacea o quella virtuale di una webzine.

Non mancheranno le (a mio modo di vedere) scontate track by track e pure qualche giudizio non troppo positivo, rimane, sempre per il sottoscritto ovviamente, il sentore di essere al cospetto del disco symphonic metal definitivo, quello che in altre ere musicali, meno soggette all’usa e getta ormai abituale anche nel metal, si sarebbe posato sul gradino più alto del genere come esempio fulgido e spettacolare e ci sarebbe rimasto per sempre.
The Holographic Principle è un monumentale lavoro di settanta minuti, con il quale gli Epica sono andati oltre le più rosee aspettative: d’altronde, che la band della splendida sirena Simone Simons e dell’ex After Forever Marc Jansen avesse qualcosa in più lo si era capito già dai primi lavori, mantenendo un’ottima qualità in tutti gli album precedenti e alzando l’asticella ad ogni prova, fino ad arrivare al punto più alto, non solo della loro musica ma, probabilmente di tutto un genere.
Prodotto come al solito da Joost van den Broek assieme a Mark Jansen e mixato da Jacob Hansen, la nuova opera del gruppo olandese suscita emozioni, travolgendo con una valanga di note magniloquenti: le sinfonie registrate live dall’orchestra conferiscono un suono caldo, corposo e potente senza mettere in secondo piano le chitarre, anzi, le sei corde sono molto più presenti che sui lavori precedenti, grintose metalliche e affiancate da una sezione ritmica terremotante, così da esplodere all’unisono con la sontuosa parte orchestrale, la splendida voce della singer e chorus che entrano direttamente nell’anima.
I testi, che alternano argomenti terreni con la visione fisica e filosofica di Jansen, possono rappresentare un dettaglio per chi dà importanza solo all’aspetto musicale, ma nel contesto dell’album tutto appare perfettamente in equilibrio, una perfezione raggiunta passo dopo passo, album dopo album in un crescendo artistico che ha portato il gruppo a questo capolavoro.
La tradizione olandese che nel genere ha i suoi natali nei primi anni novanta, quando la scena dei Paesi Bassi sfornò le prime avvisaglie di quello che sarebbe diventato uno dei generi più amati dai fans, ha influito non poco sulla crescita degli Epica e non è un caso se ora incoroniamo proprio un gruppo di quelle parti come campione del metal sinfonico.
Se volete dei titoli di riferimento, questa volta lascio che sia The Holographic Principle a mostrarvi i suoi tesori, sappiate che siamo nella perfezione assoluta.
Disco dell’anno e tanti saluti dall’olimpo dove risiedono i grandi.

TRACKLIST
1. Eidola
2. Edge Of The Blade
3. A Phantasmic Parade
4. Universal Death Squad
5. Divide And Conquer
6. Beyond The Matrix
7. Once Upon A Nightmare
8. The Cosmic Algorithm
9. Ascension – Dream State Armageddon
10. Dancing In A Hurricane
11. Tear Down Your Walls
12. The Holographic Principle – A Profund Understanding Of Reality

LINE-UP
Mark Jansen – Guitars, Vocals
Coen Janssen – Keyboards
Simone Simons – Vocals
Ariën van Weesenbeek – Drums, Vocals
Isaac Delahaye -Guitars, Vocals
Rob van der Loo -Bass

EPICA – Facebook

Almah – E.V.O

E.V.O ha molte frecce da scoccare e come maliziosi cupidi gli Almah centrano i nostri cuori con una serie di tracce d’alta scuola.

Pare davvero di essere tornati ai tempi dei migliori Angra e non solo quelli dell’arrivo di Falaschi nel combo brasiliano, ma a quel gruppo che clamorosamente irruppe sulla scena metallica con i primi stupendi lavori.

Era nell’aria il disco della vita per il gruppo brasiliano, già il precedente Unfold, anche se lasciava entrare nella propria anima qualche soluzione moderna, risultava un grande album metal, con Falaschi convincente e ormai coinvolto al 100% dalla sua nuova avventura.
Sono passati tre anni e l’arrivo di questo nuovo lavoro pone la band brasiliana sul podio dei migliori act alle prese con il power metal dalle sfumature progressive e splendidamente melodico.
Chiusa la parentesi modernista aperta in alcuni frangenti sul lavoro precedente, gli Almah tornano a suonare quello che la loro tradizione dice di saper fare meglio, toccando picchi elevatissimi , difficilmente raggiunti da un po’ di anni a questa parte, anche se la qualità dei loro lavori non è mai scesa sotto un buon livello.
E.V.O torna a far risplendere quel tipo di power metal melodico che ha fatto scuola, colmo di soluzione melodiche, ariose aperture orchestrali e quel tocco latino, irresistibile per molti e che ha sempre differenziato la scena sudamericana da quella europea per l’eleganza ed il talento ritmico innate nei musicisti brasiliani.
Basterebbe Age Of Aquarius, opener del disco, un brano arioso, positivo, stupendamente melodico ed impreziosito da orchestrazioni da musical, per prendere il largo e fare il vuoto nelle opere del genere, ma E.V.O ha molte frecce da scoccare e come maliziosi cupidi gli Almah centrano i nostri cuori con una serie di tracce d’alta scuola.
Il giro di piano che trascina Indigo, malinconico e dalle sfumature dark, il power metal di classe di Higher, l’hard rock ruffiano e melodico di Infatuated, l’unica concessione a soluzione moderne nell’aggressiva Corporate War, l’arioso refrain della magnifica Speranza, il power prog colmo di soluzioni raffinate e dall’irresistibile ritornello di Final Warning, sono solo pochi dettagli di un’opera piena di sorprese nel suo comunque essere classicamente metallica.
Gli Almah questa volta hanno messo in campo tutte le loro armi per vincere questa battaglia e ci sono riusciti senza fare prigionieri, album di un’altra categoria, consigliarvelo è il minimo.

TRACKLIST
1.Age Of Aquarius
2.Speranza
3.The Brotherhood
4.Innocence
5.Higher
6.Infatueted
7.Pleased To Meet You
8.Final Warning
9.Indigo
10.Corporate War
11.Capital Punishment

LINE-UP
Edu Falaschi – Vocals
Marcelo Barbosa – Guitar
Diogo Mafra – Guitar
Rapahael Dafras – Bass
Pedro Tinello – Drums

ALMAH – Facebook

The Reticent – On The Eve Of A Goodbye

On The Eve Of A Goodbye è un concept autobiografico, un’opera che elargisce emozioni in un caleidoscopio di note ora intimiste, ora metalliche

Tornano gli statunitensi The Reticent, creatura del musicista Christopher Hathcock con il quarto album della loro carriera, confermando quanto di buono il new progressive sta donando a noi, ingordi e mai sazi fruitori di emozioni in musica.

A dispetto dei sempre più obsoleti detrattori della musica contemporanea e che nel genere trova terreno fertile negli amanti dei suoni di estrazione settantiana, il progressive ha ampliato i suoi orizzonti, amoreggiando con sonorità moderne, metalliche ed estreme e, come in questo caso resuscitando per tornare protagonista degli sviluppi futuri della musica in questo nuovo millennio.
I The Reticent come detto arrivano sul finire di quest’anno al quarto lavoro, le opere passate avevano tracciato la strada che ha portato Hathcock a questo immenso lavoro, dopo Hymns For The Dejected del 2006, Amor Mortem Mei Erit del 2008 e Le Temps Detruit Tout, licenziato nel 2012, più la soddisfazione di una nomination ai Grammy.
On The Eve Of A Goodbye è un concept autobiografico, un’opera che elargisce emozioni in un caleidoscopio di note ora intimiste, ora metalliche, fino a raggiungere l’apice in quelle estreme, giocando a modo suo con la musica degli ultimi trent’anni.
Quasi nulle le influenze settantiane, il sound del gruppo si muove sinuoso tra il prog rock dalle tinte dark di Porcupine Tree e Riverside, il metal estremo ed oscuro degli Opeth e quella tragica e teatrale drammaticità tooliana che ha fatto scuola negli ultimi vent’anni.
Le voci, dolce ed intimista la clean , travolgente e drammatica quella estrema, dettano le atmosfere ai vari passaggi dell’album, trasformati in brani dall’alto tasso emotivo, in un sali e scendi di atmosfere adulte, a tratti pesanti, ma sempre mature.
E’ forte il senso di disagio espresso da questa ora abbondante di musica, che chiamare progressive è il modo più facile per uscire dall’impasse che opere del genere creano in noi, sempre pronti ad affibbiare etichette, anche quando l’impresa diventa ardua, travolti dalla tempesta emotiva provocata da brani come The Apology, The Decision o The .
Inutile disquisire su soluzione tecniche che a On The Eve Of A Goodbye stanno strette come al sottoscritto i jeans di qualche anno fa: sappiate per dovere di cronaca che l’album esce per la Heaven & Hell Records ed è stato prodotto da Jamie King (BTBAM, The Wretched, Scale The Summit), fatelo vostro.

