Desert Near The End – Theater Of War

Un ottimo lavoro che fa convivere in assoluta e devastante armonia il power metal epico dei Blind Guardian, la furia thrash dei Kreator ed il metal teatrale ed oscuro degli Iced Earth

Gran bella sorpresa questo Theater Of War dei power/thrash metallers greci Desert Near The End, un bombardamento sonoro notevole, drammaticamente oscuro e dall’elevato songwriting.

La band arriva al terzo lavoro, successore del debutto A Crimson Dawn del 2011 e di Hunt for the Sun licenziato un paio di anni fa, e il sound rilegge il power/thrash inserendo molti elementi europei e quell’oscurità tipica del metal statunitense con risultati molto positivi.
Theater Of War infatti risulta un album in cui le atmosfere tra il moderno e il classico si fondono alla perfezione con la musica estrema, una soffocante e palpabile oscurità avvolge i brani in una coltre di nero fumo, gli scontri all’ultimo sangue tra le due anime del sound si risolvono in una carneficina metallica di proporzioni bibliche e noi non possiamo che goderne, anche per l’ottima produzione, una forma canzone di alto livello e la buona tecnica dei musicisti.
Mixato e masterizzato da Tue Madsen (The Haunted, Heaven Shall Burn, Kataklysm) l’album è un apocalittico esempio di metal distruttivo, la guerra impera, l’umanità è alla fine e Ashes Descent, Point of No Return, la spaventosa title track e la devastante e melodica A Martyr’s Birth raccontano degli ultimi giorni della terra, ormai in preda ad un disfacimento totale, immersa nel buio della coltre di fumi che si alzano dagli incendi che avvolgono le città.
Un ottimo lavoro che fa convivere in assoluta e devastante armonia il power metal epico dei Blind Guardian, la furia thrash dei Kreator ed il metal teatrale ed oscuro degli Iced Earth, non perdetevelo per nessun motivo.

TRACKLIST
1. Ashes Descent
2. Faces in the Dark
3. Point of No Return
4. Under Blackened Skies
5. A Martyr’s Birth
6. Season of the Sun
7. Theater of War
8. At the Shores

LINE-UP
Alexandros Papandreou – Vocals
Akis Prasinikas – Bass
Thanos K – Guitars
Lithras – Drums (session)

DESERT NEAR THE END – Facebook

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Legion – War Beast

I fratelli Adamo valorizzano con le loro trame chitarristiche i brani, ben interpretati dal cavaliere metallico Ralph Gibbons, singer di razza che gioca con toni cari a Dio e Ian Gillan

Tornano dopo più di dieci anni dall’esordio i Legion, band del New Jersey capitanata dai fratelli Adamo ed alfieri di un heavy metal classico, tra la tradizione europea di gruppi come Rainbow e Dio e quella statunitense U.S. Metal.

Il gruppo aveva già fornito un’ottima prestazione sul primo Shadow of the King, che aveva lasciato una buona impressione agli addetti ai lavori, purtroppo il lungo silenzio ha condizionato non poco la carriera del gruppo in anni in cui si fa fretta a dimenticare, travolti dalle centinaia di uscite mensili ed un approccio alla musica che, anche nel metal, sta prendendo la pericolosa strada dell’usa e getta.
La Pure Steel però non se li è fatta scappare e War Beast può così contare sulla label tedesca, madrina di innumerevoli realtà musicali dai rimandi old school e molto attenta al mercato statunitense.
Come nel primo lavoro, l’ascendente Rainbow è molto presente tra le trame dei brani, a tratti epici, ben assestati su mid tempo potenti ma eleganti e sfiorati da un vento power di estrazione americana che convince non poco.
I fratelli Adamo valorizzano con le loro trame chitarristiche i brani, ben interpretati dal cavaliere metallico Ralph Gibbons, singer di razza che gioca con toni cari a Dio e Ian Gillan, e che dà il suo personale tocco classic alla proposta del gruppo.
Si passa da brani più tirati e aperti da riff metallici di scuola ottantiana (Gypsy Dance), a bellissimi esempi di hard & heavy dove l’arcobaleno più famoso del metal viene glorificato, con Gibbons che si esalta nel capolavoro Bricks of Egypt, brano che sprizza epicità regale, un omaggio neanche troppo velato al grande Ronnie James.
Stand And Fight risulta un brano più diretto rispetto allo standard delle tracce, anche se non manca il refrain epico che riporta l’atmosfera sui lidi già descritti.
Arriviamo alla conclusiva Luna (ballad di genere), senza fatica accompagnati dal sound di questo ottimo gruppo che ripercorre strade storiche senza indugi, riportandoci tra i colori di un arcobaleno difficile da dimenticare, un album di hard & heavy classico sopra le righe, bella sorpresa.

TRACKLIST
1. On The Place Horse
2. Gypsy Dance
3. Bricks Of Egypt
4. When Life And Spirit Divide
5. War Beast
6. Stand And Fight
7. Future Passed
8. Luna

LINE-UP
Ralph Gibbons – vocals
Frank Adamo – guitars
Arthur Maglio – bass
John Soden – drums
Joe Adamo – guitars

LEGION – Facebook

Khemmis – Hunted

Hunted è il degno seguito di un Absolution che aveva già convinto lo scorso anno critica ed appassionati, segno che la strada intrapresa è sicuramente quella giusta.

Quando si parla di crossover si immagina sempre un qualcosa che vada ad intrecciare, a volte anche in maniera forzata, sfumature musicali che, prese singolarmente, si muovono in direzioni opposte.

Il caso dei Khemmis è leggermente diverso, perché qui il crossover avviene all’interno di uno dei generi più nobili del metal, il doom, cercando di farne convivere le radici classiche con la psichedelia dello stoner e la greve pesantezza dello sludge.
Capita così di imbattersi, nel corso di questo secondo album della band del Colorado, in brani in cui l’afflato melodico talvolta indolente del doom tradizionale si sposa con rallentamenti limacciosi, all’interno dei quali, magari, assoli chitarristici di matrice heavy provano a dissipare il velo di oscurità portato dal growl e dai riff pachidermici.
Tutto sommato l’operazione, a ben vedere non molto consueta, pare riuscire ai Khemmis: le cinque lunghe tracce funzionano bene e, pur senza toccare vette epocali, si rivelano efficaci esempi di quanto anche il doom possa trovare al proprio interno spunti relativamente innovativi.
In effetti, i Khemmis dovrebbero ricevere apprezzamenti trasversali, visto che il loro particolare approccio potrebbe risultare più gradito che ostico a coloro che sono devoti ad uno stile specifico.
Un buon lavoro di squadra (due buone voci, una chitarra brillante senza cadere nel virtuosismo sterile ed una base ritmica sempre ben percepibile) che fornisce un risultato più che soddisfacente: Hunted è il degno seguito di un Absolution che aveva già convinto lo scorso anno critica ed appassionati, segno che la strada intrapresa è sicuramente quella giusta.

Tracklist:
1. Above The Water
2. Candlelight
3. Three Gates
4. Beyond The Door
5. Hunted

Line-up:
Dan – Bass
Zach – Drums
Phil – Vocals, Guitars
Ben – Vocals, Guitars

KHEMMIS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=kbNgdEfMVng

Opeth – Sorceress

Se gli Opeth dell’era metal hanno dimostrato negli anni ’90 (e inizio dei 2000) di poter essere originali, altrettanto non sta avvenendo con il nuovo corso musicale intrapreso.

