Kings Will Fall – Thrash Force.One

I Kings Will Fall scendono dalle Alpi del Tirolo, con attitudine sfrontata, per portare guerra e distruzione con nove bombe che piovono dal cielo.

Thrash metal from the Alps, così si presentano i Kings Will Fall, quartetto altoatesino attivo dal 2013 per volere del batterista Lukas Gross e del bassista Daniel Vanzo, presto raggiunti dal cantante Fabian Jung e dal chitarrista Rene Thaler.

Thrash Force.One è il secondo lavoro, considerato l’ep Death Comes Early uscito due anni fa, album che ha dato alla band la possibilità di farsi conoscere tra l’Italia e la vicina Austria: vi troviamo thrash metal vecchio stampo, reso ancora più violento dall’uso del growl di stampo death e soluzioni punk hardcore, con ritmiche indiavolate che il quartetto usa in abbondanza nel loro debutto sulla lunga distanza.
I Kings Will Fall scendono dalle Alpi del Tirolo con attitudine sfrontata, per portare guerra e distruzione con otto bombe che piovono dal cielo, più la cover di We Are Motörhead ad accompagnare i titoli di coda di questo attacco fulmineo e letale portato anche da Toxic War, Endless Pain e Buster.
Slayer e la sacra triade teutonica sono le ispirazioni maggiori di questi massacratori di padiglioni auricolari chiamati Kings Will Fall, consigliati ai fans accaniti del thrash metal di scuola ottantiana e dai consumatori di metal estremo violento, diretto e senza fronzoli.

Tracklist
1.In Dead & Mud & Misery
2.Toxic War
3.Shots for Glory
4.Burn All Fuel
5.Endless Pain
6.Damage Crown
7.Buster
8.Gängster 1948
9.We Are Motörhead (Motörhead cover)

Line-up
Daniel Vanzo – Bass, Vocals (backing)
Lukas Gross – Drums
Rene Thaler – Guitars
Fabian Jung – Vocals

KINGS WILL FALL – Facebook

Bushi – Bushi

Bushi è un disco originale e un tentativo di cambiare le coordinate della ricerca musicale in campo pesante, perché qui è usato ad esempio con molta intelligenza anche il pop.

Bushi è un nome nuovo nel panorama rumoristico italiano, ed è nato da un’idea di Alessandro Vagnon,i membro di Bologna Violenta, ex Dark Lunacy ed ex Infernal Poetry, che ha curato le musiche, i testi e e grafiche del disco.

Ad accompagnarlo in questa nuova avventura nei territori del sonicamente inesplorato sono Davide Scode, ex Kingfisher, e Matteo Sideri, militante nei Ronin, negli Above The Tree & E Side e Maria Antonietta. Il disco si ispira all’etica samurai, e soprattutto descrive la distanza tra essa e la nostra società attuale. Musicalmente l’orizzonte è vario e multiforme, e si rimane piacevolmente stupiti dalla costruzione musicale, dato che non troviamo molto di estremo, mentre invece c’è un grande ricerca di una struttura musicale magniloquente ed in grado di accompagnare l’ascoltatore. I testi sono haiku, un metro poetico giapponese che riesce a far convivere potenza immaginativa e brevità in maniera inconsueta per noi gaijin. Il disco è prog metal nella concezione che potrebbe avere un Les Claypool, perché c’è un gusto di prog molto diverso, come poteva essere almeno concettualmente quello dei Coheed And Cambria, nel senso di ricerca altra di un tecnicismo espressivo. Le canzoni sono corpose e hanno una struttura ben definita e nulla viene lasciato al caso, soprattutto per quanto riguarda la fusione della voce con la musica. Bushi è un disco originale e un tentativo di cambiare le coordinate della ricerca musicale in campo pesante, perché qui è usato ad esempio con molta intelligenza anche il pop. Bushi è una piacevole sorpresa, essendo un disco che può assumere forme diverse, e dal vivo sarà ancora un’altra cosa. Vagnoni ha confezionato davvero un qualcosa che durerà nel tempo e che sarà apprezzato da chi ama la musica pe(n)sante. Continua l’ottimo lavoro nel sottobosco della Dischi Bervisti, che per qualità e cura fa musica artigianato.

Tracklist
1.Rolling Heads
2.The Cherry Tree
3.A Well-Aimed Blow Of Naginata
4.Runaway Horses
5.The Book Of Five Rings
6.Typhoons
7.Hidden In Leaves
8.Death Poems

Line-up
Alessandro Vagnoni
Davide Scode
Matteo Sideri

BUSHI – Facebook

Sator – Ordeal

I Sator fanno musica per terrorizzare chi sta loro davanti, con un cantato gridato su un tappeto sonoro sempre più potente ad ogni giro di chitarra e basso, con una batteria incalzante, dannati come una nave di pirati zombie.

Atteso ritorno di uno dei migliori gruppi italiani di sludge doom, fautori di un gran rumore, i genovesi Sator.

Dopo il debutto omonimo su Taxi Driver Records, i Sator passano su Argonauta Records per il loro secondo disco.
L’esordio era stato ottimo, con uno sludge doom molto potente con un forte substrato hardcore, ma con questa seconda prova il trio compie un’ulteriore evoluzione positiva, andando ad aggiungere maggiore spessore alla sua musica. Le composizioni hanno sempre grande potenza e viene inserita più psichedelia pesante per un effetto ancora più magniloquente. I Sator fanno musica per terrorizzare chi sta loro davanti, con un cantato gridato su un tappeto sonoro sempre più potente ad ogni giro di chitarra e basso, con una batteria incalzante, dannati come una nave di pirati zombie. L’approccio è simile a quello dei primi Electric Wizard, anche se hanno una maggiore varietà di soluzioni, e rimane quell’incalzare l’ascoltatore promettendo e mantenendo grandi cose dal vivo. I Sator sono un vortice dal quale non è possibile non venire attratti, sono affascinanti come sanno esserlo le cose malvagie. Ordeal è un gran salto di qualità per un gruppo che fa della potenza e della pesantezza le proprie armi vincenti, basterebbe ascoltare la canzone che da il titolo all’album dove c’è tutto il loro repertorio: riff potentissimi, basso a mille e batteria tentacolare, con stop and go e tanta distruzione. I Sator sono anche giustamente critici verso questa società che, come ben rappresentato in copertina, porta a divorarci l’un l’altro, senza ritegno né pietà per nessuno. In Ordeal aleggia anche lo spettro degli Eyehategod, un gruppo che dove c’è putridume è sempre presente, anche se qui ci sono molte cose in più. Ordeal è un monolite che sarà amato da chi segue la musica pesante.

