No Remorse – Wolves

Un bellissimo lavoro, e se la band voleva sondare il terreno per un successivo full length, la missione è compiuta nel migliore dei modi.

Quando il branco di Lupi accerchia la donna, gli ululati si fanno intensi, rituali e con famelica aggressione comincia lo scempio del corpo tra le grida dell’incolpevole vittima, le prime note metalliche di Wolves sprigionano scintille di puro acciaio, ed ancora una volta l’heavy metal trova una delle sue più convincenti espressioni.

Si continua a produrre grande musica metal su e giù per lo stivale, questa volta assolutamente classico, puro e caldo come il sangue che sgorga dalla giugulare dilaniata dalle fauci dei temibili fratelli della notte.
No Remorse, musicisti con qualche pelo in più sullo stomaco e neanche pochi capelli bianchi, provengono dalla fusione di due band toscane avvenuta nel 1999 e hanno dato alle stampe un album omonimo nel 2004 ed il full length Sons Of Rock ormai sei anni fa.
Era tempo di tornare e il gruppo lo ha fatto con questo mini cd di cinque brani intitolato Wolves, un concentrato di heavy metal perfettamente in linea con la tradizione, che si traduce in ritmiche potenti (Franco Birelli al basso e Massimiliano Becagli alla batteria), assoli affilati come gli artigli di un lupo affamato (Sandro Paoli e Aldo Tesi alle chitarre) e i suoi ululati alla luna, grazie alla voce del portentoso Maurizio Muratori.
Dimenticatevi qualsiasi sound che non sia puro acciaio metallico, il gruppo quello suona e lo sa fare al meglio, con un riff maideniano che mette in fuga le bestie e presenta la folgorante title track.
Un chorus da cantare ai bordi di un palco incendiato dalla carica del quintetto e via con Titanium, devastante metal song che ricorda non poco i Primal Fear, prima che Metal Queen lasci spazio all’anima hard rock dei No Remorse e ci spiazzi con un assolo meno aggressivo ma molto più elegante, in poche parole un brano sopra la media.
La ballad d’ordinanza ha le note di The Time To Say Goodbye, mentre con la conclusiva Steelage si fanno quattro passi nella new wave of british heavy metal, grazie al brano più maideniano di quella piccola raccolta di perle che è Wolves.
Un bellissimo lavoro, e se la band voleva sondare il terreno per un successivo full length, la missione è compiuta nel migliore dei modi.

TRACKLIST

1. Wolves
2. Titanium
3. Metal Queen
4. The Time to Say Goodbye
5. SteelAge

LINE-UP
Maurizio Muratori – Vocals
Sandro Paoli – Guitars
Aldo Tesi – Guitars
Franco Birelli – Bass
Massimiliano Becagli – Drums

http://www.facebook.com/NOREMORSEsince1999/?fref=ts

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Un bellissimo lavoro, certo che se la band voleva sondare il terreno per un eventuale full lenght, la missione è compiuta alla grande, il sottoscritto si è già messo in attesa e dopo l’ascolto di Wolves lo farete anche voi.

Ill Neglect / Lambs – Trisma

Due maniere diverse, ma ugualmente efficaci, di maneggiare una materia incandescente come quella del metal che, sposandosi all’hardcore, ne porta alle estreme conseguenze l’impatto virulento.

Edito da un pool di etichette transazionale, questo split mette in mostra un connubio potenzialmente esplosivo tra i tedeschi Ill Neglect e gli italiani Lambs.

Trisma, in poco meno di dieci minuti, scarica la rabbia repressa covata in una vita intera, e ciò avviene con gli Ill Neglect tramite un grind dalle sfumature sludge che a tratti può ricordare, per attitudine e per riferimenti non casuali i seminali Brutal Truth (il monicker ne riprende il titolo di uno dei brani più noti), e con i Lambs attraverso un metal estremo che sovente disorienta con repentini cambi di scenario, sempre all’insegna di sonorità comunque disturbanti e facenti capo sempre allo sludge, almeno a livello di orientamento generale.
Troviamo, quindi, due maniere diverse, ma ugualmente efficaci, di maneggiare una materia incandescente come quella del metal che, sposandosi all’hardcore, ne porta alle estreme conseguenze l’impatto virulento.
Per entrambe le band un significativo biglietto da visita da esibire in occasione dei rispettivi, ed auspicabilmente prossimi, esordi su lunga distanza.

Tracklist:
1.Cold Turkey (Ill Neglect)
2.Permanent Euphoria (Ill Neglect)
3.You, the Drawback (Lambs)
4.Unfeeling (Lambs)

Line-up:
ILL NEGLECT
Daniel Powell – vocals
Jan T-Beat – drums
Thomas Conrad – guitar
André Beyer – bass

LAMBS
Cristian Franchini – vocals
Mattia Bagnolini – drums
Gianmaria Mustillo – guitar
Steven Teverini – bass

ILL NEGLECT – Facebook

LAMBS – Facebook

Damned Pilots – Overgalaxy

Overgalaxy non mancherà di fare proseliti tra gli amanti dei suoni americani di fine millennio, con cui la band gioca immettendo dosi letali di doom e rock che, andando a ritroso, non si ferma agli anni settanta, ma si spinge agli ultimi anni del decennio precedente, con riferimenti geniali a Beatles e Mark Bolan.

Siete pronti per una nuova avventura spaziale insieme ai Damned Pilots?