TRACKLIST
01. 24 Hours Left
02. The Girl Broken
03. The Hypocrite
04. 19 Hours Left
05. The Comprehension
06. The Confrontation
07. The Apology
08. 10 Hours Left
09. The Mirror’s Reply
10. The Postscript
11. 2 Hours Left
12. The Decision
13. Funeral For A Firefly
14. The Day After
15. For Eve

LINE-UP
Chris Hathcock – All instruments and vocals, except the following:

Narration by Carl Hathcock, Juston Green, and Amanda Caines
Female vocals by Amanda Caines
French Horn by Dr. Nicholas Kenney
Trombone and Trumpet by Matthew Parunak
Tenor Saxophone by Andrew Lovett

THE RETICENT – Facebook

Meshuggah – The Violent Sleep of Reason

Ancora una volta i Meshuggah hanno preparato meticolosamente un nuovo gelido tavolo autoptico.

Giunta ormai all’ottavo album in studio, la macchina perversa dei Meshuggah è tornata con un altro monolite d’acciaio tecnico e inesorabile.

Mi approccio all’ascolto quasi timoroso al cospetto di una band oserei direi essenziale per la natura stessa della sua proposta rivoluzionaria e innovativa, mai strettamente commerciale e, bisogna dirlo, con un approccio alla musica tra i più impegnativi e così dannatamente heavy. Così, prendiamo fiato e immergiamoci a ruota libera nei meandri di questo violento sonno della ragione. Nei 7 minuti dell’opener Clockworks vi sembrerà di essere pestati a sangue grazie a una sezione ritmica pesantissima e assassina che vi lascerà storditi in attesa di alienarvi con Born In Dissonance. La chirurgica MonstroCity vi sezionerà accuratamente e successivamente vi ricucirà abilmente con le corde affilate dell’allucinante solista di Thordendal . L’incubo tortuoso di By The Ton potrebbe temporaneamente lenire le vostre ferite attraverso le mani lente e inesorabile di uno psicopatico, ma non c’è tregua, perché la title track e Ivory Tower vi frantumeranno le ossa a martellate. Il maelstrom di Stifled vi opprimerà come un tiranno implacabile illudendovi solo attraverso brevi innesti disarmonici a base di synth e solos estranianti. Il tunnel di Nonstrum vi ingannerà per alcuni secondi per poi sminuzzarvi come schiacciati da una Tunnel Boring Machine. La pressione sul vostro cranio aumenterà dall’impellente incedere di Our Rage Won’t Die e con la mortifera Into Decay si chiude egregiamente un ennesimo lavoro di considerevole qualità. The Violent Sleep of Reason vi sequestrerà, e per un’ora potrete deliziarvi nei vortici ipnotici e nel dolore profondo concepito da Kidman e soci. Ancora una volta i Meshuggah hanno preparato meticolosamente un nuovo gelido tavolo autoptico.

TRACKLIST
01. Clockworks
02. Born In Dissonance
03. MonstroCity
04. By The Ton
05. Violent Sleep Of Reason
06. Ivory Tower
07. Stifled
08. Nostrum
09. Our Rage Won’t Die
10. Into Decay

LINE-UP
Jens Kidman – vocals, rhythm guitar
Fredrik Thordendal – lead guitar, rhythm guitar, synth
Mårten Hagström – rhythm guitar
Dick Lövgren – bass guitar
Tomas Haake – drums

MESHUGGAH – Facebook

PLATEAU SIGMA

Intervista ai liguri Plateau Sigma, una delle migliori espressioni odierne del doom metal italiano.

Intervista ai liguri Plateau Sigma, una delle migliori espressioni odierne del doom metal italiano. Ha risposto alle nostre domande il bassista Maurizio Avena.

iye Cominciamo dalla fine: qualche settimana fa ci siamo visti in occasione del vostro concerto al Pinelli ed io, per assurdo, sembravo più incazzato di voi per la carenza di pubblico. Non essendo un musicista, mi sono sempre chiesto cosa si prova a suonare per pochi intimi, specialmente quando si ha consapevolezza del valore della propria proposta, certificata per di più da pareri unanimemente positivi. In questo casi cosa passa per la testa a chi sta sul palco ?

Beh, direi che alla fine ci si fa l’abitudine, peccato per la serata perché era organizzata bene, comunque la Liguria in generale è “ahimè” da scartare per la scena live, vuoi per lo scarso interesse a generi più estremi e vuoi anche al nullo legame che collega le band “Metal” liguri (e italiane).
Comunque non è la prima volta che succede, ovvio che magari rimani un po’ imbarazzato a suonare davanti a pochi eletti, qualcuno si scoccia pure, però si tira avanti perché sai che vale la pena fare un bel live anche davanti a “quattro gatti”.

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iye Mi riallaccio alla domanda precedente chiedendovi, in base alle esperienze maturate in questi anni, se la relativa ricettività del pubblico è un problema circoscritto alla “tipica accoglienza ligure”, oppure se anche altrove la risposta è più meno la stessa.

No beh ahaha! La “tipica accoglienza ligure” è un mito che a volte espatria dalla regione.
Parlerei però di “pigrizia musicale” e di altre robe per cui potrei esser tacciato per “Trve”.
Le date coi Novembre sono state contraddistinte da un pubblico caldissimo, soprattutto a Bologna dove abbiamo trovato un riscontro che ci ha lasciati spiazzati in positivo, e poi a Pescara all’Orange e in altre realtà!
Ci sono ancora vari barlumi di speranza!

iye Indubbiamente, suonare un genere complesso e sicuramente non “divertente”, nell’accezione più banale del termine, fa il resto, specie in una nazione dove la cultura musicale sembra essere ormai uno sbiadito ricordo. Ecco, quando e come nasce, in voi, la passione per il doom ?

Il doom ci ha sempre accompagnati, diciamo che nasce grazie al filo conduttore dei Katatonia/Paradise Lost per arrivare al funeral doom degli Ahab/Evoken.
Certo non possiamo dimenticare il doom più classico (Black Sabbath/Saint Vitus), alcuni di noi si sono avventurati poi in generi diversi tralasciando un po’ il filone centrale e conduttore.
Comunque è indiscutibile che il doom in ogni sua forma sia il sottogenere più variopinto ed espressivo.

iye La genesi dei Plateau Sigma risale all’inizio del decennio e da allora ne sono scaturite tre opere (un ep e due album su lunga distanza) segnate da un continuo crescendo artistico e compositivo. Come ho già sostenuto in altre sedi, la vostra collocazione all’interno di un genere non è poi così definita oggi, anche se le sonorità pesanti e sovente rallentate riconducono per forza di cose al doom. Un percorso evolutivo di questo tipo avviene sempre in maniera naturale o è in qualche modo condizionato dalla “musica che gira intorno” ?

Direi che la “musica che gira intorno” condiziona eccome le nostre sonorità e penso sia un bene. Come collocazione ci sentiamo “doom e qualcosa”, ma alla fine le etichettature sono molto soggettive, o forse no?

iye Anche se non siete attivi da moltissimi anni, non si può fare a meno di notare che la vostra line-up fino ad oggi è rimasta immutata: siete davvero così affiatati oppure ogni tanto capita anche a voi di mandarvi reciprocamente al diavolo ? E come vi suddividete i ruoli a livello compositivo ed organizzativo

La line-up rimarrà questa finché gli dei ci propizieranno, ahahah.
A parte gli scherzi direi che si è creato un forte legame e ognuno di noi ha dei ruoli chiave in tutto.
Chi si getta più sulla composizione (in primis Manuel che è il nostro motore compositivo principale) e chi nell’organizzare live, suoni, merchandising e a propagare il nostro verbo sul web (e non).
Ogni tanto ci si manda al diavolo ma con quell’amore fraterno da sorrisi e schiaffoni!

iye E’ sicuramente intrigante lo scambio di ruoli, sia alla voce che allo strumento, che vede protagonisti Francesco e Manuel. E’ un’intesa che è sgorgata in maniera naturale oppure ha avuto bisogno di diversi aggiustamenti nel tempo?

