Svipdagr – To Torment the Men

To Torment the Men è un lavoro appannaggio di chi ama il black metal a prescindere, anche se va detto che i momenti di interesse superano ampiamente quelli che potrebbero lasciare perplessi anche gli ascoltatori più avvezzi al genere.

Etichetta :
Anno : 2017
Titolo (autore + titolo) :
Con gli Svipdagr si piomba in un interpretazione del black metal che più old school di così credo sia difficile immaginare.

Peraltro il trio, nonostante le apparenze del tutto scandinave, e in realtà composto da musicisti spagnoli tra i quali troviamo, con il nome Funedëim, quel Pako Daimler che abbiamo già abbastanza apprezzato sia con i death doomsters Famishgod sia negli Itnuveth.
Proprio questi ultimi sono rappresentati per due terzi negli Svipdagr visto che, assieme al già citato Funedëim, troviamo il chitarrista bassista Volundr con il solo drummer Thanatos a differenziare le line up delle due band.
Il black metal offerto in questo secondo full length intitolato To Torment the Men è quanto mai naif in ogni sua espressione, sia compositiva sia esecutiva, passando per la produzione: il tutto viene proposto in maniera minimale e scarna, con uno screaming che fa sembrare uno come Dani Filth un maestro di bel canto.
Da tutto ciò se ne potrebbe dedurre che l’album sia quantomeno trascurabile: probabilmente lo è per chi abbina la parola musica al virtuosismo tecnico e alla maniacale pulizia dei suoni, non per chi ricerca sensazioni diverse che possono essere veicolate in maniera più diretta e spontanea pur se imperfetta.
Qui gli otto brani portanti, intervallati da quasi altrettanti episodi di ambient orrorifica, possiedono linee melodiche notevoli e si rivelano spesso trascinanti nella loro asciutta linearità.
Decisamente obsoleto se vogliamo, ma di una purezza di intenti raramente riscontrabile, questo secondo parto a nome Svipdagr dovrebbe far breccia in chi apprezza il genere nella sua veste originaria, anche se ritengo che uno screaming meno gracchiante ne avrebbe elevato non poco il livello.
Detto questo, credo sia inutile ribadire che To Torment the Men sia un lavoro appannaggio di chi ama il black metal a prescindere, anche se va detto che, a mio parere, i momenti di interesse superano ampiamente quelli che potrebbero lasciare perplessi anche gli ascoltatori più avvezzi al genere.

Tracklist:
1. Everything
2. The Grace of God
3. Comes from Beyond
4. To Torment the Men
5. Takes Form
6. June 2nd 1348
7. The Famished Shadows
8. Unfinished Spirit
9. Dead Path
10. Under the Underworld
11. The Suffering Turns
12. Traveling in Depth Naked
13. Hell Dark Workshop
14. Your Misery
15. Across the Time

Line up:
Thanatos – Drums
Volundr – Guitars, Bass
Funedëim – Vocals, Guitars

SVIPDAGR – Facebook

Skognatt – Ancient Wisdom

Alla luce della bontà del sound offerto in due tracce come Ancient Wisdom e Xibalba, è maturo il momento per puntare alla pubblicazione di un lavoro a nome Skognatt dal minutaggio più consistente.

Skognatt è il progetto solista di Danijel Zambo, musicista tedesco molto attivo come compositore sia a proprio nome sia anche in ambito pubblicitario e cinematografico; il suo background comunque resta quello metal, ambito al quale si è dedicato negli ultimi anni anche con un’altra sua one man ban deominata Derailed.

In quel caso la materia trattata era un doom/post metal mentre, invece, in Ancient Wisdom , secondo ep come Skognatt, Zambo si dedica ad un black metal atmosferico e, almeno nel caso di questo ep, dai toni piuttosto soffusi.
Le due tracce presentate sono entrambe molto belle, ma in effetti il black metal risiede per lo più in qualche accelerazione e nello screaming del musicista di Augsburg, visto che l’utilizzo prevalente della chitarra acustica e le atmosfere evocative riportano addirittura ai primi Tiamat: niente male, considerando che tra tutti i vari influssi che le band odierne cercano di assorbire dal passato questo non è certo uno dei più saccheggiati.
Danijel Zambo si dimostra un compositore di vaglia, riuscendo peraltro a districarsi con disinvoltura tra album di metal, dai tratti comunque pesanti, ed una ricca produzione solista che svaria dall’elettronica all’industrial fino a più recenti puntate nel trip hop; una versatilità che, comunque non impdisace al nostro di mettere sul piatto un lavoro di metallica qualità, seppur molto breve.
Si può concludere dicendo che, alla luce della bontà del sound offerto in due tracce come Ancient Wisdom e Xibalba, è maturo il momento per puntare alla pubblicazione di un lavoro a nome Skognatt dal minutaggio più consistente.

Tracklist:
01.Ancient wisdom
02.Xibalba

SKOGNATT – Facebook

Usnea – Portals into Futility

Magnifico disco degli statunitensi che raggiungono il loro apice creativo: funeral, sludge e death fusi in modo magistrale.

A tre anni da un ottimo lavoro come Random Cosmic Violence la band statunitense di Portland si ripresenta con una magnifica opera, sempre su Relapse Records.

La band raggiunge, forse, il suo apice creativo, mantenendo il proprio trademark improntato su un suono dove si mescolano funeral-doom, death, sludge e aromi black: gli Usnea non sono i primi a cimentarvisi, ma  lo fanno con grande passione e importante conoscenza della materia; il songwriting è di alto livello e la capacità della band di creare suggestive atmosfere e melodie sempre su una base molto heavy, li fanno primeggiare. I cinque brani, tutti di lungo minutaggio, com’è giusto per il genere proposto, non sono particolarmente complessi ma sono ricchi di idee compositive sempre adeguate e la band si permette di suggerire la lettura di alcune opere distopiche e sci-fi, per meglio metabolizzare la struttura dei brani: ad esempio il brano Demon haunted world, disperato, cupo e opprimente è legato strettamente all’ omonimo libro di Carl Sagan del 1996. Altri scrittori noti e importanti come Frank Herbert (Dune) e Philip Dick (Valis) rappresentano suggestioni importanti per addentrarsi in cangianti brani come Pyrrhic Victory e A crown of desolation: nel primo la pesantezza del suono, l’alternarsi di vocals in scream e growl e l’atmosfera disperata si sfalda lentamente, nella parte centrale, in note cosmiche dove oscure dimensioni creano incubi in cui si smarrisce la memoria di sé. Nel brano finale A crown of desolation, mostro di abbondanti sedici minuti, si sublima la profondità emotiva della band, la devastante disperazione prende il sopravvento e un “io” travolto da minacce arcane perde completamente la speranza di ritrovare fragili equilibri; le vocals urlate, sgraziate accompagnate da un oscuro coro delineano scenari in cui la mente si spegne ed esplode come un nero cristallo impazzito.
Veramente un lavoro magnifico da assaporare lentamente, nota per nota, lasciandosi coinvolgere dalla notevole arte degli Usnea.

