Diabol Boruta – Widziadla

I Diabol Boruta continuano la a dispensare buon folk metal, alternando atmosfere fiabesche a cavalcate metalliche dal mood melodic death.

E come d’incanto i Diabol Boruta escono dalla foresta, ci ammaliano con i loro suoni provenienti da altre ere e ci accompagnano nel bel mezzo del sottobosco, in compagnia di popoli dimenticati dal tempo, folletti ed elfi che vivono in simbiosi con questi ultimi paladini di un genere umano integrato alla perfezione con la natura.

Non mancano i pericoli e i richiami alla battaglia arrivano puntuali e hanno il suono del folk metal del quintetto polacco.
Al terzo lavoro dopo Lesny duch…, promo album uscito nel 2014, e l’ottimo Stare Ględźby, licenziato lo scorso anno, i Diabol Boruta continuano la a dispensare buona musica, alternando atmosfere fiabesche a cavalcate metalliche dal mood melodic death, in un quanto mai riuscito esempio di folk metal.
Leggermente più oscuro rispetto al il predecessore, Widziadla aumenta considerevolmente l’impronta metallica nel sound del gruppo, ne esce così un album intenso, strutturato su ritmiche estreme e con sempre in primo piano il gran lavoro degli strumenti tradizionali.
Più Finntroll che Korpiklaani dunque, band quest’ultima che marchiava a fuoco il sound di Stare Ględźby, onorata dalla cover di Vodka, mentre sul nuovo lavoro i popoli della foresta si alleano per sconfiggere il mortale nemico giunto da un paese oscuro, terribile minaccia per la quiete di una fantasiosa contea tra le querce millenarie.
Picchiano duro i Diabol Boruta, con brani che cavalcano gli unicorni come Marzanna – Smiercicha, Nim Pierwsza Gwiazda Wzesla e The Winder, mentre le ariose parti folk da taverna sono lasciate in parte alla title track a Rusalka e alla bellissima Sobotki.
Un album che conferma l’ottima vena del gruppo, notevole nel saper confezionare lavori indubbiamente devoti ai nomi più famosi del genere senza perdere un briciolo di personalità: nel mondo del folk metal un piccolo gioiellino.

TRACKLIST
1. Nim Zawieje Wiatr
2. Wietrznik
3. Marzanna – Smiercicha
4. Nim Pierwsza Gwiazda Wzesla
5. Rusalka 6. Bledne Ogniki
7. Wyjce 8. Jarmark Widziadel
9. Sobotki
10. W Moim Ogrodecku
11. The Winder
12. Kupala Night

LINE-UP
Paweł “Rudy” Leniart – vocals, bass
Mirek “Miras” Mamczur – guitars, accordion, wooden flute
Paweł “Rundziou” Szczupak – guitars
Dawid “Dejw” Warchoł – keyboards, accordion
Łukasz “Zibra” Zembroń – drums

http://www.facebook.com/diabolboruta

https://www.youtube.com/watch?v=WRm6Oh0afMU

Roxin’ Palace – Freaks Of Society

Tredici brani per far rivivere ancora una volta il rito del rock’n’roll, con i suoi eccessi, le sue contraddizioni, i suoi successi e gli inevitabili fallimenti, ma assolutamente consolidato anche nel nuovo millennio.

Nell’underground metal/rock il ritorno della sonorità street/hard rock è diventato un piacevole dato di fatto, così a MetalEyes non passa giorno senza che arrivino pacchi virtuali al cui interno sono pronte ad esplodere travolgenti bombe a base di nitroglicerina rock’n’roll direttamente dal Sunset Boulevard.

E così vi presentiamo i Roxin’ Palace, gruppo italiano che, tramite la Sleaszy Rider Records, ci fa partecipi del secondo e selvaggio party, dopo la prima festa omonima licenziata nel 2013.
Nato da un’idea del chitarrista Alex Corona dei Revoltons, il gruppo conferma con Freaks Of Society l’ottimo livello della scena hard rock dai richiami street e sleazy che si è formata lungo lo stivale, un migliaio e rotti di chilometri su e giù per l’Italia a botte di sguaiato hard rock, come una lunghissima strada ad attraversare una Los Angeles ottantiana, in questo caso facendo pure l’occhiolino alla più attuale scena scandinava.
Freaks Of Society sta tutto qui e non è poco, aggiungo, con tredici brani inclusa ballad d’ordinanza a far rivivere ancora una volta il rito del rock’n’roll, con i suoi eccessi, le sue contraddizioni, i suoi successi e gli inevitabili fallimenti, ma assolutamente consolidato anche nel nuovo millennio.
Anche se il genere difficilmente tornerà a far bella mostra di sé nelle classifiche radiofoniche, è indubbio che negli ultimi tempi la fiamma è tornata a scaldare i cuori dei rockers tutti chiodo, mascara e Jack Daniels, con il nostro paese che non si è fatto trovare impreparato dando i natali ad almeno una decina di band tranquillamente in grado di conquistarsi un posto d’onore nel panorama odierno.
L’album dei Roxin’ Palace si posiziona nella parte più alta dell’ideale classifica, con il suo sound che regala quegli intramontabili spunti per i quali continuiamo ad essere innamorati di questo genere musicale, e allora, via con chorus da urlare in piena notte tra le vie di una città ormai deserta, solos taglienti che vi bruceranno dentro peggio dell’alcool ingurgitato per tutta la sera, riff scolpiti sui muri del Sunset Strip e ballatone per smaltire notti brave.
Monsters Love, Thai Of Mine, Monkey Junkie, Fading Idol: provate voi stare fermi, se ci riuscite …

TRACKLIST
1. Freaks Of Society
2. Monsters Love
3. Gangs Eraser
4. Thai Of Mine
5. Postatomic Hotel
6. L.A. Mist
7. Monkey Junkie
8. Rockers Of The Eagle
9. Neighbourhood Stars
10. Fading Idol
11. Freak
12. F.A.N.
13. Little Lizzy (bonus track)

LINE-UP
Al – Vocals
Crown – Guitars
Riggs – Guitars
Gian Roxx – Bass
Hell – Drums

ROXIN’ PALACE – Facebook

Phil Campbell And The Bastard Sons – Phil Campbell And The Bastard Sons

Cinque brani spumeggianti, con le sei corde che impazzano in veloci rincorse per spiccare il volo, magari non con questo ep ma, se le premesse verranno mantenute, con un prossimo ed eventuale full length.

Non deve essere stato facile per Phil Campbell e Mikkey Dee ripartire dopo la morte i Lemmy.

