Novelists – Noir

Un album moderno che si ascolta come un’opera tradizionale verrebbe da dire, nella quale il gruppo parigino mette una tecnica invidiabile al servizio di brani piacevolmente scorrevoli

Un album basato su quello che, oggi, viene definito prog core è sempre un’incognita ed è facile sia trovarsi al cospetto di un buon lavoro, sia di brutte copie di opere che ingarbugliano il metalcore con tecnicismi intricati e fini a se stessi.

Le nuove leve fortunatamente sembrano indicare una via che possa mettere d’accordo tutti, puntando su melodie ed atmosfere e cercando di smuovere emozioni che l’ascoltatore molte volte attende che si risveglino in lavori del genere.
I francesi Novelists riescono ad uscire da questa impasse con un sound fortemente progressivo e moderno, dove la rabbia core viene stemperata da uno stato di grazia melodico sopra la media.
Un album moderno che si ascolta come un’opera tradizionale, verrebbe da dire, nel quale il gruppo parigino mette una tecnica invidiabile al servizio di brani piacevolmente scorrevoli, sia quando atmosfere liquide ci trasportano su notturni territori progressivi (Monochrome), sia quando il metalcore strappa le redini al suo alter ego e lancia il purosangue metallico al galoppo.
Non è mai troppo sincopato il sound di Noir, procede su linee che variano ad ogni traccia lasciando all’ascoltatore tantissimi input utili alla comprensione della musica del gruppo, mentre accenni nu metal compaiono a ribadire con forza la capacità dei Novelist di non ripetersi (Les Nuits Noires).
Confermate le buone impressioni suscitate con il primo album Souvenirs, la band fa un passo avanti verso una popolarità che nel genere non mancherà di arrivare: l’album con estrema facilità giunge alle ultime cartucce, sparate dopo aver colpito il segno con una pioggia di fuoco metalcore progressiva portata da brani avvincenti come A Bitter End, The Light The Fire e la conclusiva Heal The Wound.
Giovani, preparati e con un’idea di sound che trova pochi paragoni, questi sono i Novelists e noi ve li consigliamo vivamente.

Tracklist
1. L’appel du Vide
2. Monochrome
3. Under Different Welkins
4. Les Nuits Noires
5. Grey Souls
6. A Bitter End
7. Stranger Self
8. The Light, The Fire
9. Joie de Vivre
10. Lead The Light
11. À Travers le Miroir
12. Heal The Wound

Line-up
Matt Gelsomino – vocals
Florestan Durand – guitar
Charles-Henri Teule – guitar
Nicolas Delestrade – bass
Amael Durand – drums

NOVELISTS – Facebook

Descrizione Breve
, sia quando atmosfere liquide ci trasportano su notturni territori progressivi (Monochrome) sia quando il metalcore strappa le redini al suo alter ego e lancia il purosangue metallico al galoppo.

Autore
Alberto Centenari

Voto
82

Otherwise – Sleeping Lions

Sleeping Lions è un album dalle potenzialità enormi, l’opera della vita per gli statunitensi Otherwise, staremo a vedere se bastera per arrivare in cima alle preferenze dei rockers dai gusti mainstream.

Riusciranno gli Otherwise a far saltare il banco dell’alternative metal mondiale con questo candelotto di nitroglicerina che, ad ogni brano, esplode e distrugge lasciando solo vittime tra i rockers che bazzicano sul pianeta in questo inizio millennio?

La risposta arriverà con il tempo, vero è che con Sleeping Lions la Century Media piazza sul mercato un esempio di metal alternativo sorprendentemente accattivante, suonato e prodotto come meglio non si potrebbe e sostenuto da una raccolta di canzoni che non lasciano scampo, una più riuscita dell’altra, almeno se pensiamo all’hard rock ed al metal in uso nei circuiti mainstream.
Sleeping Lions arriva come un tornado metallico a rivalutare una scena internazionale in affanno, ancora alla ricerca del gruppo da un milione di dollari, ed è clamoroso come questo arrivi da un gruppo con più di dieci anni sulle spalle ed una manciata di lavori alle spalle.
Il gruppo di Las Vegas se ne esce con l’album della vita, la classica opera dove tutto funziona perfettamente, dall’alternanza tra il fervore metallico e le ruffiane soluzioni dell’alternative rock, che in Sleeping Lions sanno tanto di hard, duro come un’incudine e poco di rock, melodicamente moderno con qualche ispirazione numetal in ritmiche dal sapore groove, ed il singer Adrian Patrick che non sbaglia una strofa o un chorus, risultando l’asso nella manica della band.
Asso pigliatutto, accattivante e grintoso, dall’appeal straordinario che  offre ai giovani rockers mondiali una prestazione scintillante, mentre Ryan Patrick (chitarra/voce), Tony Carboney (basso/voce) e Brian Medeiros (batteria) prendono in mano la scena con soluzioni efficaci, tanta voglia di far male ed un stato di grazia per melodie che non lasciano scampo.
Niente di nuovo, questo è bene chiarirlo, perché gli Otherwise si muovono agevolmente tra il metal/rock statunitense degli ultimi anni, un po’ Alter Bridge, un po’ Linkin Park e tanto hard rock, anche se l’elevata qualità di canzoni come l’opener Angry Heart, l’esplosiva title track o Close To The Gods (Nickelback e U2 uniti sotto la bandiera dell’hard rock) seguite dalle altre nove fialette di nitroglicerina sballottate ed inevitabilmente esplose tre le mani del gruppo, fanno di Sleeping Lions un album dalle potenzialità enormi: staremo a vedere se basterà per arrivare in cima alle preferenze dei rockers dai gusti mainstream.

Tracklist
01. Angry Heart
02. Sleeping Lions
03. Suffer
04. Nothing To Me
05. Weapons
06. Crocodile Tears
07. Close To The Gods
08. Dead In The Air
09. Beautiful Monster
10. Blame
11. Bloodline Lullaby
12..Won’t Stop (bonus track)

Line-up
Adrian Patrick – lead vocals
Ryan Patrick – guitar/vocals
Tony Carboney – bass/vocals
Brian Medeiros – drums

OTHERWISE – Facebook

Monument – Yellowstone

Yellowstone è stimolante e mai prevedibile, scritto ed eseguito da due musicisti di talento e creatori di multi versi musicali assai interessanti, per ascoltare ma soprattutto per pensare qualcosa di nuovo.

I Monument sono un duo autodefinitosi doom metal, ma lo spettro coperto dalla loro musica è ben più ampio.

