Tormentor – Morbid Realization

Il songwriting di buon livello permette all’album di non perdere mai l’attenzione da parte dell’ascoltatore, con un lotto di canzoni che arrivano subito al sodo, pesanti come incudini, violente, morbose e valorizzate da ritmiche vincenti.

Bella sorpresa questi Tormentor, gruppo tedesco che fa del thrash metal di ottima fattura e che arriva al secondo lavoro sulla lunga distanza tramite la Iron Shield.

Passati i dieci anni di attività il quartetto aveva già dato modo in passato di non passare inosservato, con il primo demo ….Lesson In Aggression sponsorizzato nientemeno che Mille Petrozza, sommo sacerdote del teutonic thrash metal.
Se il primo album (Violent World) aveva accontentato tutti, la furia che non si placa neanche in questo Morbid Realization, un fulgido esempio di thrash metal sulla scia dei Kreator.
Il bello di questo lavoro è il songwriting di buon livello che permette all’album di non perdere mai l’attenzione dell’ascoltatore, con un lotto di canzoni che arrivano subito al sodo, pesanti come incudini, violente e morbose (come da titolo) e valorizzate da ritmiche vincenti.
Certo, la devozione ai Kreator è totale, con il singer che praticamente è la copia carbone del buon Mille, ma ritengo che sia l’unico difetto dei Tormentor, perché nel complesso il Morbid Realization risulta un album ben fatto, adeguato alle attese degli amanti del genere.
Del cantante, Max Seipke (anche chitarrista) abbiamo praticamente detto tutto, non rimane che ricordare l’ottimo lavoro del suo compare Kevin Hauch e della coppia ritmica, formata dal basso di Christian Schomber e dalle pelli distrutte sotto i colpi di Thomas Wedemeyer.
L’album non ha cedimenti, con un thrash metal aggressivo che presenta ottime melodie chitarristiche, cavalcate ritmiche trascinanti (Walk Past Myself) e tanto metallo tedesco, duro come l’acciaio, perfettamente in bilico tra velocità e mid tempo pesantissimi, con una serie di brani a tratti esaltanti (la title track, Burning Empire e Forgotten) ed in grado di lasciare un’espressione maligna sul viso dei fans del thrash metal di scuola Kreator.
In conclusione, un album ben fatto, assolutamente non originale, ma con tutte le caratteristiche per piacere agli amanti del genere, a cui va il mio consiglio all’ascolto.

TRACKLIST
1. Hope
2. Kill with no Excuse
3. Morbid Realization
4. Comprehension Failed
5. Burning Empire
6. Endless Emptiness
7. Forgotten
8. Lurks in the Dark
9. Walk past myself
10. Path to the dark Side

LINE-UP
Thomas Wedemeyer – drums
Christian Schomber – bass
Kevin Hauch – guitar
Max Seipke – voc/ guitar

TORMENTOR – Facebook

Dool – Here Now, There Then

La proposta dei Dool risulta profonda senza sconfinare in soluzioni cervellotiche, e il tutto viene eseguito in maniera esemplare: la spiccata varietà sonora non diviene sinonimo di dispersività, ma si rivela l’elemento decisivo per rendere Here Now, There Then un lavoro adatto ad ascoltatori dal differente background.

Dopo aver fatto conoscenza con i Dool l’anno scorso, in occasione dell’uscita del singolo Oweynagat non era difficile presagire che il loro primo lull length avrebbe potuto lasciato il segno.

La band olandese mantiene le promesse e rafforza l’impressione, avuta allora, di trovarsi al cospetto di un gruppo di musicisti di livello superiore: se poteva esserci un minimo dubbio in considerazione del fatto che azzeccare un singolo brano capita a molti, poi incapaci di mantenere uno stesso standard su lunga distanza, era stata la versione acustica del brano a farmela considerare una vera e propria epifania di un nuovo talento.
Oweynagat è presente in Here Now, There Then solo nella sua versione canonica ed il lavoro è, appunto, del tutto all’altezza del suo brano trainante: come detto all’epoca, non deve destare stupore neppure il fatto che tale opera sia pubblicata da una band all’esordio, visto che la line up vede all’opera protagonisti piuttosto conosciuti della scena underground olandese, tra cui membri di band come The Devil’s Blood e Gold, oltre alla più nota Ryanne van Dorst.
Non c’è dubbio che una vocalist cosi versatile e dalla spiccata personalità sia un vero valore aggiunto, ma non va sottovalutato l’operato dei suoi degnissimi compagni di viaggio, musicisti davvero sopraffini.
Anche i Dool, come altri gruppi trattati di recente, sono difficili da catalogare, ma affermare che il loro sound, a grandi linee, si snoda lungo coordinate doom, dark e psichedeliche non sarebbe un peccato, per quanto comunque non del tutto appropriato.
La bellezza di Here Now, There Then sta anche nel suo cambiare toni da una traccia all’altra, con episodi trascinanti e dallo sviluppo in progressivo crescendo, come l’opener Vantablack e la già citata Oweynagat, altri magari più ariosi e dal chorus incisivo (Golden Serpents e In Her Darkest Hour), per giungere a canzoni che rimandano in maniera più decisa al gothic dark (She Goat) o alle atmosfere cupe del doom (The Alpha).
La proposta dei Dool risulta profonda senza sconfinare in soluzioni cervellotiche, e il tutto viene eseguito in maniera esemplare: la spiccata varietà sonora non diviene sinonimo di dispersività, ma si rivela l’elemento decisivo per rendere Here Now, There Then un lavoro adatto ad ascoltatori dal differente background.
I Dool, pur a fronte di una storia ancora breve, stanno già ottenendo riscontri importanti ed un’attenzione che li porterà senz’altro ad occupare posizioni di prestigio in diversi festival estivi, in primis al Prophecy Fest di fine luglio: non c’è davvero nulla di fortuito in tutto questo …