Allora salite con loro sul furgoncino spaziale direttamente dagli anni settanta e volate su e giù per la galassia, scontrandovi con Gorguss, nemico di una vita.
La band post nuclear metal nostrana ha fatto le cose in grande per questo nuovo lavoro, prodotto da Ron Goudie (Gwar, Death Angel, Poison), mixato e masterizzato dal leggendario Bill Metoyer, (W.A.S.P., Trouble e Slayer) e l’album ne esce come un prodotto dal taglio internazionale, che amalgama con sagacia hard & heavy del decennio novantiano, metal estremo ed hard rock moderno e psichedelico, un caleidoscopio di sonorità tra sfumature vintage e bordate di groove metal dal buon appeal.
Un viaggio nello spazio, dunque, anche se le atmosfere alternano fughe nella galassia psichedelica e lunghe passeggiate in quel deserto americano dove i personaggi dei primi film di Rob Zombie compivano le loro malefatte a colpi di groove metal in La Sexorcisto style, quindi tanto flower power drogato di stoner e hard rock.
Non mancano accenni al doom, sempre con l’anima stonerizzata, ma è indubbio l’amore che il gruppo ha per il metal nato tra le pietre e la calda sabbia del deserto.
Overgalaxy non mancherà di fare proseliti tra gli amanti dei suoni americani di fine millennio, con cui la band gioca immettendo dosi letali di doom e rock che, andando a ritroso, non si ferma agli anni settanta, ma si spinge agli ultimi anni del decennio precedente, con riferimenti geniali a Beatles e Mark Bolan.
Poi quando lo scontro con Gorguss si fa più violento (Gorguss, il brano canzone) il doom metal prende il sopravvento per un risultato davvero riuscito, accompagnato da uno spirito hippy che spoglia il sound dalla durezza scarna del doom classico per donargli un’atmosfera da tragico e melanconico trip.
Un gran bel lavoro, che al sottoscritto ha ricordato a più riprese una via di mezzo tra il già citato La Sexorcisto, capolavoro degli White Zombie, Manic Frustration, l’album più hard rock della discografia dei doomster Trouble, e l’hard rock stonerizzato dei Monster Magnet, il tutto suonato tra gli anni sessanta ed il nuovo millennio.
Non ci sono riempitivi e l’ascolto se ne giova che è un piacere, dunque lasciate a casa lo scooter e guardate verso il cielo, potrebbe fare la sua comparsa il furgoncino spaziale dei Damned Pilots, e salirci, anche se pericoloso, è assolutamente consigliato.

TRACKLIST
01. Intro
02. Damned Pilots
03. Season Of The Ending
04. Desert Europa
05. Just Another Day
06. Gorguss
07. Hell Is Cold
08. People Don’t Die
09. Sylvanic
10. Mos

LINE-UP
Don Nutz
Sgt Ote
Willer Hz
Erik Space

DAMNED PILOTS – Facebook

Delirium X Tremens – Troi

Metal estremo atmosfericamente sopra la media, un tuffo nella tradizione popolare di uno dei territori più belli, misteriosi e ricchi di leggende della nostra penisola,

Sono ormai anni che il monicker Delirium X Tremens gira nella scena estrema underground, almeno da quando Cyberhuman, debutto in mini cd, fece conoscere la band bellunese ai fans del metallo estremo.

Il gruppo, duro e pesante come uno dei passi dolomitici affrontati in bicicletta, arriva tramite la Punishment 18 Records al terzo full length della sua ormai lunga carriera, successore di CreHated from No_Thing del 2007 e Belo Dunum, Echoes from the Past, licenziato cinque anni fa: Troi è un concept che racconta il viaggio di un ragazzo guidato da un gufo posseduto dall’anima di un alpino, verso la casa dove è custodito un importante album di fotografie.
Veniamo quindi trasportati nell’immaginario montano delle Dolomiti, tra orgoglio nordico, spunti folk popolari di quelle terre e metal estremo, a tratti epico, devastante ed originale nel saper mantenere con sagacia l’equilibrio tra death metal old school e spunti musicali che vanno dal folk al rock, dalla musica popolare a mood alternativi che, all’apparenza, con il metal estremo c’entrano poco ma fondamentali nel sound del quartetto bellunese.
I Delirium X Tremens sono un gruppo originale, su questo non c’è il minimo dubbio, e anche per questo il nuovo lavoro ha bisogno di qualche giro in più nel laser ottico per essere pienamente assimilato, ma l’atmosfera malinconicamente epica di brani che sprizzano tradizione nordica (finalmente italiana, aggiungo), come Col Di Lana/Mount Of Blood, The Voice Of The Holy River e la tragicità di eventi drammatici e storici come Spettri nella Steppa, fanno di Troi un lavoro sicuramente affascinante.
Un’opera di metal estremo atmosfericamente sopra la media, un tuffo nella tradizione popolare di uno dei territori più misteriosi e ricchi di leggende della nostra penisola, tra il freddo, la solitudine e la magica bellezza delle Dolomiti.

TRACKLIST
01. Ancient Wings
02. Col Di Lana, Mount Of Blood
03. The Dead Of Stone
04. The Voice Of The Holy River
05. Owl
06. Spettri Nella Steppa
07. Song To Hall Up High (Bathory Cover)
08. When The Mountain Call The Storm
09. The Picture

LINE-UP
Ciardo – Vocals
Med – Guitars
Thomas – Drums
Pondro – Bass

DELIRIUM X TREMENS – Facebook

Klimt 1918 – Sentimentale Jugend

Il lungo silenzio discografico dei Klimt 1918 viene ampiamente compensato dalla pubblicazione di un lavoro di livello eccelso.

Un periodo lungo sei anni può apparire molto breve o pressoché eterno, dipende tutto dal contesto e dall’importanza che riveste per ciascuno il concetto di tempo.

