MindAheaD – Reflections

Un viaggio soprattutto mentale che porta inevitabilmente ad una alternanza tra passaggi intimisti e crimsoniani, e sfuriate death metal tecnicamente ineccepibili.

Nei Campi di Controllo della Mente il tempo sembrava essersi fermato all’ultima Grande Guerra; il progetto di recupero informazioni non era terminato del tutto, la macchina adibita a tale compito era ormai vecchia ed il soggetto collegato ad essa,#6119, cercava di resistere alle allucinazioni causate dagli innesti di falsi ricordi e di false emozioni.

Il debutto dei toscani MindAheaD parte da qui, da questo concept dalla chiara trama sci-fi, ed il sound che accompagna la storia passa agevolmente dal progressive al metal estremo per un ottimo risultato finale.
La Revalve come label e Simone Mularoni ad occuparsi della masterizzazione nei suoi Domination Studios sono sicuramente garanzie di qualità, e la band sfrutta a dovere i suoi jolly con un’opera intrigante e ben congegnata.
Il gruppo fondato dal chitarrista Nicola D’Alessio, con un passato in Hellrage ed Athena nel 2010, dopo alcuni assestamenti nella line up arrivano finalmente al traguardo del primo full length, un concept come nella migliori tradizione progressiva, soluzione in questi anni molto utilizzata pure dai gruppi metal ed estremi.
E di metal si nutre la musica del sestetto, così come di death e prog, riuscendo a far convivere le varie influenze in un unico caleidoscopio di musica e sfumature dai colori scuri, pregni di drammatica follia.
Un viaggio soprattutto mentale che porta inevitabilmente ad una alternanza tra passaggi intimisti e crimsoniani, e sfuriate death metal tecnicamente ineccepibili.
L’uso delle due voci accentua questo scendere e salire sull’ottovolante mentale, disturbato e rabbioso (il growl) delicatamente epico e dai tratti gotici (la voce femminile), mentre la musica dona cangianti sfumature progressive.
Dopo l’intro, l’incedere estremo dei primi tre brani è di assoluto impatto, con Mind Control a prendersi la scena e far risplendere le capacità strumentali dei vari musicisti del gruppo, con la sezione ritmica a dispensare furia metallica e le voci a duettare in una tempesta estrema.
I dieci minuti di Amigdala fungono da sunto della musica del gruppo toscano, parti atmosferiche si danno il cambio a sezioni metalliche più accentuate, la vena progressive infonde nel sound un tocco maturo, adulto, lasciando che le oscure trame musicali si insedino dentro all’ascoltatore.
Ad un ascolto superficiale si potrebbe scambiare facilmente i MindAheaD per un gruppo gothic metal, come i tanti che invadono il mercato odierno, ma non fatevi ingannare dall’uso della voce femminile, la musica del gruppo va oltre ai soliti cliché e si insinua tra i meandri del progressive metal, con la giusta personalità per ritagliarsi un prezioso spazio tra le migliori realtà nostrane.

TRACKLIST
1.Intro: Reflection
2.Remain Intact
3.Mind Control
4…On the Dead Snow
5.Amigdala
a. Anxiety
b. Fear
c. Panic
6.Emerald Green Eyes
7.The Mask Through the Looking Glass
a. Ballad of the Mad Jester
b. The Mask
8.Farewell
9.Three Sides of a Dangerous Mind
a. The Fall in the Subconscious
b. My Dirty Soul
c. Three Are My Faces
10 Outro: Memories

LINE-UP
Frank Novelli – Vocals
Kyo Calati – Vocals
Nicola D’Alessio – Guitar
Guido “Shiboh” Scibetta – Guitar
Matteo Prandini – Bass
Matteo Ferrigno – Drums

MINDAHEAD – Facebook
https://www.youtube.com/watch?v=Y7q2eXjn-p4

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Vircolac – The Cursed Travails of the Demeter

Tra le trame di The Cursed Travails of the Demeter si respira l’aria intrisa di un fetore luciferino come negli storici album a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo

La notte di Halloween tra le tombe di un vecchio cimitero nei pressi di Dublino, una creatura abominevole è nata per portare orrore e morte a colpi di death metal old school.

Accompagnato da una copertina semplice ma assolutamente perfetta, The Cursed Travails of the Demeter ha visto la luce proprio il 31 Ottobre e data non poteva essere migliore, per gli irlandesi Vircolac, nel dare i natali al loro primo ep, successore di due demo usciti in questi primi tre anni di attività.
Death metal old school, con produzione avvolta dalla coltre di nebbia che nasconde questo regno dei morti, ed atmosfere horror vecchio stampo, quindi nel sound del gruppo non troverete orpelli di nessun genere, solo death metal catacombale, marcio e in decomposizione perenne.
Il growl arriva da due metri sotto terra e il suono,  imprigionato da ragnatele vecchie di centinaia di anni e poste tra una tomba e l’altra, è assolutamente senza compromessi.
Per i deathsters ancora aggrappati con le unghie e con i denti alla vecchia scuola underground estrema, l’opera dei Vircolac non mancherà di soddisfare la sete di tenebre, con tutte le loro insidie, tra fughe dagli zombie in doppia cassa e lente agonie di morte, con un salto nel doom/death più scarno ed essenziale ma tremendamente coinvolgente.
E la lunga e conclusiva Betwixt the Devil and Witches è infatti la traccia più riuscita dell’album, terrificante, oscura e maligna, un lungo rito per propiziatorio di morte.
Un buon ep che gli amanti dei suoni old school apprezzeranno, d’altronde tra le trame di The Cursed Travails of the Demeter si respira l’aria intrisa del fetore luciferino, come negli storici album a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo.

TRACKLIST
1.The Cursed Travails of the Demeter
2.Charonic Journey (Stygian Revelation)
3.Lascivious Cruelty
4.Betwixt the Devil and Witches

LINE-UP
KB – Bass
JG – Guitars, Keyboards
DvL – Vocals
BMC – Guitars
NH – Drums, Vocals

VIRCOLAC – Facebook

Witchery – In His Infernal Majesty’s Service

Il nuovo album risulta uno dei migliori della discografia degli Witchery nel nuovo millennio e noi non possiamo che inchinarci a cotanta maestria in questo tipo di sonorità.

E si torna a navigare a vele spiegate verso l’inferno, dopo sei lunghi anni di attesa in compagnia degli Witchery.

