Bells Of Ramon – Jamie Lee

I Bells Of Ramon rialsciano un sette raffinato, ben suonato e ben prodotto che lascia ben sperare per il futuro disco.

Dopo un po’ di attesa e vari concerti positivi, ecco uscire il 7″ che precede il debutto dei Bells Of Ramon previsto per l’autunno del 2016.

I Bells Of Ramon sono un gruppo genovese che suona uno stoner molto influenzato dall’hard rock, ma anche viceversa va bene, ovvero hard rock influenzato dallo stoner. Il loro suono è composto molto attentamente e nulla viene lasciato al caso. Il primo pezzo, Jamie Lee, ha un incedere elegante e sinuoso, con un suono molto stelle e strisce, riuscendo ad essere originale e particolare anche in un ambito dove non è facile. Ascoltando questi due pezzi si può sentire anche un forte sapore di grunge, perché a noi di una certa età è rimasto in testa, e non c’è nulla da fare. I Bells Of Ramon rilasciano un sette raffinato, ben suonato e ben prodotto che lascia sperare il meglio per il futuro disco.

TRACKLIST
Side A – Jamie Lee
Side B – Smoke Stung

LINE-UP
Luca Baldini- Voice, Guitar
Fabio Leonelli – Guitar
Sandro Carraro – Bass
Martino Sarolli – Drums

BELLS OF RAMON – Facebook

J.T.Ripper – Depraved Echoes and Terrifying Horrors

Depraved Echoes and Terrifying Horrors si può certamente considerare un esordio positivo, appetibile in particolare per i fans più accaniti dello speed/thrash vecchia scuola.

Nell’underground metallico è forte una tendenza old school che negli ultimi anni si è amplificata in tutti i generi e prevalentemente in quelli estremi.

Death metal, thrash e raw black metal vivono grazie a questo sottobosco musicale, ancora ancorato alle sonorità storiche, molte volte con buoni risultate, altre sinceramente un po meno.
I tedeschi J.T. Ripper si piazzano esattamente nel mezzo con questo primo lavoro sulla lunga distanza, composto da nove brani di speed/thrash metal old school arricchiti da un’attitudine evil di chiara matrice black.
Ne esce Deapraved Echoes and Terrifying Horrors, lavoro che che si colloca tra Slayer, Venom e la sacra triade tedesca Sodom/Kreator/Destruction, influenze nobili per il trio di Chemnitz, anche se la strada da percorrere per raggiungere le loro ispirazioni è ancora molto lunga.
L’album si guadagna la piena sufficienza e qualcosa di più per l’alto impatto e l’attitudine, ma perde qualcosa in songwriting e produzione; il primo leggermente monocorde, la seconda molto old school, forse troppo.
Poco più di mezz’ora a mille allora, un forte sentore di putrida blasfemia ma anche di già sentito, portano il trio di thrashers composto da S (basso e voce), D (chitarra) e C (battteria), nei meandri infernali creati dai gruppi che misero a ferro e fuoco il decennio ottantiano, la passione nel riportare tali sonorità è commovente ed il gruppo ce la mette tutta per risultare più aggressivi possibile, ed in effetti ci riesce alla grande, specialmente nei brani più elaborati come Darkest Minds e la punkizzata Repulse Desire.
Se siete amanti di tutto quello che è vintage nel metal estremo, Depraved Echoes and Terrifying Horrors si può certamente considerare un esordio positivo, appetibile in particolare per i fans più accaniti dello speed/thrash vecchia scuola.

TRACKLIST
1. Black Death
2. Seven Comandments
3. Human Coffin
4. Darkest Minds
5. Bloody Salvation
6. Route 666
7. Fallout (Over France)
8. Repulsive Desire
9. Buried Alive

LINE-UP
Chris – Drums
Daniel – Guitars
Steffen – Vocals, Bass

J.T.RIPPER – Facebook

Bioscrape – Psychologram

Se amate i suoni metallici moderni e le sonorità core non perdetevi questo lavoro, i Bioscrape hanno armi affilate per farvi male.

Un disco che trasuda groove ed una insana carica hardcore, una pesante incudine che ingloba nella propria musica sfumature industriali, metal moderno ed un impatto core oscuro e devastante.

Questo in sintesi è Psychologram, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Bioscrape, band italiana che costruisce un muro sonoro assolutamente indistruttibile.
Il successore di Exp.01, debutto licenziato nel 2012, conferma l’assoluta caparbietà del gruppo nel confezionare un prodotto estremo che si mantiene su coordinate metalcore, ma non risparmia all’ascoltatore bordate metalliche colme di groove, sfuriate al limite del thrash moderno ed una chiara ispirazione hardcore, racchiuso in un concept che richiama un futuro di distruzione in clima sci-fi.
E’ un’aggressione senza soluzione di continuità, con il growl rabbioso che passa da tonalità profonde care al death, ad urla in hardcore style, le ritmiche sanguinano groove, le chitarre taglienti sono cavi elettrici che balzano tra pozzanghere sporche di acqua putrida, mentre il grigio è il colore del mondo in cui si muove Psychologram.
Tecnicamente ineccepibili e con l’aiuto di Wahoomi Corvi che ha prodotto e mixato l’album ai Realsound Studio di Parma, i Bioscrape creano un album maturo e bilanciato tra i vari generi di cui si nutre, i brani che si mantengono monolitici, hanno in loro varie sfumature che li rende unici e che va dal thrash (Primordial Judge), alle variazioni ritmiche di Aliena, al metallo moderno di Cyber Hope, per non mancare di farci ascoltare elementi riconducibili al progressive death con Echo Silent, piccolo gioiello che risulta il miglior brano del lotto.
L’elemento core è chiaramente quello più distinguibile, ma viene manipolato dal gruppo con ottima conoscenza della materia ed un impatto e compattezza che sono i punti forti dei Bioscrape ed in generale di tutte le band alle prese con il genere.
Psychologram non mancherà di soddisfare i fans del gruppo, ma se amate i suoni metallici moderni e le sonorità core non perdetevi questo lavoro, i Bioscrape hanno armi affilate per farvi male.

TRACKLIST
01 – Primordial Judge
02 – Mechanical Providence
03 – Aliena
04 – Bioscrape
05 – Killer Collision
06 – Cyber Hope
07 – Astro Noise
08 – Echo Silent
09 – Vega Cospiration
10 – Psychologram

LINE-UP
V. – drums
J. – vocals
S. – guitar
P. – bass

BIOSCRAPE – Facebook

Eye Of Solitude – Cenotaph

L’ennesimo grande disco di una band che non finisce mai di regalare emozioni.