Fatto sta che i Klimt 1918 si palesano nuovamente all’attenzione dei musicofili alla costante ricerca di sonorità nelle quali malinconia e melodia si rincorrono, senza mai ammiccare ad una facile fruibilità.
Del resto, solo l’idea di ripresentarsi al pubblico con quasi due ore di musica non sembra proprio indicare una scelta biecamente commerciale, in tempi di ascolti usa e getta portati alle estreme conseguenze; tra l’altro, la musica della band romana non è certo un qualcosa che possa essere affrontata con noncuranza, nonostante una sua levità del tutto apparente: il pop rock dei Klimt 1918, ora screziato di oscurità, ora sognante all’insegna del migliore shoegaze, gode di una profondità che lo rende peculiare, scoraggiando chiunque provi a cercare termini di paragone comodi quanto fuorvianti.
Sentimentale Jugend è un album che ha avuto una lunga gestazione, e quello che sorprende di più è l’apprendere, dalle parole di presentazione dello stesso Marco Soellner, quanto il tutto si manifesti ad un tale livello di perfezione malgrado uno sviluppo in tempi così dilatati e le naturali interferenze che la vita quotidiana piazza sulla strada di musicisti impossibilitati, purtroppo, a campare delle propria arte. Anche per questo, quando ci viene fornita la possibilità di ascoltare opere di un certo spessore, dovremmo provare ad immedesimarci nelle difficoltà che affrontano le nostre band rispetto, per esempio, a quelle del Nord Europa, agevolate da organizzazioni statali che sicuramente favoriscono chi voglia trovare uno sbocco alla propria indole artistica.
Fatte le dovute premesse, non resta che tuffarsi in questo vasto oceano di note che, fin dal titolo, riporta ad una Berlino crepuscolare e ad un afflato poetico che, pur ispirandosi negli intenti alla scena settantiana della capitale tedesca, trae linfa dalla Città Eterna e dall’esplorazione dei suoi meandri più oscuri, cosa che è stata fatta con successo in epoca recente, pur utilizzando differenti coordinate sonore, da altre band capitoline come Riti Occulti, Rome in Monochrome o Raspail (questi ultimi collegati ai Klimt 1918  per la presenza in line-up di elementi comuni).
Montecristo, Comandante e La Notte è il trittico d’apertura del CD Sentimentale, che da solo basterebbe a nobilitare l’intera carriera di centinaia di gruppi: tre maniere diverse, ma ugualmente convincenti, di interpretare la materia, con il mio personale picco di gradimento per La Notte, brano cantato in italiano contraddistinto da un fremente crescendo; la prima delle due parti dell’opera vede ancora Belvedere e la title track quali ulteriori vertici qualitativi, senza dimenticare la splendida cover di Take My Breath Away, canzone composta per i Berlin esattamente trent’anni fa dal più “berlinese” dei musicisti italiani, Giorgio Moroder.
Il secondo CD, Jugend, non differisce più di tanto dal precedente dal punto di vista stilistico, a parte forse un piglio leggermente più nervoso, ben esplicitato dai ritmi sostenuti di Sant’Angelo (The Sound & The Fury), preceduta però dalle ariose aperture melodiche di Ciudad Lineal; qui altri picchi sono The Hunger Strike, canzone che gode di una seconda parte in cui i fiati vanno a sovrapporsi ad una progressione sognante, e la poesia musicata di Stupenda e Misera Città.
In questa lunga traccia, la voce del noto doppiatore Max Alto interpreta la prima parte del poemetto pasoliniano “Il pianto della scavatrice” sopra un tessuto sonoro che ne enfatizza l’impatto evocativo: l’omaggio ad un grande poeta si rivela l’ideale chiusura di un opera che, proprio nella poesia, trova il suo aspetto più caratterizzante, pur se veicolato dai suoni per lo più liquidi e morbidi dello shoegaze d’autore.
La scelta di una produzione volutamente non troppo “leccata” aumenta il potenziale oscuro di un lavoro la cui lunghezza, se da una parte ne rende più laboriosa l’assimilazione, dall’altra consente di godere di un robusto fatturato di musica emozionante, senza momenti deboli salvo, forse, la canzone più sbilanciata verso il pop britannico, Nostalghia, ma che probabilmente mi appare tale più per gusto personale che non per oggettivi demeriti dei Klimt 1918.
Per concludere, una nota di servizio utile ai molti che (si spera) decideranno di fare proprio Sentimentale Jugend: l’opera è disponibile nel formato integrale in doppio CD, ma Sentimentale e Jugend possono essere acquistati anche separatamente, con due diverse copertine; ritengo però difficile, ed anche inopportuno, che qualcuno possa optare per l’uno o l’altro disco, vista la citata contiguità stilistica che li accomuna, per cui consiglio vivamente di non fare troppi calcoli scegliendo la versione completa, ne vale davvero la pena.

Tracklist:
CD 1 Sentimentale
1.Montecristo
2.Comandante
3.La Notte
4.It Was To Be
5.Belvedere
6.Once We Were
7.Take My Breath Away
8.Sentimentale
9.Gaza Youth

CD 2 Jugend
1.Nostalghia
2.Fracture
3.Ciudad Lineal
4.Sant’Angelo (The Sound & The Fury)
5.Unemployed & Dreamrunner
6.The Hunger Strike
7.Resig-nation
8.Caelum Stellatum
9.Juvenile
10.Stupenda e Misera Città
11.Lycans

Line-up:
Marco Soellner – vocals & guitars
Paolo Soellner – drums & percussions
Davide Pesola – bass
Francesco Conte – guitars

KLIMT 1918 – Facebook

Noise Trail Immersion – Womb

Tecnica e capacità compositiva sono importanti e notevoli in questo disco, ma la cosa più importante è il cuore di questo gruppo, la capacità di creare empatia con l’ascoltatore.

Pesantissimo esordio discografico per questo gruppo torinese, dedito ad un hardcore metal nerissimo, con incursioni nel death metal e nel math, con inaspettate e bellissime aperture melodiche.

I Noise Trail Immersion sono un gruppo che ha sicuramente attinto a Converge, The Secret e Dillinger Escape Plan, e la loro capacità più grande è di essere partiti da qui per intraprendere un cammino totalmente nuovo e ricchissimo. Anche grazie all’ottima produzione si possono sentire canzoni cariche di furia, di tecnica, di melodie da scoprire e tanta voglia di coinvolgere l’ascoltatore. Quello che vi aspetta in questo disco è un nero ed oscuro viaggio, ma sarà molto piacevole, poiché è da tempo che non si ascoltava un lavoro simile nel genere, che poi non è un genere musicale tout court bensì una maniera di sentire. I Noise Trail Immersion ci portano in bui corridoi dove ci aspettano bestie sconosciute e umani che potrebbero essere i nostri cari, ma li vedrete come personaggi di SIlent Hill. L’assalto sonoro è notevole, ma ciò che colpisce di più è al straordinaria capacità di colpire l’ascoltatore per poi innalzarlo con aperture bellissime. Ogni canzone si fa ascoltare fino in fondo, ogni canzone è un piccolo movimento di un’opera più grande, dove tutto è incastonato perfettamente in un’apocalisse sonora e di sentimenti sublime.
Tecnica e capacità compositiva sono importanti e notevoli in questo disco, ma la cosa più importante è il cuore di questo gruppo, la capacità di creare empatia con l’ascoltatore. Bellissimo, e pensare che al primo ascolto non mi era piaciuto.

TRACKLIST
1.Border
2.In Somnis
3.Light Eaters
4.Placenta
5.Womb
6.Organism
7.Hypnagogic
8.Tongueless
9.Birth

LINE-UP
Membri
Fabio – vox
Davide – guitar
Daniele – guitar
Lorenzo – bass
Paolo – drums

NOISE TRAIL IMMERSION – Facebook

Ghost Of Mary – Oblivaeon

Un’opera che va assaporata e fatta propria gustandosi ogni passaggio, sempre in bilico tra le varie atmosfere che compongono il death gotico suonato dal gruppo

Decisamente interessante il debutto dei nostrani Ghost Of Mary, un concept ispirato da un racconto del cantante Daniele Rini incentrato sulla vita e sulla morte e accompagnato da un notevole death sinfonica arricchito da ottime parti classiche e gothic doom.

