Currents – I Let The Devil In

In I Let The Devil In ci sono strutture potenti e belle sfumature: il metalcore con i Currents non vi sembrerà più ovvio come prima, ma qualcosa di valore.

Metalcore dai molti innesti post hardcore, derive djent e con momenti di deathcore, il tutto con molta melodia.

I Currents sono una delle migliori espressioni del metal moderno che si possano trovare in giro, hanno un suono giovane e ben studiato. Le canzoni sono nate durante le sessioni di registrazione dell’album precedente, The Place I Feel Safest, e il gruppo, come ha affermato rispondendo su Reddit ad un ascoltatore, non voleva che fossero l’appendice di un’eventuale edizione di lusso del disco ed ecco questo ep. Le canzoni sono ben variegate e mostrano lati meno conosciuti di questo gruppo del Connecticut. I ragazzi sono consapevoli di essere un gruppo al di sopra della media per quanto riguarda il genere e portano avanti un discorso bene preciso, mettendo al centro di tutto il perfetto bilanciamento fra potenza e melodia, che è poi il marchio di fabbrica del genere, ma qui acquista un significato diverso grazie al loro talento. Ascoltando i Currents si possono trovare motivi di interesse per varie tipologie di metallaro, da quello più moderno e prevalentemente giovane, a quello più vecchio ma interessato ad ascoltare il meglio del metalcore, o meglio, ciò che non è solo metalcore come in questo caso. Questo ep è la dimostrazione che i Currents sono una band che ha molteplici soluzioni sonore ed una brillantezza generale che li pone in posizione privilegiata rispetto ad altri gruppi e che, concentrando gli sforzi, un ep è molto meglio di dischi più lunghi. La lunghezza del disco è giusta e permette di cogliere tutte le cose che vanno colte. In I Let The Devil In ci sono strutture potenti e belle sfumature: il metalcore con i Currents non vi sembrerà più ovvio come prima, ma qualcosa di valore.

Tracklist
1. Into Despair
2. My Disguise
3. To Feel Empty
4. The Rope
5. Forever Marked

Line-up
Brian Wille – Vocals
Chris Wiseman – Guitar
Ryan Castaldi – Guitar
Dee Cronkite – Bass

CURRENTS – Facebook

Crypt Trip – Haze Country

I giochi di chitarra, la sezione ritmica che si impone in maniera soffusa e la magnifica voce che accompagna il tutto: non si riesce a trovare un difetto nemmeno a volerlo e questo disco lascia l’ascoltatore con un’incredibile sensazione di benessere e di gioia campagnola, quella che viene su dall’odore di erba bagnata al mattino.

Non capita spesso, anzi quasi mai, ma quando succede è incredibile come la prima volta.
Si mette su un disco, scegliete voi il formato, e si rimane basiti all’ascolto fin dalle prime note, semplicemente rapiti dalla sua bellezza. Ciò è quello che capiterà a chi ascolterà Haze Country, il nuovo disco dei texani Crypt Trip.

Il suono è meraviglioso, psichedelia rurale degli stati americani del sud, come se fossimo ancora negli anni settanta, anzi meglio, molto meglio. Il suono è calorosamente analogico, e il resto lo fanno questi ragazzi che, a partire dal look, sono posseduti dallo spirito di qualche texano psichedelico. Sembra quasi incredibile che in un luogo come il Texas ci sia un’importantissima tradizione di unione fra psichedelia e musica rurale, che ha prodotto grandi esempi come i Lynyrd Skynyrd e Allman Brothers Band, giusto per citare quelli più famosi, ma qui c’è molto di più. Ogni nota è bellissima e partecipa ad una splendida atmosfera generale di pace e ruralità aumentata. In sé la musica dei Crypt Trip è semplice, ha radici molto solide ed esprime più di quanto possa sembrare in apparenza. Haze Country è il titolo più azzeccato per un disco che è un viaggio attraverso la campagna texana e punto di partenza per una destinazione più lontana, un posto che ci farà stare bene. I giochi di chitarra, la sezione ritmica che si impone in maniera soffusa e la magnifica voce che accompagna il tutto: non si riesce a trovare un difetto nemmeno a volerlo e questo disco lascia l’ascoltatore con un’incredibile sensazione di benessere e di gioia campagnola, quella che viene su dall’odore di erba bagnata al mattino. E’ presente anche un hard rock settantiano che farà la gioia di chi lo ama. Il disco uscirà a marzo 2019, e questa è l’unica brutta notizia perché bisogna aspettare, ma si può ordinare già da ora.

Tracklist
1 Forward
2 Hard Times
3 To Be Whole
4 Death After Life
5 Free Rain
6 Wordshot
7 16 Ounce Blues
8 Pastures
9 Gotta Get Away

Line-up
Ryan Lee – Guitar / Vocals / Electric Piano
Cameron Martin – Drums / Vocals / Percussion
Sam Bryant – Bass

CRYPT TRIP – Facebook

Kotiomkin – Lo Albicocco al Curaro Decameron 666

Le fondamenta di questo suono sono le colonne sonore dei film italiani minori degli anni sessanta, settanta e ottanta, film innovativi e dalle grandi soundtrack, nelle quali l’avanguardia musicale poteva mostrarsi nuda e senza remore, regalando molte gioie.

Nuovo disco di questo duo italiano che confeziona splendide colonne sonore di film immaginari.

Il gruppo nasce da un’idea di Ezio P. Zender nel 2012 e ha già pubblicato Maciste Nell’Inferno Dei Morti Viventi – Peplum Holocaust e Squartami Tutta – Black Emanuelle Goes To Hell: i titoli dicono molto ma la questione è ancora meglio. La musica di questo duo è un qualcosa di inedito per molte orecchie, un viaggio di synth e chitarra, inframezzato da estratti da questi film immaginari. In pratica come se fosse una jam adattata alle immagini, questa musica che ora si attarda ora si slancia impetuosa è qualcosa che scorre senza mai ripetersi per tutto il corso del disco. Le idee dei Kotiomkin sono molteplici e tutte buone, l’ascoltatore non sa mai cosa lo aspetta, e il viaggio sonoro è molto bello. Le fondamenta di questo suono sono le colonne sonore dei film italiani minori degli anni sessanta, settanta e ottanta, film innovativi e dalle grandi soundtrack, nelle quali l’avanguardia musicale poteva mostrarsi nuda e senza remore, regalando molte gioie. Per la prima volta nella sua carriera il gruppo abbandona le chitarre per fare il tutto con i synth e la batteria. Il suono è molto fresco e ha un forte sapore di improvvisazione jazzistica, un andare oltre la forma canzone rompendo molti schemi in nome di un’avanguardia che è soprattutto mentale. La fisicità e il sesso sono qui onnipresenti, legandosi al dimonio che guida le azioni di donne e falli sventurati, e anche questo è reso benissimo ed in maniera molto fantasiosa. Una suora suicida, un padre che non si arrende, un demonio e tanto altro per una storia avvelenata come un albicocco al curaro. Qui i generi musicali si sovrappongono, dal noise al lounge satanico, stoner, prog e tanto altro, per un qualcosa di davvero originale ed unico. Non costa molto vendere l’anima ai Kotiomkin, ne ricaverete solo grande godimento.