Ho un ricordo ancora vivido del mio ultimo concerto degli Opeth al Gods of Metal 2012.

E ricordo simpaticamente l’umorismo di Mr. Åkerfeldt che, tra una battuta e l’altra su Eros Ramazzotti, ci comunicava che per la sua band l’heavy metal è stato caratterizzato dalla fase giovanile, ma era giunto il momento di crescere. L’inquieta band svedese che tanto ha dato al death metal nei primi anni ’90, ha praticamente abbandonato quasi tutti i legami con il metallo preferendo sonorità vicine al rock e prog rock anni ‘70. Se la strada intrapresa sia una reale crescita è argomento (sterile) ormai discusso largamente. Non ci resta che lasciare da parte la nostalgia e ascoltare i nuovi Opeth liberandoci dal passato per almeno 50 minuti. Persephone è una intro di chitarra acustica toccante, ma subito arriva la trama di Sorceress, intessuta da un organo e basso prima (chi conosce gli Area?), poi da un bel riff di chitarra pesante e oscuro: la natura prog-rock della traccia si avverte più dai suoni che non dalla composizione in sé, il pezzo è tutto sommato immediato e accessibile. Più banale The Wilde Flowers, che rivela un mood prog più tradizionale, anche se l’assolo e il finale sono pregevoli. Il gradevole folk acustico e tranquillo di Will O The Wisp, poi attacco hard per Chrysalis, che frulla insieme Ghost e Deep Purple, senz’altro tra gli highlights dell’album. Sorceress 2 potrebbe stare su Led Zeppelin III, mentre  The Seventh Sojourn sembra balzata fuori da Kashmir. L’abbiocco sembra inevitabile finché Strange Brew non esplode al minuto 2 in un riff spaziale di grande prog che, solo per un istante, mi dà l’illusione di trovarmi in un pezzo degli immensi Spiral Architect. Il brano impegna i nostri in un entra-esci da Hendrix ai Beatles e dalle ultime release Opeth. Non si decolla ancora, purtroppo. In  A Fleeting Glance si riaffacciano ancora i Beatles e di tanto in tanto un riffettino o un assolo di chitarra provano a elettrizzare l’andazzo sonnolento. Con Era sembrano voler spezzare il torpore incombente e il brano, pur non così originale, chiude in (parziale) bellezza. Gli Opeth non mi hanno stregato con il loro prog rock, devono ancora lavorare sodo per amalgamare e soprattutto valorizzare al meglio tutte le loro innegabili influenze e quindi trovare una nuova identità. Se gli Opeth dell’era metal hanno dimostrato negli anni ’90 (e inizio dei 2000) di poter essere originali, altrettanto non sta avvenendo con il nuovo corso musicale intrapreso. Previsione personalissima: o torneranno in qualche modo a quello che sanno fare meglio (il metallo) o rischieranno l’oblio.
P.S. Il mio voto è beneaugurante …

TRACKLIST
01. Persephone
02. Sorceress
03. The Wilde Flowers
04. Will O The Wisp
05. Chrysalis
06. Sorceress 2
07. The Seventh Sojourn
08. Strange Brew
09. A Fleeting Glance
10. Era
11. Persephone (Slight Return)

LINE-UP
Mikael Åkerfeldt – Vocals, Guitar
Joakim Svalberg – Keys, Vocals
Fredrik Åkesson – Guitar,Vocals
Martin Mendez – Bass Guitar
Martin Axenrot – Drums

OPETH – Facebook

Afterlife Symphony – Moment Between Lives

Un album da assaporare con la dovuta calma, mentre l’anima metallica si scontra con quella sinfonica in un susseguirsi di colpi di scena

La nostrana Revalve è considerata dal sottoscritto alla stregua di uno scrigno musicale colmo di piccoli gioielli metallici: dalle sonorità estreme passando da quasi tutti i generi che compongono l’universo della nostra musica preferita, l’etichetta nostrana non sbaglia un colpo regalando ai fans sempre ottimi lavori e band sopra la media.

Ultima opera arrivata sulla mia scrivania è il secondo album dei veneti Afterlife Symphony, album che si colloca senza dubbio tra le migliori uscite di questo ultimo scorcio dell’anno in corso.
La band, come detto, è al secondo lavoro sulla lunga distanza e segue di tre anni l’esordio Symphony of Silence, album che aveva trovato non pochi estimatori tra gli addetti ai lavori.
In un genere inflazionato come il metal sinfonico dai rimandi gotici non è poi così difficile cadere nell’ovvio e nel già sentito, allora le virtù che fanno la differenza sono riscontrabili nell’abilità degli artisti nel creare melodie accattivanti, mantenendo ben salda la componente metallica, cosa che al gruppo veneto riesce benissimo.
Moment Between Lives porta con se qualcosa di diverso già nel concept, molto maturo ed intimista: l’uomo davanti alle sue domande e alle sue scelte che nel corso della vita si pone e deve affrontare tra amori, paure, rabbia, sogni ed introspezione, non male e molto affascinate in un mondo ormai di superficialità conclamata e punto in più per la giovane band.
Il concept viene accompagnato da una colonna sonora che vede come protagonista l’ottima interpretazione della singer Anna Giusto, accompagnata dal metal suonato dai suoi compagni d’avventura, robusto nelle ritmiche, a tratti bombastico quel tanto che basta per rendere il suono molto cinematografico e valorizzato da un lavoro chitarristico elegante, mai invadente ma perfetto nel drammatizzare le atmosfere intimiste dei brani.
Un album da assaporare con la dovuta calma, mentre l’anima metallica si scontra con quella sinfonica in un susseguirsi di colpi di scena, potentissime ripartenze tragicamente rabbiose e raffinati momenti di apparente calma, prima che la tempesta di umori e dubbi torni ad impadronirsi del protagonista sotto forma di metallo fortemente espressivo.
Paragoni ed influenze le lascio all’ascoltatore, personalmente ho trovato più Epica e primi Within Temptation che i soliti Nightwish, ma sono dettagli; fatevi accompagnare in questo viaggio tra spiritualità e realtà da tracce molto intriganti come The Abyss, Under The Sleeping Tree, ed il capolavoro Novembre (part II), ne uscirete più ricchi …

TRACKLIST
1 – Half-Moon Night
2 – The Abyss
3 – Under the Sleeping Tree
4 – My Existence to You
5 – Broken Breath
6 – Dreamer’s Paradox
7 – Seventh
8 – Last Hope
9 – Novembre, Pt. 1
10 – Novembre, Pt. 2
11 – Genesis of Eternity

LINE-UP
Anna Giusto – Vocals
Stefano Tiso – keyboards and piano
Eddy Talpo – Rhythm and lead guitars
Nicolas Menarbin – bass
Antonio Gobbato – Drum and percussions

AFTERLIFE SYMPHONY – Facebook

True Werewolf – Death Music

Il black metal è una musica che deve dare fastidio, potendo e dovendo esprimere senza essere costretto o limitato da nulla.

True Werewolf è il progetto solista di black metal marcio di Graf Werewolf, la mente dietro Satanic Warmaster, che qui può dare liberamente sfogo al suo black metal più marcio, satanicamente acido.