Il gruppo svedese, che si avvicina al ventennale di una carriera all’insegna del più devastante death/black ‘n’ roll, e che vede tra le sue file quel monumento al metal estremo che risulta Sharlee D’Angelo, bassista che nei suoi lunghi anni di militanza nella scena metal ha fatto parte di band che chiamare storiche è un eufemismo (Arch Enemy, Spiritual Beggars, The Night Flight Orchestra, Mercyful Fate, Illwill, King Diamond, Sinergy, tra le tante) insieme all’axeman Patrik Jensen, e di altri tre stregoni cattivissimi, torna a far danni con questo ultimo ed infernale lavoro e sono dolori.
Erano altri tempi quando il tramonto della prima ondata del death metal melodico scandinavo era alle porte e quello che, allora, venne definito dai più un super gruppo estremo, spazzò via le ultime resistenze delle truppe melodiche, sotto i colpi mortali di un sound scarno, diretto, violento e senza compromessi, racchiuso negli ormai seminali Restless & Dead (1998) e Red, Hot & Ready (1999); dopo altri tre album nel decennio scorso, la band si ripresenta a sei anni di distanza dall’ultima uscita, con una line up in parte rinnovata dai nuovi innesti di Chris Barkensjo alle pelli ed Angus Norder a sbraitare collera e blasfemie sugli undici devastanti brani che compongono In His Infernal Majesty’s Service.
Poche nuove, buone nuove, si dice: gli Witchery tornano più malvagi e sinistri che mai, il loro sound continua a mietere vittime sui roghi del metal estremo pregno di attitudine death/black e con quell’insano gusto rock ‘n’ roll che fa la differenza; i due nuovi compari sono all’altezza del compito e l’album si lascia ascoltare che è un piacere tra pochi ma perfetti camei horror, metal estremo di alto rango ed un impatto che molte delle nuove leve si sognano.
I titoli sono tutto un programma da Nosferatu, a The Burning Salem, da Lavey-athan (devastante opener) all’organo messianico che fa da preludio all’enorme Escape From Dunwich Valley, traccia che fa scuola tra le file degli adepti al genere.
Un ritorno, per certi versi a sorpresa, che non poteva essere più gradito: il nuovo album risulta uno dei migliori della discografia degli Witchery nel nuovo millennio e noi non possiamo che inchinarci a cotanta maestria in questo tipo di sonorità.

TRACKLIST
1. Lavey-athan
2. Zoroast
3. Netherworld Emperor
4. Nosferatu
5. The Burning Of Salem
6. Gilded Fang
7. Empty Tombs
8. In Warm Blood
9. Escape From Dunwich Valley
10. Feed The Gun
11. Oath Breaker

LINE-UP
Angus Norder – Vocals
Jensen – Guitar
Rikard Rimfält – Lead Guitar
Sharlee D’Angelo – Bass
Chris Barkensjö – Drums

WITCHERY – Facebook

Qaanaaq – Escape From The Black Iced Forest

Cinque brani piuttosto lunghi e ricchi di repentine aperture melodiche, alternate a qualche accelerazione e a fughe strumentali di matrice prog, sono quanto offre un album anomalo come Escape From The Black Iced Forest.

Più o meno dal nulla sbucano questi Qaanaaq, band bergamasca che propone una stramba mistura tra doom, death, gothic e progressive.

Se, in teoria, questi indizi parrebbero portare su territori affini ad Opeth e successiva genia, in raelta, nonostante la band di Åkerfeldt sia un riferimento dichiarato dal quintetto lombardo, il sound gode di una personalità sorprendente, offerta in particolare dal lavoro tastieristico di Luca Togni, capace di caratterizzare ogni brano con un approccio misurato quanto incisivo.
Niente a che vedere quindi, con ampie aperture sinfoniche od invadenti orchestrazioni plastificate: il tocco di Luca Togni è quanto mai legato al progressive settantiano ed è volto più a punteggiare il sound che non ad assumerne il controllo, lasciando che gli altri strumenti (suonati da altri due Togni, Mattia e Luca, rispettivamente al basso e batteria, e da Dario Leidi alla chitarra) si sbizzarriscano nel contribuire a creare un tappeto sonoro sul quale esibisce un growl piuttosto efficace Enrico Perico (dalle tonalità che ricordano non poco quelle di Mancan degli Ecnephias).
Cinque brani piuttosto lunghi e ricchi di repentine aperture melodiche, alternate a qualche accelerazione e a fughe strumentali di matrice prog, sono quanto offre un album anomalo come Escape From The Black Iced Forest, frutto compositivo di musicisti non più di primo pelo che vi hanno riversato una freschezza compositiva raramente riscontrabile oltre che la dote, anche’essa in via d’estinzione, di non interpretare il proprio ruolo in maniera seriosa, a partire dall’immaginario groenlandico che aleggia sull’intero progetto, almeno a livello lirico (Qaanaaq è, appunto, la città più a nord di quella che qualche buontempone pensò di chiamare “terra verde” ).
Probabilmente i suoni di tastiera esibita da Luca Togni potranno lasciare perplessi i più, mentre personalmente li trovo geniali nel loro apparente minimalismo, in quanto capaci di insinuarsi in maniera velenosa nel cervello (micidiali in tal senso il finale di Body Walks e la parte centrale di High Hopes); resta oggettivamente difficile catalogare i Qaanaaq in maniera esaustiva, perché il doom, che è il primo genere dichiarato, viene esibito nella sua forma più riconoscibile solo nella traccia finale Red Said It Was Green, perché anche la stessa Untimely At Funerals, che parte proprio come una vera marcia funebre, cambia volto più volte fino ad approdare a passaggi che lambiscono la fusion.
In definitiva, l’opera prima dei Qaanaaq si rivela tutt’altro che cervellotica o particolarmente ostica ma è ugualmente rivolta a menti sufficientemente aperte.

Tracklist:
1. Body Walks
2. Eskimo’s Wine Is A Dish Best Served Frozen
3. Untimely At Funerals
4. High Hopes
5. Red Said It Was Green

Line-up:
Enrico Perico – vocals
Dario Leidi – guitar
Mattia Togni – bass
Luca Togni – keyboards
Nicola Togni – drums

QAANAAQ – Facebook

Graveyard Ghoul – Slaughtered-Defiled-Dismembered

Un album che ha la sua forza nell’insieme creato dalle atmosfere che tagliano i brani, valorizzate dalle parti rallentate, veri macigni di musica oscura e diabolica.

Attitudine old school, tanto horror da B-movie, di quello cult per intenderci e non certo da ragazzini con mascherine smorfiose che più che paura fanno tenerezza, un death metal che nelle accelerazioni si trasforma in un thrash anni ottanta, per poi rallentare e far uscire l’anima malvagia del doom/death, una produzione che soffoca i suoni, come una bocca piena di quei vermi della decomposizione che brulicano tra le membra scarnificate.

Sono tornati i Graveyard Ghoul, band proveniente dalla Sassonia, al terzo album in quattro anni dalla sua nascita e tramite la Go Fuck Yourself Productions licenzia questo lavoro, rigorosamente in cassetta, dal titolo Slaughtered – Defiled – Dismembered.
Sangue, morte e male racchiusi in un’atmosfera orrorifica, un concentrato di malvagità e terrore compresse in un sound che chiamare oscuro è un eufemismo.
Attenzione, però, il gruppo non usa orpelli, niente trucco e niente inganno, solo metal estremo che odora di morte, tra death, thrash vecchio stampo e doom, malato, cadenzato e terrificante.
Un gruppo che sceglie per le sue opere il vecchio formato in cassetta non può che essere completamente devoto, in tutto e per tutto, ai tempi che furono, così da costruirsi un rispettoso seguito tra i cultori della musica estrema di ormai trent’anni fa.
Da scrivere rimane solo un giudizio altamente positivo, le atmosfere funzionano ed il trio (Tombcrusher al basso, Tyrantor batteria e voce e Disgracer chitarra e voce) dà la sensazione di saperci davvero fare e conoscere la materia trattata, tra devastanti ripartenze e rallentamenti che artigliano e squartano gole, in un perdersi in un terrificante mondo tra zombie, diavoli e piastrine a go go.
Un album che ha la sua forza nell’insieme terrificante creato dalle atmosfere che tagliano i brani, valorizzate dalle parti rallentate, veri macigni di musica oscura e diabolica, promossi.