Nacque durante delle prove, serviva una voce “sporca” e Manuel non riusciva a interpretare entrambi i ruoli vocali: Francesco allora provò a cimentarsi da zero e da lì nacque il suo soprannome “Holy Growl” perché difatti fu una manna dal cielo.

iye Non siete i soli, tra le band italiane, ad essere affascinati dalla mitologia e dalla cultura latina; nel vostro caso il connubio tra il genere musicale ed i testi è piuttosto inusuale, visto che di solito certe tematiche sono più frequenti nella band che suonano black o epic/folk metal. Da dove nasce questa vostra passione ?

La storia sempre ha legato il nostro interesse, soprattutto per me e Manuel.
Da qui nasce la voglia di tramandare le gesta e la cultura della nostra storia. I testi sono comunque sognanti e ritualistici e metafisici, non saranno mai diretti come quelli dei sopracitati generi.

iye Si può parlare dell’esistenza di una scena doom, a livello nazionale, oppure tra le varie band i rapporti sono occasionali e legati solo alle occasioni live ?

Esiste eccome una scena doom a livello nazionale, i rapporti sono occasionali e non molto scontati: come sempre alcune band tengono a tirare il naso all’insù o forse a ignorare la presenza di altre realtà.

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iye In questi anni di intensa attività avete avuto l’occasione di dividere il palco con band di riconosciuta levatura (ultimi in ordine di tempo i redivivi Novembre): qual è stato il concerto che vi ha dato le maggiori soddisfazioni e chi, tra i vostri occasionali compagni di avventura, vi ha più impressionato per qualità artistiche ed umane ?

Sicuramente uno dei concerti più belli è stato quello di Bologna coi nostri amici Novembre!! Un riscontro così caloroso e un pubblico fomentato ci hanno ripagati della strada, sono nate anche varie amicizie, è stata una bellissima esperienza. Come compagni di avventure non possiamo dimenticare i nostri amici (EchO) con cui abbiamo stretto legami che vanno anche al di fuori della musica.

iye L’approdo alla Avantgarde Music per una band costituisce una sorta di imprimatur qualitativo: per un musicista quanto è importante avere alle spalle un’etichetta strutturata ad un livello più professionale ?

E’ estremamente importante, è una sicurezza, con Roberto abbiamo un ottimo rapporto e abbiamo trovato una grande professionalità.

iye In assoluto, nel panorama musicale mondiale, quale è stata la band emersa negli ultimi anni che vi ha maggiormente impressionato per impatto e potenziale innovativo ? Mentre, per quanto riguarda il solo ambito doom, quali sono state le principali fonti di ispirazione ?

Ultimamente non mi viene in mente nulla di rilevante e impressionante … sarà la memoria lenta del mio database. In ambito doom, le maggiori influenze derivano dalla scena di Albione (ovvero Anathema, Paradise Lost, My Dying Bride), dagli svedesi Katatonia e da classici come Black Sabbath.
Ovviamente anche il funeral degli Evoken, Ahab, Mournful Congregation, diSEMBOWELMENT e Thergothon e altro.

iye Per curiosità, quando avete deciso di intitolare Rituals il vostro ultimo album, eravate a conoscenza che un mese prima sarebbe uscito con lo stesso titolo anche il nuovo lavoro deii Rotting Christ, oppure lo avete scoperto solo a giochi fatti?

No, non ne eravamo a conoscenza (ahah) però la coincidenza ci lasciò sorpresi e divertiti.

iye Prossimi impegni ? So che suonerete il 27 novembre a Misano con Ahab e The Foreshadowing e poi, come mi ha anticipato Manuel, comincerete a pensare al nuovo disco. Cosa ci dobbiamo aspettare ?

Stiamo organizzando un paio di date e siamo in cerca di live! Dal nuovo lavoro ci si può attendere un disco ulteriormente migliorato nella compattezza, nelle atmosfere e nel songwriting, rispettando sempre le nostre influenze.

King Crimson – Radical Action (To Unseat The Hold of Monkey Mind)

Un cadeau gradito ma forse non imprescindibile, per via di alcune scelte non del tutto convincenti.

Pensare di recensire (inteso nel senso meno nobile di fargli le pulci) un disco dei King Crimson, a pensarci bene, rischia di sembrare un atto di presunzione: chi siamo noi (direbbe qualcuno) per poter giudicare uno dei più grandi musicisti che abbiano solcato il pianeta negli ultimi cinquant’anni ? Nessuno, appunto, però allo stesso modo si ha il diritto di discuterne l’operato, sotto forma di scelte commerciali, un terreno scivoloso dove l’arte lascia spazio al marketing.

Uno dei pregi della creatura inventata alla fine degli anni ’60 da Robert Fripp è sempre stata quella di non cedere in maniera spudorata alla tentazione del revival, cioè alla tanto vituperata trasformazione in cover band di sé stessi, badando a mettere in moto la macchina live per lo più solo dopo aver dato alle stampe un album di inediti, e spesso ignorando perfidamente in tale sede i brani di più vecchia data, i cosiddetti classici.
La tendenza pare esser cambiata negli ultimi anni, visto che Fripp ha messo in piedi questa strana formazione a sette, dotata di ben 3 batteristi (!), con la quale alla soglia delle sue settanta primavere se ne sta andando da un po’ in giro per il mondo a riportare il verbo crimsoniano.
La band di culto per eccellenza del progressive toccherà anche il suolo italico (il biglietto per il concerto del 5 novembre a Milano è già stato accaparrato …) e sarà l’occasione per chi, come me, nonostante la non più verde età, è riuscito a vederla una sola volta in concerto, a Genova nel 2003.
In quell’occasione il repertorio più datato si spingeva indietro per lo più fino ai dischi degli anni ’80, gli stessi che sono stati letteralmente “banditi” nella scelta della scaletta per questo triplo cd intitolato Radical Action (To Unseat The Hold of Monkey Mind); non è difficile immaginare che il tutto possa essere dovuto all’assenza nella line-up di Adrian Belew, estromesso da Fripp in questa sua ennesima incarnazione del re cremisi.
Non so neppure se possano esserci anche aspetti legati ai diritti dei brani composti in compartecipazione con il cantante-chitarrista americano, fatto sta che in questa uscita si passa a piè pari dalla storica produzione settantiana a quella degli anni novanta, bypassando un capolavoro come Discipline a favore di album ben più opachi.
Va detto anche che la voce “lakeiana” di Jakko Jakszyk mal si sarebbe prestata all’interpretazione di Elephant Talk piuttosto che di Frame By Frame o Thela Hun Ginjeet, pertanto prendiamoci quanto di buono (ed è molto) ha da offrire questo live, suddiviso come detto in 3 cd denominati, rispettivamente, Mainly Metal, Easy Money Shots e Crimson Classics.
Nel primo cd, che si apre e si chiude con le (magnifiche) due parti di Larks’ Tongues In Aspic, sono proposti alcuni dei brani composti dall’attuale formazione e mai confluiti su alcun disco, benché siano stati presentati più volte dal vivo: va detto che alcune di queste sono tracce davvero interessanti e di gran lunga superiori a quelle che facevano parte di A Scarcity Of Miracles, ultimo lavoro in studio attribuibile di fatto ai King Crimson, pur se uscito a nome di Jakszyk, Fripp e Collins.
Il secondo cd, come da manifestazione d’intenti, vede Easy Money quale suo fulcro, assieme ad estratti da In The Wake Of Poseidon (Peace e Pictures Of A City) ed Islands (The Letters e Sailor’s Tale) mentre il terzo è, alla fine, quello che farà maggiormente la gioia dei fan di vecchia data, contenendo, al netto dell’assolo di batteria di Devil Dogs Of Tessellation Row, solo pietre miliari della produzione crimsoniana quali Red, One More Red Nightmare, Epitaph, Starless, The Court Of The Crimson King e 21st Century Schizoid Man.
Fatto l’appello e constatato che, almeno, per quanto riguarda gli anni ’70, a prima vista non si segnalerebbero particolari errori od omissioni nella compilazione della scaletta se non si scoprisse, a posteriori, che anche un disco “discreto” come Starless And Bible Black è scomparso dai radar, veniamo al modus operandi, ovvero come tali brani sono stati reinterpretati da questa formazione.
Dato per certo che in sede live i King Crimson, per indole del loro creatore, non sono mai stata band da riproposizione in fotocopia dei brani rispetto alle versioni in studio, la presenza di Mel Collins in qualche modo condiziona la scelta degli arrangiamenti perché, è evidente, se hai un fior di sassofonista/flautista sul palco bisogna pure sfruttarlo. E’ per questo probabilmente che un brano metal ante litteram come Red viene appesantito da un sax che centra come i cavoli a merenda, e lo stesso succede anche in The Talking Drum; al contrario il flauto in The Court Of The Crimson King ed il sax in Starless sono elementi fondanti dei brani anche nella loro stesura originale e quindi la loro presenza si rivela essenziale per la resa finale.
Altri dubbi permangono sull’utilità del triplo batterista, all’apparenza più una bizzarria frippiana che non un’effettiva necessità, tanto più che i brani in cui tale soluzione avrebbe trovato la sua massima esaltazione  sono proprio quelli dei King Crimson ottantiani; infine, l’interpretazione vocale di Jakszyk non brilla per personalità, né nei brani cantati originariamente dal suo modello Greg Lake, né soprattutto in quelli che venivano contraddistinti dalla voce ben più calda di John Wetton.
Insomma, Radical Action (To Unseat The Hold of Monkey Mind) è un comunque gradito “malloppone” in cui alle molte luci si alternano diverse ombre, ovviamente il tutto riferito non all’impeccabile esecuzione di musicisti inattaccabili su ogni fronte, ma a scelte talvolta non condivisibili, inclusa quella di incidere un live cancellando di fatto la presenza del pubblico.
A tale proposito, rispetto alla versione audio, dovrebbe risultare senza’altro più accattivante ed appetibile quella in DVD, dove invece il pubblico (forse perché si vede ..) non è stato ammutolito.
Detto questo, non vedo l’ora di ascoltare dal vivo per la prima (e presumibilmente anche l’ultima) volta, una serie di canzoni che hanno segnato indelebilmente la mia adolescenza (se i ragazzini oggi sentono Andiamo a Comandare con l’i-pod ed io quarant’anni fa avevo Starless nel mangianastri, sarà il caso di chiedersi se il progresso culturale sia andato di pari passo con quello tecnologico); mi recherò al concerto con la coscienza a posto di chi spende il giusto per andare a vedere a teatro i cosiddetti “dinosauri”, senza dimenticare (mai) di supportare, spesso assieme a pochi intimi, le esibizioni di ottime band contemporanee che il 90% di quelli che saranno assisi agli Arcimboldi, invece, continueranno bellamente ad ignorare per partito preso. C’est la vie …