I Motörhead sono e resteranno un’ istituzione e la mancanza, oltre che di un grande artista, di un amico e fratello come lo storico bassista li tormenterà per tutta la vita.
Ma l’anima del musicista è più forte delle tragedie, così Mikkey Dee si è accomodato dietro ad un drum kit sontuoso come quello degli Scorpions, mentre il chitarrista trasforma la sua band famigliare in qualcosa di più che un passatempo con i propri figli.
Cambio di monicker da Phil Campbell All Star al più rock style Phil Campbell and the Bastard Sons e primo ep licenziato dall’etichetta che porta il nome dei Motörhead, in collaborazione con Warner.
Il gruppo è formato dalla famiglia Campbell (Phil, Todd alla seconda chitarra, Dane alla batteria e Tyla al basso) con l’aiuto dell’ottimo singer Neil Starr, un animale dotato di una voce calda e sanguigna.
E di hard rock’n’roll si tratta, tra tradizione e nuove influenze, ben collocato in questi primi anni del nuovo millennio senza guardare troppo allo scomodo passato dell’illustre axeman.
Ne escono cinque brani spumeggianti, con le sei corde che impazzano in veloci rincorse per spiccare il volo, magari non con questo ep ma, se le premesse verranno mantenute, con un prossimo ed eventuale full length.
Un sound che pesca a piene mani dal rock americano di questi ultimi tempi e si colloca tra i Velvet Revolver, qualche accenno alla scena scandinava e chiaramente un pizzico di verve motorheadiana, con l’opener Big Mouth che carica come un toro infuriato.
Spiders è un mid tempo dal buon groove che Campbell impreziosisce con un solos tagliente e metallico, mentre Take Aim è rock ‘n’ roll di origine controllata con non pochi riferimenti ai Backyard Babies.
No Turning Back torna alle famose ritmiche Lemmy/Dee, mentre il refrain odora di Velvet Revolver, con un Neil Starr ispiratissimo, mentre l’arrivederci al prossimo giro di whiskey è lasciata alle armonie acustiche di Life In Space, che ricordano sorprendentemente il terzo lavoro targato Led Zeppelin.
Non male davvero, il vecchio Phil è ancora in pista ed è tornato a far battere i cuori dei rockers sparsi per il globo, attendiamo con ansia nuovi sviluppi perché il progetto merita.

TRACKLIST
1.Big Mouth
2.Spiders
3.Take Aim
4.No Turning Back
5.Life In Space

LINE-UP
Phil Campbell – Guitars
Todd Campbell – Guitars
Dane Campbell – Drums
Tyla Campbell – Bass
Neil Starr – Vocals

PHIL CAMPBELL AND THE BASTARD SONS – Facebook

Infecting the Swarm – Abyss

Un meteorite brutal death in picchiata sul pianeta, potrete provare ad ignorarlo ma senza evitare d’esserne vittime.

Un’apocalisse sonora di matrice brutal arriva con la sua tonnellata di potenza devastante a riempire le serate dei deathsters estremi.

La causa di questo armageddon è il secondo lavoro della one man band tedesca Infecting The Swarm, creatura del polistrumentista Hannes S., che esce dall’abisso per portare il suo carico di morte Sci-Fi tramite la Lacerated Enemy records.
Hannes ha fatto le cose a modo, la produzione scintillante rende l’ascolto un’apoteosi di suoni violenti e senza soluzione di continuità, più di mezz’ora tra furia cieca, annichilenti parti rallentate e growl mostruosi, per un album che risulta, nel genere, una buona alternativa ai lavori delle band storiche del genere (forse) più estremo in circolazione.
Abyss non molla la presa sui testicoli, schiacciati dalla potenza e dal groove che brani devastanti come Perennial Ruins, The Bleak Abyss e Obscuring the Seventh Sun hanno sull’ascoltatore, con riff schiacciasassi, ritmiche dal groove maligno e le forti atmosfere di catastrofe imminente.
Un meteorite brutal death in picchiata sul pianeta, potrete provare ad ignorarlo ma senza evitare d’esserne vittime: consigliato agli amanti di Deeds Of Flesh e Cannibal Corpse, nel suo genere un buon lavoro.

TRACKLIST
1.Entropy
2.Perennial Ruins
3.Hypogean Awakening
4.Innate Divinity
5.The Bleak Abyss
6.Hollow Sphere
7.Obscuring the Seventh Sun
8.Spiral Fragmentation
9.Descension

LINE-UP
Hannes S. – Vocals, Guitars, Bass, Drums

INFECTING THE SWARM – Facebook

Axioma – Monolith

Gli Axioma giungono al primo capitolo della loro carriera con le carte in regola per non sfigurare nel mondo della musica estrema progressiva

Negli ultimi anni l’evoluzione del progressive death metal sembra essersi arenata, lasciando al solo talento la possibilità di valorizzare opere di musica a 360°, virtù principale di chi di questo sound fa il suo credo.

Nella capitale, dove la scena estrema nazionale trova una buona fetta delle migliori realtà della stivale, nascono gli Axioma, dal monicker che richiama Axioma Ethica Odini, album dei seminali Enslaved, licenziato nel 2010 ma a cui i riferimenti si fermano al titolo.
Benché lo storico gruppo scandinavo, nato come viking black metal band, inglobi nel suo sound molte delle componenti che negli anni l’hanno trasformato in un fulgido esempio di prog band estrema, i ragazzi romani volgono lo sguardo più agli Opeth e al death metal old school.
Monolith (mai titolo fu più azzeccato) è difatti un monolite oscuro e drammatico, una lunga jam estrema dove il quintetto romano, mantenendo ben salda la struttura death metal del proprio sound, la valorizza con un lavoro ritmico vario e deciso.
La velocità rimane moderata, le armonie si susseguono, tragiche ed intimiste, il growl è pesante e sofferto e l’atmosfera che regna tra i vari capitoli risulta animata da un’aura tragicamente intimista.
Non mancano riff ripetuti dai rimandi settantiani ed una voce femminile che appare come un fantasma, delicata ed eterea per poi sparire nei meandri ritmici creati dal gruppo.
Monolith è un lavoro che vive di emozioni e la band, a mio parere giustamente, sceglie di non divagare troppo nel mero tecnicismo, puntando sulle atmosfere e sull’emozionalità.
L’opener Hierophant e la conclusiva Reminiscence sono i brani che più dimostrano il valore del giovane gruppo romano, anche se Monolith va assaporato in tutta la sua interezza, come se fosse una lunga suite.
Gli Axioma giungono al primo capitolo della loro carriera con le carte in regola per non sfigurare nel mondo della musica estrema progressiva: un’ottima partenza.

TRACKLIST
1.Hierophant
2.Monolith of Fire
3.Rinnegato
4.Deception
5.Veil of Paroketh
6.Reminiscence

LINE-UP
Riccardo Montecchiarini – vocals
Gabriel Luigi Lattanzio – guitars
Andrea Maria Augeri – guitars
Jacopo Greci – bass
Jamil Zidan – drums

AXIOMA – Facebook

Zaum – Eidolon

Una musica non per tutti ma estremamente affascinante, ricca ed assolutamente fuori dal comune.

Immaginate di partire per un viaggio onirico ed astrale, passeggiare tra epoche millenarie mentre intorno a voi figure mitologiche appaiono e scompaiono o, semplicemente accompagnano il vostro peregrinare in mondi dimenticati dal tempo: questo è ciò che suscita l’ascolto di Eidolon, monumentale lavoro del duo canadese Zaum, parola che indica un linguaggio che un gruppo di poeti futuristi russi provò a creare nello scorso secolo.