Tracklist:
1.Vantablack
2.Golden Serpents
3.Words On Paper
4.In Her Darkest Hour
5.Oweynagat
6.The Alpha
7.The Death Of Love
8.She Goat

Line-up:
Ryanne van Dorst – Vocals/Guitar
Micha Haring – Drums
Job van de Zande – Bass
Reinier Vermeulen – Guitar
Nick Polak – Guitar

DOOL – Facebook

Bolesno Grinje – Grd

I titoli esprimono ovviamente la scelta di utilizzare testi in lingua croata, ma sinceramente è consigliato schiacciare il tasto play e farsi travolgere da questa mezz’ora di carneficina ininterrotta.

Tornano sul mercato i Bolesno Grinje, una vecchia conoscenza della scena estrema croata e nome storico se si parla di grind core.

Nato infatti con l’avvento del nuovo millennio, il gruppo di Pula ha dato alle stampe un buon numero di lavori tra cui otto full length, di cui Grd è l’ultimo devastante parto a base di un grindcore che regala ottimi passaggi vicini al classico death metal e all’hardcore, rendendo il lavoro vario e dalla presa immediata, cosa non facile se si suona questo genere.
Troviamo così doppia voce, testi in lingua madre, una carica violentissima ma con in mano il segreto per fare di questa raccolta di esplosioni e mitragliate estreme un album godibilissimo, non solo per  i fans del grind.
Orecchiabile e composto da un lotto di brani illuminati da un songwriting che nel genere è da considerarsi di livello superiore, Grd è un bombardamento a cui è difficile rinunciare: i Bolesno Grinje modellano la materia con una padronanza fuori dal comune e i brani, pur formando un massacro sonoro di notevole potenza, hanno nella varietà di stili ed influenze (si parla di generi ovviamente) l’arma per vincere la sfida con molte altre realtà dell’underground estremo.
I titoli esprimono ovviamente la scelta di utilizzare testi in lingua croata, ma sinceramente è consigliato schiacciare il tasto play e farsi travolgere da questa mezz’ora di carneficina ininterrotta, con un effetto deflagrante assolutamente garantito.

TRACKLIST
1.Rstrgn
2.Ne vjerujem nikome
3.Autobiografija propasti
4.Genijalci
5.Asimilacija
6.Abortus SS
7.Reakcija
8.Vratite mi mozak
9.Kurve establišmenta
10.Pseudo-grobar
11.Umjetnost je goli kurac
12.Dodimi mi ruku

LINE-UP
Hoc – bass
Jule – guitar
Luze – drums
Angeri – vocal

BOLESNO GRINJE – Facebook

Buffalo Grillz – Martin Burger King

Senza perdersi in cose e pose cervellotiche, i Buffalo Grillz sfornano un disco di grindcore come non si sentiva da tempo, diretto ben prodotto e con quel suono pieno e ben bilanciato tra i bassi e gli alti, che dovrebbe essere la pietra fondante di ogni buon gruppo grind.

I romani Buffalo Grillz danno alle stampe un geniale album di grind con un po’ di thrash qui e là.

Fondati nel 2009 da Enrico Giannone, voce degli Undertakers, e Max Marzocca batterista dei Natron, dopo varie vicissitudini relative alla formazione vedono passare Cinghio, bassista dei meravigliosi Orange Man Theory, dal basso alla chitarra. Questo disco è il terzo nella carriera di quello che si può tranquillamente definire come uno fra i migliori gruppi grind italiani, sia per la potenza espressa che per la grande ironia. I Buffalo Grillz, oltre a rifarsi al nome di una nota catena di ristoranti canadesi, fanno un grind molto potente, debitore della vecchia scuola ma con un suono assai moderno. Nei testi riversano tutta la loro grande cultura italiana e non solo, riuscendo a dare un significato più ampio loro di molti altri gruppi che si prendono molto di più sul serio. Ciò che muove i Buffalo Grillz è la stessa leva che muove noi che scriviamo queste righe, il disagio, quel vecchio e caro amico che ci fa sempre sentire a casa non facendoci mai sentire adeguati a nulla. Che poi, se il mondo è questo, come descritto mirabilmente in questo disco, forse è più normale sentirsi a disagio che a proprio agio. L’ironia dei Buffalo Grillz ha come secondo livello un’analisi impietosa della nostra società ma il tutto è fatto dai romani con un suono potentissimo, molta ironia e un grande stile. Senza perdersi in cose e pose cervellotiche, i Buffalo Grillz sfornano un disco di grindcore come non si sentiva da tempo, diretto ben prodotto e con quel suono pieno e ben bilanciato tra i bassi e gli alti, che dovrebbe essere la pietra fondante di ogni buon gruppo grind. Infatti, per dare una coordinata musicale, possiamo citare Nasum e Napalm Death, fautori di quanto appena descritto.
Si passa da un’incredibile intro a trattati di sodomia e campari, affrontando il clou della cultura italiana con un piglio da pugna al bar, con un suono che riesce sempre ad essere il protagonista assoluto, e non c’è nemmeno un secondo nel disco che non valga la pena ascoltare. Un perfetto connubio di grindcore, ironia e disagio, tanto disagio e questo disco ci piace tantissimo.