Gli Eye Of Solitude, rispetto alla maggior parte delle doom band, si distinguono per una produzione più cospicua che, quasi magicamente, non va affatto a discapito della qualità.

Infatti, a fronte di chi fa trascorrere diversi anni tra un uscita e l’altra, il gruppo guidato da Daniel Neagoe solletica con una certa frequenza il palato dei numerosi estimatori, guadagnati grazie alla pubblicazione di un capolavoro come Canto III (2013) ed ad altri due lavori magnifici come Sui Caedere (2012) ed Dear Insanity (2014).
Nel 2015 il nome del gruppo londinese è balzato agli onori della cronaca, prima grazie allo split con gli olandesi Faal, poi, anche per la valenza benefica dell’operazione, con la pubblicazione on-line del singolo Lugubrious Valedictory, volto alla raccolta di fondi da devolvere a favore dei familiari di coloro che persero la vita nella tragedia del Colectiv Club di Bucarest, risalente allo scorso ottobre.
Fatte le debite premesse, veniamo a parlare del nuovo album Cenotaph, la cui uscita è prevista per il 1 settembre e che, al momento, non vede alcuna etichetta assumersi l’onere (ma soprattutto l’onore) della sua pubblicazione.
Se, come detto, Canto III costituiva la quintessenza del sentire musicale degli Eye Of Solitude potendosi considerare, per certi versi, un qualcosa di irripetibile grazie alla sua perfetta espressione di un deathdoom melodico e parossistico per intensità, Dear Insanity si spostava maggiormente verso un funeral dagli ampi tratti ambient; Cenotaph riesce nella non facile impresa di assimilare il meglio da entrambi i lavori, restando sicuramente su posizioni più vicine all’ep precedente ma arricchendole con quei crescendo emotivi che sono il marchio di fabbrica di Neagoe e soci.
Rispetto all’opera di matrice dantesca, Cenotaph appare sicuramente meno immediato, evidenziando, come già notato in Dear Insanity, un’attitudine chitarristica più propensa ad accompagnare il sound piuttosto che ad ergersi quale protagonista, facendo sì che, alla fine, il vero “strumento” chiave del lavoro divenga proprio l’inimitabile growl di Daniel.
Proviamo per assurdo ad azzerare gli interventi del vocalist rumeno: ne resterebbe comunque un superlativo album strumentale al quale, però, verrebbe meno l’elemento cardine in grado rendere “fisico” il tormento e lo smarrimento evocato dalla musica.
Infatti, la commozione che oggi pochi come gli Eye Of Solitude sono capaci di indurre, nasce da un lavoro d’insieme, dall’afflato compositivo di una band che si muove all’unisono, preparando il terreno, tramite passaggi rarefatti ed atmosfere quasi cullanti, alla deflagrazione di un pathos che assume le sembianze di un crescendo vorticoso e dall’intensità insostenibile.
Questa è, a grandi linee, la descrizione di un brano come A Somber Guest, uno dei picchi assoluti della carriera di una band unica, oggi, per la propria particolare opera di sbriciolamento di ogni barriera psichica che l’inconscio provi ad erigere.
Il dolore, la paura dell’ignoto, l’ineluttabilità della morte: tutto ciò viene rovesciato sull’ascoltatore, prima sgomento ed indifeso di fronte ad una tale offensiva, poi gradualmente capace di compenetrarsi con la musica facendosi consapevolmente travolgere da una marea emotiva che, ritirandosi, lascia quale preziosa traccia del suo passaggio un catartico stupore.
La title track prima, e This Goodbye. The Goodbye, poi, sono esempi di quella rarefazione del suono che, se non raggiunge l’intensità esibita in altri passaggi dell’album, costituisce il magnifico preludio ad aperture melodiche che inducono senza remissione alle lacrime, come avviene in maniera esemplare e definitiva nella seconda parte dell’altro brano capolavoro Loss, a suggello dell’ennesima opera monumentale targata Eye Of Solitude.
Cenotaph è tappa obbligata per chi vuole affrontare privo di preconcetti una forma d’arte che, invece di occultare le miserie dell’esistenza rivestendole grottescamente di una gioia artefatta , le esibisce senza pudori per poi trasformarle in un’esperienza liberatoria, facendo vibrare le corde più profonde dell’animo umano.

Tracklist:
1. Cenotaph
2. A Somber Guest
3. This Goodbye. The Goodbye
4. Loss

Line-up:
Daniel Neagoe – Vocals
Chris Davies – Bass
Adriano Ferraro – Drums
Mark Antoniades – Guitars
Steffan Gough – Guitars

EYE OF SOLITUDE – Facebook

Nerodia – Vanity Unfair

Il lavoro suona praticamente perfetto in tutti i suoi aspetti, un album estremo che potrebbe trovare ammiratori anche tra gli amanti del metal più classico per via di grandi intuizioni melodiche.

Tornano come una tromba d’aria che, vorticando, finisce il lavoro di distruzione sulle macerie lasciate al primo fatale passaggio, lasciando solo il caos prodotto dalla sua inesauribile furia.

Loro sono i Nerodia, quartetto romano che rilascia questo devastante secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo il primo full length Heretic Manifesto e Prelude To Misery, ep uscito tre anni fa e che avevamo già elogiato su queste pagine.
Vanity Unfair è stato affidato per il mix ed il mastering a Stefano Morabito in quel dei 16th Cellar Studio e vede come ospite Massimiliano Pagliuso dei Novembre, alle prese con un solo nella belligerante ed oltremodo scandinava The Black Line.
I nostri quattro thrash/blacksters, senza farci respirare, ci immergono nel loro mare di note estreme sempre in bilico tra il black metal scandinavo ed il thrash old school di matrice tedesca.
E’ un mare nero, dove vivono entità che nell’ombra, voraci, che attaccano senza pietà pregne di umori black’n roll ed insana attitudine evil con questo nuovo lavoro, ancora una volta valorizzato dalla tecnica sopraffina dei musicisti, tra cui spicca l’enorme piovra famelica che di nome fa David Folchitto.
I riff si susseguono, veloci e taglienti come zanne di squali tigre convincendo ancora una volta sulla perizia dei due axeman (Giulio Serpico Marini, Marco Montagna), mentre il basso di Ivan Contini segue lo tsunami di colpi inferti dal suo collega ritmico.
Brani che non scendono sotto l’atmosfera di esaltazione che dalle prime note della title track cala sull’ascoltatore, stordito dal mix letale di Darkthrone, Dissection, Kreator ed impulsi motorheadiani che brani come Pussywitch 666, Anti-Human Propaganda, Chains of Misery e No Crown For The Dead non fanno che confermare.
Siamo a livelli molto alti, la band romana non ha punti deboli, ed il lavoro suona praticamente perfetto in tutti i suoi aspetti, un album estremo che potrebbe trovare ammiratori anche tra gli amanti del metal più classico per via di intuizioni melodiche sopra le righe. Un acquisto obbligato.