TRACKLIST
Side A – Old
1.Mouldered To Madness
2.Slaughtered – Defiled – Dismembered
3.Born Without Bones
4.Necrocult
5.Pestilent
6.VHS

Side B – Death
7.Woundfuck
8.Necrotic Lust
9.They Won’t Stay Dead
10.Amputation Masturbation
11.Into Abyssal Spheres

LINE-UP
Disgracer -Vocals, Guitars
Tom “Tyrantor” Horrified -Drums, Vocals
Tombcrusher -Bass

GRAVEYARD GHOUL – Facebook

Siaskel – Haruwen Airen

Questo disco è speciale, poiché raramente si riesce ad ascoltare un black death che riesca a coniugare epicità ma, anche e soprattutto, un’esecuzione pulita e chiara, che conferisce maggior forza al disco

Secondo disco per i cileni Siaskel, un combo black metal che tratta nei suoi lavori della cultura Selk’nam.

Questi ultimi erano gli abitanti indigeni del lembo più estremo della Patagonia. L’origine dei Selk’am si perdono in ere davvero lontane da noi, e quel che poco che si sa di loro lo si deve ai pochi sopravvissuti e a racconti perlopiù orali. Il black death di ottima fattura dei Siaskel ci riporta vivide immagini della vita, della mitologia e della forza di questa popolazione. Come altre volte il linguaggio del black metal serve a riscoprire le proprie origini e le vere tradizioni, ed un genere musicale che si vuole nichilista per antonomasia riesce a compiere un salvataggio storico culturale molto importante. Musicalmente Haruwen Airen è un disco molto maturo, potente e ben suonato con una forza ben definita, e fa parte di un percorso che se compiuto porterà i Siaskel molto lontano. Questo disco è speciale, poiché raramente si riesce ad ascoltare un black death che riesca a coniugare epicità ma, anche e soprattutto, un’esecuzione pulita e chiara, che conferisce maggior forza al disco. I Siaskel sono un gruppo dalla forte personalità, e con questo lavoro vanno ben oltre la nomea di gruppo interessante.

TRACKLIST
1.Hechuknhaiyin Yecna Shuaken Chima
2.Só`ón Hás-Kan
3.Haruwen Airen
4.Hais
5.Hain
6.Mai-ich
7.Han K´win Sa

SIASKEL – Facebook

Saturno – Thou Art All

La buona tecnica permette alla band avventurose e velocissime arrampicate su e giù per lo spartito, senza sacrificare la forma canzone, assolutamente imprescindibile per la riuscita dei brani.

Con il primo lavoro dei ferraresi Saturno ci troviamo al cospetto di un’opera di death metal tecnico e brutale, racchiusa in cinque brani per quindici minuti di musica dal titolo Thou Art All.

Il quartetto nostrano confeziona questo antipasto alla propria carriera mettendo subito in chiaro che qui si fa death metal tripallico, progressivamente brutale e squisitamente tecnico, dai rimandi ai gruppi storici statunitensi (padri del genere) , ma con una personalità da veterani.
Non manca nulla a Thou Art All per farsi apprezare: buona tecnica esecutiva, impatto enorme, blast beat alternati a parti dalle ottime varianti ritmiche, vorticosi solos, il tutto accompagnato da un growl come il genere richiede.
La buona tecnica permette alla band avventurose e velocissime arrampicate su e giù per lo spartito, senza sacrificare la forma canzone, assolutamente imprescindibile per la riuscita dei brani, anche nel metal estremo, così che l’opener Creator e l’accoppiata Preserver/Birthrope non mancano di lasciare un’ ottima impressione sulle potenzialità in mano ai Saturno.
Il gruppo merita il giusto supporto ed una spinta verso il traguardo importantissimo del primo full length, parola di MetalEyes!

TRACKLIST
1.Creator
2.Devotion
3.Preserver
4.Birthrope
5.Destroyer

LINE-UP
Tommaso Pellegrini – Guitars
Alessio Giberti – Guitars
Nicola Donegà – Bass
Nico Malanchini – Drums

SATURNO – Facebook

Altered Shade – The Path Of Souls

The Path Of Souls è un bellissimo esempio della devastante forza in mano alle belligeranti truppe di cui si compone l’esercito del metal estremo, un altro lavoro sopra la media targato WormHoleDeath.

Debuttano sulla lunga distanza i death/thrashers transalpini Altered Shade con questa bomba sonora targata WormHoleDeath.

Attivo dal 2009, il combo proveniente da Bordeaux dopo due demo strappa un contratto con la nota label nostrana e dà alle stampe The Path Of Souls, un tremendo e devastante tsunami estremo senza soluzione di continuità, che amalgama potenza death metal, furiose ripartenze thrash e soluzioni melodiche heavy in un sound oscuro e maledettamente coinvolgente.
Non manca niente al gruppo francese per entrare nei cuori neri degli amanti del metal estremo, The Path Of Souls risulta un susseguirsi di brani estremi che, pur non concedendo tregua, arrivano al traguardo grazie ad un songwriting ispirato, grandiose parti ritmiche ed un lavoro delle asce entusiasmante.
Growl/scream efferato, alternanza di mid tempo cadenzati e potentissimi carichi di groove, parti velocissime che finiscono il lavoro di distruzione, il tutto valorizzato da melodie metalliche di alto rango, fanno dell’album un terremoto musicale.
Questo è metal estremo del nuovo millennio, dimenticatevi quindi atmosfere old school tanto di moda di questi tempi: pur rimanendo confinato nei generi descritti, l’album ha un approccio straordinariamente diabolico e al passo coi tempi, le molte soluzioni armoniche, le atmosfere dark (l’oscura Meanders ricorda i Fields Of The Nephilim con un solo di stampo heavy che resuscita i morti) fanno di quest’opera un viaggio nella musica estrema da cui diventa alquanto difficile tornare.
Cinquanta minuti di death/thrash con tutte le carte in regola per far male, una battaglia che diventa guerra totale, vinta dal gruppo con armi micidiali come le belligeranti The Dark Gift Of Light, opener dell’album, The Last Door, con un riff centrale dai rimandi scandinavi, la stupenda Meanders, The Revenge Of Venus che nella parte centrale si impreziosisce di uno stacco melodicamente oscuro da brividi, e la letale Lord Vlad.
The Path Of Souls è un bellissimo esempio della devastante forza in mano alle belligeranti truppe di cui si compone l’esercito del metal estremo, un altro lavoro sopra la media targato WormHoleDeath.

TRACKLIST
1.The Dark Gift of Life
2.Frozen Grief
3.The Last Door
4.The Engraved Path
5.The Revenge of Venus
6.Meanders
7.Voodoo Philter
8.Lord Vlad
9.Until the Last Rites
10.The Shadows of Forgotten

LINE-UP
Rudy – Guitar
Baloo – Guitar
Fab – Bass
Edwin – Vocals
Hed – Drums

ALTERED SHADE – Facebook

Ruinous – Graves Of Ceaseless Death

Graves Of Ceaseless Death torna a far rivivere quel death metal americano, furioso, tripallico e senza compromessi che piace tanto ai true deathsters vecchia scuola.