Tracklist
1.Heartache
2.Ordeal
3.Soulride
4.Sky Burial
5.Funeral Pyres

Line-up
Drugo-Drum
Mauro-Guitar
Valy-Bass/vox

SATOR – Facebook

Nibiru – Qaal Babalon

Come sempre i Nibiru ci offrono un’esperienza sonora difficilmente descrivibile a parole, ma bisogna dire che in questa occasione sono andati davvero oltre, regalando una prova di valore assoluto e pressoché unica.

La nostra vita può essere definita in molto modi, e può essere vissuta in maniere molto diverse fra loro.

Innanzitutto bisognerebbe capire cosa sia il concetto stesso di vita, che forse viene dato troppo per scontato, perché sicuri ed esigenti sul suo svolgimento tentiamo di negare l’abisso che si crea fra la nostra vita e la nostra anima, ovvero ciò che realmente siamo. Vivendo questa netta frattura i disastri sono dietro l’angolo, e le scelte che ci rimangono non sono molte. Lanciati a folle velocità in una vita che non è ciò che vorremmo, tentiamo nella maggior parte dei casi di rimanere in carreggiata, sacrificando il nostro inconscio e molto altro per avere un rinforzo di fiducia e riconoscimento dagli altri, per provare a far vedere che siamo capaci a fare qualcosa, o che siamo degni della vita, già essa stessa una menzogna. E pensiamo di esserci salvati, ma invece stiamo affondando, sempre più giù, e come in una palude più ci agitiamo più la presa diventa letale. La dannazione è dentro di noi, e questo disco dei Nibiru è un cantico della disperazione, quattro pezzi di tessuto lacerato dalla dannazione, un grido lacerante di un’anima persa, come dicono loro stessi. Il disco rappresenta cambiamenti sostanziali nella poetica dei torinesi, dato che Qaal Babalon è definito dal gruppo il seguito del loro primo disco Caosgon, uscito nel 2013 e recentemente ristampato con bonus da Argonauta Records. Caosgon era una nebbia venefica che si espandeva dalle casse degli stereo di anime incaute e dannate, composto da una psichedelia distorta e rituale, marcia e portatrice di morte. Qaal Babalon è la sublimazione di quel concetto, un avanzamento di qualità sonora e di composizione notevole per un gruppo che ad ogni ascolto e ad ogni concerto assume una forma diversa. Rimasti in tre dopo l’uscita di Steve Siatris dal gruppo, i Nibiru sono dunque concettualmente tornati alle origini, aggiungendo però molto a ciò che era stato Caosgon. Le quattro tracce sono altrettanti rituali, quattro offerte ai veri dei, dilatate e con cicli e ricicli, che attaccano l’ascoltatore alla fonte sonora. Ascoltando Qaal Babalon si può sentire un taglio netto da ciò che era stato Padmalotus, un disco davvero molto diverso da quest’ultimo, che aveva fatto intravedere un cambiamento stilistico poi rigettato con l’uscita di Siatris dal gruppo. Qaal Babalon è molto più di un disco musicale, è un riconoscimento ed un’esplorazione dei nostri abissi, una fuga da falsi valori e false maschere, per ricercare ciò che siamo veramente. L’impianto sonoro è maestoso e magnifico, i suoni sono prodotti molto bene, e la lacerazione dei Nibiru viene declinata, novità assoluta, oltre che in enochiano anche in italiano, e questo è davvero un valore aggiunto, poiché rende moltissimo in Qaal Babalon. I Nibiru hanno sempre avuto un percorso molto particolare e assolutamente di personale e qui raggiungono il loro apice, dando l’impressione sia soltanto l’inizio di qualcosa di terribilmente dannato e affascinante, dato che questo disco è davvero un salto di qualità notevole in una carriera ampiamente al di sopra della media. Come sempre i Nibiru ci offrono un’esperienza sonora difficilmente descrivibile a parole, ma bisogna dire che in questa occasione sono andati davvero oltre, regalando una prova di valore assoluto e pressoché unica.

Tracklist
1. Oroch
2. Faraon
3. Bahal Gah
4. Oxex

Line-up
Ardath – Guitars, Percussions and Vocals
Ri – Bass, Drones and Synthesizers
L.C. Chertan – Drums

NIBIRU – Facebook

Fractal Reverb – Quattro

Il sound di canzoni dirette e melodiche, colme di umori noise e fortemente indie rock sottolinea la volontà del gruppo di arrivare all’ascoltatore in modo diretto, pur mantenendo un ricercato lavoro ritmico ed armonico.

E’ tempo che i gruppi di cui vi avevamo parlato in passato tornino con nuovi lavori, chi magari deludendo non rispettando le aspettative personali di chi scrive, molti fortunatamente confermando tutto il buono che i precedenti lavori avevano messo in risalto.

I lombardi Fractal Reverb, si ripresentano sul mercato underground con un nuovo lavoro in formato ep di quattro brani che porta importanti novità rispetto a Songs to Overcome the Ego Mind, full length licenziato un paio di anni fa e che si presentava come un’opera monumentale di rock alternativo, poco adatta all’ascolto distratto ma che indubbiamente aveva nelle sua dimensioni eccessive il maggiore difetto, anche se metteva in risalto le ottime potenzialità del gruppo.
Carolina Locatelli (basso e voce) e Davide Trombetta (chitarra) tornano dunque con non poche novità insite nel nuovo Quattro, che ci presenta i due nuovi entrati nella formazione, il chitarrista Riccardo Burlini ed Alessandro Pinotti che prende il posto di Denny Cavalloni dietro alle pelli.
Abbandonato l’idioma inglese, i Fractal Reverb si ripresentano con un titolo che prende ispirazione dal numero delle canzoni che compongono l’ep e dalla nuova line up, con il non poco importante inserimento di una seconda chitarra che arricchisce il sound dei nostri, oggi meno scarno ed essenziale, con sfumature melodiche più accentuate anche se la band taglia definitivamente il cordone ombelicale che la legava al grunge per prendere una propria strada dagli orizzonti indie ed alternative molto marcati.
Quattro risulta così una nuova partenza per i Fractal Reverb: il sound di canzoni dirette e melodiche, colme di umori noise e fortemente indie rock, come l’opener Divampa o la splendida Frastuono, sottolineano la volontà del gruppo di arrivare all’ascoltatore in modo diretto, pur mantenendo un ricercato lavoro ritmico ed armonico che ne dimostra la raggiunta maturità.