TRACKLIST
01 Necromorphine Awakening
02 Vanity Unfair
03 The Black Line
04 Souldead
05 Pussywitch 666
06 No Crown for the Dead
07 Anti-Human Propaganda
08 Chains of Misery
09 Celebration of the Weak
10 Usque Ad Finem
11 Channeling the Dark Sound of Cosmos

LINE-UP
Giulio Serpico Marini – Vocals, Guitars
Marco Montagna – Guitars, B.Vocals
Ivan Contini – Bass
David Folchitto – Drums

NERODIA – Facebook

Mausoleum Gate – Metal And The Might / Demon Soul

Vocals che riconducono agli ormai storici anni ottanta, tasti d’avorio purpleiani e cavalcate chitarristiche di scuola britannica (NWOBHM) fanno parte del background del gruppo finlandese, una cult band per alcuni, davvero troppo datata per altri.

Heavy metal old school, un sound che racchiude la filosofia metallica di stampo classico in tutte le sue componenti e un’attitudine che rispecchia in toto la tradizione, queste sono le caratteristiche dei Mausoleum Gate, band finlandese attiva dal 2009, presentataci dalla Cruz De Sur Music con questo singolo di due brani.

Metal And The Might, song che da il titolo all’opera, più i sei minuti della vintage Demon Soul compongono questo singolo che va a rimpolpare una discografia che vede il quintetto di Kuopio alle prese con una manciata di lavori minori ed un unico full length omonimo uscito un paio di anni fa.
A prescindere dall’operazione criticabile nel genere proposto, questo singolo presenta quanto meno il gruppo a chi,dei suoni nostalgici dalle sfumature 70’/80, fa il suo credo, devoto ai suoni tradizionali in toto, compresa una produzione deficitaria e che non rende giustizia al songwriting dei Mausoleum Gate.
Vocals che riconducono agli ormai storici anni ottanta, tasti d’avorio purpleiani e cavalcate chitarristiche di scuola britannica (NWOBHM) fanno parte del background del gruppo finlandese, una cult band per alcuni, davvero troppo datata per altri.
La verità come sempre sta nel mezzo, ed i Mausoleum Gate risulterebbero un ottimo gruppo se non fosse per le scelte in fase di produzione che, purtroppo in questi anni, trovano terreno fertile solo nei fans del rock, affondato nelle sabbie mobili di un passato che molti gruppi glorificano con album che amalgamano tradizione e modernità, ma che risulta obsoleto quando, per scelta o per difetto, i mezzi usati risultano deficitari.
Immaginatevi la vergine di ferro sprofondata in un profondo porpora ed ammaliata da un sabba nero ed avrete un’idea della proposta del gruppo finlandese, peccato solo che il tutto non venga valorizzato al meglio; speriamo che ciò accada alla prossima occasione.

TRACKLIST
Side A – Metal and the Might
Side B- Demon Soul

LINE-UP
V-P. Varpula – Vocals
Count L.F. – Electric and Acoustic Guitars
Nino Karjalainen – bass
Kasperi Puranen – Electric Guitars
Wicked Ischianus – Hammond C3 Organ, Mellotron M400 and MiniMoog
Oscar Razanez – Drums, Percussions and Gongs

MAUSOLEUM GATE – Facebook

Human Vivisection – The Perpetual Gap

Oscuro e pesantissimo, The Perpetual Gap vive su un impatto che non manca di fare danni, accontentando in quanto ad efferatezza sonora gli amanti dei genere

The Perpetual Gap è l’esordio discografico della band belga Human Vivisection, arrivata al primo full length a quattro anni dalla sua fondazione.

Brutal death metal in puro delirio di blast beat, un monolito di metallo estremo che ha nei classici cliché del genere la propria forza e non rinuncia a soluzioni che si avvicinano al grindcore, The Perpetual Gap vive di queste sensazioni estreme, senza compromessi e dall’impatto violentissimo.
Un’altra opera targata Rising Nemesis, label specializzata nel metal estremo di cui ci siamo occupati nella recensione riguardanti gli olandesi Korpse, band che si avvicina al sound del gruppo belga, anche se The Perpetual Gap come detto richiama specialmente nelle ritmiche il classico sound grind.
Il quintetto di Bree, opera un massacro a tutto tondo, sfoderando una prestazione al limite dell’umano nella potentissima sezione ritmica e lasciando al vocalist il compito di vomitare puro odio per il genere umano, violenze ed altre atrocità.
Trentacinque minuti di massacro sonoro che, anche in questo caso, non mancano di stancare un po’, complici soluzioni usate in tutti i brani così che, ad un approccio distratto, sembra di ascoltare lo stesso brano ripetuto all’infinito, questo è il difetto maggiore che si riscontra in questo ennesimo devastante lavoro in arrivo dal nord Europa.
Oscuro e pesantissimo, The Perpetual Gap vive su un impatto che non manca di fare danni, accontentando in quanto ad efferatezza sonora gli amanti dei genere, ma canzoni come Age of Disgust, la mastodontica Birth of a Defective Race e la super grindcore song che risulta Consumed by the 4th Dimension, faranno la gioia dei fans accaniti del death metal estremo, per tutti gli altri è consigliato di stare alla larga dagli Human Vivisection.

TRACKLIST
1. The Enigma of Subsistence
2. Age of Disgust
3. The Perpetual Gap
4. The Transmutation Program
5. Feed the Warmachine
6. From Blaspheme to Viscera
7. Birth of a Defective Race
8. Consumed by the 4th Dimension
9. Indulging in the Downfall
10. Creation of the Spiritual Machines
11. The Inevitable Confine of Existence

LINE-UP
Roy Feyen – Guitar
Sonny Hanoulle – Guitar
Yenthe Meeus – Vocals
Robbie Cuypers – Bass
Olivier Smeets – Drums

HUMAN VIVISECTION – Facebook

Beneath The Storm – Lucid Nightmare

Disco in bilico tra sogno e morte, una grande prova di maturità per il gruppo.