Attraverso la musica di questa coppia di sciamani del nuovo millennio, Kyle Alexander McDonald (basso, sitar, synth e voce) e Christopher Lewis (batteria), verrete ancora una volta, dopo il debutto Oracles uscito due anni fa, trasportati fuori dal vostro corpo, in un’esperienza che trascende il reale per l’astrale, due brani di una ventina di minuti ciascuno, lenti e psichedelici, stonerizzati e messianici, un trip lunghissimo, da perdersi in un mondo lontano anni luce dal nostro vivere quotidiano.
Le due tracce partono lente, ipnotizzanti, per poi esplodere in attimi di doom/stoner potentissimo e ritornare subito dopo alle atmosfere sulfuree e spirituali.
Un doom mantra, come lo chiamano loro, e mai etichetta è stata più azzeccata per descrivere il sound prodotto nelle due lunghissime suite Influence Of The Magi e The Enlightenment.
Esperienze meditative, magari con qualche aiutino illegale, sfumature orientaleggianti, atmosfere magiche e profonde che necessitano di un ascolto attento e concentrato, musica per chi non si fa distrarre ed entra dalla porta principale nel mondo parallelo sognato dagli Zaum.
Una musica non per tutti ma estremamente affascinante, ricca ed assolutamente fuori dal comune.

TRACKLIST
1.Influence of the Magi
2.The Enlightenment

LINE-UP
Kyle Alexander McDonald – Vocals, Bass, Sitar, Synth
Christopher Lewis – Drums

ZAUM – Facebook

The Meaning Under – Cenotaph

Nell’anima di Cenotaph vivono e si scontrano luce e buio, sogni ed incubi, drammi e speranze, in perfetta e sontuosa armonia

Il prog metal, passata la tempesta Dream Theater tra la metà degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, si è attestato su un buon livello di popolarità anche grazie alla moltitudine di contaminazioni a cui è andato incontro, soprattutto con il metal estremo.

Le opere che si affacciano sul mercato negli ultimi tempi dimostrano la maturità artistica di chi si approccia al genere, non solo ridotto a  scusa per sfoggiare l’indubbia tecnica dei musicisti, ma scrigno di emozioni, molto spesso melanconiche, drammatiche ed intimiste.
La musica progressiva ormai a tutti gli effetti alleata con i suoni metallici è entrata nel nuovo millennio a testa alta, merito anche della scena underground, caldo nido di talenti dalle qualità espressive notevoli.
Il nostro paese, come ci ha ormai abituati, regge il passo delle scene d’oltralpe con gruppi dalle enormi potenzialità, ne è un esempio questo ottimo lavoro di debutto dei padovani The Meaning Under, intitolato Cenotaph.
La band veneta non manca di sorprendere con un lavoro maturo e molto professionale, sei anni dopo il primo ep, Overflow; tra le sue fila si agita l’anima oscura e teatrale di Claude Arcano, vocalist degli industrial gothic A Tear Beyond, qui in coppia con il singer Ben Moro tra bellissime parti pulite e sfuriate in growl, toni gotici e dark che suggellano una prova vocale molto sentita.
Il sound del gruppo si muove tra lo spartito della seconda fase del teatro di sogno, meno metallo classico dunque e più musica intimista, un drammatico ed emozionante viaggio tra il prog metal del nuovo millennio, come già detto molto più attento ad emozionare che non a specchiarsi in inutili ghirigori tecnici.
Il cuore dell’album è, a mio avviso, il più emozionante con almeno due tracce di prog metal dalle tinte dark che non lasceranno indifferenti come Deceaved By A Promise e The Tower Of The One (sulla seconda Arcano torna ai fasti estremi di Maze of Antipodes), mentre la title track riassume il concept lirico dell’album con undici minuti di musica sopra la media e splendidamente interpretata dai due singer.
Un ottimo debutto di un gruppo dalle potenzialità enormi e dalle ottime idee: Cenotaph è un opera tutta da ascoltare, perché nella sua anima vivono e si scontrano luce e buio, sogni ed incubi, drammi e speranze in perfetta e sontuosa armonia.

TRACKLIST
1.The New Perspective
2.Superstructure
3.Command: Abort
4.The End of Civilization
5.Sons of a Lie
6.Deceaved by a Promise
7.The Tower of the One
8.Cenotaph (Buried with No Name)
9.Confession (Of a Dictator)

LINE-UP
Matteo Rosin – Guitars, Bass
Filippo Galvanelli – Keyboards
Claude Arcano – Vocals
Ben Moro – Vocals

Manuel Vendramin – Drums (track 2)
Marco Sanguanini – Drums (tracks 4-5)
Andrea Bevilacqua – Bass (tracks 3, 6)
Alessandro Quarin – Bass (tracks 4-5)
Andrea Cancedda – Bass (track 7)
Andrea Scaramella – Violin
Francesco De Santi – Violin
Laura Giaretta – Viola
Maurizio Galvanelli – Cello
Roxanne Doerr – Vocals (track 2)
Chiara Badon – Vocals (choirs) (track 1)
Paolo Veronese – Drums (tracks 3, 6, 8)
Francesco Tresca – Drums (track 7)
Marco Costa – Bass (track 2)

THE MEANING UNDER – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=OQW5jz9FnbE

Hammer King – King Is Rising

Un album onesto, diretto e senza fronzoli, un tuffo nel metallo vecchia scuola, di madre tedesca ma con parentele rinvenibili tra la new wave of british heavy metal e il power scandinavo.

Tornano gli epici power metallers Hammer King con il secondo lavoro sulla lunga distanza, successore del debutto Kingdom of the Hammer King, uscito lo scorso anno.

Il quartetto continua la sua guerra a colpi di heavy power metal, tedesco fino al midollo anche se non mancano riferimenti all’heavy metal classico di Iron Maiden e Judas Priest.
L’album, registrato allo Studio Greywolf di Charles Greywolf (Powerwolf), non lascia scampo e la title track apre le ostilità a colpi di power metal epico dai chorus battaglieri, riff rocciosi ed una fierezza metallica commovente.
Ci metterei anche gli Hammerfall tra le influenze del combo, non solo per la voce di Titan Fox V, simile a Joacim Cans ed il monicker usato: il sound, pur nel suo essere teutonico di nascita, guarda anche alla famosa band svedese e porta il gruppo vicino le realtà uscite alla metà degli anni novanta più a nord, appunto Hammerfall ed in parte Nocturnal Rites.
King Is Rising continua la sua gloriosa battaglia, con le rocciose For God And The King, Battle Gorse e The Hammer Is The King, brani trascinati per il collo da ritmiche power, solos classici dalle melodie che nel genere non esiterei a definire ruffiane e chorus che, come da tradizione. portano alla mente concerti infuocati dove l’ugola si perde in urla ed orgoglio metallico, magari un po’ alticci per l’ennesimo litro di bionda.
Un album onesto, diretto e senza fronzoli, un tuffo nel metallo vecchia scuola, di madre tedesca ma con parentele rinvenibili tra la new wave of british heavy metal e il power scandinavo, consigliato ai truci true defenders tutti metallo, guerrieri e battaglie eroiche in nome del re.

TRACKLIST
1. King Is Rising
2. Last Hellriders
3. For God And The King
4. Warrior’s Reign
5. Reichshammer
6. Kingbrother
7. Battle Gorse
8. Kill The Messenger
9. The Hammer Is The King
10. Viva ‘La King
11. Battalions Of War
12. Eternal Tower Of Woe
13. Our Fathers’ Fathers (CD BONUS TRACK)

LINE-UP
Titan Fox – vocals , guitars
Gino Wilde – guitar
K.K. Basement – bass
Dolph A. Macallan – drums

HAMMER KING – Facebook

Smokey Fingers – Promised Land

Con Promised Land, gli Smokey Fingers continuano il loro elettrizzante viaggio nella musica a stelle e strisce.

