Seven Sisters – Seven Sisters

Un buon album di heavy metal, niente di più e niente di meno, ma i Seven Sisters sapranno far dimenticare ai più attempati gli anni che inesorabilmente sono passati.

Nel ritorno in auge dei suoni old school non potevano certo mancare i gruppi dediti alla riproposizione di uno dei generi più famosi ed importanti di tutto il mondo metallico, l’heavy metal di scuola britannica conosciuto ai più come new wave of british heavy metal, una scena che nello spazio di quattro anni, tra il 1979 e il 1983 diede i natali ad una manciata di gruppi divenuti in seguito delle vere icone della nostra musica preferita con in testa gli Iron Maiden.

E britannici sono pure i Seven Sisters, band attiva in quel di Londra da un paio d’anni ed arrivata all’esordio omonimo sulla lunga distanza dopo il classico demo, inizio discografico per il 90% dei giovani gruppi metallici di tutto il mondo.
Le sette sorelle non mancheranno di piacere ai nostalgici del suono inglese per antonomasia, almeno in ambito metallico, l’album infatti è una trasposizione fedele del suono di quegli anni, dalla produzione che odora di vinili impolverati, al sound perfettamente calato nei cliché che fecero grandi le realtà ottantiane.
Cavalcate maideniane, solos dal flavour epico, così come i refrain, ed un vocalist più che dignitoso, fanno di Seven Sisters il lavoro perfetto per metallari ormai vicini alla pensione, con gli occhi lucidi quando il sound si colma di quelle atmosfere dure come l’acciaio ed emozionali come solo la musica heavy metal classica sa regalare.
Le ritmiche mantengono una linea che perdura su cavalcate o mid tempo, non mancano i crescendo tipici di chi la storia del metal l’ha fatta per davvero e, nel suo piccolo, l’album regala qualche perla incastonata sul manico dello spadone forgiato dagli dei del metallo (Destiny’s Calling, Seven Sisters e Cast To The Stars).
Un buon album di heavy metal, niente di più e niente di meno, ma i Seven Sisters sapranno far dimenticare ai più attempati gli anni che inesorabilmente sono passati.

TRACKLIST
1. Destiny’s Calling
2. Highways of the Night
3. The Silk Road
4. Seven Sisters
5. Pure as Sin
6. Commanded by Fear
7. Gods and Men Alike
8. Cast to the Stars

LINE-UP
Kyle McNeill – Guitars, Vocals
Graeme Farmer – Guitars
Adam Thorpe – Bass
Steve Loftin – Drums

SEVEN SISTERS – Facebook

Dool – Oweynagat

Non resta che attendere i Dool alla prima prova su lunga distanza: le premesse fanno presagire qualcosa di speciale.

A forza di parlare bene di tutto quanto viene sfornato con il marchio Prophecy, qualcuno potrà pensare persino che io sia al soldo del mio quasi omonimo Stefan.

In realtà, l’unico beneficio non da poco che ne traggo (e con me tutti gli appassionati di musica) è quello di imbattermi in album eccellenti da parte di realtà consolidate, oppure avere la possibilità di scoprire novità fresche e sfolgoranti come questi Dool.
Trattasi di un quintetto proveniente da Rotterdam, nel quale sono confluiti diversi musicisti già discretamente noti nella scena rock/metal dei Paesi Bassi, come la cantante Ryanne Van Dorst (Elle Bandita), il batterista Micha Haring ed il bassista Jacob Van De Zande (The Devil’s Blood) ed i chitarristi Reinier Vermeulen (The New Media) e Nick Polak (Gold).
Oweynagat è un singolo che prepara il terreno al full length programmato per l’inizio del 2017, ma basta ed avanza per far drizzare le antenne agli ascoltatori più attenti: infatti il brano, che spazia dal punk rock di cui la vocalist è portatrice, fino alla darkwave e all’alternative metal, si rivela davvero brillante per intensità e melodia, e l’interpretazione convincente della Van Dorst è supportata da un gran lavoro della band, che trova finalizzazione nello splendido crescendo chitarristico finale. Ma non finisce qui: la canzone viene riproposta subito dopo in una versione acustica (con il sottotitolo Inside The Cave Of The Cat), riuscendo ad apparire persino superiore a quella originale: le atmosfere rarefatte, un’altra prova vocale vocale magnifica ed un arrangiamento di rara eleganza spiazzano, meravigliano ed inquietano allo stesso tempo.
Non resta che attendere i Dool alla prima prova su lunga distanza: le premesse fanno presagire qualcosa di speciale.

Tracklist:
1. Oweynagat
2. Oweynagat – Inside The Cave Of The Cat

Line-up:
Ryanne van Dorst – vocals
Micha Haring – drums
Job van de Zande – bass
Reinier Vermeulen – guitar
Nick Polak – guitar

DOOL – Facebook

Oniricide – Revenge Of Souls

Un concentrato di sinfonie orchestrali e riff prettamente metal che, fondendosi tra di loro, creano atmosfere e nuovi mondi in cui immergersi.

Gli Oniricide sono una band metal nata e cresciuta a Torino da qualche anno: il loro nuovo album Revenge Of Souls è un concentrato di sinfonie orchestrali e riff prettamente metal che, fondendosi tra di loro, creano atmosfere e nuovi mondi in cui immergersi e restare così sospesi a mezz’aria già dal primo ascolto.

All’interno dei dieci brani è possibile ascoltare, infatti, prog e power metal, il tutto contornato da orchestrazioni sinfoniche, ispirate a musiche dei film e videogiochi, senza dimenticare la notevole influenza della musica classica. Si possono trovare, inoltre, influenze più marginali come il folk di Becoming A Different Man, il pop-rock della ballad The Illusion of The Abyss, per finire nel rock-blues in alcuni assoli di chitarra.
Revenge Of Souls, uscito a febbraio 2016, si presenta come una buona opera che indica ben delineate traiettorie di crescita e che, senza ombra di dubbio, sarà un ottimo antipasto per tutto ciò che verrà dopo.

TRACKLIST
1. Oneiros
2. Revenge of Souls
3. Noxy
4. Vision from the Mirror
5. Gipsy and the Cards
6. A Good Place to Die
7. The Illusion of the Abyss
8. The Beast
9. Mother of Pain
10. Becoming a Different Man

LINE-UP
Luca Liuk Abate – Bass
Daniele Pelliccioni – Drums, Keyboards
Andrea Pelliccioni – Guitars
Mara Cek Cecconato – Vocals

ONIRICIDE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=lZKJlDjb96Y

Darkhaus – When Sparks Ignite

Ottimo lavoro in un genere molto più difficile da gestire di quanto si possa pensare

L’alleanza o l’alchimia tra il metal e sonorità pop dal taglio elettronico e dark, ha portato in questi anni molta fortuna ai gruppi che si sono cimentati nel genere, con singoli ruffiani e dalle ritmiche irresistibili, passati senza soluzione di continuità nei club e sui canali satellitari, ad uso e consumo di chi preferisce ascolti poco impegnativi e alternativi al solito rock da classifica.