Quarto disco per gli sloveni Beneath The Storm, uno dei primi gruppi anni fa ad approdare al roster di Argonauta Records.

Come sempre questi sloveni ci regalano un concept album, questa volta è sugli incubi, porte multidimensionali che si aprono tra il nostro subconscio e mondi lontani.
Oltre ad essere un disco molto godibile, Lucid Nightmare segna anche una nuova poetica musicale del gruppo. Lasciate un po’ indietro certe asperità sonore dello sludge pesante, in questo disco i Beneath The Storm hanno ricercato sonorità più vicine allo stoner sludge, con una fortissima impronta grunge, vicina a quella fabbrica di musica e dolore che si chiamava Alice In Chains. Il suono non è più melodico, è mutato dalla base id partenza del loro sludge distorto e quasi atmosferico per giungere ad un suono più organico e forse più semplice, migliore rispetto a prima, anche se non si può effettuare un vero confronto dato che l’ambiente è cambiato radicalmente. Si può parlare di maturazione, ma penso che musicisti così poliedrici e capaci possano e devono cambiare il loro suono quando e come vogliono. Per abitudine mentale ai loro precedenti dischi mi aspettavo qualche cosa di diverso e quando ho ascoltato il disco sono rimasto piacevolmente sorpreso e davvero convinto della forza di questo disco. I Beneath The Storm fanno compiere un salto ulteriore per la loro musica, che diventa un qualcosa di molto più fruibile e ancora più affascinante di prima. Il disco parla del sonno, la nostra morte quotidiana che fa nascere mondi malati dentro di noi, perché gli incubi sono molto più interessanti e quotidiani dei sogni. I Beneath The Storm ci fanno capire, con questa musica pesante eppure eterea, che l’incubo è il nostro vero habitat naturale, e che non vi è nulla di male a far gridare il nostro io intrappolato nelle ore di veglia. Disco in bilico tra sogno e morte, una grande prova di maturità per il gruppo.

TRACKLIST
01. Nightmare’s Gate
02. Paralyzed In Sleep
03. Nightmares Overcome
04. Insomnia
05. Lucid Nightmare
06. Dementia
07. Atrocious Dreams
08. Down
09. On High In Blue Tomorrows
10. The House Of Doom

BENEATH THE STORM – Facebook

Aeternus Prophet – Exclusion of Non-Dominated Material

Un viaggio nell’assoluta e misantropica repulsione per l’umanità che il trio riversa in dieci inni al male

I tre sacerdoti ucraini tornano a seminare odio con il secondo full length, Exclusion of Non-Dominated Material.

Gli Aeternus Prophet sono attivi dal 2010 e la loro discografia si completa con una coppia di demo ed il primo lavoro sulla lunga distanza dal titolo Безжальність, uscito quattro anni fa.
Death metal old school, infestato di malefici virus raw black metal ed atmosferici passaggi doom, per una proposta che non manca di fascino evil.
In generale il mood dell’album mantiene una componente diabolicamente oscura, il metal estremo scarno e violento del gruppo si nutre di puro odio, così da farne un lavoro di monolitico metal estremo decadente e senza compromessi.
Un viaggio nell’assoluta e misantropica repulsione per l’umanità che il trio riversa in dieci inni al male, che potrebbero trovare estimatori sia nelle frange del death metal che in chi si nutre di pure fucking black.
Veritas (chitarra e voce), Oberon (chitarra) e Dessident (batteria) non mancano di guardare ai maestri delle sonorità oscure, soprattutto provenienti dall’est, il loro sound tramortisce, ed imperterrito marcia verso il regno dell’oscurità senza troppi fronzoli ne cambi di atmosfere che perdurano dall’opener Removed Eyes, fino alla conclusiva A Look into Eternity, passando per le devastanti Sick Vision e Uncaused Defacement.
Belphegor e Behemoth sono le ispirazioni maggiori del loro black/death metal, niente di nuovo, ma assolutamente maligno e luciferino, tanto da farne un lavoro perfetto per le anime più oscure che si aggirano nell’ombra del variegato mondo del metal estremo underground.

TRACKLIST
1. Removed Eyes
2. Total Dominance
3. Diapause of Thought Processes
4. Sick Vision
5. Exclusion of Non-Dominated Material
6. Uncaused Defacement
7. Fate Will Expect Your Death…
8. Obliged to Live
9. Wipe Off the Mark
10. A Look into Eternity

LINE-UP
Veritas – guitar, vocal
Oberon – guitar
Dessident – drums

AETERNUS PROPHET – Facebook

Korpse – Unethical

Unethical scarica dosi letali di violenza, i brani si succedono uno dopo l’altro in un’atmosfera di delirio, dove torture, abominevoli amputazioni e blasfemie varie sono il pane quotidiano.

Rientriamo dopo un po’ di tempo nei meandri insani del death metal estremo con il brutale combo olandese dei Korpse, quartetto di Bussum foriero di un devastante slam brutal death metal.

Il gruppo attivo dal 2013 licenzia il suo secondo lavoro, successore del debutto omonimo uscito un paio di anni fa, e conferma tutto il suo impatto anche su questo nuovo lavoro, un assalto brutale senza soluzione di continuità per oltre mezzora di carneficina in musica.
I musicisti che formano la band sono tutti di buona esperienza avendo militato in molte realtà della scena e si sente, l’aggressione è più di quanto violento e brutale si possa immaginare, sempre perennemente ancorato ai cliché del genere, ma valorizzato da una carica a dir poco esplosiva.
Come un vento atomico che travolge senza pietà il sound del gruppo alterna passaggi in blast beat a rallentamenti e slamming potentissimi, il growl animalesco fa il resto valorizzando l’approccio senza compromessi dei Korpse.
Unethical scarica dosi letali di violenza, i brani si succedono uno dopo l’altro in un’atmosfera di delirio, dove torture, abominevoli amputazioni e blasfemie varie sono il pane quotidiano.
Ottima la prova di una sezione ritmica che avanza come un carro armato (Mart Wijnholds al basso e Marten van Kruijssen alle pelli) e dove la sei corde di Floor van Kuijk lancia grida lancinanti torturate dall’axeman olandese.
Sven van Dijk vomita rabbia e crudeltà nel microfono con il suo growl da orco indemoniato, mentre siamo già arrivati all’ultimo brano in uno tsunami di sangue e arti.
Un difetto, che è molto facile riscontrare nei gruppi dediti a queste sonorità, è la somiglianza tra le canzoni che fa di Unethical un unico blocco di brutale metal estremo ed un lavoro che, comunque, gli amanti del genere sicuramente apprezzeranno.