TRACKLIST
1. GG AULIN
2. LENNY GRINDVIZT
3. 66SEITAN
4. MARTIN BURGER KING
5. BEVERLY GRILLZ 90666
6. CARNE DIEM
7. FIAT FACTORY
8. CREADLE OF FINDUS
9. SCOOBY DOOM
10. FIORELLA MANNAIA
11. PONZIO PILATES
12. CAMPARI SODOM
13. PUS SPRENGSTEEN
14. LE BESTIE DI SANTANA (OUTRO)

LINE-UP
Tombinor: Insults
Cinghio: Hi Noise
Pacio: Low Noise
Mizio: Blast

BUFFALO GRILLZ – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Viana – Viana

Viana è un album da custodire gelosamente, uno scrigno che racchiude l’essenza dell’hard rock melodico.

Lo scorso anno la mia passione per l’hard rock melodico aveva trovato il suo sfogo nel bellissimo album omonimo degli Shining Line: un album che risplendeva di quelle melodie figlie degli anni ottanta e di quel modo di suonare rock che, tra tutti i generi di cui si occupa una webzine rock/metal è di solito il meno curato, specialmente se non si è una realtà dedicata.

Il 2017 non è ancora arrivato alla metà che la Street Symphonies ci regala un altro gioiello melodico, un album che è pura eleganza hard rock tra giochi di tastiere e chorus da arena rock, chitarre finemente metalliche e tanto talento.
Stefano Viana è un chitarrista nostrano, appassionato di hard rock ed heavy metal classico e con un amore smisurato per Randy Rhodes, il che lo porta a dedicarsi anche al lavoro in studio.
L’incontro con Alessandro Del Vecchio, guru del genere nel nostro paese e non solo, lo spinge a comporre il suo primo album solista nel 2009, aiutato da una manciata di musicisti della scena; motivi personali fermano purtroppo il musicista che può riprendere i lavori solo lo scorso anno, così che Viana può finalmente vedere la luce.
Sempre con l’aiuto di Del Vecchio in veste di cantante e co-produttore, Francesco Marras alla chitarra, Anna Portalupi al basso, Alessandro Mori alla batteria, Gabriele Gozzi alle backing vocals e Pasquale India alle tastiere, il chitarrista corona dunque il sogno di pubblicare il disco autontitolato, sicuramente sofferto, ma bellissimo esempio di AOR composto da un lotto di brani che, in altri tempi, sarebbero volati nelle classifiche di settore o cantati dal pubblico nelle serate live, in arene luccicanti di quel rock che fa ancora rabbrividire di emozioni.
Un confetto questo album, ricco di solos luccicanti, di una performance di Del Vecchio da brividi, di chitarre che nelle ritmiche non si fanno pregare e graffiano da par loro, e di sontuose tastiere che aprono arcobaleni su cui passeggiare ascoltando una serie di melodie vincenti: si parte dall’opener Straight Between Our Hearts, passando per Feel Your Love Tonight, l’aggressiva Night Of Fire dai rimandi dell’epoca americana di un Coverdale ringiovanito dalla cura losangelina, fino alle bellissima Living in A Lie e dai ritmi Open Road.
Viana è un album da custodire gelosamente, uno scrigno che racchiude l’essenza dell’hard rock melodico, fatelo vostro e scioglietevi.

TRACKLIST
1. Straight Between Our Hearts
2. Bad Signs
3. Feel Your Love Tonight
4. Night Of Fire
5. Follow The Dawn
6. A New Love
7. Living A Lie
8. Just To Sing
9. Open Road
10. That Place Is You

LINE-UP
Stefano Viana – Guitars
Alessandro Del Vecchio – Vocals
Francesco Marras – Guitars
Anna Portalupi – Bass
Alessandro Mori – Drums
Gabriele Gozzi – B. Vocals
Pasquale India – Keyboards

VIANA – Facebook

HAEMOPHAGUS

Il video di Deranger, tratto dall’album Stream Of Shadows (Selfmadegod Records).

Il video di Deranger, tratto dall’album Stream Of Shadows (Selfmadegod Records).

Giunti al terzo album dopo quasi 13 anni di onorata carriera nell’under-grind, gli Haemophagus da Palermo confezionano ora il loro lavoro più allucinato e ossessivo. Stream of Shadows, primo lavoro del gruppo dall’uscita del bassista Gas, conterrà infatti 14 nuove tracce di feroce horror metal impregnato di death, grind e thrash. Oltre alle consuete tematiche orrorifiche, il gruppo snocciola incursioni nella fantascienza e nei cortocircuiti logici della mente umana: uomini intrappolati in flipper (Blastmaniacom!), la resistenza del Buddha alle schiere di demoni del Dio della Morte Mara (Innergetic) e scenari distopici di società futuristiche dominate dalla tecnocrazia (Meteor Mind) inaugurano sonorità visionarie riflesse in un sound quanto mai estremo, schizofrenico e sanguinolento. La copertina ad opera di Luis Sendón (Nashul, MacabreE, Obscene Extreme Festival Festival, Collision) sintetizza il concetto senza ricorrere a compromessi. Registrato e mixato ancora una volta a Palermo ai Tone Deaf Studio di Silvio “Spadino” Punzo e masterizzato da Dan Randall ai Mammoth Sound Mastering di Alameda, California (studio noto per il lavoro con Sodom, Ghoul, Spazz, Iron Reagan), Stream of Shadows uscirà il 20 marzo in cd per la polacca Selfmadegod Records e in vinile per tedesca Lycanthropic Chants Records.