Tracklist
1. Eidolons and the Increate
2. Lathe of Heaven
3. Demon Haunted World
4. Pyrrhic Victory
5. A Crown of Desolation

Line-up
Joel Williams Bass, Vocals
Zeke Rogers Drums
Johnny Lovingood Guitars
Justin Cory Guitars, Vocals, Piano

USNEA – Facebook

TDW & Dreamwalkers Inc. – The Antithetic Affiliation

Metal d’autore che ci investe con tutta la sua forza progressiva, tra le trame di brani lunghi ma scorrevolissimi pur nel loro intricato sviluppo.

Il bello del mondo musicale che gira intorno al rock e al metal è che, quando pensi di aver già sentito tutto, arriva l’opera che va a toccare corde che credevi sopite o magari stimolate solo in presenza di musica destinata all’olimpo.

In questo vasto e sorprendente mondo non bisogna mai dare nulla per scontato, quindi ecco che nell’ultimo periodo di questo 2017 che va a concludersi, si presentano uno dietro l’altro lavori di spessore come questo splendida opera progressiva intitolata The Antithetic Affiliation degli olandesi TDW.
La band, nata da un’idea del musicista Tom De Wit e che in sede live prende il nome di Dreamwalker Inc., arriva al settimo album in una quindicina d’anni, un lavoro suddiviso in due cd denominati The Idealist e The Cynic.
Ottanta minuti circa di musica progressive non lasciano dubbi sul talento del musicista olandese e della sua band, aiutato da una serie di ospiti della scena internazionale tra cui il nostro Tommy Talamanca, mente dei fondamentali Sadist, qui alle prese con un solo in Lest We Forget, brano conclusivo della seconda parte.
Anche se non viene nominato sul promo in nostro possesso, Aryen Lucassen e le ultime opere di Ayreon sono il più facile dei confronti con questo mastodontico lavoro, che non lascia spazio alla noia e ci investe con una serie di cambi d’atmosfera che rendono la proposta dei TDW varia e perfettamente in grado di confrontarsi con le icone del progressive dai rimandi metallici e rock, tradizionali, ma aperti a soluzioni anche estreme pur di non lasciare indifferenti gli ascoltatori e, non a cas,o è proprio Lest We Forget a ergersi a sunto compositivo dell’album con i suoi venti minuti abbondanti di durata.
Metal d’autore quindi, una musica totale che ci investe con tutta la sua forza progressiva, tra le trame di brani lunghi ma scorrevolissimi pur ne loro intricato sviluppo (The More We Remember, le due parti di Monolith): ovviamente in un’opera del genere le influenze ed i passaggi più significativi vedono la presenza occulta di nomi storici del genere, passando dai Pink Floyd ai Dream Theater, dai Green Carnation ai Pain Of Salvation con una facilità disarmante.
The Antithetic Affiliation è un altro album che si giocherà il podio tra le migliori uscite dell’anno e noi non possiamo fare nulla di diverso se non raccomandarne l’ascolto.

Tracklist – The Idealist
1.The More We Remember
2.Anthem
3.Lovesong
4.Monolith – The Ascent

Tracklist – The Cynic
1.Monolith – The Descent
2.Aphrodisia
3.Dirge
4.Lest We Forget

Line-up
Tom de Wit – Vocals, Synths, Guitars
Lennert Kemper – Guitars, Vocals
Vincent Reuling – Synths, Vocals
Hanna van Gorcum – Violins, Treble Vielle, Vocals
Norbert Veenbrink – Guitars
Joey Klerkx – Guitars, Vocals
Peter den Bakker – Bass
Kenneth Martens – Drums

Cailyn Erlandsson – Lead Vocals on Dirge
Radina Dimcheva – Lead Vocals on Aphrodisia & The More We Remember
Martine Mussies – Cello on Dirge & Aphrodisia
Dave Mola – Guitar solos on Aphrodisia
Sophie Zaaijer – Violins & Viola on Anthem
Sascha Blach – Demonic Vocals on Lest We Forget
Tommy Talamanca – Guitar Solos on Lest We Forget
Mendel bij de Leij – Guitar Solos on Lest We Forget
Frank Schiphorst – Guitar Solos on Lest We Forget
Thomas Cochrane – Trumpet & Trombone on Lest We Forget
Nienke van der Kamp – Oboe on Lest We Forget & The More We Remember
Bob Wijtsma – Guitar Solos on The More We Remember

TDW – Facebook

Zornheym – Where Hatred Dwells And Darkness Reigns

L’oscurità, l’insanità mentale, l’orrore che diviene un’esperienza traumatica dietro le terribili sbarre di una cella, una gabbia asettica che aliena la mente già posseduta dal demone della pazzia: tradotto in musica il tutto si sviluppa in un black metal sinfonico atmosferico, annichilente, avvincente ed orchestrato a meraviglia.

L’oscurità, l’insanità mentale, l’orrore che diviene un’esperienza traumatica dietro le terribili sbarre di una cella, una gabbia asettica che aliena la mente già posseduta dal demone della pazzia: tradotto in musica il tutto si sviluppa in un black metal sinfonico atmosferico, annichilente, avvincente ed orchestrato a meraviglia da Zorn e i suoi Zornheym.

Where Hatred Dwells And Darkness Reigns è un debutto, licenziato dalla Non Serviam Records che, legate le cinghie alla sedia, vi trascinerà nel reparto psichiatrico più diabolico del mondo, dove i demoni si nutrono della sanità mentale degli uomini per poi scaraventarli in un incubo eterno.
Visioni infernali, aberrazioni umane raccontate con l’ausilio di orchestrazioni sinistre, che si alleano con dosi violentissime di metallo estremo, black metal scandinavo devastante e melodico, dalle sfumature classiche (specialmente nei solos) e dalle voci che passano da pulite allo scream, sottolineando disperazione ed estrema pazzia.
Aiutati da Sverker Widgren (Demonical, Diabolical, October Tide), protagonista di un ottimo lavoro alla console, il quintetto svedese ci regala una quarantina di minuti rinchiusi in questo mondo parallelo dove da anni sono rinchiusi aberranti figure ormai prive di umanità e totalmente corrotte dalla malattia, mentre la musica vola per poi inabissarsi nelle pozze di sangue lasciate da vene strappate con le unghie e con i denti sotto il bombardamento di brani come l’opener The Opposed, la devastante The Silent God, la terrificante Trifecta Of Horrors e la conclusiva, spettacolare Hestia.
Per gli amanti dei suoni estremi dalle suggestive trame orchestrali, in linea con quanto già espresso dagli ultimi Dimmu Borgir , Where Hatred Dwells And Darkness Reigns è un lavoro assolutamente consigliato.