Non capita spesso di scrivere di southern rock sulle pagine di MetalEyes, ma, come un temporale estivo, ecco che si palesano sulla mia scrivania tre album di rock americano ed il mio orgoglio sudista se ne giova assai.

Due statunitensi (e non potrebbe essere altrimenti) e, con grande sorpresa, una tutta italiana sono le band che in questo periodo mi hanno regalato un po’ di quella splendida musica che dalle terre rurali e dalla frontiera americana nasce e si rigenera.
Negli Stati Uniti il genere è una tradizione che, nella provincia, si tramanda di generazione in generazione, ma provateci voi a partire da Lodi e trasformare le pianure del nord Italia nelle assolate terre del sud.
Gli Smokey Fingers ci sono riusciti alla grande, e con passione e talento continuano il loro viaggio nella musica americana, tra southern, blues e country rock, iniziato con il primo lavoro (Columbus Way) e ora in continua marcia verso la terra promessa con questo bellissimo ed emozionante Promised Land.
E di viaggio si tratta per davvero, visto che molti dei brani inseriti nell’album sono stati pensati proprio nell’ottica di un percorso on the road lungo gli States e in quei paesi dove il genere è nato e trova la sua naturale collocazione.
Con queste premesse, Promised Land non può che risultare uno scrigno di emozioni per chi si allontana per cinquanta minuti dalla vita di tutti i giorni, con l’intento di assaporare il profumo delle vaste distese della frontiera, con la polvere ed il sole che brucia gli occhi, la fresca brezza di tramonti infiniti e l’odore del whisky che attanaglia le narici all’entrata nei bar persi per le routes, tra coyotes e serpenti a sonagli.
Questo è southern rock classico, tra poesia sudista, riff di incendiario hard blues che marchierebbe un cavallo ed atmosfere collaudate certo, ma assolutamente reali, tanto da non far rimpiangere gli album blasonati dei gruppi americani di nuova generazione.
Malinconico come solo il southern sa essere (Last Train), ruvido quanto basta per essere apprezzato anche dagli amanti dell’hard rock (Black Madame, Thunderstorm), intriso di blues rock (Damage Is Done, Turn It Up), Promised Land è il naturale proseguimento del viaggio degli Smokey Fingers nella musica americana: inutile farvi il solito elenco di band a cui i nostri rockers si ispirano, al primo accordo tutto vi sembrerà chiaro e limpido come l’acqua di fuoco fatta girare nel bicchiere in un polveroso saloon.

TRACKLIST
01. Black Madame
02. Rattlesnake Trail
03. The Road Is My Home
04. Damage Is Done
05. The Basement
06. Last Train
07. Floorwashing Machine Man
08. Stage
09. Turn It Up
10. Thunderstorm
11. Proud & Rebel
12. No More

LINE-UP
Gianluca “Luke” Paterniti – lead & backing vocals
Diego “Blef” Dragoni – electric & acoustic guitars, banjo
Fabrizio Costa – bass
Daniele Vacchini – drums & percussions

SMOKEY FINGERS – Facebook

Lucid Dream – Otherworldly

Un album coraggioso nel non fossilizzarsi su schemi collaudati e perfettamente in grado di reggere il confronto con le altre realtà di una scena nazionale ormai importantissima nello scenario metallico europeo.

Col tempo stanno tornando con i propri nuovi lavori quelle band che, due o tre anni fa, licenziarono una serie di opere sopra la media e delle quali i liguri Lucid Dream fanno sicuramente parte, dopo la pubblicazione bellissimo The Eleventh Illusion.

La band capitanata dall’ axeman Simone Terigi, affiancato dal talentuoso vocalist Alessio Calandriello e dal buon Gianluca Eroico al basso, torna con il proprio terzo album (il primo, Visions From Cosmos11, uscì nel 2011) prodotto dallo stesso Terigi, mixato e masterizzato da Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle) ed accompagnato da un bellissimo digipack, .
Il trio di musicisti liguri (Paolo Raffo non fa più parte della line up sostituito alle pelli dall’ospite Paolo Tixi) riparte con rinnovata verve, cambiando le carte in tavola e lasciando da parte le sfumature hard blues che emergevano sul lavoro precedente, trovando nuove strade dove far viaggiare la propria musica che rimane di altissimo livello.
Otherworldy risulta un lavoro più diretto e metallico, prog hard rock metal d’alta scuola energizzato da una forte impronta heavy che concede, a tratti, qualche rifinitura più moderna sia nelle ritmiche che negli arrangiamenti.
Un disco diverso da predecessore, quindi, ma con il monicker del gruppo ben impresso sul sound, che non è cosa da tutti: le linee melodiche rimangono il piatto forte di Terigi e soci, sempre con un occhio ai Dream Theater e con un Calandriello meno sanguigno ma assolutamente sontuoso dove la melodia prende il sopravvento.
L’album parte diretto e metallico così che, appena lasciata l’intro, veniamo subito presi per il colletto da ritmiche serrate e riff metallici dal gustoso flavour moderno: Buried Treasure e The Ring Of Power riempiono la stanza di metal regale, con la seconda che si nutre del sangue maideniano e risulta la prima traccia da circoletto rosso dell’album.
Everything Dies torna a solcare le strade intricate del prog metal, mentre The Stonehunter chiude la prima parte del cd, quella dall’anima aggressiva e metallica, lasciando all’acustica di Terigi il compito di introdurci alla meravigliosa seconda parte, in un crescendo emozionale che inizia dalla splendida Magnitudes, continua con Broken Mirror (brano che evidenzia l’amore del gruppo per il teatro del sogno) e non trova fine, se non all’ultima nota della conclusiva The Theater Of Silence: una traccia strumentale da brividi che ci consegna una prestazione superba di Terigi alla sei corde, accompagnato sul finire del brano dai violini e dalla viola di Andrea Cardinale, Sylvia Trabucco e Sara Calabria, per un arrivederci alla prossima opera.
Un album che conferma quanto di buono i Lucid Dream avevano dimostrato con il precedente lavoro,  coraggioso nel non fossilizzarsi su schemi collaudati e perfettamente in grado di reggere il confronto con le altre realtà di una scena nazionale ormai importantissima nello scenario metallico europeo.

TRACKLIST
01. Intro
02. A blanket of stars
03. Broken mirror
04. Buried Treasure
05. Everything dies
06. Magnitudes
07. The ring of power
08. The stonehunter
09. The theater of silence

LINE-UP
Simone Terigi – Guitars, B. vocals
Alessio Calandriello – Vocals
Gianluca Eroico – Bass

Guests:
Paolo Tixi – Drums
Martina White – B. vocals
Andrea Cardinale – First Violin
Sylvia Trabucco – Second Violin
Sara Calabria – Viola

LUCID DREAM – Facebook

Peak – Into Your Veins

Un album da assaporare con attenzione per far vostre le atmosfere intrise di poetico disagio che i Peak riescono creano con maestria.

Tra la foschia notturna di una Torino grigia e malinconica nascono nel 2015 i Peak, quartetto alternative rock composto da quattro musicisti provenienti da diverse esperienze e generi musicali.