Con alterne fortune, le band in questione non si contano più, il sound proposto ultimamente sta tirando leggermente la cinghia non fosse appunto per gruppi come i Darkhaus, al secondo lavoro dopo l’esordio My Only Shelter uscito ormai tre anni fa.
Una band dal taglio internazionale, non solo per il sound proposto, ma soprattutto nella line up che vede Gary Meskil dei ben più temibili Pro Pain, affiancato da una manciata di musicisti di diverse nazionalità.
Infatti dietro al microfono troviamo lo scozzese Ken Hanlon, l’austriaco Rupert Keplinger alla sei corde ed il tedesco Paul Keller alle pelli, senza dimenticare l’altro arrivo da casa Pro Pain, Marshall Stephens.
Una band internazionale appunto come la propria proposta: When Sparks Ignite infatti segue il mood del primo lavoro, un rock/metal dal taglio moderno elettronico e dark pop, molto melodico, con tutti brani di ampio respiro e qualche riff grintoso piazzato qua e là per piacere (non poco) ai fans orfani degli ultimi Sentenced, e dei Rammstein meno marziali.
Il cantato melodico e ruffiano, porta con sé molto della dark wave anni ottanta, così come qualche atmosfera da vampirelli metropolitani che faranno la gioia dei fans più giovani.
Tutto funziona però e molto bene, l’album è colmo di belle canzoni, orecchiabili e curate in ogni dettaglio, non una nota fuori posto, come si evince dall’ascolto dell’album, e in molti casi i chorus si stampano in mente al primo passaggio.
Cinquanta minuti per un album del genere non sono pochi, ma il gruppo non perde un colpo collezionando una raccolta di brani che mantiene un appeal altissimo per tutta la sua durata.
Difficile trovare un brano che spicchi sul resto, ma vi propongo tre titoli: l’opener All Of Nothing, After The Heartache e To Live Again, tracce che non mancheranno di affascinare, melodiche, ruvide e pregne di appeal radiofonico.
Ottimo lavoro in un genere molto più difficile da gestire di quanto si possa pensare, promosso a pieni voti.

TRACKLIST
1. All Of Nothing
2. The Last Goodbye
3. Feel My Pain
4. Second Chance
5. After The Heartache
6. Helpless
7. Devil’s Spawn
8. Oceans
9. Lonesome Road
10. To Live Again
11. Tears Of Joy
12. Bye Bye Blue Skies

LINE-UP
Ken Hanlon – Vocals
Rupert Keplinger – Guitars
Marshall Stephens – Guitars
Gary Meskil – Bass
Paul Keller – Drums

DARKHAUS – Facebook

C​:​\​>CHKDSK /F

Il disco potrebbe essere la colonna sonora di un videogioco.

Il dibattito sull’intelligenza artificiale non è noto al grande pubblico, e qualcosa che molto probabilmente ci comanderà tra qualche umano, vive tra noi.

La progressiva deumanizzazione che ci avvolge ha partorito un disco che è il sogno ad orecchie aperte di ogni metallaro appassionato di colonne sonore dei videogiochi o dell’ 8 bit. Questo sottogenere di un sottogenere è qualcosa di orgogliosamente nerd, ma questo disco è meraviglioso, suona benissimo, con uno spirito punk synth metal davvero notevole. Il disco potrebbe essere la colonna sonora di un videogioco, e Masterboot Record sarà presto autore della colonna sonora di un videogioco cyberpunk della Theta Division Games, software house che regalerà parecchie gioie. La cura musicale messa in questa opera è notevole, e tocca diversi stili come il cyberpunk, ed il new retrowave, rimanendo sempre nell’ambito delle colonne sonore dei videogiochi. Dentro c’è anche tanto metal, quel metal elettronico che rene certi massacri su schermo così speciali, e rilassanti. Questo suono ci porta contemporaneamente nel passato e nel futuro, con quel retrogusto anni ottanta, che soltanto chi ha giocato con un floppy disk può capire. Questo è il futuro passato, un’ombra sul nostro futuro, ed un microchip emozionale dal passato. Ma soprattutto è un disco forte e potente, importante nella sua chiarezza e nella sua tremenda alterità.

TRACKLIST
1.O.SYS
2.MSDOS.SYS
3.XCOPY.EXE
4.CONFIG.SYS
5.AUTOEXEC.BAT
6.COMMAND.COM
7.FORMAT.EXE
8.NWOSHM.TXT
9.BAYAREA.BMP
10.VIRTUAVERSE.GIF

MASTER BOOT RECORD – Facebook

Fetid Zombie – Epicedia

I Fetid Zombie sono ormai una garanzia per gli amanti dei suoni old school

L’inverno si avvicina, le ore di luce lasciano spazio alle tenebre, l’aria si fa umida di pioggia che impregna la terra dei cimiteri, i vermi e gli insetti tornano a pullulare a ridosso delle tombe marcite e l’atmosfera torna ad essere quella adatta per risvegliare la creature del polistrumentista americano Mark Riddick, i Fetid Zombie.

Il musicista ed illustratore statunitense, al sesto album della sua famigerata creatura, successore di quel Grotesque Creation uscito lo scorso anno e di cui vi avevamo parlato dettagliatamente sulle pagine di Iyezine, torna ad un lavoro sulla lunga distanza dopo un buon numero di split, segno della inesauribile creatività del nostro che, anche in questo nuovo album, riempie i nostri padiglioni auricolari di marcissimo death metal old school, soffocante come una bara chiusa due metri sotto terra, oscuro come una catacomba dimenticata nel tempo, ma vario nell’alternare furia death ad ormai immancabili atmosfere dark, in un delirio mortifero che affascina la parte oscura che risiede in noi.
Si passeggia tra le tombe di un cimitero, il fango che ci avvolge le caviglie rende pesante il nostro passo, allorché lo zombie fetido e mostruoso ci aggredisce famelico.
Circondato come da abitudine da un nugolo di ospiti della scena estrema mondiale, Riddick ridà vita al suo alter ego, un morto vivente che si nutre di death metal old school, tra orchestrazioni dark, atmosfere catacombali e tanto horror style, così che Epicedia, supportato dal brani dal flavour estremo in bella mostra come Devour The Innocent e, soprattutto, la conclusiva Devour The Virtuous, risulta ancora una volta un buon lavoro death metal dal taglio orrorifico.
I Fetid Zombie sono ormai una garanzia per gli amanti dei suoni old school, Riddick si dimostra maestro nel saper convogliare nel metal estremo le atmosfere di cui sopra: se siete fans del gruppo americano il disco è un acquisto a scatola chiusa, ma se non conoscete le opere di questo E.A. Poe moderno, non perdete tempo e rimediate con questo nuovo lavoro, lo zombie è in agguato.