Tracklist
1. The Opposed
2. Subjugation Of The Cellist
3. A Silent God
4. Prologue To A Hypnosis
5. Trifecta Of Horrors
6. And The Darkness Came Swiftly
7. Whom The Nights Brings
8. Decessit Vita Patris
9. Hestia

Line-up
Bendler – Vocals
Zorn – Lead Guitars
Scucca – Guitars
Angst – Drums
TBA – Bass

ZORNHEYM – Facebook

Nephilim’s Howl – Through The Marrow Of Human Suffering

I Nephilim’s Howl risultano credibili nel proporre ognuna delle diverse sfumature stilistiche immesse nell’album, dimostrando una buona varietà compositiva e nel contempo chiarezza di intenti su come sviluppare la propria idea di black doom.

Dal sempre ricco scrigno della I,Voidhanger ecco sbucare una nuova gemma intitolata Through The Marrow Of Human Suffering, opera prima dei finlandesi Nephilm’s Howl.

Il trio presenta un black doom che, se assimila per forza di cose le linee guida basilari fornite dai seminali Bathory, si sposta maggiormente verso un’interpretazione più aspra e nel contempo evocativa in stile Primordial. La splendida seconda traccia, Of Ordeals And Triumph, è abbastanza emblematica in tal senso, andando a lambire in maniera convinta le sonorità tipiche della band irlandese.
Questo accostamento serve sostanzialmente ad inquadrare il sound offerto dai Nephilim’s Howl, perché poi ogni entità dotata di un minimo di personalità fa storia a sé, immettendo nel proprio sound elementi di discontinuità rispetto ai propri modelli: i nostri, infatti, prendendo la mossa dalle basi citate, si muovono obliquamente tra pulsioni post metal (Hate Revelations) o sludge (Against The Worlds That Bind Us), per poi far confluire il tutto in una traccia più complessa ma dannatamente intrigante come la conclusiva Through The Marrow Of Human Suffering I, II & III.
L’album si snoda inizialmente esibendo il proprio lato più intenso ed epico per poi progressivamente incupirsi fino, appunto, ad un finale dagli accenni talvolta claustrofobici: il bello è che i Nephilim’s Howl risultano credibili nell’esibizione di ognuna di queste sfumature, dimostrando una buona varietà compositiva e nel contempo chiarezza di intenti su come sviluppare la propria idea di black doom.
L’interpretazione vocale di Reavhan è efficace in ogni sua veste mentre VJR tesse con sapienza tutte le trame strumentali ben coadiuvato dal lavoro percussivo di AEK, e tutto questo rende Through The Marrow Of Human Suffering un album ineccepibile sotto ogni aspetto, capace di offrire peraltro spunti stilistici molto meno inflazionati di altri: direi che gli elementi per tenere nella dovuta considerazione questo debutto dei Nephilim’s Howl ci sono davvero tutti.

Tracklist:
1. Void Reflections I – Remembrance
2. Of Ordeals And Triumph
3. Hate Revelations
4. Against The Worlds That Bind Us
5. Through The Marrow Of Human Suffering I, II & III

Line-up:
Reavhan – Vocals
AEK – Drums & percussions
VJR – Guitars, bass & synth

NEPHILIM’S HOWL – Facebook

ÆRA – Of Forsworn Vows

Of Forsworn Vows è un’ep già sicuramente esaustivo riguardo alle potenzialità di un nome nuovo come gli ÆRA,  in possesso di tutti crismi per ritagliarsi una posizione di riguardo nella scena black metal.

Buon ep d’esordio per il duo cileno/statunitense ÆRA.

Il musicista sudamericano Ulf Kveldulfsson propone un black metal atmosferico e dalle propensioni viking/pagan sul quale si poggiano le vocals abrasive di Tzel Vae, autore anche dei testi.
Questo primo assaggio che esce in CD per l’etichetta italiana De Tenebrarum Principio (dopo essere stato pubblicato in cassetta in edizione limitata) ci offre una realtà in grado di interpretare con buon piglio e spunti interessanti il genere nelle sue sembianze tipicamente scandinave.
Non so se quello del polistrumentista cileno sia un nickname oppure derivi effettivamente da discendenze nordeuropee, fatto sta che, comunque sia, in entrambi i casi  le sue generalità non appaiono affatto fuori luogo, alla luce dell’ortodossia e la padronanza con la quale viene affrontata la materia.
I tre brani, mediamente sui sette minuti di durata, sono abbastanza esaustivi riguardo alla capacità del duo di esprimere il meglio di un genere esibito con un piglio decisamente diretto, senza divagazioni e focalizzato con buona continuità sulla produzione di atmosfere epiche e solenni: Of Forsworn Vows è un’ep già sicuramente esaustivo riguardo alle potenzialità di un nome nuovo come gli ÆRA,  in possesso di tutti crismi per ritagliarsi una posizione di riguardo nella scena: in tal senso, l’inevitabile prova del nove sarà costituita da un’eventuale prossimo full length sulla cui bontà mi sento già fin d’ora di scommettere.

Tracklist:
1. The Kvlt ov Dream
2. Owls Not What They Seem
3. Thoughts Like Silver Bullets
4. Symmetric Kakophony
5. Leviathan
6. Dunwich Shaman
7. Wanderlvst
8. Valley Ov The Past Lives
9. Her Cosmic Song

Line up:
Tzel Vae – Vocals, Lyrics
Ulf Kveldulfsson – All instruments, Songwriting

ÆRA – Facebook

Corpus Christii – Delusion

Delusion non è solo un lavoro con lo sguardo rivolto al passato, perché il malessere ed il disincanto sono oggi ancor più di allora compagni non graditi dell’umanità, e i Corpus Christii veicolano al meglio tali sentimenti senza trincerarsi dietro produzioni minimali o esecuzioni strumentali approssimative.