La Dark Descent scaglia sul mercato con forza inaudita questo monolitico, violentissimo e bellissimo album firmato Ruinous, band formata da ex componenti di Goreaphobia, Incantation, Dysma, Funebrarum e kalopsya, esordio sulla lunga distanza che non potrà non mietere vittime tra gli amanti del death metal classico, irrobustito da tremende esplosioni di brutal e con un’anima malvagia che aleggia sulla tracklist.

Prodotto ottimamente, Graves Of Ceaseless Death torna a far rivivere quel death metal americano, furioso, tripallico e senza compromessi che piace tanto ai true deathsters vecchia scuola.
A parte qualche mid tempo, ed un po’ di sano groove che fa capolino dalla guerra totale messa in atto dal terzetto statunitense, l’album dalla prima nota dell’opener The Tombs Of Blasphemy all’ultima micidiale mitragliata (Torn Forever From The Light) risulta un monumento eretto alla brutalità, all’estremo e alla efferata violenza in musica.
Le ritmiche creano muri sonori , le asce sono cannoni devastanti che sparano colpi sulle ormai carcasse imputridite di mucchi di cadaveri, mentre Matt Medeiros fa guerra a sé con una prova dietro al microfono debordante in impatto e malvagità.
Un album che ha nelle carneficine senza tregua di From Flames Of Malice Born e gli undici minuti della mostruosa Through Stygian Catacombs, i suoi bastioni contro cui si infrangono le forze del bene.
Un lavoro imperdibile per chi apprezza il brutal death metal di stanza aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1.The Tombs Of Blasphemy
2.Transfixed On The Gate
3.Dragmarks
4.From Flames Of Malice Born
5.Procession Of Ceaseless Sorrows
6.Ravenous Eternal
7.Plague Maiden
8.Through Stygian Catacombs
9.Torn Forever From The Light

LINE-UP
Matt Medeiros – Guitars and Vocals
Alex Bouks – Guitars
Shawn Eldridge – Drums

RUINOUS – Facebook

Era Decay – Inritum

Gli Era Decay sono autori di una prestazione convincente, compatta e priva di particolari sbavature anche se, almeno per ora, incapace di scalare lo spesso gradino che separa l’album bello da quello imprescindibile.

I rumeni Era Decay, nonostante siano attivi solo dal 2008, con Inritum arrivano già al loro quinto full length, una produzione quindi già corposa rispetto alla media.

Anche se sovente viene sottovalutato, questo è un aspetto del quale bisogna tenere conto nel momento in cui si devono esprimere delle valutazioni dopo l’ascolto di un album: ne deriva, pertanto che, da band al primo o secondo disco si tollererà maggiormente una mancanza di originalità, ricercando piuttosto la freschezza compositiva, mentre, al contrario, a chi ha già una discografia abbastanza cospicua alle spalle verrà richiesta con più rigore una manifestazione di personalità.
Gli Era Decay si trovano in una situazione un po’ spuria, in tal senso, visto che se il loro fatturato discografico è già pari a certe band di ultraquarantenni, sono ancora piuttosto giovani e quindi con intatte possibilità di sviluppare ulteriormente il proprio percorso musicale.
La peculiarità della band rumena è quella di muoversi in uno spazio stilistico che sta a metà strada tra il melodic death ed il death/doom, e non sempre l’equilibrio è perfetto anche se, indubbiamente, ciò evita loro di apparire fotocopie sbiadite di gruppi più famosi appartenenti all’una o all’altra scena.
A mio avviso, rispetto a quanto mi sarei atteso, la componente doom non è così marcata ed è proprio quando ciò avviene che ne vengono fuori i colpi migliori (splendide sia Sharp Words che Restlessness), facendo pensare che, spingendo un po’ di più su quel versante, un disco già buono sarebbe potuto diventare eccellente.
Penso sia sostanzialmente una questione di gusti, perché di certo chi predilige il melodic death la penserà diversamente da me, con più di una buona ragione, dato che i ragazzi rumeni sono autori di una prestazione convincente, compatta e priva di sbavature anche se, almeno per il mio metro di giudizio, incapace di scalare lo spesso gradino che separa l’album bello da quello imprescindibile.
A mio avviso, gli aspetti sui quali gli Era Decay possono sicuramente migliorare (e l’avere dei margini di miglioramento quando si è già piuttosto bravi va visto solo in un’ottica positiva) sono due: il primo è la riduzione della forbice esistente tra i due brani citati, ottimi esempi di death doom, ed altri come Ferocious e Syncope, episodi molto più diretti e di matrice death nel vero senso del termine, mentre il secondo potrebbe essere un ricorso ragionato alle tastiere con il compito di legare il sound nei brani più melodici, perché talvolta il risultato che ne scaturisce è un po’ troppo asciutto ed essenziale.
Detto questo, Inritum è un lavoro che merita d’essere ascoltato a prescindere dal genere assegnatogli in sede di presentazione, anche perché etichettarlo come death/doom rischia d’essere fuorviante, andando a discapito degli stessi Era Decay.

Tracklist:
01 – Intro
02 – Beyond Delirium
03 – Ferocious
04 – Perfidious
05 – Sharp Words
06 – Repugnance
07 – Restlessness
08 – Syncope
09 – The Past is Mine to Bear
10 – Faker
11 – Becoming Unstoppable
12 – Coming for You (The day I die)

Line-up:
Sandru Serban – vocals
Calin Colo – lead guitars
Adrian Galbau – drums
Alexandru Tipa – bass
Frij Vladimir Petrut – rythm guitars

ERA DECAY – Facebook

Esperoza – Aum Corrupted

Un cantico oscuro, un’ora di musica estrema e dalle evocative atmosfere sinfoniche

Un cantico oscuro, un’ora di musica estrema e dalle evocative atmosfere sinfoniche, in cui la parte gotica viene violentata da un bombardamento metallico, per un’opera che va molto vicino ai suoni di in un girone infernale messo a soqquadro dall’arma più letale in mano alle forze oscure, la musica.