Tracklist:
DISC 1 – Mainly Metal:
01. Larks’ Tongues In Aspic Part One
02. Radical Action (to Unseat The Hold Of Monkey Mind)
03. Meltdown
04. Radical Action II
05. Level Five
06. The Light Of Day
07. The Hell Hounds Of Krim
08. The ConstruKction Of Light
09. The Talking Drum
10. Larks’ Tongues In Aspic Part Two

DISC 2 – Easy Money Shots:
01. Peace
02. Pictures Of A City
03. Banshee Legs Bell Hassle
04. Easy Money
05. VROOOM
06. Suitable Grounds For The Blues
07. Interlude
08. The Letters
09. Sailor’s Tale
10. A Scarcity Of Miracles

DISC 3 – Crimson Classics:
01. Red
02. One More Red Nightmare
03. Epitaph
04. Starless
05. Devil Dogs Of Tessellation Row
06. The Court Of The Crimson King
07. 21st Century Schizoid Man

Line-up:
Mel Collins sax, flauto
Robert Fripp chitarra, tastiere
Gavin Harrison batteria
Jakko Jakszyk – chitarra, voce
Tony Levin – basso, stick
Pat Mastelotto – batteria
Bill Rieflin – batteria, tastiere

Fake Idols – Witness

Un pezzo di granito hard & heavy, sempre in bilico tra il rock’n’roll ed il metal moderno, dotato di un feeling ed un appeal da boom radiofonico praticamente in tutti i brani

Un’altra new sensation dell’hard & heavy tricolore, i Fake Idols, tornano con un nuovo album tramite Scarlet Records.

La band , nata all’alba del 2013, unisce musicisti provenienti da svariati gruppi della scena come Raintime, Slowmotion Apocalypse e Jar of Bones, due anni fa ha dato alle stampe il debutto omonimo, ora è giunto il momento di tornare a suonare hard & heavy tripallico con questo secondo lavoro intitolato Witness e che sfonderà molti crani tra i rockers di nuova generazione innamorati delle sonorità stradaiole di matrice ottantiana.
Un mix di sonorità classiche ed attitudine moderna risulta infatti il sound del gruppo, che si avvicina ai compagni di etichetta Hell In The Club, autori del mastodontico Shadow Of The Monster.
E proprio Damna, frontman del gruppo alessandrino, fa la sua comparsa nella scandinava The City’s Burning, splendida song vicina al sound dei Backyard Babies, ma le sorprese non finiscono qui ed in questo adrenalinico lavoro mette la sua firma pure Phil Campbell dei Motorhead, sul singolo Mad Fall.
Un pezzo di granito hard & heavy, questo è Witness, sempre in bilico tra il rock’n’roll ed il metal moderno, dotato di un feeling ed un appeal da boom radiofonico in praticamente tutti i brani, un album che, se fosse uscito dalle coste statunitensi, sarebbe glorificato come l’ultima frontiera del rock duro dalle atmosfere street.
Non c’è scampo, è bene chiarirlo, Witness entra nell’ascoltatore senza bussare, forte di chorus che si cantano dal primo ascolto, ritmiche che non disdegnano modernità e chitarre taglienti come sciabole, ficcanti e tremendamente heavy.
Potrei nominarvele tutte le tracce presenti, ma l’alto tasso qualitativo mi impedisce pure di sceglierne un paio: mi limito, per la cronaca, a farvi partecipi della geniale cover di Go, brano dei The Chemical Brothers ed invitarvi a far vostra questa ennesima prova di forza del metal/rock nazionale.
I Fake Idols sarebbero anche pronti a conquistare il mondo, vogliamo aiutarli?
Non mancate allora all’appuntamento con Witness, in barba a chi vi vuol far credere che ormai il rock si limita a grassi e vegliardi frontman, avidi di denaro e che salgono sui palchi di mezzo mondo con tanto di comoda …

TRACKLIST
1.Mad Fall (feat. Phil Campbell)
2.So Now…
3.Sail
4.The City’s Burning feat. Damna)
5.Silence
6.I’m a Fake
7.Go (Chemical Brother’s cover)
8.Could You Bid Me Farewell
9.Prayers On Fire
10.Witness

LINE-UP
Claudio Coassin – lead vocals
Ivan Odorico – guitars
Cristian Tavano – guitars
Ivo Boscariol – bass
Enrico Fabris – drums

FAKE IDOLS – Facebook

Watchtower – Concepts of Math: Book One

EP più lineare, ma siamo sempre su livelli eccelsi. Coraggio e determinazione vanno premiati.

Quanto abbiano dato i Watchtower all’heavy metal forse lo sanno in pochi, ma si può chiedere a gente come Dream Theater, Death, Atheist, Sieges Even, Spiral Architect, Twisted Into Form.

Questi extraterrestri del pentagramma, prima nel 1985 con Energetic Disassembly e poi nel 1989 con il capolavoro Control and Resistance, hanno dato l’input a tutta una serie di band hi-tech metal, nonché extreme-prog.
Perciò per chi come me adora questi texani, l’attesa di un nuovo album è stata veramente lunga, e queste 5 tracce (4 già pubblicate in digitale nel corso negli ultimi 5 anni) sono già un piccolo tesoro musicale.
In attesa del full-length Mathematics (spero presto!) immergiamoci in questo primo libro di matematica metallica. La strumentale M-Theory Overture apre alla Spastic Ink e la macchina perfetta dei texani ci trascina sulla giostra schizofrenica diretta dal maestro Jarzombek. L’estro creativo e i tecnicismi della successiva Arguments Against Design spezzano l’ascoltatore meno avvezzo a tali sonorità. Il basso di Keyser è in primo piano, ossessivo, e con l’entusiasmante drumming di Colaluca è come essere intrappolati tra le rapide di un fiume impetuoso.
Non c’è tregua nelle composizioni dei Watchtower e la densità di idee all’interno delle composizioni è notevole. Le vocals di Alan Tecchio sono ora più aspre, ora melodiche, meno acute di un tempo e la schizzata Technology Inaction ne è un esempio lampante. Le parti soliste di Ron hanno la capacità di estraniare la mente dal contesto e allo stesso tempo deliziare con soluzioni sempre brillanti. The Size of Matter è quasi orecchiabile con il suo incedere spezzato e martellante puntualmente infiorettato dalla solista di Jarzo.
Chiude l’inedita Mathematica Calculis che con i suoi quasi 10 minuti ritorna parzialmente agli antichi fasti, con una band matura che non vuole a tutti i costi ripetersi e che è ancora capace di gustosi colpi di scena sincopati, inseriti con moderna freschezza.
In …Book One le contorsioni e il parossismo tecnico sono affievoliti, così pure la chimica fenomenale che riesca a sorprendere ad ogni cambio di tempo o d’atmosfera, così anche lo stupore di un arrangiamento mai uguale a quello precedente.
EP più lineare dunque, ma siamo sempre su livelli eccelsi. Coraggio e determinazione vanno premiati.