TRACKLIST
1. Conquer
2. Collateral Casualties
3. Incinerate
4. Deformed to the Extreme
5. Stoneage
6. Cleaning the Aftermath
7. Cannibal Warlords
8. Unethical
9. Retaliation
10. Monastery Waste
11. Eternal Misery

LINE-UP
Mart Wijnholds – Bass
Marten van Kruijssen – Drums
Sven van Dijk – Vocals
Floor van Kuijk – Guitars

KORPSE – Facebook

Der Rote Milan – Aus Der Asche

Grazie anche alla produzione pressoché perfetta questo disco è davvero una bella sorpresa.

Debutto per questo gruppo tedesco di black metal potente ed intenso, che raccoglie ciò che di meglio offre il genere.

Provenienti dalla regione del Reno – Palatinato, i Der Rote Milan firmano un ottimo disco di black metal che guarda sia indietro che davanti. Su di loro aleggia un sintomatico mistero, dato che non si sa granché, se non che sono stati fondati nel 2015, e che dopo un demo hanno pubblicato questo disco, che è un potente concentrato di metallo nero. Lo stile è sicuramente vicino a Dark Funeral e Satyricon , anche se la maggior parte delle cose sono opera dei Der Rote Milan. Grazie anche alla produzione pressoché perfetta questo disco è davvero una bella sorpresa. Si alternano momenti veloci e saturi di potenza con impressioni melodiche notevoli, anche se maggioritaria è sempre la componente diabolica, luce tenebrosa ispiratrice di questo gruppo. La singolarità di questo gruppo è una notevole graniticità, un avanzare compatti offrendo corpi mutilati e terra sconsacrata ovunque passino. Il disco conferma lo stato di grazia del black metal tedesco, che insieme a quello portoghese da cui è molto differente, sta offrendo prove eccellenti. Aus Der Asche è un debutto fuori dal comune, strutturato molto bene e davvero potente. Sembra fin strano che un disco così sia stato autoprodotto e pubblicato dallo stesso gruppo, poiché qui il livello è davvero alto. Una grande strage per cominciare non fa mai male.

TRACKLIST
01. Der Aufstieg
02. Nebel Und Regen
03. Das Ende Des Tempels
04. Sühne Und Schmerz
05. Seelenasche
06. Blutleere Stille
07. Ewige Dunkelheit
08. Der Abgrund

LINE-UP
I – Guitars
II – Guitars
III – Vocals
IV – Drums
V – Bass

DER ROTE MILAN – Facebook

Hellsworn – Repulsive Existence

Un ottimo debutto per un grande disco di death metal.

Carneficina death metal vecchia scuola per questo gruppo inglese proveniente dalle Midlands, formato da membri di gruppi provenienti dall’underground duro e puro.

Repulsive Existence è un attacco sonoro perpetrato con grande cattiveria ed altissima intensità da musicisti che amano suonare death metal e non lo fanno per moda od altro. Il disco non dura molto ma il giusto, anche perché sarebbe stato stucchevole aggiungere canzoni. Gli Hellsworn fanno ottimo death metal, veloce e devastante, con punte di vera gioia per gli amanti della scena classica svedese, ma non sono certo imitatori dei grandi maestri, bensì propongono una loro personale visione del tutto. Il disco scorre molto bene, e lascia quel retrogusto di violenza rappresentata che rende la vita migliore, senza far del male a nessuno, ma solo alle nostre orecchie. La produzione è un giusto compromesso tra bassa ed alta fedeltà, in modo che si possa gustare il tutto, ma l’alta fedeltà farebbe torto allo spirito death metal. Un ottimo debutto per un grande disco di death metal.

TRACKLIST
1.Repulsive Existence
2.Voices From Beyond The Grave
3.Lifeless
4.Sons Of Serpents
5.Serial Misanthropy
6.In Eternal Darkness

LINE-UP
Tom Hinksman – Vocals, Guitar
Tom McKenna – Guitar
Neil Williams – Bass
Ryan Wakelam – Drums

HELLSWORN – Facebook

Ashcloud – Children of the Chainsaw

Se siete amanti del death metal scandinavo ed Edge Of Sanity, Dismember, Entombed e Grave sono ancora tra i vostri ascolti abituali, non perdetevi per nessun motivo questo album.

Lo scorso anno una manciata di lavori estremi che del death metal scandinavo erano i più legittimi discendenti, fecero sobbalzare dalla scrivania il sottoscritto, travolto dai suoni che nei primi anni novanta fecero la fortuna di band come Dismember, Edge Of Sanity ed Entombed.

Tra i gruppi che si imposero all’attenzione, nel mondo dell’underground estremo il duo scandinavo/britannico degli Ashcloud, con il debutto Abandon All Light, diedero una bella spallata al muro di detrattori dei suoni old school.
Children Of The Chainsaw segue dunque di un anno il precedente lavoro, confermando l’ottima impressione suscitata e superandolo in quanto a songwriting ed impatto.
La premiata ditta Jonny Pettersson/Gareth Nash non delude e ancora una volta spara una dozzina di cannonate death metal come ai bei tempi, quando i gruppi storici deliziavano i padiglioni auricolari degli appassionati di di tutto il mondo.
Una serie impressionate di riff pesantissimi, solos melodici di ispirazione primi Edge Of Sanity e sangue che gronda dalle carcasse scarnificate di scheletri/zombie in marcia verso la cittadina per sfamarsi dei corpi imbolsiti dei poveri abitanti, il nuovo lavoro è un’apoteosi di scandinavian death metal, feroce, devastante ed assolutamente travolgente.
Prodotto a meraviglia e licenziato dalla Xtreem, ormai una certezza in ambito estremo, il nuovo album del duo spacca con la forza che solo il vecchio death metal scandinavo sa fare, accelerazioni, stop and go, chitarre che sfornano solos melodici e ritmiche che scaraventano al muro con la forza d’urto di una bomba atomica, un torrente in piena questa raccolta di brani che se per qualcuno non risplende in originalità, deborda e risulta un perfetto esempio di come si suona il genere.
The Revolting Dead, Inside the Shame of Desire, Tonight Your Skin Is Mine e By the Weight of a Thousand Chains, sono gli esempi più fulgidi di cosa regala in termini di qualità estrema questo bellissimo album, se siete amanti del death metal scandinavo ed Edge Of Sanity, Dismember, Entombed e Grave sono ancora i vostri ascolti abituali, non perdetevi per nessun motivo questo album

TRACKLIST
1. Children of the Chainsaw
2. The Revolting Dead
3. Descend into Madness
4. Inside the Shame of Desire
5. Sovereign of Filth
6. Tonight Your Skin Is Mine
7. In This Eternal Void
8. Under dödens vingar pt.3
9. The Creeping Unknown
10. S.C.U.M.
11. By the Weight of a Thousand Chains
12. Written in Flesh

LINE-UP
Jonny Pettersson – Vocals, Bass, Guitars
Gareth Nash – Guitars, Vocals

ASHCLOUD – Facebook

DunkelNacht – Ritualz Of The Occult

Ritualz Of The Occult conferma in pieno quanto scritto due anni fa al riguardo dei DunkelNacht, con la speranza che, comunque, questa breve opera non resti fine a sé stessa ma costituisca piuttosto l’antipasto ad un prossimo album su lunga distanza.