Se è vero che l’arte delle sette note, o almeno una sua gran parte, è quanto di più vicino alle forze demoniache ci sia in questo mondo, se l’uomo si allontana da dio ipnotizzato dalle melodie lascive che amoreggiano con la brutalità dell’estremo, se l’umano lato oscuro è continuamente messo alla prova e ammaliato dal mistero e dalla perversione, con Aum Corrupted, nuovo album del gruppo moldavo Esperoza, siamo vicini alla perfezione.
Il trio di Chisinau è l’ennesima scoperta della WormHoleDeath, un altro gruppo assolutamente fuori dai soliti canoni, una creatura che fa dell’arte oscura una meravigliosa e destabilizzante musica estrema, classica nell’approccio, varia nel saper muoversi con sagacia in molti dei generi estremi, originale nell’amalgamare orchestrazioni con un metal brutale, devastante, intenso e a suo modo progressivo.
La musica degli Esperoza è teatrale nella sua più pura concezione, iniziando dall’uso della voce operistica, ma lontana anni luce dalle female fronted band odierne, interpretativa, evocativa, come uno spirito che porta la morte o la possessione, terribilmente affascinate ma pericolosissima, mentre il male, diretto, violento e terribile arriva ad imprigionare l’anima con growl e scream direttamente dal più buio pozzo di anime nere: quella la voce, che fino ad un momento prima, ipnotizzava e ci trascinava inconsapevoli verso la perdizione, si trasforma in un demoniaco ed ultimo cantico prima del buio infinito ed il silenzio perenne.
Zoya Belous , Dmitrii Prihodko e Vadim Cartovenko hanno creato un’opera entusiasmante, difficile da catalogare con la classica etichetta da scrivere in calce alla recensione: Aum Corrupted è un contenitore di musica che ha nell’estremo il suo credo, ma che si riempie di sfumature ed atmosfere, talmente varie da perdere ogni certezza man mano che ci avviciniamo alla conclusione.
Black metal, death, doom, dark prog, gothic, symphonic, ognuno troverà il suo appiglio per non perdersi irrimediabilmente tra i meandri di un sound che lascia indizi come le briciole di Pollicino, ma che se verranno seguite porteranno là, da dove non si torna più ed è facile che accada ascoltando gemme oscure come Egohypnotized, Tomb Of Deeds, Periods Of 8, ma è tutto il lavoro che lascia senza fiato.
Come detto è molto difficile fare paragoni, il sottoscritto ha trovato in molte atmosfere il maligno ed orrorifico talento dei Devil Doll, chiaramente in versione più estrema e sinfonica, ma le note che escono dal tocco dei tasti d’avorio mi conducono verso il mondo di Mr.Doctor, poi la furia estrema tocca devastanti vertici black, death e doom, che mantengono sempre alta la tensione in questa colonna sonora pregna di magnifica, teatrale e diabolica oscurità.

TRACKLIST
01. A Broken Passage (Intro)
02. Egohypnotized
03. Unknown Summons
04. Tomb of Deeds
05. Nocturne Opus 93
06. Blame it on Me
07. Periods of 8
Desolate Grief (Interlude)
09. I Rot
10. ..and here comes the immaculacy / Aum Mantra (you will be punished for your prayers)

LINE-UP
Zoya Belous – Vocals
Dmitrii Prihodko – Guitar
Vadim Cartovenko – Drums

ESPEROZA – Facebook

Reveal – Flystrips

Black/death metal old school, forse un po’ troppo, tanto che sembra di essere al cospetto di un demo dei primi anni novanta, con suoni terribili, voce dall’oltretomba e batteria piatta.

Sfatiamo il luogo comune che, tutto quello che viene dai paesi scandinavi sia di livello superiore alle scene degli altri paesi.

E’ indubbio che la maggior parte delle realtà metalliche nate al nord, anche per un discorso culturale e sociale (la musica in quelle nazioni ha sempre avuto molta importanza nello sviluppo sociale dell’individuo) sia di un livello molto alto, ma non mancano certo i gruppi che non danno qualitativamente quello che il loro paese di nascita promette.
I Reveal, per esempio sono un combo black/death di Uppsala, attivo da una decina d’anni e con due lavori alle spalle: il full length Nocturne of Eyes and Teeth, uscito nel 2011, ed il singolo Cadmium di quest’anno, che apriva la strada a questo nuovo lavoro, Flystrips.
Black/death metal old school, forse un po’ troppo, tanto che sembra di essere al cospetto di un demo dei primi anni novanta, con suoni terribili, voce dall’oltretomba e batteria piatta.
Peccato, perché la band ha molte frecce al proprio arco: un sound destabilizzante, un approccio schizoide e dall’attitudine punk, ben nascosto tra le trame di brani a loro modo originali, che tornano indietro agli anni dei primi passi di quello che diventerà il temibile black metal scandinavo.
Poco più di mezz’ora faticando tra i non suoni di un lavoro obsoleto, magari idolatrato dai fans duri e puri, ma poco incline ad essere apprezzato, anche da chi, come il sottoscritto, ama il metal estremo old school.
Non mancano comunque buone idee, la band ha degli spunti interessanti e bizzarri e, specialmente negli intricati riffi trova il proprio punto di forza: poco per andare oltre una sufficienza risicata, che di questi tempi per Flystrips equivale ad un probabile oblio.

TRACKLIST
1. I Am Going To Eat You
2. Leopard Cunt
3. Heart
4. Cadmium
5. Comes Crashing Down
6. Stale Smoke***
7. Old Speckled One
8. Tame Your Neighborhood (with knives)

LINE-UP
Spine – guitar
Gottfrid – bassguitar
Petter– drums & percussion
Crack – vocals

REVEAL – Facebook

Grodek – Downfall Of Time

Il disegno artistico dei Grodek trova già una propria parziale concretizzazione, esibendo in maniera convincente la robustezza delle trame death ed il senso di drammatica ineluttabilità del doom.

Secondo Ep per gli abruzzesi Grodek , band davvero interessante che si muove in bilico tra death melodico e doom in maniera, mantenendo sempre un invidiabile equilibro tra le varie componenti del sound.

Questa breve prova, intitolata Downfall Of Time (che si avvale, in copertina, di una splendida fotografia di Francesco Delli Benedetti), si lega in maniera ancora più esplicita al concept che sta alla base dell’opera dei quattro ragazzi di Vasto, ovvero quello di “cantare la decadenza, il vuoto ed il fango della nostra realtà, trasformando l’ansia e l’orrore in esperienza estetica”.
Un modo di definire la propria musica intrigante e sicuramente impegnativo, ma va detto che il sound dei Grodek non smentisce tale dichiarazione di intenti; i quattro brani, infatti, sono piuttosto nervosi e pervasi da una certa inquietudine e, dovendo trovare un possibile riferimento per inquadrare le sfumature musicali proposte, direi che, specialmente in From The Fog I Rose e Time And Black Tides, il primo nome che viene in mente sono i Novembers Doom.
Da sempre ritengo la band di Paul Kuhr piuttosto sottovalutata, pur essendo fautrice di un sound piuttosto peculiare e riconoscibile: il fatto che i Grodek in qualche modo li richiamino alla memoria, nello stile vocale di Matteo Colantonio e in diverse soluzioni sonore, è senz’altro un fattore positivo che non deve far pensare al contenuto di Downfall Of Time come un qualcosa di derivativo, semplicemente è normale per un gruppo alle prime uscite ricordarne, anche inconsciamente, altri già conosciuti.
Resta il fatto che, in questi 25 minuti, il disegno artistico dei Grodek trova già una propria parziale concretizzazione, perché oltre ai due brani citati, anche Naiade e The Pale Dame esibiscono in maniera convincente la robustezza delle trame death ed il tocco di drammatica ineluttabilità del doom.
Un’ottima prova per un gruppo che sembra già avere tutte le carte in regola per provare l’avventura su lunga distanza, proprio perché è netta la sensazione che questo sia solo l’inizio di un percorso musicale tutt’altro che banale.

Tracklist:
1. From The Fog I Rose
2. Naiade
3. The Pale Dame
4. Time And Black Tides

Line-up:
Matteo Colantonio – Vocals, Guitars
Tiziano De Cristofaro – Guitars
Alessandro Leone – Drums
Matteo Sputore – Bass

GRODEK – Facebook

Sky Crypt – Incipit Anarchia: The Element of Anger

L’album è assolutamente consigliato a chi, in barba all’originalità apprezza ancora le sonorità storiche del genere e i primi sussulti qualitativi delle band guida

Che gran bel genere il death metal melodico, specialmente se viene suonato come in Scandinavia negli ormai gloriosi e passati anni novanta.