Un’opera dark, oscura e malinconica che tocca il genere in tutte le sue sfumature, regalando all’ascoltatore un sunto del death metal gotico, partendo addirittura dai primi anni novanta, in particolare dalla scena olandese.
Infatti quest’album torna a far risplendere uno dei movimenti più importanti per lo sviluppo di queste sonorità, affiancando al lento incedere, elegantemente sfiorato dagli strumenti classici, sfuriate estreme di matrice scandinava e dark rock per un risultato che, nella sua altalena di ombrose ed oscure emozioni, si rivela del tuto all’altezza della situazione.
Oblivaeon è un disco vario, maturo, perfettamente in grado di mantenere la giusta tensione e non far perdere l’attenzione all’ascoltatore, travolto dalle sorprese che il gruppo riversa in un songwriting ispiratissimo, così da passare agevolmente tra le ispirazioni che hanno portato alla stesura dei brani in modo fluido e senza forzature.
Death metal melodico d’alta classe, quindi, impreziosito da un’ottima parte orchestrale, da un muro ritmico estremo efficace e da un’interpretazione magistrale di Rini, bravo sia con le parti estreme che con le clean vocals.
Un’opera che va assaporata e fatta propria gustandosi ogni passaggio, sempre in bilico tra le varie atmosfere che compongono il death gotico suonato dal gruppo, ma che ovviamente non manca di picchi qualitativi molto alti come la magnifica Shades, insieme a Something To Know e The End is the Beginning, altri due piccoli gioiellini di questo bellissimo lavoro, esempio perfetto di quello che a mio parere è la maggiore caratteristica del sound dei Ghost Of Mary: death gothic olandese e death melodico scandinavo che si scambiano gli onori e gli oneri in perfetta armonia.
Provate ad immaginare i primi The Gathering, Dark Tranquillity ed un accenno ai Lacrimosa più sinfonici ed avrete un’idea attendibile di cosa vi aspetta tra i solchi di Oblivaeon.

TRACKLIST
1.The Moon and the Tree
2.Shades
3.Last Guardian
4.Nothing
5.The Ancient Abyss
6.Oblivaeon
7.Black Star
8.Something to Know
9.The End is the Beginning
10.Nowhere Now Here
11.The Ancient Abyss (piano version)

LINE-UP

Daniele Rini – voice
Mauro Nicolì – guitar
Gabriele Muja – guitar
Nicola Lezzi – bass
Damiano Rielli – drums
Joele Micelli – violin

GHOST OF MARY – Facebook

My Silent Land – Life Is War

Life Is War appare peculiare perché fresco, frutto dell’istinto compositivo di chi è piuttosto al di fuori dei circuiti musicali canonici e che, quindi, compone musica per il solo piacere di farlo senza particolari calcoli.

Ecco arrivare, agli ultimi sgoccioli di un 2016 dimenticabile per molti motivi (in campo musicale principalmente per la moria delle icone del rock/metal e non certo per la qualità delle uscite), un lavoro in grado di emozionare e far pensare, semplicemente tramutando in note, senza ricorrere a trucchi od effetti speciali, il sentire del proprio autore, Silvio Spina da Cossoine (Sassari).

Il suo progetto My Silent Land può essere definibile homemade nel senso più reale del termine, e questo rischia di rivelarsi fuorviante, facendo pensare nell’immediato ad un qualcosa di casereccio e poco curato: l’ascolto di Life Is War, prima uscita in cd della one man band dopo un demo risalente a qualche anno fa, ci mette di fronte all’opera di un musicista con le idee chiare sia dal punto di vista compositivo che lirico.
L’album, infatti, è incentrato su un tema spinoso e forse abusato come la guerra, vista però (fortunatamente) per quello che è, ovvero un tragedia per chi ne viene coinvolto in prima persona e, sovente, anche in maniera indiretta, senza scivolare nelle forme di pericolosa fascinazione che l’argomento esercita in diversi ambienti del metal; musicalmente Silvio si muove su territori ambient-folk-post rock, potendo ricordare di tanto in tanto qualche nome noto, come Antimatter nella fase iniziale di The Battle o gli ultimi Anathema in Dark & Light, ma si tratta solo di lampi, di riflessi incondizionati non tanto dell’autore ma più dell’ascoltatore, specie se ha immagazzinato molti anni di musica nella propria memoria.
La verità è che Life Is War appare peculiare perché fresco, frutto dell’istinto compositivo di chi è piuttosto al di fuori dei circuiti musicali canonici (anche se va annotata la partecipazione come bassista, in The Departure, del conterraneo Bloody Hansen, artefice dell’intrigante progetto The Providence) e che, quindi, compone musica per il solo piacere di farlo senza particolari calcoli e senza perdersi nell’attenzione ai particolari sacrificando la sostanza.
Non c’è un solo minuto sprecato in questo bellissimo lavoro, che ci fa immergere in atmosfere più malinconiche che tragiche, nonostante ciò possa apparire stano per un concept imperniato sulla guerra, qui intesa sia dal punto di vista bellico vero e proprio, sia in senso metaforico volendone creare un parallelismo con la vita quotidiana di ognuno di noi.
E’ piacevole perdersi in questa quarantina di minuti condotti per lo più dalla chitarra acustica e dalla voce, a tratti incerta e in tal senso in linea con le tendenze attuali del neofolk, ma sempre capace di trasmettere con efficacia il pensiero dell’autore, all’insegna di una linearità compositiva che va in direzione ostinata e contraria, per risultato e per intenti, rispetto all’esibizione cervellotica di contorsioni musicali atte a nascondere, il più delle volte, degli enormi vuoti di ispirazione.
Semplicità che, ci tengo a ribadire, non deve essere scambiata per banalità: My Silent Land si rivela un progetto comunque curato, nel quale non mancano riferimenti colti alla cinematografia o alla storia moderna, tramite l’ausilio di campionamenti come quelli tratti da Salvate il Soldato Ryan (The Battle) o il discorso di Kennedy sul New World Order (Dark & Light).
New World Order è, appunto, il brano che chiude il lavoro, una bonus track che rappresenta la versione demo di una traccia che confluirà sul prossimo lavoro targato My Silent Land: un assaggio che, visto l’esito oltremodo positivo di Life Is War, eleva non poco le aspettative nei confronti delle future mosse dell’ottimo musicista sardo.