Riprendendo il titolo del loro debutto (Into Your Veins), nelle vene del gruppo scorre sangue infettato dal sound di Seattle, facendo assumere al corpo una posizione fetale, travolto da un mare di emozioni intimiste, tragiche e drammatiche.
Le scariche elettriche, a tratti rabbiose, non fanno che aumentare il senso di disagio interiore che si respira nei vari brani, facendone scaturire un’opera matura e molto personale.
Grunge e post grunge, troppo facile direte voi, ma non così scontato: il sound del gruppo si piazza perfettamente nel mezzo tra la prima ondata di gruppi partiti dalla piovosa Seattle e quella del post Kurt Cobain, con i mai troppo osannati Staind come ispirazione.
Into Your Veins vive di quelle atmosfere drammatiche e d’autore insite nella musica dei primi album di Mark Lanegan (Screaming Trees), mentre la potenza aumenta col in passare dei minuti prima del capitolo finale.
Non ci sono cali di tensione tra lo spartito dell’album e l’ alternanza tra parti intimiste e rabbiosi sfoghi alternative rock riempie di umori e colori sfocati la musica dei Peak.
Un disco molto sentito ed emozionale, con un paio di brani che il rock aggressivo rende  più agevoli all’ascolto (Fox 2: Anthem for a Doomed Youth e The Mole), ma che trova nel filone poetico e malinconico di matrice statunitense la sua massima ispirazione (A Life in a Breath e la title track).
Into Your Veins va assaporato con attenzione per far vostre le atmosfere intrise di poetico disagio che i Peak riescono creano con maestria.

TRACKLIST
1.Siren’s Silly Prayer
2.Into Your Veins
3.Dark Hour
4.A Life in a Breath
5.Fox 2: Anthem for a Doomed Youth
6.Waiting Over
7.White Stone
8.The Mole
9.Siren’s Silly Prayer (Acoustic)

LINE-UP
Simone Careglio – Vox & Guitar
Enrico Inri Lo Brutto – Guitar
Emanuel Tschopp – Bass
Roberto Cadoni – Drums

PEAK – Facebook
URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

Noveria – Forsaken

Trascurare questo secondo album dei Noveria sarebbe imperdonabile, non solo per gli amanti del prog metal, ma per tutti i cultori della buona musica.

Una band che al debutto licenzia uno straordinario lavoro come Risen (uscito un paio di anni fa e puntualmente recensito sulle pagine di iyezine) crea suo malgrado delle aspettative, almeno per chi ha avuto il piacere di imbattersi nelle evoluzioni power prog metal che il chitarrista Francesco Mattei e compagni aveavno riversato su quel splendido album.

Due anni sno un arco di tempo perfetto per tornare ad incendiare gli impianti stereo dei fans del genere con Forsaken, album che non perde un’oncia dell’alta qualità di cui era rivestita l’opera precedente, anzi: alla perizia tecnica ed il talento compositivo, la band aggiunge un quid emozionale per cui Forsaken vola tra le migliori uscite del genere, almeno nella parte finale di questo drammatico 2016.
E di drammaticità è pregno un lavoro dal concept non facile da trasformare in musica, adulto e maturo, una sfida che la band romana vince alla grande.
Forsaken, infatti, tratta dei cinque stadi dell’elaborazione del lutto teorizzati dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross, ed è dedicato ad una ragazza morta per un male incurabile.
I Noveria trasformano queste drammatiche e tragiche tematiche in musica sontuosa, dura, aggressiva, ma assolutamente colma di emozionanti atmosfere intimiste, traumi psicologici, drammi interiori che prendono corpo in un travolgente power prog metal, prodotto e suonato con tutti i crismi della top band.
D’altronde che i Noveria non fossero un gruppo qualunque lo si era abbondantemente riscontrato nel primo album,: Francesco Corigliano conferma d’essere uno tra i migliori vocalist di genere e non solo nel panorama italiano, Mattei con la sei corde entra di forza nel cuore di chi ascolta, mentre le tastiere disegnano travagli interiori ed emozionano accompagnando una sezione ritmica ispiratissima.
Prog metal come nella migliore tradizione, ma con l’asticella emotiva alzata al massimo, questo è Forsaken, con Shock che esplode in fuochi d’artificio metallici, When Everything Falls, che ci delizia con il duetto di Corigliano con la cantante Kate Nord, Hatred che spara missili con sulla fiancata la scritta Symphony X e la conclusiva Archangel, che congeda il gruppo, e ci lascia tra le mani e le orecchie un monumento al metallo potente e progressivo.
Trascurare questo secondo album dei Noveria sarebbe imperdonabile, non solo per gli amanti del prog metal, ma per tutti i cultori della buona musica.

TRACKLIST
01.Lost
02.Shock
03.Denial
04.When Everything Falls
05.Hatred
06.If Only
07.Isolate
08.(W)hole
09.Regrets
10.Utopia
11.Acceptance
12.Archangel

LINE-UP
Francesco Corigliano – Vocals
Julien Spreutels – Keyboards
Omar Campitelli – Drums
Francesco Mattei – Guitar
Andrea Arcangeli – Bass

NOVERIA – Facebook

Cavernicular – Cavernicular Ep

La scena del capoluogo siciliano non si ferma mai e non contenta della fenomenale musica a cui ci hanno abituati, questi talenti musicali ci regalano un’altra entità, che suona come un’orda di zombie punk infatuati per il grindcore.

Immaginatevi un’apocalisse zombie in una delle nostre due isole maggiori, La Sicilia.

Il virus che riporta in vita i cadaveri viene svegliato da un’operaio al lavoro nelle catacombe dei cappuccini a Palermo, un cimitero sotterraneo famoso in tutto il mondo dove riposano centinaia di cadaveri.
I primi corpi ad essere risvegliati e che porteranno il contagio anche in superficie, vengono in contatto uditivo con quello che scatenerà la loro insaziabile fame di carne umana, il primo ep degli hardcore/grindsters Cavernicular.
La scena del capoluogo siciliano non si ferma mai e non contenta della fenomenale musica a cui ci hanno abituati, questi talenti musicali ci regalano un’altra entità, che suona come un’orda di zombie punk infatuati per il grindcore.
Sandro Di Girolamo e Giorgio Trombino dei mai troppo osannati Elevators To The Grateful Sky e di altre creature musicali dall’enorme qualità che negli ultimi anni hanno valorizzato la scena palermitana, hanno unito le forze con il batterista Giorgio Piparo (Shock Troopers, Learn e con Trombino nel progetto Funky Smuggler Brothers) e Totò, singer dei power hardcore ANF, dando vita a questo ep di quattordici minuti di caos primordiale, violento, scarno e purulento come le piaghe che si aprono ad ogni passo dei non morti.
Un morso letale di musica estrema, famelica e senza compromessi, pura violenza iconoclasta che si abbatte furiosa ed aggressiva, uno tsunami apocalittico che non lascerà indifferenti gli amanti dei generi sopracitati.
Chiaramente i musicisti sono di gran livello, così che la sezione ritmica che impazza a velocità della luce, per poi rallentare di colpo come il passo strascicato e dondolante di uno zombie, con l’uso della doppia voce (il growl di Di Girolamo e lo scream di Totò) non lasciano scampo e Cavernicular diventa un altro ottimo esempio della stoffa e creatività di questi splendidi musicisti nostrani.
Un esperimento o qualcosa di più?
Chi vivrà (o meglio) sopravviverà vedrà, nel frattempo godetevi questa bomba sonora in arrivo sul continente dalla terra del fuoco siciliana.