E’ con sommo piacere che vado a presentarvi un duo russo, proveniente dalla capitale, attivo da solo un anno e con questo ottimo lavoro fresco di stampa per la Fono Ltd.
Trattasi degli Sky Crypt, formati dai soli Alexandr Mikhaylov (voce e chitarra) e Marina Kuznetsova alle tastiere e del loro Incipit Anarchia: The Element of Anger, debutto che avrebbe (con un po’ d’attenzione da parte degli amanti di queste sonorità) la strada spianata per far innamorare i fans del melodic death metal, specialmente chi guarda ai suoni tradizionali del genere e non alle ultime sperimentazioni dai tratti statunitensi e (fino a poco tempo fa) cool.
Con quest’album torniamo indietro di vent’anni, un bel salto temporale, ma assolutamente gradito dal sottoscritto, che non può non farvi partecipe dell’ottimo lavoro svolto dal duo.
Il sound ricamato da suoni tastieristici che ricordano i Children Of Bodom, ma con un tocco di classicismo tutto farina della tradizione russa, è un death metal melodico, che alterna furiose cavalcate death/power in stile primi In Flames, rallentamenti ed atmosfere dark peculiarità degli immensi Dark Tranquillity, in un turbinio di metallo veloce ed aggressivo.
Il growl che ricorda il Mikael Stanne più estremo, brutalizza riff potenti e melodici ed il gran lavoro tastieristico ad opera di Marina, e in generale l’album trova più di un momento di ottimo metal estremo, melodico, arrembante ma raffinato dal classicismo innato dei musicisti provenienti dal profondo est europeo.
Non sono poche le tracce che emanano feeling a profusione, così che l’album è un bel sentire dall’inizio alla fine. con picchi altissimi come nelle ottime Way into Dark, Road To Power e Leaving The Shadows.
Incipit Anarchia: The Element of Anger è assolutamente consigliato a chi, in barba all’originalità apprezza ancora le sonorità storiche del genere e i primi sussulti qualitativi delle band guida: gli Sky Crypt sono una band tutta da scoprire, mettetevi alla caccia di questo gioiellino metallico, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1.Within the Anarchy
2.The Prophecy
3.Way into Dark
4.Child of War
5.Road to Power
6.Leaving the Shadows
7.Fire and Wind
8.Element of Anger
9.Cursed by Gods
10.Exile
11.Following the Light

LINE-UP
Alexandr Mikhaylov – Guitars, Vocals
Marina Kuznetsova – Keyboards

SKY CRYPT – Facebook

Infecting the Swarm – Abyss

Un meteorite brutal death in picchiata sul pianeta, potrete provare ad ignorarlo ma senza evitare d’esserne vittime.

Un’apocalisse sonora di matrice brutal arriva con la sua tonnellata di potenza devastante a riempire le serate dei deathsters estremi.

La causa di questo armageddon è il secondo lavoro della one man band tedesca Infecting The Swarm, creatura del polistrumentista Hannes S., che esce dall’abisso per portare il suo carico di morte Sci-Fi tramite la Lacerated Enemy records.
Hannes ha fatto le cose a modo, la produzione scintillante rende l’ascolto un’apoteosi di suoni violenti e senza soluzione di continuità, più di mezz’ora tra furia cieca, annichilenti parti rallentate e growl mostruosi, per un album che risulta, nel genere, una buona alternativa ai lavori delle band storiche del genere (forse) più estremo in circolazione.
Abyss non molla la presa sui testicoli, schiacciati dalla potenza e dal groove che brani devastanti come Perennial Ruins, The Bleak Abyss e Obscuring the Seventh Sun hanno sull’ascoltatore, con riff schiacciasassi, ritmiche dal groove maligno e le forti atmosfere di catastrofe imminente.
Un meteorite brutal death in picchiata sul pianeta, potrete provare ad ignorarlo ma senza evitare d’esserne vittime: consigliato agli amanti di Deeds Of Flesh e Cannibal Corpse, nel suo genere un buon lavoro.

TRACKLIST
1.Entropy
2.Perennial Ruins
3.Hypogean Awakening
4.Innate Divinity
5.The Bleak Abyss
6.Hollow Sphere
7.Obscuring the Seventh Sun
8.Spiral Fragmentation
9.Descension

LINE-UP
Hannes S. – Vocals, Guitars, Bass, Drums

INFECTING THE SWARM – Facebook

Axioma – Monolith

Gli Axioma giungono al primo capitolo della loro carriera con le carte in regola per non sfigurare nel mondo della musica estrema progressiva

Negli ultimi anni l’evoluzione del progressive death metal sembra essersi arenata, lasciando al solo talento la possibilità di valorizzare opere di musica a 360°, virtù principale di chi di questo sound fa il suo credo.

Nella capitale, dove la scena estrema nazionale trova una buona fetta delle migliori realtà della stivale, nascono gli Axioma, dal monicker che richiama Axioma Ethica Odini, album dei seminali Enslaved, licenziato nel 2010 ma a cui i riferimenti si fermano al titolo.
Benché lo storico gruppo scandinavo, nato come viking black metal band, inglobi nel suo sound molte delle componenti che negli anni l’hanno trasformato in un fulgido esempio di prog band estrema, i ragazzi romani volgono lo sguardo più agli Opeth e al death metal old school.
Monolith (mai titolo fu più azzeccato) è difatti un monolite oscuro e drammatico, una lunga jam estrema dove il quintetto romano, mantenendo ben salda la struttura death metal del proprio sound, la valorizza con un lavoro ritmico vario e deciso.
La velocità rimane moderata, le armonie si susseguono, tragiche ed intimiste, il growl è pesante e sofferto e l’atmosfera che regna tra i vari capitoli risulta animata da un’aura tragicamente intimista.
Non mancano riff ripetuti dai rimandi settantiani ed una voce femminile che appare come un fantasma, delicata ed eterea per poi sparire nei meandri ritmici creati dal gruppo.
Monolith è un lavoro che vive di emozioni e la band, a mio parere giustamente, sceglie di non divagare troppo nel mero tecnicismo, puntando sulle atmosfere e sull’emozionalità.
L’opener Hierophant e la conclusiva Reminiscence sono i brani che più dimostrano il valore del giovane gruppo romano, anche se Monolith va assaporato in tutta la sua interezza, come se fosse una lunga suite.
Gli Axioma giungono al primo capitolo della loro carriera con le carte in regola per non sfigurare nel mondo della musica estrema progressiva: un’ottima partenza.

TRACKLIST
1.Hierophant
2.Monolith of Fire
3.Rinnegato
4.Deception
5.Veil of Paroketh
6.Reminiscence

LINE-UP
Riccardo Montecchiarini – vocals
Gabriel Luigi Lattanzio – guitars
Andrea Maria Augeri – guitars
Jacopo Greci – bass
Jamil Zidan – drums

AXIOMA – Facebook

Dark Tranquillity – Atoma

Una band che, pur occupando con merito un posto di rilievo nella storia del metal, continua a calcare i palchi con lo spirito di un tempo e con la consapevolezza di chi sa di poter regalare ancora dell’ottima musica ai propri numerosi estimatori.