Gli Haemophagus nascono a Palermo nel 2004 nel segno dell’adorazione verso nomi immortali come Repulsion, Autopsy, Napalm Death, Carcass, Death, Pungent Stench o Black Sabbath.

Attraverso vari cambi di formazione e con i soli David alla batteria e Giorgio alla chitarra e voce come membri fissi, gli Haemophagus hanno sempre percorso i sentieri più fetidi del death metal, del grindcore e del thrash, pubblicando tre album (Slaves to the Necromancer nel 2009, Atrocious nel 2013, e Stream of Shadows nel 2017) nonché un’ampia manciata di split con gruppi come Agathocles, Bonesaw, Grind Crusher, Repuked e così via.

Un’intensa attività live li ha portati in giro per buona parte d’Europa, con concerti nei principali festival di musica estrema (Obscene Extreme, Inferno Festival, Bloodshed Fest, Blutsvente).

Gorephilia – Severed Monolith

Severed Monolith sarà apprezzato dagli amanti del death metal diretto e distruttivo, perché se si pensa di trovare qualcosa di simile alla melodia è meglio guardare altrove, qui c’è solo massacro.

Stiamo ancora viaggiando a pieno regime per quanto riguarda il filone old school del death metal: le band che si affacciano nel mondo estremo underground sono, nella maggior parte dei casi, ottime eredi dei gruppi storici nati negli anni novanta.

I finlandesi Gorephilia fanno parte dell’ultima ondata di gruppi dediti alle sonorità classiche, e Severed Monolith segue di cinque anni l’esordio Embodiment Of Death e tre lavori minori mentre si avvicinano al decimo anno di attività.
La band non ha certo perso lo smalto che ne aveva caratterizzato gli inizi, anche questo album corre su ritmiche oscure e devastanti con un occhio particolare per i primi Morbid Angel, senza dimenticare chiaramente la lezione scandinava.
Il quintetto di Vantaa imprime una forza disumana al sound estremo di cui è composto Severed Monolith, creando un lavoro devastante e monolitico, magari non così vario ma dall’impressionate forza d’urto.
Senza compromessi, i Gorephilia ci invitano al massacro, non concedono quasi nulla in melodia e attaccano senza pietà con una serie di brani che hanno nella terribile Black Horns, il punto più sadico di questa carneficina, seguita dalla disumana Return To The Dark Space.
Gli altri brani seguono pedissequamente le coordinate di queste due tracce, con le ritmiche che si mantengono su velocità alte, il growl da demone perverso ed una atmosfera da fine del mondo riscontrabile proprio nei primi lavori dei Morbid Angel.
Severed Monolith sarà apprezzato dagli amanti del death metal diretto e distruttivo, perché se si pensa di trovare qualcosa di simile alla melodia è meglio guardare altrove, qui c’è solo massacro.

TRACKLIST
1. Interplanar 2
2. Hellfire
3. Harmageddon of Souls
4. Words That Solve Problems
5. Black Horns
6. The Ravenous Storm
7. Return to Dark Space
8. Eternity
9. Crushed Under the Weight of God

LINE-UP
Henry Kuula – Vomit
Tami Luukkonen – Bass
Jukka Aho – Guitar
Pauli Gurko – Guitar
Kauko Kuusisalo – Battery

GOREPHILIA – Facebook

Tim Bowness – Lost In The Ghost Of Light

Un album ad esclusivo uso e consumo dei fruitori del prog rock moderno e della musica gravitante attorno a Steve Wilson.

Quarto album solista per Tim Bowness, cantante e autore inglese che molti progsters ricorderanno nei No-Man in compagnia del leader dei Porcupine Tree Steve Wilson.

L’artista si circonda di una manciata di nomi altisonanti della musica progressiva mondiale come Ian Anderson, Andrew Keeling, Stephen Bennet (Henry Fool), Colin Edwin (Porcupine Tree), Brice Soord (The Pineapple Thief) tra gli altri, e con Steve Wilson dietro alla consolle crea questo concept sulla vita di un musicista e tutto ciò che circonda il mondo.
Il progressive rock di Tim Bowness è delicato, suadente, moderno nella concezione ma purtroppo monocorde: le canzoni, alcune comunque davvero belle, alla lunga non decollano e rimangono impantanate in un rock d’autore ma nulla più.
Manca la canzone che traini l’album, assolutamente obbligatoria anche in un genere come il progressive rock, nel quale le derive moderne hanno portato la musica su territori pericolosissimi, dove la linea tra un capolavoro atmosferico ed intimista ed una lenta agonia musicale è sottilissima.
Peccato, perché a tratti l’ascolto è piacevole anche se non si va mai oltre il compitino con melodie pinkfloydiane, accenni al gruppo di Wilson ed un rock semiacustico a cui manca una melodia che distolga dall’andamento monotematico che, dalla prima canzone, attanaglia questo Lost In The Ghost Of Light.
Certo è che se il concept si ispira alla vita di un musicista a fine carriera, musicalmente viene descritto più il nostalgico canto del cigno che non le bizze di gioventù: nel finale, You Wanted To Be Seen si pone come picco più alto del disco, essendo una traccia ariosa e ritmicamente più varia rispetto all’andamento generale dell’album, che risulta così ad uso e consumo dei soli fruitori del prog rock moderno e della musica del gruppo di Steve Wilson.