Tracklist
1. Divampa
2. Attonito
3. Frastuono
4. Pioggia e sole

Line-up
Carolina Locatelli – basso, voce
Davide Trombetta – chitarra
Riccardo Burlini – chitarra
Alessandro Pinotti – batteria

FRACTAL REVERB – Facebook

Uber Scheizer – King Of Rock

King Of Rock, del polistrumentista bolognese Giuseppe Lentini alias Uber Scheizer, risulta un tributo ai re dell’hard rock classico tra gli anni settanta ed il dorato (per il genere) decennio successivo.

Musicista attivo nell’area bolognese da un bel po’ di anni, Giuseppe Lentini è stato in passato il cantante dei rockers Overlord Rockstar II, in seguito ha collaborato con diverse band della scena underground cittadina ed il suo eclettismo lo ha portato a comporre musica elettronica come one man band.

Usando il monicker Uber Sheizer ha lavorato su questo progetto, assemblando brani composti nel corso degli anni, trasformandoli di fatto in un album hard rock dal titolo King Of Rock.
E l’opera risulta proprio un tributo ai re dell’hard rock classico tra gli anni settanta ed il dorato (per il genere) decennio successivo, aiutato solo da Giacomo Grassi nel brano Fire In The Night e suonando tutti gli strumenti.
Anche Uber Sheizer è dunque l’ennesima one man band. con il polistrumentista nostrano che se la cava con tutti gli strumenti e (cosa più importante) con il songwriting.
King Of Rock è un album piacevole, prodotto con quel tocco vintage che lo posiziona tra le uscite di una trentina d’anni fa, tra tasti d’avorio purpleiani, ritmiche hard rock di scuola tradizionale (UFO e primi Judas Priest);
poco incisiva la voce, ma è un dettaglio, perché l’album vive di chitarre graffianti e buone melodie neanche troppo nascoste tra riff pesanti e metallici di scuola classica.
L’opener 40 Miles A Day, Fire In The Night e la title track sono gli episodi migliori, ma è tutto King Of Rock che funziona, riportando al periodo della gioventù molti rockers con ormai troppi capelli bianchi.

Tracklist
1. 40 Miles A Day
2. King Of Rock
3. I Want You Forever
4. Fire In The Night
5. Hell Is Your Way
6. Beginning Again
7. I Am The Night
8. Now
9. More Metal Than Metal
10. Lay On The Floor

Line-up
Giuseppe Lentini: Vocals, Guitars, Bass, Drums, Keyboards

UBER SHEIZER – Facebook

Lost Dogs Laughter – Out Of Space

Out Of Space è un album vario e piacevole, con una sua spiccata personalità prendendo ispirazione dalla tradizione a stelle e strisce per portarla con rinnovato entusiasmo nel nuovo millennio.

L’alternative rock italiano si avvale di un’ altra band, i Lost Dogs Laughter, trio romano al debutto con Out Of Space, facendo del rock americano il proprio credo cercando di risultare il più personale possibile.

Matt Bandini (chitarra e voce) fondatore della band e Luk La Grande (basso), sono stati raggiunti in questi anni da una manciata di batteristi, ma in questo esordio sentirete picchiare sulle pelli le bacchette di Andrea Vettor.
Un altro batterista in line up (Gianluca) nel presente del gruppo romano ed un debutto che si colloca nell’alternative rock dalle reminiscenze riscontrabili negli anni novanta, quindi influenze che vanno dall’hard rock di Seattle, a sferzate punk ed atmosfere post rock progressive che donano al sound un elegante, e quanto mai maturo, prog style che fanno di Out Of Space un ascolto affascinante.
Ritmiche che nascono dalle jam di Sonic Youth con l’aiuto di Corgan e dei suoi Smashing Pumpkins, chitarre che lasciano in bocca quel gusto d’acciaio del metal moderno e buone trame melodiche, fanno di Out Of Space un album vario e piacevole, con una sua spiccata personalità che si evince da brani come Honestly, Words Unknown e la title track, esempi di un sound che prende ispirazione dalla tradizione a stelle e strisce per portarla con rinnovato entusiasmo nel nuovo millennio.

Tracklist
1. Sweeter Reaction
2. Honestly
3. Go Away
4. Words Unknown
5. Fade (September 1993)
6. Fallen Angel
7. Am I?
8. Out Of Space
9. The Forgetful

Line-up
Matt Bandini – Chitarra, Voce
Luk La Grande – Basso
Andrea Vettor – Batteria

LOST DOGS LAUGHTER – Facebook

Nexus – The Taint

I Nexus spaziano tra il rock alternativo dalle atmosfere dark, non rinnegando le proprie influenze che vanno dai più famosi Depeche Mode fino alle nuove leve del rock dai tenui colori oscuri come HIM o Deathstars, mentre la carta d’identità tricolore si può intuire da un uso vagamente progressivo dei tasti d’avorio.

Debutto su Agoge Records per i gothic metallers Nexus, band nata per volere del cantante e chitarrista Vlad Voicu e del bassista Tony Di Marzio.

Con l’aiuto in studio di Gianmarco Bellumori, responsabile della label, licenziano questo primo album sulla lunga distanza intitolato The Taint, un gothic album pregno di sfumature elettroniche che hanno poco dell’industrial e tanto della new wave risalente agli anni ottanta, ovviamente trasportata in un contesto dove le chitarre graffiano e le ritmiche mantengono quel tocco groove che fa tanto cool di questi tempi.
Ne esce un lavoro dal buon appeal, magari mancante ancora di quel quid che fa di una buona canzone un potenziale hit, ma le premesse per un futuro roseo nel panorama dark gothic ci sono tutte.
I Nexus spaziano tra il rock alternativo dalle atmosfere dark, non rinnegando le proprie influenze che vanno dai più famosi Depeche Mode fino alle nuove leve del rock dai tenui colori oscuri come HIM o Deathstars, mentre la carta d’identità tricolore si può intuire da un uso vagamente progressivo dei tasti d’avorio.
L’album mantiene la stessa marcia per tutta la sua durata, scalando e ripartendo in quarta (qualitativamente parlando) con Funeral Pyre, N.B.N e la notevole Scrying Mirror.
Una buona partenza per i Nexus, band da seguire se siete amanti del dark/gothic metal di inizio millennio.