Questo disco è uscito originariamente nel 2012, in un momento di pausa del progetto Satanic Warmaster che durante questi anni ha patito qualche problema. Quanto a volte Satanic Warmaster è ortodossia e pulizia, True Werewolf è medioevale marcescenza, come i canali di scolo oche passavano lungo e sopra le strade nelle epoche antiche. Questo disco è una raccolta di tracce originariamente uscite su sette pollici, dieci pollici e raccolte. Possiamo sentirci molto degli anni novanta, soprattutto per quel senso di velocità ed urgenza che ora è difficile trovare suonato in maniera spontanea. Death Music è un documento importante di un certo momento del black metal, del quale ora di solito si trova una mera riproposizione lo fi, che è notevole in ben pochi esemplari. Qui invece il marcio esce spontaneamente come il pus da una ferita, e stride facendo male. In certi momenti è quasi urtante questo black metal, ma è così che deve essere, deve essere fastidioso e malvagio, contro le pose, le mode e la commercializzazione, perché il black metal è questo, una musica che deve dare fastidio, potendo e dovendo esprimere senza essere costretto o limitato da nulla. Come Death Music il black metal deve essere ciò che è, senza mediazioni o giudizi. Qui c’è disagio e dolore, voi cosa cercavate ?

TRACKLIST
1.Vampyric Magick
2.Malevolent Ascension
3.Kreaturen der Nacht
4.Arkut
5.My Journeys Under the Battlemoon
6.The Grandeur of Death’s Palace
7.Bats Crawl from My Tower
8.Buried, Yet Mourning
9.Weeping Lord of the Majestic Plagues
10.In a Dark Dream

TRUE WEREWOLF – Facebook

Red Fraction – Birth

Un buon riassunto di quello che il rock/metal moderno ci ha offerto in questi ultimi venticinque anni.

Questa estate come ormai mi capita spesso (lavoro permettendo), mi sono recato all’Hard Castle Fest, kermesse sonora che si tiene a Castellazzo Bormida in provincia di Alessandria, purtroppo però non ho avuto occasione di vedere il live di questo gruppo proveniente dal capoluogo piemontese, causa il solito ritardo cronico mio e del mio compagno di avventure musicali.

Peccato, perché il debutto dei Red Fraction è un buon lavoro di metal moderno, che amalgama hard rock e sonorità alternative sorrette da potenti ritmiche ed interpretato da una singer dal buon piglio.
La band nasce da un’idea di Martina Riva (voce) e Leandro Spedicato (chitarra) nell’estate del 2014 e dopo aver trovato i compagni giusti in Nicolò Gado (basso) e Gabriele Pepe (batteria), registrano questo primo lavoro licenziato dalla Sleaszy Rider, label greca con il fiuto per i gruppi meritevoli in tutti i generi della nostra musica preferita.
Ed eccoci a Birth, album composto da undici tracce che spaziano tra i generi rock dagli anni novanta fino ad oggi, con i Red Fraction che, ispirati dalle proprie influenze, ci regalano un buon riassunto di quello che il rock/metal moderno ci ha offerto in questi ultimi venticinque anni.
Non mancano però di personalità i ragazzi alessandrini, la sei corde di Spedicato a tratti sconfina nel classico, con solos metallici di buona fattura, le ritmiche sempre potenti non fanno mancare il loro supporto tenendo imbrigliata la componente metal nel rock alternativo di cui il gruppo, ad un primo ascolto, viene accreditato.
La parte cantata è interpretata con padronanza dalla singer e le tracce viaggiano su una media più che buona, almeno per un debutto in un genere inflazionato come l’hard rock alternativo.
Di questo lavoro piace la voglia di non andare troppo lontano dal metal, ed infatti, pur nel loro impatto moderno, brani come Plastic, Hunter o Apollo 7 mantengono un approccio heavy che discosta i Red Fraction dai soliti gruppi moderni.
Trovo il sound del gruppo più vicino al grunge metallizzato dei primi Alice In Chains che alle groove band tanto di moda in questi anni, magari nascosto dalla voce femminile che ad un primo approccio può ricordare, nei momenti più pacati, qualcosa dei Lacuna Coil.
Per concludere, una buona partenza per il gruppo piemontese, Birth è un lavoro piacevole, ben eseguito ed assolutamente in grado di soddisfare gli ascolti dei giovani rockers attenti alla scena underground nostrana.

TRACKLIST
1. Prelude
2. Plastic
3. Hunter
4. Night Won’t Hold Me
5. Lost Broken Doll
6. Shooting Star
7. What You Wanted
8. Apollo 7
9. The Hermit And The Justice
10. Holy
11. Atomic Child

LINE-UP
Martina Riva – Vocals
Leandro Spedicato – Guitar
Nicolò Gado – Bass
Gabriele Pepe – Drums

RED FRACTION – Facebook

Usurpress – The Regal Tribe

Una quarantina di minuti a prova di tedio con il suo frullato di death, thrash, black, doom e progressive che si rivela senz’altro appetitoso.

Terza prova su lunga distanza per gli svedesi Usurpress, band sulla scena dall’inizio del decennio con il suo sound che, poggiando su una base death, spazia con una certa disinvoltura lungo tutti i generi del metal estremo.

The Regal Tribe si pone come una prova di grande sostanza in cui gli ammiccamenti melodici sono solo sporadici e, di fatto, resi superflui da una prova di ottimo livello da parte della band di Uppsala.
Proprio questo rende l’operato degli Usurpress tutt’altro che un becero ricorso a tutti i luoghi comuni del metal estremo: i nostri optano per una forma musicale senz’altro poco immediata e con più di un passaggio ricercato (vedi gli strumentali The Halls of Extinction e On a Bed of Straw, tanto per citare due esempi), senza rendere il sound troppo frammentario.
Se un umore fondamentalmente più cupo pare pervadere l’intero album, probabilmente ciò è dovuto anche ai problemi di salute che hanno toccato da vicino membri della band nell’ultimo periodo, portando ad affrontare a livello lirico tematiche di un certo peso specifico e mai banali.
Così il quartetto svedese convince sia quando viaggia ad alta velocità, sia quando rallenta immergendosi con qualcosa più di un piede nel doom (The Mortal Tribes), riuscendo a comunicare efficacemente i contenuti tipici della scuola svedese senza esibirne in maniera didascalica gli standard.
Di sicuro la competenza riguardo al genere non può mancare all’interno di una band che annovera al basso Daniel Ekeroth, valente musicista ma soprattutto autore di diversi libri tra i quali Swedish Death Metal, opera fondamentale per capire l’importanza di tale movimento musicale.
Ma la di là di questa, che resta una mera curiosità, The Regal Tribe si rivela un buonissimo lavoro, grazie ad una quarantina di minuti a prova di tedio con il suo frullato di death, thrash, black, doom e progressive che si rivela senz’altro appetitoso.
Gli Usurpress alla fine sono la classica band che potrebbe reperire estimatori dal background piuttosto differente tra loro, un sinonimo chiaro di versatilità e dono della sintesi.