TRACKLIST
1. M-Theory Overture
2. Arguments Against Design
3. Technology Inaction
4. The Size of Matter
5. Mathematica Calculis

LINE-UP
Alan Tecchio – vocals
Ron Jarzombek – guitar
Doug Keyser – bass
Rick Colaluca – drums

WATCHTOWER – Facebook

Darkthrone – Arctic Thunder

Arctic Thunder è un riportare le cose a a casa, in maniera molto divertente e metallica, con tante sorprese sonore.

Recensire un disco dei Darkthrone è poco più di esprimere un’opinione.

Ognuno ha già la sua idea di musica, e poi in particolare ogni metallaro ha la sua idea sui Darktrhone. Io personalmente li amo, anche perché in questi anni seguendo sulla rete Fenriz ho potuto vedere e sentire la sua concezione di metal, e se volete del vero metal rivolgetevi a lui. E’ fondamentale, anche per capire questo ultimo disco dei Darkthrone, la parabola fenriziana in rete. Partendo dal presupposto che Fenriz è il deus ex machina del gruppo, ascoltando Arctic Thunder si possono sentire le influenze di Fenriz e le sue passioni metallare, che poi riconducono alla vera attitudine punk metal, in seguito diventata in una sua accezione il black metal. Qui troviamo pure il black metal, ma non solo. Arctic Thunder è anche speed metal, parti di post metal qui e là, ma soprattutto tonnellate di metal, senza tante menate, solo voglia di ubriacarsi, sentire musica ad alto volume e muovere la testa su è giù. Sicuramente questo ultimo disco è migliore del precedente, che personalmente considero il peggiore della loro discografia, ovvero Underground Resistance. Si può trovare un po’ di tutto, e spesso in trenta secondi si vira dal black metal allo speed metal anni ottanta, ed è tutto molto bello, alla maniera di Fenriz che è forse il più attento e devoto ascoltatore del metal nel mondo. Seguite anche la sua pagina su soundcloud, e ne avrete molte gioie. In definitiva Arctic Thunder è un riportare le cose a a casa, in maniera molto divertente e metallica, con tante sorprese sonore. Ascoltatelo, poi ognuno la pensi come vuole, ma per favore non fate i black metallers duri e puri, che Satana vi prenderebbe a calci in culo.

TRACKLIST
1.Tundra Leach
2.Burial Bliss
3.Boreal Fiends
4.Inbred Vermin
5.Arctic Thunder
6.Throw Me Through The Marshes
7.Deep Lake Tresspass
8.The Wyoming Distance

LINE-UP
Gylve Fenriz Nagell
Ted Skjellum

DARKTHRONE – Facebook

Crowbar – The Serpent Only Lies

Suono potente e che dà dipendenza, i Crowbar sono tornati e la sofferenza continua.

Tranquilli, i Crowbar sono in gran forma. Eravate forse preoccupati di trovare un disco molle? Non mi sembra che i Crowbar abbiano mai sbagliato un disco.

E The Serpent Only Lies è un disco tipico del gruppo di New Orelans, pieno di riffoni pesanti, con la voce di Windstein che ci ricorda della sofferenza che noi chiamiamo vita, e il gruppo che va come uno schiacciasassi. I Crowbar negli anni, nonostante qualche pausa dovuta ai molti progetti paralleli di Kirk, sono sempre stati sinonimo di pesantezza, e alla fine sono rimasti i portatori del vero suono di New Orleans. Questo disco in particolare segna un ritorno agli inizi. Proprio Windstein ha affermato che, per produrre questo disco, è andato a risentire con attenzione i primi dischi del gruppo, ascoltando con attenzione anche quelli di gruppi che lo hanno influenzato all’epoca, come i Trouble, i Melvins, i St. Vitus e i Type O Negative. The Serpent Only Lies è un disco molto potente, prodotto in maniera totalmente adeguata al suono dei Crowbar, ed è notevole. Nel disco il gruppo va al meglio delle proprie possibilità, regalando pezzi potenti ma anche ottimi passaggi più cadenzati, mostrando sicuramente più varietà rispetto alle ultime uscite. Dopo aver girato tanto il suono pesante di New Orleans sta tornando a casa, ritrovando quel tiro che aveva perso. Qui tutto è potente e sofferente, come è giusto che sia in un disco dei Crowbar. La ricerca delle origini gli ha giovato molto, e il tiro dell’album è molto forte, i Crowbar riescono a generare un groove sonoro fatto di sludge, hardcore e stoner che è di loro unica proprietà, e lo fanno davvero bene. Suono potente e che dà dipendenza, i Crowbar sono tornati e la sofferenza continua.

TRACKLIST
01. Falling When Rising
02.Plasmic And Pure
03. I Am The Storm
04. Surviving The Abyss
05. The Serpent Only Lies
06. The Enemy Beside You
07. Embrace The LIght
08. On Holy Ground
09. Song Of The Dunes
10. As I Heal

LINE-UP
Kirk Windstein – Guitar/Vocals
Matt Brunson – Guitar
Tommy Buckley – Drums
Todd Strange- Bass

CROWBAR – Facebook

VV.AA. – Live at Wacken 2015 – 26 Years Louder Than Hell

Wacken da anni non vi fa mancare nulla, andarci almeno una volta nella vita dovrebbe essere un dovere per ogni metallaro degno di questo nome, ma ci si può accontentare anche di queste splendide iniziative.

Come ogni anno i primi di Agosto nella piccola località di Wacken, su a nord della Germania, vicino ad Amburgo viene consumato per tre giorni il rito metallico per antonomasia (almeno dal 1990), il festival metal più grande del mondo, una città di musica dura costruita tutte le estati in modo da consentire ai metal fans di vivere per circa settantadue ore il loro sogno.

Il Wacken Open Air è diventato negli anni una sorta di Mecca per chiunque ami l’hard & heavy, soddisfacendo tutti i tipi di palati dai più estremi a quelli più melodici, dai cultori dell’old school ai metallers con il rock’n’roll nel cuore ed una birra nella mano, con palchi sempre più mastodontici, scalette che lasciano poche ore di sonno e una quantità di gruppi che non troverete in nessun altro festival al mondo.
Quest’anno si è svolta la ventisettesima edizione con sempre il tutto esaurito già dall’inizio dell’anno ed un organizzazione come sempre impeccabile.
Nel frattempo la UDR, in collaborazione con gli organizzatori del festival, non ha fatto mancare il lussuoso cofanetto che immortala una buona fetta dei gruppi che hanno calcato il palco l’anno prima, una vera chicca per chi ha avuto la fortuna di presenziare all’evento e per chi, rimasto a casa, vuol respirare virtualmente l’atmosfera di questo storico paradiso metallico.
Composto da un doppio cd/dvd, 26 Years Louder Than Hell glorifica con immagini bellissime ed un suono perfetto non solo le apparizioni più significative, ma tutto quello che il Wacken è per il mondo del metal e dell’hard rock.
Settantacinquemila persone in questa pianura persa nel nord Europa, le piogge che non risparmiano mai il pubblico trasformando in un mare di fango le aree concerti, la positività di un mondo lungi dagli stereotipi che lo accompagnano da sempre, commuovono, mentre i gruppi sul palco non si risparmiano consapevoli dell’importanza epocale dell’evento.
In questo dvd a livello musicale troverete una varietà di generi assolutamente unica, valorizzata come detto da immagini e suono che senz’altro valgono l’acquisti dell’opera.
Dall’heavy metal dei maestri Judas Priest e Uli Jon Roth, al death scandinavo di Amorphis e In Flames, all’hard rock pregno di blues dei nuovi Europe e The Answer, dal thrash metal degli inossidabili Death Angel, al brutal dei Cannibal Corpse.
Insomma Wacken da anni non vi fa mancare nulla, andarci almeno una volta nella vita dovrebbe essere un dovere per ogni metallaro degno di questo nome, ma ci si può accontentare anche di queste splendide iniziative.