Tracklist
Lo Lato A
I. Fatal Commestio
II. Sexy Averno
III. Metti lo Diavolo Ne Lo Convento

Lo Lato B
IV. Vilan Chesserton
V. Satanasso “Protettore” Delle Donne

Line-up
Enzo P. Zeder – Bass & Analogic Synthesizers
Gianni Narcisi – Drums

KOTIOMKIN – Facebook

Nosexfor – Nosexfor

A differenza di ciò che deve essere compreso attraverso i social media, questo disco, fatto in maniera antica ma non per questo antiquata, mette la musica al centro di tutto rendendola strumento di narrazione.

Esordio per il duo vicentino Nosexfor, composto da Severo Cardone e Davide Tonin.

Al primo ascolto non si rimane particolarmente impressionati dalla loro musica e dai loro testi, ma dopo un po’ che li si ascolta si rimane stupiti di quanto siano bravi e capaci nel rendere melodie e pensieri, fissandoli su piccoli bassorilievi musicali che colpiscono per la loro originalità e credibilità.
La prima impressione non era certo colpa del duo veneto, che infatti poi convince appieno, ma della nostra abitudine a sentire cose in poco tempo cercando di trovarci del senso e delle cose che in realtà non ci sono. In questo periodo storico, nel più completo rovesciamento della realtà, il cosiddetto indie è diventato più mainstream del mainstream stesso, attraverso formule musicali che sono per lo più vuote e barocche; quando contano più i followers su Instagram che la musica, l’atto musicale passa quasi in secondo piano, sotterrato da nuovi guru sonori. Poi arrivano dischi come questo d’esordio dei Nosexfor che, con parole adeguate e musica minimale e veritiera, ti aprono gli occhi riportandoti dove vorresti sempre essere stato. La formula chitarra e batteria è stata percorsa da molti gruppi negli ultimi anni, c’è chi lo ha fatto bene chi un po’ meno, ma i Nosexfor appartengono decisamente al gruppo di chi ha qualcosa da dire e lo grida bene. Non ci sono pose particolari, nessuna costruzione senza fondamento, ma un uso intelligente e potente della musica e delle parole. Melodie inusuali, momenti accelerati e fasi più intime che si incontrano e danno vita ad una formula assai inusuale per l’Italia, ovvero una specie di stoner rock dai molti risvolti, con tanta realtà raccontata in maniera mai isterica e puntuale. A differenza di ciò che deve essere compreso attraverso i social media, questo disco, fatto in maniera antica ma non per questo antiquata, mette la musica al centro di tutto rendendola strumento di narrazione. Inoltre c’è un sentore di blues che aleggia per tutto il lavoro, arricchendolo di una forza calma ed inoppugnabile. I Nosexfor fanno un qualcosa che è nell’aria e che c’è per chi ne sa cogliere la presenza, un piccolo tesoro che aspettavamo da tanto, con quella voce in italiano su un tappeto di suoni che sgorgano incessanti.

Tracklist
1Pensavo fosse ok
2 Zero Meno
3 Perdere la testa
4 Ma non ti preoccupare
5 L’America
6 Niente luci in centro
7 Noi
8 Bambino Vodu’
9 Eva
10 Quello che resta

NOSEXFOR – Facebook

Subtrees – Polluted Roots

Partendo dall’assennato assunto di Italo Svevo che la vita attuale è inquinata alla radice, i bolognesi Subtrees debuttano con un disco meraviglioso e pieno di tossici gioielli.

Partendo dall’assennato assunto di Italo Svevo che la vita attuale è inquinata alla radice, i bolognesi Subtrees debuttano con un disco meraviglioso e pieno di tossici gioielli.

Tutti portiamo un certo grado di tossicità dentro di noi, abbiamo un lato che come un click difettoso non funziona molto bene, o funziona molto meglio della parte che crediamo sana, comunque c’è e vive assieme a noi come un simbionte. La sensazione più importante fra le tante che regala questo disco è il tremendismo, un senso di catastrofe imminente che fortunatamente non si riesce a cogliere nella sua pienezza perché siamo intossicati, e i nostri pensieri viaggiano molto lentamente. Musicalmente il disco esplora diversi lidi e tocca molte istanze musicali, a partire da un forte retrogusto grunge che permea tutta l’opera, ma si va anche verso il noise anni novanta, tenendo sempre ben presente la propria impronta originale. Procedendo nell’ascolto si trova anche un incedere tipico degli Isis, ovvero un passo musicale davvero ampio e che abbraccia l’ascoltatore mentre lo porta lontano. La musica dei Subtrees è qualcosa che riscalda e che scorre direttamente nelle vene, come un droga salvifica, rinnovando la nostra tossicità, rendendola inevitabile e immanente. La completezza del disco è difficile da descrivere a chi non lo ascolterà, perché è sempre la musica che deve spiegare, qui possiamo solo dare indicazioni di ascolto, e questo è un ascolto da fare assolutamente. Le atmosfere create dal gruppo sono bolle temporali nei quali ci si sente confortevoli e al contempo viene esposto il nostro disagio. Non ci sono momenti particolarmente veloci, è tutto molto incisivo e ben composto, con trame che non si sentivano da tempo per un gruppo davvero notevole.

Tracklist
1.Syngamy
2.Everything’s Beautiful, Nothing Hurt
3.Conversation #1 (Hero’s Death)
4.Conversation #2 (Adam’s Resurrection)
5.Reflections
6.Motorbike
7.Jungle/Overexposure

Line-up
Roberto Andrés Lantadilla – voce, chitarra e testi
Nicola Venturo – basso e sintetizzatori
Riccardo Pantalone – chitarra e ostrich guitar
Alberto Lazzaroni – batteria

SUBTREES – Facebook

Revenge – Deceiver.Diseased.Miasmic

Due canzoni davvero furiose e che portano quasi in trance l’ascoltatore, facendogli imboccare una via lastricata di sangue e di ossa.