Tracklist:
1. Beneath the Starless Skies
2. The One They Call the Usurpress
3. Across the Dying Plains
4. The Mortal Tribes
5. The Halls of Extinction
6. Throwing the Gift Away
7. Behold the Forsaken
8. On a Bed of Straw
9. The Sin That Is Mine
10. In the Shadow of the New Gods

Line-up:
Stefan Pettersson – Vocals
Påhl Sundström – Guitars
Daniel Ekeroth – Bass
Calle Andersson – Drums

USURPRESS – Facebook

Saxon – Let Me Feel Your Power

I dettagli sulla performance sono tutti da scoprire, vi basti sapere che i vostri soldi saranno ben spesi: doppio cd, più dvd con il meglio della discografia di una delle icone del mondo metal, what else?

Let Me Feel Your Power è un brano che fa parte della track list di Inner Sanctum, l’album uscito ormai quasi dieci anni fa e che vedeva la band di Biff Byford toccare livelli qualitativi altissimi, come nelle opere dei primi anni ottanta.

Una band, i Saxon, di cui troppo spesso ci si dimentica: insieme alla vergine di ferro, una delle band più amate dai kids del primo periodo metallico, quello della new wave of british heavy metal a cavallo tra la fine di un’era (quella dell’hard rock settantiano) e la nascita del metal classico, genere padre di tutte le correnti della musica dura.
Gli anni sono passati inesorabilmente anche per le orde sassoni che conquistarono l’Europa a colpi di hard & heavy, ma è indubbio che la professionalità di Biff e soci ha permesso lor di entrare nel nuovo millennio dalla porta principale, non dando l’impressione di una band per metallari nostalgici, bensì di gruppo assolutamente sul pezzo anche per i giovani fottuti dalla rete.
D’altronde anche i Saxon nulla possono contro l’abbrutimento di un mercato ormai solo virtuale, a discapito di un rito messianico come il vinile prima ed in parte il cd, ma il tempo scorre e la musica va avanti, seguendo il fiume di questo nuovo e drammatico millennio.
Sono tornati i Saxon, dopo i fasti del secondo capitolo delle cronache sassoni e l’ultimo album uscito lo scorso anno (The Battering Ram), in attesa di un nuovo lavoro previsto per il prossimo anno, ritornano per la gioia dei loro fedelissimi fans con un dvd/ doppio cd live a suggellare una carriera on the road che, a dispetto delle sessantacinque primavere del suo leader , non smette di dare battaglia sui palchi più prestigiosi dei vari festival estivi o nei lunghissimi tour a cui si sottopongono; una vita on the road, un’attitudine live che ha impreziosito una carriera invidiabile, con alti e bassi fisiologici ma con una coerenza commovente che ne hanno fatto uno dei gruppi più rispettati del mondo metal.
Let Me Feel Your Power dunque è l’ennesimo live, in uscita per la UDR/Warner, composto da sedici tracce che alternano classici immortali (tranquilli, le varie Motorcycle Man, Power And The Glory, Heavy Metal Thunder, Princess of the Night ci sono tutte), alla nuova produzione che comunque rimane di alto livello ed una spanna sopra a molte delle nuove leve tanto osannate di questi tempi.
Diviso tra i live di Monaco, Brighton e Chicago, questo doppio live, supportato dall’ormai immancabile dvd, è un’altra ennesima glorificazione del sound sassone, con il gruppo in forma invidiabile, a parte qualche piccola discrepanza nella prova del buon Biff ma assolutamente imperdibile per i fans e per chi ama l’heavy metal classico.
I dettagli sulla performance sono tutti da scoprire, vi basti sapere che i vostri soldi saranno ben spesi: doppio cd, più dvd con il meglio della discografia di una delle icone del mondo metal, what else?

TRACKLIST
1.CD
01 – Battering Ram (live in Munich)
02 – Motorcycle Man (live in Munich)
03 – Sacrifice (live in Munich)
04 – Destroyer (live in Munich)
05 – Power And The Glory (live in Munich)
06 – 20000FT (live in Munich)
07 – Devils Footprint (live in Munich)
08 – Heavy Metal Thunder (live in Munich)
09 – Queen Of Hearts (live in Munich)
10 – Princess Of The Night (live in Munich)
11 – Wheels Of Steel (live in Munich)
12 – Denim And Leather (live in Munich)
13 – Crusader (live in Munich)
14 – Eye Of The Storm (live in Brighton)
15 – Battalions Of Steel (live in Brighton)
16 – Requiem (live in Brighton)

2.CD
01 – Motorcycle Man (live in Chicago)
02 – Battering Ram (live in Chicago) *
03 – This Town Rocks (live in Chicago)
04 – Sacrifice (live in Chicago)
05 – Power And The Glory (live in Chicago)
06 – Solid Ball Of Rock (live in Chicago)
07 – Dallas 1 PM (live in Chicago)
08 – Heavy Metal Thunder (live in Chicago)
09 – Rock The Nations (live in Chicago)
10 – The Eagle Has Landed (live in Chicago)
11 – Wheels Of Steel (live in Chicago)
12 – Backs To The Wall (live in Chicago)
13 – Just Let Me Rock (live in Chicago)
14 – Strong Arm Of The Law (live in Chicago)
15 – 747 (Strangers In The Night) (live in Chicago)
16 – Princess Of The Night (live in Chicago)
17 – Crusader (live in Chicago) *
18 – Denim And Leather (live in Chicago)

LINE-UP
Biff Byford – Vocals
Doug Scarratt – Guitars
Paul Quinn – Guitars
Nibbs Carter – Bass
Nigel Glockler – Drums

SAXON – Facebook

Noise Demon – Ten Cuts

Un album che distrugge le barriere e le trincee immaginarie che molti costruiscono sullo spartito musicale

John Zorn e i Painkiller: questo lavoro va indubbiamente accostato al genio newyorkese ed alla sua creatura più estrema e controversa, dunque niente di nuovo per chi della musica ne fa un fatto di cultura, più che un semplice ascolto distratto, ma è pur vero che un album del genere oltre che risultare destabilizzante per la noncuranza di etichette e generi a cui fa riferimento, è anche un coraggioso e quanto mai riuscito calcio in culo a chi continua a non dar peso alla musica underground, soprattutto quella nata sul suolo italico.

I Noise Demon oltretutto fanno parte di una scena (quella palermitana) che di talenti pullula, passando come api sui fiori tra una band e l’altra, tra un progetto e l’altro e regalando grande musica, passando dal metal estremo al rock psichedelico, fino allo stoner con risultati straordinari.
Giorgio Trombino (sax contralto), suo fratello Carlo al basso e Giulio Scavuzzo alla batteria per chi bazzica tra il rock/metal underground sono nomi già incontrati in molte delle band che formano, appunto la florida scena del capoluogo siciliano, con nomi che fanno della qualità musicale altissima il loro pregio e che in your eyes si è preso la briga di parlarvi ad ogni uscita discografica: dagli immensi Elevators to the Grateful Sky, passando per Palmanana, Furious Georgie, Haemophagus, Undead Creep e Sergeant Hamster e molti altri.
Ten Cuts è composto da dieci composizioni registrate in presa diretta da Danilo Romancino negli studi Zeit di Palermo, sono di fatto dieci Haiku compositivi dove la parola d’ordine è improvvisazione, un mix strumentale composto da free jazz, metal e a mio parere un tocco di prog alla King Crimson, con il sax di Trombino che a più riprese mi ha ricordato le note dello strumento sui brani del re cremisi.
Ne esce un album che distrugge le barriere e le trincee immaginarie che molti costruiscono sullo spartito musicale, un’aberrazione per chi vuole la musica libera di volare senza che qualcuno la imprigioni tra le sbarre di un genere prefissato.
Come sempre i musicisti provenienti da quel nido di geni all’estremo sud dello stivale, ci mettono del loro per dare pochissimi punti di riferimento, specialmente ad un orecchio poco allenato.
Un album difficile, ma non impossibile, un’altra perla da custodire nell’ostrica della vostra discografia sotto la lettera G (geni).