Il progetto è nato nel 2015 per mano di Giacomo Greco alla batteria e Guido Oliva alla chitarra e voce, ed è fortunatamente di difficile collocazione musicale. Innanzitutto cantano in italiano, in una maniera quasi strascicata, e danno alla nostra lingua una cadenza molto inusuale, quasi da contrappunto alla musica. Quest’ultima è molto varia, ora più lenta, ora più abrasiva e distorta, sempre molto psichedelica e con una grande componente grunge. Anzi sembra che il grunge qui sia stato destrutturato e disossato, mantenendo però i principi attivi, mutandone le coordinate perché il genere ha lasciato mille eredità e mille rivoli che scorrono sotterranei e che a volte vengono a galla. L’esperimento del duo è ambizioso, nel senso che fanno qualcosa di molto originale, e con un piglio molto deciso, decidendo loro tempi e modi della storia. Loro stessi dicono che il gruppo è nato quasi per scherzo, e che sempre poco seriamente si è inciso il disco, e ciò è importante perché non hanno quell’aura di pesantezza profetica di altri gruppi. A discapito delle loro premesse siamo invece di fronte a uno dei dischi più originali e surreali negli ultimi tempi dell’underground italico. Forse doom, comunque profondi e lenti, ma più di ciò inesorabili, con un’andatura mastodontica e acida, corrodendo ciò che è già corroso, il tutto con epica grazia. I Monument sono solamente i Monument, senza molti riferimenti o menate, incarnano il loro verbo e molto è stato scritto e suonato in questo disco. I testi sono minimali, scarni come haiku ma molto potenti ed evocativi, e si accompagnano molto bene alla musica. Yellowstone è stimolante e mai prevedibile, scritto ed eseguito da due musicisti di talento e creatori di multi versi musicali assai interessanti, per ascoltare ma soprattutto per pensare qualcosa di nuovo.

Tracklist
01. Mars Balaclava
02. Magnitudo
03. Supersesso / Mammuth Man
04. Ronin

Line-up
Giacomo (Drums)
Guido (Guitar/Voice)

MONUMENT – Facebook

Buzzøøko – Giza

Noise fatto in maniera intelligente, mai ovvia e con una grande ricerca musicale: potrebbe essere questa in poche parole la sintesi della musica dei Buzzøøko.

Noise fatto in maniera intelligente, mai ovvia e con una grande ricerca musicale: potrebbe essere questa in poche parole la sintesi della musica dei Buzzøøko.

Il loro noise nervoso e frammentato, mai troppo distorto secondo la lezione dei Don Caballero, è frutto di un lavoro certosino e si va a collocare nel solco della scuola noise italiana, che deve molto ai mostri di oltreoceano ma anche a gruppi nostrani, come gli Zu per esempio. Qui la melodia è data dalla somma dei componenti, in un fluttuare continuo tra accelerazioni e sospensioni del tempo. Il basso lancia acuti, mentre le chitarre lanciano segnali mai uguali e la batteria traccia solchi per contenere il tutto. Vi sono molte sfaccettature in questo disco, e per apprezzarlo fino in fondo bisogna riascoltarlo tutto più e più volte, cogliendo sempre di più le sfumature che compongono il disco. In alcuni momenti si può anche ascoltare la rielaborazione personale del grunge da parte dei Buzzøøko, substrato importante di un certo noise. Certamente nel discorso sui generi si può anche nominare il math perché è presente, ma il risultato ed il fine ultimo è il noise, ovvero quel frazionare la melodia e ricostruire il tutto, facendo un cut up sull’originale. In questo i Buzzøøko sono molto bravi, poiché partendo da territori diversi riescono a dare un organicità al loro lavoro. Giza è un disco profondo e con diversi livelli di lettura, i quali esistono a discrezione dell’ascoltatore e dei suoi pregiudizi in fatto di musica. Inoltre i Buzzøøko danno l’impressione di avere tutti i mezzi per fare ancora meglio di questo disco, essendo presenti potenzialità molto forti che danno sicurezza per il futuro. Non è semplice il discorso musicale che portano avanti, soprattutto negli odierni tempi dell’appiattimento musicale e non. Strade sconnesse e tanto da scoprire, questo è quello che ci offrono i Buzzøøko.

Tracklist
1.Jerry The Joker
2.Love Is Indie Hair
3.Gettin’ Sick
4.Lady Led
5.Hollow Man
6.P.s.h.
7.The Riot

Line-up:
Simon – guitar, vocals
Marco – bass
Lorenzo – drums

BUZZOOKO – Facebook

Nicumo – Storms Arise

Storms Arise non sfigura nei confronti di End Of Silence, ma neppure fa compiere alla band quel passo in avanti a livello di personalità che sarebbe stato auspicabile dopo un lasso di tempo così dilatato.

I finlandesi Nicumo tonano con il loro secondo full length a quattro anni di distanza da quell’End Of Silence che mi aveva abbastanza ben impressionato: con Storms Arise le coordinate non mutano, nel senso che al suo interno continuiamo a trovare un rock piuttosto malinconico, ricco di melodia e con qualche accelerazione che sconfina talvolta nel metalcore.

Il fatto che, come detto, il nuovo lavoro non si discosti granché dal precedente può avere una doppia valenza, nel bene e nel male: per quanto mi riguarda credo che la verità stia nel mezzo, nel senso che Storms Arise non sfigura nei confronti di End Of Silence, ma neppure fa compiere alla band quel passo in avanti a livello di personalità che sarebbe stato auspicabile dopo un lasso di tempo così dilatato.
Nell’album, in apparenza, non c’è nulla che non vada: buone canzoni, melodie e chorus che fanno centro senza troppa fatica, ma in più di un frangente aleggia un che di posticcio che fa storcere il naso, in particolare ciò avviene quando la band finnica prova ad aumentare i giri del motore, finendo per battere in testa nel proporre alcuni brani anonimi e poco coesi con il resto della tracklist.
Esprimo un parere del tutto personale, ma credo che i fan di Sentenced ed Amorphis, due band che costituiscono gli inevitabili punti di riferimento per i Nicumo, non accoglieranno con grande favore le sventagliate di modern metal che affliggono tracce come Guilt, Unholy War (quest’ultima con tanto di ritornello melodico d’ordinanza) e If This Is Your God, I Don’t Need One.
Sono canzoni come Old World Burning, Death, Let Go, Aiolos e la lunga e conclusiva Dream Too Real, nella quale le sporcature estreme sono utilizzate con maggior raziocinio e misura, ad offrire quella che dovrebbe essere, idealmente, l’effettiva cifra stilistica della band, ma ciò avviene senza la dovuta continuità
Hannu Karppinen si conferma cantante di vaglia, non solo quanto regala la sua timbrica calda e pulita ma anche quando inasprisce i toni, e i suoi compari di certo non sfigurano; il problema vero dei Nicumo odierni è che non dispiacciono affatto ma neppure fanno sobbalzare sulla sedia, complice forse una minore ispirazione rispetto al debutto ed una maggiore consapevolezza dei propri mezzi che, per assurdo, può averli spinti ad assolvere il compito cercando di accontentare sia gli ascoltatori dal mood malinconico sia quelli più propensi alle sonorità moderne, finendo per smarrire una direzione stilistica maggiormente definita, nell’uno o nell’altro senso.
Un peccato, perché il rock melanconico alla finlandese è sempre un bel sentire, ma i Nicumo in quest’occasione lo propongono in maniera troppo intermittente.