La scena canadese del metal è vasta e di buona qualità, e si denota per essere una delle più estreme e senza compromessi al mondo.

Testimoni di ciò sono i Revenge, da Edmonton stato di Alberta, con la loro furiosa proposta sonora, fatta di war metal che si avvicina molto al black. I nostri vedono la luce nel 2000, fondati dal batterista e cantante J.Read, per continuare il discorso iniziato con i Conqueror. La loro discografia è piuttosto vasta e questo ep è l’ultimo episodio, pienamente allineato ai precedenti, e se possibile ancora più cattivo. Il suono dei Revenge risale ai primordi dell’uomo, è l’evoluzione di una furia cieca e senza comprensione, un orrore che cala come una falce sul genere umano che si crede buono, e si avvicina molto alle cose del passato con una produzione dalla resa quasi analogica. Tutto ciò serve a creare un’atmosfera particolare, che è poi quella che ricerca l’ascoltatore in un disco dei Revenge. Odio, completa assenza di qualsivoglia speranza salvifica e una grande rabbia che nasce da lontano. Precedentemente si parlava di war metal, un genere che è molto particolare e che secondo alcuni riprende le origini del metal in maniera incontaminata, e ciò lo si può pienamente apprezzare in questi due pezzi, che sono il perfetto manifesto di ciò che sono i Revenge e del perché abbiano un seguito molto fedele. Ci sono accenni anche importanti al black metal, ma il fulcro del suono è qualcosa di ben diverso dal nero metallo. Qui gli strumenti musicali sono portatori di una furia e di un odio che travalica la musica e arriva da e dentro l’animo umano, vero mistero insondabile. Due canzoni davvero furiose e che portano quasi in trance l’ascoltatore, facendogli imboccare una via lastricata di sangue e di ossa.

Tracklist
1. Diseased Intrusion
2. Deceiver Futile

Line up:
V. – Guitars / Bass
J.Read – Drums / Vocals

REVENGE – Facebook

Morso – Lo Zen e L’Arte del Rigetto

In Italia ci sono già stati gruppi di questo tipo, ma l’agilità e l’incisività dei Morso è cosa rara, quasi come se fossero un distillato delle migliori esperienze nel genere, una mutazione genetica che parla del nostro quotidiano.

Incisivo noise math con fortissime influenze hardcore punk in italiano per il debutto dei Morso.

Il gruppo nasce fra Milano e Varese nella Lombardia che scalcia, dal desiderio del chitarrista Davide e del cantante Guido di fare musica senza canovacci prestabiliti, riportandola alla sua origine di mezzo espressivo libero. Raggiungono pienamente il loro scopo e vanno anche oltre, dato che gettano un ponte fra un qualcosa di moderno e una particolare declinazione dell’hardcore che era in voga nei primi duemila, sulla scia dei La Crisi tanto per capirci. Come radici abbiamo la furia e l’urgenza dell’hardcore punk, unito ad un noise che aumenta la carica distruttiva. I Morso sono un gruppo che picchia pesante e viaggia veloce, ma la musica è sempre ben suonata e prodotta con attenzione, i testi sono particolari e si capiscono molto bene, anzi sono al centro della scena. Si parla di questa realtà dopata, della scomparsa della stessa, di questa gran confusione che ci picchia in testa e fa male, maledettamente male. Ciò che stava su ora è giù, e ciò che stava giù e salito e tutto ci appare normale. I Morso sono come la pillola rossa di Matrix, sarai catapultato più vicino alla verità a tuo rischio e pericolo, il tutto attraverso una musica incessante ed incalzante, assolutamente originale. In Italia ci sono già stati gruppi di questo tipo, ma l’agilità e l’incisività dei Morso è cosa rara, quasi come se fossero un distillato delle migliori esperienze nel genere, una mutazione genetica che parla del nostro quotidiano. I Morso non ti lasciano quiete, non c’è più aria e bisogna andare veloci. Un disco veloce ma che si insinuerà in profondità dentro di voi.

Tracklist
1 . Liberaci Dal Male
2. Nessuno e Centomila
3. Pieno di Istanti
4.Non Si Muore Ogni Dicembre
5. Sempre meglio di niente
6. Incline
7. Glamour Suicide
8. Il Fine Giustifica i Mezzi
9. Cmc
10. Ex
11. Sognavo Di Essere Bukowski

MORSO – Facebook

CardiaC – Mañana No Será Otro Día Igual

Dischi come questo sono sempre i benvenuti perché riportano la musica ad un divertimento semplice ma non scontato, inserendosi in un genere le cui uscite sono rare ma di una qualità migliore rispetto al passato, forse a causa di una selezione naturale.

A chi piace l’hardcore punk selvaggio e molto vicino al metal, con un importante tocco di anni novanta, eccovi servito il disco degli svizzeri CardiaC.

Giunti al settimo disco, i CardiaC si confermano come uno dei pochi gruppi che portano avanti la bandiera dell’hardcore punk anni novanta, quello più aperto alle influenze esterne, tanto da ospitare nel disco nientemeno che Sen Dog dei Cypress Hill. Mañana No Será Otro Día Igual non è però un disco di mera nostalgia, un cercare di riprodurre tempi ormai irrimediabilmente andati, ma è anzi la riproposizione moderna di un suono che ha mietuto molte vittime negli anni passati e che continua ad esistere grazie a band come i CardiaC. Questi ultimi hanno le idee molto chiare, non si discostano molto dal loro canovaccio, ma questo è ciò che ci aspetta. Chitarre veloci al limite del thrash metal, che rimane comunque uno dei loro riferimenti stilistici, sezione ritmica che non arretra di un centimetro e ben distorta, la voce di Ricardo Chimichanga che canta in spagnolo dando un qualcosa in più di molto particolare e che rende unico il suono. La missione dei CardiaC è quella di divertirsi e di far divertire il proprio pubblico, tramite una poderosa distribuzione di adrenalina e potenza. L’immaginario di questo suono vive di tuffi dal palco, headbanging casalingo e tanto testosterone, e qui dentro c’è tutto ciò e anche di più. Dischi come questo sono sempre i benvenuti perché riportano la musica ad un divertimento semplice ma non scontato, inserendosi in un genere le cui uscite sono rare ma di una qualità migliore rispetto al passato, forse a causa di una selezione naturale. Ottimi gli ospiti presenti, sia il suddetto Sen Dog dei Cypress Hill, sia Billy Graziadei dei mammasantissima Biohazard, gli alfieri di questo genere, e dai Samael Drop. Un disco davvero divertente e che vi farà volare spalla contro spalla contro il muro di casa vostra o contro qualcun’altro come voi.