TRACKLIST
01. Worlds Of Yesterday
02. Moonshot Manchild
03. Kill The Pain That’s Killing You
04. Nowhere Good To Go
05. You’ll Be The Silence
06. Lost In The Ghost Light
07. You Wanted To Be Seen
08. Distant Summers

LINE-UP
Tim Bowness
Colin Edwin (Porcupine Tree)
Bruce Soord (The Pineapple Thief / Katatonia)
Hux Nettermalm (Paatos)
Stephen Bennett (Henry Fool / No-Man)
Andrew Booker (Sanguine Hum / No-Man)

Ian Anderson (Jethro Tull)
Kit Watkins (Happy The Man / Camel)
Andrew Keeling (Hilliard Ensemble / Robert Fripp)
Steve Bingham (Ely Sinfonia / No-Man)
David Rhodes (Peter Gabriel / Kate Bush / Scott Walker)

TIM BOWNESS – Facebook

Groupie High School – …Ladies & Gentlemen

…Ladies & Gentlemen ci presenta gli sleazy glam rockers Groupie High School, una band pronta per l’importante passo del full length che sicuramente non tarderà, sotto l’ala della Atomic Stuff.

La Scandinavia non è solo terra di metal estremo ma in essa prospera anche una radicata scena hard rock.

Da un po’ di anni pure i suoni sleazy e street vi hanno trovato la tana per leccarsi le ferite dopo gli anni di autodistruzione del periodo ottantiano, con la Finlandia che è entrata prepotentemente in gioco con una serie di band tra le quali questi Groupie High School sono uno dei più esplosivi esempi.
La Atomic Stuff, label nostrana dal gran fiuto quando si parla di queste sonorità, non se li è fatta scappare ed ora …Ladies & Gentlemen, secondo ep autoprodotto, ci viene proposto in tutta la sua esplosiva carica rock ‘n’ roll, o come lo volete chiamare, un’irresistibile scarica elettrica di sleazy, street, glam metal irriverente, a suo modo ignorantissimo e dalla carica sessuale di un toro da monta.
Sei brani più un’intro recitata, una ventina di minuti abbondanti in balia delle note infuocate sul Sunset Boulevard, un missile sparato tra le chiappe dei benpensanti al ritmo indiavolato di un party losangelino.
E mentre gentili donzelle godono lascive sotto i colpi dell’ ambigua Chick With The Flips, il metal sporcato dalla polvere della strada di Liquid Lunch ci porta sotto un palco di un qualsiasi locale, perso nella notte, mentre i gruppi storici che hanno fatto la storia della scena vengono passati in rassegna con le note ruffiane della ballad Hard To Breathe, scontata quanto si vuole ma perfetta per sciogliere le ultime resistenze della signorina bionda inquadrata a lato palco.
L’attitudine c’è, la voglia di sfondare pure, il talento tutto scandinavo per queste sonorità non manca di certo, confermato dall’irresistibile This Is How We Say Goodbye, brano che si prende lo scettro di top song dell’ep, dal piglio punk, robusta ed aggressiva il giusto per sfondare crani in sede live, mentre un piano indiavolato in sottofondo tiene il brano ancorato al rock’n’roll.
Navy Blue ha un approccio molto vicino all’hard rock melodico e conclude con un tocco raffinato: …Ladies & Gentlemen, album che ci presenta una band pronta per l’importante passo del full length che sicuramente non tarderà.

TRACKLIST
01. Ladies & Gentlemen (Intro By Bruce Buffer)
02. Chicks With The Flips
03. Liquid Lunch
04. My Medicine Woman
05. Hard To Breathe
06. This Is How We Say Goodbye
07. Navy Blue (Bonus Track)

LINE-UP
Vinny Olavi – Vocals
Matt Nitro – Guitars
Smippe Youngblood – Guitars
Jay Mickey – Drums
Wegster – Bass

GROUPIE HIGH SCHOOL – Facebook

LOATHE

Il video di It’s Yours, tratto dall’album The Cold Sun in uscita ad aprile (SharpTone Records)

Il video di It’s Yours, tratto dall’album The Cold Sun in uscita ad aprile (SharpTone Records)

Il collettivo sperimentale di Liverpool, LOATHE, è lieto di annunciare il nuovo video e singolo “It’s Yours”.

“Volevamo un brano che facesse da ponte al divario di ciò che pensavamo la gente si aspettasse e ciò che volevamo fare noi per il disco. Con “It’s Yours”, abbiamo guardato al processo creativo in modo un po’ differente rispetto a come facevamo solitamente ed è il brano che unisce tutti i punti stilistici.“ afferma Erik Bickerstaffe dei LOATHE. “Per il video ci siamo messi sotto i riflettori, per dare un volto al nostro nome. Zak ha lavorato a stretto contatto con noi quando è stato il momento di perfezionare tutti i dettagli riguardanti l’estetica e siamo davvero felici del risultato ottenuto.”

I LOATHE hanno recentemente annunciato il loro atteso album debutto »The Cold Sun«, che sarà pubblicato via SharpTone Records il 14 Aprile 2017.