Tracklist:
1. The Dawn
2. Old World Burning
3. Beyond Horizon
4. Unholy War
5. Death, Let Go
6. Guilt
7. Poltergeist
8. If This Is Your God, I Don’t Need One
9. Sirens
10. Aiolos
11. Dream Too Real

Line up:
Sami Kotila – Bass
Aki Pusa – Drums, Percussion
Tapio Anttiroiko – Guitars
Atte Jääskelä – Guitars
Hannu Karppinen- ocals

NICUMO – Facebook

Thy Art Is Murder – Dear Desolation

Più death metal che core, Dear Desolation è da considerare un buon ritorno per il quintetto australiano, una macchina estrema moderna legata da un filo neanche troppo sottile alla tradizione.

Ormai, con l’uscita di questo ultimo lavoro, la definizione deathcore per descrivere la musica degli australiani Thy Art Is Murder risulta sicuramente forzata, ma andiamo con ordine.

La band di Sydney torna con Dear Desolation quarto album in studio licenziato in Europa dalla Nuclear Blast che segna il ritorno dell’orco CJ McMahon, allontanatosi all’indomani dell’uscita di The Depression Session, split album in compagnia di The Acacia Strain e Fit for an Autopsy, ma rientrato dopo pochi mesi.
Accompagnato da un’inquietante copertina che vede ritratto un famelico lupo allattare un agnellino con l’intenzione di sbranarlo subito dopo, Dear Desolation è un buon esempio di brutal death metal ispirato da soluzioni moderne, efferato e terribile come le fauci del grande predatore.
A tratti l’oscurità pressante ed il continuo massacro vengono stemperate da soluzioni melodiche che rimangono tragiche ed infauste, mentre il vorace lupo prende le sembianze del singer, animalesco e cattivo come pochi.
Nella sua interezza l’album risulta un macigno estremo di death metal brutale e moderno, accentuato da devastanti sfuriate e mid tempo che sono muri di arrembante metallo oscuro, mentre le sei corde questa volta risultano più varie e melodiche nel gestire il proprio lavoro e l’elemento elettronico/atmosferico è presente, senza però mettere in discussione la natura brutal dell’opera.
L’ultimo lavoro dei deathsters australiani non è sicuramente di facile assimilazione, anche se la durata è nella media (una quarantina di minuti), grazie ad una tragica ed oscura anima che aleggia sui brani così da soffocare la title track, Death Dealer, Into Chaos We Climb e le altre tracce in un buio perenne di dannazione e violenza.
Più death metal che core, Dear Desolation è da considerare un buon ritorno per il quintetto australiano, una macchina estrema moderna legata da un filo neanche troppo sottile alla tradizione.

Tracklist
1. Slaves Beyond Death
2. The Son Of Misery
3. Puppet Master
4. Dear Desolation
5. Death Dealer
6. Man Is The Enemy
7. The Skin Of The Serpent
8. Fire In The Sky
9. Into Chaos We Climb
10. The Final Curtain

Line-up
CJ McMahon – vocals
Andy Marsh –
Sean Delander – guitars
Kevin Butler – bass
Lee Stanton – drums

THY ART IS MURDER – Facebook

BVDK – Architecture of Future Tribes

Un lavoro davvero particolare, ma meritevole di grande attenzione, che rappresenta l’ennesima manipolazione audace e fantasiosa della materia black metal.

Tanto per cambiare è dalla vicina Francia che arriva l’ennesima manipolazione audace e fantasiosa della materia black metal, questa volta ad opera del trio denominato BVDK.

Una tantum il termine black non va associato solo al metal ma anche alla musica proveniente dall’Africa: in Architecture of Future Tribes avviene infatti l’audace tentativo di fondere i furiosi blast beat con elementi tribali ed elettronici, andando a formare un ibrido tanto improbabile quanto efficace; inutile specificare pertanto che qui siamo molto lontani dalle dissonanze sperimentali in quota Blut Aus Nord o Deathspell Omega, per lasciare sfogare piuttosto un’indole industrial sulla quale va ad aderire una sorprendente e melodica capace di catturare l’attenzione ogni singolo brano.
L’unico elemento riconducibile alla normalità è la voce, che strepita in maniera esasperata ed in lingua madre liriche sopraffatte, a livello di produzione, dalla furia organizzata della strumentazione; se Snatcher esibisce un volto ballabile, Nana Buluku parrebbe sfogare all’infinito un rabbioso black atmosferico, prima che il break centrale ci faccia piombare nel bel mezzo del continente nero e delle sue affascinanti nenie tribali, e se La Langue Sanglante è un notevole strumentale che mette in luce anche un buon lavoro chitarristico all’interno di un’inquietante atmosfera cinematografica, Jericho’s Pride è un crescendo emotivo che quando sembra pronto per esplodere si suddivide in velenosi rigagnoli elettro-tribali.
Psalm 32 chiude l’album risultando inferiore per suffisso numerico del brano dei Ministry, ma eguagliandolo o quasi in quanto a penetrazione ed ossessività, a suggello di un lavoro davvero particolare ma meritevole di grande attenzione, soprattutto da parte di chi ama farsi sorprendere dalle soluzioni originali che non difettano certo ai nostri cugini d’oltralpe.

Tracklist:
1. Snatcher
2. Surreptitious Cluster
3. Nana Buluku
4. La Langue Sanglante
5. Bahir Dar
6. Jericho’s Pride
7. Dar es Salaam
8. Psalm 32

Line-up:
Scree – Guitars
A-152 – Guitars, bass, electronics
Lvx – Vocals, electronics

BVDK – Facebook

Firesphere – Requiem

Una proposta fuori dai soliti schemi dettati dalla musica gothic/dark, forse ancora da registrare leggermente per rendere più fluido l’ascolto, ma che a tratti regala ottima musica avvolta dalle ombre di emozioni malinconiche ed intimiste.

I Firesphere sono un progetto, una concept band capitanata dalla cantante e tastierista giapponese Rosemary Butterfly e dal chitarrista e cantante Priest; Requiem è stato ristampato dopo solo un anno dalla Darksign Records che ha messo le mani sul gruppo e, alla luce della buona qualità della proposta, si direbbe che abbia fatto senz’altro bene.