Tracklist
1.La Vanguardia
2.Diapositivas y negativos
3.La Resurrección del Antihéroe
4.Imparable (feat. Billy Graziadei)
5.M.O.J.I.T.O
6.Al filo de lo Imposible (feat. Scott Middleton)
7.En L.A. de me decían (feat. Sen Dog)
8.Nadie nace odiando
9.Una vida extraordinaria

Line-up
Julien – Electric & acoustic guitar
Mariano – Electric guitar
Ricardo – Voice & screams
Bastien – Drums
Cedric – Bass
Joelle – Cello
Fabien – Acoustic guitar
Quentin- Bass
Cesar- Harmonica

CARDIAC – Facebook

Urali – Ghostology

La musica è variegata, sognante e dura quando serve, un piccolo trattato di come dovrebbe essere la quella cosiddetta alternativa, ovvero una tuffo nel bello che la musica di massa non offre.

Urali è un ambizioso progetto sonoro che mette insieme varie e diverse istanze musicali, all’insegna della qualità, della bellezza sonora e della delicatezza, cose alquanto sconosciute di questi tempi.

Diviene quasi pesante spiegare il tutto, dato che qui davvero la musica è la cosa più importante e il fine di tutto è dare qualcosa all’ascoltatore. Era da tempo che non si ascoltava un disco così improntato a far scorrere la musica, esplorando differenti zone e facendo sprigionare varie emozioni. Il progetto Urali è portato avanti da Ivan Tonelli ed è la prima volta che incide con altri musicisti, infatti si può sentire in maniera molto marcata la sua impronta cantautorale, che nel suo caso è anche una grande dote. Si provano a rappresentare e a vivere diverse emozioni, a galleggiare a testa alta in un mondo che ti vorrebbe tirare già con i suoi sporchi tentacoli, ma da qualche parte la bellezza c’è ancora, questo disco la possiede e la fa vedere. Chiudere gli occhi, lasciarsi andare e poi forse tornare, non è un ordine ma un consiglio gentile. Ghostology è un disco concepito con canzoni che sono brevi racconti messi in musica, ispirandosi alle opere del sommo vate H.P. Lovecraft, dello scrittore di fantascienza Alex Garland e all’immaginario giapponese degli anime e dei manga. Una delle particolarità di questo disco è che la voce narrante è un’intelligenza artificiale liberatasi dal giogo del suo padrone ed amante e che narra ciò che ha vissuto e la traiettoria della razza umana vista da un’angolazione particolare. La musica è variegata, sognante e dura quando serve, un piccolo trattato di come dovrebbe essere la quella cosiddetta alternativa, ovvero una tuffo nel bello che la musica di massa non offre, e quindi un qualcosa di diverso. Tutto ciò è Ghostology e anche di più: un’opera delicata ed intelligente, frutto di una sensibilità musicale superiore che riesce a stupirsi di fronte alle cose più piccole e che rende molto bene anche quelle assai difficili da spiegare. Nel corso di alcuni pezzi ci sono magnifici cambi musicali che rendono il disco un oggetto difficilmente classificabile per quanto riguarda i generi, e questo è un altro punto a suo favore.

Tracklist
1. A Ghost Anthology
2. Memorizu
3. Arborescence
4. One Day, A Thousand Autumns
5. Grave Of The Stars
6. Dwellers
7. The History Of Mankind On The Palm Of My Hand
8. Finale

URALI – Facebook

Prins Obi & The Dream Warriors – Prins Obi & The Dream Warriors

Tutte le note di questo disco sono suonate con un senso, tutto appartiene ad un sentimento superiore della musica, quella che avvolge e che scorre nelle vene, e che porta molto lontano.

Prins Obi è il nome di battagliadi Georgios Dimakis, farmacista greco e per nostra fortuna musicista dei Guru, ora al secondo disco con il suo progetto solista insieme ai grandi The Dream Warriors, dopo l’acclamato The Age Of Tourlou del 2017.

La loro proposta è composta da uno psyhc rock anni settanta molto godibile, profondo e con un’incredibile aderenza ai canoni di quegli anni. Se questo disco fosse uscito negli anni settanta avrebbe avuto un sicuro successo, perché sia la composizione che la produzione sono molto in linea con quei dettami musicali. Si spazia un po’ in tutti gli ambiti, dalla psichedelia più acida dai rimandi floydiani a momenti che sembrano usciti da un Sgt. Pepper greco, infatti, quando le liriche sono in lingua madre la magia è maggiore. Tutte le note di questo disco sono suonate con un senso, tutto appartiene ad un sentimento superiore della musica, quella che avvolge e che scorre nelle vene, e che porta molto lontano. Chi segue da qualche anno la nuova scena psichedelica greca sa che possiede gruppi notevolissimi, ma qualcosa come questo disco non si era ancora sentito. Con ciò non si vuole affermare che esso sia il punto più alto di suddetta scena, ma è un qualcosa di molto importante. Innanzitutto sorprende la grande naturalezza con la quale Prins Obi ed il suo gruppo si lanciano nell’agone musicale, e dopo una prima parte del disco più veloce ed incalzante si passa ad una seconda più riflessiva che sfiora il folk psichedelico, e che comunque si lega benissimo alla prima. Difficile cadere nella noia con un lavoro così ben costruito e suonato ancora meglio, dato che gli interpreti sono molto capaci con un risultato d’insieme che diviene l’obiettivo comune. Gioia e stupore psych per un altro grande disco greco della Inner Ear Records.

Tracklist
1.Concentration
2.Flower Child (Reprise)
3.Negative People / Άμοιρε Άνθρωπε
4.Astral Lady Blues
5.Fingers
6.Δίνη
7.Αδαμάντινα Φτερά
8.Sally Jupinero
9.Guilty Pleasure Theme
10.For Absent Friends
11.Wide Open
Line-up
Georgios Dimakis – lead vocals, piano, synths –
Pantelis Karasevdas – drums, percussion –
Sergios Voudris – bass, electric guitar –
Kwstas Red Hood – percussion –
Chris Bekiris – electric guitar-
URL Facebook

PRINS OBI & THE DREAM WARRIORS – Facebook

Bölthorn – Across The Human Path

Buttarsi nell’agone viking death metal non è cosa affatto facile, in questo caso lo si fa con molta qualità e bravura, riuscendo sempre a cogliere il punto. Across The Human Path è una delle migliori cose uscite in Italia in questo genere, e non solo.