I LOATHE sono un collettivo di 5 persone, formatosi nell’artisticamente acclamata città portuale inglese di Liverpool. Il loro album debutto »The Cold Sun« ne è forte e arguta testimonianza. Il quintetto, con questa dichiarazione d’intenti, esprime apertamente le proprie convinzioni; un’ode al tempo che stiamo vivendo e al torbido futuro che ci troveremo tutti ad affrontare.

»The Cold Sun« è un concept album; 35 minuti per addentrarsi nel profondo di un’oscura e post-apocalittica storia. Il disco segue le vite parallele di due protagonisti, che vivono in un futuro distopico, affranti dalla tragedia e dalla sempre imminente apocalisse.

“Il nostro processo di scrittura varia da canzone a canzone, ma solitamente è uno di noi che ha la visione iniziale di quello che andremo a creare. Poi ciascuno aggiunge il proprio input che completa l’opera” afferma Shayne Smith, quando gli viene chiesto dell’approccio del quintetto ai loro lavori.

Per »The Cold Sun«, i LOATHE sono volati ai Glow In The Dark Studios ad Atlanta, Georgia per registrare sotto l’attento occhio di Matt McClellan (UNDEROATH, THE DEVIL WEARS PRADA, BEING AS AN OCEAN,…).

Il risultato è una cronaca ben compiuta ed enigmatica, un’indubbia oeuvre passionale colma di precisione tecnica, ambientazioni sinistre e rabbia amara. I LOATHE offrono un’architettura musicalmente complessa che intreccia post-punk, hardcore, heavy electronics, djent e deathcore con un lato prog…fondendo le loro trame sonore con un’angosciante e surreale entità che ti porta nel profondo degli abissi.

FULL LEATHER JACKET

Il video di Mrs.Revenge, tratto dall’album Forgiveness Sold Out, in uscita ad aprile (Red Cat Records)

Il video di Mrs.Revenge, tratto dall’album Forgiveness Sold Out, in uscita ad aprile (Red Cat Records)

I FULL LEATHER JACKETS presentano il nuovo videoclip “Mrs. Revenge”, quinta canzone dell’album “Forgiveness Sold Out”, in uscita ad Aprile per Red Cat Records.

La band presenterà l’album live Sabato 8 aprile al
Gran Caffè Tiziano, Pieve di Cadore.
Qui l’evento:
https://www.facebook.com/events/1242840159144538/

Spitefuel – Sleeping With Wolves

Primo singolo per i tedeschi Spitfuel: le premesse ci sono tutte, le potenzialità pure, non ci resta che aspettare fiduciosi consigliando l’ascolto agli amanti del rock duro vecchia scuola.

Una nuova band si affaccia sul panorama hard rock europeo, in particolare quello tedesco da sempre sensibile ai suoni rock ipervitaminizzati.

Gli Spitefuel, quintetto formato per tre quinti da ex componenti degli Strangelet, debuttano per la MDD con questo singolo composto dal brano Sleeping With The Wolf, un agguerrito hard rock che pesca tanto dalla tradizione europea quanto da quella statunitense, con tanto di teschio e cilindro alla Slash che fa da mascotte al gruppo di
Heilbronn, ed altre due tracce, la massiccia e ruvida Never Surrender e la versione orchestrale di Sleeping With The Wolf arrangiata da Arkadius Antonik (SuidAkra, Realms Of Odoric).
Che dire se non benvenuti a questi rockers tedeschi? I due brani intrigano parecchio, l’ approccio è diretto, e lasciando al loro destino le orchestrazioni del terzo brano che tanto sa di riempitivo, ci consegnano una nuova band che sa il fatto suo e che potrebbe riservare delle gradite sorprese al prossimo eventuale debutto sulla lunga distanza.
Le premesse ci sono tutte, le potenzialità pure, non ci resta che aspettare fiduciosi, e consigliare l’ascolto agli amanti del rock duro vecchia scuola.

TRACKLIST
1. Sleeping With Wolves
2. Never Surrender (Re-recorded)
3. Sleeping With Wolves (Orchestral)

LINE-UP
Stefan Zörner – Vocals
Tobias Eurich – Guitar
Timo Pflüger – Guitar
Finn Janetzky – Bass
Björn-Philipp Hessemüller – Drums

SPITEFUEL – Facebook

Lethe – The First Corpse On The Moon

Non esiste un solo buon motivo per rinunciare ad un’ora di musica di tale livello.

Close your eyes, open your mind, and let the music take you on a musical journey through different moods … è senz’altro il caso di seguire il consiglio della My Kingdom, attiva etichetta italiana che ha il merito d’aver acquisito i servigi, tra gli altri, di questi meravigliosi Lethe, progetto musicale che vede una sorta di alleanza tra musicisti norvegesi e svizzeri.