I Firesphere potrebbero facilmente essere scambiati per il classico gruppo gothic di moda in questo periodo, invece tra le trame di questo loro primo album c’è molto di più: un rock alimentato da una vena progressiva e cinematografica, l’ elettronica che fa capolino tra le tracce ed un uso di sfumature teatrali, che si avvicina  al metal/rock d’autore.
Un concept che si alimenta di drammatica tensione mentre i vari generi usati con maestria, variano l’ascolto che si riempie di epiche atmosfere, visionari quadri dark rock e rabbiose parti industrial metal, usate con parsimonia ma presenti ed efficaci nell’economia dell’opera.
Le parti strumentali dal taglio progressivo sono il fiore all’occhiello del sound proposto dai nostri (Fate), mentre i due vocalist si scambiano il microfono e l’aria si fa pesante, operistica e magniloquente in tracce sinfoniche come In The Silence.
Immaginatevi i primi Savior Machine potenziati da dosi industriali, aperture prog metal alla Queensryche, dark rock e musica dal taglio cinematografico ed avrete idea del sound offerto dal gruppo proveniente da Orlando.
Una proposta fuori dai soliti schemi dettati dalla musica gothic/dark, forse ancora da registrare leggermente per rendere più fluido l’ascolto, ma che a tratti regala ottima musica avvolta dalle ombre di emozioni malinconiche ed intimiste.

Tracklist
1. Requiem
2. Behind These Eyes
3. Silent Darkness
4. In The Silence
5. Tonight
6. I See You
7. Release Me
8. Into My Heart
9. Calling Me
10. Fate (instrumental)
11. Come With Me
12. Bringing You Here

Line-up
Priest (Ken Pike)- vocals
Rosemary Butterfly (Ryo Utasato-Pike) – vocals
Blacksmith (Ed Dumas) – guitar
Roadblock (Tyler Colick) – guitar
Tsukime (Robert Adams) – keyboards
Asmodeus Stone (Chris Falwell) – bass
Mason (Anthony Marou) – drums

FIRESPHERE – Facebook

Motograter – Desolation

Desolation, pur non arrivando alle vette artistiche degli album storici del genere, risulta un’oasi di metal moderno in mezzo al deserto di proposte metalcore che inondano il mercato discografico odierno. 

Gli americani non solo hanno inventato il metal moderno ma lo sanno suonare dannatamente bene, anche se il nu metal ormai non è più cosa per il mercato mondiale ed album come Desolation rischiano di non avere più i riscontri di una quindicina di anni fa.

Eppure i Motograter non sono un nome così famoso, almeno per chi, gli anni d’oro del genere li ha vissuti superficialmente: attivi dalla metà degli anni novanta, non sono mai stati prolifici per quanto riguarda le uscite che si fermano a tre ep ed un full length prima di questo nuovo lavoro.
Un’autentica tribù di musicisti si sono dati il cambio tra le fila del gruppo proveniente da Santa Barbara (California), forse anche per questo che la band non ha mai trovato quella stabilità utile per definire sound ed impegni, ma ci riprova con una formazione nuova di zecca ed un lavoro che, di fatto, non delude, risultando melodico e metallico, moderno ma radicato nella scuola nu metal.
Quindi dimenticate suoni e ritmi core e concentratevi su quello che suonavano nella scena statunitense a cavallo del millennio, aggiungendo reminiscenze alternative rock che si muovono come fantasmi tra le sfuriate di Desolation, album che si fa ascoltare, melodicamente sopra le righe, magari non d’impatto come le uscite a cui siamo abituato oggi, ma duro quanto basta per non mollare la presa sui genitali di chi ama il sound che rese famosi gente come i Korn, gli Spineshank, i P.O.D. e i Papa Roach.
Un buon lavoro, dunque, che utilizza le caratteristiche peculiari del genere, ci aggiunge alternative rock e post grunge a piccole dosi ed ogni tanto ci va giù duro, accontentando un po’ tutti i gusti.
Bisogna essere capaci a rendere la propria proposta varia senza lasciare che la tensione scenda, e questo succede in brani come l’opener Parasite, la potente Victim eLa notevole Misanthropical, traccia che sembra uscita dalle session del discusso The Burning Red dei Machine Head.
Prodotto da Ahrue Luster (Ill Nino/Ex-Machine Head), Desolation, pur non arrivando alle vette artistiche degli album storici del genere, risulta un’oasi di metal moderno in mezzo al deserto di proposte metalcore che inondano il mercato discografico odierno.

Tracklist
1.Parasite
2.Dorian
3.Victim
4.Paragon
5.Bleeding Through
6.Misanthropical
7.Daggers
8.Portrait of Decay
9.Locust
10.Rise (There Will Be Blood)
11.Shadows

Line-up
Matt “Nuke” Nunes – Guitar
James Anthony “Legion” – Vocals
Mylon Guy – Bass
Noah “The Shark” Robertson – Drums
Joey “Vice” – Back Vocals, Percussions, Programming

MOTOGRATER – Facebook

Zarthas – Reflections

Un album piacevole, un lotto di canzoni facili da memorizzare, dalle buone melodie e ben strutturate, dove le chitarre premono contro un tappeto melodico, le ritmiche mantengono uno sguardo cattivo e l’elettronica a tratti accende momenti di nostalgico dark rock.

Se cerchiamo bene tra le valli ed i laghi finlandesi non troveremo solo metal estremo, ma come da tradizione dei paesi dell’estremo Nordeuropa anche tanto hard rock.

E’ un tradizione consolidata quella del rock duro a quelle latitudini, ora non più ad appannaggio esclusivo del rock melodico, ma pure territorio fertile per quello moderno.
Gli Zarthas, da Oulu, hanno imparato bene la lezione che in questi ultimi anni le legioni del rock alternativo statunitense hanno impartito al mondo musicale, ed ecco che, tramite la Wormholedeath, licenziano Reflections, album composto da una dozzina di brani che spostano il tiro tra il rock alternativo, l’hard rock dalle venature post grunge e quel malinconico tocco dark che risulta innato nei rockers passati dagli ascolti di Crimson, dei mai troppo osannati Sentenced, al rock moderno dal groove obbligatorio ed il chorus facile.
Ne esce un album piacevole, un lotto di canzoni facili da memorizzare, dalle buone melodie e ben strutturate, dove le chitarre premono contro un tappeto melodico, le ritmiche mantengono uno sguardo cattivo e l’elettronica a tratti accende momenti di nostalgico dark rock.
Buona la voce (Lauri Huovinen) che corre dietro il sound alternando parti graffianti ad altre più sofferte, mentre si fanno ricordare con piacere l’opener Riot Now!, Back To A Black Hole e le orchestrazioni dalle reminiscenze gothic di Outside.
In conclusione, un album godibile e vario nel suo alternare le sfumature di generi in apparenza lontani tra loro, ma ben affiatati sotto la bandiera degli Zarthas.