I francesi DunkelNacht, in poco più di un decennio d’attività, si sono segnalati per una produzione piuttosto ricca di uscite (anche se i full-length pubblicati sono solo due) e, soprattutto, per una certa irrequietezza stilistica che sembra essere marchiata a fuoco nel dna delle band transalpine dedite a forme musicali prossime al black metal.

Avevamo già parlato di questo combo di Lille in occasione del loro precedente album, Revelatio, che aveva convinto proprio per una versatilità di fondo che non sconfinava in una resa frammentaria od eccessivamente cervellotica.
La dote principale dei DunkelNacht che emergeva in tale frangente era, in effetti, quella di tenere sempre ben presente quanto la melodia abbia un suo peso anche in una proposta dai tratti estremi, e non fa difetto in tal senso neppure questo breve Ep con il quale i nostri, in meno di venti minuti, ci investono con il consueto approccio caleidoscopico.
Rispetto a Revelatio sembrerebbe che la barra si sia spostata verso un black death che non rinuncia comunque a stupire con qualche colpo ad effetto, come l’incedere catchy dell’intro Unchained o l’approccio tra il teatrale ed il grottesco della conclusiva God to Gold (Gold to God).
La title track è una notevole mazzata nella quale il nuovo vocalist, l’olandese M.C. Abagor, si esprime in maniera convincente sia con il growl che con lo scream, e non da meno è la successiva Pretty Lovesick Funeral, nella quale si fanno apprezzare diversi passaggi rallentati, mentre il delicato arpeggio che inaugura Emblem of a Diluted Deism si rivela quanto mai ingannatorio, vista la piega che prenderà un brano per lo più spigoloso e squadrato, ma capace ugualmente di aprirsi in maniera imprevedibilmente ariosa nella sua parte finale.
Un tratto comune e determinante per la riuscita dell’Ep è, comunque, l’ottimo lavoro alla chitarra solista del leader Heimdall, il quale infarcisce i diversi brani di assoli di ottimo gusto e, soprattutto, mai banali.
Ritualz Of The Occult conferma in pieno quanto scritto due anni fa al riguardo dei DunkelNacht, con la speranza che, comunque, questa breve opera non resti fine a sé stessa ma costituisca piuttosto l’antipasto ad un prossimo album su lunga distanza.

Tracklist:
1. Unchained
2. Ritualz of the Occult
3. Pretty Lovesick Funeral
4. Emblem of a Diluted Deism
5. God to Gold (Gold to God)

Line-up:
Heimdall – Guitars (lead), Programmings
Alkhemohr – Bass, Vocals (backing)
Max Goemaere – Drums
M.C. Abagor – Vocals (lead)

DUNKELNACHT – Facebook

Widow – Carved In Stone

Carved in Stone lascia che la passione di questi tre alfieri del metal classico traspaia da ogni nota che compone l’album

Attivo dall’alba del nuovo millennio, il trio proveniente dal North Carolina torna con un nuovo lavoro a cinque anni dal precedente Life’s Blood.

Siamo giunti al quinto capitolo della storia degli Widow e la band continua il suo percorso tra le sonorità power metal classicamente americane, iniziata nel 2003 anno di uscita del primo album Midnight Strikes, seguito da On Fire nel 2005 e Nightlife del 2007.
Niente di nuovo sotto il sole del North Carolina, il gruppo ci propone l’ennesima opera di U.S. metal dai tratti power, lineare e senza grossi picchi compositivi ma di buon livello, un album che si lascia ascoltare ed apprezzare per le cavalcate old school di cui è pregno, buone linee melodiche che si accompagnano al cantato maschio ma molto melodico del bassista John E. Wooten ed i solos di gustosa maniera ad appannaggio del buon Chris Bennett .
Dodici brani che ci accompagnano nell’heavy metal, tra accelerazioni power, mid tempo heavy e la classica atmosfera oscura dei gruppi statunitensi, anche se gli Widow non mancano di strizzare l’occhio alle band europee, Maiden in primis.
Ne esce un buon lavoro, Carved in Stone lascia che la passione di questi tre alfieri del metal classico traspaia da ogni nota che compone l’album, un lavoro composto da tre metallari per metallari, niente di più, niente di meno.
Ne sono esempio brani dal taglio tradizionale come l’opener Burning Star, la title track, ed il mid tempo maideniano And We Are One, che si assestano su buone coordinate interpretative ed un buon piglio metallico.
Certo, mancano almeno un paio di brani trascinanti ed il tutto si mantiene su di un livello discreto, ma Carved In Stone è senza dubbio un ascolto gradito per ogni metal fans che si rispetti, specialmente quelli legati alla scuola classica.

TRACKLIST
1. Burning Star
2. Carved In Stone
3. Another Time and Place
4. Wisdom
5. Time on Your Side
6. Borrowed Time
7. And We Are One
8. Anomaly
9. Live By The Flame
10. Of The Blood, We Bind
11. Nighttime Turn
12. Let It Burn

LINE-UP
John E. Wooten IV – lead vocals, bass
Chris Bennett – lead guitars, bass
Robbie Mercer – drums

WIDOW – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=HvJRShkIyls

Infinitum Obscure – Internal Dark Force

Una furiosa prova di forza che purtroppo la produzione non valorizza appieno, ed è questo l’unico difetto dell’album.

Gli Infinitum Obscure sono un gruppo messicano nato all’alba del nuovo millennio e che propone un death metal dalle riminiscenze black, sia nel sound che nei testi di chiara ispirazione satanista ed antireligiosa.