Con i Corpus Christii ritorniamo nel fertile sottobosco del black metal portoghese, incontrandone una delle due espressioni più longeve.

Nocturnus Horrendus, al secolo Alexander Mota, è uno dei personaggi di spicco della scena, muovendo i primi passi con i Corpus Christii addirittura già nel secolo scorso, oltre ad essere attivo in altre band tra le quali vanno citati senz’altro i Morte Incandescente.
Delusion è l’ottavo full length per questo suo progetto, nel corso del quale è stato accompagnati da diversi musicisti e che vede oggi quale suo partner J. Goat; a livello stilistico il black che viene qui offerto non presenta particolari peculiarità puntando tutti sull’ortodossia e sull’impatto, facendo propri i modelli scandinavi e restituendone gli spunti in maniera piuttosto fedele.
Proprio questo dato, che a molti potrà apparire un punto debole, è semmai l’aspetto fondamentale che giustifica ampiamente una tale scelta stilistica: quello dei Corpus Christii è IL black metal, cupo, misantropico, incompromissorio e privo di concessioni melodiche o atmosferiche, come forse non si suona nemmeno più nelle lande dove il genere è nato.
Proprio la scena portoghese, come abbiamo già avuto modo di constatare direttamente parlando di una serie di uscite davvero convincenti, in tal senso si può considerare la più degna continuatrice, almeno a livello attitudinale, di quel movimento che all’inizio degli anni ’90 cambiò non poco il modo di intendere e vivere il metal estremo.
Delusion non è però solo un lavoro con lo sguardo rivolto al passato, perché il malessere ed il disincanto sono oggi ancor più di allora compagni non graditi dell’umanità, e Nocturnus Horrendus veicola al meglio tali sentimenti senza trincerarsi dietro produzioni minimali o esecuzioni strumentali approssimative; qui tutto è reso in maniera intelligibile ed adeguata ai tempi, facendo pervenire anche ai più duri d’orecchi un messaggio forte e chiaro: il black metal è sempre vivo e vegeto, e anche chi lo detesta dovrà necessariamente farci i conti per molto tempo ancora.

Tracklist:
1. The Curse Within Time
2. Chamber Soul
3. Become the Wolf
4. I See, I Become
5. Facing Concrete Mountains
6. Seeker of All
7. I Am the Night
8. Near the End
9. Carrier of Black Holes

Line up:
Nocturnus Horrendus – Guitars, Bass, Vocals, Lyrics
J. Goat – Guitars, Bass

CORPUS CHRISTII – Facebook

Tankard – Schwarz-Weiß wie Schnee (Eagles & Tankards)

Dichiarazione d’amore per il football ed in particolare per l’Eintracht Frankfurt Club da parte degli storici Tankard, qui in veste di super tifosi.

Football e metal: due passioni molte volte comuni nella vita di una persona, completamente rapita dalla musica per tutta la settimana per poi trasformarsi in un tifoso sfegatato nel fine settimana.

In Italia, Regno Unito, Spagna e Germania, ma ormai in tutta la vecchia Europa, la passione per il calcio, grazie anche ai canali satellitari e alle nuove regole delle coppe europee, hanno avvicinato i tifosi anche ai campionati fuori dai confini nazionali, con i nomi delle squadre e le loro vicissitudini che sono diventate famigliari, tanto da parlarne in egual misura alle vicende del proprio campionato.
Con gli storici thrashers tedeschi Tankard, freschi di uscita del nuovo album da noi puntualmente recensito e con la title track (One Foot In The Grave) che fa bella mostra di sé anche in questo ep, si diventa tifosi dell’Eintracht Frankfurt Club, storica compagine da sempre protagonista dei campionati professionistici tedeschi e delle coppe europee.
Schwarz-Weiß wie Schnee è una nuova versione dell’ep uscito nel 2006 ed inno della squadra che Gerre e compagni hanno avuto l’onore di suonare prima del calcio d’inizio della finale di coppa contro il Borussia Dortmund, all’Olympic Stadium di Berlino.
Un inno che profuma di pub prima e dopo la partita il sabato pomeriggio, epica dichiarazione d’amore metallica alla squadra del cuore.
Nell’ep è inserita la vecchia versione oltre alla title track del nuovo lavoro, lasciando che (Empty) Tankard, nella versione live del 2016, ci dia l’appuntamento per una nuova release targata Tankard.
Un ep simpatico, ma chiaramente dedicato ai fans della band e della loro squadra del cuore, anche se il video è da pelle d’oca e consigliato a tutti gli appassionati che nel weekend riempono le gradinate degli stadi di tutto il vecchio continente.

Tracklist
1. Schwarz-weiß wie Schnee (Studioversion 2017)
2. Forza SGE
3. Schwarz-weiß wie Schnee (1999er Version)
4. One Foot in The Grave
5. A Girl Called Cerveza
6. (Empty) Tankard (live, 2016)

Line-up
Gerre – Vocals
Andy Gutjahr – Guitars
Frank Thorwarth – Bass
Olaf Zissel – Drums

TANKARD – Facebook

I, Forlorn – My Kingdom Eclipsed

Il death doom offerto in My Kingdom Eclipsed è focalizzato al 100% al richiamo di impulsi emotivi ammantati di malinconia ma non di drammaticità o disperazione, il tutto grazie ad un sempre solido impianto esecutivo che demanda soprattutto alla chitarra solista il compito di delineare le migliori melodie.

Il primo full length del progetto solista denominato I, Forlorn, dietro al quale troviamo il musicista olandese Jurre Timmer, si propone come uno dei debutti su lunga distanza più riusciti in ambito death doom melodico negli ultimi tempi.

My Kingdom Eclipsed è un album nel quale viene sviluppato al meglio il potenziale atmosferico ed evocativo del genere, e ciò avviene attraverso un’interpretazione magistrale sia a livello vocale che strumentale, in aggiunta a doti compositive di primo livello.
Timmer, che in quest’occasione si firma con il nickname I, non è uno sconosciuto nell’ambiente, in quanto attivo già da qualche anno con un altro progetto solista denominato Algos, mentre dalle nostri parti ha collaborato in veste di vocalist alla riuscita del primo album de Il Vuoto, ma non c’è dubbio che quanto fatto con il monicker I, Forlorn lo ponga ancor di più all’attenzione generale.
Il death doom offerto in My Kingdom Eclipsed, pur con qualche sconfinamento nel funeral, è focalizzato al 100% al richiamo di impulsi emotivi ammantati di malinconia ma non di drammaticità o disperazione, il tutto grazie ad un sempre solido impianto esecutivo che demanda soprattutto alla chitarra solista il compito di delineare le migliori melodie.
Chiaramente I, Forlorn non apre un nuovo fronte nel genere ma raccoglie il meglio delle istanze già espresse in passato da Saturnus, Officium Triste, Doom Vs. e When Nothing Remains, mettendo sul piatto un’ora abbondante di musica dolente e coinvolgente che trova il suo picco, come è giusto che sia, nella title track, un monumento di depressiva bellezza che si sublima in un finale davvero toccante.
My Kingdom Eclipsed è un album inattaccabile per qualità e potenziale evocativo, composto da una musicista come Jurre Timmer dotato di quella innata sensibilità che è poi la dote in comune con la fascia di ascoltatori ai quali la sua opera è rivolta.