TRACKLIST
01. JUDAS PRIEST – Painkiller
02. IN FLAMES – Paralyzed
03. IN FLAMES – Everything’s Gone
04. AMORPHIS – My Kantele
05. AMORPHIS – Magic And Mayhem
06. RUNNING WILD – Under Jolly Roger
07. RUNNING WILD – Riding The Storm
08. BEYOND THE BLACK – Rage Before The Storm
09. BEYOND THE BLACK – Songs Of Love And Death
10. ARCHITECTS OF CHAOZ – Horsemen
11. ARMORED SAINT – Left Hook From Right Field
12. ANNIHILATOR – Creepin’ Again
13. ANNIHILATOR – Alison Hell
14. DEATH ANGEL – Voracious Soul
15. DEATH ANGEL – Buried Alive
16. EXUMER – Possessed By Fire
17. BURGERKILL – Under The Scars
18. SABATON – To Hell And Back
19. SABATON – Night Witches
20. DANKO JONES – The Twisting Knife
21. DANKO JONES – Full Of Regret
22. ULI JON ROTH – Dark Lady
23. ULI JON ROTH – Virgin Killer
24. THE POODLES – Night Of Passion
25. EUROPE – War Of Kings
26. EUROPE – The Second Day

DVD2 / Blu-ray 2:
01. BIOHAZARD – How It Is
02. BIOHAZARD – Punishment
03. KATAKLYSM – As I Slither
04. KATAKLYSM – To Reign Again
05. CANNIBAL CORPSE – Scourge Of Iron
06. CANNIBAL CORPSE – Evisceration Plague
07. CRADLE OF FILTH – Burn In A Burial Gown
08. CRADLE OF FILTH – Cruelty Brought Thee Orchids
09. ANAAL NATHRAKH – Idol
10. SKINDRED – Kill The Power
11. SKINDRED – Proceed With Caution
12. OOMPH! – Augen auf
13. OOMPH! – Gott ist ein Popstar
14. SANTIANO – Gott muss ein Seemann sein
15. SANTIANO – Lieder der Freiheit
16. IN EXTREMO – Himmel und Hölle
17. IN EXTREMO – Feuertaufe
18. KÄRBHOLZ – Ich hör mir beim Leben zu
19. GODSIZED – Welcome To Hell
20. THE ANSWER – Raise A Little Hell
21. MY DYING BRIDE – Turn Loose The Swans
22. MANTAR – Into The Golden Abyss
23. SAVAGE MACHINE – Prisoners Of War (METAL BATTLE)
24. BLAAKYUM – Baal Adon (METAL BATTLE)
25. METAPRISM – Reload (METAL BATTLE)
26. WALKWAYS – Half The Man I Am (METAL BATTLE)
27. VESPERIA – Iron Saga (METAL BATTLE)

CD1:
01. JUDAS PRIEST – Painkiller
02. IN FLAMES – Paralyzed
03. AMORPHIS – My Kantele
04. RUNNING WILD – Under Jolly Roger
05. BEYOND THE BLACK – Rage Before The Storm
06. ARCHITECTS OF CHAOZ – Horsemen
07. ARMORED SAINT – Left Hook From Right Field
08. ANNIHILATOR – Alison Hell
09. DEATH ANGEL – Buried Alive
10. EXUMER – Possessed By Fire
11. BURGERKILL – Under The Scars
12. SABATON – To Hell And Back
13. DANKO JONES – Full Of Regret
14. ULI JON ROTH – Virgin Killer
15. THE POODLES – Night Of Passion
16. EUROPE – War Of Kings

CD2:
01. BIOHAZARD – How It Is
02. KATAKLYSM – To Reign Again
03. CANNIBAL CORPSE – Evisceration Plague
04. CRADLE OF FILTH – Burn In A Burial Gown
05. ANAAL NATHRAKH – Idol
06. SKINDRED – Proceed With Caution
07. OOMPH! – Gott ist ein Popstar
08. SANTIANO – Gott muss ein Seemann sein
09. IN EXTREMO – Himmel und Hölle
10. KÄRBHOLZ – Ich hör mir beim Leben zu
11. GODSIZED – Welcome To Hell
12. THE ANSWER – Raise A Little Hell
13. MY DYING BRIDE – Turn Loose The Swans
14. MANTAR – Into The Golden Abyss
15. SAVAGE MACHINE – Prisoners Of War (Metal Battle)
16. BLAAKYUM – Baal Adon (Metal Battle)
17. METAPRISM – Reload (Metal Battle)
18. WALKWAYS – Half The Man I Am (Metal Battle)
19. VESPERIA – Iron Saga (Metal Battle)

WACKEN OPEN AIR – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=CVPQdFYSVi8

Opeth – Sorceress

Se gli Opeth dell’era metal hanno dimostrato negli anni ’90 (e inizio dei 2000) di poter essere originali, altrettanto non sta avvenendo con il nuovo corso musicale intrapreso.

Ho un ricordo ancora vivido del mio ultimo concerto degli Opeth al Gods of Metal 2012.

E ricordo simpaticamente l’umorismo di Mr. Åkerfeldt che, tra una battuta e l’altra su Eros Ramazzotti, ci comunicava che per la sua band l’heavy metal è stato caratterizzato dalla fase giovanile, ma era giunto il momento di crescere. L’inquieta band svedese che tanto ha dato al death metal nei primi anni ’90, ha praticamente abbandonato quasi tutti i legami con il metallo preferendo sonorità vicine al rock e prog rock anni ‘70. Se la strada intrapresa sia una reale crescita è argomento (sterile) ormai discusso largamente. Non ci resta che lasciare da parte la nostalgia e ascoltare i nuovi Opeth liberandoci dal passato per almeno 50 minuti. Persephone è una intro di chitarra acustica toccante, ma subito arriva la trama di Sorceress, intessuta da un organo e basso prima (chi conosce gli Area?), poi da un bel riff di chitarra pesante e oscuro: la natura prog-rock della traccia si avverte più dai suoni che non dalla composizione in sé, il pezzo è tutto sommato immediato e accessibile. Più banale The Wilde Flowers, che rivela un mood prog più tradizionale, anche se l’assolo e il finale sono pregevoli. Il gradevole folk acustico e tranquillo di Will O The Wisp, poi attacco hard per Chrysalis, che frulla insieme Ghost e Deep Purple, senz’altro tra gli highlights dell’album. Sorceress 2 potrebbe stare su Led Zeppelin III, mentre  The Seventh Sojourn sembra balzata fuori da Kashmir. L’abbiocco sembra inevitabile finché Strange Brew non esplode al minuto 2 in un riff spaziale di grande prog che, solo per un istante, mi dà l’illusione di trovarmi in un pezzo degli immensi Spiral Architect. Il brano impegna i nostri in un entra-esci da Hendrix ai Beatles e dalle ultime release Opeth. Non si decolla ancora, purtroppo. In  A Fleeting Glance si riaffacciano ancora i Beatles e di tanto in tanto un riffettino o un assolo di chitarra provano a elettrizzare l’andazzo sonnolento. Con Era sembrano voler spezzare il torpore incombente e il brano, pur non così originale, chiude in (parziale) bellezza. Gli Opeth non mi hanno stregato con il loro prog rock, devono ancora lavorare sodo per amalgamare e soprattutto valorizzare al meglio tutte le loro innegabili influenze e quindi trovare una nuova identità. Se gli Opeth dell’era metal hanno dimostrato negli anni ’90 (e inizio dei 2000) di poter essere originali, altrettanto non sta avvenendo con il nuovo corso musicale intrapreso. Previsione personalissima: o torneranno in qualche modo a quello che sanno fare meglio (il metallo) o rischieranno l’oblio.
P.S. Il mio voto è beneaugurante …

TRACKLIST
01. Persephone
02. Sorceress
03. The Wilde Flowers
04. Will O The Wisp
05. Chrysalis
06. Sorceress 2
07. The Seventh Sojourn
08. Strange Brew
09. A Fleeting Glance
10. Era
11. Persephone (Slight Return)

LINE-UP
Mikael Åkerfeldt – Vocals, Guitar
Joakim Svalberg – Keys, Vocals
Fredrik Åkesson – Guitar,Vocals
Martin Mendez – Bass Guitar
Martin Axenrot – Drums

OPETH – Facebook

Saxon – Let Me Feel Your Power

I dettagli sulla performance sono tutti da scoprire, vi basti sapere che i vostri soldi saranno ben spesi: doppio cd, più dvd con il meglio della discografia di una delle icone del mondo metal, what else?