TRACKLIST
1. Lowered Beneath
2. Devour the Virtuous
3. Devour the Innocent
4. If the Dead Could Speak

LINE-UP
Mark Riddick – Vocals, Guitars, Bass, Drum programming, Keyboards

FETID ZOMBIE – Facebook

öOoOoOoOoOo – Samen

Un lavoro al quale l’appellativo di caleidoscopico sta persino stretto, per cui non resta che mettersi in testa le cuffie e provare a seguire, per quanto possibile, un percorso che non conosce un solo metro in rettilineo

L’iniziale colpo di genio da parte di questa band è riservato a solutori più che abili … che diamine di monicker potrà mai essere öOoOoOoOoOo, ci si chiede al primo impatto ?

Vabbé, poi dalle note biografiche scopri che una tale sfilza di O va pronunciata Chenille, che in francese significa bruco, e la lampadina improvvisamente si accende: cos’è infine öOoOoOoOoOo se non una buffa rappresentazione grafica del peloso insetto, realizzata utilizzando i caratteri disponibili sulla tastiera di un PC ?
La sensazione di avere a che fare con un a masnada di pazzoidi, sulla falsariga dei connazionali 6:33, si fa così strada ancor prima di iniziare l’ascolto, cosicché Rules Of The Show non impiega molto a far comprendere che ci si è preso addirittura per difetto: al confronto, la citata (ed immensa) band di Lille appare quasi un consesso di grigi impiegati del catasto, facendone sembrare la geniale follia un qualcosa di pericolosamente vicino alla normalità.
Gli öOoOoOoOoOo sono tra l’altro solo in due, la cantante Asphodel (attiva anche nella gothic band Penumbra e con saltuarie collaborazioni con miriadi di band, tra le quali i Carnival In Coal, il che ci aiuta a capire qualcosa in più) ed il funambolico polistrumentista Baptiste Bertrand, aiutati dal batterista Aymeric Thomas dei non meno schizoidi Pryapisme, ma in realtà sembrano in una quindicina, tra le molteplici voci e vocine proposte dalla cantante, strumenti di ogni genere che si palesano per un attimo per poi svanire nel nulla, growl minacciosi ed una percussività tentacolare.
Insomma, ce n’è abbastanza per prefigurare il classico quadro di amore od odio nei confronti del duo transalpino, per cui si tratta di decidere da quale delle due parti collocarsi: personalmente tendo ad essere, in maniera paradossale, più allergico all’avanguardismo applicato alla materia estrema mentre sono propenso a guardare favorevolmente esibizioni come queste, che sono sempre rischiosamente in bilico tra la genialità ed il ricorso al TSO.
Parlare di brani in un simile contesto è impresa ardua quanto superflua, tanto è sghembo l’andamento di un lavoro al quale l’appellativo di caleidoscopico sta persino stretto, per cui non resta che mettersi in testa le cuffie e provare a seguire, per quanto possibile, un percorso che non conosce un solo metro in rettilineo: Asphodel è una sorta di entità dai mille volti costantemente cangianti, con Diamanda Galas, Amy Lee, Edith Piaf, Bjork, Paperina (!), il Trio Lescano e chissà quante altre voci femminili evocate per un battito di ciglia o poco più.
Il sound segue questa schizofrenia inarrestabile che trova una parvenza di forma canzone nella sola Purple Tastes Like White, mentre nei restanti brani soul, gothic, symphonic metal, jazz, grind e “post tutto” si alternano e si aggrovigliano fino ad incatenare chiunque abbia voglia e pazienza di arrivare alla fine di Samen.
Già, perché a quel punto la giostra riparte, scoprendo ogni volta passaggi ignorati, perduti o che forse esistono solo nella nostra mente, vallo a sapere, fatto sta che questo lavoro degli öOoOoOoOoOo si rivela una piacevole follia che, non troppo casualmente, giunge dalla Francia e da un’etichetta come la Apathia che sembra aborrire tutto ciò che abbia una parvenza di normalità.
Ovviamente non per tutti, nemmeno per molti, sicuramente consigliato solo a chi non si arrende dopo l’ascolto delle prime stramberie …

Tracklist:
1. Rules Of The Show
2. Fucking Freaking Futile Freddy
3. Meow Meow Frrru
4. No Guts = No Masters
5. Bark City (A Glimpse Of Something)
6. Purple Tastes Like White
7. I Hope You Sleep Well
8. Well-oiled Machine
9. Chairleg Thesis
10. Fumigène
11. LVI
12. Hemn Be Rho Die Samen

Line-up:
Asphodel – Vocals, lyrics
Baptiste Bertrand – Guitars, Bass, Vocals,Programming
Aymeric Thomas (session) – Drums

Guests:
Germain Aubert on #11
Raphaël Verguin on #4 #5 #11
Adrien Cailleteau on #7 #8

öOoOoOoOoOo – Facebook

Total Violence – Violence Is The Way

In definitiva, tutto già ascoltato infinite volte, ma la passione della band è tanta.

Affrontare l’analisi di un lavoro come Violence Is The Way può fortemente ridursi ad una considerazione ai minimi termini.

Vi esaltate ancora con i primi lavori di Metallica, Slayer, Megadeth, Sepultura, Kreator e compagnia riffeggiante? Se la risposta è affermativa, amerete i Total Violence. E la mia recensione potrebbe chiudersi qui. Ma ho la netta sensazione che il thrash old school di questi ragazzi tedeschi sia animato da reale coinvolgimento in quelle sonorità che tanto (in)sano headbaging ci ha donato. Tutto l’album si fa ascoltare bene, e riesce a riportarmi a quegli anni magici e musicalmente devastanti. Apre senza indugi l’irruenta Disease Disorder Death che impazza con riff taglienti e solos schizofrenici, senz’altro il miglior brano dell’album. La successiva Toxic Death è un lampante omaggio ai The Four Horsemen. Altra particolarità dei nostri è che si cimentano anche in brani di lunghezza superiore alla media, come la terremotante Trapped In The Moment Of Death, o la più articolata False Friends, o ancora Violence Is The Way Of Life e soprattutto Eat You Alive, dove esprimono tutta la gamma di atmosfere che i maestri del genere hanno inciso nell’acciaio. E così troviamo pure i brani più classici e diretti come Guess Who’s Next e Storm The Front o la galoppante Acid Rain. In definitiva, tutto già ascoltato infinite volte, ma la passione della band è tanta e ci sa fare sugli strumenti, questo è fuor di dubbio. Quando un riff spacca… l’heavy metal è la via!