Tracklist:
1. Behind the Sun
2. House of Glass
3. My Kingdom Eclipsed
4. Hysteria
5. Spiral’s End
6. Through Her Eyes
7. The Fragile Beast
8. Embers

Line up:
I – All instruments, Vocals

I, FORLORN – Facebook

Ariadna Project – Novus Mundus

Un album che conferma come le terre del Sudamerica siano ricche di talenti ed ottima musica metal, continuando una tradizione nei suoni classici che dura e prosegue nel regalare enormi soddisfazioni a chi ama il metal più melodico ed elegante.

Grande musica metal si è suonata e si continua a suonare in Sudamerica, ma questa volta invece del quasi scontato Brasile (specialmente per quanto riguarda i suoni classici) si vola in Argentina, dove sono tornati a produrre musica dopo dieci anni dall’ultimo lavoro gli immensi Ariadna Project, gruppo magari poco conosciuto se non si è cultori attenti del power metal melodico.

La band ha ampiamente dimostrato in passato il proprio talento con la versione internazionale del primo album Mundos Paralelos, uscito nel 2005 e poi trasformato in Parallel Worlds due anni dopo.
Il quintetto argentino torna tramite la sempre più efficace label greca Sleaszy Rider, con questa monumentale opera dal titolo Novus Mundus, un arcobaleno di note heavy power sinfoniche dalle gustose melodie aor mixato da Timo Tolkki (Stratovarius) e Santtu Lehtiniemi (Revolution Renaissance) ai Tolkki Studio in quel di Helsinki e masterizzato da Svante Forsbäck (Rammstein, Apocalyptica, Stratovarius, Sonata Arctica) ai Chartmakers Studios, sempre nella capitale finlandese.
L’album vive di una naturale predisposizione per la melodia, dimostrandosi vincente in ogni frangente, con un’alternanza di brani power/prog eccezionali ed altri in cui l’hard rock melodico prende la mano ai musicisti, con il vocalist Emanuel Gerban che ci delizia con parentesi da arena rock a dir poco entusiasmanti.
Un piccolo capolavoro questo Novus Mundus, molto più Royal Hunt che Stratovarius (tanto per intenderci) ma dove non mancano neppure la grinta, i solos graffianti e le ritmiche che risultano cavalcate in cui le tastiere ricamano sinfonie eleganti ed il singer intona chorus che si stampano in testa al primo ascolto.
Anche se riesce davvero difficile lasciare indietro qualche brano, sicuramente vanno citate la spettacolare ed oscura title track (l’unica traccia atmosfericamente ombrosa del lotto), e poi la cavalcata power sinfonica Unleash Your Fire che apre l’album, le melodie aor di Run Like The Wind e la spettacolare The End Of The Dark, ottimi esempi del fastoso sound del gruppo di Buenos Aires, ma sono sicuro che tra un paio di giorni ne nominerei un altra manciata, talmente alta è la qualità di questo lavoro.
Un album che conferma come le terre del Sudamerica siano ricche di talenti ed ottima musica metal, continuando una tradizione nei suoni classici che dura e prosegue nel regalare enormi soddisfazioni a chi ama il metal più melodico ed elegante.

TRACKLIST
1.Apocalypse 050
2. Unleash Your Fire
3. Run Like The Wind
4. Face My Destiny
5. The End Of The Dark
6. Shining Through Eternity
7. Age Gone Wild
8. Always With Me
9. As I Close My Eyes
10. The Fury Of Your Hate
11. Novus Mundus
12. Dreams Never Die (bonus track)

LINE-UP
Emanuel Gerbam – Vocals
Rodrigo Gudina – Guitars
Alexis Espinosa – Bass
Jorge Perini – Drums
Hernan Vasallo – Keyboards

ARIADNA PROJECT – Facebook

Caligula’s Horse – In Contact

Licenziato da Inside Out, una garanzia nei suoni progressivi, In Contact risulta un album con più luci che ombre ma con diversi dettagli da registrare per la band australiana, che a mio parere ha da fare ancora un po’ di strada prima di arrivare ad ambire ad un posto al sole nel panorama progressivo odierno.

Questa volta non posso esimermi da fare una considerazione per alcuni antipatica: il progressive moderno, che poi in molti casi non è altro che rock/metal alternativo dilatato e con soluzioni ritmiche prese in prestito dal tanto vituperato prog metal (alla Dream Theater, per intenderci) che ormai si può tranquillamente definire classico, sta arrivando ad un punto di non ritorno.

Mentre viene sempre più accettato nell’ambiente del prog che conta, le band che veramente fanno la differenza si contano sulle dita di una mano: il resto è buona musica, a tratti intimista e lasciata in balia delle tempeste alternative.
Gli australiani Caligula’s Horse si posizionano perfettamente tra le realtà che ambiscono ad un posto di primo piano nel nuovo progressive mondiale e quelle che rischiano inevitabilmente di cadere in uno stagno da dove rimane difficile riemergere, musicalmente e concettualmente parlando.
Attivi da ormai sette anni, i nostri arrivano al traguardo del quarto album con In Contact, un lavoro che come si diceva rimane incastrato tra il progressive moderno ed il metal, un palazzo di note che crolla ed imprigiona il sound in schemi ormai abusati da gruppi più o meno noti e giunti alla ribalta negli ultimi tempi.
Grande preparazione strumentale, ghirigori ritmici, qualche buona idea ma un sentore di già sentito pervade l’ascolto già dalle prime note dell’opener Dream the Dead.
Non fraintendetemi, In Contact è un buon lavoro e non mancherà di trovare estimatori negli amanti del rock progressivo e di band come Karnivool e Tesseract, però manca l’ispirazione vincente, quella che porterebbe a giudicare con più entusiasmo brani già di per sé buoni come Songs For No One, Fill My Heart o la conclusiva suite Graves.
Licenziato da Inside Out, una garanzia nei suoni progressivi, In Contact risulta un album con più luci che ombre ma con diversi dettagli da registrare per la band australiana, che a mio parere ha da fare ancora un po’ di strada prima di arrivare ad ambire ad un posto al sole nel panorama progressivo odierno.