Let Me Feel Your Power è un brano che fa parte della track list di Inner Sanctum, l’album uscito ormai quasi dieci anni fa e che vedeva la band di Biff Byford toccare livelli qualitativi altissimi, come nelle opere dei primi anni ottanta.

Una band, i Saxon, di cui troppo spesso ci si dimentica: insieme alla vergine di ferro, una delle band più amate dai kids del primo periodo metallico, quello della new wave of british heavy metal a cavallo tra la fine di un’era (quella dell’hard rock settantiano) e la nascita del metal classico, genere padre di tutte le correnti della musica dura.
Gli anni sono passati inesorabilmente anche per le orde sassoni che conquistarono l’Europa a colpi di hard & heavy, ma è indubbio che la professionalità di Biff e soci ha permesso lor di entrare nel nuovo millennio dalla porta principale, non dando l’impressione di una band per metallari nostalgici, bensì di gruppo assolutamente sul pezzo anche per i giovani fottuti dalla rete.
D’altronde anche i Saxon nulla possono contro l’abbrutimento di un mercato ormai solo virtuale, a discapito di un rito messianico come il vinile prima ed in parte il cd, ma il tempo scorre e la musica va avanti, seguendo il fiume di questo nuovo e drammatico millennio.
Sono tornati i Saxon, dopo i fasti del secondo capitolo delle cronache sassoni e l’ultimo album uscito lo scorso anno (The Battering Ram), in attesa di un nuovo lavoro previsto per il prossimo anno, ritornano per la gioia dei loro fedelissimi fans con un dvd/ doppio cd live a suggellare una carriera on the road che, a dispetto delle sessantacinque primavere del suo leader , non smette di dare battaglia sui palchi più prestigiosi dei vari festival estivi o nei lunghissimi tour a cui si sottopongono; una vita on the road, un’attitudine live che ha impreziosito una carriera invidiabile, con alti e bassi fisiologici ma con una coerenza commovente che ne hanno fatto uno dei gruppi più rispettati del mondo metal.
Let Me Feel Your Power dunque è l’ennesimo live, in uscita per la UDR/Warner, composto da sedici tracce che alternano classici immortali (tranquilli, le varie Motorcycle Man, Power And The Glory, Heavy Metal Thunder, Princess of the Night ci sono tutte), alla nuova produzione che comunque rimane di alto livello ed una spanna sopra a molte delle nuove leve tanto osannate di questi tempi.
Diviso tra i live di Monaco, Brighton e Chicago, questo doppio live, supportato dall’ormai immancabile dvd, è un’altra ennesima glorificazione del sound sassone, con il gruppo in forma invidiabile, a parte qualche piccola discrepanza nella prova del buon Biff ma assolutamente imperdibile per i fans e per chi ama l’heavy metal classico.
I dettagli sulla performance sono tutti da scoprire, vi basti sapere che i vostri soldi saranno ben spesi: doppio cd, più dvd con il meglio della discografia di una delle icone del mondo metal, what else?

TRACKLIST
1.CD
01 – Battering Ram (live in Munich)
02 – Motorcycle Man (live in Munich)
03 – Sacrifice (live in Munich)
04 – Destroyer (live in Munich)
05 – Power And The Glory (live in Munich)
06 – 20000FT (live in Munich)
07 – Devils Footprint (live in Munich)
08 – Heavy Metal Thunder (live in Munich)
09 – Queen Of Hearts (live in Munich)
10 – Princess Of The Night (live in Munich)
11 – Wheels Of Steel (live in Munich)
12 – Denim And Leather (live in Munich)
13 – Crusader (live in Munich)
14 – Eye Of The Storm (live in Brighton)
15 – Battalions Of Steel (live in Brighton)
16 – Requiem (live in Brighton)

2.CD
01 – Motorcycle Man (live in Chicago)
02 – Battering Ram (live in Chicago) *
03 – This Town Rocks (live in Chicago)
04 – Sacrifice (live in Chicago)
05 – Power And The Glory (live in Chicago)
06 – Solid Ball Of Rock (live in Chicago)
07 – Dallas 1 PM (live in Chicago)
08 – Heavy Metal Thunder (live in Chicago)
09 – Rock The Nations (live in Chicago)
10 – The Eagle Has Landed (live in Chicago)
11 – Wheels Of Steel (live in Chicago)
12 – Backs To The Wall (live in Chicago)
13 – Just Let Me Rock (live in Chicago)
14 – Strong Arm Of The Law (live in Chicago)
15 – 747 (Strangers In The Night) (live in Chicago)
16 – Princess Of The Night (live in Chicago)
17 – Crusader (live in Chicago) *
18 – Denim And Leather (live in Chicago)

LINE-UP
Biff Byford – Vocals
Doug Scarratt – Guitars
Paul Quinn – Guitars
Nibbs Carter – Bass
Nigel Glockler – Drums

SAXON – Facebook

Ritorna il 1 ottobre BAND ITALIANE ROCK E METAL

La pagina Facebook riferimento per gli appassionati riparte ed avvia una collaborazione con MetalEyes IYE !

Dopo 6 mesi di stop, Il 1 ottobre riprende vita Band Italiane Rock e Metal , pagina Facebook che, per diversi anni, ha costituito un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati e per gli stessi musicisti.

Per descriverne contenuti e finalità lasciamo direttamente la parola a colei che ne è stata l’artefice, Caterina “Spakka” Zarpellon, una figura tra le più attive nella scena rock/metal nazionale:

Band Italiane Rock e Metal nasce a dicembre 2012, dal mio desiderio di conoscere il panorama underground rock e metal nostrano, di cui ero ignara, e di farne partecipi più persone possibile. Nasce come una vetrina per i curiosi, per chi è stufo della “solita musica” e vuole ampliare le proprie conoscenze. Inizialmente vengono presentate le band, 4-5 con frequenza settimanale, ed inserite in un elenco, che in tre anni è arrivato a contare più di 1.400 band. Oltre a pubblicizzare video e file audio delle band, i loro annunci, live, ricerca membri e scambio date, si è creato un canale di contatto con agenzie di booking, promoters, locali, sale prova, fabbricanti di strumenti, programmi radiofonici. Tra le varie attività della pagina vorrei ricordare un festival organizzato in collaborazione con Breakdown, programma radiofonico di quel periodo, presso le OFFICINE SONORE di Vercelli il 2/11/2013, e diversi live durante il 2014 presso il ROCK SATISFACTION di Castronno (Va); il servizio di recensione tramite SADIK UNDERGROUND REVIEW; il “FEMALE DAY” giornata dedicata alle donne presenti nei vari gruppi rock e metal italiani; il blog, con la pubblicazione delle locandine dei live e del “Video del giorno”; la copertina della pagina che ospitava settimanalmente una band diversa; la mia collaborazione con la testata giornalistica romana TEMPI DISPARI, tramite report dei live e videointerviste alle band.
Per problemi personali ho chiuso a malincuore la pagina a marzo 2016. Ma la passione non si può spegnere ed ora verrà riaperta il 1 ottobre. L’intento rimane lo stesso: essere strumento di diffusione e punto di ritrovo per le band. Avrò l’ausilio di quattro collaboratori, da varie zone d’Italia, con i quali spero di rendere un servizio migliore rispetto precedente. Dato che la pagina è stata cancellata, si ripartirà da zero e le band saranno catalogate in differenti elenchi, a seconda del loro genere di appartenenza, per facilitarne la consultazione.
Vi aspetto numerosi, a supportare le Band Italiane Rock e Metal, dal 1 ottobre!

Le buone notizie non finiscono qui: infatti, noi di MetalEyes IYE siamo onorati di annunciare l’avvio della collaborazione con Caterina, grazie alla quale i nostri contenuti riguardanti la scena underground nazionale saranno raggiungibili anche dalla pagina Band Italiane Rock e Metal, mentre le band che si rivolgeranno a lei avranno la possibilità di attivare un canale di comunicazione diretto con la nostra webzine per quanto riguarda, in particolare, l’invio del materiale e l’ottenimento di una recensione in tempi ragionevoli.