Internal Dark Force uscì originariamente dieci anni fa e la Transcending Obscurity ne licenzia questa ristampa, dopo la che le due parti hanno messo la firma sul contratto.
Una discografia che dopo questo album ha visto la band di Tijuana uscire sul mercato estremo con un ep e due full length, di cui l’ultimo risale a due anni fa (Ascension Through the Luminous Black), tutti incentrati su un tempestoso metal estremo.
Internal Dark Force è una tregenda di suoni che amalgamano il death metal alla scuola black scandinava, una furiosa prova di forza che purtroppo la produzione non valorizza appieno, ed è questo l’unico difetto dell’album.
Per il resto gli Infinitum Obscure sanno come tempestare l’ascoltatore di suoni ed arringhe diaboliche, gelidi ed infernali trasportano l’ascoltatore in un mondo oscuro, fatto di atmosfere abissali e sfuriate black/death come nelle devastanti A Quest for Vengeance e Storm of Impious Hatred.
Un inferno dalle ritmiche velocissime, Internal Dark Force perde qualcosa nel lavoro in studio per puntare sulle atmosfere tempestose, assolutamente il punto di forza del gruppo: non un album imperdibile ma sufficientemente interessante per gli amanti del metal estremo.

TRACKLIST
1. As Light Fades (The Coming Armageddon)
2. Where Death-Winds Blow
3. A Quest for Vengeance
4. Possessing the Fire
5. Storm of Impious Hatred
6. The Final Aeon
7. Beyond a Dying Sun
8. Path to Apocalypse
9. Shadowless Light

LINE-UP
Roberto Lizarraga – Vocals, Guitars
Allan Castaneda – Bass
Hugo Lalanne – Guitars
Oscar García – Drums

INFINITUM OBSCURE – Facebook

Nulla+ – Stornelli Distopici

Disco ben sopra la media del genere, cantato in un italiano crudo, per un’ottima prova.

Furia grind hardcore minimalista per questo duo di Perugia.

A bene sentire la loro musica è solo ad un primo esame minimale, poiché sotto linee essenziali vi sono molte cose. Il titolo è quanto ami appropriato, poiché si tratta di moderni stornelli che trattano di un futuro che il Nulla+ chiamano distopico mentre noi lo chiamiamo presente. Non troverete messaggi consolatori o momenti edificanti, ma solo la fredda cronaca, e già questa basta. Il grindcore è uno dei migliori linguaggi musicali e non per raccontare il disagio, la rabbia e l’assoluta bassezza della vita umana, ed in questo i Nulla+ sono molto bravi e potenti. Questo è il suono delle nostre vite, la dissonanza di dover avanzare in questi nulla personali ripieni di tecnologia e falsi piaceri. I Nulla+ bilanciano molto bene le parti violente con quel maggiormente melodiche, momenti strumentali e cascata di parole su suoni taglienti. Il duo perugino ci consegna un debutto molto buono, velocemente feroce, con grande inventiva e momenti di vero grind, inteso come critica nichilistica dell’impotenza umana. Come detto sopra, non c’è consolazione ma una sana esortazione ad una presa di coscienza che è utile per tutti. Disco ben sopra la media del genere, cantato in un italiano crudo, per un’ottima prova.

TRACKLIST
1. Antidolorifico
2. L’unica certezza della vita
3. Negli Occhi
4. Mammona
5. Da Nuvola a Nuvola
6. Il vostro senso di inferiorità non è sinonimo di disparità
7. Loro ti possono uccidere
8. Un Uomo
9. Una Donna
10. Capire e Valutare
11. In ospedale per l’eternità

LINE-UP
Paolo L.
Riccardo M.

NULLA+ – Facebook

The Embodied – Ravengod

I The Embodied si candidano come una delle sorprese dell’anno nel genere

In materia metallica i paesi scandinavi sono ancora i maestri indiscussi e lo dimostrano ad ogni uscita, con ogni band che si affaccia nel panorama hard & heavy.

Passata l’ondata che devastò le rive mondiali con il death metal melodico e confermandosi come paradiso dei suoni hard rock, il nord Europa continua a regalare grande musica grazie anche a gruppi meno noti ma dal grande talento come questi The Embodied.
Nato una decina di anni fa in quel di Jönköping (Svezia) il quintetto licenzia, tramite la Pure Legend Records, Ravengod, bellissimo secondo album dopo il debutto omonimo uscito nel 2011.
Già The Embodied aveva fatto drizzare le orecchie a più di un addetto ai lavori, ma Ravengod supera di gran lunga le aspettative, confermando il gruppo svedese come una delle rivelazioni di questo 2016 con un album di heavy metal fresco, prodotto alla grande e che non disdegna qualche salto nel metal più estremo ma irresistibilmente melodico come da tradizione.
E qui chiaramente sta il bello, la band suona heavy metal, moderno ma ispirato chiaramente a quello classico, irrobustendolo in una miscela esplosiva con mitragliate estreme che si rifanno al death metal melodico, quello vero e che ha dato al genere capolavori epocali firmati In Flames e compagnia vichinga.
Ne esce un lavoro splendido formato da un lotto di brani che alternano furia estrema e metal melodico in egual misura, valorizzato da un singer sontuoso (Marcus Thorell), una coppia d’asce che risulta una macchina di solos melodici da infarto (Chris Melin e Jon Mortensen) ed una sezione oliata come il motore di una formula uno (Agust Ahlberg al basso e Axel Janossy alle pelli).
Bleed dà il via alle danze e davvero rimane difficile rimanere impassibili all’alto tasso qualitativo di questo brano, con chorus che si cominciano a canticchiare al primo ascolto, mentre il mood del disco cambia registro e il death melodico prende le redini del sound di Vengeance.
Ed è cosi che si passa da un brano più bello dell’altro, tra richiami illustri e tanta voglia di headbanging fino alla folk ballad Land of the Midnight Sun, non prima di passare dalla stupenda The Exorcist.
Immaginatevi una pazzesca jam tra In Flames, Iron Maiden, Soilwork e Masterplan ed avrete un’idea di cosa suonano questi cinque svedesi, così che Ravengod non scende da un livello ottimo per tutta la sua durata, impreziosito da brani esaltanti come I Suffocate of Anger, Battle of the Mind e la velocissima Death by Fire.
Gran colpo per la label tedesca, Ravengod risulta un album quasi perfetto e i The Embodied si candidano come una delle sorprese dell’anno nel genere, non perdeteli per nessun motivo.