TRACKLIST
1. Disease Disorder Death
2. Toxic Death
3. Trapped in the Moment of Death
4. Guess Who’s Next
5. False Friends
6. Storm the Front
7. Eat You Alive
8. Acid Rain
9. Violence Is the Way of Life

LINE-UP
Biff – Guitars, Vocals
Johnson – Bass
Mínì Mee – Guitars
Phil – Drums

http://www.facebook.com/pages/Total-Violence/125394207494120

Metharia – Questo è Il Tempo

Un lavoro di rock alternativo che non fa mancare ruvida energia metallica, oltre ad un gustoso mood elettronico che rende la proposta fresca ed al passo coi tempi.

Napoli, città dove la musica è di casa, è conosciuta in tutto il mondo per la tradizione della sua canzone melodica, virtù popolare di gente che il ritmo lo ha nel sangue.

Ma, sotto le melodie che profumano dei vicoli e delle storie di questo straordinario popolo, batte forte un cuore rock’n’roll con una scena che ogni anno ci regala splendide realtà, pescando da molti dei generi cardine della nostra musica preferita.
Una scena alternative che, negli anni novanta, ha portato non poche band agli onori delle cronache (su tutti gli storici 99 Posse) è ora patria di molte realtà rock/metal affacciatesi con forza negli ultimi anni sulla scena nazionale.
La Volcano Records & Promotions, etichetta nata proprio nel capoluogo campano e attiva a livello nazionale ed europeo nel supportare l’hard & heavy, firma il nuovo lavoro della storica band dei Metharia, gruppo attivo dal 1999 con una storia alle spalle fatta di molte soddisfazioni, forzati stop e cambi di line up che ne hanno frenato la carriera ma certamente non la voglia di suonare rock.
Tornano dunque, a sei anni di distanza dall’ep Ockulta Informazione, con Questo è Il Tempo, un lavoro di rock alternativo che non fa mancare ruvida energia metallica, oltre ad un gustoso mood elettronico che rende la proposta fresca ed al passo coi tempi, pur non facendo mistero delle proprie ispirazioni.
Cantato ottimamente in italiano, l’album offre un panorama esaustivo sulla scena rock degli ultimi tempi: la band parte da una forte base alternative, con dosi di Litfiba che scorrono nelle vene del quartetto nostrano, ma rielaborate con un gusto internazionale.
Tra le trame del disco il metal moderno non manca immettere groove tra gli attimi più energici, l’atmosfera si mantiene grigia, quasi dark, con rimandi alla scena new wave ottantiana, specialmente quando liquidi tappeti elettro- rock divengono fondamenta al sound, ed il resto lo fa una produzione di alto livello, perfetta nel sottolineare i molti dettagli nella musica dal combo napoletano.
I brani si mantengono su un ottimo standard, l’alternarsi dei colori nell’atmosfera dell’album tiene alta l’attenzione, con picchi di grondante rock/metal alternativo come l’opener Roghi Di Idee, Echi e Frequenze, Non Esiste Un Motivo e la splendida Karma, senza dimenticare la splendida cover di Impressioni Di Settembre, storico brano della sempre mai abbastanza lodata Premiata Forneria Marconi.
Per i Metharia un ottimo ritorno che dovrebbe essere nelle corde di chi ama il rock alternativo e dei metallari dotati di sufficiente apertura mentale.

TRACKLIST
1. Roghi di idee
2. Universi distanti
3. Echi e frequenze
4. Un’ultima volta
5. Non esiste un motivo
6. Karma
7. Frammenti
8. Scie chimiche
9. Luce senz’anima
10. Figlio della terra
11. Impressioni di settembre
12. Nephilim

LINE-UP
Raul Volani – Bass Guitar, Vocals
Giuseppe Arena – Guitars
Ciro Cirillo – Bass Guitar
Alessandro Romano – Drums

METHARIA – Facebook

Inititated – World On Fire

Heavy rock di eccezionale fattura per un debutto di altissimo livello.

Concentratevi. Quale gruppo può ancora mancare e quale genere ancora da coprire nello sterminato panorama metal finlandese ? Vi diamo un aiuto, vi diciamo il genere, heavy rock con forti spruzzate anni settanta.

Ebbene sì, questo fanno gli Initiated, al debutto su Svart Recrods. I ragazzi sono guidati da Harri Kuokkannen, un veterano di mille battaglie soniche, già con Hooded Menace, Perikato ed altri, che voleva fare qualcosa di differente e ci è riuscito in pieno. Il gruppo è completato da musicisti che sono anche loro dei volti noti nel sottobosco finlandese, ma che provengono tutti da esperienze musicali diverse. Ascoltando il disco si rimane stupiti dal suono, una vera botta adrenalinica anni settanta-ottanta, suonata come se fosse un incrocio tra Mc5, Dictators e i Black Sabbath post Ozzy, con moltissimi assoli azzeccati ed un suono mai sentito prima, con echi anche del punk anni settanta, tendente al rock. Insomma la Svart ha fatto un altro colpo. Il loro suono è molto fisico e sensuale, esattamente come le donne degli anni settanta, anche se il doom ogni tanto fa capolino, nonostante World On Fire sia veloce. Tutto può mutare velocemente, con un’accelerata delle chitarre ed una rullata spaziale, e il gruppo impone il suo suono con prepotenza e savoir faire che sa di heavy bars anni settanta. Non c’è mera imitazione, ma un modo di fare rock che trae ispirazione da certe situazioni musicali. Il disco è davvero entusiasmante,e spicca ancora di più in un panorama di pedissequa riproposizione degli anni settanta. Un debutto al fulmicotone, al grido di vivi veloce e muori giovane, che rallenta solo per parlare di un cuore infranto, perché in fondo questi heavy rockers hanno un cuore tenero. Heavy rock di eccezionale fattura per un debutto di altissimo livello.

TRACKLIST
1. Celebrate the Dead
2. Thirst 04:32
3. Acts of Flesh
4. The Touch
5. Black Light
6. One Step Too Far
7. Seed of Evil
8. World on Fire
9. Rites of Passage

LINE-UP
Harri Kuokkanen – Vocals
Jaakko Hietakangas – Guitar
Timo Ketola – Bass
Mårten Gustafsson – Drums

INITIATED – Facebook

Atten Ash – The Hourglass

The Hourglass non cede mai per intensità emotiva e stupisce per la sua qualità a prova di comparazione: non c’è infatti un solo brano che non meriti d’essere ricordato o che non contenga momenti di memorabile ed evocativo lirismo.