Tracklist
1.Solitude
2.Cancer
3.Funeral Pyre
4.Crimson Wine
5.Stillborn
6.N.B.N
7.Scrying Mirror
8.Close Your Eyes
9.To Silence Your Demons

Line-up
Vlad Voicu – lead vocals, studio guitars & programming
Tony Di Marzio – bass and backing vocals
Il Diverso – synth/keyboards & programming
Diego Aureli – live guitars
Daniele Di Gasbarro – live drums

NEXUS – Facebook

T-Roosters – Another Blues To Shout

Another Blues To Shout è composto da tredici splendide canzoni, tredici composizioni dove le note del delta prendono vita, tra il blues classico e lo swing.

Ai lettori della nostra webzine non facciamo mancare niente, partendo dal presupposto che, oltre allo zoccolo duro di metallari dai gusti estremi o classici, ci sia pure (come è nel nostro spirito) chi ama la buona musica a prescindere dagli stili che formano la grande famiglia del rock.

E non può mancare il blues, capostipite di tutto quello che si ascolta ai nostri giorni, specialmente ora che, come negli anni settanta, il rock ha ripreso la strada della frontiera che porta al delta del grande fiume, là dove tutto è nata tra il profumo del tabacco ed il tintinnio delle catene.
Quello che non sapete è che i protagonisti di questo viaggio/sogno tra le rive del Mississippi sono i T-Roosters, band di bluesmen italiani giunti al loro al quarto album in circa un decennio di attività.
Another Blues To Shout è composto da tredici splendide canzoni, tredici composizioni dove le note del delta prendono vita, tra il blues classico e lo swing: poco rock dunque, ma un affascinate percorso musicale nel blues delle origini, dove l’armonica diventa a tratti l’assoluta protagonista di sanguigne e ribelli boogie woogie songs e il ritmo instancabile ricorda le lunghe serate fuori dalle povere case degli schiavi, che esorcizzavano la fatica di lunghe giornate nei campi con interminabili e straordinarie jam.
Scritto a due mani da Paolo Cagnoni e Tiziano Galli (testi, musiche e produzione), Another Blues To Shout conferma l’ottima reputazione del gruppo nella scena del genere, non solo nel nostro paese visto l’exploit dello scorso anno quando i T-Rooster hanno strappato una posizione di tutto rispetto al Blues Contest “IBC”, concorso di blues internazionale tenutosi a Memphis.
L’opener Lost And Gone, i brividi suscitati dall’atmosfera accaldata e rustica della splendida Morning’ Rain Blues, lo swing protagonista di Naked Born Blues e il rock’n’roll dei pionieri nella straordinaria Livin’ On Titanic, sono solo una parte del tesoro musicale che scoprirete ascoltando Another Blues To Shout, un album passionale come solo questo genere sa essere.

Tracklist
1 Lost And Gone
2 Morning Rain Blues
3 I Wanna Achieve The Aim
4 On This Life Train
5 Naked Born Blues
6 Sugar Lines
7 Beale Street Bound
8 Livin’On Titanic
9 Black Star Blues
10 Still Walkin’ Down South
11 Missing Bones
12 The Way I Wanna Live
13 I’m Rolling’ Down Again

Line-up
Tiziano “Rooster Tiz” Galli – Voce e Chitarre
Giancarlo “Silver Head” Cova – Batteria e Background Vocal
Luigi “Lillo” Rogati – Basso, Contrabbasso e Background Vocal
Marcus “Bold Sound” Tondo – Armoniche e Background Vocal

T-ROOSTERS – Facebook

Frank Capitanio – The Last Man

Con un livello che rimane alto per appeal e talento melodico, The Last Man risulta una ventata di aria fresca nel panorama del rock/pop dal piglio radiofonico.

Diciamolo francamente: siamo invasi da una moltitudine di gruppi presentati dai canali satellitari come i salvatori del rock, in coma da anni e disteso in un giaciglio aspettando il bacio di un giovane principe armato di chitarra, basso, batteria e buone idee, che possa finalmente risvegliarlo.

A noi che ci occupiamo di altre tipologie di rock, più dure e meno commerciali, fa piacere incontrare sul nostro cammino ottime realtà come Frank Capitanio, trio alternative pop/rock della provincia di Teramo, capitanata appunto dall’omonimo chitarrista e cantante, coadiuvato alla batteria da Edolo Ciampichetti e al basso da Lorenzo Marcozzi.
Quindi moderiamo i toni, lasciamo per un po’ le strade impervie dell’alternative metal o del rock vintage tanto di moda di questi tempi, per immergerci nel mondo di The Last Man, opera che passa con disinvoltura dall’alternative rock al pop con un’accentuata vena cantautorale, ricca di sfumature radiofoniche r dalle trame melodiche ed orecchiabili, ma dal tiro irresistibile.
Un album composto da belle canzoni, questo è The Last Man, a tratti più elettrico, in altri molto melodico e dall’ottimo appeal ma rock nel profondo, così come straordinariamente rock è la voce di Frank, che a molti ricorderà dMiles Kennedy (Alter Bridge) ma che sicuramente non manca di personalità e talento, assecondano quelle che sono le brillanti idee evidenziate da un ottimo songwriting.
Il sound, dunque, si muove nel sound del nuovo millennio, lasciando che le melodie prendano il sopravvento sulle graffianti trame rock che fanno comunque parte dello spartito di brani come il singolo Dena, la Soul Asylum oriented Long Away, la splendida ballad Easy e le trame ritmiche di Loser, tra melodie ed urgenza alternative.
Con un livello che rimane alto per appeal e talento compositivo, The Last Man risulta una ventata di aria fresca nel panorama del rock/pop dal piglio radiofonico.

Tracklist
1.A Reason To Fly
2.All The Time Lost
3.Dema
4.Long Away
5.Loser
6.Misery
7.Easy
8.The Last Man
9.Thank You
10.Choose The day

Line-up
Frank Capitanio – Voce, Chitarra
Lorenzo Marcozzi – Basso Elettrico, Back Vocals
Edolo Ciampichetti – Batteria, Percussioni

FRANK CAPITANIO – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=ZVrlwc1hfTk

Secret Sight – Shared Loneliness

Un album intenso, melodico e tragicamente vitale, privo di intoppi come il fluido scorrere dell’acqua in un torrente.