Tracklist:
1. Feel The War
2. The Departure (feat. Bloody Hansen)
3. Marching Over The Silent Land
4. The Battle
5. Collateral Murders
6. Dark & Light
7. Winter’s Night
8. The Last Letter
9. After The War
10. New World Order (Demo Version)

Line-up:
Silvio “Viossy” Spina – voce, chitarre, basso, drum machine, tastiere, synth

MY SILENT LAND – Facebook

Southern Drinkstruction – Vultures Of The Black River

I Southern Drinkstruction sono uno dei migliori gruppi nel loro genere e danno alle stampe un disco clamoroso, tanto semplice quanto difficile, ma questi ragazzi di classe ne hanno da vendere.

Dal 2007 questi ragazzi romani allietano le nostre orecchie con diversi massacri sonori, e questo disco è il modo migliore per festeggiare, un po’ in anticipo, dieci anni di sbronza attività.

Bisogna dire subito che questo è il loro disco migliore, in mezzo a prove già ottime, come tutti i loro lavori precedenti. Rispetto a questi ultimi i Southern Drinkstruction si sono ulteriormente induriti, e sono diventati più veloci, senza perdere un grammo della loro potenza, anzi accrescendola. Si è anche ampliato e di molto il loro spettro sonoro, rendendo ancora più efficace la capacità di far del male all’ascoltatore. Cosa ancora più importante, questo disco non vi farà stare fermi, con un’intensità degna delle sparatorie di Tex Willer e dei suoi pards. Non si scende mai da questo cavallo lanciato in corsa contro il mondo. Il gruppo è cresciuto molto e Vultures Of The Black River è un disco molto bello e pesante, con forti influenze southern, davvero un metal ben registrato e all’altezza o anche sopra a tanti nomi ben più blasonati. Questi romani hanno una potenza impressionante e soprattutto una capacità di dare sempre il massimo, dote in possesso di pochi. In questi ultimi tempi pochi dischi si fanno ascoltare più e più volte come questo, e ad ogni curva si vede un paesaggio nuovo, una nuova porzione di sangue e sabbia. I Southern Drinkstruction sono uno dei migliori gruppi nel loro genere e danno alle stampe un disco clamoroso, tanto semplice quanto difficile, ma questi ragazzi di classe ne hanno da vendere. Attenti alle vostre birre quando sono nei paraggi. Southern metal style.

TRACKLIST
1.Appetite For Drinkstruction
2.Elvis In Chains
3.Vultures Of The Black River
4.Ass Parking Bitch
5.Goatboy
6.Back To Kill You
7.Say My Name
8.Out For Blood
9.Bloody Stone
10.THUV

LINE-UP
Francesco Basthard – Vocals
Pinuccio Ordnal – Guitars
Carlo Zorro – Bass
Andrea Vagenius – Drums

SOUTHERN DRINSTRUCTION – Facebook

Sandness – Higher & Higher

Higher & Higher è un lavoro riuscito che, nutrendosi di metal e hard rock, soddisferà sicuramente una larga fetta di appassionati delle sonorità attualmente denominate old school.

La label greca Sleaszy Rider non manca di regalarci delle belle sorprese in campo hard & heavy, anche provenienti dal nostro paese, così dopo avervi parlato degli street rockers Roxin’ Palace, tocca al trio dei Sandness, band proveniente dal freddo Trentino ma dal caldo sound che amalgama hard/street rock ed heavy metal in un dinamitardo e trascinante esempio di rock old school.

Il gruppo arriva al secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo due ep autoprodotti ed il primo full length uscito nel 2013, sempre per Sleaszy Rider, ed Higher & Higher non delude chi aveva apprezzato il gruppo nel recente passato, con una raccolta di brani che, appunto, spaziano tra il sound americano degli anni ottanta e l’heavy metal tradizionale.
Brani più diretti e dallo spirito rock ‘n’ roll si alternano con tracce hard rock, nelle quali il trio non manca di affilare gli artigli: le ispirazioni dei Sandness sono ben presenti, come la voglia di suonare rock senza preoccuparsi di essere originali, ma confezionando (questo sì) una raccolta di buone canzoni, tutta grinta e melodie, chorus come prevede la bibbia del genere e tanta attitudine.
Sono anche bravi i tre musicisti con gli strumenti, così che le parti dove i solos si fanno tradizionalmente metallici appaiono quale marcia in più per fare di brani come Street Animals e il singolo Perfect Machine delle piccole gemme hard & heavy.
Higher & Higher è un lavoro riuscito che, nutrendosi di metal e hard rock, soddisferà sicuramente una larga fetta di appassionati delle sonorità attualmente denominate old school.

TRACKLIST
01 – You Gotta Lose
02 – Street Animals
03 – Hollywood
04 – Promises
05 – Sunny Again
06 – One Life
07 – Light In The Dark
08 – Heat
09 – Perfect Machine
10 – Monster Inside Me.
11 – Play With Fire
12 – Will You Ever

LINE-UP
Mark Denkley – Bass guitar, lead and backing vocals
Metyou ToMeatyou – Drums and backing vocals
Robby Luckets – Rhythmic, lead and acoustic guitars, lead and backing vocals

SANDNESS – Facebook

Gopota – Music For Primitive

Un gran lavoro, in grado di inquietare facendo intuire l’orrore piuttosto che esibendolo esplicitamente

Usciamo ancora una volta dai più consueti e, per certi versi, rassicuranti confini metallici, per addentrarci negli strati più profondi della musica intesa come flusso emotivo e ed elemento di disturbo per coscienze appiattite dalla quotidianità.