TRACKLIST
1.Tongue Cutters!
2.Barbiturate
3.Truth Serum
4.Tahafut al Tahafut
5.Blobs of Blood
6.Chasing the Goofball
7.Feces Grenade
8.Maccalube
9.The One Who Pays
10.Astaroth Boogie

LINE-UP
Giorgio Trombino – alto sax
Carlo Trombino – bass
Giulio Scavuzzo – drums

NOISE DEMON – Facebook

Satanic Warmaster – Black Metal Kommando / Gas Chamber

Pur essendo esecrabile, Satanic Warmaster è uno dei pochi del giro black metal a non essersi mai compromesso, nemmeno con sé stesso, continuando a rimanere credibile, e questo disco è l’inizio della sua avventura.

Ristampa da parte della finlandese Werewolf Recrods in combutta con la Hellsheadbangers Records.

Questa compilation fu originariamente pubblicata nel 2005, e contiene quello che sarebbe dovuto essere il primo disco del gruppo, Black Metal Kommando, mentre invece la sua prima uscita fu Strenght and Honour. In questi sei tracce si può sentire la dedizione totale di Satanic Warmaster al credo black metal. Questo è puro black metal, non è musica, né lo si deve intendere come tale. Il finlandese non rincorre le mode, le ammazza piuttosto, ed il suo suono è totalmente nero e misantropico. Pur essendo assai controverso, Satanic Warmaster è uno dei pilastri del black metal mondiale, con il suo suono grezzo e particolare, al di fuori della media del genere. Innanzitutto la produzione è abbastanza buona e i suoni son distanziati fra loro in sede di missaggio, e ciò porta la voce leggermente in primo piano, fatto non usuale per un gruppo black metal classico. In più il ritmo non è quasi mai ai mille all’ora, si predilige la narrazione sonora, pur essendo fedele l’esecuzione ai dettami del black. Il disagio e la misantropia satanica la fanno da padrone, radendo al suolo, ma proprio tutto, in nome di un nichilismo che resiste alla furia del tempo e anche a se stesso. Il black metal di Satanic Warmaster non ha età, è il tentativo di resistere al cambiamento intorno, sfornando un black metal intenso e genuinamente arrabbiato. Pur essendo esecrabile, Satanic Warmaster è uno dei pochi del giro black metal a non essersi mai compromesso, nemmeno con sé stesso, continuando a rimanere credibile, e questo disco è l’inizio della sua avventura. Black Metal Kommando si discosta leggermente da quello che poi troveremo in Strenght and Honour, e personalmente lo trovo migliore. I tre pezzi di Gas Chamber fotografano Satanic Warmaster con un taglio maggiormente noise e sperimentale. In questo ep l’inedito è solo uno, mentre gli altri due pezzi sono dei Beherit, gruppo che ha influenzato molto Satanic Warmaster.

TRACKLIST
1.Intro (2005 Remix)
2.Distant Blazing Eye
3.The Burning Eyes of the Werewolf
4.Black Metal Kommando
5.Wolves of Blood and Iron
6.Raging Winter
7.Macht & Ehre
8.The Blood of Our Fathers
9.D.S.O. 2000
10.Fish (Beherit cover)
11.Paradise (Part II) (Beherit cover)
12.The Seventh Oath of Demonomancy

SATANIC WARMASTER – Facebook

Enoid – Exilé aux confins des tourments

Molto interessante il progetto in questione con un album che risulta uno dei più riusciti nel genere quest’anno

Tra i monti innevati della vicina Svizzera non manca certo la voglia di suonare metal, d’altronde non sono pochi i gruppi che hanno dato il loro contributo alla causa metallica e che sono ormai considerati storici (due su tutti Celtic Frost e Samael) specialmente per quanto riguarda le sonorità estreme.

Così non mi meraviglia trovarmi al cospetto di un lavoro molto interessante e ben fatto ad opera di questa one man band chiamata Enoid, entità estrema del polistrumentista Ormenos, attivo con molte band della scena e dal 2005 portatore di morte con una serie di album giunti al cospicuo numero di sei con quest’ultima opera intitolata Exilé aux confins des tourments.
L’album si sviluppa su otto brani di black metal che deve molto alla scena norvegese degli anni novanta, ma un’ottima produzione gli conferisce un mood al passo coi tempi, esempio lampante di come si possa produrre musica vecchia scuola senza risultare per forza obsoleti ed alla lunga inascoltabili.
E’ così che l’album riscopre quelle atmosfere diaboliche e glaciali delle produzioni passate, valorizzandole con un buon songwriting ed un ottimo lavoro in sala.
Il polistrumentista svizzero accende la fiamma nera che risplende in questa raccolta di brani, agguerriti, e devastanti, le ritmiche per lunghi tratti con il pedale dell’acceleratore a tavoletta frenano su ottimi cambi di tempo che infondono alle tracce un’aura oscura.
Lo scream è perfetto, terribile e misantropico, da vero demone delle montagne, mentre l’atmosfera da armageddon della terrificante La lumière disparaît (con tanto di urla di pura disperazione di qualche anima dannata) insieme alla dannazione eterna in musica del piccolo capolavoro Ode à la haine, formano una coppia di brani che vanno a concludere l’album con il botto.
L’album risulta uno dei più riusciti nel genere in questo anno, perciò l’invito ai blacksters a non farselo sfuggire è d’obbligo.

TRACKLIST
1. Je t’arracherai les cieux
2. Ces cicatrices dans mon âme
3. Mangez ma chair, prenez ma douleur
4. La Croix de mon existence
5. Nouveau cycle destructeur
6. Sourire éternel sur mes lèvres
7. La lumière disparaît
8. Ode à la haine

LINE-UP
Ormenos – Drums, Guitars, Vocals

ENOID – Facebook

Reanimator / Soul Collector – In Union We Thrash

Per i thrashers che vanno oltre ai soliti nomi uno split album da non sottovalutare e che, al netto dei dettagli negativi riscontrati nei pur bravi Soul Collector, è ampiamente consigliato.

Un buono split album arriva dalla Defense Records che ci presenta due gruppi dediti al thrash metal old school, i polacchi Soul Collector ed i canadesi Reanimator.