Quando la new wave ed il post punk si uniscono al dark progressivo tanto in voga negli ultimi tempi, ecco che prende forma un rock emozionale nel quale trame malinconiche accompagnano l’ incedere di brani in cui si respira un epicità scovata nella vita di tutti i giorni.

Parlando di new wave non ci si può dimenticare degli anni ottanta e dei gruppi cardine del genere, ma senza fare nomi e cognomi ci crogioliamo nelle linee melodiche della voce o degli arpeggi elettrici di una chitarra vestita di nero e truccata con il mascara, leggero ma presente.
I Secret Sight da Ancona, nati dalle ceneri del progetto Coldwave e subito in pista con il debutto Day.Night.Life, tornano con questo bellissimo album , maturo, coinvolgente e armonicamente sopra le righe, una raccolta di tracce che dei generi descritti prendono il meglio e lo riassumono in un rock che vive di una grande malinconia ma che si apre anche alla speranza, mentre i più vecchi tra voi gusteranno passaggi che risulteranno familiari, ma perfettamente incastonati in un sound personale e coinvolgente.
Shared Loneliness vi ipnotizzerà, seducente e bello mentre le sue spire si avvolgeranno sempre più ad ogni brano, dall’opener Lowest Point per arrivare all’ultima nota della conclusiva Sometimes, passando tra le note che si fanno diaboliche e pregne di lucide melodie decadenti in Blindmind o nella bellissima Over, senza perdere un solo attimo dell’urgenza post punk (Stage Lights).
Un album intenso, melodico e tragicamente vitale, privo di intoppi come il fluido scorrere dell’acqua in un torrente.

Tracklist
1.Lowest Point
2.Stage Lights
3.Blindmind
4.Fallen
5.Flowers
6.Swan’s Smile
7.Over
8.Surprising Lord
9.Sometimes

Line-up
Cristiano Poli – vocals, guitar
Lucio Cristino – vocals, bass
Enrico Bartolini – drums

SECRET SIGHT – Facebook

One Eyed Jack – What’m I Getting High On?

Il trio lombardo non si nasconde certo dietro ad un dito, ti sbatte in faccia le proprie influenze e come se fossimo tutti trasportati in un locale della Seattle sfatta di rock ed eroina, ci consegna un valido tributo ad una delle scene musicali più importanti del secolo scorso.

Echi di Bleach e Nevermind, lasciati al caldo sole del deserto della Sky Valley, formano un sound massiccio e profondo, mentre il tempo si ferma e con una brusca inversione a U ci riporta ai primi anni novanta e alle perturbazioni musicali che, come la pioggia, fanno di Seattle una delle città più cupe del mondo.

Ma siamo nel 2017 e nel Nord Italia, precisamente nel bresciano dove si aggirano da qualche anno gli One Eyed Jack, tornati dopo un primo album autoprodotto con questo macigno di hard rock americano dalle ispirazioni grunge/stoner intitolato What’m I Getting High On?, licenziato dalla Fontana Indie Label 1933.
Il trio lombardo non si nasconde certo dietro ad un dito, ti sbatte in faccia le proprie influenze e come se fossimo tutti trasportati in un locale della Seattle sfatta di rock ed eroina, ci consegna un valido tributo ad una delle scene musicali più importanti del secolo scorso.
Ovviamente gli One Eyed Jack ci mettono del loro, che consiste nello stonerizzare il tutto con un basso grasso che al calore cola di liquido vischioso, presente come i riff potenti della sei corde ed il cantato malato, nervoso ma a tratti rilassato prima di esplodere in rabbiosi chorus di scuola Cobain.
Primetime, The Edge Of The Soul, l’atmosfera tirata dal basso che pulsa di Washyall, l’urgenza punk di Shitting Blood, e una presa live che non mancherà di fare vittime dall’alto di un palco fanno di What’m I Getting High On? un lavoro diretto e che ben fotografa l’influenza dei gruppi di Seattle sul rock del nuovo millennio.
L’album potrà risultare magari poco originale ma non ci sono certamente dubbi sul suo impatto.

Tracklist
1. Primetime
2. Little Junior Finally Grew A Beard
3. Soon Back Home
4. Shitting Blood
5. Sgrunt
6. The Edge of the Soul
7. Daily Abuse
8. Drama Shit
9. Washyall
10. Dog Fight

Line-up
Daniele – chitarre e voci
Giampietro – bassi
Dariored – batterie

ONE EYED JACK – Facebook

Sangue Nero – Viscere

I Sangue Nero, i quali hanno senza dubbio il merito di riportare il black metal alla sua funzione originaria, ovvero quella di infrangere incancreniti canoni stilistici, etici e filosofici.

La Third I Rex appartiene al novero di quelle etichette che pongono tra le loro priorità la pubblicazione di album anticonvenzionali o, quanto meno, molto lontani da quello che potrebbe essere definito come un prodotto spendibile a livello commerciale.

Con i Sangue Nero, trio italiano all’esordio con questo Viscere, si viene addirittura scaraventati in una forma di black metal estrema nel senso più autentico del termine: qui, infatti, non vi è alcuna concessione melodica o atmosferica, e il tessuto sonoro è essenzialmente il mezzo per rivoltare come un guanto coscienze assopite, provando con decisione a scuoterle dal loro torpore piuttosto che blandirle.
In poco meno di mezz’ora i Sangue Nero esibiscono un’interpretazione del genere che si potrebbe definire avanguardistica, se non fosse che tale aggettivo non si sposa granché con l’approccio al black tutt’altro che cerebrale del trio: il titolo Viscere non credo sia casuale, proprio perché i suoni, per quanto sghembi e spesso ai limiti dell’improvvisazione (specialmente per quanto riguarda l’interpretazione vocale) sono oltremodo diretti e impattanti.
Il vocalist e bassista T. utilizza anche uno strumento inusuale come il didgeridoo, conferendo un’aura del tutto particolare ai due episodi ambient I e IV, mentre i brani contrassegnati dai numeri II, III e V non risparmiano ruvidezze strumentali e vocali, con una sviluppo che a tratti può anche apparire cacofonico ma che finisce, invece, per conferire al tutto un notevole potenziale ipnotico e straniante.
La decisione di limitare il minutaggio di un lavoro di tali caratteristiche è senz’altro azzeccata, perché oltre un certo limite l’inevitabile calo di tensione potrebbe rendere difficilmente assimilabile l’operato dei Sangue Nero, i quali hanno senza dubbio il merito di riportare il black metal alla sua funzione originaria, ovvero quella di infrangere incancreniti canoni stilistici, etici e filosofici.