Tracklist
1.Riot Now
2.The Green and the Red Light
3.Bad Wannabe 4.Back to a Black Hole
5.Pulse!
6.First Night of Forever
7.Outside 8.Isolate
9.Ever After (Isolate Reprise)
10.Illusion of Immortality
11.Where the Heart is
12.Reflection

Line-up
Sanni Luttinen – Keyboards
Lauri Huovinen – Vocals / Guitars
Jani Vahera – Drums
Pekka Junttila – Bass
Jarmo Luttinen – Guitars

ZARTHAS – Facebook

Widowmaker – Widowmaker

La cifra stilistica del disco è quella del migliore deathcore in circolazione, e al momento pochi hanno la compattezza e la potenza di questi ragazzi, che devono essere ascoltatori attenti ed onnivori perché dietro questo suono c’è moltissimo lavoro ed altrettanta cultura metallica.

Nella scena deathcore o metalcore qualsivoglia, è molto difficile riuscire a farsi notare per qualcosa che sia più del mero compitino, e i Widowmaker si fanno notare molto.

I ragazzi provengono dall’Alabama, sono molto giovani, e questa loro freschezza fa la differenza insieme ad una potenza di fuoco fuori dal comune. I Widowmaker confezionano un disco di debutto con un suono saturato al massimo, molto claustrofobico in molti passaggi, che ricorda quelle sensazioni che si ebbero ai tempi degli inizi del deathcore, quando c’erano in giro ottime band, delle quali il loro suono è certamente debitore, ma con un contributo originale è assai elevato. Ascoltando il disco ci si trova immersi nel fuoco e nelle fiamme, poiché qui tutto brucia, e la melodia si palesa andandosi a congiungere carnalmente con un suono durissimo. La produzione mette in risalto i punti forti, senza seppellire il loro suono dietro una cortina fumogena di tecnologia. I Widowmaker sfociano tranquillamente anche nel death metal tout court e anche in momenti grindcore notevoli; la cifra stilistica del disco è quella del migliore deathcore in circolazione, e al momento pochi hanno la compattezza e la potenza di questi ragazzi, che devono essere ascoltatori attenti ed onnivori perché dietro questo suono c’è moltissimo lavoro ed altrettanta cultura metallica. Inoltre questo non è un disco che vuole per forza piacere al pubblico deathcore, ma anzi è un’apertura a tutti quelli che amano un suono potente e cattivo: ascoltate senza pregiudizi, Widowmaker (che uscirà per Sharptone Records, una sussidiaria della Nuclear Blast che sta reclutando un ottimo vivaio di musica cattiva) merita molto e vi lascerà alquanto soddisfatti.

Tracklist
1. The Nihilist
2. Paragon
3. Spineless
4. Regression
5. Dissonance
6. Quarantine
7. The Illusionist

Line-up
Matt Childers : Vocals
Tyler Stansell : Guitar
Hagan Dickerson : Guitar
Sean Landman : Bass
Kurtis Stoneking : Drums

WIDOWMAKER – Facebook

Rings Of Saturn – Ultu Ulla

Band come i Rings Of Saturn sono irrimediabilmente destinate a dividere pubblico e critica, tra chi li idolatrerà come geni indiscussi e chi invece nella loro musica, a tratti tecnica in modo esasperato, troverà solo freddo estremismo senza emozioni.

Band come i Rings Of Saturn sono irrimediabilmente destinate a dividere pubblico e critica, tra chi li idolatrerà come geni indiscussi e chi invece nella loro musica, a tratti tecnica in modo esasperato, troverà solo freddo estremismo senza emozioni.

La verità come sempre sta nel mezzo, vero è che questa nuova parte del concept fantascientifico creato da Lucas Mann e compagni ed intitolato Ultu Ulla (in sumero Tempo Immemore) nulla aggiunge e nulla toglie al sound fin qui proposto dal gruppo della Bay Area, giunto ormai al quarto lavoro in otto anni.
Il genere proposto dagli anelli di Saturno è un deathcore/djent tecnicissimo, composto da tonnellate di potenza estrema, da ottime parti progressive (i momenti acustici stemperano la tensione prima che vi esploda il supporto digitale tra le mani) e da un’inumana violenza: è così che, a brani che spingono agli applausi, dando a Cesare quel che è di Cesare (una tecnica individuale eccelsa), se ne avvicendano altri in cui la sola fredda esecuzione lascia poco o niente all’ascoltatore.
Concept fantascientifico, musica estrema devastante, potenza espressa al limite dell’umano, ma se il gruppo statunitense vuole descrivere guerre e pericoli in arrivo da altri pianeti, ci riesce solo a tratti: troppe sono le note lanciate all’impazzata contro l’ invasione nelle varie Servant Of This Sentience, Immemorial Essence o The Macrocosm, aperta da un suggestivo arpeggio acustico e poi torturata dalla tempesta spaziale in atto (ma pur sempre la traccia più riuscita e progressiva dell’album).
Saranno pure i nuovi eroi dell’alien deathcore (come amano definirsi), ma se vi piace farvi spaventare da oscure trame fantascientifiche e terrificanti alieni, nel black hole creato nello spazio esiste già un mostro devastante e minaccioso … e si chiama Mechina!

Tracklist
01. Servant of this Sentience
02. Parallel Shift
03. Unhallowed
04. Immemorial Essence
05. The Relic
06. Margidda
07. Harvest
08. The Macrocosm
09. Prognosis Confirmed
10. Inadequate

Line-up
Lucas Mann – Guitars, Bass, Synth
Ian Bearer – Lyrics, Vocals
Aaron Stechauner – Drums
Miles Dimitri Baker – Guitar

RINGS OF SATURN – Facebook

Madlife – Precision In The Face Of Chaos

Precision In The Face Of Chaos non è un brutto lavoro, le melodie che valorizzano i brani dal tiro nu metal sono assolutamente perfette così come una produzione al top: fosse uscito qualche anno fa avrebbe insidiato i primi posti nelle classifiche dei gruppi da un milione di dollari che si facevano guerra a colpi di hit, oggi le cose vanno in maniera decisamente diversa.

Nati con il nuovo millennio, in anni di vacche grasse per il genere industrial/nu metal, tornano i Madlife con il nuovo album pronto a fare la sua comparsa nei rock club del vecchio e del nuovo mondo con una serie di brani dal buon tiro.