Tre brani più intro per la band dell’est europeo, attiva da quasi una decina d’anni e con un full length alle spalle nel2014 (Thrashmageddon) e con la voglia di rinverdire i fasti del thrash Bay Area, rivisto alla Soul Collector.
E allora vi troverete al cospetto di tre brani medio lunghi, molto vari nelle ritmiche e con non disdegnano un’attitudine punk ottantiana travolta da una valanga di riff e solos di scuola Exodus.
Molto bravi sotto l’aspetto tecnico, lasciano qualcosa in una prestazione vocale che, a mio parere, non valorizza il grande lavoro degli strumenti: appena sufficiente nel complesso ma davvero fuori luogo nell’uso di un falsetto che sta nel sound come i cavoli a merenda.
Questione di gusti, ma i brani qui presentati avrebbero potuto avere un giudizio migliore, rimanendo nella piena sufficienza ma nulla più.
Discorso che cambia con i canadesi Reanimator una band di cui vi avevamo parlato sulle pagine di Iyezine lo scorso anno in occasione dell’uscita del loro secondo full length, quel Horns Up che risultava un lavoro devastante, ben fatto e potentissimo.
Il gruppo non rallenta e continua la sua folle corsa in sella ad un thrash metal che non disdegna accelerate speed e sfuriate thrash’n’roll che stringono i nostri bassifondi in una morsa letale.
A tratti travolgenti nelle ritmiche (Beyond That Burning Mask e Tempted by Deviance) capitanati da un singer che è una forza della natura (Patrick Martin), il gruppo del Quebec sa scrivere canzoni che puntano al sodo e ti si piantano nella testa come chiodi sparati dall’attrezzo apposito, travolgenti come nel lavoro sulla lunga distanza dello scorso anno si confermano come una delle migliori realtà del genere in ambito underground.
Per i thrashers che vanno oltre ai soliti nomi uno split album da non sottovalutare e che, al netto dei dettagli negativi riscontrati nei pur bravi Soul Collector, è ampiamente consigliato.

TRACKLIST
1. Soul Collector – It Is Time (Intro)
2. Soul Collector – The Pledge
3. Soul Collector – Never Enough
4. Soul Collector – 1968
5. Reanimator – Peaceful Eradication
6. Reanimator – Beyond That Burning Mask
7. Reanimator – The Abominautor
8. Reanimator – The Mosh Master
9. Reanimator – Rush for the Mosh
10. Reanimator – Tempted by Deviance

LINE-UP
Reanimator :
Fred Bizier – Bass
Francis Labelle – Drums, Vocals
Joel Racine – Guitars
Patrick Martin – Vocals
Ludovic Bastien – Guitars

Soul Collector:
Zmarly – Guitars
Don Vito – Vocals
Iron – Guitars
Dave Kuznik – Drums

REANIMATOR – Facebook

Kashgar – Kashgar

I Kashgar sono una bella sorpresa e seguire le loro mosse future non sarà affatto tempo sprecato.

Parrà strano, ma non si può dire che parlare di una band del Kirghizistan sia una primizia, perché chiunque sia in possesso di un minimo di curiosità e di cultura musicale non può non conoscere i grandi Darkestrah, che proprio dalla capitale Bishek mossero i primi passi prima di mettere le radici in pianta stabile in Germania, nazione certamente più funzionale per chi vuole fare musica ad un certo livello.

Così, il vessillo del metal estremo nel lontano paese asiatico è tenuto alto in  loco praticamente dai soli Kashgar, i quali, nonostante l’oggettivo rischio di isolamento musicale, si stanno dando un gran daffare per farsi conoscere, soprattuto in Europa.
Questi tre ragazzi meritano effettivamente di trovare uno spazio, perché il contenuto del loro album omonimo tracima urgenza compositiva e se ogni tanto qualcosa viene sacrificato a livello tecnico, l’intensità sprigionata arriva a compensare abbondantemente il tutto.
In fondo, in questa quarantina di minuti scarsi, i Kashgar riversano in maniera compulsiva un background musicale fatto da metal estremo, classico e persino dal progressive, tutti elementi che, ascoltando con attenzione, sono sicuramente rinvenibili all’interno dei singoli brani .
Se Half a Devil è una sorta di summa strumentale a livello di intenti, non c’è dubbio che la pietra miliare dei Kashgar sia Tyan-Shan / Batyr, brano spettacolare di oltre 11 minuti di durata in cui i nostri immettono tutti i loro spunti compositivi, anche quando apparentemente sembrerebbe non essercene lo spazio: una sfuriata black, all’inizio, viene seguita da umori tooliani/crimsoniani, ed un mood che riporta alle migliori band elleniche tanto amate dalla band kirghisa (non a caso la masterizzazione è stata affidata ad Achilleas Kalantzis dei Varathron) viene disturbato da un’inquietante cantilena.
Se Scent of Your Blood è un condensato di furia distruttiva, con una chitarra dai tratti lancinanti , Erlik rallenta la corsa fino a spingersi ai confini del doom, e Albarsty è pregna di dissonanze compensate da un finale thrash d’annata. La chiusura è affidata a Come Down, in cui emerge una componente più riflessiva che, in qualche modo, va ad attingere alla spiritualità ispirata da una natura che, in un paese come quello asiatico, esibisce ancora intonsa la propria selvaggia maestosità.
Kashgar è un lavoro intrigante quanto perfettibile in qualche sua parte, e sicuramente sono gli aspetti positivi a prevalere, a livello di consuntivo: considerando l’inesistenza di una scena meta nel paese, le possibilità che fossero seguite pedissequamente le tracce dei Darkestrah erano alte, eppure Ars, Warg e Blauth scelgono un strada espressiva differente e, tutto sommato, anche personale. La voglia di inserire più elementi possibili in un album di durata relativamente breve è comprensibile ma, talvolta, va a discapito della fluidità compositiva: resta il fatto che questo lavoro risulta attraente proprio per la bontà dei contenuti, tralasciando l’ovvia curiosità derivante da una provenienza geografica desueta.
Per quanto mi riguarda, i Kashgar sono una bella sorpresa e seguire le loro mosse future non sarà affatto tempo sprecato.

Tracklist:
1. Half a Devil
2. Tyan-Shan / Batyr
3. Scent of Your Blood
4. Erlik
5. Albarsty
6. Come Down

Line-up:
Blauth – vocals, drums
Ars – guitars
Warg – bass

KASHGAR – Facebook

Temperance – The Earth Embraces Us All

Un lavoro nel quale sono rare le cadute di tensione, basterebbe dimenticare Amaranthe e Nightwish e continuare ad osare.

Personalmente trovo delizioso il titolo cha la band ha dato a questo nuovo lavoro in studio. L’immagine de ‘La Terra Abbraccia tutti noi’ evoca sensibilità all’ambientalismo, implica scienza e filosofia insieme, mente e cuore.