Tracklist:
1.I
2.II
3.III
4.IV
5.V

Line up:
T . – Bass, Didgeridoo, Vocals
V . – Guitars
M . – Drums

SANGUE NERO – Facebook

Antipathic – Autonomous Mechanical Extermination

La ridotta durata complessiva di Autonomous Mechanical Extermination (circa sei minuti) impedisce di trarre conclusioni definitive, anche se quanto ascoltato fornisce comunque indicazioni sufficienti per inserire gli Antipathic tra le band da tenere sotto osservazione.

Breve ep di presentazione per gli Antipathic, progetto italo americano che vede la presenza di Tat0, bassista cantante che abbiamo già avuto modo di apprezzare all’opera nei validi calabresi Zora, assieme al chitarrista e batterista d’oltreoceano Chris.

Il genere proposto è, secondo le attese, un brutal death piuttosto circoscritto nel perimetro del genere, ma ben eseguito e curato nei particolari, e i tre brevi brani proposti tengono fede alle premesse, nel bene e nel male: infatti il brutal, quando è suonato con tutti i crismi, almeno per me è sempre un bel sentire, ma allo stesso tempo capita raramente di rinvenire spunti capaci di rendere sufficientemente peculiari tali sonorità.
Ovviamente la ridotta durata complessiva di Autonomous Mechanical Extermination (circa sei minuti) impedisce di trarre conclusioni definitive, anche se quanto ascoltato fornisce comunque indicazioni sufficienti per inserire gli Antipathic tra le band da tenere sotto osservazione, in attesa di una prova quantitativamente più cospicua.

Tracklist:
1. Apparatus
2. Molecular Deviations
3. Autonomous Mechanical Extermination

Line-up:
Chris – chitarra e batteria
Tat0 – voce e basso

ANTIPATHIC – Facebook

Hitwood – Detriti

Il viaggio di Hitwood continua e ad ogni passo la sua musica si trasforma, completandosi senza perdere la sua personale visione di un metal moderno che si fa estremo, pur lasciando alle melodie la loro fondamentale importanza.

A distanza di un mese circa , torniamo a parlarvi di una nuova uscita targata Hitwood, la creatura musicale creata dalla mente del polistrumentista Antonio Boccellari.

Archiviato il primo full length When Youngness … Fly Away … uscito lo scorso anno ed il precedente ep di cui ci siamo occupati (As A Season Bloom), Hitwood torna a descrivere in musica i suoi sogni che prima di Detriti erano lasciati alla sola musica.
Questa volta l’influenza melodic death di estrazione scandinava è ancora più marcata rispetto ai suoi predecessori, soprattutto per l’ausilio delle voci che sono le protagoniste della musica creata per l’occasione dal bravissimo musicista lombardo.
Dietro al microfono troviamo dunque due ottimi singer. Carlos Timaure al growl ed Eveline Schmidiger, protagonista con growl e clean vocals.
Inutile negare che, con l’inserimento delle voci la musica di Hitwood lascia il mondo della musica strumentale, bellissima ma molto limitata nelle preferenze degli ascoltatori, per raggiungere sicuramente un’audience più ampia.
Rimane un death metal melodico sui generis quello di Boccellari, sempre molto intimista ed atmosferico, ma indubbiamente più completo ed estremo ora che il growl fa il bello e cattivo tempo sulla maggioranza dei brani.
A parte l’intro As Far As I Can Remember e lo strumentale More Winters To Face…, vicino al precedente lavoro come atmosfere e sound, i brani di Detriti risultano sempre molto melodici ma anche più diretti, come la splendida My Path To Nowhere, canzone che ci riporta in pieni anni novanta ed ai lavori di In Flames (padrini del sound Hitwood), Dark Tranquillity ed ai paladini del suono melodico nel metal estremo.
Years Of Sadness conferma l’ottima scelta di Boccellari, dall’alto di un brano robusto valorizzato da un tappeto di cori, che enfatizza la componente sognante del concept degli Hitwood, mentre Chromatic lascia campo al lato più estremo del sound e Venus Of My Dreams ci porta alla fine di questo ottimo lavoro, lasciandoci con le trame epico melodiche classiche dei gruppi provenienti dal profondo nord.
Il viaggio di Hitwood continua e ad ogni passo la sua musica si trasforma, completandosi senza perdere la sua personale visione di un metal moderno che si fa estremo, pur lasciando alle melodie la loro fondamentale importanza.

Tracklist
1.As Far As I Can Remember
2.My Path To Nowhere
3.Years Of Sadness
4.More Winters To Face…
5.Chromatic
6.Venus Of My Dreams

Line-up
Antonio Boccellari – guitars, bass, drums

Guest :
Carlos Timaure – growl vocals
Eveline Schmidiger – growl/clean vocals

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Go Ask Alice – Perfection Is Terrible

Se la perfezione è terribile, almeno musicalmente i nostri il rischio lo corrono avvicinandovisi pericolosamente, tramite la proposta di di sonorità cristalline a cavallo tra l’elettronica e l’ambient, dai tratti pacati ma non prive di repentini slanci melodici.

Primo passo discografico per questo trio di musicisti romani denominato Go Ask Alice, i quali raccolgono i brani composti in questi anni riversandoli su questo breve lavoro, sicuramente interessante e di buona fattura relativamente al tipo di sound proposto, intitolato Perfection Is Terrible.