Attivi dal 2000 a Los Angeles, i Madlife arrivano dunque al secondo lavoro sulla lunga distanza, accompagnato in tutti questi anni da solo tre lavori minori, descrivendosi come band industrial hard rock, ma più semplicemente suonano un nu metal chiaramente ricco di soluzioni industriali, alternando buone intuizioni ad un forte senso di già sentito che purtroppo pervade molti dei brani di Precision In The Face Of Chaos.
Licenziato dalla Bleeding Nose Records, prodotto come una bomba pronta a deflagrare, l’album non mancherà di strapazzare e far scapocciare i giovani frequentatori di locali su e giù per le coste di un’estate da vivere al limite: il problema che canzoni come All The Angels o Live And Die, arrivano in ritardo di almeno quindici anni ed ad un ascolto distratto, mischiato ai fumi di qualche drink di troppo, i Madlife rischiano di passare inosservati tra un brano di Rob Zombie ed uno dei primi Disturbed.
Molto apprezzata la cover di Love Song Dei Cure, mentre i ritmi continuano a ricordare brani già sentiti e consumati in tempi in cui il genere era padrone del mercato e delle copertine delle riviste più cool.
Precision In The Face Of Chaos non è un brutto lavoro, le melodie che valorizzano i brani dal tiro nu metal sono assolutamente perfette così come una produzione al top: fosse uscito qualche anno fa avrebbe insidiato i primi posti nelle classifiche dei gruppi da un milione di dollari che si facevano guerra a colpi di hit, oggi le cose vanno in maniera decisamente diversa.

TRACKLIST
1. All the Angels
2. Just One Gun
3. Nothing Changes
4. Pain of Pleasure
5. Love Song
6. Live & Die
7. Redline
8. Rock Star
9. I Know the Feeling
10. Still Alive
11. Tell Me
12. Hexxx

LINE-UP
Isaiah Stuart – Guitar
Kyle Cunningham – Drums
Angry Phill – Vocals

MADLIFE – Facebook

Bleed Again – Momentum

I Bleed Again fino ad ora avevano licenziato tre ep nell’arco di tre anni e ora, con questo nuovo full length licenziato dalla Sliptrick, tentano l’entrata nelle grazie dei giovani fruitori del metalcore: ci riusciranno?

Metalcore, death metal melodico, moderno rabbioso e colmo di mid tempo pesanti come macigni, se poi ci si aggiunge un tocco di verve metallica in più e si amalgama tutto con chorus da urlare sotto il palco di qualche festival estivo, il gioco è fatto.

I Bleed Again la lezione la sanno molto bene e a parte la solita voce pulita che, puntualmente, troviamo ad accompagnare lo scream e che anche in questo caso non fa che smorzare tragicamente la tensione in brani che sembrano esplodere da un momento all’altro ma che le clean soffocano in un polentone adatto per ragazzini alle prime turbe adolescenziali.
Peccato, perché il gruppo di Brighton porta con sé quel tocco heavy tutto britannico, perciò non solo giovani band americane tra le proprie influenze ma pure vecchi marpioni con la bandiera inglese ben in mostra sul drumkit.
Chiaramente, i brani in cui la voce pulita si astiene dall’intervenire sono i migliori (Decimate, Drowning In Dreams), mentre a cercare di attirare l’attenzione di ragazzine in solluchero per il duro musicista metal con un cuore grande così ci pensano canzoni troppo scontate per non cadere nel dimenticatoio dopo il primo ascolto.
I Bleed Again fino ad ora avevano licenziato tre ep nell’arco di tre anni e ora, con questo nuovo full length licenziato dalla Sliptrick, tentano l’entrata nelle grazie dei giovani fruitori del metalcore: ci riusciranno?
Con un pizzico di Killswitch Engage, la potenza degli Hatebreed e qualche accenno ai Trivium e al metal più tradizionale potrebbero anche farcela, sperando di non essere fuori tempo massimo.

TRACKLIST
1.Decimate
2.Walk Through the Fire
3.Legacy
4.Drowning in Dreams
5.Slavery
6.Kurtz
7.Heart of Darkness
8.White Castle
9.Only We Can Save Us
10.Happy Never After
11.Icarus
12.Through My Eyes

LINE-UP
Jon Liffen – Bass
Russell Plowman – Drums
Chris Pratt – Guitars
Simon Williams – Guitars
James Dawson – Vocals

BLEED AGAIN – Facebook

Prologue Of A New Generation – Mindtrip

Buona la prima per i Prologue Of A New Generation, in virtù di una prova di sicuro spessore dal punto di vista tecnico ed esecutivo.

Nei confronti di quello che si può definire, a grandi linee, prog/djent/core è necessario un approccio privo di condizionamenti o pregiudizi di sorta, come possono essere sia quello di considerare degni esponenti del genere solo pochi e selezionati gruppi stranieri, sia il ritenere il tutto una sterile e spesso cervellotica esibizione di tecnicismo fine a sé stesso.

Quindi faccio subito outing: partendo dai più estremi Meshuggah per arrivare ai più morbidi TesseracT, e comprendendo tutto quanto sta nel mezzo, simili sonorità non sono mai state nelle mie corde, spesso ritenendole per lo più un qualcosa di cui fruire in maniera omeopatica, pena l’insorgere di un potentissimo mal di testa a partire dal decimo minuto di martellamenti ritmici e dissonanti.
In prima battuta tale effetto è stato garantito anche da questo album d’esordio dei trentini Prologue Of A New Generation, testimoni ineccepibili di gran parte degli stilemi sonori che hanno fatto la fortuna di band come Periphery, Northlane e Monuments, citate nelle note di presentazione a cura della dinamica label Antigony.
Devo ammettere, però, che i ripetuti accolti, come spesso avviene finiscono per rendere un minimo di giustizia anche nei confronti di chi non aveva affatto convinto al primo impatto: i Prologue Of A New Generation non reinventano nulla di particolare, in un genere nel quale non ci sono neppure così tanti margini di sviluppo, ma la loro bravura si manifesta nella capacità di rendere meno scontati gli schemi compositivi, specialmente nei brani in cui sono i chorus melodici a fare la differenza, come avviene nelle ottime Introspective, Shive, Neverbloom e, sourattutto The Perfection Exists, dove il break che giunge poco prima dei due minuti è, in assoluto, uno dei passaggi più significativi dell’album. A favore del quintetto trentino va detto anche come lo schema che prevede l’apertura melodica inframmezzare le sfuriate più robuste non è poi neppure così scontata, aggiungendovi che il buon Mirko Antoniazzi si sgola senza risparmiarsi, ricordandosi di utilizzare, oltre ad un’appropriata voce pulita, anche un buon growl in alternativa alle urla di matrice core, mentre i suoi compagni ci danno dentro davvero come se non ci fosse un domani, assecondando tutte le aspettative di chi ha familiarità con il genere.
Probabilmente anche la durata ragionevole (circa mezz’ora) fa sì che una bella tranvata come Mindtrip possa venire accolta con misurato favore pure da chi abitualmente si nutre di ben altre sonorità, e questo non è assolutamente un risultato di poco conto; buona la prima, quindi, per i Prologue Of A New Generation, in virtù di una prova di sicuro spessore dal punto di vista tecnico ed esecutivo.