Circa 2000 anni fa Plutarco scrisse Le Vite Parallele, un opera importante che costituiva un primo esempio di letteratura biografica, utilizzando quale metodo narrativo la comparazione tra personaggi storici dalle analoghe caratteristiche appartenenti alla storia greca e romana.

Se lo scrittore e filosofo ellenico fosse stato un nostro contemporaneo e, magari, si fosse occupato anche di musica, avrebbe potuto sicuramente riservare un capitolo a due band che occupano un posto di rilievo nella storia del metal, In Flames e Dark Tranquillity.
Infatti, la storia di questi due gruppi, nati nella stesa città e pressapoco negli stessi anni, è emblematica di come, nella vita, ciascuno sia destinato prima o poi a prendere direzioni diverse pur percorrendo una strada comune per diverso tempo.
Inventori del Gothenburg Sound, più prosaicamente conosciuto come death melodico, Dark Tranquillity ed In Flames presero le mosse all’inizio degli anni ’90 e, a rimarcare la stretta connessione tra le due band, nei rispettivi full length d’esordio ebbero in comune persino il vocalist, visto che Mikael Stanne, storico singer dei Dark Tranquillity, prestò la sua voce all’esordio degli In Flames, intitolato Lunar Strain, prima di lasciare il posto in via definitiva ad Anders Friden.
Le due band percorsero la stessa strada, costellata di successi ed album di grande spessore, fino agli ultimi anni del secolo, quando i Dark Tranquillity impressero un’improvvisa svolta gothic al proprio sound con lo splendido Projector, mentre gli In Flames, con Colony, preparavano la svolta modernista di Clayman, album che sarebbe risultato lo spartiacque per la band di Friden, nonché l’imprevedibile imbocco di una strada senza ritorno.
Avvenne così che, mentre Stanne e soci, nonostante i buoni riscontri, tornarono sui propri passi rientrando nel loro più rassicurante trademark ma conservando, sia pure in maniera meno accentuata, gli aspetti peculiari immessi in Projector, gli In Flames impressero al loro sound una svolta commerciale che vide svanire progressivamente qualsiasi traccia di death per sostituirlo con una forma di metal moderno, discreto nelle sue prime espressioni ma resosi via via sempre più inoffensivo.
Il resto è storia dei nostri giorni: i Dark Tranquillity continuano a mettere a ferro e fuoco i palchi di tutta Europa, gratificando la numerosa frangia di fedeli seguaci con la riproposizione di un sound che potrà anche aver smarrito la propria carica innovativa, ma che viene proposto sempre con tanta e tale classe e maestria da risultare comunque al passo con i tempi. Ben diversa è la parabola degli storici dirimpettai, che quasi contemporaneamente (ed ecco quello che sarà forse l’ultimo parallelismo) hanno pubblicato Battles, album deludente del quale si può rinvenire, nella recensione scritta da Alberto per MetalEyes, tutta la delusione del fan di vecchia data.
Io ho sempre preferito, invece, tra le due band i Dark Tranquillity, e sono felice di constatare che la loro stella non ha smesso di brillare: lo scettro del death melodico è sempre nelle mani di Stanne e soci e, anche se vengono insidiati ormai da vicino da numerose realtà che, dalla loro, hanno quell’urgenza compositiva che non si può richiedere a chi calca la scena da oltre un quarto di secolo, non è solo il carisma a consentire loro il mantenimento di questo status ma sono i fatti parlare, sotto forma di un ottimo album come Atoma.
Infatti, considerando che i nostri mantengono ormai da un po’ un cadenza regolare di un album ogni tre anni, bisogna risalire a Fiction, datato 2007, per trovare un altra uscita di livello medio alto: nel nuovo lavoro, probabilmente, non sono rinvenibili brani epocali (i miei preferiti sono la title-track, The Pitiless e l’evocativa Merciless Fate) ma si tratta indubbiamente di una raccolta molto compatta e priva di filler.
La dozzina di canzoni vede un Mikael Stanne sempre in grande spolvero, anche nelle parti pulite, supportato da musicisti che riuscirebbero ad interpretare alla perfezione il genere anche con gli occhi bendati e le mani legate: chi li ha visti recentemente dal vivo non può che suffragare questa sensazione di trovarsi al cospetto di una band che, pur occupando con merito un posto di rilievo nella storia del metal, continua a calcare i palchi con lo spirito di un tempo e con la consapevolezza di chi sa di poter regalare ancora dell’ottima musica ai propri numerosi estimatori.

Tracklist:
1. Encircled
2. Atoma
3. Forward Momentum
4. Neutrality
5. Force of Hand
6. Faithless by Default
7. The Pitiless
8. Our Proof of Life
9. Clearing Skies
10. When the World Screams
11. Merciless Fate
12. Caves and Embers

Line-up:
Anders Iwers – Bass
Anders Jivarp – Drums
Niklas Sundin – Guitars
Mikael Stanne – Vocals
Martin Brändström – Electronics

DARK TRANQUILLITY – Facebook

Cavernicular – Cavernicular Ep

La scena del capoluogo siciliano non si ferma mai e non contenta della fenomenale musica a cui ci hanno abituati, questi talenti musicali ci regalano un’altra entità, che suona come un’orda di zombie punk infatuati per il grindcore.

Immaginatevi un’apocalisse zombie in una delle nostre due isole maggiori, La Sicilia.

Il virus che riporta in vita i cadaveri viene svegliato da un’operaio al lavoro nelle catacombe dei cappuccini a Palermo, un cimitero sotterraneo famoso in tutto il mondo dove riposano centinaia di cadaveri.
I primi corpi ad essere risvegliati e che porteranno il contagio anche in superficie, vengono in contatto uditivo con quello che scatenerà la loro insaziabile fame di carne umana, il primo ep degli hardcore/grindsters Cavernicular.
La scena del capoluogo siciliano non si ferma mai e non contenta della fenomenale musica a cui ci hanno abituati, questi talenti musicali ci regalano un’altra entità, che suona come un’orda di zombie punk infatuati per il grindcore.
Sandro Di Girolamo e Giorgio Trombino dei mai troppo osannati Elevators To The Grateful Sky e di altre creature musicali dall’enorme qualità che negli ultimi anni hanno valorizzato la scena palermitana, hanno unito le forze con il batterista Giorgio Piparo (Shock Troopers, Learn e con Trombino nel progetto Funky Smuggler Brothers) e Totò, singer dei power hardcore ANF, dando vita a questo ep di quattordici minuti di caos primordiale, violento, scarno e purulento come le piaghe che si aprono ad ogni passo dei non morti.
Un morso letale di musica estrema, famelica e senza compromessi, pura violenza iconoclasta che si abbatte furiosa ed aggressiva, uno tsunami apocalittico che non lascerà indifferenti gli amanti dei generi sopracitati.
Chiaramente i musicisti sono di gran livello, così che la sezione ritmica che impazza a velocità della luce, per poi rallentare di colpo come il passo strascicato e dondolante di uno zombie, con l’uso della doppia voce (il growl di Di Girolamo e lo scream di Totò) non lasciano scampo e Cavernicular diventa un altro ottimo esempio della stoffa e creatività di questi splendidi musicisti nostrani.
Un esperimento o qualcosa di più?
Chi vivrà (o meglio) sopravviverà vedrà, nel frattempo godetevi questa bomba sonora in arrivo sul continente dalla terra del fuoco siciliana.