Sono convinto che facciamo parte di una grande Unità, e mi piace constatare che questi validissimi ragazzi italiani ce l’abbiano messa tutta per rendere The Earth Embraces Us All una creatura capace di comprendere le diverse sfaccettature connaturate nell’esistenza stessa. Ed è molto bello anche l’artwork realizzato da Gustavo Sazes (Kamelot, Arch Enemy, Morbid Angel). Rispetto ai brani più immediati dei primi due lavori, in The Earth… troviamo alcune composizioni molto più elaborate, elementi nuovi, come ad esempio il violino, che accentua la vena prog della band. Consideriamo pure che i Temperance hanno già alle spalle una discreta serie di concerti con artisti tra i quali Nightwish, Luca Turilli’s Rhapsody, Dragonforce, Within Temptation. L’elemento che risalta immediatamente in questo nuovo lavoro è la varietà. Ottime miscele di riff, parti più elettroniche e altre folk, le vocals cristalline di Chiara Tricarico che regge degnamente e amplifica le innumerevoli suggestioni. Meno convincente (a tratti) l’aggressività di Pastorino al microfono che si alterna non sempre con successo tra scream raschiato e (quasi) growl. Il sipario si apre con gli oltre 6 minuti della sinfonica e orecchiabile A Thousand Places, brano fra i meno originali del lotto comunque impreziosito dalle parti di violino a inizio traccia e dal sax nel finale. La seconda traccia At The Edge Of Space, più canonica, ma ancora molto orecchiabile ed efficace. La folkeggiante Unspoken Words saltella giocosamente mentre la successiva Empty Lines ricalca la vena del power-prog più nordico. Mi fa sempre strano ascoltare i testi in italiano (Maschere) nel quale affrontano lo svelamento del nostro io, un messaggio positivo, ma che implica sofferenza. In Haze c’è un bel groove, la modernità incontra schemi e stili indubbiamente già sfruttati. La power ballad Fragments of Life si fa ben godere, poi irrompe Revolution che di rivoluzionario non ha nulla, ma spinge bene e si stampa in mente. Con gli 8 minuti di Advice From A Caterpillar ci troviamo finalmente con un titolo curioso e con un brano in cui la temperanza si manifesta decisamente. Qui la band sperimenta la fusione tra metal prog e musica classica, spruzzando il tutto con un pizzico di follia jazz ottimamente arrangiata. La dolce Change The Rhyme è caratterizzata da soavi melodie accompagnate dal piano e da vocals ispirate. Finale con la suite The Restless Ride, altro pezzo da novanta di prog metal sinfonico in cui la sezione ritmica decide la marcia, accarezzata dalle tastiere e interrotta da climi altalenanti tra quiete e impetuosità.
Notevole l’impianto sonoro e creativo messo su dai Temperance, con imponenti atmosfere e ottima perizia nell’esecuzione, e la sontuosità tenuta sapientemente sempre sotto controllo. Un lavoro nel quale sono rare le cadute di tensione, basterebbe dimenticare Amaranthe e Nightwish e continuare ad osare.

TRACKLIST
1. A Thousand Places
2. At The Edge Of Space
3. Unspoken Words
4. Empty Lines
5. Maschere
6. Haze
7. Fragments Of Life
8. Revolution
9. Advice From A Caterpillar
10. Change The Rhyme
11. The Restless Ride

LINE-UP
Chiara Tricarico – lead vocals
Marco Pastorino – lead guitars & backing vocals
Sandro Capone – rhythm guitar
Luca Negro – bass
Giulio Capone – drums

TEMPERANCE – Facebook

Darkness – The Gasoline Solution

Mezzora abbondante di agguerrito thrash metal tedesco, niente di più e niente di meno, per i fans puro piacere, ma solo per loro.

Un’altra band storica torna a mietere vittime tra le fila dei metallari dai gusti old school, questa volta si parla di thrash metal, ed il gruppo in questione sono i tedeschi Darkness, band attiva addirittura dal 1984, con un buon numero di demo fino all’esordio sulla lunga distanza datato 1987 (Death Squad), ed altri due lavori che portano il gruppo ad un passo dagli anni novanta.

Un lungo stop di quindici anni ed arriviamo al 2005, quando un live album dà speranza di un ritorno che arriva però dieci anni dopo con l’ep XXIX, predecessore di questo The Gasoline Solution in uscita per High Roller Records.
Palla lunga e pedalare, thrash metal di scuola tedesca, ignorante, aggressivo e dallo spirito metal punk, una copertina in linea con l’atmosfera old school che si respira a pieni polmoni e tanta voglia di headbanging.
Queste sono le caratteristiche principali dell’album, senza compromessi dalla prima all’ultima nota, solo thrash d’assalto molto live nella forma, cattivo il giusto per strapparci un sorriso maligno quando la vicina di casa apre la porta e viene assalita dalla valanga di note che velocissime e violente la travolgono, mentre l’amplificatore del vostro stereo comincia a cedere come una diga in pieno collasso.
Uno, due, tre e via a correre come forsennati dietro a questa raccolta di speed songs, che non ne vogliono sapere di rallentare in preda a deliri adrenalinici, schizzate e dall’attitudine che sprizza come sangue da una giugulare tagliata.
Mezz’ora abbondante di agguerrito thrash metal tedesco, niente di più e niente di meno, per i fans puro piacere, ma solo per loro.

TRACKLIST
1. Tinkerbell Must Die
2. Another Reich
3. Freedom On Parole
4. Welcome To Pain
5. L.A.W.
6. Pay A Man
7. The Gasoline Solution
8. Dressed In Red
9. This Bullet’s For You

LINE-UP
Lee – Vocals
Arnd – Guitars
Meik – Guitars
Dirk – Bass
Lacky – Drums

DARKNESS – Facebook

Conqueror – War. Cult. Supremacy

La musica dei Conqueror è qualcosa che raramente si sente nella vita, ed è una vera a propria esperienza sonora, che non può lasciare indifferenti specialmente chi ama il metal underground.

Campo di battaglia. I corpi dei caduti sono accatastati in alte montagne, mentre si sene un solo rumore, quello di spade che continuano a scavare incessanti nella carne, uccidendo i vivi, mutilando i morti e gli avvoltoi.

Follia, sangue, massacro frenetico. Tutto ciò di cui sopra può dare una parziale idea di cosa sia la musica dei Conqueror, un gruppo metal senza compromessi di alcun tipo. La Nuclear War ! Now ristampa in cd e in doppio lp con dvd il disco del 1996 War. Cult. Supremacy, che penso sia la migliore sonorizzazione del concetto di guerra antica, quelle combattute prima dell’avvento della polvere da sparo. I Conqueror nacquero nel 1992 dall’unione blasfema della batteria di J.Read, già nei Cremation, Revenge, e Blasphemy, con la chitarra di R.Forster, Domini Inferi e Blasphemy anch’egli.
Da questo duo sono nati alcune delle pagine più puramente metal underground della storia. Questo disco è un massacro, ma non è confuso o inciso in lo fi, ma è forgiato con una furia senza tregua, suonando sempre a mille, con un’intensità sonora al di fuori del comune, e con soluzioni sonore notevoli.
Attaccare e fare male, questo potrebbe essere il motto dei Conqueror e ci riescono benissimo. La vita è un conflitto, e questa potrebbe essere la colonna sonora di quel conflitto. Nonostante siano un duo i Conqueror non difettano affatto in potenza ed intensità. Il duo riesce anche a trovare soluzioni ed invenzioni sonore assai notevoli, tenendo sempre l’ascoltatore inchiodato al suo pogo. La musica dei Conqueror è qualcosa che raramente si sente nella vita, ed è una vera a propria esperienza sonora, che non può lasciare indifferenti specialmente chi ama il metal più sotterraneo. Un disco fondamentale che ci porta forse al momento migliore del metal underground, poiché vi era un clima particolare che si respira e si sente in questo disco. Il dvd incluso nella ristampa è una ripresa effettuata da più angoli di un loro concerto, ed aumenta di molto il valore di questa ristampa.
War. Cult. Supremacy

TRACKLIST
01 Infinite Majesty
02 Chaos Domination
03 Age of Decimation
04 Kingdom against Kingdom
05 Bloodhammer
06 Hammer of Antichrist
07 The Curse
08 War Cult Supremacy
09 Domitor Invictus
10 Ross Bay Damnation – Chaos Domina
11 Hammer of Antichrist
12 The Curse
13 Domitor Invictus
14 Christ’s Death
15 Command for Triumph
16 Hammer of Supremacy

LINE-UP
J.Read – Drums, Voice
R.Forster – Guitar

NUCLEAR WAR NOW – Facebook

Anata – The Infernal Depths of Hatred (remastered)

I deathsters svedesi Anata ripartono dalla ristampa del loro primo lavoro The Infernal Depths of Hatred

Sono ormai passati dieci anni dall’ultimo The Conductor’s Departure e i deathsters svedesi Anata ripartono dalla ristampa del loro primo lavoro The Infernal Depths of Hatred, uscito originariamente nel 1998 e pubblicato oggi dalla label francese Kaotoxin: l’album è già in streaming, ma l’uscita in tiratura limitata a 300 copie in vinile è prevista per i primi di ottobre.