In questo gran revival vichingo degli ultimi anni, fra serie tv e gruppi metal che si rifanno a questa epopea, arrivano da Parma come un colpo di Mjölnir i Bölthorn, semplicemente il miglior gruppo italiano di viking melodic death metal in circolazione.

Le influenze sono chiare e ci portano dalle parti degli asgardiani Amon Amarth, con quella mistura particolare di death metal melodico con influenze viking. La bellezza di Across The Human Path sta proprio nel groove incessante, nella capacità di creare una certa atmosfera, che non è solo derivativa, ma che porta in sé qualcosa di innovativo e di antico al tempo stesso. Il suono di questi parmensi non è inedito, ma lo fanno ad un livello molto superiore rispetto alla maggior parte dei gruppi del genere o sottogenere. Si parte con un’ottima produzione che fa risaltare la loro preparazione tecnica e la sapienza compositiva: i Bölthorn creano un pathos particolare, un sentire che ricorda i migliori dischi del genere, quel ritrovarsi fianco a fianco nella neve con i guerrieri durante una battaglia, o guardare il mare dagli scogli di un fiordo immaginando cosa ci possa essere al di là delle onde. In alcuni momenti l’assalto melodic death metal diventa struggente, compenetrando quella malinconia che ha contraddistinto i vichinghi, quella profonda conoscenza della vita che porta ad affrontarla a viso aperto, difficoltà per difficoltà, giorno per giorno. Il cantato è in growl, ma è molto chiaro e rende molto bene, il gruppo è preparato , preciso e con un’impronta personale e ben definita. Le canzoni sono quasi tutte di ampio respiro per sviluppare al meglio le profonde trame sonore. I Bölthorn nascono dalla volontà di Ivan (già nei Dust, Dream’s Echo ed Ironcross Project) di creare un progetto inizialmente da studio: Rob degli Angerfish e Drake dei Ny Mind si trovano subito in sintonia con lui e quindi il tutto avanza fino alla registrazione del disco presso l’Audicore Studio di Fontevivo in provincia di Parma. Il risultato è un lavoro mai scontato, ben suonato e ottimamente composto, che emoziona e che piacerà molto a chi ama queste sonorità e questo immaginario, ma anche molto fruibile per chi non le conoscesse ancora. Buttarsi nell’agone viking death metal non è cosa affatto facile, in questo caso lo si fa con molta qualità e bravura, riuscendo sempre a cogliere il punto. Across The Human Path è una delle migliori cose uscite in Italia in questo genere, e non solo.

Tracklist
1. Intro
2. Sentinel
3. For Honor
4. Thor
5. Curse of Time
6. Warriors
7. Midgaard
8. The Lair of the Beast
9. The Kaleidoscope

Line-up
Ironcross – Composer, Guitar, Bass and Drum
Drake – Vocals
Röb – Composer, Guitar

BOLTHORN – Facebook

Serrabulho – Porntugal (Portuguese Vagitarian Gastronomy)

Divertente, dissacratore, caotico, mai ovvio e con uno dei migliori titoli possibili, impossibile pretendere di più dai Serrabulho

La teoria del caos, che sembra governare molte più cose di quello che crediamo, si incontra con la musica e ne viene fuori il terzo disco dei portoghesi Serrabulho, Porntugal (Portuguese Vagitarian Gastronomy), un qualcosa dalle parti del grind e portoghese fino al midollo.

I Serrabulho sono all’apparenza un gruppo grind, in realtà sono dei propugnatori del caos e dei sovvertitori dei valori della cultura portoghese, e sono ossessionati dal culo e dai suoi prodotti. La struttura del disco è un grind abbastanza classico e ben suonato in linea con la tradizione lusitana che è simile a quella italiana. Detto ciò i Serrabulho sono la cosa più lontana che possiate immaginare dal gruppo grind triste e depresso, perché hanno un’ironia ed un’autoironia immensi. Nel disco ci sono inoltre una moltitudine di elementi del loro paese, che è come fosse un membro del gruppo, nel senso letterale della parola membro. Ci sono attacchi con le cornamuse e momenti suonati con strumenti tipici lusitani, il tutto al servizio del caos e della merda che vola spinta da un ventilatore potentissimo. Il gruppo portoghese utilizza anche frammenti di registrazione dell’etnomusicologo portoghese Tiago Pereira in collaborazione con A Música Portuguesa a Gostar Dela Própria, un interessantissimo progetto di registrazione audio e video della musica popolare portoghese. Porntugal è anche un invito ad imparare la lingua portoghese in modo da capire fino in fondo cosa dicono i Serrabulho perché ne vale assolutamente la pena. Il disco è un unicum nel panorama grindcore e va oltre la musica per investire molti ambiti che sembrano separati ma non lo sono. Divertente, dissacratore, caotico, mai ovvio e con uno dei migliori titoli possibili, impossibile pretendere di più dai Serrabulho.

Tracklist
01. She Drinks Milk
02. Ela Fez-me um Grão de Bico
03. Fecal Torpedo
04. Pito Sem Penas
05. Os Tintins do Tintin
06. BBC Wild Life
07. Cagalhão Com Ovo a Cavalo
08. Gelado de Caganetas
09. Dingleberry Ice Cream
10. Tofu au Cu
11. Tomate Pelado

Line-up
Carlos Guerra – vocals, sampling
Paulo Ventura – guitar, vocals
Guilhermino Martins – bass, caixa, sampling, vocals
Ivan Saraiva – drums

SERRABULHO – Facebook

Noiskin – Hold Sway Over

Il suono dei Noiskin è un distillato del metal moderno, contiene la giusta dose di aggressività con la melodia che gioca un ruolo molto importante.

Debutto con un disco di metal moderno per questo quartetto bergamasco, con musicisti provenienti da realtà differenti, una particolarità non da poco.

Infatti, la composizione dei pezzi riflette le varie estrazioni e contribuisce ad arricchire il tutto. Il suono dei Noiskin è un distillato del metal moderno, contiene la giusta dose di aggressività e la melodia gioca un ruolo molto importante. Il gruppo lombardo ha scritto l’album vertendo sulla tematica delle scelte, che sono una delle cose più importanti dell’essere umano. Siamo composti da cellule che scelgono e le conseguenze le portiamo dentro e fuori di noi. I testi sono interessanti e maturi e si sposano bene con la musica che è narrazione essa stessa. Le scelte (musicali) che compiono invece i Noiskin sono sempre improntate a supportare la narrazione e coerenti al contesto e, anche se non sono molto originali, funzionano ugualmente bene ed è ciò che conta. Durante l’ascolto si comprende in maniera chiara che la band ha molte potenzialità e le usa per cercare di imporsi all’interno di una scena affollata come quella modern metal e metalcore, con la difficoltà aggiuntiva di non essere anglosassoni. Bisogna dire che sono gli interessanti passaggi più vicini all’hard rock come Bound To MY Skin che potrebbero aprire nuove prospettive al gruppo. Anche l’uso delle tastiere fa rendere al meglio la poetica musicale dei Noiskin così come alcuni inserti elettronici, ma una delle cose migliori di Hold Sway Over è la voce che si sposa molto bene agli strumenti, creando anche atmosfere che potrebbero ricordare i Queensryche, come nel brano Twilight Sleep, anche se molto meno prog metal. Un debutto interessante di un gruppo che mette diverse carte sul tavolo.