Music For Primitive è il secondo album dei Gopota, duo italo-russo che non lascia soverchie speranze di redenzione con il proprio sound per il quale, volendogli per forza trovare un termine di paragone, è naturale l’associazione alle sonorità che, negli ani novanta, vennero proposte dai musicisti operanti nella seminale etichetta svedese Cold Meat Industry, in primis quei Brighter Death Now dello stesso Roger Karmanik, ideatore di quella stimolante realtà discografica arenatasi purtroppo da qualche anno.
Inquadrati in qualche modo i Gopota, non resta che ascoltarne l’operato sotto forma di un ora circa di interferenze uditive, capaci di sovrapporsi con il proprio substrato sonoro a a quel costante rumore di fondo fatto di messaggi, spot, suonerie telefoniche e voci bercianti banalità, un subdolo attentato cacofonico che la nostra mente ha derubricato, sbagliando, ad innocua ed accettabile normalità.
Ognuno può trovare nelle cinque tracce di Music For Primitive i significati che più gli aggrada o gli conviene, ma di certo l’ambient qui contenuta non rappresenta un sottofondo cullante o gradevole: il senso di disfacimento e di degrado, fisico e psichico, che per esempio il funeral doom esplicita accentuandone l’impatto emotivo, nell’operato di Antonio Airoldi e Vitaly Maklakov rimane represso, quasi fosse incapace di fuoriuscire con tutta la sua virulenza.
Alla stregua di un organismo vivente che lotta per incrinare uno spesso involucro che lo imprigiona, il death industrial dei Gopota lancia pesanti segnali verso l’esterno, sia che il tutto vada ad inserirsi nell’ingannevole pace e solennità dei canti gregoriani (Summa Liturgica), sia quando si palesa come un insistente ronzio che riporta l’immaginazione a ciò che avviene nei pressi di sostanze organiche in progressivo disfacimento (Meaningless, Empty Eye)
Un gran lavoro, in grado di inquietare facendo intuire l’orrore piuttosto che esibendolo esplicitamente: volendo fare un accostamento neppure troppo audace, questa era la prerogativa, in campo letterario, di un certo H.P. Lovecraft.

Tracklist:
1.Intro
2.Meaningless
3.Summa Liturgica
4.Attitude
5.Empty Eye

Line-up:
Antonio Airoldi
Vitaly Maklakov

Devastation Inc – No Way for Salvation

Mentre continuano le infinite discussioni su quanto sia opportuno o meno un altro disco dei Metallica, sotto la Lanterna si suona thrash metal, quello vero!

Genova non è così piccola ma, sicuramente, stretta tra i monti e il mare offre una strana sensazione di soffocamento, come se, in piedi sul picco di uno dei suoi tanti rilievi, arrivare dove la schiuma del mare fa da linea di confine tra la terra e l’acqua fosse un attimo.

In poche settimane, dopo che per un po’ di tempo sembrava che la scena metallica della Superba si cullasse in un sonno profondo, arriva un altro gioiellino estremo, questa volta dalle sonorità old school di matrice thrash metal, un concentrato di pura adrenalina marchiato Devastation Inc.
La band genovese nasce nel 2013 per volere dell’intraprendente Alessio Gaglia, chitarrista, cantante e guerriero senza paura nel suonare metal in una città chiusa a riccio nei suoi patemi alternativi o, al massimo, nostalgico progressivi.
Tanto di cappello dunque al musicista, raggiunto dalla sei corde di Samuele della Valle, dal basso di Giorgio Vianson e dalle bacchette fumanti del batterista Nicolò Parisi.
Archiviato il demo uscito un paio di anni fa , il gruppo licenzia il suo primo full length, uscito per la Earthquake Terror Noise, via Punishment 18 Records, questo gran bel pugno nelle gengive dal titolo No Way For Salvation, ottimo e abbondante esmpio di thrash metal old school di matrice statunitense, potente e veloce come un bolide sparato nei lunghi rettilinei delle route americane, ma orgogliosamente italiano.
Veloci come il vento, i Devastation Inc. scagliano una tempesta di ritmiche al fulmicotone, impreziosite da un gran lavoro delle sei corde, devastanti ed a tratti esaltanti nel saper correre veloci senza perdere il filo di un discorso musicale che ha nell’urgenza e nell’approccio diretto e senza soluzione di continuità le sue massime virtù.
E la band ligure il suo sporco lavoro lo sa fare alla grande, mentre tra i solchi di piccole bombe sonore come One World Destroy! o l’irresistibile Justice Pattern (pezzo da novanta di No Way For Salvation), passano uno dietro l’altro gli spiriti indomabili di Exodus e Death Angel, e poi via una dietro l’altra una bella fetta del meglio del thrash metal della Bay Area.
Sono di parte, non solo perché la band proviene dalla mia città, ma soprattutto perché non si fa prendere la mano da facili tentazioni, avvicinandosi invece sorniona al petto del genere e estraendone il cuore ancora pulsante a mani nude, grazia ad almeno altri due brani sopra la media: la diretta Troops From Hell e la conclusiva Between Nightmare And Dream.
Mentre continuano le infinite discussioni su quanto sia opportuno o meno un altro disco dei Metallica, sotto la Lanterna si suona thrash metal, quello vero!

TRACKLIST
1.One Word: Destroy!
2.Payback
3.Justice Pattern
4.Behind the Riverside
5.Fast as a Fuckin’ Bullet
6.Troops from Hell
7.For the Liberty I Kill
8.Between Nightmare and Dream

LINE-UP
Nicolò Parisi – Drums
Alessio “Dave” Gaglia – Vocals, Guitars
Giorgio Vianson – Bass
Samuele Della Valle – Guitars

DEVASTATION INC. – Facebook

Unison Theory – Arctos

Ci sono molti gruppi che sono simili agli Unison Theroy ma molto pochi hanno la loro capacità compositiva e quell’impronta sonora che hanno solamente i grandi gruppi

Potenza e tecnica per questo debutto sulla lunga distanza degli Unison Theory, un gruppo davvero molto interessante.

La loro proposta sonora è un groove metal potente ed al di sopra delle maggioranza delle produzioni attuali. Il suono di Arctos è un possente monolite che al suo interno nasconde una miriade di stanze e cunicoli, dove gli Unison Thoery ci conducono per farci sentire il gelido soffio della potenza del loro suono. Il progetto Unison Theory ha subito diversi stop, dovuti ai purtroppo frequenti problemi di line up, ma Arctos è la migliore risposta a tutto ciò. Ci sono molti gruppi che sono simili ma pochi possiedono la loro capacità compositiva e quell’impronta sonora che hanno solamente i migliori. Ascoltando Arctos si comprende subito che siamo di fronte ad una band molto particolare e peculiare, che ha dalla sua davvero tanti pregi: nella loro musica si sente la vera passione per il metal e una continua ricerca sonora in questo ambito, che sta dando molti frutti. Un debutto davvero azzeccato e molto ma molto potente. Gli Unison Theory sono un gruppo che sta andando in una direzione ben precisa e che farà la gioia di molti.

TRACKLIST
1. DeepEye
2. Omega feat. Rafael Trujillo (Obscura)
3. Arrigetch: The Devil’s Passage
4. Project Shockwave feat. Tommaso Riccardi (Fleshgod Apocalypse)
5. Grendel
6. Level IV
7. Polar Sentinel
8. The Price Of Eternity

LINE-UP
Alexander Startsev – screams
Omar Mohamed – guitars
Simone Tempesta – drums

Marco Mastrobuono – bass guest

UNISON THEORY – Facebook

Lurking Fear – Grim Tales in the Dead of Night

Chitarra, basso e batteria, le armi più semplici ma le più letali per suonare hard’n’heavy, basta saperlo fare come i Lurking Fear.