Ovviamente questi sono solo alcuni degli aspetti di una collaborazione che sarà più ampia e certamente fruttuosa, visto che prende le mosse da un comune sentire e dalla volontà di rendere la nostra passione per la musica rock e metal un virus dalla diffusione inarrestabile.
Quindi non resta altro che invitarvi, dal 1 ottobre, a riprendere le buone abitudini quotidiane visitando la pagina Band Italiane Rock e Metal e, già che ci siete, facendo lo stesso anche con MetalEyes IYE.

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In The Woods… – Pure

Gli In The Woods… sono nuovamente tra noi, differenti forse, ma sempre capaci di esprimersi ad un livello qualitativo sconosciuto ai più.

A metà degli anni ’90, nel pieno dell’ondata black che arrivò a stravolgere buone e cattive abitudini del metal estremo, apparvero più o meno dal nulla gli In The Woods…, band che dal genere prendeva certamente le mosse per spingersi senza porsi troppi limiti verso orizzonti psichedelico progressivi che, solo in seguito, troveranno un certo successo grazie a nomi quali Arcturus, Ulver e Solefald.

Heart Of The Ages (1995) e il successivo Omnio (1997) furono dei veri fulmini a ciel sereno che arrivavano a dimostrare quanto quella genia di musicisti non fosse in grado di farsi notare solo per un’urgenza espressiva selvaggia, che spesso trovava sfogo anche al di fuori del campo artistico, ma avesse in nuce le stimmate di un talento e di un potenziale innovativo che sarebbe emerso negli anni a venire.
Un meno brillante Strange in Stereo, nel 1999, pareva aver segnato la fine di usa storia trascinatasi fino all’uscita del live del 2003, andando a collocare gli In The Woods… nell’affollato novero delle band di culto, quelle capaci di restare impresse nell’immaginario degli ascoltatori pur avendo dato il meglio in una manciata di dischi racchiusa in un breve spazio temporale.
E invece, neppure gli In The Woods… si sottraggono alla tentazione della reunion, che vede alle prese tutti e tre i fondatori (i fratelli Botteri e Anders Kobro) raggiunti dal muscista inglese James Fogarty alias Mr.Fog.
Veniamo al dunque, quindi, parlando del nuovo album intitolato Pure: l’ispirazione pare non essere stata annacquata dal trascorrere del tempo, ma appare evidente quanto questo lavoro sia in qualche modo più fruibile rispetto ai capolavori di metà anni ’90, pur mantenendo intatta l’attitudine avanguardista della band norvegese.
Non che questo sia un male, chiariamolo: Pure è davvero un bellissimo disco, che in oltre un’ora di durata va a lambire tutte le sfumature sonore alle quali i nostri ci avevano abituato ma, tenendo conto dell’evaporazione dell’effetto sorpresa che esaltava i contenuti di Heart Of The Ages ed Omnio, va letto in un’ottica diversa rispetto al passato.
L’errore più grande che può commettere chi ha amato quei lavori è attendersi da questa nuova uscita, targata Debemur Morti, qualcosa di simile per freschezza e potenziale innovativo: gli In The Woods…, contrariamente alle attese, vanno molto più diretti alla ricerca dell’obiettivo, raggiungendolo tramite brani intrisi di splendide melodie, alternate a qualche robusta accelerazione che non va però ad incrinare un substrato fondamentalmente progressive, al quale il retaggio black dona quel velo di oscurità e malinconia che rende magnifica più di una traccia.
Emblematica sicuramente la trascinante title track, posta in apertura, che trova subito un suo possibile contraltare nella cupezza della successiva Blue Oceans Rise; i rallentamenti ai confini del doom di The Recalcitrant Protagonist e l’intensità di Cult Of Shining Stars sono anch’essi segni indelebili di una classe che non è andata perduta ma, se persistessero ancora dei dubbi, i venticinque minuti conclusivi rimarcano quanto questa band alla fin fine ci sia mancata, perché le splendide e suadenti atmosfere del lungo strumentale Transmission KRS ed il crescendo evocativo di This Dark Dream e Mystery Of The Constellations non sono un qualcosa che possa uscire dalla penna di musicisti appena nella media.
Siamo nel 2016, gli In The Woods… sono nuovamente tra noi, differenti forse, ma sempre capaci di esprimersi ad un livello qualitativo sconosciuto ai più. Bentornati.

Tracklist:
1.Pure
2.Blue Oceans Rise (Like A War)
3.Devil’s At The Door
4.The Recalcitrant Protagonist
5.The Cave Of Dreams
6.Cult Of Shining Stars
7.Towards The Black Surreal
8.Transmission KRS
9.This Dark Dream
10.Mystery Of The Constellations

Line-up:
James Fogarty – Vocals, Guitars and Keys
X-Botteri – Guitars
C:M Botteri – Bass
Anders Kobro – Drums

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Alter Bridge – The Last Hero

Gli Alter Bridge sono candidati ad essere LA grande band Hard Rock / Heavy Metal del futuro che molti stavano aspettando.

Giunti al loro quinto lavoro gli Alter Bridge hanno dato vita a uno dei migliori album degli ultimi tempi, innalzando ulteriormente la già grande qualità dimostrata nei lavori precedenti.

Un monumentale e intenso assolo di Mark Tremonti introduce questo The Last Hero, e si comincia a viaggiare alla grande con Show Me a Leader, primo azzeccatissimo singolo. Introdotta da un ritmo militaresco The Writing on the Wall si abbatte sul mio apparato uditivo con tutta la sua pesantezza, e il muro di suono prodotto è deliziosamente devastante. La schiacciasassi The Other Side non dà tregua, la sezione ritmica tritura con gusto e grande perizia, il piacere e l’adrenalina si mantengono altissimi. Ascoltate il passaggio prima del finale, impressionante, cupo e… a questo punto sono già estaticamente frantumato. My Champion emoziona con l’interpretazione molto sentita, ed è semplicemente fantastica la modernissima Poison In Your Veins, che potrebbe far storcere il naso ai puristi, ma groove e melodia sono irresistibili. Un Tremonti killer e inesorabile sulle parti soliste, eseguite con estrema naturalezza, elettrizza questo rullo compressore accompagnato da una prestazione corale spaziale. Cradle to the Grave è una song un po’ tenebrosa, trasmette (sempre energicamente!) una sconsolata malinconia come a sottolineare la sensazione che il tempo a nostra disposizione stia trascorrendo invano. Losing Patience strizza l’occhio al Djent e come un mare possente scuote anima e corpo. This Side of Fate, 6 minuti e 47 secondi nei quali il mix oculatissimo di efficaci e melodici arpeggi intervallati alla parte centrale heavy-post-math. Una grande qualità degli AB è che sanno essere straripanti grazie a composizioni d’insieme, mai esasperando le comunque forti individualità. You Will Be Remembered mostra il lato più melodico e riflessivo del magico quartetto, poi ci travolge la valanga d’acciaio di Crows on a Wire con un Myles stellare che raggiunge vette incredibili, da vero acrobata delle corde vocali. I fraseggi chitarristici in Twilight hanno un taglio meno compatto, ma ancora un altro pezzo di ottima fattura. Il riff di apertura Island Of Fools è heavy-carneficina. The Last Hero si alterna tra la bellissima melodia portante e riff/solo cazzuti, e Myles che urla “Tell me, where are the heroes?”. Un altro gioiello incastonato nella storia della band statunitense.
Quest’album è un ulteriore passo in avanti, e personalmente ritengo che siano proprio gli AB gli ultimi (nostri) eroi giunti felicemente sulla scena. Disco orecchiabile, ma sempre heavy, moderno, dinamico, dove tecnica e feeling raggiungono vette altissime.
Sono stati definiti hard rock, prog metal, post-grunge, ecc… chi se ne fotte. Abbiamo a che fare con una delle più importanti band degli anni 2000 e credo fermamente che gli AB siano candidati ad essere LA grande band hardr ock / heavy metal del futuro che molti stavano aspettando. Goduria.

TRACKLIST
1. Show Me A Leader
2. The Writing on the Wall
3. The Other Side
4. My Champion
5. Poison In Your Veins
6. Cradle To The Grave
7. Losing Patience
8. This Side of Fate
9. You Will Be Remembered
10. Crows On A Wire
11. Twilight
12. Island of Fools
13. The Last Hero
14. Last of Our Kind (Bonus Track)

LINE-UP
Myles Kennedy – Lead Vocals / Guitar
Mark Tremonti – Lead Guitar / Back-up Vocals
Mark Kelly – Keyboards
Brian Marshall – Bass Guitar
Scott Phillips – Drums

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