Tracklist
01 NOISE
02 HOLD S WAY O VER
03 HAZE
04 BEYOND T EMPTATION
05 CHAPTER III
06 BOUND T O M Y S KIN
07 TWILIGHT S LEEP
08 ENTROPY
09 AS I L AY D YING
10 THE F AREWELL

Line-up
Luca Taverna – Voce e Chitarra Ritmica
Marco Depriori – Chitarra solista e Cori
Simone Tarenghi – Basso
Federico Bombardieri – Batteria

NOISKIN – Facebook

Sarah Longfield – Disparity

Sarah dimostra di non essere solo una virtuosa dello strumento, ma anche una musicista, una cantante e una compositrice molto completa e versatile.

Debutto solista per Sarah Longfield, una delle migliori virtuose mondiali della chitarra a sette corde.

Sarah ha formato nel 2012 il gruppo The Fine Constant che, con due dischi come Myriad e Woven In Light, si è fatto una certa reputazione fra chi ama il prog, per poi arrivare a pubblicare molti video in rete che dimostrano la sua straordinaria bravura chitarristica. In questo disco Sarah ci dimostra che le sue capacità sono molteplici e che possiede anche un grande talento compositivo. Disparity è un album che vive su diversi livelli, che fa viaggiare su molti mondi rivelandosi un incontro tra generi. Sicuramente di fondo c’è un grande amore per il prog metal e per il djent, ed è anche molto forte l’importanza dell’elettronica, che costituisce una parte importante della struttura. Inoltre la Longfield propone una rilettura personale dei lavori della tradizione chitarristica, rielaborando a modo proprio cose che Steve Vai e Joe Satriani hanno proposto per la prima volta anni fa. Di suo Sarah ci mette molto mostrando che non c’è solo una virtuosa dello strumento, ma che è una musicista, una cantante e una compositrice molto completa e versatile. L’obiettivo di Disparity è di creare una certa imago mentis nell’ascoltatore, come uno spazio che vive di leggi molto diverse da quelle del mondo reale, perché è composto dal sogno. In alcuni passaggi del disco c’è una struttura quasi free jazz, un rompere tutti gli schemi, concatenando diversi passaggi sonori per poi ottenere quasi uno straniamento sonoro uscendo in forma completamente diversa da quella precedente. Le canzoni sono della giusta durata e sono tutte concatenate fra loro. Come si vede in copertina, anche nel disco Sarah indossa molti colori e riesce a padroneggiarli tutti molto bene, creando un lavoro che fa vedere molto di un talento talmente grande che ci riserverà ancora qualche sorpresa.

Tracklist
1. Intro
2. Embracing Solace
3. Departure
4. Cataclysm
5. Sun
6. Citrine
7. Miro
8. Stay Here
9. The Fall

SARAH LONGFIELD – Facebook

The Turin Horse – The Turin Horse

I The Turin Horse sono un gruppo che francamente mancava nel panorama del noise nostrano, che come quello mondiale vive di flash e questa è una gran bella esplosione.

Quando si uniscono due musicisti che sanno come fare rumore e scrivere distorsioni il risultato fortunatamente non è quello che ti aspetti, perché il rumore spiazza sempre.

Il duo The Turin Horse racchiude al suo interno Enrico Tauraso, già nei mitici Dead Elephant che hanno scritto grandi pagine dell’underground italico, e Alan Lapaglia che militava nei MoRkObOt, vera e propria fucina di rumore. Unendo le visioni musicali hanno dato vita a questo power duo che pubblica questo debutto di tre pezzi che brucia tutto ciò che incontra. Prendete del noise e velocizzatelo, dello stoner e rendetelo più corrosivo, un po’ di sludge e sarete in quei dintorni, ma come al solito soltanto l’ascolto può rendere giustizia al grande suono del duo. Qui dentro troviamo certe malate ripetitività del miglior noise, come quello degli Unsane dei quali infatti viene riproposta Blame Me da Scattered, Smothered & Covered del 1996. Infatti qui troviamo tonnellate di quel piacere perverso che dà certo noise, ovvero quel ripetersi in maniera sempre diversa, e giro dopo giro di chitarra alzare la posta fino a fotterti il cervello: è quello che vogliamo ed i The Turin Horse lo fanno come nessun altro. Come si diceva all’inizio, non sai cosa aspettarti e ne vieni spiazzato, e qui effettivamente si va ben oltre le già alte aspettative, perché comunque Enrico e Alan sono di un altro livello, ma i The Turin Horse sono un gruppo che francamente mancava nel panorama del noise nostrano, che come quello mondiale vive di flash e questa è una gran bella esplosione. Unico difetto, bisogna accontentarsi ma solo per ora, è la lunghezza dell’ep, che è di tre pezzi che sono altrettante mazzate, ma se ne vorrebbe ancora. Il duo è anche sperimentatore, dato che alcuni strumenti sono costruiti da Enrico, e la mancanza del basso ha introdotto a scelte diverse e molto interessanti. Non è un caso che la città culla di questo grande inizio sia Torino, che è molto noise già di per sé e che è decisamente la migliore città musicale d’Italia. Un debutto devastante, maturo e bellissimo.

Tracklist
1. The Regret Song
2. Blame Me
3. The Light That Failed

Line-up
ALAIN LAPAGLIA – Drums & Power Electronics –
ENRICO TAURASO – Guitar & Voice & Power Electronics –

THE TURIN HORSE – Facebook

Apoptygma Berzerk – Soli Deo Gloria

Soli Deo Gloria è stato l’inizio di una lunga avventura che dura tuttora e che ha avuto alti e bassi, ma questo debutto resta fantastico.

Ristampa con bonus per la canadese Artoffact Records del primo disco del fondamentale gruppo di elettronica oscura Apoptygma Berzerk.