Inutile ribadire come negli ultimi tempi le sonorità old school stiano imperversando nella scena hard rock/metal, passati gli anni del crossover e dell’originalità spicciola a tutti i cost.

Non sembra affatto anacronistico, quindi, un album come l’esordio dei Lurking Fear, trio toscano di musicisti esperti e competenti quanto basta per confezionare un piccolo gioiellino hard’n’heavy come Grim Tales In Dead Of Night, caratterizzato da un  sound che più vintage di così non si può, ma che sa essere molto affascinante, pescando tanto dall’hard rock settantiano quanto dalla new wave of british heavy metal, forte di un’attitudine quasi commovente da parte dei tre musicisti e di un songwriting maturo.
Quelli che furono i primi passi della scena heavy metal che si affacciava sul mercato mondiale in quegli anni, prendendo la parte più oscura dell’hard rock e portandolo verso strade estreme che poi verranno in seguito sviluppate dalle prime orde thrash/death, sono valorizzate dai Luking Fear con questa raccolta di brani che alternano ritmiche sassoni, lenti passaggi sabbathiani, un’atmosfera horror che ricorda King Diamond con qualche passaggio in linea con le primissime gemme firmate dagli Iroin Maiden, il tutto reso sufficientemente macabro dai testi ispirati alla letteratura horror dei primi del ‘900 (The Lurking Fear, infatti, è un racconto di H. P. Lovecraft).
Dal primo riff dell’opener Watching Eye si viaggia dunque tra racconti macabri e grotteschi con la colonna sonora del gruppo, puro metallo ottantiano, ancora legato con il cordone ombelicale all’hard rock, ma già pregno di soluzioni che diventeranno in seguito la Bibbia (o se preferite, il Necronomicon) della nostra musica preferita.
Chitarra, basso e batteria, le armi più semplici ma le più letali per suonare hard & heavy, basta saperlo fare come i Lurking Fear 

TRACKLIST
1.Watching Eye
2.Lady of Usher
3.The Strain
4.I Am
5.Flesh and Soul

LINE-UP
Stefano Pizzichi – Drums
Mirko “Coscia” Pancrazzi – Guitars, Vocals (backing)
Fabiano Fabbrucci – Vocals, Bass

LURKING FEAR – Facebook

ONE SHALL STAND – Taking your try to fail me into your grave

Un disco da scoprire, contiene molte sorprese e soprattutto tanta ma proprio tanta futta hardcore, e conferma la famiglia Cbc come una delle migliori fonti di hardcore nostrano.

Da membri di Face Your Enemy e Da4th ecco un bel disco hardcore che picchia tantissimo.

Il suono dei One Shall Stand è un misto di vecchia e nuova scuola, per intenderci sarebbe potuto uscire per la belga Goodlife perché il suono è quello. Hardcore old e new, un pò di beatdown hardcore fatto benissimo, e soprattutto tanta intensità e bravura nel fare l’hardcore senza scimmiottare altri gruppi, ma tracciando una propria via. Questo disco ha un gran bel tiro, come quelle opere metà anni novanta inizio duemila, dove l’hardcore e il metal si fondevano felicemente assieme. Qui il livello è molto più alto della media di quegli anni, perché i musicisti sono bravi e sanno fare bene l’hardcore, e anche perché gli One Shall Stand hanno molte idee e le sviluppano bene. Ciò che colpisce più del disco è la grande intensità, si viene colpiti da questo fiume in piena. La prima parte del disco è più picchiata e veloce, mentre la seconda forse ancora più affascinante, arriva persino sui confino dello screamo, il tutto fatto davvero bene. Un disco da scoprire, contiene molte sorprese e soprattutto tanta ma proprio tanta futta hardcore, e conferma la famiglia Cbc come una delle migliori fonti di hardcore nostrano.

TRACKLIST
1.Intro
2.BLK
3.TWR
4.A Place Inside My Head
5.Speak
6.Never Forget/Never Remember
7.We’re Desolated
8.Lifeless
9.Forever Standing (Live)

ONE SHALL STAND – Facebook

Manoluc – Carcosa

Un album che risulta una vera sorpresa, un crossover estremo che non mancherà di soddisfare gli amanti del metal senza barriere stilistiche di sorta.

La scena estrema nazionale si arricchisce ogni giorno di più con gruppi che, pur provenendo da tutte le latitudini dello stivale, hanno un denominatore comune, la qualità.

C’è ne davvero per tutti i gusti, dal melodic death metal scandinavo, al più agguerrito death classico, senza farci mancare grind e black metal e tutti le diverse sfumature di cui il metal estremo si nutre.
Una scena ormai non più scena di serie b, ma tra le prime in Europa grazie anche a opere come Carcosa dei Manoluc, quartetto proveniente dal Friuli-Venezia Giulia, composto da musicisti già attivi nella scena del nord est, unitisi per dare voce a questo loro ottimo metal estremo.
Carcosa, infatti si compone di otto brani con tanto di intro recitate e campionate, prese da varie opere cinematografiche di genere, da Pasolini, ad Orwell, un tocco industrial al sound già di per sé valorizzato da varianti estreme dal death al thrash fino al black (Satyricon era Now, Diabolical).
E l’album ne esce come un destabilizzante quanto maturo esempio di metal estremo, che nella sua violenza mantiene un’atmosfera ricercata, profondamente oscura, martellante e moderna, come le strade di una metropoli dove l’individuo, ormai reso un cannibale, è in balia della sua fame e della ricerca spasmodica di nutrimento consumistico.
In generale le tracce si sviluppano si mid tempo pesantissimi dove si evince il gran lavoro dei musicisti a livello ritmico, mentre growl e scream si spingono verso l’oscura ed ormai inevitabile dannazione sulle note di Infected Communication e della splendida title track, esempi di musica estrema matura e totale.
Un album che risulta una vera sorpresa, un crossover estremo che non mancherà di soddisfare gli amanti del metal senza barriere stilistiche di sorta.