Avrete così tutto il tempo per prenotare la vostra copia e sentirete che ne sarà valsa la pena , specialmente se apprezzate per il Goteborg sound nato nella prima metà degli anni novanta.
Il quartetto di Varberg fa parte della seconda ondata di gruppi che continuarono lo sviluppo di queste sonorità estreme: nato proprio a metà dei novanta debuttarono con questo ottimo lavoro che ebbe ancora tre successori sulla lunga distanza di cui l’ultimo è proprio l’album di cui sopra uscito nel 2006.
Detto che questa nuova edizione presenta come bonus track la cover di Day of Suffering dei Morbid Angel (tratta dallo split con i Betsaida “Guerra, Vol.II”, del 1999) e che l’album è stato rimasterizzato presso i Conkrere Studio, addentriamoci nel suono creato dagli Anata.
Death metal melodico, valorizzato da un’impronta technical death da infarto e qualche sconfinamento nella furia del black, specialmente nell’uso dello scream in alcune parti, sono gli elementi preponderanti per far sìche questo lavoro risulti un piccolo gioiello estremo.
Da amare alla follia se siete fans del death melodico di scuola scandinava, ma da non perdere se vi crogiolate nel technical death di scuola americana; un ibrido insomma, che non manca di sorprendere nella sua follia compositiva dalle qualità estreme altissime.
Quaranta minuti abbondanti di metal estremo di ottimo livello, con ritmiche veloci ed intricate, mostruose parti cadenzati, solos melodici, ed una vena brutal che risulta l’anima a stelle e strisce dell’album.
Immaginatevi un incrocio tra i primi Dark Tranquillity, gli At The Gates ed i mostri americani come Morbid Angel e Suffocation ed avrete idea di che abominevole parto riuscirono a creare gli Anata, un piccolo mostro di musica talmente estremo e ben suonato da risultare irresistibile.
Quasi vent’anni sono passati da quando questa raccoltavide la luce , ma brani come Under Azure Skies, Vast Lands/Infernal Gates e soprattutto Dethrone the Hypocrites godono di una freschezza compositiva e di un talento per ritmiche intricate, furiose accelerazioni e melodie estreme da sembrare scritto ieri.
Per i collezionisti di vinili e gli amanti del metal estremo un’opera assolutamente da non perdere.

TRACKLIST
1. Released When You Are Dead
2. Let the Heavens Hate
3. Under Azure Skies
4. Vast Lands / Infernal Gates
5. Slain Upon His Altar
6. Those Who Lick the Wounds of Christ
7. Dethrone the Hypocrites
8. Aim Not at the Kingdom High
9. Day of Suffering [Morbid Angel cover]

LINE-UP
Andreas Allenmark – guitars
Henrik Drake – bass
Robert Petersson – drums
Fredrik Schälin – Vocals, Guitars, Lyrics

ANATA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=w_ESJ01NtiU

Yaşru – Börübay

La perfezione del folk che si muove da una base metal per diffondersi nell’aria con i suoi aromi mediorientali, leggiadri come piume e malinconici come solo il miglior doom di solito sa regalare.

La perfezione del folk che si muove da una base metal per diffondersi nell’aria con i suoi aromi mediorientali, leggiadri come piume e malinconici come solo il miglior doom di solito sa regalare.

Questo è Börübay, terzo album dei Yaşru, band turca che fa capo quasi al 100% ad un musicista immenso come Berk Öner, il quale, come nel precedente Öz, si fa accompagnare dal bassista Batur Akçura, avocando a sé tutta la restante componente strumentale e la parte vocale.
Se Öz mi aveva favorevolmente colpito, mostrando di cosa fosse capace il musicista di Istanbul, quest’album tocca vette di lirismo francamente difficili da eguagliare: in mezz’ora ci passa davanti tutto l’immaginario della tradizione turca, da quella che ammicca all’Europa fino agli umori degli sterminati territori anatolici.
Citare nella stessa frase folk e metal può creare degli equivoci che vanno subito dissipati: se questa è l’etichetta comunque più logica da assegnare all’opera degli Yaşru, qui non troviamo nulla che abbia a che vedere con le tendenze alcoolico caciarone (detto in senso buono, si intende) alla Korpiklaani o con la retorica epico guerresca che sta prendendo piede anche nel nostro paese; in Börübay l’emotività che ne pervade ogni nota rimanda almeno per attitudine alla tradizione celtica, specialmente quando Öner si cimenta con il flauto, ma non mancano neppure agganci con gli immensi Moonsorrow, specie in una traccia come Rüzgarìn Yìrlarì.
Lo strumentale 552 AD (Börü) introduce l’album con la sua bellezza stordente, mentre a seguire la title track alza i giri del motore, con Öner che ne asseconda il roccioso incipit con il suo growl per poi intraprendere un declivio verso sonorità e vocalità più evocative, conservando comunque un sentore doom (che è lo stile musicale dal quale il nostro di fatto proviene). Aalara è un gioiello che si va ad incastonare laddove gli autori del recente Jumalten Aika sarebbero approdati se fossero nati in quella che fu Bisanzio, mentre l’avvincente cantilena di Nazar Eyle (cover di una canzone di Baris Manço, uno dei musicisti turchi più importanti del secolo scorso) va a completarsi con l’emanazione più introspettiva del folk secondo gli Yaşru rappresentata dalla già citata opener e da Hafiz.
Chiude il brano autointitolato, forse il meno brillante dell’album ma solo per il suo andamento relativamente più allegro che ne attenua l’intensità emotiva rinvenibile nelle altre tracce.
Di prossima pubblicazione a cura della WormHoleDeath, che grazie all’orecchio fine di chi la dirige si è accaparrata i servigi degli Yaşru, fondamentalmente Börübay ha un solo difetto, quello di durare troppo poco, perché di musica di simile fattura non se ne ha mai abbastanza: poco male davvero, quando la qualità di un disco raggiunge tali livelli un solo minuto ne vale almeno dieci di opere ben più ridondanti.

 

Tracklist:
1. 552 AD (Börü)
2. Börübay
3. Atalara
4. Nazar Eyle
5. Rüzgarìn Yìrlarì
6. Hafiz
7. Yaşru

Line-up:
Berk Öner – Vocals, Guitars, Ethnic instruments
Batur Akçura – Bass

YASRU – Facebook