Quest’anno il loro debutto ha compiuto 25 anni e molte cose sono successe da quel giorno. Il genere praticato dagli Apoptygma Berzerk è felicemente di difficile identificazione, dato che si viaggia nei grandi territori dell’elettronica oscura, fra ebm e synthwave, e con tantissimi elementi provenienti da altri stili. Una delle cose che risalta maggiormente nello stile del gruppo è l’estrema facilità nel creare melodie belle e coinvolgenti, mantenendo sempre una grande oscurità nella loro musica. In tutto ciò sono stati dei pionieri per moltissime altre formazioni a cui andavano stretti gli abiti di alcuni generi fra i quali l’ebm. Soli Deo Gloria è l’inizio di una lunga avventura che dura tuttora e che ha avuto alti e bassi, ma questo debutto è fantastico. La maturità e la sicurezza presenti in questo debutto sono incredibili per essere la prima prova di un gruppo, e soprattutto notevolissimo è lo sviluppo di uno stile originale già al primo disco. Il future pop, come definiscono loro stessi il proprio genere, è qui al suo inizio e apice, e ingloba moltissimi elementi, dato che è anche molto presente la componente gotica, specialmente nel gusto di certe tastiere che sembrano periferiche rispetto al tema centrale, mentre invece sono il tema principale loro stesse. I mondi descritti dalla formazione norvegese sono lande desolate di terrore e lascivia, dove gli stessi dei si lasciano andare a cose che non possono essere narrate. In tutto ciò si staglia la musica pressoché perfetta di questo esordio, una vera e propria pietra miliare di diversi generi, ma soprattutto di un’attitudine che ancora oggi segna tantissimi gruppi. Un disco che ha cambiato le regole del gioco, uno di quegli esemplari sonori dopo i quali un certo genere non è più lo stesso. In questa ristampa della canadese Artoffact ci sono inoltre molti bonus che rendono ancora migliore il tutto, ampliando maggiormente lo sguardo. Per chi già conosce il fantastico mondo degli Apoptygma Berzerk questa è l’occasione per tornare alla sorgente di tutto, mentre per chi non li conosce sarà una bellissima e nera sorpresa.

Tracklist
1. Like Blood From The Beloved (Part 1)
2. Bitch
3. Burnin’ Heretic (Album Version)
4. Stitch
5. Walk With Me
6. Backdraft
7. ARP (808 Edit)
8. Spiritual Reality
9. Skyscraping (Schizophreniac)
10. All Tomorrows Parties
11. The Sentinel
12. Ashes To Ashes ’93
13. Like Blood From The Beloved (Part 2)

Bonus tracks:
14 – Borrowed Time (Club Mix)
15 – Burning Heretic (Crisp Version)
16 – The Sentinel (Nun Of Your Business Version by Blackhouse)
17 – Ashes To Ashes (Guitar Version)
18 – ARP
19 – Ashes To Ashes (4-Track Version)
20 – Backdraft (Sarpsborg Synth Version)

Line-up
Stephan Groth
Jonas Groth
Ted Skogman
Audun Stengel

APOPTYGMA BERZERK – Facebook

Zero23 – Songs From The Eternal Dump

Il pensiero che scaturisce dalla musica e dai rumori è potente e qui è molto presente, un ascoltare altro, un trovare altri sentieri, discostandosi dalle strade più battute e finanche inutili, quelle falsamente chiamate alternative.

Frequenze terrestri che sembrano aliene, suono che si mostrano per ciò che sono, senza gli inutili fronzoli della forma canzone.

Zero23 fa parte dell’etichetta più avanguardistica degli ultimi tempi in Italia, la massese Kaczynski Editions, che sta sondando in maniera mirabile il più nascosto sottobosco italiano. Songs From The Eternal Dump si inserisce molto bene nel discorso portato avanti da questi coraggiosi, ovvero improvvisazione ed oltre, per arrivare ad una nuova formulazione di musica. Qui non c’è nulla di alternativo o di sperimentale, ma troviamo una costante ricerca sonora che riverbera vari aspetti della realtà. Per degustare al meglio questo disco si consiglia di ascoltarlo con le cuffie, perché ci sono moltissime cose che si aggirano nella sua struttura minimale, ronzii e frequenze basse che esprimono concetti alti. Non ci si può approcciare a quest’opera (davvero limitativo chiamarlo disco, ma tant’è) con fretta o con la sicumera di avere delle risposte o delle domande, qui si medita ascoltando e si avanza meditando. Il pensiero che scaturisce dalla musica e dai rumori è potente e qui è molto presente, un ascoltare altro, un trovare altri sentieri, discostandosi dalle strade più battute e finanche inutili, quelle falsamente chiamate alternative. L’intento del disco è di recuperare e valorizzare ciò che sembra inutile e ormai perso, facendolo ritornare sotto forma di suono anche solo per un secondo, un vecchio campione riverberato che flasha la mente. Molto affascinante è il modo in cui questo lavoro riesca a calmare i nervi, o a spogliare improvvisamente la stanza dove vi trovate, come una pillola di Matrix che depauperi la realtà dalle cose in eccesso, lasciando il distillato matrice. Si respira anche grande libertà di espressione qui, come in tutti i lavori della Kaczynski Editions, che tenendo fede al suo esplosivo mentore sta minando le fondamenta del finto alternative italiano e speriamo lo faccia cadere presto.

Tracklist
1.empty little space
2.false step
3.broken souls
4.dead rats blues
5.far from home
6.crepusculo
7.macchinari avariati
8.Rome

Baldocaster – Moonrise

Questa opera prima in musica di Baldocaster è molto valida e può tranquillamente entrare nel novero delle migliori uscite del 2018 in campo retro wave e synth wave.

Baldocaster è semplicemente uno dei migliori produttori di retro wave e synthwave in circolazione, con un suono elettronico accattivante e completo.