TRACKLIST
1.DetoNation-Annihilation Alert (Coupe D’Etat)
2.Wires
3.WreckAge
4.Stare Down-Balls Explode
5.Deprived
6.Intent
7.Vile Manipulation
8.Archaic game
9.Killing Bias
10.Doctrine Junkies
11.Fine day For A Bomb Ride
12.Equality
13.No Way To Start
14.Triggered To React

LINE-UP
Totò – yells
Sandro – grunts
Furious G. – guitar
Piparino – drums

http://www.facebook.com/Cavernicular/?fref=ts

Reapter – Cymatics

Un lavoro riuscito e perfettamente in grado di soddisfare non solo gli amanti del thrash ma in generale chiunque ami il metal

Un’altra ottima band proveniente dalla capitale, ancora una volta rapita dagli artigli della Revalve, si presente con un gran bel esempio di thrash metal dalle venature progressive, ottimamente suonato e prodotto così da farne un lavoro completo e professionale.

In poche parole Cymatics sta tutto qui e non è poco direi, la band romana sa il fatto suo e lo dimostra fin dal titolo, incentrato sulla teoria dello studioso svizzero Hans Jenny, riguardo al potere del suono in grado di strutturare la materia.
I Reapter si formano a Roma nel 2005, quindi sono più di dieci anni che il quintetto di thrashers nostrani è attivo, accompagnato da una discografia che vede, oltre a quest’ultimo lavoro, il precedente full lenght M.I.N.D., uscito sei anni fa e precedentemente due mini cd.
La firma con Revalve è un traguardo importante e meritato per la band ed il nuovo album conferma che la label nostrana ci ha visto giusto.
Thrash metal che si valorizza con una prova strumentale sopra le righe, ritmiche aggressive e che non mancano di groove moderno, enorme lavoro delle sei corde e brani che nel loro insieme creano un massiccio esempio di metallo, duro come l’acciaio ma progressivamente elaborato.
Le influenze del gruppo sono, di base, da riscontrare nella scena statunitense (Testament e Megadeth), ma nel sound dei Reapter c’è di più e, tra le trame di Cymatics, echi di Mekong Delta elevano l’opera a qualcosa di più di un semplice thrash metal album.
Il bello cè he i brani si fanno apprezzare al primo ascolto, l’appeal sprigionato è alto così come il gran lavoro strumentale che ha in Behind The Mask la sua massima espressione.
Così veniamo investiti da questo tripudio di sonorità metalliche, tra brani più diretti (l’opener Repeat) ed altri dove la vena progressiva prende il sopravvento (la notevole The Alchemist); la prova dei musicisti, sommata ad un ottimo songwriting, fa in modo che Cymatics mantenga una qualità molto alta per tutta la sua durata, con la mazzata Life And Horror a tributare i Metallica e con  la devastante Useless, la più estrema di tutto il lotto.
Cymatics risulta un lavoro riuscito e perfettamente in grado di soddisfare non solo gli amanti del thrash ma in generale chiunque ami il metal: magari non sarà originalissimo, ma è sicuramente maturo e suonato in maniera ineccepibile, a creare un thrash metal di un’altra categoria.

TRACKLIST
01 – Repeat
02 – Tsunami
03 – Time Lapse
04 – The Alchemist
05 – Life and Horror
06 – Behind a Mask
07 – Useless
08 – Fallen Angels
09 – Tram Out
10 – Omega Revolution

LINE-UP
Claudio Arduini – Vocals
Max Pellicciotta – Guitars
Daniele Bulzoni – Guitars
Jury Pergolini – Bass
Emiliano Niro – Drums

REAPTER – Facebook

Flayed – XI Million

La Kaotoxin, etichetta di norma orientata verso sonorità estreme, immette sul mercato il nuovo ep dei francesi Flayed, un combo che, alle sonorità hard rock settantiane, aggiunge una verve moderna per un risultato assolutamente travolgente.

La Kaotoxin, etichetta di norma orientata verso sonorità estreme, immette sul mercato il nuovo ep dei francesi Flayed, un combo che, alle sonorità hard rock settantiane, aggiunge una verve moderna per un risultato assolutamente travolgente.

XI Million è il terzo lavoro per il gruppo, dopo essersi lasciato alle spalle Symphony for the Flayed, esordio del 2014, e Monster Man dello scorso anno, un mini cd di cinque tracce che conferma la bravura della band nel saper miscelare attitudine old school con un suono al passo coi tempi.
Si potrebbe pensare all’ ennesima rivisitazione dei suoni vintage alla moda in questi anni, ed in parte è vero, non fosse per il talento del gruppo nel saper creare brani dall’appeal mostruoso, con l’ hammond a comandare le operazioni, un taglio americano nei chorus e nel guardare al blues come una delle fonti d’ispirazione, ma non dimenticando la scuola hard rock europea.
Deep Purple, The Black Crowes, i nuovi dei dell’hard rock come gli Inglorious, un pizzico di rock americano alla Foo Fighters e Eleven Million, Trend Is Over, e soprattutto la bluesy Fortunate Son, prendono il volo verso lidi dove l’hard rock è il re incontrastato, complice un taglio american style da far invidia al corvo nero dell’ ormai immortale Remedy (da quel capolavoro che è The Southern Harmony And Musical Companion).
La bio parla di Ac/Dc, personalmente ci trovo poco, non fosse per l’ importantissimo lavoro dell’organo e qualche accenno al soul che porta il gruppo attraverso l’oceano verso il punto esatto dove sfocia il Mississippi: ascoltatelo e fateci sapere.

TRACKLIST
1. XI Million
2. Eleven Million
3. Trend Is Over
4. Fortunate Son
5. Shoot the Trail
6. Rollin’ Monkey

LINE-UP
Renato Di Folco – vocals
Eric Pinto – guitars
Julien Gadiolet – guitars
Charly Curtaud – bass
Raphaël Cartellier – Hammond organ
Jean-Paul Afanassief – drums

FLAYED – Facebook

https://soundcloud.com/kaotoxin/flayed-eleven-million

Sepulchral Curse – At the Onset of Extinction

Quattro brani che confermano la buona proposta del gruppo scandinavo, ora pronto per il passo cruciale del full length.

A volte ritornano !