Tracklist:
1.Roots And Bones
2.Black Hands
3.Introspective
4.Mindtrip
5.Karmic Law
6.The Perfection Exists
7.Neverbloom
8.Shiva
9.Skyburial/Jhator

Line-up:
Mirko Antoniazzi (Voce)
Cris Merz (Chitarra)
Nico Tommasi (Chitarra)
Dionis Platon (Basso)
Filippo Tonini (Batteria)

PROLOGUE OF A NEW GENERATION – Facebook

She Was Nothing – Reboot

L’album scorre via in maniera assolutamente gradevole, ben prodotto e ricco di brani orecchiabili, ma nel contempo è afflitto da una “leggerezza” che rischia di far perdere alla band molti degli estimatori dal background metallico.

Secondo album per i milanesi She Was Nothing, a 5 anni di distanza da Dancing Through Shadows, lavoro che ebbe una buona accoglienza all’epoca con la sua abbastanza audace mistura tra elementi metal ed elettronici.

Reboot, come suggerisce il titolo, sembra resettare in parte quanto fatto in passato, intanto “ripulendo” il sound quasi del tutto della componente metal, fatto salvo qualche riff disseminato in maniera omeopatica nei brani; il risultato è un album che scorre via in maniera assolutamente gradevole, ben prodotto e ricco di brani orecchiabili, ma nel contempo afflitto da una “leggerezza” che rischia di far perdere alla band molti degli estimatori dal background metallico.
Before It’s Too Late – Pt. I è, se vogliamo, emblematica del nuovo corso, con i suoi rimandi ai Linkin Park, trattandosi di una canzone appena sporcata da una vena rock e focalizzata su un chorus di immediato impatto, ma destinato a dissolversi come una bella ma effimera bolla di sapone; molto meglio, allora, Can’t Stop These Things, leggermente più robusta e vicina al sound di una band di notevole spessore artistico come furono gli AFI di inizio millennio.
La tendenza è, comunque, quella di proporre un rock talvolta spruzzato di dub ed elettronica (che sono i momenti in cui le cose tutto sommato funzionano meglio, come nella buona B.S.O.D.), in grado di catturare l’attenzione con una manciata di potenziali hit (la già citata opener, Man VS Beast, Cocoon), spingendosi su lidi abbastanza lontani da quelli di chi si nutre del rock e metal di matrice underground.
Reboot non è affatto un brutto disco, visto che consente di passare una cinquantina di minuti abbastanza spensierati, ma il suo problema è che, con tali caratteristiche, difficilmente potrà rendersi appetibile a chi è abituato ad altre sonorità

Tracklist:
1. Before It’s Too Late – Pt. I
2. Can’t Stop These Things
3. The Hunt
4. Digging Under Your Skin
5. Man VS Beast
6. Brick After Brick
7. Before It’s Too Late – Pt. II
8. Back to Sleep
9. B.S.O.D.
10. Another Day, Another Way
11. Cocoon
12. Reboot

Line-up:
Augusto Boido – Bass, Guitars
Claudio Lobuono – Vocals
Davide Malanchin – Drums
Leonardo Musumeci – Keyboards

SHE WAS NOTHING – Facebook

Assent – We Are The New Black

I francesi Assent irrompono con il loro sound estremo, partendo da una base struttrata su un groove metal moderno, per contornarla di rabbioso black metal, sfumature atmosferiche e death melodico per un risultato sicuramente interessante.

Ottimo esordio in formato ep del duo francese Assent, cinque brani più intro di metal estremo vario, prodotto benissimo e dalle mille sfaccettature.

Opera che potete trovare in streaming sul web, We Are The New Black si sviluppa su una ventina di minuti abbondanti dove Grégoire Debord (chitarra) e .Aurélien Fouet-Barak (voce, basso e batteria programmata), aiutati da una manciata di musicisti della scena, irrompono con il loro sound estremo, partendo da una base struttrata su un groove metal moderno, per contornarla di rabbioso black metal, sfumature atmosferiche e death melodico per un risultato sicuramente interessante.
Si parte con un intro suggestiva, con viola, violoncello e violino che sfumano in un carillon, prima che gli strumenti elettrici entrino con tutta la loro potenza; la title track è un brano moderno e devastante in cui la voce pulita conferisce un tocco metalcore alla rabbiosa proposta del gruppo parigino, che mantiene alta la tensione con Reaching Out, perla estrema dove cambi di tempo e violenza vanno a braccetto con la parte melodica sempre tenuta in primo piano.
Apart Of Me e le melodie pianistiche di Remain In Darkness, brano dai rimandi post black, lasciano ad Insomnia il compito di darci l’arrivederci ad un eventuale full length che, mantenendo le premesse emerse da questo lavoro, potrebbe regalarci grandi soddisfazioni.

TRACKLIST
1.The Dust & the Screaming
2.We Are the New Black
3.Reaching Out
4.A Part of Me
5.Remain in Darkness
6.Insomnia

LINE-UP
Grégoire Debord – Guitars
Aurélien Fouet-Barak – Vocals, Bass, Drum Programming

ASSENT – Facebook

Ex Trim – Novum Genus Mali

Novum Gens Mali è un disco cento per cento nu metal, nello svolgimento e nello spirito, congiungendo la parola di morte con un suono vivo, dinamico e lavico

Fare musica intelligente non è facile, scrivete testi che abbiano senso ed una consecutio logica non è affatto comune in Italia.