L’inglese, ora trapiantato negli States, Baldocaster è un ragazzo che fin da piccolo ha nutrito un grande amore per l’elettronica, amore nato proprio in seguito ad un viaggio negli Stati Uniti. Da quel momento Baldocaster non si è più separato dai sintetizzatori e ha maturato un suo stile particolare, certamente debitore alla tradizione ma molto originale e ben strutturato. Questa sua opera prima in musica è molto valida e può tranquillamente entrare nel novero delle migliori uscite del 2018 in campo retro wave e synth wave. Le sue composizioni sono molto piacevoli e raggiungono molto bene lo scopo di questo genere di musica, ovvero costruire mondi nelle teste degli ascoltatori. Questo genere di musica elettronica che affonda le sue radici negli anni ottanta è uno di quelli, se non l’unico, che lascia completa libertà al suo ascoltatore nell’immaginare ciò che vuole durante l’ascolto. Certamente ha un suo ben preciso immaginario, fatto di colori sgargianti, linee rette e microchip seminali, ma può accadere di tutto fra queste note, tutto ciò che vuole l’ascoltatore. La produzione è potente e fa risaltare ottimamente le grandi doti di Baldocaster. Rispetto agli altri lavori dello stesso genere, Moonrise ha molti più elementi che diversificano il suono, che è di ampio respiro. La fantascienza la fa da padrona e contribuisce a portarci lontano, grazie a quell’elemento di solennità classica che contraddistingue la musica di Baldocaster. Infatti ci sono molti passaggi che potrebbero essere benissimo essere eseguiti da strumenti di musica classica. Un debutto molto buono e che lascia un segno.

Tracklist
1.Sputnik
2.Station X (featuring Caspro)
3.Temple Of The Sun
4.Moonrise
5.Blood Moon
6.Ritual
7.Solar Power
8.Eclipse
9.Here on Earth
10.Blood Moon (Stilz Remix)
11.Sputnik (Zayaz Remix)
12.Here on Earth (Caspro Remix)

San Leo – Y

Si viene rapiti da queste frequenze, da questi suoni che sono chiavi di un software superiore, stati d’animo fusi con l’acciaio degli angeli, potentissime visioni minimali che lasciano stucchi dorati nella volta celeste.

Il duo riminese San Leo è un gruppo che usa la musica per contornare un universo profondo e tutto da scoprire.

Le composizioni sono molto ben strutturate e sono assolutamente slegate dalla forma canzone, possiedono un ritmo ed una vita tutta loro e molto particolare; questo è l’ultimo capitolo della trilogia comincia con XXIV nel 2015 e proseguita con Dom nel 2017, un lungo percorso esoterico di ricerca sia spirituale che musicale. La musica vera e profonda, con un significato anche nel suono oltre che in ciò che si vuole dire, è come questa dei San Leo, che non ha in pratica un genere di riferimento, ma scaturisce da una sorgente profonda che è arcaicamente insita dentro di noi. I titoli lunghi, in un’era come la nostra connotata dal simbolismo dell’eiaculazione precoce in cui tutto deve essere veloce e chiaro, sono già poesie e prese di posizione di per sé, e si accompagnano benissimo alla musica. Il duo chitarra e batteria è una forma diffusa nel mondo della musica, e ne abbiamo alcuni validi esempi anche qui in Italia, ma dimenticate ciò che avete sentito fino ad ora in questo ambito, perché questo è un processo alchemico che non vi lascerà come prima. Inutile cercare di usare qui la dicotomia musica facile e comprensibile versus musica difficile e intellettuale: qui c’è la musica che ricerca, che va incessantemente avanti, senza fermarsi per farsi acclamare. Le idee sono molte e tutte molto valide e ben congegnate, il dipanarsi della trama ha un senso ben compiuto, che però cela moltissimo di quello che non si vede e che si deve scoprire, e per tutti avrà un significato diverso, perché siamo tutti ricettori differenti. Si viene rapiti da queste frequenze, da questi suoni che sono chiavi di un software superiore, stati d’animo fusi con l’acciaio degli angeli, potentissime visioni minimali che lasciano stucchi dorati nella volta celeste. Y è un disco incredibile per una traiettoria musicale unica in Italia, supportata da varie e notevoli etichette italiane.

Tracklist
1) Una presenza, una doppia entità nascosta nell’ombra: tra le fenditure del legno risiedeva il riflesso
del vero volto
2) La lama in attesa, la vertigine di un gesto inesorabile, l’eco sinistra delle urla del re
3) Lasciami precipitare come pioggia di meteore: a me fuoco e distruzione, a me catastrofe e
rinascita
4) Nella risacca udì la voce della mutazione marina, un mormorio di ossa tramutate in conchiglie

Line-up
Marco Tabellini – guitar
Marco Migani – drums

SAN LEO – Facebook

Unearth – Exctintion(s)

Gli Unearth concentrano qui tutto ciò di buono che sanno fare, esaltando al massimo le proprie capacità; la maturità musicale è netta e incontrovertibile, come la loro superiorità rispetto agli altri gruppi.

Passano gli anni, arrivano nuovi nomi sulla scena, ma poi esce il nuovo disco degli Unearth che spazza via tutto e tutti.

I paladini del metalcore sono in giro dal 1998 e non hanno intenzione di abdicare, anzi affermano la propria superiorità con questo ottimo Extinction(s), che mette in mostra tutto ciò che la casa possa offrire. Con chitarre contundenti, batteria e basso incessanti, una voce sempre calibrata e adeguata, gli Unearth sono uno dei gruppi che sanno incanalare al meglio la propria potenza, offrendo anche ottimi momenti di melodia, ma in questo disco prevale la pesantezza. Molti, e a ragion veduta, sono critici verso un sottogenere come il metalcore, poiché si dice che sia troppo melodico e fatto per vendere ai giovanissimi, cose che in alcuni casi sono vere, ma se i critici ascoltassero questo ultimo lavoro degli Unearth darebbero più di una possibilità al genere. Ovviamente non tutti i gruppi sono come loro, ma questo ultimo disco è molto valido, lo si ascolta dall’inizio alla fine apprezzando le continue e ottime soluzioni sonore, e il risultato di insieme è ottimo. Non esiste tregua o momento di stanca, la ripartenza della carriera dopo venti anni è un autentico successo, un continuum di mazzate e grandi momenti di metal moderno. Gli Unearth concentrano qui tutto ciò di buono che sanno fare, esaltando al massimo le proprie capacità; la maturità musicale è netta e incontrovertibile, come la loro superiorità rispetto agli altri gruppi. Mostrare i muscoli ma non solo, perché gli Unearth sono comunque capaci anche di belle melodie, sempre incastonate all’interno di ritmi veloci e potenti. Ottimo il cantato anche nei momenti di growl, dimostrazione di versatilità da parte del cantante e dell’intero gruppo.

Tracklist
1. Incinerate
2. Dust
3 Survivalist
4 Cultivation Of Infection
5 The Hunt Begins
6 Hard Lines Downfall
7 King Of The Arctic
8 Sidewinder
9 No Reprisal
10 One With The Sun

Line-up
Trevor Phipps – Vocals
Ken Susi – Guitar
Buz McGrath – Guitar
Nick Pierce – Drums
Chris O’Toole – Bass

UNEARTH – Facebook