Nelel vita di tutti i giorni, nelle molteplici attività ed i diversi ruoli che la vita offre in sorte, personalmente vedo la ricerca verso un costante miglioramento come un qualcosa di positivo, che spinge le persone a non accontentarsi di un’aurea mediocritas, ma dall’altra, se subentra in tutto questo un aspetto maniacale diviene una sorta di patologia in gradodi rovinare l’esistenza in maniera irrimediabile; una frase come Perfection Is Terrible riassume tutto questo proprio perché, pensandoci bene, il raggiungimento di tale stato equivale alla fine di un qualsiasi percorso evolutivo, assimilabile metaforicamente alla morte.
Comunque, se la perfezione è terribile, almeno musicalmente i nostri il rischio lo corrono avvicinandovisi pericolosamente, tramite la proposta di di sonorità cristalline a cavallo tra l’elettronica e l’ambient, dai tratti pacati ma non prive di repentini slanci melodici.
Infatti, questi otto brevi brani interamente strumentali esibiscono una buona varietà compositiva abbinata ad una gamma di soluzioni abbastanza dinamiche, ovvero tutto quanto serve per non rendere tedioso un album strutturato in questa maniera.
Ed in effetti, la formazione a tre composta dai due fondatori Lorenzo Albanese e Flavio Moro e da Valerio Occhiodoro (aggiuntosi dopo un paio d’anni) consente proprio di sfuggire ai minimalismi delle one man band, offrendo un sound più ricco e sfaccettato, e soprattutto non freddo, nonostante il substrato fondamentalmente elettronico possa far ritenere il contrario.
Anche l’utilizzo a tratti di una batteria “vera” e della chitarra acustica (ad opera rispettivamente degli ospiti Curzio Ferri ed Andrea Oggiano) si rivela un particolare non indifferente capace, di rendere ancor più accattivante e coinvolgente l’operato dei Go Ask Alice; fatto il primo passo, quello che ci si attende ora da questi musicisti capitolini è la conferma su un minutaggio complessivo più consistente delle buone sensazioni destate con Perfection Is Terrible.

Tracklist:
1.Intro
2.Loud
3.Close to the river
4.The shout
5.Section three
6.Nova
7.Morning
8.Nothing to be sad

Line up:
Lorenzo Albanese: bass, keyboards, electric guitar
Flavio Moro: synthetizers, keyboards, drum programming
Valerio Occhiodoro: electric guitar

Guests:
Curzio Ferri: drums
Andrea Oggiano: acoustic guitar

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Agonia Black Vomit- Cosmosatanic Wisdom

Nelle canzoni di Agonia Black Vomit vi sono tante cose e Cosmosatanic Wisdom è tutto da scoprire, con la sorpresa e la gratificazione dei dischi che vanno oltre la musica e che disegnano altre traiettorie, così poco comuni di questi tempi.

Black metal molto poco ortodosso dall’Italia, pubblicato da una delle migliori etichette della scena.

Se quanto sopra non vi ha convinto, ascoltate direttamente in disco, che merita moltissimo. Il black metal proposto dagli Agonia Black Vomit ha un taglio fortemente mediterraneo, infatti si rifà alla scena italo/greca, che ha le sue belle differenze rispetto a quella scandinava. Qui non troviamo solo velocità, ma molta incisività e ricerca di un giusto equilibrio tra potenza, marcezza, il tutto sotto la nera egida dell’unico Signore possibile. Questa one man band italica, avvolta dal giusto mistero, è debitrice dell’ortodossia black metal, ma si stacca quasi dal nero sentiero per esplorare personalmente le tenebre, e trova efficacemente una via personale. La voce è un growl marcio ma intelligibile, la produzione è molto precisa e rende giustizia della bravura dell’unico membro Agonia. Non vi sono rilevanti novità sonore, e non erano nemmeno richieste, poiché questo è un solido disco di black metal, strettamente per gli amanti del genere. Una delle proprietà migliori del genere è che si può declinare in molti termini e questo è uno dei migliori. Ascoltando Cosmosatanic Wisdom si entra in una visione del mondo che, man mano che si procede, diventa molto chiara e condivisibile, poiché il peggiore satanismo lo abbiamo sotto i nostri occhi tutti i giorni, mentre quello qui contenuto è di livello molto più elevato. Nelle canzoni di Agonia Black Vomit vi sono tante cose e Cosmosatanic Wisdom è tutto da scoprire, con la sorpresa e la gratificazione dei dischi che vanno oltre la musica e che disegnano altre traiettorie, così poco comuni di questi tempi. Per i neri amanti o per chi volesse sviare, ma si sappia che non è la follia di un attimo, bensì una filosofia ben definita e soprattutto difficile e dolorosa.

Tracklist
01. Departure From Degrade
02. Engines Of Hate
03. The Acid Soil
04. Parallel Descanting Visions
05. The Peaceful Solitude
06. Alone
07. Symphony Of Suffering

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Hell Done – The Dark Fairytale

Gli Hell Done si sono ritrovati ed hanno finito il lavoro iniziato tanti anni fa, raccontando con The Dark Fairytale una tragica storia d’amore supportata dalle note epiche, dure, a tratti violente, dell’heavy metal dai rimandi speed/thrash.

Gli Hell Done portano a termine quello che era stato iniziato anni fa, ed è così che The Dark Fairytale può finalmente vedere la luce e la storia del paladino Riccardo essere raccontata.

Un percorso iniziato nel 1998 ed interrotto più volte, quello della band bolognese, con i soliti problemi che affliggono molti gruppi underground, falcidiati da continui cambi di line up ed altrettante ripartenze che non impedirono agli Hell Done di registrare un ep intitolato The Dark Fairytale nel 2003 per poi sciogliersi nuovamente.
Lo scorso anno i musicisti si sono ritrovati per mettere le mani sul materiale targato Hell Done, con alle spalle esperienze passate e presenti in band come Old Flame, Tarchon Fist, e ora con Sange Main Machine e Badmotorfinger, per il singer Luigi Sangermano, Eva Can’t per il batterista Diego Molina, così come per il chitarrista Simone Lanzoni, a sua volta anche vocalist negli In Tormentata Quiete, mentre il presente per il bassista Andrea Sangermano si chiama Raw Pink e Iggy and His Booze.
Una sorta di super gruppo a tutti gli effetti, quindi, che oggi con The Dark Fairytale può raccontare una tragica storia d’amore supportata dalle note epiche, dure, a tratti violente dell’heavy metal dai rimandi speed/thrash.
Il concept narra di Riccardo, generale dell’esercito dei Franchi in guerra contro i Saraceni, un grande guerriero visto però con sospetto dai suoi compagni per essere figlio di una donna francese ed un saraceno, e della sua storia d’amore con Heleonore dal tragico epilogo; gli Hell Done raccontano la storia del paladino con la forza drammatica del metal, valorizzato da suggestive parti acustiche e sfuriate heavy/speed che, in alcuni casi, si avvicinano al thrash mantenendo in generale una struttura ben radicata nell’heavy metal classico.
L’album è colmo di duro metallo epico, di scuola tedesca tra power e thrash, ma sono le melodie che fanno la parte del leone, drammatiche, tragiche, a tratti oscure come se si trattasse di una poderosa jam tra Grave Digger e Kreator benedetti dal talento melodico degli Iced Earth, unica concessione al metal d’oltreoceano.
The Dark Fairytale cresce con il passare dei minuti mentre brani potenti ed epici come Realms In War Covering My Way ci accompagnano verso l’emozionante finale con The Seed Of Evil e la title track, brani top di questo ottimo lavoro, un saliscendi di emozioni in un crescendo drammaticamente metallico.
Bene hanno fatto i musicisti nostrani a portare a termine la storia dando lustro a questa raccolta di brani: il risultato è un album di heavy metal classico con tutte le caratteristiche per far innamorare i tanti defenders con una Heleonore nel cuore.