Non è mai troppo tardi per recuperare un bel disco, anche se questo è stato edito per la prima volta come autoproduzione nel 2012, per essere poi riproposto tre anni dopo dalla Hypnotic Dirge: The Hourglass, infatti, è in assoluto uno dei migliori lavori scaturiti dalla scena doom death statunitense nell’ultimo decennio.

Va premesso subito che nascondere o negare le affinità degli Atten Ash con i Daylight Dies è piuttosto difficile e, anche se volessimo passare sopra alle caratteristiche del sound, troviamo una stessa provenienza geografica (il North Carolina) e addirittura un membro in comune (il chitarrista Barry Gambling).
Dopo di che, fatte le debite premesse, l’ascolto di The Hourglass regala il doom death melodico alle sue massime potenzialità, con tanto di certificato sonoro da esibire alla bisogna come See Me… Never, una canzone a dir poco meravigliosa che ricorda non tanto qualcuno ma qualcosa, ovvero quanto questo genere musicale sia inimitabile nel suo offrire emozioni a profusione.
The Hourglass non cede mai per intensità emotiva e stupisce per la sua qualità a prova di comparazione: non c’è infatti un solo brano che non meriti d’essere ricordato o che non contenga momenti di memorabile ed evocativo lirismo.
Se non siamo ai livelli di A Frail Becoming (che uscì nello stesso anno), poco ci manca, e anche per questo non serve parlare oltre di questo disco, che va solo ascoltato e goduto in ogni suo attimo in attesa che gli Atten Ash ritornino alla ribalta con un nuovo e sospirato full length (che, a quanto pare, dovrebbe essere in via di realizzazione).

Tracklist:
1. City in the Sea
2. See Me… Never
3. Not as Others Were
4. Song for the Dead
5. Born
6. First Day
7. Waves of Siloam
8. The Hourglass

Line-up:
Barre Gambling – Guitars, Keyboards
James Greene – Vocals (clean), Guitars, Bass, Drums
Archie Hunt – Vocals (harsh)

ATTEN ASH – Facebook

Grossty – Crocopter

I Grossty escono dai soliti cliché per superare i confini del genere e costruendosi una precisa identità, all’insegna del divertimento sfrenato, di allusioni pornografiche e tanta brutalità.

Ventuno brani per ventiquattro minuti di velocissimo e devastante grindcore, tanto basta ai Grossty per incendiare i vostri lettori musicali e distruggervi i padiglioni auricolari.

Il gruppo di Bangalore (India) licenzia tramite la Transcending Obscurity India questo violentissimo primo album, dopo un paio di split, ed il risultato è una bomba sonora che amalgama sotto il segno del grind più efferato, punk, hardcore ed un’attitudine rock’n’roll irriverente e divertentissima.
Un’esplosione di violenza sotto forma di brani che in generale non superano i due minuti, ventuno botte di adrenalina che non fanno prigionieri.
Si passa da sfuriate grindcore classiche a mitragliate dove il punk rock prende il comando delle ritmiche, alzando l’appeal e la qualità di questo bastardissimo bombardamento musicale.
Alternando il growl brutal alle urla hardcore, i Grossty escono dai soliti cliché per superare i confini del genere e costruendosi una precisa identità, all’insegna del divertimento sfrenato, di allusioni pornografiche e tanta brutalità.
A livello di influenze si parla più di generi che di band singole, un punto in più per il quartetto indiano, perciò se siete amanti dei suoni che prendono spunto dal grindcore non perdetevi Crocopter, il divertimento è assicurato.

TRACKLIST
1.Brink
2.Zit
3.Laugh at their Lives
4.Burn Baby Burn
5.Cop Hand
6.Corporate Gigolo
7.Crocopter
8.Death Roll
9.Saltie
10.Froggy the Killa
11.Get Grinded
12.Gounder Grind
13.Mermaid Marriage
14.Proud to be a Pervert
15.Lunch Skipper
16.Pussy Bun
17.Mouthful of Mayonnaise
18.Jesus Christ
19.Rawr
20.Crocking
21.Tortoise on the Tree

LINE-UP
Zit
Orphan
Lalge
Kuchi

GROSSTY – Facebook

L’Incendio – L’Incendio

Questi ragazzi hanno una concezione molto avanzata del metal e, partendo da un death metal originale, vi aggiungono novità, riuscendo a creare un suono davvero inusuale.

Debutto per questa metal band di Imola, nata dalle ceneri dei Xipe Totec.

Questi ragazzi hanno una concezione molto avanzata del metal e, partendo da un death metal originale, vi aggiungono novità, riuscendo a creare un suono davvero inusuale. I loro riferimenti sono difficile da dare, perché sconfinano in vari sottogeneri del death, ma i nomi non sono importanti. L’importante è che abbiamo tra le mani un debutto notevole, tecnico e potente, con ottimi intarsi di melodia. Il gruppo suona molto bene e con una produzione con più mezzi a disposizione in sede di produzione riuscirebbe a far risaltare maggiormente il tutto. Si alternano parti più pesanti a pezzi con un respiro più ampio, il tutto di ottima qualità. Le idee sono tante ed in qualche frangente la voglia di fare porta la band a strafare, ma sono tutti segnali positivi. Dischi come questo, di qualcosa che può essere definito metal trasversale, sono quelli che regalano maggiori soddisfazioni. Le canzoni di L’Incendio seguono composizioni che sono strutturate in maniera progressive, a volte con il superamento della ripetizione strofa-ritornello, andando più in là. Le sperimentazioni di giovani band sono sempre da seguire con attenzione, e qui partendo da una buona tecnica si va a cercare in profondità. Il disco è molto interessante ed accende una notevole attesa per le loro prossime prove. Alcune cose devono essere aggiustate, ma con questo talento e con questa forza di volontà si possono fare grandi cose.

TRACKLIST
1.Zion Ruins
2.Immanent
3.The Abyss
4.Smile On!
5.The Nation of Dreams
6.YouTumor
7.5 is the new 6 /
8.Zatemniat
9.L’Incendio part 1 & 2

L’INCENDIO – Facebook

Vultures Vengeance – Where the Time Dwelt In

Il sacro fuoco dell’heavy metal scorre nelle vene e nello spartito dei romani Vultures Vengeance, alfieri del più canonico ma affascinante esempio di puro metallo direttamente dagli anni ottanta.

Il sacro fuoco dell’heavy metal scorre nelle vene e nello spartito dei romani Vultures Vengeance, alfieri del più canonico ma affascinante esempio di puro metallo direttamente dagli anni ottanta.