TRACKLIST
1.DetoNation-Annihilation Alert (Coupe D’Etat)
2.Wires
3.WreckAge
4.Stare Down-Balls Explode
5.Deprived
6.Intent
7.Vile Manipulation
8.Archaic game
9.Killing Bias
10.Doctrine Junkies
11.Fine day For A Bomb Ride
12.Equality
13.No Way To Start
14.Triggered To React

LINE-UP
Totò – yells
Sandro – grunts
Furious G. – guitar
Piparino – drums

http://www.facebook.com/Cavernicular/?fref=ts

The Burning Dogma – No Shores Of Hope

No Shores Of Hope è un album di grande pregio, che in un mondo normale porterebbe alla ribalta della scena i The Burning Dogma … ma del resto sono proprio loro i primi ad affermare, con il loro concept, che di normale, in questo mondo, c’è rimasto ormai ben poco.

Uno pensa: chi te lo fa fare di passare gran parte del tempo libero a tenere in piedi, assieme a qualche altro malato di mente, una webzine dalla quale non ci si guadagna nulla ?

La risposa sta, come il veleno, nella coda: chi l’ha detto che non ci si guadagna? Per esempio, se non fossero stati gli stessi The Burning Dogma ad inviarmi il promo del loro disco ai fini di una recensione, quante probabilità avrei avuto di ascoltarlo? Diciamo ben poche.
Ecco, la vera ricompensa di chi si dedica ad un (non) lavoro come questo è proprio quella di scoprire e godersi realtà ai più sconosciute ma capaci di produrre musica del tutto all’altezza di nomi ben più pubblicizzati.
No Shores Of Hope è il primo full length di questa band bolognese che, già da qualche anno, prova ad agitare i sonni dell’apparentemente placida Emilia con un death metal dai tratti progressivi e sinfonici e, probabilmente, l‘essere giunti alla prova della lunga distanza senza aver affrettato i tempi deve aver giovato non poco alla resa finale del lavoro.
Il sound dei The Burning Dogma è nervoso, oscuro e cangiante, a volte quasi in maniera eccessiva a causa di fulminei cambi di tempo che possono disorientare l’ascoltatore meno scafato o, comunque, meno propenso ad approfondire i contenuti di un album complesso ma dotato di grande fascino.
Un umore disturbante che si addice a No Shores Of Hope, un concept che affronta temi magari non nuovissimi ma sempre attuali, come il degrado dell’umanità e la necessità di lottare affinché tale deriva si arresti, in modo da poter trascorrere al meglio un esistenza destinata prima o poi ad una fine ineluttabile: la rappresentazione di tutto questo avviene tramite un death metal tecnico, che si sviluppa tra pulsioni melodico/sinfoniche e rallentamenti di matrice doom, arricchito da inserti elettronici presenti per lo più nei brevi intermezzi strumentali.
Lo screaming quasi di matrice black esibito da Andrea Montefiori viene talvolta alternato ad un più canonico robusto growl, ed anche questa varietà vocale finisce per costituire un ulteriore elemento di discontinuità in un album che è ricco di sorprese e di spunti eccellenti, oltre che di una serie di brani la cui pesantezza è stemperata sia dalla tecnica, che i musicisti mettono al servizio del songrwriting (e non viceversa), sia dagli spunti melodici che segnano un po’ tutti brani.
Spiccano, in una tracklist priva di punti deboli, la più catchy Skies Of Grey, ammorbidita da una bella voce femminile, la spigolosa Nemesis e No Heroes Dawn, parte centrale della trilogia Dawn Yet To Come, dove viene riproposto un frammento tratto da Inpropagation, traccia d’apertura della pietra miliare Necroticism …, quale doveroso omaggio ad una band come i Carcass alla quale sicuramente i The Burning Down si ispirano, specie nelle piuttosto ricercate evoluzioni chitarristiche.
No Shores Of Hope, quindi, si rivela un album di grande pregio, che in un mondo normale porterebbe alla ribalta della scena i The Burning Dogma … ma del resto sono proprio loro i primi ad affermare, con il loro concept, che di normale, in questo mondo, c’è rimasto ormai ben poco.

Tracklist:
01. Waves Of Solitude
02. The Breach
03. Enigma Of The Unknown
04. Skies Of Grey
05. Feast For Crows
06. Burning Times
7. Distant Echoes
08. Hopeless
09. Dying Sun
10. Nemesis
11. Dawn Yet To Come – 1. Drowning
12. Dawn Yet To Come – 2. No Heroes Dawn
13. Dawn Yet To Come – 3. Uscimmo A Riveder Le Stelle

Line-up:
Maurizio Cremonini – Lead Guitar
Diego Luccarini – Rhythm Guitar
Giovanni Esposito – Keys
Antero Villaverde – Drums
Simone Esperti – Bass
Andrea Montefiori – Vocals

THE BURNING DOGMA – Facebook

Sepulchral Curse – At the Onset of Extinction

Quattro brani che confermano la buona proposta del gruppo scandinavo, ora pronto per il passo cruciale del full length.

A volte ritornano !

E come nel famoso romanzo di Stephen King, i finlandesi Sepulchral Curse ci investono come nel primo ep (A Birth In Death, uscito un paio di anni fa) con il loro death/black metal brutale, nelle atmosfere più che nella velocità, dall’animo nero come la notte in un sperduto cimitero nelle lande del loro paese di origine.
E’ la Transcending Obscurity ad occuparsi di questo secondo lavoro, At the Onset of Extinction, composto da quattro brani di abissale metal estremo, oscuro e pesante, dal piglio cimiteriale e oltremodo vario nell’alternare ritmiche al limite del death/doom, come nella splendida Disrupting Lights of Extinction, che conclude con un lungo corteo funebre l’ep, partito in quarta con l’aggressiva e malvagia Envisioned in Scars.
Il growl orrendo e mostruoso di Kari Kankaanpää, le linee chitarristiche che sparano devastanti mitragliate death/black e solos lacrimanti sangue, sono sempre le caratteristiche maggiori del gruppo di Turku che non ne vuol sapere di uscire dalla totale e maligna oscurità del proprio sound e ci scaraventa in abissi demoniaci, dove regnano morte e distruzione.
In generale il sound del nuovo album è più ragionato rispetto al primo album, spostando di poco le coordinate stilistiche ed aggiungendo gli olandesi Asphyx alle classiche ispirazioni di scuola death scandinava e brutal statunitense.
Quattro brani che confermano la buona proposta del gruppo scandinavo, ora pronto per il passo cruciale del full length, che aspettiamo fiduciosi.

TRACKLIST
1.Envisioned in Scars
2.In Purifying Essence
3.Gospel of Bones
4.Disrupting Lights of Extinction

LINE-UP
Niilas Nissilä – Bass
Tommi Ilmanen – Drums & Vocals
Aleksi Luukka – Guitars
Jaakko Riihimäki – Guitars
Kari Kankaanpää – Vocals

SEPULCHRAL CURSE – Facebook