E come nel famoso romanzo di Stephen King, i finlandesi Sepulchral Curse ci investono come nel primo ep (A Birth In Death, uscito un paio di anni fa) con il loro death/black metal brutale, nelle atmosfere più che nella velocità, dall’animo nero come la notte in un sperduto cimitero nelle lande del loro paese di origine.
E’ la Transcending Obscurity ad occuparsi di questo secondo lavoro, At the Onset of Extinction, composto da quattro brani di abissale metal estremo, oscuro e pesante, dal piglio cimiteriale e oltremodo vario nell’alternare ritmiche al limite del death/doom, come nella splendida Disrupting Lights of Extinction, che conclude con un lungo corteo funebre l’ep, partito in quarta con l’aggressiva e malvagia Envisioned in Scars.
Il growl orrendo e mostruoso di Kari Kankaanpää, le linee chitarristiche che sparano devastanti mitragliate death/black e solos lacrimanti sangue, sono sempre le caratteristiche maggiori del gruppo di Turku che non ne vuol sapere di uscire dalla totale e maligna oscurità del proprio sound e ci scaraventa in abissi demoniaci, dove regnano morte e distruzione.
In generale il sound del nuovo album è più ragionato rispetto al primo album, spostando di poco le coordinate stilistiche ed aggiungendo gli olandesi Asphyx alle classiche ispirazioni di scuola death scandinava e brutal statunitense.
Quattro brani che confermano la buona proposta del gruppo scandinavo, ora pronto per il passo cruciale del full length, che aspettiamo fiduciosi.

TRACKLIST
1.Envisioned in Scars
2.In Purifying Essence
3.Gospel of Bones
4.Disrupting Lights of Extinction

LINE-UP
Niilas Nissilä – Bass
Tommi Ilmanen – Drums & Vocals
Aleksi Luukka – Guitars
Jaakko Riihimäki – Guitars
Kari Kankaanpää – Vocals

SEPULCHRAL CURSE – Facebook

Path Of Sorrow – Fearytales

Se questo album fosse stato pubblicato da una band svedese un po’ di anni fa, i Path Of Sorrow sarebbero comparsi sulle copertine delle riviste di settore al fianco di At The Gates, In Flames, Dark Tranquillity, ecc. tutto qui … e non è poco.

Sono passate due settimane da quando mi sono seduto alla scrivania per tentare di raccontare i contenuti dell’ultimo album degli In Flames.

La mia recensione la potete trovare qui su MetalEyes e chi l’ha già letta sa che la delusione del sottoscritto per un gruppo storico che, di fatto non esiste più, è stata tanta ed è alta la sensazione che il canto del cigno per un certo tipo di death metal melodico sia alle porte.
Fortunatamente ci pensa la scena underground a tenere alta la bandiera di un genere che, in barba agli imbolsiti protagonisti dell’ultimo decennio del secolo scorso, carica il suo cannone metallico di bombe devastanti (qualitativamente parlando) e mira al cuore degli amanti del metal estremo melodico centrandoli in pieno.
Dai vicoli che scendono a mare, tra gli anfratti e gli angoli dimenticati dal tempo di un centro storico che pompa sangue metallico in una Genova che, per una volta, si veste da Göteborg, arrivano i Path Of Sorrow, al debutto su lunga distanza con questo splendido esempio di death metal melodico come lo hanno voluto e creato i maestri svedesi più di vent’anni fa, irrobustito da letali dosi di thrash metal, ed impreziosito da una vena melodica entusiasmante.
Attiva dal 2012, la band arriva a questo primo episodio dopo tanta gavetta a suon di concerti (con Necrodeath, Electrocution, The Modern Age Slavery, Epitaph, The Vision Bleak) e vari cambi di line up che portano alla formazione attuale, alla firma con Buil2Kill Records e alla porta dei Blackwave Studio di Fabio Palombi (Nerve), che si chiude alle loro spalle per riaprirsi solo quando Fearytales è pronto per travolgervi con undici spettacolari brani in cui melodic death, thrash, sfumature ed atmosfere dark gothic, vi confonderanno facendovi smarrire tra le anguste vie della Superba che, d’incanto, si trasformano in una foresta magica, oscura e pericolosissima.
Chiariamolo subito, se siete in cerca di chissà quale chimera dell’originalità, tornate sui vostri passi perché rischiereste di inoltrarvi nel sottobosco e non uscirne più: Fearytales rimane un ‘opera che del death metal melodico made in Svezia si nutre, nel thrash trova la dirompente forza estrema e nelle atmosfere oscure e dark ci sguazza, mentre i nomi storici del genere sono tutti li sulla balconata ad applaudire.
Prodotto alla perfezione e suonato ancora meglio, l’album non concede cedimenti, i brani si susseguono uno più bello dell’altro alternando sfuriate ad  atmosfere molto suggestive, ottimi momenti di metallo cadenzato e fughe sui manici delle asce da brividi.
L’ottima prova dei musicisti valorizza un songwriting ispirato e l’impressione di essere al cospetto di un combo sopra la media è altissimo, mentre Under The Mark Of Evil toglie il respiro dandoci il suo benvenuto in Fearytales.
La muscolosa Survive The Dead è solo l’antipasto alla maligna e cattivissima Martyrs Of Hell, mentre il gran lavoro delle sei corde nella melodica Nobody Alive (addio In Flames), ci porta dritti nella boscaglia e a The Crawling Chaos, capolavoro dell’album insieme alla stupenda thrash-folk- epic metal Sea Of Blood: The March For Morrigan, fulgido esempio dell’ispirato songwriting del gruppo ligure.
This Is The Entrance mette la parola fine a questo bellissimo lavoro, la luce del sole si fa spazio tra i rami e dopo i primi passi fuori dalla foresta, la voglia di tornare indietro è tanta, così come quella di ripremere il tasto play.
Se questo album fosse stato pubblicato da una band svedese un po’ di anni fa, i Path Of Sorrow sarebbero comparsi sulle copertine delle riviste di settore al fianco di At The Gates, In Flames, Dark Tranquillity, ecc. tutto qui … e non è poco.

TRACKLIST
1. Into The Path
2. Under The Mark Of Evil
3. Survive The Dead
4. Martyrs Of Hell
5. Lords Of Darkned Skies
6. Nobody Alive
7. Umbrages…
8. …Where Nothing Gathers
9. The Crawling Chaos
10. Sea Of Blood : The March For Morrigan
11. This Is The Entrance

LINE-UP
Attila – Drums
Robert Lucifer – Bass
Mat – Vocals
Davi – Electric,Acoustic & Classical Guitars,Mandolin,Piano
Jacopo – Electric Guitars

PATH OF SORROW – Facebook

Kosmokrator – First Step Towards Supremacy

Un passo avanti verso quello che potrebbe essere un full length sopra la media: aspettiamo fiduciosi e nel frattempo ci godiamo un altro rituale a firma Kosmokrator.

Avevamo conosciuto la musica dei black/deathsters belgi Kosmokrator un paio di anni fa, in occasione dell’uscita del demo To The Svmmit, li ritroviamo oggi con un nuovo mini cd sempre licenziato dalla Ván Records che ci illumina sui passi avanti intrapresi dal gruppo.

Il quintetto, alle prese con un sound oscuro, devastante e pregno di atmosfere malvagie, con una produzione nettamente migliore del precedente lavoro, conferma la sua natura estrema e misteriosa con questi quattro brani racchiusi in First Step Towards Supremacy.
Più diretto e meno liturgico del suo blasfemo predecessore, l’album confida su un’attitudine dannata e naturalmente estrema dei musicisti coinvolti nel progetto, l’alternanza tra parti prettamente black e altre più death oriented sono sempre la principale caratteristica del combo di sacerdoti del male e, per merito di una buona registrazione, si coglie una buona tecnica strumentale, messa in secondo piano rispetto alle nere atmosfere di sacrale musica dallo spirito occulto.
Un gruppo tutto da scoprire e dalle ottime potenzialità, i Kosmokrator si rivelano come protagonisti di un metal estremo che, anche nelle più frequenti parti di ferocia e crudeltà, mantiene una forte atmosfera rituale, in un’orgia di note e canti infernali.
Basterebbe la lunga suite estrema Myriad per farvi un sunto sull’impatto che la musica del gruppo ha sull’ascoltatore: maligna, infernale e misantropica, anche se questa volta è tutto il lavoro che risplende della fioca luce di candele nere.
Un passo avanti verso quello che potrebbe essere un full length sopra la media: aspettiamo fiduciosi e nel frattempo ci godiamo un altro rituale a firma Kosmokrator.