Attivi dal 2009 i quattro cavalieri metallici hanno finora dato alle stampe un solo demo, Rising, che ha trovato estimatori soprattutto in Germania e Giappone, feudi metallici di lungo corso.
Dopo sette lunghi anni dalla nascita del combo, arriva tramite la Gates Of Hell Records un nuovo lavoro in formato ep, Where The Time Dwelt In che, a fronte di una produzione scarsa o definibile da molti old school, convince, emoziona e lascia intravedere un gruppo con molte frecce da scagliare in ambito classico.
Quattro cavalcate metalliche all’insegna di una neanche troppo velata epicità, una dichiarazione di guerra al metal moderno fatta di solos taglienti, atmosfere guerresche e fiere dichiarazioni d’intenti: portare nel nuovo millennio il più puro ed incontaminato heavy metal.
Warlord e Iron Maiden sono i numi ispiratori, un vocalist che comanda le operazioni con il giusto carisma (Tony T. Steele), ed un songwriting molto ispirato, fanno di questo ep un cult per tutti gli appassionati.
Quattro tracce ispiratissime, con On A Prisoner’s Tale una spanna sopra alle altre, che mantengono una media molto alta e con lo strumentale Where The Time Stands Still che la dice lunga sulla qualità della musica del gruppo romano.
Questo ep, se prodotto con tutti i crismi sarebbe risultato una bomba: ci accontentiamo, anche perché non so quanto la cosa sia voluta dalla band, ma rimane l’assoluto valore dei brani che compongono l’opera e che svernicia molti degli album sentiti nel genere negli ultimi tempi.

TRACKLIST
1. Intro
2. A Curse From Obsidian Realm
3. And The Wind Still Screams His Name
4. On a Prisoner’s Tale
5. Where The Time Stands Still

LINE-UP
Tony T. Steele – vocals, guitars
Matt Savage – bass
Nail – guitars
K Khel – drums

VV.AA. – Live at Wacken 2015 – 26 Years Louder Than Hell

Wacken da anni non vi fa mancare nulla, andarci almeno una volta nella vita dovrebbe essere un dovere per ogni metallaro degno di questo nome, ma ci si può accontentare anche di queste splendide iniziative.

Come ogni anno i primi di Agosto nella piccola località di Wacken, su a nord della Germania, vicino ad Amburgo viene consumato per tre giorni il rito metallico per antonomasia (almeno dal 1990), il festival metal più grande del mondo, una città di musica dura costruita tutte le estati in modo da consentire ai metal fans di vivere per circa settantadue ore il loro sogno.

Il Wacken Open Air è diventato negli anni una sorta di Mecca per chiunque ami l’hard & heavy, soddisfacendo tutti i tipi di palati dai più estremi a quelli più melodici, dai cultori dell’old school ai metallers con il rock’n’roll nel cuore ed una birra nella mano, con palchi sempre più mastodontici, scalette che lasciano poche ore di sonno e una quantità di gruppi che non troverete in nessun altro festival al mondo.
Quest’anno si è svolta la ventisettesima edizione con sempre il tutto esaurito già dall’inizio dell’anno ed un organizzazione come sempre impeccabile.
Nel frattempo la UDR, in collaborazione con gli organizzatori del festival, non ha fatto mancare il lussuoso cofanetto che immortala una buona fetta dei gruppi che hanno calcato il palco l’anno prima, una vera chicca per chi ha avuto la fortuna di presenziare all’evento e per chi, rimasto a casa, vuol respirare virtualmente l’atmosfera di questo storico paradiso metallico.
Composto da un doppio cd/dvd, 26 Years Louder Than Hell glorifica con immagini bellissime ed un suono perfetto non solo le apparizioni più significative, ma tutto quello che il Wacken è per il mondo del metal e dell’hard rock.
Settantacinquemila persone in questa pianura persa nel nord Europa, le piogge che non risparmiano mai il pubblico trasformando in un mare di fango le aree concerti, la positività di un mondo lungi dagli stereotipi che lo accompagnano da sempre, commuovono, mentre i gruppi sul palco non si risparmiano consapevoli dell’importanza epocale dell’evento.
In questo dvd a livello musicale troverete una varietà di generi assolutamente unica, valorizzata come detto da immagini e suono che senz’altro valgono l’acquisti dell’opera.
Dall’heavy metal dei maestri Judas Priest e Uli Jon Roth, al death scandinavo di Amorphis e In Flames, all’hard rock pregno di blues dei nuovi Europe e The Answer, dal thrash metal degli inossidabili Death Angel, al brutal dei Cannibal Corpse.
Insomma Wacken da anni non vi fa mancare nulla, andarci almeno una volta nella vita dovrebbe essere un dovere per ogni metallaro degno di questo nome, ma ci si può accontentare anche di queste splendide iniziative.

TRACKLIST
01. JUDAS PRIEST – Painkiller
02. IN FLAMES – Paralyzed
03. IN FLAMES – Everything’s Gone
04. AMORPHIS – My Kantele
05. AMORPHIS – Magic And Mayhem
06. RUNNING WILD – Under Jolly Roger
07. RUNNING WILD – Riding The Storm
08. BEYOND THE BLACK – Rage Before The Storm
09. BEYOND THE BLACK – Songs Of Love And Death
10. ARCHITECTS OF CHAOZ – Horsemen
11. ARMORED SAINT – Left Hook From Right Field
12. ANNIHILATOR – Creepin’ Again
13. ANNIHILATOR – Alison Hell
14. DEATH ANGEL – Voracious Soul
15. DEATH ANGEL – Buried Alive
16. EXUMER – Possessed By Fire
17. BURGERKILL – Under The Scars
18. SABATON – To Hell And Back
19. SABATON – Night Witches
20. DANKO JONES – The Twisting Knife
21. DANKO JONES – Full Of Regret
22. ULI JON ROTH – Dark Lady
23. ULI JON ROTH – Virgin Killer
24. THE POODLES – Night Of Passion
25. EUROPE – War Of Kings
26. EUROPE – The Second Day