Tracklist
01. Dream the Dead
02. Will’s Song (Let the Colours Run)
03. The Hands are the Hardest
04. Love Conquers All
05. Songs for No One
06. Capulet
07. Fill My Heart
08. Inertia and the Weapon of the Wall
09. The Cannon’s Mouth
10. Graves

Line-up
Jim Grey – lead vocals
Sam Vallen – lead guitar
Adrian Goleby – guitar
Dave Couper – bass & vocals
Josh Griffin – drums

CALIGULA’S HORSE – Facebook

Wormwood – Ghostlands: Wounds from a Bleeding Earth

La band di Stoccolma ci trasporta nel proprio mondo, molto meno oscuro e misantropico rispetto alle abitudini del genere, privilegiando invece un impatto più diretto e ricco di ampie aperture epiche e melodiche.

Dalla Svezia ecco arrivare i Wormwood, portatori di un black metal melodico e dalle sfumature viking/folk.

Come sempre, in questi casi l’attenzione va posta sulla bontà compositiva ed esecutiva della proposta piuttosto che sulla sua originalità e, in tal senso, Ghostlands: Wounds from a Bleeding Earth non delude affatto: in circa un’ora la band di Stoccolma ci trasporta nel proprio mondo, molto meno oscuro e misantropico rispetto alle abitudini del genere, privilegiando invece un impatto più diretto e come detto ricco di ampie aperture melodiche.
L’album si snoda con grande efficacia, specialmente nei più efficaci ed incalzanti brani iniziali, lasciando sfogare al meglio una magnifica vena epica che, dopo una parte centrale pervasa maggiormente da una componente folk, con la comunque bella accoppiata Silverdimmans återsken / Tidh ok ödhe, per poi riprendere nuovamente con un incedere dai tratti più marcatamente viking.
Il fatto stesso che Rydsheim, chitarrista e fondatore della band assieme alla copia ritmica Borka/Jothun, suoni stabilmente dal vivo negli storici Månegarm non è certo un caso, e il risultato fa capire come l’influsso dei nomi più importanti sia stato sicuramente ben assimilato, perché non accade così frequentemente che un full length d’esordio si dimostri così maturo e ben focalizzato a livello compositivo.
Peccato solo che il posizionamento in scaletta, subito dopo l’intro, di un brano perfetto e di sfolgorante bellezza come The Universe Is Dying finisca leggermente per offuscare con la sua luce il resto di un lavoro che si mantiene, costantemente, su una soglia d’eccellenza senza denotare particoloari cali di tensione.
I Wormwood, con Ghostlands:Wounds from a Bleeding Earth, si propongono come nuovi potenziali protagonisti della fertile scena viking/folk black scandinava.

Tracklist:
1. Gjallarhornet
2. The Universe Is Dying
3. Under hennes vingslag
4. Godless Serenade
5. Oceans
6. Silverdimmans återsken
7. Tidh ok ödhe
8. Beneath Ravens and Bones
9. The Windmill
10. What We Lost in the Mist
11. The Boneless One
12. To Worship

Line up:
Borka – Bass
Johtun – Drums
Nox – Guitars
Rydsheim – Guitars
Nine – Vocals

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Caronte – Yoni

Yoni è musicalmente molto ricco e avrà una lunga durata nei vostri stereo, perché ha tante stanze e passaggi segreti come il castello di un alchimista, anche perché questa è alchimia in musica, così su disco come nel vostro cervello, e viceversa.

Terzo album per la band parmense dei Caronte, uno dei nomi di punta italiano non solo del panorama sludge stoner: Yoni è il terzo capitolo della trilogia dedicata alla sciamanesimo e a Crowley e la sua legge di Thelema.

I Caronte sono uno dei pochi gruppi realmente interessati e competenti dell’occulto nelle sue accezioni più vere. Il gruppo suona uno sludge stoner in continuo mutamento, compatto e molto influenzato dalla psichedelia pesante degli anni settanta. L’atmosfera creata dalla band è una felice e tenebrosa aura nera che si espande come un funghetto allucinogeno nel nostro cervello, e ci fa rivolgere l’attenzione verso le cose nascoste che stanno fuori e dentro di noi. Rispetto ai dischi precedenti Yoni è musicalmente più psichedelico e stoner, con uno svolgimento strutturato in maniera simile alle altre opere, ma risultando ugualmente un importante capitolo a sé. In netta controtendenza rispetto a ciò che ci offre la nostra società, i Caronte ci offrono gli elementi che riportano la musica alle sue originarie funzioni catartiche e di coadiuvatrice dei misteri. In Yoni c’è un mondo che si trova alla nostra portata, dobbiamo solo cambiare il nostro cervello e la visione davvero ristretta che abbiamo del mondo, ricercando archetipi soffocati per troppo tempo. Per ottenere ciò i Caronte fanno un disco che colpisce al cuore chi ama la musica fatta con totale immedesimazione e competenza: qui ogni canzone è da esplorare con profondità e il gruppo dà alle stampe il proprio album migliore e più accessibile. In realtà tutta la produzione dei Caronte è ottima, e questo è un ulteriore passo in avanti. Si rimane colpiti da queste visioni e dalla profondità della loro musica, che ha molteplici livelli di fruizione e di lettura. Yoni è molto ricco e avrà una lunga durata nei vostri stereo, perché ha tante stanze e passaggi segreti come un castello di un alchimista, anche perché questa è alchimia in musica, così su disco come nel vostro cervello, e viceversa.

Tracklist
01. ABRAXAS
02. Ecstasy Of Hecate
03. Promethean Cult
04. Shamanic Meditation Of The Bright Star
05. TOTEM
06. The Moonchild
07. V.I.T.R.I.O.L

Line-up
Dorian Bones – Voice
Tony Bones – Guitars & Chorus
Henry Bones – Desecrator Bass
Mike De Chirico – Drums

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Wait Hell In Pain – Wrong Desire

Un lavoro riuscito e personale, che prende forza da più generi per trovare il suo equilibrio in un metal moderno e progressivo, senza rinunciare a sfumature estreme come il tema trattato: Wrong Desire è tutto questo, e non è poco.