Infatti, attorno ai due protagonisti principali, lo scandinavo Tor-Helge Skei (Manes e Manii) e l’elvetica elvetica Anna Murphy (Eluveitie, Nucleus Torn), ruotano musicisti per lo più provenienti dalle loro rispettive band e troviamo, quindi, da una parte Eivind Fjøseide (chitarra), Tor Arne Helgesen e Rune Hoemsnes (batteria) e Asgeir Hatlen (voce), tutti gravitanti attorno al nucleo dei Manes, e dall’altra Fredy Schnyder (piano, Nucleus Torn) e Ivo Henzi (chitarra, ex Eluveitie).
Questo particolare connubio dà vita ad un lavoro di spessore non comune come The First Corpse On The Moon (il secondo nella discografia dei Lethe), difficile da inquadrare in un genere specifico anche perché il sound fluttua liberamente tra le intuizioni di Skei e la voce splendida della Murphy: tale presupposto consente di passare senza controindicazioni dagli accenni rap di Down Into The Sun (con l’ospite K-Rip) all’opprimente oscurità di My Doom, dalle melodie cristalline della title track all’incalzante crescendo di Snow, per arrivare ad altre due gemme di incommensurabile bellezza come Wind To Fire e With You.
L’intreccio tra le voci di Asgeir Hatlen e Anna Murphy rasenta la perfezione, con il caldo timbro del cantante norvegese che supporta la particolare voce della sirena svizzera, una sorta di Bjork meno estrema nei suoi vocalizzi ma ugualmente coinvolgente e, a tratti, commovente (in With You la sua interpretazione raggiunge un’intensità emotiva spasmodica).
Il senso di smarrimento che si fonde alla visionarietà, nell’artwork creato dall’ormai onnipresente Costin Chioreanu, ben rappresenta gli umori che l’album esprime, e che vanno forse anche oltre le attese degli ascoltatori più esigenti.
E’ proprio l’imprevedibilità che non impedisce, però, lo snodarsi di un filo conduttore melodico sempre definito, il tratto distintivo che eleva quest’opera al rango degli ascolti irrinunciabili per chi ricerca nella musica bellezza e talento fusi in maniera mirabile. Nessun esorcismo, neppure quello evocato dal titolo della traccia conclusiva, ci impedirà d’essere letteralmente posseduti dalla voce di Anna e dall’estro di Tor-Helge: davvero, non esiste un solo buon motivo per rinunciare ad un’ora di musica di tale livello.

Tracklist:
1. Night
2. Inexorbitant Future
3. Down Into The Sun
4. My Doom
5. Teaching Birds How To Fly
6. The First Corpse On The Moon
7. Snow
8. Wind To Fire
9. With You
10. Exorcism

Line up:
Line Up: Tor-Helge Skei: guitars, bass, sampling, programming, synths, lyrics
Anna Murphy: vocals, hurdy-gurdy, programming, synths, lyrics

Guest musicians:
Eivind Fjøseide: guitars;
Tor Arne Helgesen: drums;
Rune Hoemsnes: drums;
Asgeir Hatlen: vocals;
Tom Christian Engelsøy: additional vocals;
Richard Spooner: spoken voice;
K-Rip: rap;
Fredy Schnyder: piano;
Shir-Ran Yinon: violin ensemble;
Ivo Henzi: additional guitars;
Mark Cunningham: trumpets;
P Emerson Williams: sounds & vocal effects;
Rune Folgerø: vocal effects;
Andi Dobler: lyrics;
Torstein Parelius: additional lyrics

LETHE – Facebook

Lucifer’s Fall – II Cursed & Damned

Il nuovo album dei Lucifer’s Fall alza non poco il giudizio su questo quintetto di doomsters australiani, rendendosi più che appetibile per gli amanti della musica del destino di stampo classico.

Tornano con il secondo album sulla lunga distanza i doomsters australiani Lucifer’s Fall: II Cursed & Damned segue il primo album omonimo uscito tre anni fa, anche se ci eravamo occupati del gruppo di Adelaide solo in occasione dell’uscita dell’ep Fuck You We’re Lucifer’s Fall lo scorso anno.

Le cose cambiano notevolmente rispetto a quella che era, di fatto, una raccolta di brani in versione demo, più tre inediti che non avevano impressionato il sottoscritto, mentre alla riprova su lunga distanza la band ne esce molto meglio, e l’album si può certamente considerare un buon esempio di heavy doom sulla scia di Pentagram, Candlemass , Count Raven e degli onnipresenti Black Sabbath.
La produzione gioca un ruolo fondamentale per l’ascolto del cd, essendo stata davvero poco soddisfacente nel lavoro precedente e rivelandosi invece più esplosiva oggi, specialmente per quanto riguarda le ritmiche.
Dell’ep precedente vengono riprese l’inno (Fuck You) We’re Lucifer’s Fall e l’ottima Mother Superior, che funge da opener, il resto dell’album sono brani scritti per l’occasione e che, come da tradizione Lucifer’s Fall, spaziano dal lentissimi e liturgici esempi di doom classico (Cursed Priestess, The Mountain Of Madness e l’ evocativa The Necromancer), a tracce che si specchiano nell’ hard & heavy settantiano rifacendosi il trucco con pennellate derivanti dal decennio successivo, valorizzandole con bordate di doom dai tratti epici (Mother Superior, The Invocator/Cursed Be Thy Name).
Come detto la storia cambia non poco rispetto all’ep, con la produzione che valorizza il buon songwriting del gruppo ed una raccolta di brani che, dall’opener passando per l’epic doom di The Mountain Of Madness e la lunga The Necromancer alzano non poco il giudizio su questo quintetto di doomsters australiani, rendendo II: Cursed & Damned un ascolto consigliato agli amanti della musica del destino di stampo classico.

TRACKLIST
1. Mother Superior
2. Damnation
3. The Mountain of Madness
4. Cursed Priestess
5. (Fuck You) We’re Lucifer’s Fall
6. The Necromancer
7. Sacrifice
8. The Invocator / Cursed Be Thy Name
9. Homunculus

LINE-UP
Deceiver – Bass, Guitars, Vocals
Unknown and Unnamed – Drums
Cursed Priestess – Bass
The Invocator – Guitars
Heretic – Guitars

LUCIFER’S FALL – Facebook

Azarath – In Extremis

In Extremis è un disco che merita grande attenzione e riverserà sopra di voi un’immensa potenza di fuoco, risultando moderno ma possiede anche un suono che riporta all’epoca d’oro del death metal.