DVD2 / Blu-ray 2:
01. BIOHAZARD – How It Is
02. BIOHAZARD – Punishment
03. KATAKLYSM – As I Slither
04. KATAKLYSM – To Reign Again
05. CANNIBAL CORPSE – Scourge Of Iron
06. CANNIBAL CORPSE – Evisceration Plague
07. CRADLE OF FILTH – Burn In A Burial Gown
08. CRADLE OF FILTH – Cruelty Brought Thee Orchids
09. ANAAL NATHRAKH – Idol
10. SKINDRED – Kill The Power
11. SKINDRED – Proceed With Caution
12. OOMPH! – Augen auf
13. OOMPH! – Gott ist ein Popstar
14. SANTIANO – Gott muss ein Seemann sein
15. SANTIANO – Lieder der Freiheit
16. IN EXTREMO – Himmel und Hölle
17. IN EXTREMO – Feuertaufe
18. KÄRBHOLZ – Ich hör mir beim Leben zu
19. GODSIZED – Welcome To Hell
20. THE ANSWER – Raise A Little Hell
21. MY DYING BRIDE – Turn Loose The Swans
22. MANTAR – Into The Golden Abyss
23. SAVAGE MACHINE – Prisoners Of War (METAL BATTLE)
24. BLAAKYUM – Baal Adon (METAL BATTLE)
25. METAPRISM – Reload (METAL BATTLE)
26. WALKWAYS – Half The Man I Am (METAL BATTLE)
27. VESPERIA – Iron Saga (METAL BATTLE)

CD1:
01. JUDAS PRIEST – Painkiller
02. IN FLAMES – Paralyzed
03. AMORPHIS – My Kantele
04. RUNNING WILD – Under Jolly Roger
05. BEYOND THE BLACK – Rage Before The Storm
06. ARCHITECTS OF CHAOZ – Horsemen
07. ARMORED SAINT – Left Hook From Right Field
08. ANNIHILATOR – Alison Hell
09. DEATH ANGEL – Buried Alive
10. EXUMER – Possessed By Fire
11. BURGERKILL – Under The Scars
12. SABATON – To Hell And Back
13. DANKO JONES – Full Of Regret
14. ULI JON ROTH – Virgin Killer
15. THE POODLES – Night Of Passion
16. EUROPE – War Of Kings

CD2:
01. BIOHAZARD – How It Is
02. KATAKLYSM – To Reign Again
03. CANNIBAL CORPSE – Evisceration Plague
04. CRADLE OF FILTH – Burn In A Burial Gown
05. ANAAL NATHRAKH – Idol
06. SKINDRED – Proceed With Caution
07. OOMPH! – Gott ist ein Popstar
08. SANTIANO – Gott muss ein Seemann sein
09. IN EXTREMO – Himmel und Hölle
10. KÄRBHOLZ – Ich hör mir beim Leben zu
11. GODSIZED – Welcome To Hell
12. THE ANSWER – Raise A Little Hell
13. MY DYING BRIDE – Turn Loose The Swans
14. MANTAR – Into The Golden Abyss
15. SAVAGE MACHINE – Prisoners Of War (Metal Battle)
16. BLAAKYUM – Baal Adon (Metal Battle)
17. METAPRISM – Reload (Metal Battle)
18. WALKWAYS – Half The Man I Am (Metal Battle)
19. VESPERIA – Iron Saga (Metal Battle)

WACKEN OPEN AIR – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=CVPQdFYSVi8

Stench Price – Stench Price

Venti minuti di musica fuori dagli schemi e alquanto coraggiosa, da ascoltare e valutare con la dovuta calma, ma sicuramente meritevole della dovuta attenzione.

Un’esplosione di suoni e colori che vanno dal rosso sangue del grind più estremo a quelli che formano un arcobaleno di tonalità, come i generi ripresi, samba, bossa e lounge music.

Venti minuti alle prese con in un sound che più eccentrico non si può, accompagnati dai tre musicisti che formano la band dei Stench Price (Peter Shallmin al basso, Max Konstantinov alla sei corde e Romain Goulon alle pelli) più una serie di ospiti che si danno il cambio al microfono in questo che è l’esordio.
Sei brani e sei collaborazioni illustri, come Danny Lilker (Nuclear Assault, SOD, Brutal Truth) su Living Fumes che da inizio alle danze, devastante nella sua parte estrema, irresistibile quando i ritmi si fanno caldi e danzerecci.
Si continua ad esplorare metal estremo e musica tradizionale, mentre Rogga Johansson, Karina Utomo, Dave Ingram (Benediction, Bolt Thrower), Max Phelps (Exist, Cynic), Shawn Knight si danno il cambio su questi sei deliri estremi che spaziano per i generi con un tocco progressivo, ricordando le opere dei Cynic e Atheist, anche se il metal qui è molto più estremo.
I pezzi sono stati registrati, mixati e masterizzati all’interno dei leggendari The Morrisound Recordings Studios di Tampa, per un risultato eccellente.
Un’opera controversa che la si ama o la si odia, ma che non lascia sicuramente indifferenti, venti minuti di musica fuori dagli schemi e alquanto coraggiosa, da ascoltare e valutare con la dovuta calma, ma sicuramente meritevole della dovuta attenzione.

TRACKLIST
1. Living Fumes (ft. Dan Lilker of Brutal Truth)
2. Furnaces Burn (ft. Rogga Johansson of Paganizer)
3. Pressure (ft. Karina Utomo of High Tension)
4. 4.27.15 (ft. Max Phelps of Cynic)
5. The Genocide Machine (ft. Dave Ingram of Hail of Bullets)
6. The Vitality Slip (ft. Shawn Knight of Child Bite)

LINE-UP
Peter Shallmin – Bass
Max Konstantinov – Guitars
Romain Goulon – Drums

Danny Lilker (Nuclear Assault, SOD, Brutal Truth)
Dave Ingram (Benediction, Bolt Thrower etc.)
Shawn Knight (Child Bite)
Rogga Johansson (Ribspreader, Paganizer, Demiurg)
Max Phelps (Exist, Cynic, Death DTA Tours)
Karina Utomo (High Tension)

STENCH PRICE – Facebook

Brujeria – Pocho Aztlan

Certamente, per mantenere un discreto livello qualitativo come in questo disco, il progetto non potrà durare all’infinito, ma finché le prove sono queste, que viva Brujeria.

E’ quantomeno curioso come a volte la musica superi la realtà.