TRACKLIST
1.The Sum Of All Your Fears
2.Infected Communication
3.The Mind Parasites
4.Alien Disease
5.The Triumphal March Of Nothingness
6.The Shepherd And The Snake
7.Carcosa
8.The Cave

LINE-UP
Tommaso Napolitano – Vocals
Alessandro Attori – Guitars
Giulio Cucchiaro – Bass
Nicola Revelant – Drums

MANOLUC – Facebook

Northern Lines – The Fearmonger

Bravi ed originali, i Northern Lines possiedono un sound perfettamente bilanciata tra irruenza ed eleganza e quello che ne trae l’ascoltatore è uno splendido caleidoscopio musicale.

I Northern Lines, trio strumentale in arrivo dalla capitale, propongono un ottimo esempio di hard rock progressivo, stimolato da varie sfumature prese in prestito da altri generi, ma pur sempre ben saldo nella tradizione hard & heavy.

Il gruppo nasce a Roma tre anni fa ed è composto da Stefano Silvestri (basso), Cristiano “Chris” Schirò (batteria) e Alberto Lo Bascio (chitarra), l’ esordio risale all’anno della fondazione (Hari Pee Hate), mentre ne 2014 il gruppo dàalle stampe l’album Farts From S.E.T.I. Code.
Il 2017 é l’anno di The Fearmonger che prosegue il cammino dei tre musicisti romani tra la musica moderna, un cammino intrapreso sulla strada del metal/rock, ma con più di una scorciatoia che allontana il sound del trio dalla strada principale per inoltrarsi in sentieri rock, prog, fusion, in un continuo cambio di atmosfere.
Un album strumentale che, proprio per la sua varietà di suoni e umori è un piacere ascoltare, senza inutili prove di bravura strumentale, ma con in primo piano un grande senso melodico, che dà continuità al mood dei brani pur così diversi tra loro.
Ovviamente i musicisti sanno il fatto loro, l’opera è prodotta molto bene e la musica scivola tra momenti di grintoso hard & heavy, fughe progressive, momenti di liquida musica fusion ed accenni a motivi famosi che si piazzano nella testa giusto quell’attimo per non andarsene più.
Bravi ed originali, i Northern Lines possiedono un sound perfettamente bilanciata tra irruenza ed eleganza e quello che ne trae l’ascoltatore è uno splendido caleidoscopio musicale: The Fearmonger è un album
bello e consigliato anche a chi non ama più di tanto i lavori strumentali.

TRACKLIST
1. Mast Cell Disorder
2.Session 1
3.Shockwave
4.Nightwalk
5.Session 2
6.Machine Man
7.Meteor
8.Jukurrpa
9.Towards The End
10.Apathy Fields
11.Most People Are Dead

LINE-UP
Cristiano Schirò – Drums
Alberto Lo Bascio – Guitar
Stefano Silvestri – Bass,piano,synth

NORTHERN LINES – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Under Static Movement – The Mirror

Le influenze sono da attribuire in egual modo ai gruppi storici dei primi anni del nuovo millennio, ed i nuovi eroi del metal core che girano sui canali satellitari e con cui la band nostrana si avvicina senza timori reverenziali, carichi di energia e rabbia metallica.

Nuovo ep per l’ alternative metal band Under Static Movement, quintetto nato dall’unione di musicisti di diverse realtà gravitanti tra Cremona e Piacenza.

The Mirror è il terzo ep in poco meno di dieci anni di attività, una buona presenza live e qualche cambio nella line up.
La proposta degli Under Static Movement è un alternative metal, tra il nu metal ed il metal core, dalle buone intuizioni melodiche, ma comunque energico e aggressivo il giusto per fare sfracelli soprattutto in sede live.
Buona l’alternanza tra scream core e voce pulita, gagliardi i riffoni stoppati e le ritmiche potenti e cadenzate, marchio di fabbrica dei gruppi di metal moderno.
Le influenze sono da attribuire in egual modo ai gruppi storici dei primi anni del nuovo millennio, ed i nuovi eroi del metalcore che girano sui canali satellitari e con cui la band nostrana si avvicina senza timori reverenziali, carichi di energia e rabbia metallica.
Ottimo come scritto il supporto melodico al muro pregno di groove innalzato dalla sezione ritmica, la band si fa apprezzare nel saper mantenere con sagacia una durezza di fondo che permette al sound di non risultare troppo patinato e The Mirror risulta così un ottimo lavoro, specialmente per gli amanti di queste sonorità, con
Death By Lobotomy, il singolo Mezcal e la conclusiva The Solution tra i brani migliori.

TRACKLIST
1. Death By Lobotomy
2. Falls From Grey
3. Mezcal
4. Put Your Finger Inside
5. Seven
6. Still Laying
7. The Solution

LINE-UP
J.P. – vocals
Riku – guitar
Bone – guitar
Fede – bass
Nik – drums

UNDER STATIC MOVEMENT – Facebook

Alma Irata – Deliverance

Non è solamente la nostalgia che vive in queste note, ma una forza che è rimasta silente per troppo tempo, ovvero quella del rock pesante e pensante.

Disco assai folgorante, con un suono anni novanta davvero speciale.

Nella mia ignoranza mi ricordano i Ritmo Tribale, più grunge e con il cantato in inglese, ma con la stessa forza di impatto. Si torna positivamente indietro di venti anni con gli Alma Irata, un gruppo italiano che spicca per originalità in un momento di tanti buoni cloni. Questi romani hanno una forza ed un’impronta davvero unica. Il loro suono è potente eppure ha la capacità di sgusciare via come il migliore grunge, andando a scavarsi un proprio corso dove scorrere impetuosamente. Alle spalle hanno solamente un ep, Errore Di Sistema, coprodotto dall’italoamericano Ray Sperlonga, per poi approdare a questo disco davvero intenso e suggestivo. Gli Alma Irata ci riportano a quella dimensione di rock pesante con le canzoni composte in maniera intelligente, con vari livelli sia sonori che lirici, e con testi che parlano del nostro quotidiano inferno. L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un ottimo disco e ad un gruppo che se continuerà la sua maturazione diventerà qualcosa di davvero speciale. Non è solamente la nostalgia che vive in queste note, ma una forza che è rimasta silente per troppo tempo, ovvero quella del rock pesante e pensante.
Un disco davvero affascinante.

TRACKLIST
1.Colac
2.Minimum Wage
3.Crushed Bones
4.Between Two Lines
5.Three Steps to Evil
6.Perfect Lips
7.Viper Tongue
8.The Ship

LINE-UP
Sander – voce, chitarra
Mau – chitarra
Massi – voce, basso
Santos . batteria

ALMA IRATA – Facebook