Torniamo a parlare della Revalve Records, label sempre attenta alle realtà rock e metal che si aggirano sul nostro territorio, in occasione dell’uscita del debutto sulla lunga distanza dei Wait Hell In Pain, quintetto proveniente dalla capitale attivo da una manciata d’anni.

E’ infatti il 2011 l’anno di nascita del gruppo da un’idea della coppia di musicisti formata dal chitarrista Stefano Prejanò e della cantante Kate Sale.
I soliti avvicendamenti nella line up, che attanagliano molte band agli inizi, portano all’attuale formazione ed alla creazione di Wrong Desire, album scritto nel 2016 ed ora sul mercato a portare un po’ di freschezza a quello che di fatto è un buon esempio di metallo progressivo, moderno e contaminato da sfumature alternative e hard & heavy.
Incentrato su tematiche forti come l’abuso e la violenza sulle donne (anche dal lato psicologico), Wrong Desire risulta un album duro, pressante ma splendidamente melodico, dove hard rock, dark e prog metal si uniscono per donare alla protagonista May la forza di liberarsi dal suo aguzzino, mentre le chitarre sono corde che si strappano dai polsi, le tastiere tessono ricami progressivi o tappeti elettronici (la parte più moderna del sound) e la sezione ritmica lavora di potenza mantenendo il lavoro, nel suo complesso, entro i confini del metal.
Kate Sale, senza prendere strade liriche, interpreta i brani con trasporto, graffia quandoi testi descrivono scenari di ribellione, tragici momenti di un’anima tormentata, mentre la musica racconta a modo suo le vicende (anche interiori) della protagonista.
Metal che si fa alternativo e melodico per poi esplodere in rabbiose ripartenze dove i tasti d’avorio fanno da struttura moderna al gran lavoro di chitarra, basso e batteria: questo è  il sound di cui è composto Wrong Desire e le sue nove tracce, tra le quali l’opener Behind The Mask è il singolo in cui le caratteristiche peculiari della musica dei Wait Hell In Pain sono in bella mostra, mentre New Moon è il momento più intenso e She Wolf quello della consapevolezza di non essere più preda, ma splendida predatrice.
Un lavoro riuscito e personale, che prende forza da più generi per trovare il suo equilibrio in un metal moderno e progressivo, senza rinunciare a sfumature estreme come il tema trattato: Wrong Desire è tutto questo, e non è poco.
Tracklist
1.Behind The Mask
2.Castaway
3.Get It Out
4.Lost In Silence
5.New Moon
6.Rain Of May
7.She Wolf
8.The Confession
9.The Last Trip

Line-up
Kate Sale – vocals
Stefano Prejano’ – guitar
Marco “Vonkreutz” Novello – keyboards
Alfonso Pascarella – bass
Stefano “Black” Rossi – drums

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Belphegor – Totenritual

Il gruppo austriaco firma una delle sue opere più nere e potenti, con una produzione davvero magistrale, e perfettamente centrata nel renderne il suono il migliore possibile, addirittura sopra il livello di Black Magick Necromance.

Dopo tre anni di astinenza da Conjuring The Dead ritorna la congrega austro satanica nota nei grimori come Belphegor.

Dal lontano 1995, se si vogliono considerare solo i dischi completi, i Belphegor massacrano le nostre orecchie e il nostro cervello, cercando di aprire i cancelli dell’inferno. Con molta onestà ci si poteva aspettare una prova certamente dignitosa e magari un po’ molle, invece gli austriaci firmano uno dei loro album più belli e complessi dal punto di vista compositivo. La potenza è la stessa se non addirittura di più, ma è distribuita in maniera diversa. I Belphegor hanno costruito una carriera sulla potenza sonora nel tentativo di saturare ogni possibile stilla di spazio con un suono nero e marcio. Oltre a tutto ciò ora, gli austriaci hanno portato a compimento ciò che avevano cominciato a far intravedere con i due album precedenti, e in particolare con l’ultimo Conjuring The Dead, ovvero composizioni con molti sviluppi sonori, dove la potenza black metal si sposa con quella del death come sempre, ma con un respiro più ampio. I Belphegor sono entrati in una fase differente della loro maniera di comporre, e hanno reso il loro suono più ricco e variegato rendendolo ancora più possente e magnifico. Totenritual è una danza sull’abisso e a volte ben oltre, non ci si ferma nemmeno davanti alla morte e tutto parla di Satana e delle ribellione primigenia dell’uomo. La musica del disco ci proietta in una nera cava fatta di dolore e molto vicina al sud del paradiso, dove ci sono demoni che ci faranno soffrire molto. Piovono membra sanguinolente, e noi persi sulla spiaggia mentre aspettiamo Caronte non possiamo fare altro che resistere, ma non possiamo vincere. Il gruppo austriaco firma una delle sue opere più nere e potenti, con una produzione davvero magistrale, e perfettamente centrata nel renderne il suono il migliore possibile, addirittura sopra il livello di Black Magick Necromance. Si sale e si scende in continuazione, non c’è tregua, anche se sono notevoli gli intarsi melodici in mezzo alla lava. I Belphegor si amano o si odiano, e c’è chi adora solo i primi album, ma qui c’è un’opera di valore assoluto, un massacro senza se e senza ma, fatto alla loro maniera.
Venite, manca il vostro sangue in calce al contratto.

Tracklist
1. Baphomet
2. The Devil’s Son
3. Swinefever – Regent of Pigs
4. Apophis – Black Dragon
5. Totenkult – Exegesis of Deterioration
6. Totenbeschwörer instrumental
7. Spell of Reflection
8. Embracing a Star

Line-up
Helmuth: Heretic Grunts/ Chainsaw
Serpenth: Bass Devastator/ Vokills
Bloodhammer: Drums
Impaler: 6-String Storm [Live]

BELPHEGOR – Facebook

Sarkrista – Summoners of the Serpents Wrath

Ottima produzione, belle canzoni, intensità e padronanza assoluta del genere: in sintesi, il black metal in una delle sue vesti migliori.

Quattro anni dopo il debutto The Acheronian Worship, i tedeschi Sarkrista si riaffacciano con un nuovo full length dopo alcune uscite di minutaggio ridotto.