I Brujeria sono nati scherzando, ma in breve, anche grazie ai fintamente sconosciuti componenti, sono diventati qualcosa che è andata ben la di là delle loro aspettative. Da ormai più di vent’anni rappresentano un unicum nel panorama mondiale del metal, portando alla ribalta il Messico e le sue sanguinose dinamiche. Se ne parla poco in Europa,a noi piacciono le spiagge di sabbia fine e lo sfruttamento buonista, ma il Messico è probabilmente il paese più violento del mondo. Nel paese chicano si può sparire o venire ammazzati per ogni motivo, e i cartelli che controllano il paese sono tra i più sanguinari al mondo. Ma Messico è anche zapatisti ed Ezln, che offre qualche speranza ai campesinos, insomma è un grande stato con grandissime contraddizioni. Tutto ciò si riflette in quello che sarebbe dovuto essere uno scherzo di breve durata per musicisti già impegnati con altri gruppi, ma che invece poi si è tramutato in qualcosa di vero e di potentissimo durante i concerti. Pocho Aztlan è il loro ultimo disco, e viaggia sull’onda dell’ottimo successo riscosso dal gruppo nel loro ultimo tour. Questo disco non aggiunge né toglie nulla a ciò che già sapevamo dei Brujeria, ma è come al solito una mazzata molto salutare, perché a volte prendere degli schiaffi fa bene, specialmente se a darli sono i Brujeria. Certamente, per mantenere un discreto livello qualitativo come in questo disco, il progetto non potrà durare all’infinito, ma finché le prove sono queste, que viva Brujeria. In Pocho Aztlan la violenza riservata ai cabrones è sempre molta, ma forse questo disco è quello maggiormente hardcore del gruppo, con una fortissima influenza dei Napalm Death, con cui i Brujeria sono solidamente gemellati. La loro musica non lascia mai tregua, con quei mid tempo e doppia cassa volante a cui non si può proprio resistere. Un disco di buon livello per un’entità che continuerà a tagliare teste, specialmente quella di Trump, che è poi la stessa faccia della medaglia di Hillary Clinton.

TRACKLIST
1. Pocho Aztlan
2. No Aceptan Imitaciones
3. Profecia del Anticristo
4. Angel de la Frontera
5. Plata o Plomo
6. Satongo
7. Isla de la Fantasia
8. Bruja
9. Mexico Campeon
10. Culpan la Mujer
11. Codigos
12. Debilador

LINE-UP
Fantasma – Bass, Vocals (backing)
Hongo – Guitars
Pinche Peach – Samples, Vocals (backing)
Juan Brujo – Vocals, Lyrics
Pititis – Vocals (female), Guitars, Vocals (backing)
El Cynico – Bass, Vocal

BRUJERIA – Facebook

Wendigo – Initiation

I Wendigo, se sapranno sviluppare ed amalgamare l’elemento stoner con l’hard rock di scuola australiana, nel prossimo futuro ci faranno divertire non poco.

L’hard rock di ispirazione settantiana ha trovato in questi ultimi anni, anche grazie al successo dello stoner rock, nuova linfa vitale, così da accontentare gli amanti del genere stufi dei soliti nomi, ormai molti sepolti da una spessa coltre di polvere.

Anche quest’anno non sono mancati una manciata di lavori che si sono ritagliati una spazio importante nei cuori dei rockers sparsi per il mondo e neppure nuove realtà che si sono affacciate per la prima volta su di un mercato in continuo fermento.
Questa giovane band tedesca, al suo primo lavoro autoprodotto, non manca di sorprenderci con tre brani che vanno a formare il loro primo ep Initiation.
Nati pochi anni fa come cover band di Ac/Dc e ZZ Top, i Wendigo finalmente escono con musica tutta loro, ed il risultato è senz’altro positivo.
Il loro hard rock pesca a piene mani dalle atmosfere settantiane, ma senza fermarsi al solo copiare una data band, colmano il loro sound di sfumature hard rock (Ac/Dc), southern rock’n’roll (ZZ Top) e stoner così da risultare freschi e vari nell’approcciarsi al genere.
La prima traccia infatti (Play It) è un classico rock robusto alla Ac/Dc con ritmiche dal buon appeal ed il cantato maschio e ruvido che dona quel tocco bluesy al pezzo.
Sail On ha nel giro di basso stonerizzato il suo motore ritmico, mentre il brano prende una piega statunitense e ci prepara a quella che è la traccia migliore dell’ep.
Holy Hypocrite, infatti è una danza stoner nel bel mezzo del deserto, i ritmi si dilatano in una lavica andatura prettamente stoner rock, mentre i nostri si trasformano in sacerdoti di cerimonie illegali.
Non male questo ep, specialmente nell’ultimo brano:  i Wendigo, se sapranno sviluppare ed amalgamare l’elemento stoner con l’hard rock di scuola australiana (non solo la band dei fratelli Angus, ma anche Rose Tattoo), nel prossimo futuro ci faranno divertire non poco.

TRACKLIST
1.Play It
2.Sail On
3.Holy Hypocrite

LINE-UP
Jörg Theilen-Vocals
Eric Post-Guitars
Jan Ole Möller-Vocals, guitars
Lennard Viertel-Bass, vocals
Steffen Freesemann-Drums

WENDIGO – Facebook

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Blind Marmots – Spore

Una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno.

Ritroviamo i padovani Blind Marmots due anni dopo l‘ep d’esordio autointitolato: questo nuovo Spore è di poco più lungo ed arriva dopo diversi cambi di formazione che, alla fine, paiono aver dato dei buoni risultati.

La band fagocita, rumina e restituisce (meglio non sapere attraverso quale orifizio) svariate influenze che fanno capo al rock e al metal alternativo, lasciando sul terreno un melting pot di stoner, sludge, grunge, funky, psichedelia, che si rivela piuttosto organizzato nonostante l’ approccio scanzonato alla materia possa far temere, in prima battuta, il contrario.
Ne deriva così una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno: i Blind Marmots manifestano apertamente il proprio atteggiamento ironico e pungente (in questo vedo una certa similitudine con gli alassini Carcharodon), a partire da testi che ci portano a spasso tra maniaci incendiari, marmotte, topolini, sbronze e conseguenti minzioni, ma ciò non impedisce loro di fare molto sul serio a livello musicale, visto che la mezz’oretta scarsa che ci vene offerta riesce a lasciare il segno specialmente nei primi tre brani, davvero eccellenti nella loro spontanea robustezza e molto più diretti rispetto a restanti, pervasi invece da un più accentuato mood psichedelico
Il potenziale per emergere c’è tutto, ma è chiaro quanto non sia semplice in un settore piuttosto frequentato e nel quale, al di là dello spingere in una direzione musicale piuttosto che in un’altra, il rischio è quello di restare confinati allo status di band divertente (e non c’è dubbio alcuno che il quartetto padovano lo sia), specie dal vivo.
Ma, immaginando che quest’obiettivo, peraltro ampiamente raggiunto, sia una delle priorità per i Blind Marmots, in attesa di risentirli all’opera magari su lunga distanza, non resta che unirci alla loro invocazione: Dio salvi la marmotta!

Tracklist:
1. Pyromaniac
2. God Save The Marmot
3. Mice In The Attic
4. The Hangover
5. Pissing
6. Storm

Line-up:
Carlo Titti – Lead Guitar
Ale “Teuvo” – Voice
Luca Cammariere – Drums
Pietro Gori – Bass

BLIND MARMOTS – Facebook