TRACKLIST
1.Initiate Decimation
2.Death Worship
3.Kosmokratoras III – Mother Whore
4.Myriad

LINE-UP
T. – Bass
E. – Drums
C.M. – Guitars
M. – Guitars, vocals
J.- -Vocals

Wyruz – Judge and Jury

Thrash metal, con le ispirazioni che guardano alla scena della Bay Area ma potenziate da un impatto moderno

L’esplosione che deriva dall’ascolto del nuovo album dei metal/thrashers norvegesi Wyruz, è di quelle che creano danni, fanno sogghignare il sottoscritto e tacere i santoni del rock, sempre pronti a giudicare il lavoro degli artisti, eroi di un mondo che, in quanto forma d’arte, dovrebbe rimanere al di fuori di semplici e superficiali giudizi.

Judge and Jury è un bellissimo esempio di thrash metal devastante, moderno ma con un’attenzione particolare per la tradizione del genere, insomma una mazzata metallica di metal estremo ben piantata nel nuovo millennio ma che rimarca le sue storiche e nobili origini.
La band si chiama Wyruz ed è un quartetto di Hamar, cittadina della fredda Norvegia, terra di metal estremo, che ancora una volta regala  un gruppo sopra la media.
Attivo dall’alba del nuovo millennio e con un primo lavoro uscito quattro anni fa (Fire At Will) il gruppo, tramite la Battlegod Productions, licenzia questo adrenalinico Judge and Jury, una botta metallica suonata straordinariamente bene, valorizzata da produzione e songwriting ineccepibili.
Thrash metal dicevamo, con le ispirazioni che guardano alla scena della Bay Area ma che vengono potenziate da un impatto moderno, mentre le ritmiche abbattono dighe e lo tsunami creato viene tenuto a bada da una prova al microfono spettacolare da parte di Vegar Larsen, chitarrista ma soprattutto vocalist straordinario, con una dose di metal alternativo nelle vene e la storica scuola dei singer del genere perfettamente studiata, che gli permette di fare il bello e cattivo tempo su una scaletta di brani devastanti in cui la sezione ritmica impazza (Kenneth Skårholen alle pelli e Atle Sjørengen Johannessen al basso) e le chitarre vomitano riff uno più intenso dell’altro, con un manico nella storia del genere e l’altro pregno di quel groove chefa la differenza.
Un mastodontico lavoro, con una serie di tracce da infarto (Cripple the Slaves, quella tempesta estrema che di nome fa Limitations, la marcia devastante di Wither e la clamorosa In Hell), le influenze che spaziano come una tromba d’aria che vortica da una parte all’altra sulla costa e un cantante che vince per distacco la palma del migliore nel genere oggi in circolazione.
Album imperdibile, gruppo straordinario, perderlo sarebbe un peccato mortale.

TRACKLIST
1. Carved In Stone
2. Cripple The Slaves
3. The Final Sigh
4. Limitations
5. Not The Enemy
6. Wither
7. Judge And Jury
8. In Hell
9. Desolation
10. Fury
11. Public Enemy
12. No Serenity
13. Scars

LINE-UP
Vegar Larsen – Vocals, Guitars
Kim Nybakken – Guitars
Atle Sjørengen Johannessen – Bass
Kenneth Skårholen – Drums

WYRUZ – Facebook

Vanexa – Too Heavy To Fly

I nuovi Vanexa, a giudicare da questo lavoro, appaiono tutto fuorché che un gruppo con quarant’anni di musica metal sul groppone.

Si torna a parlare dei Vanexa, dunque di storia dell’heavy metal made in Italy.

La band ligure ritorna dopo più di vent’anni con un nuovo lavoro, una line up nuova di zecca e tanto heavy rock, magari non agguerrito come negli storici lavori degli anni ottanta, ma dalla classe di un’altra categoria ed un lotto di canzoni ispirate.
La storia del gruppo è conosciuta a memoria, almeno da chi ha nel cuore le sorti dell’heavy metal ed in particolare di quello suonato nello stivale: partiti sul finire degli anni settanta con l’esordio omonimo targato 1983, il gruppo del duo ritmico Sergio Pagnacco (basso) e Silvano Bottari (batteria), i soli rimasti della formazione originale, hanno scritto pagine importanti per il metallo tricolore ed i loro pochi, ma bellissimi lavori, hanno creato intorno al gruppo un aura leggendaria.
Oggi, affiancati dall’ottimo vocalist Andrea “Ranfa” Ranfagni singer di razza e vero portento al microfono, e con una coppia d’asce sontuosa con Artan Selishta a far danni in compagnia del talentuoso Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle), ci regalano questo ottimo Too Heavy To Fly, licenziato dalla Punishment 18 Records.
Heavy rock più che metal, è bene chiarirlo, la rabbia giovanile ha lasciato il posto ad un più ragionato approccio alla nostra musica preferita che, al netto di prestazioni sugli scudi dei protagonisti, equivale a dieci perle hard & heavy, ruvide, melodiche ma soprattutto elevate da una forma canzone che non lascia indifferenti.
Sotto questa nuova veste, diciamo più patinata, i Vanexa trovano le fonte della giovinezza con una serie di brani freschi, dalle ariose atmosfere, rinvigoriti da chitarre adrenaliniche, ma deliziati pure da molte parti melodiche che si manifestano non solo nelle ballad e nei molti mid tempo, ma anche quando sono la grinta ed i watt a guidare il suono.
Brani dalle ritmiche serrate, un gran lavoro delle sei corde ed una prestazione esemplare del singer, impreziosiscono le canzoni dei nuovi Vanexa che, a giudicare da questo lavoro, appaiono tutto fuorché che un gruppo con quarant’anni di musica metal sul groppone.
Tutte ottime canzoni, su cui spiccano la robusta title track e la seguente 007, per una partenza tutta potenza e classe, di un’ altra categoria Rain, mentre The Traveller conclude alla grande l’album con Ken Hensley degli Uriah Heep a valorizzare il brano con i suoi tasti d’avorio.
Nel mezzo, come detto, tanto ottimo heavy rock, non solo per nostalgici, ma assolutamente protagonista anche in questi disgraziati anni del nuovo millennio.
Noi siamo di passaggio, le leggende restano…

TRACKLIST
1. Too Heavy To Fly
2. 007
3. Life Is A War
4. Rain
5. It’s Illusion
6. Tarantino Theme
7. In The Dark
8. Kiss In The Dark
9. Paradox
10. The Traveller

LINE-UP
Andrea “Ranfa” Ranfagni – vocals
Pier Gonella – guitars
Artan Selishta – guitars
Sergio Pagnacco– bass
Silvano Bottari – drums

VANEXA – Facebook