Nel frattempo, il loro black di matrice decisamente il old school, pur senza evidenziare uno snaturamento eccessivo, si è evoluto in una forma senz’altro più melodica ed accattivante, andando un po’ in controtendenza rispetto alla scena germanica ma trovando, in ogni caso, una propria identità definita.
Il tremolo picking guida decisamente il sound verso un’interpretazione del black piuttosto atmosferica senza far venire meno le caratteristiche essenziali del genere; è cosi, quindi, che l’album si snoda lungo un serie di brani di grande impatto, spesso trascinanti (The Gathering of Blackest Shadows, He, Who Liveth and Reigneth Forevermore, Rituals of Flames and Skulls) con il solo lievissimo difetto di mantenere un andamento ritmico pressoché costante dall’inizio alla fine.
Detto ciò, non è affatto banale imbattersi in lavori che coniughino in maniera così efficace la tradizione di un genere con elementi in grado di tenere costantemente viva l’attenzione dell’ascoltatore: gli ottimi Sarkrista ci riescono nel migliore dei modi senza particolari sbavature e alla loro adesione piuttosto netta alla tradizione del genere non credo sia estranea la collocazione geografica all’estremo nord della Germania, che li vede così molto più vicini ai modelli scandinavi rispetto a quelli dei länder meridionali.
Ottima produzione, belle canzoni, intensità e padronanza assoluta del genere: in sintesi, il black metal in una delle sue vesti migliori.

Tracklist:
1. Intro
2. The Lurking Giant
3. The Gathering of Blackest Shadows
4. Summoners of the Serpents Wrath
5. Ascending from the Deep
6. He, Who Liveth and Reigneth Forevermore
7. The Sea Pt. 2 (My Cold Grave)
8. Black Devouring Flames
9. Rituals of Flames and Skulls

Line up:
Exesor – Drums, Bass
Farbauti – Guitars
Revenant – Vocals, Guitars

SARKRISTA – Facebook

Air Raid – Across The Line

La produzione rende giustizia alla musica creata dal gruppo ed Across The Line può sicuramente trovare il suo spazio nelle discografie dei metallari dai gusti classici e tradizionali.

Heavy metal classico di scuola scandinava è quello che ci propongono gli Air Raid, quintetto svedese proveniente dalla capitale e attivo dal 2009.

Across The Line è il terzo lavoro sulla lunga distanza licenziato dal gruppo capitanato dal chitarrista Andreas Johansson, dopo un primo ep e due album, usciti rispettivamente nel 2012 e nel 2014, che confermano la bravura degli Air Raid nel riproporre una formula collaudatissima in auge negli anni ottanta e poi vissuta nell’ombra negli anni successivi, cullata e valorizzata nelle terre scandinave ed in Giappone.
Hard & heavy quindi, ritmicamente graffiante, sostenuto da chitarre affilate come rasoi, in poche parole la glorificazione del semplice ma sempre piacevole genere nella sua veste old school, tra tradizione britannica e statunitense che in Svezia hanno fatto loro accentuando quel tocco neoclassico apparentemente nascosto tra riff e solos.
Il songwriting di Across The Line, pur non toccando vette clamorose, risulta di ottima qualità, così che l’album vola spedito tra i cieli in tempesta, alternando buone ritmiche e canzoni dai chorus accattivanti a forme metalliche più vicine all’heavy epico e neoclassicom come la doppietta Entering The Zone Zero, strumentale dai rimandi malmsteeniani, e Hell And Back, canzone dura come l’acciaio ed inno metallico di questo lavoro.
Il gruppo convince e consegna agli amanti del genere un piccolo gioiellino, magari fuori dai normali ascolti anche in campo classico, ma sicuramente appagante per chi ha un minimo di confidenza con queste sonorità.
La produzione rende giustizia alla musica creata dal gruppo ed Across The Line può sicuramente trovare il suo spazio nelle discografie dei metallari dai gusti classici e tradizionali.

Tracklist
1. Hold The Flame
2. Line Of Danger
3. Aiming For The Sky
4. Cold As Ice
5. Entering The Zone Zero
6. Hell And Back
7. Northern Light
8. Raid Or Die
9. Black Dawn

Line-up
Fredrik Werner – vocals
Andreas Johansson – guitars
Magnus Mild – guitars
Robin Utbult – bass
David Hermansson – drums

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Comeback Kid – Outsider

Outsider è ciò che dovrebbe essere un disco di hardcore melodico ben fatto e sudato che non delude in nessun momento e ha anche deflagrazioni vicine al metal, il tutto di alta qualità.

I Comeback Kid non hanno mai tradito le attese, e non lo hanno fatto nemmeno questa volta, anzi Outsider è una delle cose migliori pubblicate dal gruppo canadese.

La produzione è ottima e mette in risalto la loro grande furia, preservando le loro peculiarità maggiori, ovvero quelle d’essere un gruppo veloce ma molto melodico, senza mai scadere nelle ridicole melodie che contraddistinguono diversi gruppi odierni di hardcore melodico. Spesso in passato è successo che band hardcore pubblicassero senza grande successo dischi per etichette prevalentemente metal come la Nuclear Blast, ma qui c’è la smentita sonora a quanto sopra. I Comeback Kid incendiano nuovamente i nostri stereo senza lasciar scampo a nessuno, con un disco potente e bilanciato. Nati alla fine del 2000 a Winnipeg sono diventati con il passare degli anni e degli album uno dei gruppi più seguiti e amati del melodic hardcore, e hanno sempre provato a fare musica meno convenzionale, non rinunciando però alla melodia. Nonostante siano nati in leggero ritardo rispetto al boom di questo genere, sono tra le poche band veramente valide a portare avanti questo discorso, e molti gruppi giovani avrebbero molto da imparare dai Comeback Kid, a partire da questo disco potente e melodico. Con notevoli passaggi da pezzi più duri a momenti maggiormente melodici nella stessa canzone, Outsider è ciò che dovrebbe essere un album di hardcore melodico ben fatto e sudato che non delude in nessun momento e ha anche deflagrazioni vicine al metal, il tutto di alta qualità.
Inoltre il disco è palesemente fatto per scatenare l’inferno dal vivo, sappiatelo.

Tracklist
01. Outsider
02. Surrender Control
03. Absolute feat. Devin Townsend
04. Hell Of A Scene
05. Somewhere, Somehow
06. Consumed The Vision feat. Chris Cresswell
07. I’ll Be That
08. Outrage (Fresch Face, Stale Cause)
09. Blindspot
10. Livid, I’m Prime
11. Recover
12. Throw That Stone
13. Moment In Time feat. Northcote

Line-up
Andrew Neufeld aka GOOSE
Jeremy Hiebert
Stu Ross aka TOAD
Ron Friesen
Jesse Labovitz

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