Tracklist
1 – 732 A.D.
2 – Realms in War
3 – And Though the silence
4 – Covering my way
5 – Just began
6 – Heleonore
7 – Betrayer
8 – The Seed of Evil
9 – The Dark Fairytale

Line-up
Luigi “Sange” Sangermano – vocals
Simone Lanzoni – guitars
Andrea Sangermano – bass
Diego Molina – drums

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Ozora – Perpendicolari

Perpendicolari è un lavoro difficile e coraggioso, musicalmente sottoposto a sferzate di potentissimo metal progressivo ma vario e per nulla scontato, complice l’uso della lingua italiana e la presenza di atmosfere dalle reminiscenze alternative.

La Rockshots Records si candida quest’anno come una delle label più attive nel mondo del rock/metal underground, con una serie di opere che hanno come comune denominatore l’alta qualità della proposta, che sia incendiario power heavy metal, hard & heavy o, come nel caso di questa notevole band piemontese, metal alternativo straordinariamente progressivo.

Cantato in italiano, scelta che non inficia la fruibilità dei brani, Perpendicolari è l’opera prima degli Ozora, quattro musicisti provenienti da background diversi ma uniti dalla voglia di lasciare il segno in un mondo musicale spietato come la realtà che ci circonda per cui, un giorno dopo l’ uscita, un album è già vecchio e il prossimo sarà sicuramente più bello, mentre ascoltatori cannibali al terzo brano cliccano sul quadratino che indica lo stop e passano ad altro.
Perpendicolari è un lavoro difficile e coraggioso, musicalmente sottoposto a sferzate di potentissimo metal progressivo ma vario e per nulla scontato, complice l’uso della lingua italiana e la presenza di atmosfere dalle reminiscenze alternative.
Il sound è valorizzato da prestazioni agli strumenti di alta levatura, anche se la tecnica è messa al servizio del progetto nella sua totali,tà così da mettere tra le mani dell’ascoltatore un lavoro completo, maturo ed a tratti entusiasmante.
Difficile fare i soliti paragoni con gruppi famosi, l’anima progressiva degli Ozora è cresciuta con i maestri del genere, così come il rock che spoglia d’urgenza e cattiveria metallica il sound, per poi farlo esplodere accendendo chitarre indie cariche di watt.
Non c’è un solo brano che non meriterebbe d’essere analizzato, ma ci tengo a nominare la title track, i ritmi scolpiti nel groove della violenta A Terra, le atmosfere cangianti della splendida Orlando e dell’ altra lunga L’avevi Detto Tu, mentre Volta La Carta, cover metallica progressiva del poeta genovese Fabrizio De Andrè, mette il punto esclamativo su questo bellissimo ed imperdibile lavoro.

Tracklist
01. Idiometria
02. Perpendicolari
03. A Terra
04. Il Profeta
05. Orlando
06. La Tua Piccola Tragedia
07. Volta La Carta
08. La Coda
09. L’Avevi Detto Tu
10. amOre

Line-up
Paolo Marre – Guitars
Syd Silotto – Vox & Key
Luca Imerito – Bass
Danilo Sakko Saccotelli – Drums & Percussion

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Dusius – Memory Of A Man

Un disco potente sia nella musica che nell’immaginario che suscita, dando l’impressione che il viking folk metal sia il genere preferito dei Dusius, che con queste doti avrebbero fatto bene comunque in qualsiasi ambito.

I Dusius approdano al loro primo disco sulla lunga distanza dopo il demo Slainte del 2013.

I Dusius fanno un folk metal molto veloce e tirato, prepotentemente in zona viking, ben composto e prodotto finemente. Memory Of A Man è un album con un’elaborata storia al suo interno, narrando le avventure di un uomo in epoca antica, che fa molti errori e viene maledetto dagli dei, ma non vi anticipiamo altro perché è molto interessante scoprire l’intera storia. Tutto ciò viene narrato attraverso il potente viking metal dei Dusius, con una doppia voce che funziona molto bene e riesce a dare tonalità diverse a momenti che necessitano di narrazioni diverse. Quello che colpisce è la compattezza del gruppo, la forza collettiva che riesce a scatenare, e anche la brillantezza del suono che, pur essendo cupo, riesce ad elevarsi e ad elevare l’ascoltatore. Notevole anche la visione d’insieme del disco e della missione che si pone il gruppo: i parmigiani hanno un notevole tasso di epicità nella loro musica, e riescono a coniugare molto bene durezza ed aulicità, intessendo una storia classica ma molto attuale, sulla dannazione dell’uomo e sul libero arbitrio, che a volte può essere pesantemente influenzato da potenti fattori esterni. Il lavoro entra di diritto nelle miglior opere del folk viking italiano, e merita diversi ascolti per riuscirne a cogliere tutti gli aspetti e le diverse sfaccettature. Un disco potente sia nella musica che nell’immaginario che suscita, dando l’impressione che il viking folk metal sia il genere preferito dei Dusius, che con queste doti avrebbero fatto bene comunque in qualsiasi ambito.

Tracklist
1. Funeral March
2. Siante
3. Desecrate
4. The Rage of the Gods
5. Worried
6. One More Pain
7. Dear Elle
8. Dead-End Cave
9. Hope
10. The Betrayal
11. Coldsong
12. Funeral March II
13. Hierogamy (Hidden Track)

Line-up
Manuel Greco – Vocals
Rocco Tridici – Guitar
Manuele Quintiero – Guitar
Erik Pasini – Bass
Alessandro Vecchio – Keyboards
Davide Migliari – Flute / Bagpipes
Fabien Squarza – Drums

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