TRACKLIST
1. Bleed
2. Vengeance
3. Praetor Sorrow
4. Ravengod
5. The Exorcist
6. Land of the Midnight Sun
7. Awaiting the End
8. I Suffocate of Anger
9. Art of Hunting
10. Battle of the Mind
11. Death by Fire
12. Vallfaerd till Asgaard

LINE-UP
Marcus Thorell – Vocals
Chris Melin – Guitars
Jon Mortensen – Guitars
Agust Ahlberg – Basguitar
Axel Janossy – Drums

THE EMBODIED – Facebook

Acheronte – Ancient Furies

In ossequio al titolo, molta furia che meriterebbe d’essere un po’ meglio canalizzata visto che, quando rallentano leggermente il passo, gli Acheronte mostrano un volto migliore rispetto a quando si esibiscono in sfuriate parossistiche.

Dopo una serie di uscite dal minutaggio, ridotto i blacksters marchigiani Acheronte arrivano al full length d’esordio.

Il monicker scelto e le tematiche connesse al lavoro , che vede ciascun brano dedicato a storici e sanguinari condottieri quali, tra gli altri, Alessandro Magno, Vlad Tepes ed Attila, istintivamente farebbero pensare ad una band dedita al lato più epico del genere.
In realtà tale aspetto nel black degli Acheronte è presente in maniera piuttosto sfumata, a favore di un approccio canonico ma privo di elementi peculiari, mettendo in luce più l’attitudine e la convinzione con cui la materia viene trattata che non la presenza di spunti capaci di rendere appetibile il lavoro rispetto ad un’affollata concorrenza.
Ancient Furies mette in mostra un’interpretazione onesta e sincera, devota in tutto e per tutto ai dettami primordiali del genere ma, a tratti, piuttosto ripetitiva e, a mio avviso, a forte rischio di accantonamento a meno che, chi si avvicina all’ascolto, non sia un accanito sostenitore a prescindere di tutto il black metal prodotto sul suolo nazionale.
In ossequio al titolo, quindi, molta furia che meriterebbe d’essere un po’ meglio canalizzata visto che, quando rallentano leggermente il passo, gli Acheronte mostrano un volto migliore rispetto a quando si esibiscono in sfuriate parossistiche poco valorizzate, peraltro, da una resa sonora un po’ caotica.
Ne consegue che, alla prima prova su lunga distanza, gli Acheronte si guadagnano senz’altro la sufficienza ma, oltre ad auspicarne l’ approdo ad una maggiore varietà compositiva, mi piacerebbe che in futuro privilegiassero di più quelle parvenze melodiche capaci di rendere, per esempio, Destroyer for the Glory (Alexander the Great), un brano di buona levatura ed un’ottima base da cui ripartire.

Tracklist:
1. Addicted to War (Assurnasirpal II)
2. Destroyer for the Glory (Alexander the Great)
3. Ancient Persecutor of Christianity (Diocletian)
4. Flagellum Dei (Atilla)
5. The Lame One (Timur Barlas)
6. The Lord Impaler (Vlad III)
7. Bloods for the Gods (Ahuitzotl)

Line-up:
Phobos – Guitars, Vocals (backinng)
Lord Baal – Vocals
A. T. La Morte – Bass
Bestia – Drums

ACHERONTE – Facebook

Deviser – Unspeakable Cults

L’attiva etichetta greca Sleaszy Rider ci offre questa riedizione, a vent’anni dalla sua uscita, del miglior album inciso dai connazionali Deviser.

L’attiva etichetta greca Sleaszy Rider ci offre questa riedizione, a vent’anni dalla sua uscita, del miglior album inciso dai connazionali Deviser, quell’Unspeakable Cults che, all’epoca, andò a collocare la band di origine cretese sulla scia dei migliori act dediti al symphonic black metal.

Correva quindi il 1996, anno in cui le due band che hanno portato ai livelli più alti questo sottogenere, Dimmu Borgir e Cradle Of Filth, uscivano rispettivamente con due pietre miliari quali Stormblåst e Dusk And Her Embrace; va detto, a scanso di equivoci, che lo stile dei Deviser, anche in virtù della loro contemporaneità, non si rifaceva in maniera smaccata a quei lavori, mostrando una vena più gothic e mediterranea ed un afflato melodico superiore a chi, come Rotting Christ (con Triarchy of The Lost Lovers) e Varathron (reduci da Walpurgisnacht), a quei tempi teneva alto il vessillo della fiamma nera nella penisola ellenica, con album dalle sonorità più estreme
Riascoltato oggi, Unspeakable Cults mostra, in tutto e per tutto, le sue sembianze di album novantiano, il che non sminuisce affatto il fascino di una serie di tracce di ottimo livello, che fanno intuire quale fosse il potenziale di una band che però, in seguito, non è più stata in grado di esprimersi agli stessi livelli, se non in parte con il successivo Transmission to Chaos; una traccia come The Rape Of Holiness porta a scuola gran parte dei gruppi che attualmente si cimentano con il black sinfonico, e lo stesso si può dire della bonus track Forbidden Knowledge, sicuramente un elemento che va ad arricchire ulteriormente questa edizione rispetto all’originale.
Lo screaming di Matt Hnaras non è eccezionale ma rimane comunque nella norma, mentre Nick Christogiannis si fa sentire non solo con un tastierismo elegante e non troppo invadente, ma anche con un basso pulsante che, per una volta, non viene fagocitato dal muro sonoro creato dalle chitarre.
Unspeakable Cults è un album che risente inevitabilmente dalla sua anzianità di servizio ma, nel contempo, si rivela uno spaccato ben più che interessante di quelle sonorità che, alla fine del secolo scorso, consentirono al black metal di aprirsi (non senza aver provocato diatribe in merito) ad un audience più ampia; nel frattempo i Deviser sono sempre rimasti attivi, sebbene con una produzione piuttosto diradata (il loro ultimo full-length risale al 2011): vedremo se questa riedizione del loro disco più riuscito fornirà un impulso decisivo per produrre ancora del nuovo materiale di pari livello.

Tracklist:
1. Stand & Deliver
2. Darkness Incarnate
3. Threnody
4. When Nightmares Begin
5. The Rape Of Holiness
6. Ritual Orgy (instrumental)
7. Dangers Of A Real & Concrete Nature
8. The Fire Burning Bright
9. In The Horror Field
10. Forbidden Knowledge (bonus track)
11. Afterkill (outro)

Line-up:
Matt Hnaras – Vocals/Guitars
Nick Christogiannis – Bass/synths
George Triantafillakis – Lead Guitars
Nikos Samakouris – Drums

DEVISER – Facebook