Ma la cosa ancora più difficile è scegliere un codice musicale che ti dia la possibilità di poter esprimere meglio ciò che vuoi dire. Molto spesso il genere scelto diventa la sovrastruttura che comanda tutto e che guida le scelte musicali. Gli Ex Trim plasmano il nu metal più distorto ed aggressivo per diventare ancora più inquietanti di quello che sono. Gli Ex Trim sono la voce che ti sussurra le verità che non vorresti sapere, ma che sai essere quelle più vere. La musica non è solo spensieratezza, ma anche violenza mentale, immagini disturbate e distopiche. Il nu metal è nato apposta per questo, vedi i Korn e tanti altri, per disturbare mischiando frammenti di incubi diversi per gridare assieme nella notte, e gli Ex Trim fanno un ottimo nu metal, disturbato e potente. Il cantato in italiano è adattissimo a queste situazioni di spinte e tensioni, di attacchi e di rotolamenti nel fango, anche se non manca la melodia. Il concept di questo album autoprodotto sull’industria musicale odierna, dove è ormai chiaro che sia diventata territorio di caccia per i cani che vogliono controllare le nostre menti, mentre bisogna sanguinare per capire. Vampiri in ogni dove, larve che succhiano le nostre vibrazione che provengono dalla musica. Il ritmo è incalzante, i punti di vista sono quelli dei dannati che non arriveranno a domani, e che nel frattempo bruciano. C’è anche un livello più profondo di lettura di questo disco, ovvero trovare nei testi la denuncia di ciò che è diventata la nostra amata musica, della plastica che ci propinano, mentre gli Ex Trim sono nati per fare male, trasudano cattiveria, sia dal suono psycho, sia dai testi che non lasciamo molto spazio all’amore e alla bellezza. Novum Gens Mali è un disco cento per cento nu metal, nello svolgimento e nello spirito, congiungendo la parola di morte con un suono vivo, dinamico e lavico. Meraviglia vera per chi ama le viscere del nu metal, dove c’è sola carne morta in questo buco nero. Autoproduzione come vera via per esprimere se stessi e la propria musica.
Moriremo tutti e male.

Tracklist
01. Index
02. Prologo Finale
03. Necrosogni
04. Zombie
05. Valgo Zero
06. Novum Genus
07. NGM
08. Insonnia
09. Hellfie
10. #Corvocapra
11. Dovete Estinguervi
12. 13.04.16.2.54
13. Disilluso
14. Cassandra
15. Senza Lidi

Line-up
Omega – Voce
Beta – Basso
Alfa – Chitarra
Gamma – Batteria
Delta -Percussioni Synth

EX TRIM – Facebook

Mercic – 3

Quello di Mercic è un lavoro che non dispiace affatto, lasciando però nel contempo un senso di incompiutezza che neppure le buone sensazioni derivanti dai ripetuti ascolti riescono del tutto a scacciare.

Mercic è un progetto solista di provenienza portoghese ma con propaggini anche negli States: 3, come è facile da intuire, è il terzo album che arriva con cadenza annuale dall’esordio datato 2015.

Il genere musicale che troviamo qui è un industrial in quota Nine Inch Nails, nel senso che assieme a parti più robuste e disturbanti troviamo anche diversi passaggi melodici di tipica ispirazione reznoriana; detto questo, il nostro non si accontenta di fare un’operazione di copia incolla ma prova a inserire diverse variazioni sul tema sia a livelli di rarefazione del suono, con l’inserimento di una componente elettronica molto dinamica, sia irrobustendo il tutto con qualche sfuriata metallica con tanto di growl (Turn The Page).
Il lavoro è sicuramente interessante, ma forse gli viene meno una certa continuità ritmica, il che comporta una frequente rottura della tensione sprigionata dalle pulsioni più estreme, con l’inserimento di partiture melodiche che prestano il fianco, anche a causa di una prestazione piuttosto piatta quando il nostro è alle prese con le clean vocals.
A Mercic non fanno difetto le idee, che vengono immesse senza particolari remore in un lavoro che mostra, in effetti, più di un episodio brillante (l’acustico-elettronica The Damned Shelter è una traccia strana quanto notevole), ma del quale è talvolta difficile seguire il filo logico, se pensiamo che a chiudere il disco, seguendo la traccia appena citata, troviamo una sfuriata industrial grind intitolata Fuck You.
3 è apprezzabile per la voglia di sperimentare, esplorando diversi meandri dell’industrial da parte del suo autore, ma nel contempo paga la mancanza di un vero brano trainante e la stessa breve durata delle dieci tracce finisce per conferire all’insieme un che di schizofrenico.
In definitiva, quello di Mercic è un lavoro che non dispiace affatto, lasciando però nel contempo un senso di incompiutezza che neppure le buone sensazioni derivanti dai ripetuti ascolti riescono del tutto a scacciare.

Tracklist:
11- THERE`S NOTHING LEFT FROM YOU
12- ARE YOU WHAT YOU THINK ?
13- BLIND OBEYING
14- BE NOTHING
15- YOU`RE GONE
16- SO CLOSE, SO NEAR
17- TURN THE PAGE
18- WHERE ARE YOU NOW?
19- THE DAMNED SHELTER
20- FUCK YOU!!!

MERCIC – Facebook

Next To None – Phases

Secondo lavoro per i Next To None, giovane band americana, tecnicamente sopra la media ma ancora acerba per quanto riguarda il songwriting.

Progressive metal e modern death metal si incontrano e si azzuffano nel sound di questi tecnicamente eccellenti giovani statunitensi.

Quartetto formato nel 2012, i Next To None arrivano al secondo album, questa prova di resistenza intitolata Phases, quasi ottanta minuti di metal progressivo ed estremo, moderno e variopinto, anche se inevitabilmente un po’ prolisso a causa della sua durata.
Il gruppo americano non ha mezze misure, picchia come una band estrema, si lascia andare a chorus presi in prestito dal metalcore, ma ci piazza varianti ritmiche e spettacolari solos progressivi.
Esagerati e straordinariamente maestri del proprio strumento, questi ragazzi non scrivono canzoni, ma mini opere metalliche dove spesso viene smarrita la strada, seguendo un songwriting ancora da registrare.
Non basta alla band stupire con una tecnica invidiabile, nella musica l’elemento emozionale è troppo importante per lasciarlo nascosto sotto cascate di note, mentre qualche minuto di calma apparente dimostra l’ancora poca maturità nel costruire canzoni, con scontate sfumature melodiche.
Tanto fumo e niente arrosto?
In parte direi di sì, anche se non tutto è ovviamente da buttare, il gruppo come detto è giovanissimo e la tecnica col tempo sarà affiancata dall’inevitabile maturazione.
Nel frattempo il gruppo è in giro con Mike Portnoy’s Shattered Fortress (il Max Portnoy alla batteria nei Next To None è appunto figlio di tanto padre) nel tour passato anche dal nostro paese, ulteriore esperienza da mettere in saccoccia: i ragazzi cresceranno, potenziali fenomeni lo sono già, vedremo se diventeranno altrettanto bravi anche a livello compositivo.

Tracklist
1. 13
2. Answer Me
3. The Apple
4. Beg
5. Alone
6. Kek
7. Clarity
8. Pause
9. Mr. Mime
10. Isolation
11. Denial
12. The Wanderer

Line-up
Max Portnoy – drums
Thomas Cuce – vocals, keyboard
Derrick Schneider – guitar
Kris Rank – bass

NEXT TO NONE – Facebook