Torna una delle bestie musicali più immonde della pia Polonia, ed è un ritorno molto gradito quello degli Azarath.

Il gruppo è stato fondato nel 1998 nella cittadina polacca di Tczew, e l’unico membro fondatore è il batterista Inferno, che altri non è che il batterista dei più famosi e altrettanto polacchi Behemoth fin dall’anno 1998, ed è tuttora attivo con loro. E gli Azarath sono appunto una delle maggiori band polacche attualmente in circolazione, e se ascolterete In Extremis capirete facilmente il perché. Il disco è un diluvio di ottimo death black metal, con un approccio, tanto per intenderci, alla maniera dei primi Morbid Angel, con il suono altrettanto rassomigliante a quello dei Behemoth o dei Marduk, ma in realtà il tutto è molto Azarath. In Extremis arriva sei anni dopo Blasphemer’s Maledictions uscito nel 2011, ed è un disco davvero estremo e potente. Il suo suono è un death con venature black soprattutto nell’impianto chitarristico, ma rimane comunque sempre fortemente death. La cosa più importante è che non troverete tregua in questo assalto guidato dalla potente batteria di Inferno, sempre puntuale e decisiva, e tutto il gruppo lo segue perfettamente, aiutato da una produzione molto precisa e mirata sul suono. Gli Azarath non sono l’ennesimo gruppo death black, e nemmeno il passatempo di Inferno, sono semplicemente uno dei gruppi più potenti in circolazione, forti di un suono peculiare, alfiere della via polacca al death metal, e più in generale alla musica estrema. In Extremis è un disco che merita grande attenzione e riverserà sopra di voi un’immensa potenza di fuoco, risultando moderno ma possiede anche un suono che riporta all’epoca d’oro del death metal.

TRACKLIST
1. The Triumph of Ascending Majesty
2. Let My Blood Become His Flesh
3. Annihilation (Smite All the Illusions)
4. The Slain God
5. At the Gates of Understanding
6. Parasu Blade
7. Sign of Apophis
8. Into the Nameless Night
9. Venomous Tears (Mourn of the Unholy Mother)
10. Death

LINE UP
Inferno – Drums
Bart – Guitars
Necrosodom – Guitars, Vocals
Peter – Bass

AZARATH – Facebook

Captain Crimson – Remind

La scuola hard rock scandinava dona ai suoi ammiratori un altro gruppo da venerare: Remind, uscito nel 2016, si può certamente considerare come uno dei lavori più riusciti arrivati alla base negli ultimi mesi.

Per molti il ritorno in auge dei suoni vintage è quanto di più obsoleto e privo di originalità possa esistere nel mondo del metal e del rock, ma per una grossa fetta di consumatori abituali di musica le varie scene, oggi, godono di una tradizione old school che mantiene vivo il legame tra la musica del vecchio millennio e le nuove sonorità (che poi tanto nuove non sono) degli anni duemila.

Nell’hard rock classico non è una novità, il genere è tra tutti quello più legato ai suoni dei mostri che incendiarono gli anni settanta e la Scandinavia da questo lato fa la voce grossa, prendendosi a spallate con la scena statunitense e molte volte avendo la meglio, con band e album che entusiasmano non poco.
I Captain Crimson provengono da Örebro, città dalla forte tradizione hard blues, arrivano con Remind al terzo lavoro e in barba ai detrattori sparano una decina di colpi ad altezza uomo di hard rock blueseggiante e legato ben stretto al periodo settantiano.
Niente di nuovo direte voi, i Rival Sons, i The Answer e i Blues Pills, tanto per fare alcuni esempi, lo fanno già da un po’ e sono riusciti, insieme ad altri gruppi, ad uscire dall’underground per impregnare di rock blues le classifiche del settore, ma è indubbio che il gruppo svedese sia una bomba pronta ad esplodere facendo scivolare nell’ombra i più famosi (per ora) rivali.
Remind è un tripudio di musica settantiana dove il blues di Zeppelin e Bad Company incontra atmosfere sabbathiane come la moda di oggi impone, così da rendere il tutto rituale e stonerizzato il giusto per sciogliere i cuori dei rockers degli anni 2000.
Tocca vette altissime questo lavoro (l’opener Ghost Town, il blues della splendida Money, Drifting), mentre la patina laccata di certe produzioni lascia spazio ad una carica selvaggia , ereditata dai primi Led Zeppelin e nascosta tra richiami ora ai Black Crowes ora ai Blue Cheer.
La scuola hard rock scandinava dona ai suoi ammiratori un altro gruppo da venerare: Remind, uscito nel 2016, si può certamente considerare come uno dei lavori più riusciti arrivati alla base negli ultimi mesi

TRACKLIST
01. Ghost Town
02. Bells From the Underground
03. Love Street
04. Black Rose
05. Money
06. Drifting
07. Remind
08. Let Her Go
09. Alone
10. Senseless Mind

LINE-UP
Stefan Lillhager – Vocals
Andreas Eriksson – Guitars
Mikael Lath – Drums
Chris David – Bass

CAPTAIN CRIMSON – Facebook

childthemewp.com